EPILOGO

Il selvaggio vento del suo Wyrd distorce la vita di ogni uomo. Indomita essa è, ignote le sue svolte. Temete lo stolto che afferma di vedere il suo Wyrd scintillare, al sole. Da uno specchio di fango il Wyrd lo osserva.

Dalle Stanze Gnomiche di Gweran Bardd Blaedd


INVERNO 1063

— Perché non hai detto a Valandario di ordinare ad Ebay di tornare a casa? — domandò Calonderiel. — Sono passati mesi da quando il Maestro dell’Aethyr ha cessato di avere bisogno di lui.

— Perché nel mio cuore speravo che facesse una cosa soltanto perché io glielo avevo chiesto — rispose Devaberiel. — Almeno per una volta.

Calonderiel rifletté gravemente su quelle parole. I due erano seduti nella tenda di Devaberiel, dove un fuoco ardeva in corrispondenza del buco per il fumo presente nel centro del tetto; di tanto in tanto una goccia di pioggia riusciva a penetrare all’interno e sfrigolava fra le fiamme.

— Sai — osservò infine il capo guerriero, — tu rimproveri troppo quel ragazzo. Te lo giuro, bardo, quando usi appieno la tua voce per urlare contro qualcuno gli fai dolere la testa.

— Ho forse chiesto il tuo consiglio?

— No, ma te l’ho dato comunque.

— Che sia proprio tu fra tutti a darmi consigli…

— Ah, io conosco molto bene sia te che me. Non è forse per questo che adesso sei infuriato nei miei confronti?

Devaberiel soffocò una risposta rabbiosa.

— Ecco sì — ammise infine. — Suppongo di sì.

Con un sorriso, Calonderiel gli porse l’otre del sidro e per una volta mostrò abbastanza tatto da lasciar cadere l’argomento.

Ormai l’autunno stava volgendo al termine. Il sole stanco si levava sempre più tardi e rimaneva nel cielo per una misera manciata di ore prima di scomparire fra le nubi dense di pioggia. La maggior parte del Popolo si era già spostata ad ovest per trasferirsi sui pascoli invernali, ma Devaberiel e alcuni amici aspettavano ancora sul confine di Eldidd, trasferendo i loro cavalli da un pascolo all’altro in cerca di erba fresca e dando la caccia ai daini e al bestiame selvatico rimasto nella zona dai tempi in cui gli uomini di Eldidd avevano cercato di reclamarla. Nonostante l’irritazione che dimostrava nei suoi confronti, Devaberiel era sinceramente preoccupato per il figlio… e se Ebay si fosse ammalato mentre era nelle sporche città degli uomini o fosse stato ucciso dai banditi?

Finalmente, appena due giorni prima del giorno più buio dell’anno, mentre la pioggia scrosciava e il vento ululava intorno alle tende, Ebay arrivò al campo bagnato fradicio e tremante di freddo, con un aspetto così miserando che Devaberiel non ebbe il coraggio di iniziare subito a rimproverarlo. Dopo aver aiutato suo figlio ad impastoiare i cavalli insieme agli altri lo accompagnò nel calore della tenda e gli fece cambiare i vestiti bagnati. Alla fine Ebay si raggomitolò vicino al fuoco e accettò con gratitudine l’otre del sidro.

— Hai sbrigato abbastanza incarichi per una sola estate? — domandò allora il bardo.

— Oh, sì, ed è stata una faccenda davvero strana — replicò Ebay, pulendosi la bocca con il dorso della mano e porgendo l’otre al padre. — Avanti, stimato genitore, sono pronto: ora puoi infuriare, rimproverare e sferzarmi verbalmente quanto più ti piace. Mi rendo conto di essere tornato in autunno soltanto nel senso più limitato, ristretto e subdolo del termine.

— Ero soltanto preoccupato per te, ecco tutto.

Ebay sollevò lo sguardo con espressione sorpresa e allungò di nuovo la mano verso l’otre con un gesto elaborato.

— Ecco — proseguì Devaberiel, con il tono più pacato di cui era capace, — Deverry è un posto pericoloso.

— È vero. Mi dispiace per il ritardo ma vedi, nel venire verso casa ho incontrato questa ragazza a Pyrdon, che trovava la mia umile persona davvero molto interessante.

— Oh. Capisco, è una giustificazione ragionevole.

Di nuovo Ebay lo fissò con occhi sgranati per lo sconvolto stupore e Devaberiel sorrise, godendo dell’effetto che stava ottenendo.

— Non vuoi sapere perché ti ho richiamato a casa?

— Ecco, supponevo che volessi tenermi una predica perché sono un furfante pigro e indolente, oltre che un completo stolto.

— Nulla del genere. Ho delle notizie importanti. Questa primavera ho scoperto che hai un fratellastro di cui io stesso ignoravo l’esistenza. Come la tua, anche sua madre è una donna di Deverry, e lui ha finito per diventare una daga d’argento.

— Rhodry.

— Si chiama proprio così.

— Ah, per il Sole Oscuro, l’ho incontrato proprio questa primavera, ed ho continuato a fissarlo e a chiedermi perché mi sembrasse di conoscerlo. Sai, Pa, ti somiglia dannatamente.

— Così mi hanno detto. Ti ricordi l’anello d’argento, quello con le rose incise sopra? È per lui. Ora, io non posso certo andare in giro per tutto il regno di Deverry, quindi vorresti portarglielo tu, quando arriverà la primavera?

— Ma certo. Dopo tutto, visto che l’ho incontrato posso evocare con facilità la sua immagine — rispose Ebay, e all’improvviso rabbrividì.

— Mi sembra che tu abbia preso un’infreddatura. Forse è meglio che metta altra legna sul fuoco.

— Non si tratta di questo. Sono stato assalito dal gelo indotto dal dweomer.

Devaberiel sentì lui stesso il desiderio di rabbrividire: la consapevolezza che suo figlio fosse una di quelle persone che gli elfi chiamavano «spiriti amici» gli dava sempre i brividi. Per nascondere il suo stato d’animo si diede da fare per trovare il sacchetto di cuoio e lo gettò ad Ebay, che lo aprì e si fece cadere l’anello sul palmo della mano.

— Questo è un oggettino davvero strano — commentò, scivolando nella lingua di Deverry. — Ricordo quando me lo hai mostrato, tanti anni fa. Per chissà quale motivo lo volevo terribilmente, e tuttavia sapevo che non era mio.

— Lo desideri ancora?

— No. — Ebay chiuse le dita intorno all’anello e fissò lo sguardo sul fuoco. — Vedo Rhodry. È nel nord, da qualche parte, perché sta cavalcando fra mucchi di neve. Mentre l’osservo l’anello mi vibra nella mano, quindi non ci sono dubbi che sia suo. Oh, l’anello desidera andare da lui, ma ho la sensazione che alla fine potrebbe causare la sua morte.

— Cosa? Per gli dèi barbari, allora forse dovrei semplicemente gettarlo in un fiume.

— Riuscirebbe a farsi ripescare da qualcuno — rispose Ebay, con voce sommessa, quasi da ubriaco. — Ma il nostro Rhodry non morirà finché il suo Wyrd non scenderà su di lui, e quale uomo potrebbe evitargli questo? Neppure suo padre, e tu lo sai bene.

E tuttavia Devaberiel si sentì stringere il cuore al pensiero che suo figlio vedesse qualcosa di grave che stava per abbattersi su di loro in futuro.


Trascorse parecchio tempo prima che il Vecchio riuscisse a mettere insieme tutti i pezzi della storia della sconfitta subita quell’estate in Deverry. Quando il momento fissato per il ritorno di Alastyr e dei Falchi giunse e passò, il Vecchio comprese che qualcosa doveva essere andato storto e mandò alcune spie nel regno, ma prima ancora che esse fossero tornate gli giunsero notizie allarmanti da fonti più comuni. In Deverry gli uomini del re e quelli del gwerbret di Cerrmor avevano arrestato in un colpo solo parecchi fra i più importanti agenti nel traffico dell’oppio. Per fortuna Anghariad era stata avvelenata prima che potesse rivelare segreti sotto tortura e Gwenca sapeva ben poco del dweomer oscuro a parte superstiziosi discorsi a cui il gwerbret non aveva creduto. Gli arresti avevano però costituito un grave colpo per il traffico dell’oppio, che forniva alla Confraternita Oscura una parte significativa delle sue entrate.

Le notizie peggiori giunsero però tutte con il ritorno delle spie sconvolte: come il Vecchio ormai supponeva da tempo, Alastyr e i suoi apprendisti erano tutti morti e i libri del potere erano nelle mani di Nevyn. Il Vecchio avrebbe dato parecchio per sapere quello che Sarcyn aveva rivelato a Nevyn prima di essere pubblicamente impiccato, perché non poteva credere che il Maestro dell’Aethyr avesse sprecato la possibilità di strappare con la tortura ogni possibile brandello d’informazione all’apprendista, ma ciò che più lo fece infuriare e imprecare fu il fatto che Nevyn li aveva giocati in maniera definitiva. Infatti quando il re, in segno di gratitudine per aver recuperato la Grande Gemma dell’Ovest, gli aveva offerto una ricompensa, Nevyn aveva chiesto che venisse dato un posto a corte a suo «nipote» Madoc, Maestro del Fuoco e uomo di considerevole potere: con lui costantemente di guardia, il dweomer oscuro non sarebbe più riuscito a infiltrarsi direttamente nella corte.

Per parecchi giorni il Vecchio rimase segregato nel suo studio ad analizzare i dati astrologici e gli appunti scritti delle sue meditazioni, perché in essi ci doveva essere qualche sottile segno di difficoltà che in precedenza gli era sfuggito, ma non riuscì a trovare nulla che potesse indicare il ruolo avuto da Rhodry nel mandare a monte i piani di Alastyr. Jill poi era un elemento ancora peggiore e del tutto indecifrabile, perché lui non possedeva né la sua data di nascita né quella dei suoi genitori, il cui basso ceto faceva supporre che quei preziosi dati non fossero mai stati registrati e fossero quindi andati perduti. Alla fine, giunse alla conclusione che non c’erano stati errori da parte sua e che era all’opera qualcosa che sfuggiva al suo controllo e che mirava a distruggere i piani da lui elaborati con tanta cura.

Con un sospiro che era quasi un ringhio sollevò la sua vasta mole dalla sedia e si avvicinò alla finestra. All’esterno le vigne in fiore tremolavano sotto il soffio del vento fresco e chiazzavano di scarlatto il muro del giardino, mentre due schiavi stavano lavorando nel prato quadrato per raccogliere le foglie secche. Il Vecchio però quasi non li vide, perché la sua mente era lontana, in Deverry: se soltanto avesse potuto recarsi là di persona! Ma era impensabile, naturalmente, perché la sua salute era tanto cagionevole da rendergli impossibile sopravvivere al viaggio per mare e perché il Maestro dell’Aethyr lo conosceva troppo bene. Per un momento, si sentì prossimo al panico: la delicata posizione che lui occupava all’interno della Confraternita dipendeva infatti da previsioni esatte e non da consigli che portavano al disastro. Cosa sarebbe successo se gli altri membri del consiglio avessero deciso che lui aveva cessato di essere utile? Un momento più tardi ritrovò però la calma, ricordando a se stesso di essere ancora più potente della maggior parte degli altri e tutt’altro che sconfitto.

Accostatosi alla porta, suonò per chiamare il maggiordomo e gli disse che non avrebbero dovuto disturbarlo per nessun motivo, a meno che la casa andasse a fuoco, poi si sistemò sulla sua sedia e rallentò gradualmente la respirazione per prepararsi a ciò che intendeva fare. Nel corso dei suoi lunghi anni di vita aveva infatti scoperto ed elaborato una forma davvero strana di meditazione che costituiva la fonte di molte delle sue previsioni più accurate.

Nel Bardek, in quell’epoca in cui pergamene e materiale per scrivere erano estremamente costosi, gli uomini eruditi avevano sviluppato un astuto sistema per addestrare la loro memoria ad immagazzinare le informazioni: uno studente imparava dapprima a visualizzare chiare immagini mentali di oggetti comuni, come per esempio una brocca d’argento, e quando infine arrivava a poter mantenere quell’immagine davanti a sé per un momento o due, vedendola con la stessa chiarezza come se avesse avuto di fronte l’oggetto in questione, passava a fare la stessa cosa con oggetti sempre più complessi, fino a riuscire a memorizzare un’intera stanza completa di arredo e a vederla esattamente nello stesso modo ogni volta che evocava quel ricordo.

A questo punto, lo studente cominciava a costruire una casa di ricordi, immaginandola e visualizzandola una stanza per volta, e in ciascuna stanza poneva oggetti che simboleggiavano le cose che lui voleva ricordare, di solito immagini divertenti o grottesche per stimolare maggiormente la memoria. Per esempio, un mercante di spezie aveva nella sua casa immaginaria una stanza in cui riponeva informazioni relative a determinati importanti clienti, e se una sua facoltosa cliente detestava il pepe nero, la cosa veniva raffigurata con una statua della donna che sternutiva violentemente. Se in un certo momento il mercante ricordava che la donna in questione aveva una caratteristica speciale ma non rammentava quale, gli bastava entrare mentalmente in quella stanza e vedere l’immagine per sapere che doveva portarle in dono una spezia che non fosse il pepe nero.

Ovviamente, quel metodo di addestramento mentale aveva molto in comune con i primi passi che si muovevano nell’apprendistato del dweomer, e il Vecchio se ne era reso conto non appena aveva cominciato a studiare il dweomer. Da giovane, aveva lavorato come impiegato del governo, un lavoro che più di ogni altro richiedeva il metodo mnemonico, perché a quei tempi la semplice idea di archiviare documenti e informazioni in ordine alfabetico non era ancora stata scoperta. Il giovane schiavo eunuco ancora noto come Tondalo aveva così costruito nella sua mente un vasto archivio, nel quale poteva entrare e trovare ogni importante documento affidato alle sue cure. Dopo essere riuscito a comprarsi la libertà e ad arricchire spremendo tutto quello che poteva essere ricavato da un servizio civile che funzionava soprattutto mediante la corruzione, Tondalo aveva trascorso un pomeriggio estremamente piacevole impegnato a bruciare l’intero archivio fino all’immaginario terreno su cui poggiava.

La tecnica aveva però continuato ad essere per lui estremamente preziosa, soprattutto dopo che si era per caso imbattuto in un modo di perfezionarla. Questo era successo circa un centinaio di anni prima, quando lui era impegnato a lavorare ad un problema particolarmente difficile della Corporazione Oscura, e cioè se assassinare o meno un determinato arconte. A mano a mano che le spie gli avevano portato informazioni in merito all’arconte e alla situazione nella sua città-stato, Tondalo le aveva archiviate in una stanza della sua memoria, perché erano cose decisamente troppo scandalose per poter essere messe in forma scritta. Ad un certo punto era tornato in quella stanza e aveva scoperto che determinati oggetti erano cambiati: la statua di un ragazzo nudo (che rappresentava il vero amore dell’arconte nella vita reale) teneva in mano una ciotola che il Vecchio non vi aveva posto e vicino al ragazzo c’era una donna in pianto. Spronato da quel cambiamento, Tondalo aveva improvvisamente visto la soluzione del problema: il ragazzo aveva messo del veleno nella ciotola e la donna in pianto era sua madre. A quel punto uno dei membri più presentabili della corporazione oscura aveva manipolato la mente della donna fino a renderla abbastanza furiosa da denunciare pubblicamente l’arconte per i suoi vizi, e dopo che la folla inferocita aveva finito con lui, la Corporazione Oscura non aveva più avuto bisogno di mandare nessun sicario.

Quella particolare serie di simboli era mutata soltanto grazie all’intuito: il Vecchio si era infatti reso perfettamente conto che come in un sogno la parte inconscia della sua mente aveva risolto il problema mentre la sfera cosciente guardava altrove… ma la cosa gli aveva dato un’idea. E se avesse creato una stanza speciale, magari addirittura un tempio, riempiendola di simboli carichi di dweomer? Quei simboli sarebbero forse mutati nell’essere toccati dalle maree del futuro e avrebbero rivelato i segreti del tempo a venire? Anche se gli ci erano voluti anni di lavoro, alla fine era riuscito ad attuare la sua idea.

Quel pomeriggio si sedette quindi sulla sedia ed evocò il suo tempio del Tempo. Dal momento che quella era un’operazione puramente mentale, il Vecchio era del tutto cosciente e si stava soltanto concentrando con un’intensità impossibile ad una mente non addestrata. L’edificio era una torre alta e quadrata, fatta di pietra bianca, che sorgeva su una collina. Un lato della collina era esposto in pieno alla luce del sole, l’altro alla luce della luna. Aggirata la struttura fino a portarsi sul lato rischiarato dalla luna, il Vecchio aprì una delle quattro porte che davano accesso al primo dei dodici piani della torre: ogni parete aveva sette finestre e al centro c’era una scala circolare di cinquanta gradini. Il Vecchio cominciò a salire, degnando appena di un’occhiata l’assortimento di oggetti presente in ciascuna stanza, fino ad arrivare al dodicesimo piano.

Là dove lui le aveva poste intorno alla scala c’erano le statue di quattro elfi, due maschi e due femmine, tutti con la schiena ai gradini come se stessero guardando dalla finestra, e più oltre c’era la statua di Rhodry, simile all’originale quanto più lo permettevano le descrizioni che il Vecchio aveva sentito, con la sola eccezione che era vestita interamente di rosso; ai suoi piedi giaceva il drago azzurro e argento di Aberwyn. Accanto a quella di Rhodry era posta una statua stilizzata che doveva rappresentare Jill, una graziosa ragazza bionda con una spada in mano, e dietro di essa c’era… non c’era nulla. Il Vecchio sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando si rese conto che l’immagine di Alastyr era completamente svanita, ma suppose che se lo sarebbe dovuto aspettare: questo dimostrava che il tempio era saldamente collegato alle forze più elevate. Tutt’intorno c’erano poi svariati simboli e oggetti, una statua di Nevyn, un arco elfico spezzato, parecchi membri del Popolo Fatato che reggevano oggetti che avevano corrispondenza con ricordi presenti nella mente del Vecchio, ma in un primo tempo lui ignorò ogni cosa e si avvicinò ad una delle finestre.

Fuori vorticava una strana foschia, e lui dovette calmare i propri nervi prima di sbirciare in essa. A volte strane creature venivano là, perché anche se il tempio era nato soltanto come costruzione mentale nel corso dei lunghi anni in cui lui vi aveva lavorato aveva cominciato ad acquisire anche una realtà astrale, come poteva fare qualsiasi immagine permeata di una forza sufficiente. In quel particolare giorno lui vide però soltanto la luce della luna che vorticava fra la nebbia, invece di indecifrabili immagini di eventi futuri, e anche se fece il giro di tutte le finestre esposte al lato notturno rimase sempre deluso. Mentre si girava verso le scale qualcosa attirò il suo sguardo e lo indusse a fermarsi ad esaminare la statua di Rhodry: c’era una differenza, qualcosa di minimo… il Vecchio continuò a scrutare la statua fino a scoprire di cosa si trattava. Minuscole rose di un candore estremo stavano crescendo intorno all’indice della mano sinistra di Rhodry, così perfette che le loro spine avevano fatto affiorare una goccia di sangue sul dito della statua. Perplesso, accennò a girarsi soltanto per arrestarsi di nuovo: le statue degli elfi stavano ridendo di lui.

All’improvviso si sentì assalire dal terrore nel sentire piccoli rumori e un frusciare vicino alle finestre, come se qualcosa stesse cercando di entrare. Mentre cominciava a scendere i gradini udì una lontana risata e una musica che aleggiava come un sussurro sulle ali del vento che aveva preso improvvisamente a soffiare intorno alla torre. In preda al panico, si lanciò a precipizio giù per la scala, balzando da un piano all’altro, fino a raggiungere infine il sicuro silenzio del piano più basso, dove le statue di arconti morti da tempo lo fissarono come se disapprovassero la sua premura poco dignitosa, e a quel punto si calmò. La torre era soltanto un’immagine mentale da lui costruita e del tutto irreale, ed era stato uno stupido a cedere a quell’inesplicabile paura: tutto quello che doveva fare era aprire gli occhi, e il tempio sarebbe scomparso nella sua memoria. Nonostante tutto, si chiese però quanto esso fosse diventato reale e se per caso avrebbe potuto trovarlo sul piano astrale… così com’era o in qualche versione strana e distorta… se fosse andato a controllare. Per un momento ebbe paura di aprire gli occhi, per timore di trovarsi intrappolato nella visione, poi si costrinse ad uscire da una delle porte sul lato soleggiato, a guardare la collina inesistente… e ad aprire gli occhi.

Intorno a lui apparve la stanza familiare, la sua scrivania cosparsa di pergamene, il pavimento di piastrelle, la finestra aperta. Con un sospiro che era quasi un ansito di sollievo si alzò sulle gambe tremanti e suonò il gong per chiamare un servitore. Uno dei suoi schiavi ben addestrati apparve quasi immediatamente.

— Portami del vino fresco… bianco, ma non uno delle annate migliori.

Lo schiavo chinò la testa e si affrettò a lasciare la stanza, mentre il Vecchio tornava alla sua sedia e vi si lasciava cadere pesantemente, imprecando dentro di sé contro Rhodry Maelwaedd e contro tutto il suo clan. Si ricordò poi che Rhodry costituiva una fonte secondaria d’irritazione se paragonato al Maestro dell’Aethyr: era Nevyn che aveva distrutto Alastyr, che aveva intrappolato il suo apprendista, Nevyn che si ergeva come il muro di una fortezza fra lui e la sua meta ultima, cioè quella di suscitare fra gli uomini di Deverry e gli Elcyion Lacar tanto odio e sospetto da far scoppiare una guerra. Alla fine, gli uomini di Deverry avrebbero vinto, perché gli Elcyion Lacar erano pochi e avevano pochi figli, mentre gli umani si riproducevano come conigli. Se la guerra si fosse protratta a lungo il mondo sarebbe stato liberato dalla presenza degli elfi.

Non che il Vecchio odiasse gli elfi nel senso emotivo del termine: essi gli erano semplicemente d’intralcio a causa del loro istintivo onore e della loro affinità con il dweomer della luce, e non aveva bisogno di oscure predizioni per sapere che se mai il loro dweomer si fosse unito a quello di Deverry fino a formare un unico ampio fronte la Confraternita Oscura avrebbe avuto i giorni contati. E lui non aveva nessuna intenzione di lasciare che questo accadesse. Il clan dei Maelwaedd e in particolare Rhodry erano contrassegnati dai presagi come il fattore che avrebbe portato alla riconciliazione fra gli elfi e gli umani in un modo contorto che il Vecchio non riusciva ad immaginare, e di conseguenza anche il clan e Rhodry avrebbero dovuto morire. Mentre il Vecchio meditava sorteggiando il suo vino, la sua semplice irritazione iniziale per il fatto che Rhodry avesse rovinato i suoi piani si trasformò in qualcosa di simile all’odio, e la sua ira crebbe fino a riversarsi sul clan del giovane e soprattutto sul suo protettore, lo stesso Nevyn. Il Vecchio rifletté a lungo e alla fine gettò i semi di un piano. Ogni membro della Confraternita Oscura era minacciato dagli eventi di quell’estate, e senza dubbio lui avrebbe potuto indire una riunione del consiglio e convincere gli altri ad unire le forze per spazzare via quella minaccia. Avrebbero dovuto elaborare i loro piani con cura, lavorare con lentezza e nascondere il loro dweomer fino alla fine, ma se tutto fosse andato bene avrebbero vinto.

— Oh, sì — disse ad alta voce. — Il Maestro dell’Aethyr deve morire.

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