INTERLUDIO PRIMAVERA, 1063

Un cacciatore che pone trappole farà bene a guardare dove mette i piedi.

Antico proverbio di Deverry


In tutto il vasto regno di Deverry c’erano soltanto due città che gli Elcyion Lacar visitassero di tanto in tanto, Cernmetyn e Dun Gwerbyn, e quelle visite erano molto rare. La gente di entrambi i posti aveva una strana reazione ogni volta che qualcuno del Popolo le passava davanti: con una sorta di inconsapevole cospirazione si rifiutava semplicemente di ammettere quanto gli elfi fossero diversi dagli umani. Qualsiasi bambino che chiedeva il perché della forma dei loro orecchi si sentiva rispondere che quella selvaggia tribù modellava, tagliandoli, gli orecchi dei neonati, e se il bambino si mostrava troppo curioso, indicando gli strani occhi da gatto degli elfi, gli veniva invariabilmente detto di tenere a freno la lingua se non voleva che anche i suoi orecchi venissero tagliati. Gli adulti, però, trovavano difficile guardare un elfo negli occhi, ed era per questo motivo che il Popolo considerava gli umani creature infide e indegne di fiducia.

Di conseguenza, Devaberiel non rimase sorpreso quando le guardie di stanza alle porte di Dun Gwerbyn dapprima lo fissarono in volto e poi si affrettarono a spostare lo sguardo sul gruppetto che si snodava dietro di lui, costituito da Jennantar, da Calonderiel, da due cavalli da soma che trascinavano dei travois e infine da una fila di dodici cavalli senza sella.

— Sei venuto per venderli? — domandò una delle guardie. — Se è così ci sono delle tasse da pagare.

— Non devo venderli. Li sto portando come tributo alla tieryn.

La guardia annuì solennemente, perché era risaputo che di tanto in tanto il Popolo dell’Ovest, come gli elfi erano abitualmente chiamati dalla gente di Eldidd, rinunciava a qualcuno dei suoi splendidi cavalli per garantirsi l’amicizia dei tieryn di Dun Gwerbyn e di Cernmetyn.

Anche se erano già venuti altre volte in Eldidd, Jennantar e Calonderiel non erano mai stati all’interno della città, e Devaberiel notò l’espressione di disprezzo con cui entrambi guardavano le case ravvicinate e i vicoli sporchi lungo i quali stavano sospingendo i cavalli; lo stesso Devaberiel avvertiva un vago disagio per il modo in cui le costruzioni erano addossate le une alle altre… in una città di umani era impossibile avere una visuale sgombra, da qualsiasi parte si guardasse.

— Non ci fermeremo qui a lungo, vero? — borbottò Calonderiel.

— Non molto, e se preferite voi due potrete comunque partire subito dopo che avremo lasciato i cavalli alla fortezza.

— Oh, no. Voglio rivedere Rhodry, ed anche Cullyn.

Il caso volle che Cullyn fosse proprio la prima persona che incontrarono, perché si trovava davanti alle porte spalancate della fortezza quando loro risalirono ansando la collina su cui essa sorgeva, e venne loro incontro con un grido di saluto.

Pur avendo sentito parlare parecchio dell’uomo che era considerato il miglior spadaccino di tutto Deverry, Devaberiel non era però preparato all’impatto visivo che la sua figura offriva: alto più di un metro e ottanta, Cullyn era ampio di spalle e muscoloso, con la guancia sinistra segnata da una vecchia cicatrice ed occhi azzurri che non facevano nulla per dissolvere la cupa impressione generale, perché erano duri e freddi quanto una tempesta invernale, anche adesso che lui stava sorridendo nello stringere la mano a Calonderiel.

— Questo è davvero un dono degli dèi — osservò Cullyn. — Mi rallegra vedervi di nuovo.

— E a me fa piacere rivedere te — replicò il capo guerriero. — Abbiamo portato un tributo a Lady Lovyan e al giovane Rhodry.

— Ecco… la mia signora sarà lieta di riceverlo — replicò Cullyn, i cui occhi si erano fatti ancora più cupi. — Rhodry però non è qui, perché il Gwerbret Rhys di Aberwyn lo ha mandato in esilio Io scorso autunno.

— Cosa? — esclamarono all’unisono i tre elfi.

— Proprio così. Ma ora venite con me, vi racconterò tutto mentre beviamo un boccale offerto dall’ospitalità della tieryn.

Mentre i quattro sospingevano i cavalli su per la collina, Devaberiel ebbe la sensazione di aver appena incassato un calcio nello stomaco.

— Cullyn? — chiamò. — Dov’è Rhodry, adesso?

— Sulla lunga strada, come daga d’argento. Sai cosa questo significhi, vero?

— Sì. Oh, dèi, significa che potrebbe essere dovunque in tutto questo dannato regno!

Quando entrarono nel cortile servi e stallieri sopraggiunsero di corsa, con esclamazioni di apprezzamento per i cavalli: quelli allevati dagli elfi, che in Deverry venivano chiamati corsieri occidentali, erano alti da sedici a diciotto palmi, con il torace ampio e la testa ben modellata. Anche se di solito erano grigi, pezzati o roani, alcuni di essi avevano un intenso colore dorato ed erano fra i più pregiati. Devaberiel aveva portato con sé una giumenta dorata perché suo figlio potesse usarla per la riproduzione ma adesso era tentato di riportarla a casa.

Suvvia, disse però a se stesso, in fin dei conti devo qualcosa a Lovva per avermi dato un figlio.

A quanto pareva, le grida e la confusione che regnavano nel cortile avevano destato la curiosità di Lovyan, perché in quel momento la dama uscì dalla rocca interna e si avvicinò con passo tranquillo. Abbigliata con un vestito di rossa seta del Bardek, intorno al quale era avvolto in vita il plaid bianco, rosso e marrone del suo clan, Lovyan aveva ancora il passo leggero di una ragazza, ma quando poté vederla meglio Devaberiel sentì il cuore che gli si stringeva per la seconda volta in quella giornata, perché Lovyan stava invecchiando e adesso il suo volto era segnato di rughe, i suoi capelli neri erano striati di grigio.

Lovyan lanciò un’occhiata nella sua direzione, s’irrigidì e subito dopo tornò a guardarlo con assoluta indifferenza, come se non si fossero mai conosciuti. Devaberiel avvertì un profondo dolore per lei, e imprecò contro la propria stupidità che lo aveva indotto a recarsi là: Lovyan era invecchiata, mentre lui aveva ancora l’aspetto di un ragazzo di vent’anni. Quella fu una delle rare volte della sua vita in cui il bardo si venne a trovare a corto di parole.

— Mia signora Lovyan, tieryn di Dun Gwerbyn — disse invece Calonderiel, con un inchino, — siamo venuti a portare un tributo al tuo potere e al tuo dominio.

— Vi ringrazio, buoni signori. Sono davvero compiaciuta di ricevere un dono tanto splendido. Venite a godere dell’ospitalità della mia sala.

Dal momento che non aveva vie d’uscita, Devaberiel seguì gli altri. Come favore personale nei suoi confronti, Lovyan permise a Cullyn di sedere al tavolo d’onore insieme agli ospiti, e una volta che i servi ebbero portato il sidro il capitano raccontò nei dettagli la storia dell’esilio di Rhodry. Jennantar e Calonderiel lo interruppero di continuo per porre domande, ma Devaberiel trovò addirittura difficile seguire il filo della vicenda, perché continuava a imprecare interiormente contro se stesso per essere venuto lì e aver causato tanto dolore a se stesso e alla donna che un tempo aveva amato. Quando il racconto di Cullyn si concluse seguì un momento di silenzio, e mentre gli altri bevevano Devaberiel si arrischiò a lanciare un’altra occhiata in direzione di Lovyan, soltanto per scoprire che lei lo stava fissando. Quando i loro sguardi s’incontrarono il controllo di lei venne meno per un momento e i suoi occhi apparvero così tormentati, la sua bocca così tesa, che Devaberiel temette una crisi di pianto. Poi Lovyan distolse lo sguardo e il momento passò.

— Buoni signori del Popolo dell’Ovest — disse la tieryn, — desiderate fermarvi per qualche tempo nella mia fortezza?

— Ringrazio umilmente Vostra Grazia per l’onore che ci fa — rispose Devaberiel, — ma il mio popolo è abituato a vagare attraverso praterie e foreste e ci mette a disagio trovarci all’interno di mura di pietra. Vostra Grazia sarebbe molto contrariata se per questa notte ci accampassimo all’esterno della città, per poi rimetterci in viaggio domani?

— Come potrei rifiutare un favore a uomini che mi hanno appena portato un dono così splendido? Appena tre chilometri a nord di qui ho una riserva di caccia: vi darò un messaggio per il mio guardaboschi e vi potrete accampare li per tutto il tempo che vorrete.

Il suo sguardo lo ringraziò tacitamente per il fatto che aveva deciso di andarsene.

Mentre i servi portavano i cavalli da soma e le cavalcature degli elfi, Devaberiel e Lovyan ebbero però l’occasione di scambiare qualche parola in privato. Allorché Cullyn e gli altri due elfi si soffermarono sui gradini della fortezza per conversare fra loro nei toni gravi degli antichi compagni d’armi, Lovyan segnalò infatti al bardo di seguirla a qualche passo di distanza.

— Sei venuto qui soltanto per portarmi quei cavalli? — gli chiese.

— No, ero venuto per vedere nostro figlio.

— Allora sai la verità?

— Sì. Lovva, per favore, perdonami… non sarei mai dovuto venire e giuro che non mi rivedrai mai più.

— Sarebbe una cosa saggia. Spero ti renda conto che Rhodry non dovrà mai sapere la verità.

— È ovvio. Volevo soltanto dare un’occhiata al ragazzo.

Un fugace sorriso affiorò sulle labbra di Lovyan.

— Ti somiglia molto, ma ha i capelli corvini di Eldidd. Il nostro Rhodry è un ragazzo avvenente.

Devaberiel le prese la mano e la strinse per un istante, lasciandola andare prima che qualcuno potesse notare il gesto.

— Mi chiedo se riuscirò mai a vederlo — disse quindi. — Non oso spingermi più ad est di così, perché nel resto del regno non hanno ancora imparato ad ignorare i nostri occhi e i nostri orecchi.

— È vero. Sai, avevo sempre sentito dire che la vostra era una razza che viveva a lungo, ma non mi ero resa conto che rimaneste tanto giovani — osservò Lovyan, con un nodo alla gola. — Oppure le antiche leggende sono vere e voi vivete in eterno?

— Non in eterno, ma per un tempo dannatamente lungo. E invecchiamo, ma soltanto quando si avvicina la morte. È così che sappiamo che è arrivato il momento dell’ultimo viaggio.

— Davvero? — Lovyan distolse lo sguardo e in un gesto inconscio si toccò le rughe che le segnavano le guance. — Allora forse noi abbiamo la sorte migliore, perché anche se invecchiamo presto non siamo oppressi dalla conoscenza del momento in cui moriremo.

Devaberiel sospirò, ricordando il proprio dolore quando i capelli di suo padre avevano cominciato a tingersi di bianco e il suo vigore fisico a svanire.

— In vero — replicò, — può darsi che siate voi i più fortunati.

Poi si allontanò in fretta perché sentiva in gola il nodo del pianto.

Quando lasciarono la fortezza, non disse una sola parola agli altri, che lo lasciarono al suo silenzio per tutto il tragitto fino alla riserva di caccia. Là il guardaboschi di Lovyan li accompagnò in un’aperta valletta solcata da un ruscello e piena di erba per i cavalli, e dopo aver commentato che quell’anno i daini abbondavano si affrettò ad andarsene per non passare altro tempo con il Popolo dell’Ovest. Rimasti soli i tre montarono la tenda rossa, impastoiarono i cavalli e raccolsero un po’ di legna da aggiungere alla loro scorta di sterco secco per il fuoco. Dal momento che Devaberiel continuava a rimanere in silenzio, ad un certo punto Calonderiel non riuscì più a sopportare il suo atteggiamento.

— Venire qui è stata davvero una cosa stupida — commentò.

— Il capo guerriero è universalmente noto per il suo tatto — scattò Devaberiel. — Per il Sole Oscuro, perché devi versare fiele nel boccale di un uomo assetato?

— Ecco, mi dispiace, ma…

— Stai dimenticando l’anello d’argento — intervenne Jennantar. — Il dweomer ha detto che deve essere consegnato a Rhodry.

— Questo è vero — ammise Calonderiel, — quindi suppongo che Dev abbia qualche giustificazione.

Ringhiando fra sé, Devaberiel andò a prelevare un otre di sidro dal travois e Jennantar lo seguì, accoccolandosi a terra accanto a lui.

— Non prendere sul serio tutto quello che Cal dice. Lui è fatto così.

— Sono dannatamente contento di non fare parte di uno dei suoi squadroni.

— Ci vuole un po’ di tempo per abituarsi al suo modo di fare. Quello che mi chiedo è però come farai per far avere quell’anello al tuo ragazzo. Hai qualche idea in proposito?

— Ci stavo pensando mentre venivamo qui. Sai, ho un altro figlio che ha per madre una donna di Deverry e che somiglia più alla razza materna che alla nostra.

— Ma certo… Ebay — convenne Jennantar, con espressione però preoccupata. — Possiamo però fidarci di lui al punto di consegnargli l’anello?

— So cosa stai pensando e… sì, ho i miei dubbi in proposito. Dèi, è proprio un ragazzo selvatico! Forse non avrei mai dovuto toglierlo a sua madre, ma quella povera ragazza non era in grado di mantenere un figlio e suo padre era livido di rabbia per il fatto che lei ne avesse avuto uno. A volte non riesco proprio a capire questi uomini di Deverry: non si devono prendere cura loro dei neonati, giusto, quindi che importava a quel tizio se sua figlia ne aveva avuto uno? In ogni caso, se ricorressi alla mia autorità di padre per ordinare ad Ebay di portare l’anello a suo fratello lui senza dubbio lo farebbe. È proprio il genere di selvaggia avventura che piace a lui.

— Sai dove si trova?

— No, ed è questo il vero problema, giusto? Con quel ragazzo non si può mai sapere. Dovrò semplicemente far circolare la voce che voglio vederlo e sperare che lui ne venga informato.


A quell’epoca la città di Cerrmor era cresciuta fino a contare circa centoventimila abitanti, e non soltanto si allargava lungo il fiume, ma contava anche parecchie splendide case che i ricchi mercanti avevano fatto costruire sulle colline sovrastanti, lontano dal chiasso e dalla sporcizia delle vie cittadine. La fortezza in cui un tempo Glyn aveva regnato era stata distrutta circa cento anni prima e al suo posto ne era stata edificata una nuova e ancora più grande per i gwerbret di Cerrmor.

Vicino al fiume, tuttavia, si allargava una sezione dell’abitato che non aveva nulla di splendido: bordelli, locande da poco prezzo e taverne sorgevano gli uni accanto agli altri in un labirinto di strade tortuose e di vicoli in cui i cittadini per bene non si addentravano mai, con la sola eccezione delle guardie del gwerbret, che vi si recavano più spesso di quanto gli abitanti avrebbero voluto. Quel quartiere era chiamato la Sentina.

Ogni volta che si recava nella Sentina, Sarcyn camminava sempre in fretta, con lo sguardo in continuo movimento e la propria aura talmente serrata intorno a sé che il dweomer rendeva estremamente difficile accorgersi di lui. Non era davvero invisibile… chiunque avesse puntato dritto verso di lui lo avrebbe visto… ma piuttosto non attirava l’attenzione, soprattutto se si teneva rasente ai muri o nelle zone d’ombra. In quel particolare pomeriggio il cielo era coperto e più di una persona andò a sbattergli contro nel passargli accanto, inconsapevole di dividere la strada con qualcun altro; nonostante quelle precauzioni, Sarcyn tenne però sempre la mano sull’elsa della spada.

Le vie cominciavano ad affollarsi in virtù dell’ora tarda: marinai con la paga da spendere si aggiravano senza una meta precisa per le strade, i venditori ambulanti offrivano cibo a poco prezzo e chincaglierie ancor meno costose, e c’erano già in circolazione alcune prostitute, del genere battezzato «acciottolato», perché il solo posto che avevano dove portare gli eventuali clienti era un vicolo buio. Qua e là Sarcyn vide gruppetti di marinai del Bardek, riconoscibili dal volto bruno decorato con disegni ordinati e dai capelli scuri che erano stati oliati in previsione di quella notte di libera uscita. Una volta, sei guardie lo oltrepassarono in formazione serrata e con i randelli pronti, e Sarcyn s’infilò subito in un vicolo, restando nascosto fino a quando non furono passate per poi riprendere il cammino con passo veloce nel labirinto di strade e di vicoli. Anche se era rimasto a lungo lontano da Cerrmor conosceva bene la Sentina, perché era nato là.

Finalmente raggiunse la sua destinazione, una tonda casa di pietra a tre piani con il tetto coperto da paglia cambiata di fresco e con le pareti ordinatamente imbiancate: Gwenca si poteva permettere di mantenere il proprio bordello in buone condizioni perché aveva clienti che appartenevano ad una classe migliore rispetto ai semplici marinai. Soffermandosi davanti alla porta, Sarcyn liberò la propria aura ed entrò quindi nella taverna che occupava il piano terra. Disposti intorno alla scala a chiocciola centrale c’erano alcuni tavoli di legno e un fuoco di torba ardeva nel grande camino per riscaldare l’ambiente, perché le giovani donne sedute sulle panche coperte da cuscini erano nude oppure coperte appena da trasparenti tuniche di velo del Bardek. Una ragazza che indossava soltanto una pezza di seta nera legata intorno ai fianchi si affrettò ad avvicinarsi al nuovo venuto; i suoi occhi erano truccati con khol del Bardek e i suoi lunghi capelli biondi profumavano di rose.

— Era da molto tempo che non ti vedevamo, Sarco — disse. — Ne hai?

— Sì, ma sarà la tua padrona a distribuirla. Dov’è Gwenca?

— In cantina, ma non me ne potresti dare appena un poco adesso? Se lo farai, potrai venire a pescare nel mio secchio.

— Non ti darò nulla fino a quando non me lo dirà la tua padrona.

Intanto il taverniere aveva spostato due botti di birra dalla curva della parete, sollevando una botola che sembrava dare accesso ad una normale cantina. In basso c’erano una profusione di botti di sidro e di birra, e file di prosciutti pendevano dal soffitto insieme a reti piene di cipolle… ma sul lato opposto alla botola c’era una porta. Quando Sarcyn bussò ad essa, una sepolcrale e ringhiante voce femminile rispose chiedendo di chi si trattava.

— Sono Sarcyn, di ritorno dal Bardek.

A quelle parole la porta si aprì e Gwenca apparve sulla soglia con un sorriso. Prossima alla cinquantina, Gwenca era una donna robusta con i capelli tinti e gli occhi castani circondati da una ragnatela di rughe e di borse. Ad ogni dito sfoggiava un anello adorno di gemme e intorno al collo portava una catena da cui pendeva un amuleto azzurro e argento che avrebbe dovuto proteggerla dal malocchio. Notandolo, Sarcyn sorrise interiormente, divertito dal fatto che Gwenca lo conosceva soltanto come un corriere che le portava la droga e non aveva idea che lui fosse esattamente il tipo di uomo che poteva gettare il malocchio.

— Entra, bel ragazzo. Devo dedurre che hai qualcosa da offrirmi.

— Infatti, e si tratta di roba di buona qualità.

Le camere private di Gwenca erano soffocanti e opprimenti: anche se c’erano alcuni sbocchi per l’aria vicino al soffitto, nella stanza aleggiava un odore di profumo e di fumo d’oppio stantio, come se gli arazzi e i cuscini ne fossero stati impregnati. La donna sedette ad un tavolinetto coperto da un vetro decorato con vistose spirali blu e rosse e rimase a guardare mentre il visitatore si slacciava la cintura della spada, la posava a portata di mano su una sedia e si sfilava quindi la camicia da sopra la testa, rivelando un paio di piatte sacche di cuoio che gli pendevano intorno al collo come due piccole sacche da sella. Liberatosi dei sacchetti, Sarcyn li gettò sul tavolo davanti alla donna.

— Venticinque monete d’argento per barra. Quando li aprirai capirai il perché.

Gwenca aprì i sacchetti con dita avide e tirò fuori la prima barra, lunga circa otto centimetri e larga cinque, allargando la pergamena oleata che la rivestiva e fiutando il nero blocco d’oppio.

— Sembra buono — dichiarò infine, — ma non intendo aggiungere una sola parola fino a quando non ne avrò fumato un poco.

Sul tavolo era posata una candela accesa, accanto ad una lunga pipa di argilla bianca e ad un mucchietto di schegge di legno da usare come esca. La donna tagliò un pezzetto di oppio con il coltello da tavolo, lo sistemò nella pipa e lo accese, riscaldando dapprima la pipa sulla fiamma e lavorando poi con pazienza per far bruciare la droga appiccicosa. La prima boccata di fumo la fece tossire, ma lei continuò ad aspirare avidamente.

— È ottimo — confermò infine, fra una boccata di fumo e un altro colpo di tosse. — Che prezzo mi fai se ne compro dieci barre?

— Un regale d’oro di Deverry… in questo modo risparmi cinquanta monete d’argento.

Con riluttanza la donna posò la pipa e la lasciò spegnere.

— Un regale, allora. Affare fatto.

Mentre Sarcyn procedeva a contare le barre, Gwenca scomparve in un’altra stanza e tornò di lì a poco con la pesante moneta d’oro.

— Vuoi una delle ragazze, finché sei qui? — chiese, nel porgergli la moneta. — Gratis, naturalmente.

— No, grazie, ho altri affari da sbrigare.

— Torna stanotte, se vuoi. Oppure preferisci i ragazzi?

— A te che importa?

— Nulla, tranne che mi sembra uno spreco, considerato quanto sei attraente. Suvvia, ragazzo, perché non fai come qualcuno di quei mercanti del Bardek e getti i dadi con entrambe le mani? In quel modo loro riescono a divertirsi sempre e comunque.

— Vecchia, ti spingi troppo oltre — scandì Sarcyn, fissandola negli occhi.

Gwenca si ritrasse con un sussulto e prese a giocherellare con il suo amuleto mentre Sarcyn finiva di rivestirsi.

Nel lasciare la Sentina, Sarcyn si diresse a monte rispetto al fiume, tenendosi alla larga dalle vie principali quando questo era possibile; anche se aveva preso alloggio in una locanda in un’altra sezione povera della città al fine di evitare di dare nell’occhio, non voleva infatti rimanere più del necessario nelle vicinanze della Sentina, che per lui racchiudeva troppi dolorosi ricordi.

Sua madre era stata una prostituta di lusso in una casa molto simile a quella di Gwenca, e per capriccio aveva portato a termine due delle sue numerose gravidanze, generando così lo stesso Sarcyn e il suo fratello minore, Evy, a turno ignorandoli e viziandoli fino a quando era stata strangolata da un marinaio ubriaco, all’epoca in cui Sarcyn aveva sette anni ed Evy tre. Il proprietario del bordello aveva sbattuto i due bambini in strada, dove essi erano vissuti per mesi come mendicanti, dormendo sotto i carri o in una botte rotta, mendicando per ottenere qualche moneta di rame e lottando per impedire ai ragazzi più grandi di rubare loro il cibo.

Un giorno, poi, un mercante dagli abiti eleganti si era fermato a dare loro una moneta di rame e aveva voluto sapere perché stessero chiedendo l’elemosina; quando Sarcyn glielo aveva spiegato, il mercante aveva dato loro un’intera moneta d’argento, e quel giorno i due bambini avevano mangiato a sazietà per la prima volta da mesi. Naturalmente, da allora Sarcyn aveva sempre tenuto gli occhi aperti nella speranza di avvistare quell’uomo generoso, e ogni volta che lo incontravano Alastyr aveva dato loro altre monete, fermandosi anche un po’ a chiacchierare. Sebbene Sarcyn fosse stato un monello da strada prematuramente saggio, a poco a poco Alastyr era riuscito a conquistarsi la sua confidenza, e quando infine il mercante aveva offerto ad entrambi di andare a vivere con lui i bambini avevano pianto di gratitudine.

Per qualche tempo Alastyr li aveva trattati in modo gentile ma distante: avevano abiti eleganti, letti caldi, cibo a volontà, ma vedevano di rado il loro benefattore. Adesso, quando gli capitava di ripensare a quanto fosse stato felice allora, Sarcyn provava soltanto disgusto per la sua ingenua stupidità. Una notte, Alastyr era venuto nella sua camera e dapprima l’aveva blandito con promesse e carezze, poi lo aveva freddamente violentato.

Sarcyn rammentava ancora come era rimasto raggomitolato sul letto, piangendo di vergogna e di dolore… aveva pensato di fuggire, ma non aveva dove andare, a meno di tornare a vivere in strada fra il freddo e la sporcizia. Notte dopo notte aveva sopportato le visite del mercante, con l’unica consolazione che almeno Alastyr non mostrava nessun interesse nei confronti di suo fratello… in qualche modo, voleva che ad Evy fosse risparmiata quella vergogna.

Una volta che si erano trasferiti nel Bardek, però, Alastyr aveva cominciato a rivolgere le proprie attenzioni anche al ragazzo più giovane, soprattutto dopo che Sarcyn era giunto alla pubertà e aveva cominciato ad essere meno interessante, almeno come compagno di letto. L’anno in cui la voce di Sarcyn era cambiata, Alastyr aveva iniziato a servirsi di lui per il dweomer oscuro, costringendolo a evocare visioni sotto il controllo del suo maestro oppure ipnotizzandolo in maniera tale che poi lui non aveva la minima idea di cosa avesse fatto durante la trance.

In seguito, Alastyr aveva fatto lo stesso con Evy, ma a questo punto si era deciso ad offrire qualcosa in pagamento per l’uso che faceva di entrambi: li avrebbe istruiti nell’arte del dweomer oscuro. Tutti e due si erano avidamente aggrappati al dweomer, perché era tutto ciò che avevano per placare la sofferenza della loro condizione d’impotenza.

Naturalmente, non era in questi termini che Sarcyn giustificava la cosa con se stesso: ai suoi occhi, ciò che aveva fatto era stato sopportare le prime fasi di un duro apprendistato per potersi dimostrare degno del potere oscuro. Di conseguenza, entrambi erano ancora vincolati ad Alastyr, sebbene Sarcyn lo odiasse a tal punto che a volte sognava di ucciderlo… sogni lunghi e dettagliati. Quanto ad Evy, non aveva idea di quali fossero i suoi sentimenti al riguardo… era da molto tempo che non parlavano più di cose come i sentimenti… ma era certo che suo fratello fosse d’accordo con lui nel ritenere che fosse necessario sopportare Alastyr al fine di acquisire altro sapere. Adesso comunque sarebbe stato libero dalla sua presenza per tutti i giorni che avrebbe impiegato a vendere le sue merci, in quanto il maestro non si fermava mai troppo a Cerrmor, dove c’era un numero eccessivo di persone che avrebbero potuto riconoscerlo.

Il percorso che seguì per tornare alla locanda lo portò attraverso una delle molte piazze aperte della città. Anche se quello non era giorno di mercato, una folla di rispettabili dimensioni si era raccolta intorno ad una piattaforma improvvisata con alcune travi e botti di birra, sulla quale si trovava un uomo alto e snello con i capelli più chiari che Sarcyn avesse mai visto e con occhi grigi come il fumo. Dal momento che il giovane era molto attraente, con lineamenti quasi femminei, Sarcyn si fermò a guardare mentre lui estraeva con mosse elaborate una sciarpa rossa dalla manica della camicia, la gettava in aria e la faceva apparentemente scomparire in mezzo agli applausi dei presenti.

— Salute a voi, gentili cittadini. Io sono un saltimbanco, un menestrello girovago, un cantastorie che vende soltanto bugie, scherzi e giochi. In breve, sono un gerthddyn, venuto a condurvi per poche piacevoli ore nella terra che non è mai stata e che mai sarà. — Nel parlare il giovane fece riapparire la sciarpa, che poco dopo tornò a scomparire. — Sono originario di Eldidd e potete chiamarmi Salamander, perché il mio vero nome è tanto lungo che non lo ricordereste mai.

Ridendo, la gente gli gettò qualche moneta di rame. Sarcyn, dal canto suo, prese in considerazione l’idea di continuare alla volta della locanda, perché quel genere di sciocchezze non avevano nulla da offrire ad un uomo come lui, che conosceva la vera oscurità del mondo; il gerthddyn era però molto attraente e forse avrebbe acconsentito a farsi offrire un boccale di birra dopo lo spettacolo. Un momento più tardi, il giovane dimostrò di essere anche un eccellente cantastorie, lanciandosi nella narrazione di una storia relativa a Re Bran e ad un potente mago dell’Alba dei Tempi mentre la folla lo ascoltava affascinata. Nel portare avanti la narrazione, il gerthddyn recitò tutte le singole parti, rendendo la voce melodiosa nel rappresentare una bella fanciulla, assumendo un tono ringhiante per il mago malvagio e tonante per il possente re. Di tanto in tanto, intonò anche qualche canzone connessa alla storia, eseguendola con una vibrante voce tenorile. Giunto a metà della narrazione, però, il giovane s’interruppe fingendosi sfinito, e subito una pioggia di monete cadde sul palco improvvisato per rinvigorire il suo spirito stanco.

Pur sentendosi stupido per questo, Sarcyn godette di ogni istante della narrazione, divertito per ragioni che non erano soltanto quelle più ovvie. Ogni volta che la folla rabbrividiva di tranquillo timore di fronte alle orribili imprese attribuite al mago malvagio, Sarcyn rideva dentro di sé, perché tutte quelle stragi inutili e quei piani ridicoli e complessi per fare del male alla gente non esìstevano nel dweomer oscuro. Mai, neppure una volta, il narratore accennò al vero nucleo di tutto: il dominio. Prima un uomo dominava se stesso fino a divenire freddo e duro come una sbarra di ferro, poi si serviva di quell’anima d’acciaio per strappare ciò che voleva agli artigli di un mondo ostile. Certo, a volte alcune persone morivano o finivano distrutte psicologicamente, ma si trattava sempre di deboli che meritavano la loro sorte e la loro sofferenza era una cosa secondaria, non lo scopo ultimo.

Finalmente il gerthddyn giunse alla conclusione della storia, e la sfumatura rauca nella sua voce mostrò con chiarezza perché non intendesse raccontarne una seconda, nonostante le suppliche della gente. Mentre la folla si disperdeva, Sarcyn si avvicinò al cantastorie e gli mise in mano una moneta d’argento.

— È stata la storia meglio narrata che abbia mai sentito — affermò. — Posso offrirti un boccale di birra? Hai di certo bisogno di qualcosa che ti rinfreschi la gola.

— Infatti — replicò Salamander, studiandolo per un momento prima di esibire un accenno di sorriso. — Purtroppo, però, non posso accettare la tua generosa offerta, perché ho qui in città una ragazza che proprio ora mi sta aspettando.

L’accento posto sulla parola «ragazza» era intenso quanto bastava per trasmettere il tacito messaggio senza scivolare nella scortesia.

— D’accordo — ribatté Sarcyn. — Allora ti saluto.

Mentre si allontanava, si sentì però più turbato che deluso: quel gerthddyn aveva occhi insolitamente acuti, oppure lui aveva tradito il proprio interesse più di quanto fosse sua intenzione fare. Alla fine, giunse alla conclusione che un uomo che si guadagnava da vivere vagando lungo le strade doveva aver visto e sentito abbastanza da saper riconoscere una proposta quando gli veniva rivolta. Sul limitare della piazza, tuttavia, si fermò per lanciare un’ultima occhiata all’avvenente gerthddyn e lo vide allontanarsi seguito da una folla di esseri del Popolo Fatato. La cosa lo indusse a immobilizzarsi dov’era: anche se Salamander sembrava inconsapevole dei suoi strani compagni, l’interesse che essi manifestavano nei suoi confronti poteva benissimo significare che lui possedeva il dweomer della luce.

Sei stato dannatamente fortunato che abbia rifiutato quella birra disse a se stesso, poi si affrettò a rientrare alla locanda, decidendo che avrebbe dovuto fare il modo che il gerthddyn non avesse più modo di vederlo per il resto della sua permanenza a Cerrmor.


Il giorno successivo le nubi si dissiparono e un intenso sole primaverile sorse splendente sul porto. Mentre sostava sul ponte di poppa della mercantile del Bardek di cui era capitano e proprietario, Elaeno si chiese come facessero quei barbari a tollerare di indossare calzoni di lana con un simile clima. Lui stesso portava una semplice tunica di lino e sandali, ma anche così il calore era umido e opprimente, mentre nella sua isola natale di Orystinna le giornate estive erano più secche e più facili da sopportare.

Sotto di lui, sul ponte principale, una squadra di scaricatori del porto di Cerrmor lavorava nuda fino alla cintola, e poco lontano Masupo, il mercante che aveva affittato la nave per quel viaggio, stava controllando lo sbarco di ogni botte e di ogni cassa, alcune delle quali contenevano fini oggetti di vetro fabbricati appositamente per essere venduti alla nobiltà di quei barbari.

— Signore! — chiamò il primo nostromo. — Gli ufficiali della dogana ti vogliono parlare.

— Arrivo subito.

Sul molo di legno erano in attesa tre uomini di Deverry, tutti biondi e azzurri di occhi e quindi difficili da distinguere come succedeva sempre con tutti quei barbari di Cerrmor. All’avvicinarsi di Elaeno i tre parvero sorpresi, poi assunsero in fretta un’espressione di cortesia, ma del resto Elaeno era abituato a quel genere di reazioni, che la sua figura provocava anche nelle isole che gli uomini di Deverry riunivano sotto il nome di Bardek. Come molti uomini della sua terra natale, infatti, Elaeno era alto circa due metri, aveva una corporatura robusta e una pelle di un nero tanto intenso da tendere all’azzurro, e non di una delle più comuni e svariate tonalità marrone che si vedevano di solito. Gli Orystinniani erano orgogliosi della loro diversità dalla gente del Bardek, che fino ad una recente guerra combattuta per mare era stata solita razziare le loro terre per catturare schiavi.

— Buon giorno, capitano — lo salutò uno dei barbari. — Io sono Lord Merryn, capo della dogana in nome di Sua Grazia il Gwerbret Ladoic di Cerrmor.

— Buon giorno a te, mio signore. In cosa ti posso servire?

— Ho bisogno del permesso di perquisire la tua nave dopo che il carico sarà stato rimosso. Mi rendo conto che è una cosa alquanto antipatica da chiedere, ma di recente abbiamo avuto un brutto problema con il contrabbando di merci di un certo tipo. Se lo desideri, possiamo esentare la tua nave dalla perquisizione, ma in quel caso né tu né i tuoi uomini potrete scendere a terra.

— Non trovo nulla da ridire al riguardo. Sono pronto a scommettere che le merci a cui alludi sono oppio e veleni, ed io non voglio avere nulla a che fare con quello sporco commercio.

— Benissimo, allora ti ringrazio. È anche mio dovere avvertirti che nel caso tu abbia schiavi a bordo noi non daremo loro la caccia per te nel caso dovessero fuggire.

— La gente della mia isola non possiede schiavi — ribatté Elaeno, poi avvertì il tono ringhiante della propria voce e si sforzò di correggerlo, aggiungendo: — Chiedo scusa, mio signore, ma questo è per noi un argomento delicato, anche se naturalmente tu non potevi saperlo.

— Infatti lo ignoravo. Ti chiedo scusa, capitano.

Gli altri due ufficiali avevano un’espressione profondamente imbarazzata, e nel notarlo Elaeno si sentì a sua volta a disagio, pensando che quando non si controllava anche lui, come quei barbari, commetteva spesso l’errore di ritenere che gli stranieri fossero tutti uguali.

— Mi devo complimentare con te per la padronanza con cui parli la nostra lingua — aggiunse Merryn, dopo un momento.

— Ti ringrazio. L’ho appresa da bambino, quando la mia famiglia ha preso come pensionante un uomo di Deverry, un erborista venuto a studiare l’arte dei nostri medici. Dal momento che gestiamo una ditta mercantile, mio padre voleva che i suoi figli parlassero bene la lingua di Deverry, e il vecchio ha pagato il suo mantenimento impartendoci delle lezioni.

— Capisco. Sembra che sia stato un buon affare.

— Infatti — convenne Elaeno, pensando che si era trattato di un affare migliore di quanto quelle guardie potessero mai immaginare.

Una volta ultimata l’operazione di scarico delle merci sul molo, una squadra di uomini della dogana le passò al vaglio e discusse con Masupo in merito alle tasse da pagare, mentre una seconda squadra perquisiva ogni centimetro della nave. Nel frattempo, Elaeno si portò a poppa e si appoggiò comodamente alla murata, osservando il sole che scintillava sul mare tranquillo: dal momento che l’acqua era l’elemento che gli riusciva più congeniale, contattò con facilità la mente di Nevyn e udì subito il suo pensiero di risposta in cui il vecchio avvertiva che gli ci sarebbe voluto qualche istante per trovare uno strumento di focalizzazione. Ben presto l’immagine del volto di Nevyn apparve comunque sulla superficie del mare.

— E così sei in Deverry, giusto? — esordì Nevyn.

— Infatti, sono a Cerrmor e probabilmente rimarrò in porto per una quindicina di giorni.

— Splendido. Io sono attualmente in viaggio verso Cerrmor e arriverò probabilmente entro un paio di giorni. Hai ricevuto la mia lettera prima di partire?

— Sì, e le notizie che conteneva erano davvero cupe. Ho posto domande in parecchi porti ed ho informazioni per te.

— Ottimo, ma non riferirmele ora, perché qualcuno potrebbe essere in ascolto.

— Davvero? Allora ci vedremo quando arriverai in città. Finché resteremo in porto io alloggerò a bordo.

— D’accordo. Oh, senti, Salamander è a Cerrmor. Alloggia in una locanda chiamata il Pappagallo Azzurro… un nome adeguato.

— La Gazza Ciarliera sarebbe andata ancora meglio. Oh, dèi, è difficile credere che quel ragazzo possegga il vero dweomer.

— Che altro ti aspettavi dal figlio di un bardo elfico? Ma il nostro Ebay ha la sua utilità, selvaggio o meno che sia.

L’immagine di Nevyn si dissolse ed Elaeno prese a passeggiare avanti e indietro con le mani serrate dietro la schiena: se Nevyn aveva paura che potessero essere spiati, allora la situazione era davvero grave. Come sempre, il pensiero del dweomer oscuro destò in lui un senso d’ira… sarebbe stato davvero soddisfacente riuscire prima o poi a serrare le sue grosse mani intorno al collo di uno di quei maestri oscuri, ma naturalmente era meglio usare armi meno evidenti e più efficaci.


Appena tre giorni più tardi, Sarcyn stava oziando davanti ad una taverna al limitare estremo della zona della Sentina; tenendo la propria aura avvolta strettamente intorno a sé, se ne stava appoggiato contro l’edificio in attesa del corriere. Sarcyn non rivelava mai dove alloggiasse in Cerrmor agli svariati uomini che contrabbandavano per lui droghe e veleni in Deverry: tutti sapevano che potevano trovarlo lì, dopodiché Sarcyn li accompagnava in un posto tranquillo dove concludere con calma la transazione.

Alcuni minuti più tardi scorse la robusta figura di Dryn che si dirigeva verso di lui lungo la strada angusta, e stava per liberare la propria aura e rivelarsi quando sei guardie cittadine sbucarono da un vicolo e circondarono improvvisamente il mercante.

— Fermo! — ingiunse una di esse. — Nel nome del gwerbret!

— Cosa significa, buone guardie? — domandò Dryn, cercando di esibire un sorriso.

— Lo scoprirai venendo con noi.

Sarcyn non aspettò di sentire altro e si affrettò ad aggirare la taverna per poi allontanarsi in fretta… ma non a tal punto da attirare un’eccessiva attenzione… attraverso il labirinto di vicoli della Sentina. Il suo percorso si snodò lungo vicoli, fra edifici, oltre la porta principale del locale di Gwenca e fuori da quella posteriore, descrivendo giri e svolte fino a portarlo fuori della Sentina dalla parte settentrionale della città, da dove fece ritorno alla sua locanda. Non aveva il minimo dubbio che Dryn avrebbe confessato tutto quello che sapeva nel tentativo di salvare la pelle, ma molto tempo prima che le guardie fossero riuscite ad estorcere al mercante il suo nome e la sua descrizione lui stava già oltrepassando le porte cittadine, dirigendosi a nord e verso la salvezza.

Il Gwerbret Ladoic stava tenendo un’udienza formale nella sua sala di giustizia. Il gwerbret sedeva sotto la bandiera con lo stemma della nave che rappresentava il suo rhan, con la spada d’oro da cerimonia posata davanti a sé su un lucido tavolo d’ebano. Ai suoi lati sedevano i sacerdoti di Bel, mentre i testimoni erano in piedi sulla destra: Lord Merryn, tre guardie cittadine, Nevyn ed Elaeno. Gli accusati, il mercante di spezie Dryn ed Edycl, il capitano del mercantile Stella Lucente, erano invece in ginocchio davanti al gwerbret.

Appoggiandosi allo schienale della sedia, questi si massaggiò il mento con aria pensosa mentre rifletteva sulle testimonianze che gli erano state esposte; a trent’anni, Ladoic era un uomo imponente, alto e muscoloso, con gli occhi grigi come l’acciaio e gli zigomi pronunciati tipici degli uomini del sud.

— Le prove sono evidenti — affermò infine. — Dryn, tu hai avvicinato l’erborista e ti sei offerto di vendergli mercanzie proibite. Per fortuna, Nevyn è un uomo d’onore e si è consultato con Elaeno, che ha subito contattato l’ufficiale a capo della dogana.

— Non sono stato io ad avvicinare quel dannato vecchio, Vostra Grazia — ringhiò Dryn. — È invece stato lui ad agganciare me.

— Una storia davvero credibile… e del resto se anche fosse vera non avrebbe importanza. Puoi forse negare che, quando ti hanno arrestato, le guardie cittadine ti hanno trovato addosso quattro diversi tipi di veleni?

Dryn si accasciò e fissò il pavimento con aria infelice.

— Quanto a te, Edycl — proseguì il gwerbret, spostando il suo sguardo freddo sul capitano. — Tu puoi anche aver ragione nel sostenere che Dryn ha contrabbandato quei veleni senza che tu lo sapessi, ma perché mai i doganieri hanno trovato una scorta di oppio nascosta nelle pareti della tua cabina personale?

Edycl cominciò a tremare e la fronte gli si imperlò di sudore.

— Non è necessario che Vostra Grazia mi faccia torturare… confesserò. È stato per i soldi: lui mi ha offerto una somma dannatamente alta e la nave aveva bisogno di riparazioni, e così…

— È sufficiente — lo interruppe Ladoic, girandosi quindi verso uno dei sacerdoti. — Vostra Santità?

L’anziano sacerdote si alzò in piedi, si schiarì la voce e fissò quindi lo sguardo nel vuoto, prendendo a recitare la legge.

— I veleni sono un abominio agli occhi degli dèi. Perché? Perché possono essere usati soltanto per assassinare e mai per autodifesa, e quindi nessun uomo desidera possederli a meno che abbia l’assassinio nel cuore. Di conseguenza, che nessuna di queste immonde sostanze venga trovata nelle nostre terre. Da Gli Editti di Re Cynan, 1048 — disse, poi tornò a schiarirsi la gola e riprese: — Qual è la giusta punizione per chi contrabbanda veleni? Nessuna può essere più adatta che costringerlo a mangiare parte delle sue immonde mercanzie. Così stabilisce Mabyn, sommo sacerdote di Dun Deverry.

Mentre il prete si rimetteva a sedere, Dryn cominciò a piangere in silenzio, e Nevyn provò compassione per lui, perché non era un uomo malvagio ma soltanto avido, che si era lasciato corrompere dai veri malvagi. Adesso però l’intera questione esulava ormai dalle sue mani. Al tavolo, Ladoic impugnò la spada dorata e la sollevò con la punta verso l’alto.

— La legge ha parlato. Dryn, come atto di misericordia ti sarà permesso di scegliere il veleno meno doloroso fra quelli in tuo possesso. Quanto a te, Edycl, sono stato informato che hai quattro figli piccoli e che è stata effettivamente la povertà a spingerti a questo tipo di commercio. Di conseguenza ti saranno inflitte venti frustate sulla pubblica piazza.

Dryn sollevò il capo e di colpo perse il controllo, cominciando a singhiozzare e a dondolarsi con violenza sulla persona come se stesse già sentendo il veleno che agiva su di lui. Una guardia venne avanti e lo zittì con uno schiaffo, issandolo poi in piedi mentre Ladoic si alzava a sua volta e picchiava il pomo della spada sul tavolo.

— Il gwerbret ha parlato. L’udienza è finita.

Pur trascinando via Dryn, le guardie lasciarono però Edycl inginocchiato ai piedi del gwerbret; non appena la sala fu vuota e con lui furono rimasti soltanto Nevyn ed Elaeno, Ladoic abbassò lo sguardo sul prigioniero, fissandolo come se stesse contemplando un mucchietto di sporcizia nelle strade cittadine.

— Venti frustate possono uccidere un uomo — commentò in tono leggero, come se stesse facendo conversazione. — Se però dirai a questi signori quello che vogliono sapere ridurrò la tua sentenza a dieci colpi.

— Grazie… oh, dèi, grazie. Dirò loro tutto quello che so.

— Lo scorso anno hai svernato ad Orystinna dopo aver effettuato la traversata con notevole ritardo — disse Elaeno. — Perché?

— Ecco, quella è stata una cosa dannatamente strana — rispose Edycl, riflettendo con espressione accigliata. — Era davvero tardi, e stavo ormai pensando di tirare in secca la Stella quando quell’uomo del Bardek mi ha avvicinato e mi ha detto che un suo amico, un uomo molto ricco, doveva arrivare a Myleton prima dell’inverno. Quell’uomo mi ha offerto una dannata quantità di denaro perché li prendessi a bordo, abbastanza da ricavarne un buon profitto nonostante le spese derivanti dal dover svernare nel Bardek, e così li ho presi a bordo. Ho svernato ad Orystinna perché è meno costosa di Myleton.

— Capisco. Che aspetto avevano questi uomini?

— Ecco, quello che mi ha assunto era un tipico uomo di Myleton, con la pelle un po’ più chiara del consueto e con le decorazioni facciali che lo identificavano come un appartenente alla Casata Odana. L’altro era un uomo di Deverry e anche se si faceva chiamare Procyr dubito che questo fosse il suo vero nome. In lui c’era qualcosa che mi faceva accapponare la pelle, ma che io sia dannato se so il perché, dato che era cortese nel parlare e che non ha creato problemi. È rimasto per quasi tutto il viaggio nella sua cabina e considerato che abbiamo avuto una traversata difficile immagino che sia stato male quasi di continuo.

— Che aspetto aveva questo Procyr? — interloquì Nevyn.

— Ecco, signore, non lo so con certezza. In quel periodo dell’anno sul mare fa freddo, e ogni volta che usciva sul ponte lui era avvolto in un mantello con cappuccio. Direi che era sulla cinquantina, un uomo dall’aria solida, con i capelli grigi, la bocca sottile, gli occhi azzurri. Ricordo però dannatamente bene la sua voce: era come untuosa e troppo morbida per un uomo. Mi dava i brividi.

— Non ne dubito — borbottò Nevyn. — Dunque, Vostra Grazia, Elaeno ed io siamo certi nella misura in cui è possibile esserlo che quest’uomo descritto da Edycl sia molto importante nel commercio della droga.

— Allora terrò gli occhi aperti… o forse dovrei dire gli orecchi, considerata la sua voce.

Il presunto Procyr era con ogni probabilità qualcosa di più di un semplice corriere della droga, in quanto Nevyn era piuttosto sicuro che si trattasse dello stesso maestro del dweomer oscuro che aveva scatenato quell’estate la guerra causata da Loddlaen e che sembrava deciso ad uccidere Rhodry. Nel riflettere sulla cosa, Nevyn se ne chiese il perché forse per la millesima volta.


Salamander, o Ebay Salomonderiel tranDevaberiel, per usare il suo nome elfico completo, risiedeva in una delle locande più costose di Cerrmor, e la camera di ricevimento dell’alloggio da lui affittato era spaziosa, con tappeti del Bardek sul lucido pavimento di legno, sedie dotate di cuscini e vetri alle finestre. Al sopraggiungere dei visitatori il giovane versò loro del sidro da una caraffa d’argento in bicchieri di vetro, mentre tanto Elaeno quanto Nevyn si guardavano intorno con espressione acida.

— Devo dedurre che di questi tempi le tue storielle fruttano bene — commentò Nevyn.

— Infatti. So che sei sempre pronto a rimproverare la mia umile persona per i miei gusti che, lo ammetto, sono volgari, rozzi, stravaganti e frivoli, ma io non vedo nulla di male a indulgere in essi.

— Perché non ce n’è. È solo che non c’è neppure nulla di buono, ma comunque non sono affari miei… non sono io il tuo maestro.

— Proprio così, ma mi sarei davvero sentito onorato al di là dei miei meriti di essere un tuo apprendista.

— Questo è vero — intervenne Elaeno, — o almeno la parte relativa a quel «al di là dei miei meriti» lo è.

Salamander si limitò a sorridere, perché gli piaceva battibeccare con l’enorme uomo del Bardek, anche se aveva il dubbio che Elaeno trovasse il gioco molto meno divertente di lui.

— So che i miei talenti sono modesti — affermò quindi. — Se invece avessi il potere del Maestro dell’Aethyr, sarei dedito al dovere quanto lui. Purtroppo, gli dèi hanno ritenuto opportuno concedermi appena un assaggio del dweomer prima di allontanare la dolce coppa dalle mie labbra.

— Questo non è del tutto vero — ribatté Nevyn. — Valandario mi ha detto che potresti facilmente fare altri progressi… se soltanto lavorassi per ottenerlo.

Salamander sussultò, perché non si era reso conto che la sua maestra del dweomer avesse rivelato tante cose al vecchio.

— In ogni caso si tratta per ora di una questione marginale — proseguì Nevyn. — Quello che io voglio sapere è perché sei in Deverry.

— La vera domanda è perché non ci dovrei essere. Amo vagare fra la gente di mia madre. Lungo le vostre strade c’è sempre qualcosa da vedere e inoltre in questo modo sono anche molto, molto lontano dal mio stimato padre, che mi rimprovera di continuo nella prosa più perfetta questa o quella colpa, sia vera che immaginaria.

— Direi che sono soprattutto vere — commentò Elaeno.

— Oh, non ne dubito. Se però posso essere utile a te o al Maestro dell’Aethyr, avete soltanto da chiederlo.

— Bene — approvò Nevyn, — perché lo puoi proprio: per una volta i tuoi vagabondaggi ci torneranno dannatamente comodi. Ho ragione di credere che ci siano parecchi uomini del dweomer oscuro in circolazione nel regno. Bada, non voglio che tu ti impegoli con loro, perché sono troppo potenti per questo; essi però si mantengono mediante il contrabbando di droghe e di veleni, e ciò che voglio sapere è dove vengono vendute quelle merci, perché se riusciremo a soffocare il loro commercio infliggeremo un duro colpo ai nostri nemici. Dopo tutto, anche loro devono mangiare come tutti… ecco, più o meno come tutti. Voglio quindi che tu stia costantemente sul chi vive per notare qualsiasi traccia di questo empio commercio. Potresti sempre sentire qualcosa d’interessante.

— Infatti, e sarò lieto di ficcare il mio lungo naso elfico nella faccenda per conto tuo.

— Non ficcarlo tanto da fartelo tagliare — avvertì Elaeno. — Ricorda che si tratta di uomini pericolosi.

— Benissimo, allora sarò tutto cautele, astuzie, trappole e inganni.


Circa quindici chilometri ad est di Dun Deverry viveva una donna chiamata Anghariad, che aveva ricevuto a titolo di pensione un piccolo appezzamento di terra dopo aver prestato per anni servizio alla corte del re. Nessuno dei suoi vicini sapeva con esattezza quale mansione la donna avesse svolto a corte, perché Anghariad era di indole taciturna, ma dato che conosceva molto bene le erbe tutti supponevano che avesse fatto da levatrice ed erborista. Spesso la gente del villaggio veniva da lei e barattava polli e prodotti della terra in cambio delle sue cure invece di affrontare la lunga camminata fino in città per recarsi da un farmacista, ma chi andava a farle visita di solito incrociava le dita nel segno che teneva lontano la stregoneria, perché c’era qualcosa di strano in quella vecchia dagli occhi scuri e brillanti e dalle guance incavate.

Apparentemente, i nobili non si erano inoltre dimenticati della donna che li aveva serviti, perché era cosa frequente vedere un paio di cavalli di razza dai finimenti costosi legati davanti alla sua capanna, o addirittura una nobile dama che conferiva in toni urgenti con Anghariad nel suo giardino di erbe mediche. Spesso gli abitanti del villaggio si chiedevano cosa i nobili potessero avere da dire alla vecchia, e se lo avessero saputo ne sarebbero rimasti sgomenti, perché l’idea stessa dell’aborto era repellente per quei contadini per i quali ogni figlio era un paio di braccia in più che avrebbe aiutato a lavorare la terra.

A parte le pozioni abortive, Anghariad aveva anche altre strane cose da vendere ai clienti giusti, e quel pomeriggio rimase molto seccata di fronte alla scarsità delle merci che Sarcyn aveva da offrirle.

— Non ci posso fare niente — le spiegò lui. — Uno dei nostri corrieri è stato catturato con tutte le sue merci, giù a Cerrmor, e sei dannatamente fortunata che io abbia con me anche una scorta minima di oppio.

La donna raccolse la nera barra di oppio e la graffiò con l’unghia, esaminando con attenzione il modo in cui si sgretolava.

— Lo preferisco più raffinato di così — scattò poi. — I nobili hanno gusti più difficili delle prostitute e degli scaricatori di porto del Bardek.

— Ti ho già detto che sei dannatamente fortunata già ad avere questo. Ascolta, se mi farai un favore te lo lascerò senza pretendere nulla.

Di colpo, la vecchia divenne tutta gentilezze e sorrisi.

— Conosco alcuni dei tuoi clienti abituali — proseguì Sarcyn, protendendosi in avanti. — Fra essi ce n’è uno che mi interessa in maniera particolare e voglio incontrarlo. Informa Lord Camdel dell’avvenuta consegna e chiedigli di venire qui da solo.


— Oh, dèi! — borbottò Rhodry. — Finalmente troviamo una taverna con un sidro decente e tu mi dici che non ce lo possiamo permettere!

— Ecco — replicò Jill, — se tu non fossi troppo dannatamente orgoglioso per farti assumere come guardia di carovana…

— Non si tratta di orgoglio! Non è una cosa onorevole!

Jill levò gli occhi al cielo, come per chiamare gli dèi a testimoni di tanta cocciutaggine, e lasciò cadere l’argomento. In effetti, dall’inverno era avanzata loro una buona quantità di denaro, ma lei non aveva nessuna intenzione di farlo sapere a Rhodry perché lui era proprio come suo padre, sempre pronto a consumare denaro nel bere o a donarlo a qualche mendicante senza mai pensare a quello che poteva attenderli l’indomani sulla lunga strada. Di conseguenza, come già aveva fatto con Cullyn, Jill lasciava credere a Rhodry che anche loro fossero ormai prossimi all’indigenza.

— Se spendi i soldi per il sidro adesso — sottolineò, — come ti sentirai quando saremo costretti alla fame, senza neppure una moneta di rame per comprare un po’ di pane? Scommetto che allora il ricordo del sidro ti riuscirà decisamente amaro.

— Oh, d’accordo, mi accontenterò della birra.

Jill gli porse quattro monete di rame e lui andò a prendere la birra. Si trovavano nella sala comune della locanda più economica di Dun Aedyn, una prospera città commerciale nel centro di una delle zone agricole più fertili dell’intero regno. Quando avevano lasciato Cerrmor si erano diretti da quella parte perché avevano sentito dire che si stava per scatenare una faida fra il signore di quella città e un suo vicino, ma sfortunatamente il gwerbret locale aveva sistemato le cose prima del loro arrivo: Dun Aedyn era troppo importante per il rhan perché il gwerbret restasse impassibile e la lasciasse devastare dalla guerra.

Tornato con due boccali, Rhodry li posò sul tavolo e sedette accanto a lei.

— Sai — osservò Jill, — potremmo dirigerci ad est verso l’Yr Auddglyn. Là ci saranno di certo dei combattimenti, quest’estate.

— È vero, ed è dannatamente più vicino di Cerrgonney. Prendiamo la strada attraverso le colline che segnano il confine?

Dal momento che la strada che attraversava le colline era più breve di quella che si snodava a sudest lungo la costa, Jill stava per assentire quando sentì d’un tratto una mano invisibile calarle sulla bocca per impedirle di parlare e seppe, in maniera cieca e irrazionale, che avrebbero dovuto dirigersi a Dun Manannan prima di proseguire per l’Auddglyn. Di nuovo il dweomer, dannazione! Per un momento Jill lottò contro quella sensazione, dicendosi che sarebbero passati dalle colline se era questa la loro intenzione, ma al tempo stesso continuò ad avvertire l’intensa e cocciuta convinzione che qualcosa d’importante sarebbe accaduto loro a Dun Manannan.

— Hai sentito quello che ho detto? — scattò Rhodry.

— Sì, scusami. Uh… senti amore, vorrei prendere invece la strada della costa. So che è più lunga, ma… ah, ecco… c’è una cosa che vorrei chiedere a Otho il Gioielliere.

— D’accordo, allora. Abbiamo però denaro a sufficienza per prendere la strada più lunga?

— Lo avremmo se tu accettassi quell’incarico come guardia, dato che la carovana è diretta verso la costa. — Jill gli posò le mani sulle spalle e lo fissò negli occhi con un sorriso. — Per favore, amore…

— Ah, dannazione, non…

Jill troncò le sue proteste con un bacio.

— E va bene — si arrese lui, con un sospiro. — Vado subito a cercare quel mercante.

Dopo che Rhodry si fu allontanato, Jill riprese a sorseggiare la propria birra, riflettendo su quello strano pensiero che le era affiorato nella mente di sua iniziativa. Si chiese anche perché avesse ceduto ad esso, ma la risposta era facile: semplice curiosità. Se non fossero andati a Dun Manannan, lei si sarebbe poi chiesta per sempre che cosa avrebbero trovato là.


Dal momento che il Sommo Re si sarebbe infuriato se avesse scoperto che i suoi nobili vassalli consumavano oppio del Bardek, quei pochi che avevano preso la pericolosa abitudine non vi indulgevano mai all’interno della fortezza. Giù nella città di Dun Deverry c’era una lussuosa locanda il cui piano superiore era riservato ai nobili clienti che avevano bisogno di una camera per motivi privati: più di una graziosa ragazza della città aveva perso la propria virtù in quella locanda e più di una pipa di oppio ne aveva contaminato l’aria. In occasione del suo secondo incontro con Lord Camdel, incaricato del Bagno del Re, Sarcyn aveva quindi affittato lì una camera.

Adesso il giovane nobile se ne stava in parte seduto in parte sdraiato a ridosso di un mucchio di cuscini su un divano nello stile del Bardek, e rigirava una pipa d’argilla vuota fra le lunghe dita; prossimo ai vent’anni, Camdel era di struttura snella, con folti capelli castani, profondi occhi dello stesso colore e un sorriso accattivante. Nel complesso, Sarcyn lo trovava attraente, ma i pettegolezzi di Anghariad avevano messo bene in chiaro il fatto che i gusti del giovane nobile erano orientati verso le ragazze… se però tutto fosse andato per il verso giusto, presto Camdel si sarebbe trovato in una posizione tale da non potergli rifiutare più nulla.

— Vostra Signoria sembra essere proprio il tipo di giovane ambizioso che noi stavamo cercando — osservò Sarcyn. — Unirti a noi potrebbe risultare per te molto proficuo.

Con un piccolo cenno di assenso, Camdel sollevò lo sguardo degli occhi dalle pupille dilatate sotto le palpebre appesantite. Osservandolo, Sarcyn pensò che quel raffinato cortigiano aveva un’opinione molto alta di se stesso e sarebbe stato quindi un pesce facile da prendere all’amo usando l’adulazione come esca.

— Non mi dispiacerebbe liberarmi completamente di Anghariad — osservò Camdel. — La roba che vende lei è dannatamente cara.

— Proprio così, e se cominciassi a venderla tu stesso potresti ottenere da noi un prezzo molto migliore. Sono certo di poter confidare nella tua discrezione, mio signore.

— Ma certo. È nel cappio anche il mio collo, giusto?

Sarcyn sorrise, pensando che l’immagine era fin troppo appropriata.

— Prima però di acconsentire a qualsiasi cosa — proseguì Camdel, — insisto per parlare con qualcuno più importante di un semplice corriere.

— Certamente, Vostra Signoria. Io sono stato mandato soltanto per appurare se eri interessato, e ti garantisco che ora l’uomo che comanda ti contatterà personalmente quando arriverà a Dun Deverry, fra una settimana.

— Bene. Puoi dirgli di organizzare un altro incontro qui.

Sarcyn chinò il capo in un piccolo gesto di umiltà, ma sorrise interiormente. Si era infatti chiesto come procurare l’incontro fra il nobile ed Alastyr, ma l’arroganza stessa di Camdel gli aveva facilitato le cose.


Con la sua lenta andatura, la carovana impiegò quattro giorni per arrivare a Dun Manannan, ma finalmente la lunga colonna di uomini e di muli si snodò nello spiazzo aperto al centro della città che fungeva da piazza del mercato; dopo aver ritirato la paga Rhodry e Jill si diressero verso una piccola locanda economica vicino al fiume in cui avevano pernottato l’autunno precedente, ma ebbero la triste sorpresa di scoprire che era bruciata: pochi sterpi neri puntavano desolatamente verso il cielo là dove prima c’era il tetto di paglia, ed anche metà della sala comune era carbonizzata. Una donna di passaggio spiegò loro spontaneamente che un paio di giovani della città avevano scatenato una rissa, con il risultato che una candela era stata fatta cadere sulla paglia che copriva il pavimento.

— Oh, dannazione — commentò Jill. — Adesso ci dovremo accampare vicino alla strada.

— Cosa? — scattò Rhodry. — Dall’altro lato della città c’è una locanda che va benissimo per noi!

— È costosa.

— Non me ne importa, mio avaro amore. Dopo essermi accampato in mezzo a quei muli puzzolenti voglio un bagno e ne avrò uno.

Dopo una breve discussione alla fine Jill si arrese e gli permise di precederla verso l’altra locanda. Sebbene il locandiere sembrasse tutt’altro che soddisfatto di accogliere due daghe d’argento, Jill riuscì al tempo stesso a rabbonirlo e a risparmiare un po’ di soldi suggerendogli che avrebbero potuto dormire nel fienile ad un prezzo ridotto. Nonostante tutto, alla fine dovette comunque ammettere che era piacevole concedersi un bagno vero e proprio invece di doversi limitare ad una nuotata in un ruscello gelido… anche la sala comune era gradevole e al contrario di quelle a cui era abituata non puzzava di paglia marcia e di cani sporchi. Lei e Rhodry si trovarono ad avere un tavolo tutto per loro perché i clienti che entravano lanciavano un’occhiata a Rhodry, un’altra al pomo della sua daga d’argento e si andavano a sedere altrove… un doppio insulto se si considerava che gli avventori erano per lo più contrabbandieri.

Alcuni minuti più tardi entrò però un uomo che era evidentemente un viaggiatore di passaggio, a giudicare dalle occhiate sospettose che gli avventori locali gli indirizzarono. L’uomo, che indossava un mantello verde di buona qualità, calzoni grigi di lana morbida, una camicia ricca di ricami, diede al garzone una moneta d’argento perché portasse dentro i suoi bagagli, là dove una moneta di rame sarebbe stata più che sufficiente, e insistette anche perché il locandiere gli mostrasse la camera migliore che aveva. Mentre il nuovo venuto seguiva il locandiere su per le scale a chiocciola, Jill l’osservò con curiosità: alto e snello, lo sconosciuto aveva i capelli chiarissimi e i lineamenti attraenti e ben modellati di qualcuno che doveva avere nelle vene una buona dose di sangue elfico, e aveva anche un aspetto stranamente familiare, anche se non le riusciva di stabilire dove poteva averlo visto.

Notando il suo interesse, il garzone della locanda si affrettò ad avvicinarsi.

— Quell’uomo si chiama Salamander — spiegò, — ed è un gerthddyn.

— Davvero? Allora passeremo momenti splendidi ascoltando le sue storie, più tardi.

Da quella informazione, Jill dedusse che nel percorrere la lunga strada le doveva essere capitato di assistere ad una rappresentazione del gerthddyn, ma quando più tardi scese dabbasso, Salamander si fermò a osservare Rhodry con espressione perplessa, quasi stesse pensando che avrebbe dovuto conoscere quella daga d’argento, e nel vederli entrambi di profilo Jill comprese infine la verità: il gerthddyn somigliava al suo uomo abbastanza da poter essere suo fratello. In quel momento Jill rammentò lo strano pensiero che l’aveva indotta a passare da Dun Manannan e rabbrividì.

— Buon signore — chiamò, — vieni a unirti a noi, se vuoi. Fa sempre piacere offrire un boccale ad un gerthddyn.

— Ti ringrazio, bella signora — replicò Salamander, con un inchino, — ma permettimi di essere io ad offrire il primo giro.

Una volta che la birra fu servita e pagata, Salamander si sedette al loro tavolo con atteggiamento cordiale, e lui e Rhodry si studiarono a vicenda per un momento, entrambi perplessi. In fin dei conti, tutti e due si specchiavano soltanto una volta al giorno quando si radevano, e gli specchi di bronzo non fornivano mai un’immagine veramente nitida.

— Senti, ci siamo già incontrati in passato? — chiese Rhodry.

— Mi stavo giusto domandando la stessa cosa, daga d’argento.

— Sei mai stato ad Aberwyn?

— Oh, molte volte. È di là che vieni?

— Sì, e può darsi che ti abbia visto narrare qualche storia sulla piazza del mercato. Io mi chiamo Rhodry, e questa è Gilyan.

Salamander scoppiò a ridere e accennò un gesto di saluto con il boccale.

— Allora il nostro è davvero un incontro fortunato. Io sono un buon amico del vecchio Nevyn, l’erborista.

— Sul serio? — intervenne Jill. — Lo hai visto di recente?

— Appena sei giorni fa, a Cerrmor, e appariva in forma come sempre. Giuro che lui stesso costituisce la migliore pubblicità per le sue erbe. Se dovessi incontrarlo ancora, com’è probabile, gli dirò che state bene entrambi.

— Ti ringrazio — replicò Rhodry. — Hai notizie di qualche guerra locale in questa parte del regno? Un gerthddyn è sempre al corrente di tutte le novità.

Jill prestò ben poca attenzione mentre Rhodry e Salamander conversavano dei pettegolezzi locali. Dal momento che sembrava ignorare che Nevyn possedesse il dweomer, Salamander quasi certamente non ne era dotato lui stesso, e tuttavia i membri del Popolo Fatato gli si affollavano intorno sedendosi sul tavolo, arrampicandoglisi in grembo, appollaiandosi sulle sue spalle per battergli affettuosi colpetti sulla testa… e di tanto in tanto il suo sguardo si spostava come se lui fosse stato in grado di vederli. Naturalmente, tutti gli elfi potevano vedere il Popolo Fatato, e Jill era quasi certa che il gerthddyn fosse elfo almeno per metà, ma d’altro canto Rhodry continuava ad essere incapace di scorgere il Popolo Fatato, il che era davvero sconcertante.

Studiando con cura entrambi, Jill notò tutte le piccole somiglianze… la curva della bocca, il modo in cui gli angoli delle palpebre si abbassavano leggermente, e soprattutto la forma degli orecchi, più affilata di quella dei normali esseri umani… e nel ricordare il suo sogno riguardo a Devaberiel si rese conto che entrambi somigliavano anche a lui. A quel punto la curiosità smise di irritarla soltanto e cominciò a divorarla.

Qualche tempo dopo, quando Rhodry lasciò momentaneamente il tavolo per andare a prendere dell’altra birra, la spinta della curiosità divenne tale da costringerla a cedere ad essa.

— Sai — osservò, — in passato ho trascorso parecchio tempo lungo il confine occidentale di Eldidd.

— Una volta Nevyn me ne ha accennato.

— Per caso tuo padre di chiama Devaberiel?

— In effetti sì! È davvero strano che tu lo sappia.

— Ecco, ho soltanto indovinato — mentì disinvoltamente Jill. — Un uomo chiamato Jennantar ha accennato in un’occasione ad un suo amico che aveva un figlio che faceva il gerthddyn, ed ho dedotto che era improbabile che ce ne fossero due che erano entrambi elfi per metà.

— Per gli dèi, hai occhi attenti! Ebbene, ora che hai scoperto la mia ascendenza con tanta abilità, devo confessare di essere effettivamente il figlio dello stimato bardo, anche se a volte questo sembra seccarlo parecchio. A proposito, conosco Jennantar e spero che stia bene. Non mi reco più nelle terre degli elfi da… oh, da due anni, ormai.

— Stava bene, l’ultima volta che l’ho visto.

Nel rispondere, Jill si sentì pronta a scommettere che Salamander ignorava che Rhodry fosse suo fratello, e pur pensando che era un vero peccato non potergli dire la verità tenne a freno la lingua: per il suo stesso bene e per quello di Eldidd era opportuno che Rhodry continuasse a ritenersi un Maelwaedd.

Più tardi quella sera, quando uscirono per andare a dormire nel fienile, Salamander li accompagnò, affermando di voler scambiare qualche parola in privato con loro; quando sentì di cosa si trattava, Jill fu lieta che il giovane avesse avuto il buon senso di non accennarvi mentre erano ancora nella taverna.

— Contrabbandieri d’oppio? — esclamò. — Per gli inferni, non mi dire che sei tanto stupido da usare quella roba?

— Mai e poi mai — replicò Salamander. — Nevyn mi ha chiesto di aiutarlo a scovarli, e così ho pensato che Dun Manannan fosse il posto più logico da dove cominciare.

— Oh, i ragazzi di qui non toccherebbero mai un carico del genere. Vedi, anche i contrabbandieri hanno un loro genere di onore.

— Allora il discorso è chiuso. È stata una fortuna che vi abbia incontrati, perché sebbene abbia la lingua sciolta e dorata, ero davvero in difficoltà a escogitare le domande giuste da porre.

— E quelle sbagliate ti avrebbero fatto finire con la gola tagliata.

— Ci avevo pensato. Senti, Jill, stando a ciò che mi ha detto Nevyn, tu hai viaggiato in lungo e in largo per il regno e sei stata in molti posti strani. Hai idea di chi possa acquistare questo distillato di papaveri?

— Per lo più, sono i padroni dei bordelli, che usano l’oppio per tenere in riga le ragazze.

Salamander emise un fischio sommesso, mentre Rhodry diede l’impressione di non poter credere di averle sentito dire davvero una cosa del genere.

— Non lo avrei mai immaginato — commentò infine. — Tu come fai a saperlo?

— Me lo ha detto mio padre, naturalmente. Mi metteva sempre in guardia contro i trucchi che vengono usati per attirare le ragazze nei bordelli, per evitare che potessi cascarci anch’io. A Cerrmor è una cosa diffusa, ma lui afferma che succede dappertutto.

— Oh, per la nera anima del Signore dell’Inferno! — esclamò Salamander. — La risposta è sempre stata proprio sotto il nostro naso! La prossima volta che vedrò Nevyn gli dovrò riferire che le daghe d’argento sanno molte cose utili.


L’immagine di Nevyn che fluttuava al di sopra del fuoco aveva un’espressione tanto sorpresa da dar l’impressione che qualcuno avesse rovesciato sulla testa del vecchio un secchio di acqua fredda.

— Non ci avrei mai pensato neppure fra mille anni. — Il pensiero di Nevyn giunse a Salamander sulla scia di un’ondata di sconcerto. — È davvero una cosa immonda ed empia. Comunque ormai sono quasi in Eldidd, e penso che andrò a scambiare due chiacchiere con Cullyn.

— Mi sembra la cosa più ragionevole da fare — pensò di rimando il gerthddyn. — Se vuoi, io posso invece tornare a Cerrmor.

— Ottimo, ma non fare o dire una sola cosa senza mie istruzioni, perché questo commercio non è gestito soltanto dal dweomer oscuro ma anche da furfanti veri e proprii, per cui ci dovremo muovere con cautela e tendere trappole ben studiate.

— Proprio così. Sai, alcuni bordelli sono effettivamente proprietà di uomini molto influenti, ma la cosa è tenuta segreta.

Il pensiero di risposta di Nevyn giunse come il ringhio di un lupo.

— Non ne dubito! Bene, vedremo cosa possiamo fare. Ti ringrazio, ragazzo, mi hai fornito notizie davvero interessanti.

Dopo aver interrotto il contatto, Salamander spense con un cenno della mano il fuoco che ardeva nel braciere e guardò fuori della finestra da cui cominciava a trapelare la grigia luce dell’alba. Scorgendo dabbasso Jill e Rhodry che stavano sellando i cavalli, il giovane si affrettò a scendere per salutarli; anche se non ne avrebbe saputo spiegare il perché, non aveva mai conosciuto un uomo che di primo acchito gli fosse riuscito simpatico quanto Rhodry.

— Vedo che partite sulle ali dell’alba — osservò.

— Infatti — rispose Rhodry. — La strada fino all’Yr Auddglyn è lunga.

— Proprio così. Comunque mi addolora il fatto che ci siamo incontrati soltanto per separarci subito. Ah, bene, forse c’incontreremo di nuovo sulla lunga strada.

— Lo spero — replicò Rhodry, tendendo la mano. — Arrivederci, gerthddyn. Forse gli dèi ci permetteranno di bere ancora insieme un boccale di birra.

Mentre stringeva la mano offertagli, Salamander avvertì il gelido avvertimento del dweomer scorrergli lungo la schiena e seppe che si sarebbero incontrati ancora, ma non come speravano. Il gelo che lo aveva assalito era così intenso che gli strappò un brivido.

— Hai freddo? — domandò Jill.

— Un po’. Oh, dèi, quanto detesto alzarmi presto.

Risero insieme e si separarono sorridendo, ma nel tornare ad ovest verso Cerrmor Salamander fu tormentato dal ricordo del cupo avvertimento ricevuto.


In una camera splendidamente arredata di una locanda di Dun Deverry, Alastyr e Camdel sedevano ad un piccolo tavolo, intenti a contrattare il prezzo di venti barre di oppio. Appoggiato alla finestra, Sarcyn si limitava ad osservare in silenzio quella recita priva di significato: anche se il denaro aveva ben poca importanza per lui, Alastyr doveva infatti fingere che fosse il contrario per mantenere in Camdel la convinzione di non essere altro che un importatore di droga. Finalmente i due arrivarono ad un accordo e il nobile effettuò il pagamento: adesso era arrivato il momento di passare al vero scopo di quell’incontro e Sarcyn attivò la sua seconda vista per seguire con attenzione gli eventi.

— Mio signore — disse Alastyr, — Di certo ti rendi conto che è per me pericoloso venire a Dun Deverry. Adesso che ci siamo incontrati, preferirei che in futuro tu trattassi direttamente con Sarcyn.

Camdel accennò a formulare una sprezzante protesta, ma Alastyr protese una linea di luce dalla sua aura e la avvolse intorno a quella del nobile, facendola ruotare come una trottola.

— Sarcyn è molto importante — sussurrò, mentre Camdel barcollava come un ubriaco. — Puoi fidarti di lui come ti fidi di me. Ti fiderai di lui. Ti fiderai di lui…

— D’accordo — affermò Camdel, — mi fiderò di lui.

— Bene. Ora dimenticherai di essere stato sottoposto a incantesimo. Dimenticherai di essere stato sottoposto a incantesimo.

A quel punto Alastyr ritrasse la linea di luce e lasciò che l’aura di Camdel si riassestasse.

— Capisco il tuo problema — disse allora il nobile, in tono deciso. — Trattare con il tuo luogotenente mi andrà benissimo.

Disattivata la seconda vista, Sarcyn lo scortò fuori della stanza con un inchino, poi chiuse e sprangò la porta alle sue spalle mentre Alastyr ridacchiava in tono sommesso e si alzava, stiracchiando la schiena.

— È fatta — commentò. — Ora ricorda di lavorare su di lui lentamente. Se ti sarà possibile, bada di sottoporlo a incantesimo soltanto quando è ubriaco o drogato, in modo che non si renda mai conto che sta succedendo qualcosa di strano.

— Sarà facile, maestro, perché beve come un porco e fuma quanto un camino.

Alastyr ridacchiò ancora. Sarcyn non riusciva a ricordare di aver mai visto il suo maestro tanto compiaciuto, ma del resto il suo complotto ordito da anni stava finalmente procedendo a dovere: in qualità di abituale frequentatore delle camere del re, infatti, Camdel era nella posizione ideale per rubare una cosa che nessuno di loro due avrebbe mai potuto raggiungere.

— Mi sono accorto che quel ragazzo desta in te un notevole interesse — aggiunse Alastyr, assestandogli distrattamente una leggera pacca sul sedere, — ma del resto a letto sei sempre stato un piccolo demonio.

Sarcyn s’irrigidì per lo shock, perché prima di allora non si era mai reso conto che Alastyr fosse convinto che lui avesse apprezzato le sue visite notturne di tanto tempo prima.

— Ti chiedo scusa — disse subito Alastyr, fraintendendo il suo atteggiamento, — non dovrei più stuzzicarti alla tua età. Benissimo, ragazzo, continua a lavorare su di lui fino a quando potremo guidarlo come un cavallo… con redini molto lunghe. Evy ed io ti aspetteremo fuori città e una volta che lo avrai dominato completamente potrai venire a raggiungerci. Ricorda però di non avere fretta, anche se ci dovessero volere delle settimane.

Dopo che Alastyr se ne fu andato, Sarcyn trascorse parecchio tempo a passeggiare avanti e indietro, mentre l’odio bruciava in lui come una febbre violenta.


Nonostante si fingesse un vecchio e trasandato erborista, Nevyn era ben noto nella grande fortezza di Dun Gwerbyn. Quando un mattino si presentò alle sue porte, i due uomini di guardia gli si inchinarono entrambi e si affrettarono a chiamare alcuni servi perché conducessero nelle stalle il cavallo e il mulo del vecchio. Il cortile interno era ingombro di parecchi grossi carri e di servi intenti a lavorare lentamente sotto il sole caldo per caricarli di fagotti e di botti.

— La tieryn è in partenza per la sua residenza estiva? — domandò Nevyn.

— Infatti — rispose un paggio. — Fra due giorni partiremo per Cannobaen. In questo momento Sua Grazia è nella grande sala.

Lovyan era seduta al tavolo d’onore con uno scriba; sebbene paresse che i due stessero discutendo di questioni molto importanti, la dama congedò lo scriba non appena vide Nevyn, e chiese al vecchio di sedere alla sua destra. Nevyn le riferì per prima cosa le notizie su Jill e su Rhodry, perché sapeva che la donna era ansiosa di riceverne.

— Infine — concluse, — la scorsa notte li ho cercati con una visione. Sono nell’Auddglyn, in cerca di un ingaggio. Devo dire che Jill sa di certo come arnministrare il denaro, perché sembra che ne sia rimasto loro parecchio da quest’inverno.

— La cosa mi rallegra, ma… oh, dèi, l’estate è appena cominciata e il mio povero ragazzo è in giro a vendere la sua spada e i suoi servizi sulle strade.

— Suvvia, Lovva, devi ammettere che si dà il caso che quel «povero ragazzo» sia uno dei migliori spadaccini del regno.

— Lo so. Suppongo che sia inutile da parte mia tenere un simile atteggiamento, ma come posso evitare di preoccuparmi?

— Hai ragione, e nonostante tutte le mie belle parole sono preoccupato anch’io.

— Non ne dubito… a proposito, stavo dimenticando che tu ancora non lo puoi sapere! Ultimamente la mia preoccupazione per Rhodry non riguarda soltanto la sua salute. Nevyn, è successa una cosa davvero sconvolgente: ti ricordi di Donilla, la moglie che Rhys ha ripudiato perché sterile?

— La ricordo benissimo.

— Ebbene, il suo nuovo marito è assolutamente pazzo di lei ed ha preso a corteggiarla come se fosse una ragazzina. A quanto pare ha avuto molto successo, perché adesso Donilla aspetta un bambino.

— Oh, per tutti gli dèi! Rhys lo ha già saputo?

— Sì. Sono andata di persona ad Aberwyn ad informarlo, pensando che fosse meglio che venisse a saperlo da me. Non ha preso bene la cosa.

— Non ne dubito. Sai, riesco perfino a provare dispiacere per lui… i pettegolezzi devono essersi diffusi come fuoco nell’erba secca.

— Ogni nobile di Eldidd si fa adesso beffe di lui, e il mio cuore piange per la sua povera piccola moglie, che viene trattata come un cavallo da corsa o qualcosa del genere… la gente ha addirittura cominciato a scommettere se lei concepirà o meno, e a quanto mi risulta le percentuali a sfavore sono molto elevate. Ah, dèi, quanto possono essere crudeli gli uomini!

— Proprio così. Capisco però cosa intendevi dire riguardo a Rhodry. Lui è l’ultimo erede maschio di cui Aberwyn disponga. Dobbiamo farlo tornare.

— Con Rhys di questo umore? Non lo hai visto. Passa le giornate a passeggiare senza meta in preda all’ira e non c’è nessuno che abbia il coraggio di pronunciare la parola «bambino» davanti a lui. Adesso non richiamerà mai Rhodry, e poi ha accanto troppi uomini ambiziosi che alimentano il suo odio verso il fratello, nella speranza che lui muoia senza eredi e che il loro clan abbia così la possibilità di accedere al gwerbretrhyn.

— Queste parole hanno il disgustoso suono della verità.

— Naturalmente. Sono pronta a scommettere che all’interno del Consiglio degli Elettori si è già cominciato a complottare e a stringere accordi — replicò Lovyan, con un tenue sorriso di autodeprecazione. — Anch’io ho già cominciato a complottare. Intendo adottare la figlia bastarda di Rhodry e tenerla qui con me. La piccola Rhodda diventerà una pedina di questa lotta ed io voglio sovrintendere di persona alla sua educazione, perché in fin dei conti l’uomo che sposerà la figlia di Rhodry, bastarda o meno che sia, avrà un piccolo appiglio per presentare le sue rivendicazioni al Consiglio.

— Per la Dea, ti ammiro davvero. La maggior parte delle donne si starebbe ancora disperando per l’esilio subito dal figlio e invece tu stai già guardando avanti di molti anni.

— La maggior parte delle donne non ha mai gestito il potere, neppure fra quelle che appartengono al mio rango.

Per parecchi minuti i due sedettero in silenzio, turbati. Lovyan appariva così stanca e infelice da far supporre a Nevyn che lei stesse pensando all’amara verità, e cioè che Rhodry non era in effetti un vero Maelwaedd, anche se era di cruciale importanza che tutti pensassero il contrario. Pur non potendo naturalmente leggere il futuro con chiarezza, Nevyn era certo che Rhodry fosse destinato a governare sull’Eldidd occidentale, se non come Gwerbret di Aberwyn almeno come tieryn di Dun Gwerbyn… né a lui né ai Signori del Wyrd importava un accidente di chi fosse il vero padre di Rhodry, ma ai nobili del regno sarebbe importato.

— Sai cosa temo maggiormente? — domandò improvvisamente Lovyan. — Che alla morte di Rhys si arrivi alla guerra aperta. È già successo che un candidato deluso ritenesse di aver subito un torto dal Consiglio. Ah, bene, del resto per allora io me ne sarò già andata da un pezzo e non avrò più modo di preoccuparmi.

Dal momento che Rhys era un uomo sano di appena ventinove anni, il suo commento era del tutto ragionevole, ma nel sentirlo Nevyn avvertì la fitta improvvisa di un avvertimento del dweomer: a quanto pareva, Lovyan avrebbe dovuto seppellire un altro figlio.

— C’è qualcosa che non va? — domandò lei, notando la sua espressione.

— Oh, stavo soltanto pensando che dobbiamo trovare il modo di far richiamare Rhodry.

— Se le parole fossero monete, saremmo tutti ricchi quanto il re — sospirò Lovyan. — È sempre duro assistere alla morte di un grande clan, ma sarebbe un vero peccato vedere la fine dei Maelwaedd.

— Lo sarebbe davvero.

In effetti sarebbe stato un peccato ancora maggiore di quanto Lovyan potesse immaginare, perché il clan dei Maelwaedd era sempre stato importante per il dweomer, sin dalle sue stranamente umili origini, risalenti a circa trecento anni prima.

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