ESTATE, 1063

Non si deve mai parlare di «vincolare» uno spirito dentro un cristallo o un talismano. Se lo spirito sceglie di servirti in questo modo, ciò sarà un bene reciproco, perché esso acquisirà conoscenza e potere come ricompensa. Lasciamo dunque al Sentiero Oscuro tutti i discorsi di vincolo e di sottomissione.

Dal Libro Segreto di Cadwallon il Druido


Era uno splendido giorno d’estate e il sole scintillava sulle acque del fiume Lit. Lord Camdel, un tempo incaricato del Bagno del Re, cantava mentre cavalcava lungo il fiume… soltanto frammenti di canzoni mescolati senza un ordine preciso perché stava incontrando una notevole difficoltà a ricordare le parole. In effetti, aveva difficoltà a ricordare qualsiasi cosa, come per esempio perché stesse attraversando quelle solitarie colline della provincia dell’Yr Auddglyn. Di tanto in tanto, quell’interrogativo gli affiorava nella mente, ma per quanto ci riflettesse sopra non trovava mai la risposta e gli sembrava assolutamente giusto essere a centinaia di chilometri dalla corte, con un misterioso pacchetto di gioielli nelle sacche della sella. Sapeva di aver rubato i gioielli, ma non era più in grado di rammentare il perché o chi fosse stato il loro proprietario.

— Devo essere ubriaco — confidò al castrato sauro che montava, — ma perché sono venuto proprio qui ad ubriacarmi?

Alcuni chilometri più avanti la strada che seguiva il fiume descriveva una brusca svolta e nell’aggirarla Camdel scorse tre uomini a cavallo che… lo sapeva, anche se in modo confuso… lo stavano aspettando. Naturalmente di trattava di Sarcyn e di Alastyr, e il terzo uomo doveva essere il fratello di Sarcyn! Senza dubbio doveva quindi essere venuto fin lì per comprare dell’oppio con i gioielli. Finalmente tutto cominciava ad avere un senso.

— Ben incontrato, amico mio — lo salutò Alastyr. — Sei pronto a venire con noi?

Camdel aprì la bocca per assentire, ma in quel momento un pensiero improvviso gli affiorò nella mente.

Non seguirli! esso gli ingiunse. Ti faranno del male!

Quel pensiero fu così intenso e urgente che senza neppure soffermarsi a riflettere Camdel assestò uno strattone alle redini per far girare il cavallo.

— Fermo! — esclamò Sarcyn, spronando per raggiungerlo. Fuggi! urlò la voce nella sua mente.

Obbediente, Camdel incitò il cavallo, ma proprio nel momento in cui sì lanciava al galoppo l’animale s’impennò con un nitrito di agonia e nello stesso tempo Camdel vide la lama di una spada brillare al sole nel tagliare la gola all’animale. Il nobile riuscì appena in tempo a liberare i piedi dalle staffe e a rotolare al suolo mentre il castrato si accasciava, poi si alzò barcollando e annaspò per afferrare la spada, ma un colpo violento lo raggiunse alla nuca e lo fece sprofondare nell’oscurità.


— Un buon lavoro, Sarcyn — approvò Alastyr. — Evy, recupera le sacche della sella! Ce ne dobbiamo andare in fretta.

— È una vera seccatura aver dovuto abbattere il cavallo — commentò Sarcyn, inginocchiandosi accanto a Camdel. — Adesso gliene dovremo procurare un altro.

— Stavo pensando che potremmo semplicemente ucciderlo e liberarcene, perché la situazione è più pericolosa di quanto credessi. Non dimenticare che con questa dannata guerra in corso nella zona potremmo incontrare in qualsiasi momento una pattuglia.

Sarcyn sollevò lo sguardo con un lampo di ribellione negli occhi.

— So che te lo avevo promesso, ma… — Alastyr esitò, ricordando come il Vecchio lo avesse avvertito che il suo apprendista lo odiava. — Ah, d’accordo, dopo tutto non è molto pesante e potrai legarlo sul tuo cavallo finché non gliene avremo trovato un altro.

— Ti ringrazio, maestro. Inoltre, potremmo sempre usarlo per il rituale.

— È ciò che faremo, stanotte stessa. Oh, dèi, sono sfinito.

In quel momento sopraggiunse Evy con le sacche della sella. Pur sentendosi tentato di aprirle subito per contemplare i gioielli in esse contenuti, Alastyr ci rinunciò perché avevano poco tempo e si lanciò invece intorno un’occhiata piena di nervosismo, nel timore di vedere la banda di guerra di qualche nobile lord che puntava verso di loro. Camdel sarebbe stato una dannata seccatura… pensandoci, Alastyr si rese conto che il pensiero che Sarcyn lo odiasse, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, lo faceva soffrire. Del resto, adesso non c’era tempo per preoccuparsi per cose del genere e Sarcyn era troppo utile per poter essere eliminato.


La testa gli pulsava per un dolore accecante e un paio di braccia lo circondavano, sostenendolo, ma dove si trovava? Era a cavallo, da qualche parte. Camdel aprì gli occhi e vide intorno a sé un verde pascolo… l’Auddglyn. Ricordando il proprio tentativo di fuga, gemette e si contorse sulla sella, rendendosi conto soltanto allora di avere le caviglie legate alle staffe.

— Ti sei svegliato, eh? — chiese Sarcyn.

Camdel si accorse che Sarcyn stava cavalcando dietro di lui e che erano le sue braccia a mantenerlo in sella; alle loro spalle sentì poi il rumore di altri cavalli che li seguivano, mentre la distesa di prati verdi prendeva a tremolare e a ondeggiare davanti al suo sguardo annebbiato dal dolore.

— Mi dispiace per il colpo alla testa — proseguì Sarcyn, — ma non ti potevamo permettere di andare via in quel modo. Comunque fra un po’ ti sentirai meglio.

— Perché? A cosa vi servo?

Sarcyn scoppiò in una piccola risata sommessa.

— Lo scoprirai stanotte — rispose.

Camdel era troppo esausto per porre altre domande, perché pur essendo perfettamente addestrato nell’uso delle armi e avendo addirittura vinto più di un torneo, non aveva mai combattuto in guerra né aveva mai consumato molte energie nel corso della sua vita. Il dolore alla testa finì quindi per occupare interamente i suoi pensieri per il resto di quella lunga e infelice cavalcata.

Finalmente arrivarono in una fattoria che doveva essere deserta da qualche tempo, a giudicare dal deterioramento del muro di terra che la circondava e dalla sottigliezza dello strato di paglia che copriva il tetto dell’edificio. Quando gli altri furono scesi di sella, Sarcyn liberò le caviglie di Camdel e lo tirò giù dal cavallo, spingendolo poi nella grande stanza semicircolare che un tempo era stata la cucina; adesso i bagagli dei quattro erano sparsi sul pavimento e vicino al focolare si scorgeva un mucchio di coperte.

— Sdraiati e riposa — consigliò Sarcyn. — Per accertarmi che tu non te ne vada, ti legherò le mani e i piedi.

Una volta legato, Camdel si distese e rimase immobile, cercando di non spostare minimamente la testa dolente; gli altri entrarono a loro volta nella cucina, parlando fra loro del bottino, poi si spostarono in un’altra camera e mentre stava cercando di addormentarsi Camdel sentì d’un tratto un vero e proprio urlo di rabbia.

— È sparita! Deve essere caduta quando abbiamo ucciso il suo dannato cavallo! C’è tutto, tranne la Grande Gemma dell’Ovest. Sarcyn, sella il cavallo e torna indietro a cercarla.

La Grande Gemma dell’Ovest. Che cos’era? Camdel ricordava in modo vago quel nome, ma il dolore alla testa gli rendeva difficile pensare e alla fine scivolò nell’incoscienza, soltanto per essere tormentato da uno spaventoso sogno in cui Alastyr lo interrogava in merito alla misteriosa gemma.

Quando si svegliò era ormai notte e un fuoco ardeva nel camino. Poco lontano, Alastyr, Sarcyn ed Evy erano seduti per terra e intenti a parlare fra loro in tono sommesso permeato di una gelida furia. Quando si rese conto che probabilmente non avevano trovato la pietra, Camdel ne fu contento; tentò quindi di muoversi e pur emettendo un gemito involontario scoprì che adesso il dolore era calato a livelli tollerabili.

— Dategli qualcosa da mangiare e da bere — ordinò Alastyr. — Voglio praticare il rito immediatamente, perché tutti questi viaggi astrali mi hanno prosciugato di energie.

Il cuore di Camdel cominciò a battere con la violenza di un tamburo e mentre Sarcyn gli si avvicinava gli riaffiorarono nella mente tutte le storie che gli era capitato di sentire in merito ai maghi malvagi.

— Oh, non siamo i mercanti di oppio che tu credevi — affermò Sarcyn, inginocchiandosi accanto a lui. — Presto scoprirai nuove verità, piccolo uomo, e anche se all’inizio mi odierai per quello che ti farò credo che con il tempo comincerai ad apprezzarlo.

Allorché Sarcyn gli liberò le mani, Camdel scoprì che esse tremavano a tal punto da rendergli difficile reggere la borraccia che gli veniva porta, ma la sete tormentosa lo costrinse a calmare il tremito per trangugiare lunghe sorsate d’acqua. Mentre beveva, Sarcyn indugiò ad osservarlo con un sorrisetto che gli fece accapponare la pelle.

— Hai fame? — gli chiese poi.

— No — rispose Camdel, a fatica. — Per favore, lasciatemi andare. Mio padre è ricco e mi riscatterà… per gli dèi, vi prego, lasciatemi andare!

— Non rivedrai mai più tuo padre, ragazzo. Verrai con noi nel Bardek e quando mi sarò stancato di te sarai venduto come schiavo, quindi è meglio che tu cerchi di compiacermi per evitare di venirmi subito a noia.

Improvvisamente, Camdel comprese cosa l’altro intendesse sottintendere e si ritrasse con un movimento involontario che strappò una risata a Sarcyn.

— Probabilmente non riuscirebbe comunque a mangiare — intervenne Alastyr. — Liberagli le caviglie e portalo di là.

Allorché Sarcyn lo issò in piedi Camdel barcollò, perché era rimasto legato tanto a lungo che ora gli riusciva difficile camminare; un po’ spingendolo e un po’ sostenendolo, l’apprendista lo condusse in un’altra camera, dove un panno di velluto nero ricamato con strani simboli e sigilli era stato appeso ad una parete; lanterne contenenti candele pendevano da alcuni ganci e in un angolo c’era un piccolo braciere di bronzo da cui esalava una lieve nube di incenso. Nel centro del pavimento spiccava un robusto anello di ferro inserito in una botola che dava indubbiamente accesso ad una cantina o a qualche altro locale del genere.

— Era tutto pronto e stavamo soltanto aspettando che tu ti svegliassi — affermò Alastyr, e Camdel odiò più che mai la sua voce untuosa. — Ti avverto che se cercassi di lottare potresti farti del male, quindi ti conviene restartene sdraiato tranquillo.

A quelle parole Sarcyn lo spinse prono sul pavimento con tale violenza da troncargli il respiro e si affrettò a legargli le mani all’anello di ferro, spostandosi poi di lato. Quando sollevò lo sguardo, Camdel vide che Alastyr si era venuto a mettere davanti a lui, a meno di un metro di distanza e che teneva le mani sollevate all’altezza delle spalle, con il palmo in avanti. Alla luce delle candele i suoi occhi sembravano brillare mentre lui fissava quelli del prigioniero, che all’improvviso scoprì di non poter distogliere lo sguardo nonostante tutti i suoi tentativi in quel senso: gli occhi di Alastyr lo avevano intrappolato e lui ebbe l’impressione che il vecchio lo stesse prosciugando delle energie vitali in un modo misterioso che non riusciva a comprendere.

Poi Sarcyn gli si inginocchiò accanto e cominciò a sfilargli i calzoni, allungando una mano sotto di lui per slacciarli e accarezzarlo, e Camdel prese a dibattersi come un pesce preso all’amo. L’apprendista era però troppo forte per lui e alla fine il giovane nobile rimase disteso immobile, seminudo e tremante di paura, con lo sguardo fisso negli occhi di Alastyr mentre Sarcyn gli allargava le gambe e s’inginocchiava in mezzo ad esse. Il vecchio prese allora a cantilenare qualcosa in una lingua incomprensibile, un sommesso e ritmico mormorio ancora più spaventoso per il modo lento e controllato in cui veniva pronunciato.

Quando sentì le mani di Sarcyn afferrargli i glutei, Camdel comprese quello che stava per accadere e desiderò urlare, ma nessun suono gli scaturì dalla gola.


Nel grigiore umido dell’alba il campo cominciò a svegliarsi… gli uomini si alzarono sbadigliando e imprecando, i cavalli presero a tirare le corde che li legavano con sbuffi sommessi. Al suo posto di guardia vicino al fiume, Rhodry ripose la spada nel fodero e appoggiò a terra lo scudo mentre aspettava che il capitano venisse a confermare la fine del suo turno. Il suo sguardo si posò su un campo di grano che si allargava dalla parte opposta del fiume con gli steli color oro pallido maturi per il raccolto e lui pensò che era ormai estate, la sua prima dannata estate come daga d’argento.

Quando finalmente un grido e un cenno del capitano lo avvertirono che poteva andarsene, si affrettò a rientrare al campo, dove lasciò cadere lo scudo accanto alle coperte per poi affrettarsi a raggiungere i carri dei rifornimenti per prendere granaglie per il cavallo e un po’ di colazione per se stesso.

Gli altri venti uomini della banda di guerra erano già là e Rhodry si accodò alla fila dietro Edyl, un giovane guerriero dal volto squadrato che fino a quel momento si era dimostrato il solo componente della banda disposto a rivolgere la parola ad una daga d’argento.

— Salve, Rhodry. Devo dedurre che non hai visto nemici strisciare verso di noi… oppure stavi dormendo, là fuori?

— Oh, non è stato difficile restare sveglio, con il resto di voi che russava sonoramente.

Edyl scoppiò a ridere e gli assestò un amichevole colpo alla spalla. Vicino al carro, il massiccio servitore di Lord Gwivan si fece largo in testa alla fila per prelevare la colazione del suo signore.

— Quanto dista ancora la fortezza di Lord Daen? — domandò Rhodry.

— Appena una ventina di chilometri. Se questi maledetti carri non si fracassano lo raggiungeremo entro stanotte.

— Pensi che resteremo bloccati in un assedio?

— Ecco, è questa la voce che circola, giusto? Preghiamo che non sia vero.

Fin da quando si era fatto coinvolgere in questa guerra combattuta nell’Auddglyn, Rhodry stava cercando di capire cosa stava succedendo esattamente. Per quel che era riuscito a sapere, Lord Daen e un certo Lord Laenrydd avevano in corso da tempo una faida che era stata rinfocolata da un incidente di poco conto. Ciascuno dei due nobili aveva allora convocato i suoi alleati per schierare in campo l’esercito più grande di cui poteva disporre, e Rhodry era stato assoldato da un alleato di Daen, Marclew; dal momento però che era tenuto a inviare a Daen soltanto ventuno uomini, Marclew era rimasto a casa e aveva affidato a suo figlio Gwivan il comando della banda di guerra, una cosa vergognosa che tormentava costantemente Rhodry: appena la scorsa estate lui era stato il cadvidroc di un grande esercito e adesso era soltanto una daga d’argento, assoldata per evitare che un altro uomo dovesse andare in guerra.

La banda tolse il campo senza problemi e si mise in marcia due ore dopo l’alba. Metà degli uomini procedeva insieme al suo signore in testa alla colonna, poi venivano i carri che sobbalzavano nel mezzo e infine la retroguardia. Come daga d’argento, Rhodry era stato posto proprio in coda alla colonna, dove respirava la polvere sollevata da tutti gli altri. Mentre marciava, si trovò a pensare a Jill, chiedendosi se era al sicuro alla fortezza con il resto della banda di guerra e con il lord stesso, che era vedovo; la gelosia era una sua costante compagna, che lo tormentava di continuo con il ricordo di quanto lei fosse bella; quando erano partiti insieme, lui era riuscito momentaneamente a dimenticare che in futuro sarebbero rimasti separati per settimane o addirittura per mesi, durante i quali non avrebbe avuto modo di sapere se Jill gli era rimasta fedele.

Lentamente, la colonna si snodò attraverso le basse colline coperte da alberi e arbusti; metodicamente, Rhodry passò intanto in rassegna ciascun uomo rimasto alla fortezza, chiedendosi se Jill lo avrebbe trovato interessante… il fatto che ogni uomo che la vedeva la desiderasse era per lui una conclusione scontata e il solo interrogativo era se Jill avrebbe accolto la corte di qualcuno. Il suono improvviso di un corno d’argento infranse le sue cupe riflessioni e Rhodry si sollevò sulle staffe con un grido involontario, guardandosi intorno: più avanti sulla strada una banda di guerra armata e pronta a combattere era schierata in modo da sbarrare loro il passo.

— I nemici, ragazzi! — gridò Gwivan. — Armatevi!

Mentre staccava lo scudo dalla sella e se lo infilava nel braccio sinistro, Rhodry guidò il cavallo con le ginocchia in modo da farlo uscire dalla colonna e da spingerlo oltre i carri. Intorno a lui lo schieramento di marcia si dissolse in una vorticante confusione punteggiata di imprecazioni allorché gli altri uomini fecero lo stesso, ma proprio mentre Rhodry arrivava in testa allo schieramento il suono di un altro corno annunciò una seconda banda di guerra che si riversò giù dalle colline in modo da bloccare loro un’eventuale ritirata.

A quel punto Rhodry cominciò a chiedersi se avrebbe mai rivisto Jill, fedele o meno che fosse; imprecando sommessamente sfilò un giavellotto dal fodero fissato sotto la sua gamba destra proprio nel momento in cui la banda di guerra nemica cominciava ad avanzare verso di loro.

— Gwivan! — gridò il suo capo. — Arrenditi, giovane idiota.

Il nobile spronò il cavallo fino a portarsi qualche passo più avanti rispetto ai suoi uomini incupiti. Avendo calcolato che c’erano trenta guerrieri davanti a loro e altri quaranta alle loro spalle, Rhodry si preparò a morire combattendo nel caso che Gwivan avesse rifiutato di arrendersi.

— Usa il cervello, ragazzo! — insistette il nobile a capo dei nemici. — Non è neppure una faida che ti riguardi! Lascia che tuo padre riscatti te e i tuoi uomini: a me non interessa uccidervi, voglio soltanto che per oggi non riusciate a raggiungere Daen. Non c’è disonore ad arrendersi di fronte a forze così schiaccianti, e poi i soldi del riscatto ci farebbero comodo. Dietro di lui la banda di guerra scoppiò a ridere per quella battuta.

— Belle parole, Ynryc — gridò Gwivan, di rimando, — ma cosa mi dici di Lord Degwyc?

— Non è con noi e ti do la mia solenne parola d’onore che sarai al sicuro da lui se ti arrenderai a me.

Gwivan rifletté così a lungo che Rhodry si sentì prossimo a imprecare per la frustrazione: la sua vita era sospesa al filo della ragnatela di una faida riguardante uomini che lui neppure conosceva.

— Affare fatto — disse infine Gwivan. — Accetto il tuo impegno.

Rhodry si concesse un profondo sospiro di sollievo.

Lentamente, i nemici in attesa vennero avanti e li circondarono. Ynryc prese quindi posizione accanto ad uno dei carri e rimase a controllare mentre uno alla volta Gwivan e i suoi si avvicinavano e deponevano le armi. Rhodry si presentò per ultimo e gettò dapprima sul carro i giavellotti, estraendo poi con riluttanza la spada, una splendida lama di ottimo acciaio con l’elsa modellata nella forma del drago di Aberwyn. Quello era il solo oggetto che lui amasse quanto amava Jill, e deporlo sul mucchio gli costò un notevole sforzo.

— È una spada davvero bella, daga d’argento — osservò Ynryc. — Preda di guerra?

— No, mio signore, ma un dono da parte di un uomo che ho servito bene — rispose Rhodry, pensando a suo padre che gli aveva donato la spada.

— Devi aver combattuto come un demonio per guadagnarti una spada del genere — commentò ancora il nobile, poi si girò verso Gwivan, che se ne stava seduto in sella accanto a lui con aria cupa. — Tuo padre deve aver preso sul serio i suoi impegni se è arrivato a separarsi dai suoi soldi per assoldare una daga d’argento.

Gwivan serrò la bocca in una linea sottile.

— Ah, non è colpa tua se tuo padre è così dannatamente tirchio — proseguì Ynryc. — Pensi che pagherà il riscatto per questo ragazzo?

— Mio padre è un uomo d’onore — ringhiò Gwivan, — e non è tirchio.

— È soltanto un po’ attento con i suoi soldi, vero?

Ynryc scoppiò a ridere della sua stessa battuta e Gwivan si fece scarlatto in volto per la vergogna, mentre Rhodry si sentiva assalire da un gelido senso di timore: se Marclew non avesse pagato il riscatto lui sarebbe stato ridotto ad una condizione appena superiore a quella di un servo e sarebbe divenuto per anni una proprietà di Ynryc, fino a quando non avesse ripagato il suo debito con il proprio lavoro.


Lord Marclew era talmente furibondo che tutti i presenti nella grande sala sentirono senza difficoltà la notizia. Seguito da un avvilito scriba e da un ciambellano, il nobile prese a passeggiare avanti e indietro tuonando imprecazioni all’indirizzo del clan, della virilità e del nome stesso di Ynryc, mentre Jill sostava vicino al muro insieme ad alcune serve e osservava quell’uomo enorme e ancora robusto nonostante i capelli grigi brandire il messaggio di Ynryc in un pugno massiccio e protenderlo verso lo scriba come se il poveretto fosse stato responsabile di averlo scritto e non di averne soltanto dato lettura.

— Che sfacciataggine! — ringhiò Marclew. — Catturare mio figlio sulla strada con un subdolo trucco da bastardo e poi farsi beffe di me dandomi dell’avaro! — Il nobile scagliò la pergamena contro lo scriba che l’afferrò al volo e si ritrasse immediatamente. — Cos’è che ha scritto, quel figlio di buona donna?

— «So che Vostra Signoria attribuisce un alto valore al denaro, tenendolo stretto come gli altri uomini preferiscono fare con una donna, ma indubbiamente suo figlio significa per lui abbastanza da indurlo a separarsi da una parte dei suoi tesori. Abbiamo stabilito un prezzo di due regali d’oro di Deverry, uno per i suoi uomini, inclusa la daga d’argento, e per i servitori…

— Che sfacciataggine! — ululò ancora Marclew. — Si aspetta davvero che paghi il riscatto di una puzzolente daga d’argento? Lo fanno per beffarsi di me, e che io sia dannato se starò al loro gioco.

Con un ringhio, Marclew riprese a passeggiare avanti e indietro, mentre il ciambellano si girava verso Jill e le segnalava con un cenno di venire a implorare il nobile. Jill però scosse il capo in un gesto di diniego e lasciò la grande sala; una delle serve, una ragazza di nome Perra, la seguì e la prese per un braccio.

— Cosa vuoi fare? Perché non lo implori? — chiese.

— Perché ho io il denaro necessario a riscattare personalmente Rhodry. In tutti gli anni che ho trascorso sulla lunga strada non ero mai stata trattata così miseramente da un nobile e che io sia dannata se intendo sopportarlo oltre. Se fossi un bardo, trasformerei Marclew in un oggetto di satira.

— Oh, molti bardi lo hanno già fatto, ma non è servito a nulla.

Jill scese nelle stalle, dove dormiva in un angolo accanto al suo cavallo; là un garzone l’aiutò a sellare l’animale e le spiegò come arrivare alla fortezza di Ynryc, che si trovava a circa un giorno e mezzo di viaggio.

— Sta’ attenta, ragazza — raccomandò l’uomo. — Sulle colline le bande di guerra saranno fitte come pulci su un cane.

— Baderò a me stessa. Puoi darmi un po’ di avena per il mio cavallo, oppure il tuo tirchio signore ti batterà se lo farai?

— Non lo saprà mai. Bisogna avere cura di un cavallo come quello.

Quasi sapesse che gli era stato rivolto un complimento, Sunrise scrollò la testa e fece ondeggiare la criniera argentea sul collo dorato; quel corsiero occidentale era stato un dono di Rhodry, quando lui aveva ancora avuto la possibilità di elargire doni di valore a chi lo serviva.

Jill lasciò la fortezza senza neppure rendere a Marclew l’omaggio di salutarlo e percorse i primi chilometri al galoppo per lasciarsi alle spalle la rocca; quando arrivò alle ampie rive erbose del fiume Lit permise infine a Sunrise di rallentare il passo per raffreddarsi. All’improvviso, il suo gnomo grigio apparve sul pomo della sella, appollaiato in precario equilibrio.

— Stiamo andando a prendere Rhodry, e poi imboccheremo ancora la lunga strada — spiegò Jill. — Marclew è un porco.

Lo gnomo sogghignò e assentì vigorosamente.

— Spero proprio che lo stiano trattando bene. Per caso sei andato a dargli un’occhiata?

Lo gnomo annuì vigorosamente in risposta ad entrambe le domande.

— Sai, piccolo fratello, c’è una cosa che non comprendo: nonostante il suo sangue elfico, Rhodry non riesce a vederti — osservò ancora Jill.

Lo gnomo si tormentò pensosamente i lunghi denti azzurrini mentre rifletteva sulla domanda, poi scrollò le spalle e scomparve. A quanto pareva, neppure lui era in grado di capire la cosa.

La strada si snodava attraverso basse colline, allontanandosi a volte dal fiume quando esso s’incanalava in qualche gola profonda e ritrovandolo poi nelle vallate; ai due lati si allargavano chilometri e chilometri di pascoli che ricoprivano le colline sulle quali Jill scorse qua e là capi di bestiame dagli orecchi rossicci sorvegliati da un mandriano e da un paio di grossi cani grigi e bianchi. Sul finire della giornata, la ragazza aveva appena aggirato un’ampia curva della strada quando vide lontano sulla destra alcuni corvi che saltellavano nell’erba alta oppure si levavano in volo e tornavano a posarsi per nutrirsi dopo aver descritto qualche cerchio nel cielo.

Inizialmente Jill suppose che ad aver attirato gli uccelli fosse la carcassa di un vitello, nato troppo debole per sopravvivere, o di qualche vecchia giovenca che si era ammalata ed era morta prima di essere trovata dai mandriani, ma d’un tratto lo gnomo grigio tornò ad apparire e afferrò le redini con le dita ossute, scuotendole con forza e indicando in direzione dei corvi.

— Vuoi che vada a dare un’occhiata? — domandò Jill.

Lo gnomo annuì con espressione eccitata.

Legato Sunrise ad un cespuglio vicino alla strada, la ragazza si affrettò a seguire lo gnomo; al loro avvicinarsi i corvi fuggirono con strida indignate, andando ad appollaiarsi su un albero vicino da dove potevano tenere d’occhio la loro preda, la carcassa di un cavallo che giaceva nell’erba con ancora indosso le briglie e la sella, le cui cinghie di cuoio affondavano in profondità nella carne gonfia.

Se si fosse trattato del cavallo di un membro di una banda di guerra che si era azzoppato, il suo padrone gli avrebbe però tolto i finimenti prima di dargli il colpo di grazia.

Trattenendo il respiro, Jill si avvicinò maggiormente, abbastanza da scorgere le gemme e l’argento che brillavano sulle briglie.

— Per ogni dio e sua moglie! Chi può aver mai abbandonato finimenti del genere? — esclamò.

Lo gnomo però non la stava ascoltando ed era invece intento a frugare nell’erba, separandola con le mani per sbirciare fra gli steli, il piccolo volto ossuto contratto in un’espressione concentrata. Mentre lo osservava, Jill si rese conto che già qualcun altro aveva cercato in quella zona, perché l’erba circostante era calpestata e strappata per un ampio raggio tutt’intorno al cavallo; quando infine si avviò verso lo gnomo, un bagliore dorato attirò la sua attenzione e la indusse a raccogliere l’oggetto che lo aveva causato, un bracciale formato da un semicerchio di oro puro decorato con un elaborato disegno di rose e di spirali. Pur non avendo mai visto un gioiello del genere indosso a nessuno, Jill aveva sentito narrare storie in cui si diceva che essi erano appartenuti agli eroi dell’Alba dei Tempi. Quello doveva essere quindi un oggetto di famiglia trasmesso di generazione in generazione per secoli, e di certo doveva valere almeno venti volte il suo peso in oro.

— Ehi, era questo che stavi cercando? — chiamò.

Lo gnomo le si avvicinò con espressione confusa, toccò il bracciale con un lungo dito, lo annusò e infine sorrise improvvisando una piccola danza di trionfo.

— Benissimo, allora lo porteremo con noi — decise Jill.

Lo gnomo annuì e scomparve. Nell’avvolgere il bracciale nei suoi calzini di riserva per poi riporlo nelle sacche della sella, Jill si trovò a chiedersi chi avesse ucciso quel cavallo e che ne fosse stato del suo cavaliere, e all’improvviso le giunse l’avvertimento del dweomer, un brivido gelido che le corse lungo tutta la schiena come se qualcuno l’avesse accarezzata con una mano ghiacciata. In quel luogo stava succedendo qualcosa di pericoloso che esulava dalla sua comprensione ma che lei poteva fiutare nello stesso modo in cui sentiva il puzzo del cavallo morto. Quel pomeriggio percorse una notevole distanza prima di accamparsi e durante la notte quasi non chiuse occhio, sonnecchiando soltanto a tratti nel montare la guardia.


Quella stessa notte Nevyn si trovava in una piccola locanda a circa centocinquanta chilometri di distanza. Il vecchio aveva dedicato le ultime due settimane alle ricerche di Camdel, dopo che uno dei due spiriti annessi alla Grande Gemma dell’Ovest era venuto a informarlo del suo furto. Dal momento che di rado gli capitava di dormire più di quattro ore per notte, Nevyn era ancora sveglio e intento a riflettere su quel furto sconvolgente quando lo gnomo grigio di Jill apparve davanti a lui.

— Buona sera, piccolo fratello. Jill è da queste parti?

Lo gnomo scosse il capo in segno di diniego, poi prese a saltellare in tondo con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

— Cosa significa? Ci sono buone notizie?

L’essere fatato annuì e si lanciò in un’elaborata pantomima, servendosi delle mani per descrivere un piccolo oggetto rotondo e fissando poi la forma da lui modellata come se stesse evocando un’immagine in essa.

— Oh, dèi! Ti riferisci alla Grande Gemma dell’Ovest?

Lo gnomo assentì e mimo l’atto di cercare qualcosa e di trovarla.

— L’hai trovata? Ah, ho capito, vuoi dire che ce l’ha Jill?

Quando lo gnomo assentì ancora, Nevyn si sentì sopraffare da un intenso terrore.

— Ti rendi conto che questo significa che lei sta correndo un terribile pericolo? Gli uomini che l’hanno rubata vorranno riavere la gemma a tutti i costi e uccideranno per riprenderla.

Lo gnomo spalancò la bocca ed emise addirittura un flebile lamento, cosa che riusciva molto difficile ai membri del Popolo Fatato.

— Torna da lei, e al primo segno di pericolo vieni ad avvertirmi. Hai capito?

Annuendo, lo gnomo scomparve. In preda al panico nella misura in cui questo era possibile alla sua mente disciplinata, Nevyn si girò verso il braciere posto in un angolo della camera e ad un cenno della sua mano il Popolo Fatato del Fuoco arroventò i carboni contenuti in esso. Fissandoli, Nevyn evocò l’immagine di Jill.

Quasi subito la vide, accampata da sola vicino ad un fiume fra colline ondulate. Anche se stava dormendo, era seduta con la schiena addossata ad un albero e aveva la spada stretta in pugno. Se non altro, quindi, era consapevole di essere in pericolo, ma Nevyn sapeva che quella spada le sarebbe servita a ben poco contro il genere di nemici che era destinata ad incontrare… e poi, dov’era Rhodry, in nome di tutti gli dèi? Con irritazione, il vecchio diresse a lui i propri pensieri e lo vide, disteso sulle sue coperte sul pavimento di una baracca sovraffollata, i cui occupanti erano tutti uomini cupi dall’aria vergognosa e infelice. Ampliando la focalizzazione, Nevyn fece passare la propria mente attraverso la porta della baracca e vide all’esterno alcuni uomini armati di guardia: quindi Rhodry era stato catturato mentre combatteva per qualche signore in questa o in quella guerra, e adesso Jill era sulla strada da sola.

Nevyn prese a imprecare con tale veemenza che per poco la visione non si dissolse, ma subito la rinforzò e mandò di nuovo la sua mente verso Jill, perché adesso la cosa più importante era stabilire dove si trovava. Usando il suo campo come punto di partenza, il vecchio allargò la visione in cerchi concentrici sempre più ampi fino a vedere quanto bastava per stabilire che Jill era nell’area centrale dell’Yr Auddglyn. A quel punto dissolse la visione e prese a passeggiare con irrequietezza mentre elaborava i suoi piani: doveva viaggiare in fretta, quindi avrebbe comprato un secondo cavallo perché passando da una cavalcatura all’altra avrebbe potuto percorrere ogni giorno un maggior numero di chilometri.

— Devo raggiungerla in tempo — disse ad alta voce, — e in nome di tutti gli dèi giuro che ci riuscirò, a costo di sfiancare ogni cavallo su cui metterò le mani.

Nonostante quelle parole, la sua paura andò però crescendo, perché i maestri oscuri che avevano organizzato il furto dovevano essere più vicini di lui alla ragazza. Tornato accanto al braciere, passò il resto della notte a vegliare su Jill tramite il fuoco.


Lo specchio giaceva su un panno di velluto nero, ricamato con pentacoli rovesciati, il simbolo malvagio di coloro che erano disposti a lacerare l’ordine stesso della natura. Due candele ardevano su ciascun lato, e la loro luce si rifletteva sul centro della superficie concava. Inginocchiato davanti allo specchio, Alastyr si puntellava con le mani contro il pavimento, desiderando di avere a disposizione un tavolo; dal momento che non aveva mai visto la Grande Gemma dell’Ovest, non ne poteva evocare l’immagine nel modo consueto e più facile, quindi trasse un profondo respiro ed invocò i malvagi nomi dei Signori dell’Esteriorità e dell’Apparenza. Allo scandire di ciascun nome sentì gli spiriti che si raccoglievano dietro di lui, tenendosi però appena fuori della portata della sua mente.

— Mostratemi la pietra — ingiunse.

Sagome incerte presero ad avvicendarsi nel centro dello specchio, ma nessuna di esse si trasformò in un’immagine nitida: per quanto Alastyr imprecasse contro di loro, gli spiriti continuavano a sfuggirgli come avevano fatto per tutta la giornata.

— Abbiamo bisogno di sangue — decretò infine, sollevando lo sguardo.

Sarcyn sorrise e si diresse verso l’angolo della cucina in cui Camdel era raggomitolato in preda al terrore; quando Sarcyn lo issò in piedi il nobile prese a piagnucolare, ma l’apprendista lo ridusse al silenzio con uno schiaffo.

— Non morirai — gli disse, — e la cosa potrebbe perfino piacerti. Stai cominciando a vedere come dolore e piacere si possono fondere, vero, piccolo uomo?

Passivo, con la bocca semiaperta, il giovane nobile si appoggiò parzialmente contro Sarcyn mentre questi lo trascinava verso lo specchio posato sul panno; allorché Evy si avvicinò con il coltello rituale dalla lama sottile, Sarcyn si portò alle spalle di Camdel e prese ad accarezzarlo intimamente mentre Alastyr iniziava il canto destinato ad evocare gli spiriti che lui aveva addestrato perché gli obbedissero. Tre gnomi neri e distorti e uno spiritello dalla bocca immensa orlata di denti rossi come il sangue si materializzarono davanti a lui.

Sollevando il coltello, Evy praticò un taglio sul dorso della mano di Camdel, che gemette ma si rilassò al tempo stesso all’indietro nell’abbraccio di Sarcyn, mentre il suo sangue prendeva a gocciolare. Subito gli spiriti deformi del Popolo Fatato si raccolsero intorno a lui, intercettando le gocce con la lingua: anche se il sangue in se stesso non avrebbe dato loro un vero nutrimento, essi stavano attingendo il magnetismo grezzo che trasudava dal sangue e dalla condizione di eccitazione sessuale di Camdel. A poco a poco, la ferita poco profonda smise di sanguinare e gli gnomi protesero verso Alastyr le mani munite di artigli.

— Non ne avrete più finché non mi avrete mostrato la pietra. Soltanto allora ve ne darò ancora.

Gli spiriti si smaterializzarono e Sarcyn ritrasse la mano sebbene Camdel stesse ormai tremando, prossimo all’orgasmo.

— Più tardi — gli sussurrò l’apprendista nell’orecchio, — ripeteremo il rituale. Finirà per piacerti… nonostante ciò che puoi pensare di te stesso. La scorsa notte ti ho ampiamente soddisfatto.

Camdel lo guardò con un’espressione in cui il disgusto lottava con il desiderio. Ignorandoli entrambi, Alastyr tornò ad inginocchiarsi davanti allo specchio.

— Mostratemi la gemma! — ordinò.

Nello specchio rischiarato dalle candele si formarono nubi vorticanti che lentamente si trasformarono in oscurità. Sorridendo, Alastyr si protese in avanti mentre l’oscurità cedeva il posto ad immagini concrete: colline che si stendevano sotto un cielo stellato, un cavallo impastoiato vicino ad un albero sotto il quale un ragazzo armato di spada camminava avanti e indietro. No, non era un ragazzo… quella era Jill, la giovane guerriera che l’anno prima aveva già interferito nei suoi piani.

— La pietra — sussurrò. — Dov’è la pietra?

La visione scese velocemente verso il basso e si concentrò sulle sacche della sella.

— Adesso mostratemi con esattezza dove si trova la ragazza.

La visione tremolò, poi prese ad espandersi… e all’improvviso svanì in un bagliore di luce bianca. Semiaccecato, Alastyr cadde quasi in avanti sullo specchio mentre gli esseri del Popolo Fatato tornavano ad apparire… e dalla loro espressione terrorizzata il maestro oscuro comprese che qualcuno li aveva banditi. Una persona dotata di un grande potere nel dweomer stava quindi proteggendo quella ragazza, ed Alastyr non aveva dubbi su chi potesse essere.

— Il Maestro dell’Aethyr — sussurrò.

Annuendo, gli gnomi confermarono la sua supposizione e svanirono mentre Alastyr si sedeva all’indietro sui talloni e prendeva in considerazione l’idea di rinunciare ad impossessarsi della pietra. Aveva però impiegato anni a trovare gli informatori e a tendere le sue trappole, e aveva poi consumato una grande quantità di potere per incantare Camdel e tenerlo sottoposto a incantesimo per settimane, per cui adesso si rifiutava di fuggire ancora, se non dopo aver avuto in mano la pietra. Inoltre, l’estate precedente aveva avuto modo di vedere Jill in carne ed ossa, quando lei e il suo famoso padre si trovavano in una taverna di Eldidd; a quell’epoca aveva pensato che essere riuscito a vederla fosse stata soltanto una fortuna momentanea, ma adesso era certo che i Signori dell’Esteriorità e dell’Apparenza lo avessero guidato fino a lei. Avendola incontrata di persona, infatti, avrebbe ora potuto evocare normalmente la sua immagine e Nevyn non avrebbe così avuto modo di individuarlo. Sollevando lo sguardo scoprì che Sarcyn lo stava osservando.

— Ho visto chi ha la gemma — gli disse, — e dovremmo riuscire con facilità ad ucciderla.


Il mattino successivo Jill si svegliò dopo poche ore di sonno sentendosi rigida e indolenzita. Il sole era già alto sull’orizzonte, e nell’accorgersene lei avvertì un irrazionale timore per aver indugiato tanto. Se non altro, Sunrise aveva già finito di pascolare e lei poté legargli intorno al muso la sacca piena di granaglie, provvedendo poi a mangiare a sua volta un po’ di pane e formaggio senza neppure sedersi. Il giorno era sorto soleggiato e caldo, ma Jill si sentiva intrisa di freddo, come se avesse avuto la febbre, e quella sensazione la spinse a raccogliere in fretta le sue poche cose, lasciando a Sunrise appena il tempo di finire l’avena prima di rimettersi in marcia.

Quel mattino la strada la condusse lontano dal fiume e a mano a mano che proseguì la scura linea di montagne che separava l’Yr Auddglyn dalla provincia di Cwm Pecl incombette sempre più vicina, come una schiera di nubi basse sull’orizzonte. Verso mezzogiorno, nell’attraversare al trotto una valletta Jill vide sulla strada una nuvola di polvere che avanzava verso di lei; di lì a poco la nube rivelò sei uomini armati e Jill si affrettò ad allentare la spada nel fodero, ma quando la incrociarono i cavalieri la salutarono con un cenno amichevole.

— Aspetta un momento, ragazzo — disse il loro capo. — Per caso sei latore di un messaggio da parte di Lord Marclew?

— No, ma sono diretta alla fortezza di Lord Ynryc, perché la daga d’argento che tiene prigioniera in attesa di riscatto è il mio uomo.

I cavalieri si protesero in avanti sulla sella per scrutarla meglio in viso.

— Non è un Wyrd malvagio che una così graziosa ragazza abbia per marito una daga d’argento? — commentò poi il loro capo, ma un sorriso cortese attenuò l’asprezza del commento. — Il vecchio Marclew non intende riscattarlo lui stesso?

— Forse che il gelido Inferno può diventare caldo e coprirsi di fiori? Sono venuta a trattare di persona con il vostro signore. Siete disposti a lasciarmi passare?

— Ah, ti scorteremo noi stessi alla fortezza, dove scoprirai che il nostro signore è dannatamente più generoso di Marclew. Ti avverto però che al momento è a corto di fondi.

Anche se inizialmente Jill rimase sul chi vive, i sei uomini la trattarono con cortesia, mostrandosi comprensivi per la difficoltà della sua situazione, perché la guerra non era ancora arrivata a quello stadio di ferocia che portava gli uomini a violentare con la stessa noncuranza con cui uccidevano. Inoltre, Jill fu costretta ad ammettere dentro di sé di essere lieta di avere una scorta armata, anche se non avrebbe saputo dire perché fosse tanto certa di averne bisogno.

La fortezza di Ynryc distava altri sei chilometri e sorgeva appollaiata sulla cresta di una collina, cinta da un terrapieno e da una cerchia di mura all’interno della quale si levava una massiccia rocca di pietra, larga quasi quanto era alta… cosa che Jill non aveva mai visto prima… e circondata dal consueto assortimento di capanne e di baracche. Il cortile era pieno di cavalli legati all’esterno per mancanza di un numero sufficiente di stallaggi, e al limitare di quella mandria Jill scorse il cavallo da guerra baio di Rhodry, lasciato in disparte come se la cavalcatura di una daga d’argento condividesse la vergogna del suo padrone.

Uno dei membri della scorta improvvisata di Jill, un uomo biondo e robusto chiamato Arddyr, l’accompagnò nella grande sala, che era affollata come una città in giorno di mercato: fra i tavoli aggiuntivi e i mucchi di coperte quasi duecento uomini sedevano o gironzolavano, bevendo birra e parlando degli imminenti combattimenti, mentre al tavolo d’onore quattro nobili che sfoggiavano il loro plaid sopra i calzoni erano intenti a studiare una mappa di pergamena. Quando Jill seguì Arddyr verso di loro, uno di quei nobili, un individuo grasso e brizzolato, si girò a guardarli.

— Lord Ynryc? — lo interpellò Arddyr. — Questa dama ti può disturbare per un momento? Ti ricordi di Rhodry, la daga d’argento? Questa è sua moglie, e Marclew le ha rifiutato il denaro del riscatto del suo uomo.

— Quel vecchio mucchio di sterco di porco! — commentò Ynryc, poi si girò verso uno degli uomini che gli sedevano accanto. — Bene, Maryl, ho vinto la scommessa e mi devi una moneta d’argento.

— Infatti. La mia fiducia che a Marclew restasse ancora qualche brandello di onore mi è costata cara. Tuttavia… ragazza, prima d’ora non avevo mai sentito parlare di una daga d’argento che avesse moglie.

— Senza dubbio io sono la sola ragazza del regno tanto stupida da averne scelta una come suo uomo, mio signore, ma Rhodry significa tutto per me. Non dispongo di un regale di Deverry, ma sono pronta a pagare tutte le monete che posseggo pur di riaverlo.

Ynryc esitò, mordicchiandosi le estremità del baffi, poi scrollò le spalle.

— Voglio una moneta d’argento come pagamento simbolico — disse, — e niente di più.

— Se fossi un bardo, mio signore, canterei il tuo nome per questo.

Cinque minuti più tardi Arddyr rientrò nella sala insieme a Rhodry, che portava su una spalla le sacche della sella e teneva il rotolo delle coperte sotto l’altro braccio; lasciato cadere a terra il suo equipaggiamento, il giovane s’inginocchiò davanti a Lord Ynryc. Dopo che Jill gli ebbe consegnato la simbolica moneta d’argento il lord restituì la spada al giovane e lo invitò a rialzarsi.

— Sei un uomo fortunato ad avere una donna coraggiosa come questa — gli disse. — Promettimi che non combatterai più contro di me in questa guerra.

— Lo giuro dal profondo del cuore — replicò Rhodry. — Mi credi tanto stupido da cavalcare ancora per Marclew?

I nobili seduti al tavolo d’onore scoppiarono in una sonora risata.

Dal momento che era generoso come si conveniva ad un lord, Ynryc permise a Rhodry e a Jill di cenare con la servitù e diede loro rifugio per la notte nella fortezza. Dopo molte ricerche nella rocca affollata un servo trovò loro dove dormire in un magazzino, dove Jill stese a terra le loro coperte fra file di cipolle e botti di birra, mentre Rhodry sollevava la spada e la esaminava centimetro per centimetro alla luce della lanterna.

— Non è intaccata, vero? — domandò Jill.

— Per fortuna no, siano ringraziati gli dèi della guerra — rispose lui, riponendo l’arma nel fodero e posandola a terra accanto a sé. — Amor mio, tu sei troppo buona con un uomo disonorato come me.

— Idiozie.

Sorridendo, Rhodry le posò le mani sulle spalle, accarezzandola e traendola a sé.

— Non ti ho ancora ringraziata adeguatamente per avermi riscattato — sussurrò. — Vieni qui a sdraiarti vicino a me.

Non appena le loro labbra si toccarono Jill non riuscì a pensare ad altro che a lui ma più tardi, quando erano ormai entrambi semiaddormentati uno nelle braccia dell’altra, avvertì di nuovo la sensazione di allarme tremolarle nella mente e fu lieta che si trovassero all’interno di una fortezza, circondati da un piccolo esercito.


— Per quel che mi riesce di vedere — affermò pensosamente Alastyr, — ci precedono di circa un giorno e mezzo. Adesso che abbiamo un cavallo per il tuo protetto dovremmo però riuscire a viaggiare più veloci.

— Infatti, maestro — convenne Sarcyn. — Non potresti raggiungerla con la mente e usare un incantesimo per confonderle i pensieri?

— Potrei arrivare a farlo, ma per ora preferisco evitarlo… vedi, è una cosa di cui Nevyn si potrebbe accorgere.

Sarcyn non aveva difficoltà a vederlo. Sebbene l’estate precedente fosse stato lasciato nel Bardek per curare gli affari che il suo maestro aveva laggiù, aveva sentito raccontare molte cose sul Maestro dell’Aethyr e sui suoi enormi poteri.

— E poi c’è da considerare anche Rhodry — proseguì Alastyr, sempre più pensoso. — Quando lo vedremo avremo molte cose interessanti da riferire al Vecchio.

Se vivremo abbastanza a lungo da rivederlo, pensò Sarcyn, fra sé. Aveva infatti l’impressione che i loro piani accuratamente studiati stessero andando in pezzi, proprio come quando un contadino carica troppo un vecchio sacco e il tessuto si riduce a brandelli invece di lacerarsi soltanto. D’altro canto, non avrebbe mai osato esprimere apertamente simili pensieri con il suo maestro, quindi si limitò a lasciar vagare con disagio lo sguardo per il loro campo, dove Camdel se ne stava raggomitolato su una coperta come un neonato ed Evy sedeva accanto al fuoco con lo sguardo fisso sulle fiamme. Sebbene suo fratello tenesse accuratamente sotto controllo la propria espressione per evitare che tradisse la minima emozione, Sarcyn lo conosceva abbastanza bene da sapere che aveva paura. Alla fine, Alastyr si alzò in piedi e si stiracchiò.

— Dimmi una cosa, Sarcco — osservò. — Hai mai avuto la sensazione che qualcuno ci stesse osservando con il dweomer?

— Ci ho pensato, un paio di volte. Credi che sia il Maestro dell’Aethyr?

— No, perché se sapesse che siamo qui ci piomberebbe addosso con la rapidità di un serpente. Se non è lui, allora…

Sarcyn rabbrividì, concludendo da solo quella frase nella propria mente: allora si doveva trattare dei Falchi della Confraternita. In parte sicari e in parte apprendisti del dweomer, i Falchi servivano il consiglio che governava il dweomer oscuro e le forze da esso controllate perché pur avendo un’organizzazione troppo scarsa per possedere un vero e proprio codice, la Confraternita aveva però bisogno di uno strumento per punire i traditori.

— E perché mai ci dovrebbero osservare? — chiese, ad alta voce.

— La scorsa estate ho fallito, giusto?

— Ma il Vecchio non ce ne ha fatto nessuna colpa.

— È vero. — Alastyr esitò, sinceramente sconcertato. — Allora forse si tratta di qualche seguace di Nevyn — suggerì, con esitazione, poi aggiunse: — È meglio che mi ritiri in disparte per un po’ per meditare su tutto questo.

Mentre il maestro si allontanava a grandi passi nel buio Evy sollevò lo sguardo per osservarlo con espressione apatica.

— Suvvia, fratello — lo rincuorò Sarcyn. — Riusciremo ancora a tirare questa castagna fuori dal fuoco.

— Davvero?

Sarcyn si limitò a scrollare le spalle ed Evy riprese a fissare le fiamme.

— Stai evocando qualche immagine? — gli chiese ancora Sarcyn.

— No, sto soltanto pensando che vorrei non essermi mai lasciato coinvolgere dal dweomer oscuro.

— Cosa? Con tutto il potere che offre ad un uomo?

— Oh, certo, è una cosa per cui vale la pena di rischiare.

Sarcyn comprese però che Evy stava dicendo soltanto quello che lui voleva sentire e cominciò a riflettere a sua volta, chiedendosi cosa avrebbe fatto se Evy avesse mostrato una tale debolezza da indurre il maestro a ordinare la sua morte.

Sarcyn non era certo che avrebbe obbedito.


— Dal momento che ho giurato di non prendere più parte a questa guerra, da che parte andiamo? — chiese Rhodry, sbadigliando.

— Oh, potremmo dirigerci ad est verso Marcmwr — rispose Jill. — In questo periodo dell’anno ci sono sempre carovane dirette a Dun Hiraedd.

— Oh, dèi, ho davvero la nausea di quei puzzolenti mercanti e dei loro ancor più puzzolenti muli! Non sono stato allevato per fare da governante a un branco di umili mercanti.

— Rhoddo, in tutta la tua vita hai scortato soltanto due carovane.

— Due sono già troppe.

Jill gli prese il volto fra le mani e lo baciò.

— Se sei a caccia di spargimenti di sangue, le montagne sono piene di banditi. È per questo che le carovane hanno bisogno di una scorta.

E così quando lasciarono la fortezza di Ynryc puntarono ad est verso Marcmwr. La strada prese a inerpicarsi costantemente su per le colline e i due lasciarono i cavalli liberi di procedere con lentezza, mentre con l’aumentare dell’altitudine intorno a loro i pascoli cedevano il posto alle macchie di pini contorti tipiche di quella zona di Deverry. Stavano attraversando quella foresta scura e silenziosa quando Jill si ricordò all’improvviso del bracciale che aveva nelle sacche della sella.

— Rhodry — disse, — mi è successa una cosa dannatamente strana mentre stavo venendo alla fortezza di Ynryc.

Gli raccontò quindi tutto l’accaduto e Rhodry si mostrò sempre più turbato, convenendo con lei che stava certo succedendo qualcosa di strano, considerato com’erano stati abbandonati i pregiati finimenti del cavallo.

— Perché non ne hai parlato con Ynryc? — chiese infine. — Il cavallo poteva anche appartenere ad uno dei suoi alleati.

— Hai dannatamente ragione — ammise Jill, sentendo un brivido correrle lungo la schiena. — Perché non ne ho parlato, dici? Io… ecco… me ne sono dimenticata.

Rhodry si girò sulla sella per guardarla bene.

— Si tratta di una cosa troppo particolare per poterla dimenticare — sottolineò.

— Lo so — ammise lei, con un altro brivido convulso. — Questa è opera del dweomer. Credi che sia un’idea stupida?

— Vorrei soltanto poterla accantonare come tale — affermò Rhodry, arrestando il cavallo. — È meglio tornare da Ynryc e raccontargli tutto.

Jill acconsentì ma quando accennò a girare il cavallo lo gnomo grigio si materializzò sulla strada davanti a lei e prese a roteare freneticamente gli occhi, agitando le mani come per farla fermare.

— Cosa c’è che non va? — gli domandò la ragazza. — Non dobbiamo tornare da Ynryc?

La creatura scosse il capo con tanto vigore che quasi cadde all’indietro.

— Cosa succede? — volle sapere Rhodry. — È il tuo gnomo?

— Esatto, e non vuole che torniamo indietro. È terrorizzato, Rhoddo.

Lo gnomo svanì per ricomparire subito dopo in grembo a Rhodry, e di lì si protese per battergli un colpetto sulla guancia con fare implorante. Pur non potendo vederlo, il giovane avvertì il contatto della sua mano.

— Il Popolo Fatato mi ha già salvato la vita una volta — osservò. — Se lo gnomo pensa che dietro di noi ci sia un pericolo, sono disposto a credergli sulla parola.

Lo gnomo sorrise e gli assestò una pacca di approvazione su una mano.

— Inoltre — proseguì Rhodry, — possiamo sempre consegnare quell’oggetto al tieryn di Marcmwr.

Subito lo gnomo scosse il capo e gli assestò un pizzicotto al braccio.

— Vuoi che teniamo noi il bracciale? — domandò allora Jill.

Sollevata, la creatura sorrise annuendo, poi svanì, mentre Jill e Rhodry restavano per un momento fermi dove si trovavano, fissandosi a vicenda con espressione sconcertata.

— Prima di ripartire, dammi il tempo di tirare fuori la cotta di maglia dalle sacche della sella — disse infine Rhodry. — Gli dèi sanno che vorrei che ne avessi una anche tu.

— Forse la dovrei comprare a Marcmwr. Dal momento che Ynryc è stato generoso con il tuo riscatto abbiamo ancora soldi a sufficienza.

— Ma davvero? Allora com’è che hai sempre sostenuto che eravamo senza una sola moneta?

— Perché altrimenti avresti speso tutto per bere, e adesso non potrei comprare una cotta di maglia.

— Hai ragione. Ah, devi proprio amarmi, se sei arrivata addirittura a spendere una moneta d’argento per riscattarmi!

Protendendosi sulla sella, Jill gli assestò un colpo energico ad una spalla.

Dopo che Rhodry si fu armato, i due ripresero la marcia ad un’andatura più veloce, entrambi con la spada in pugno e lo scudo pronto bilanciato sul pomo della sella. La strada continuò a salire, snodandosi fra le colline, e Rhodry ne approfittò per guardarsi alle spalle di frequente, avvantaggiato dalla sua vista acuta come quella degli elfi, che gli avrebbe permesso di vedere più lontano di qualsiasi uomo comune e di avvistare quindi eventuali nemici molto prima che essi potessero scorgerli. Davanti a loro, le montagne incombevano scure, ammantate di pini intervallati qua e là da sporgenze di arenaria simili alle nocche di un pugno gigantesco; ogni valletta e ogni gola sembrava il luogo perfetto per un’imboscata, e tuttavia riuscirono sempre a passare oltre senza problemi.

Finalmente raggiunsero la cresta dell’ultima collina e abbassarono lo sguardo su una stretta pianura, cinta dalle montagne ad est e dalle colline ad ovest; su di essa, Marcmwr sorgeva sulla riva di un fiume. La città era formata da circa trecento case cinte da alte mura strette le une alle altre intorno ad un ampio spazio aperto in modo tale da dare quasi l’impressione di essersi ritratte per il timore, mentre in effetti l’ampio tratto di prato era soltanto un pascolo per i cavalli e i muli delle carovane di mercanti che passavano di là.

— Non sono mai stato così dannatamente lieto di vedere una città in tutta la mia vita — commentò Rhodry.

— Lo stesso vale per me.

Jill non si sentì però del tutto al sicuro finché non ebbero oltrepassato le porte rinforzate in ferro accanto a cui erano piazzate alcune guardie armate.


— Stavano quasi per tornare indietro, dannazione a loro! — ringhiò Alastyr.

— È stato lo gnomo della ragazza, maestro — avvertì Sarcyn. — Mentre li osservavo, l’ho visto che li avvertiva.

— Davvero? Allora dovremo fare qualcosa al riguardo.

Nel parlare, Alastyr si rese conto che la loro sensazione di essere osservati di tanto in tanto poteva dipendere semplicemente dal fatto che erano spiati dallo gnomo o da altri esseri del Popolo Fatato… era proprio ora di fornire un esempio che spaventasse quegli esseri e li tenesse lontani.


Rhodry e Jill rimasero a Marcmwr per due giorni, pernottando in una malconcia locanda vicino alle porte settentrionali, la sola di quella città commerciale piena di locande che fosse disposta ad accogliere una daga d’argento. Dal momento che in un abitato così piccolo non esisteva la bottega di un armaiolo, durante il primo giorno di permanenza i due si recarono alla fortezza del tieryn locale e contrattarono con il ciambellano l’acquisto di una vecchia cotta di maglia per Jill, mentre il secondo giorno Rhodry s’impegnò seriamente per trovare un ingaggio che finalmente ottenne da Seryl, un mercante che si era assunto l’incarico di portare a Dun Hiraedd una carovana carica di armi e di articoli di lusso.

Dun Hiraedd era una città strana e nuova, perché era stata fondata appena ottant’anni prima. In origine le era stato dato lo splendido nome di Privddun Ricaid, e cioè la «principale fortezza reale», ma la prima guarnigione installata là l’aveva ribattezzata «Fortezza Nostalgia», e quel nome le era rimasto. Creata per ordine del re, il suo solo scopo era quello di fornire un centro legale e militare alla provincia di Cwm Pecl, che la popolazione sempre più numerosa di Deverry stava lentamente colonizzando. All’epoca di Jill e di Rhodry, la lontana valle era ancora un posto solitario che non avrebbe mai potuto pagare le tasse necessarie al mantenimento di un gwerbret se il re stesso non avesse fornito un contributo. Ogni estate, gli agenti reali assoldavano uomini come Seryl perché conducessero carovane di merci fino alla città del gwerbret.

Dal momento che stava spendendo il denaro del re e non il suo, Seryl si dimostrò generoso in merito alla paga di Rhodry, offrendogli due monete d’argento a settimana e accettando senza protestare di pagare anche il mantenimento di Jill e del suo cavallo.

— Voglio inoltre che tu mi trovi degli altri ragazzi — disse il mercante. — Per loro la paga sarà di una moneta d’argento a settimana.

— Affare fatto. Non dovrei avere problemi a trovare altre guardie di scorta in una città come questa.

Rhodry tornò però alla locanda con il cuore pesante. Aveva infatti ottimi motivi per non voler rivedere Dun Hiraedd, ma al tempo stesso aveva un bisogno disperato di soldi, in quanto l’acquisto della cotta di maglia per Jill li aveva lasciati con una manciata di monete di rame. Come prevedeva, il giovane trovò il locandiere, un tizio magro con unti capelli castani, che lo aspettava sulla soglia.

— Allora? — gli chiese questi, in tono secco.

Non appena Rhodry gli porse la moneta d’argento ricevuta come anticipo, il locandiere divenne di colpo tutto sorrisi e si affrettò ad andargli a prendere un boccale di birra. La fumosa e semicircolare sala comune della taverna era affollata di giovani che avevano osservato con grande interesse la scena del passaggio di mano della moneta. Quelli erano uomini laceri, sporchi, malamente vestiti e armati, del genere che si poteva trovare in tutto il regno, alla perenne ricerca di un posto nella banda di guerra di un nobile e disposti ad accettare nel frattempo di scortare le carovane, tutti animati dal sogno della gloria acquisita in battaglia che si annidava in fondo al cuore della maggior parte degli uomini di Deverry. Lasciandoli ancora per un po’ alle loro supposizioni, Rhodry andò a sedersi accanto a Jill, che stava sorseggiando un boccale di birra ad un tavolo da cui poteva tenere d’occhio la porta.

— Hai trovato un ingaggio? — gli chiese lei.

— Sì. Scorteremo una delle carovane reali.

Distratta da qualche suo pensiero, Jill si limitò ad annuire.

— C’è qualcosa che non va? — volle sapere Rhodry.

— Sono dannatamente preoccupata per lo gnomo — rispose lei, riducendo la voce ad un sussurro. — Non è più venuto da me da quando siamo entrati in questa puzzolente città. Mentre non c’eri ho tentato di chiamarlo: in passato è sempre apparso subito, ma questa volta non si è fatto vedere.

— Oh, suvvia, chi può sapere cosa passa nella sua piccola mente?

— È una cosa seria! — insistette Jill, con la voce che tremava per la preoccupazione.

— Allora ti chiedo scusa, ma cosa gli potrebbe mai essere successo?

— Non lo so, ma potrebbe essere di tutto, considerato ciò che abbiamo scoperto.

Naturalmente, Jill alludeva al fatto che c’era dweomer tutt’intorno a loro. Rhodry le batté qualche colpetto su una mano per rassicurarla, ma non riuscì a trovare nulla di confortante da dire.


Un alone rosso permeava ogni cosa e lui non si poteva muovere. Odiando quella condizione, lottò per liberarsi ma alla fine cedette alla pura e semplice disperazione. Pur essendo incapace di parlare, ricordava immagini e sensazioni, rammentava di essersi librato libero verso la sua vera casa quando erano apparsi quegli altri, distorti e crudeli, che lo avevano afferrato e trascinato giù. Poi rammentava il terrore, e la voce cantilenante di un uomo. Da quel momento c’era stato soltanto l’alone rosso che gli impediva di muoversi. Un’immagine del volto di lei gli affiorò nella mente e lui fu sopraffatto da un doloroso miscuglio di amore e di terrore, sentendosi pervadere dalla sola parola che poteva pronunciare: Jill, Jill, Jill.


La carovana si radunò vicino alle porte orientali in una mattina calda e afosa; trattenendo Sunrise da un lato, Jill rimase a guardare mentre Rhodry e Seryl discutevano dello schieramento di marcia in mezzo ad una confusione di muli raglianti e di polvere. Con loro c’erano quaranta muli carichi delle merci del re, quindici mulattieri muniti di bastoni, quattro guardie armate di spada e il giovane servo di Seryl, Namydd. Dopo aver disposto gli uomini intorno alla carovana, Rhodry ordinò a Jill di portarsi in testa al gruppo con il mercante e assunse personalmente il pericoloso compito di fare da retroguardia. Dopo che Seryl ebbe levato una preghiera a Nwdd, il dio dei mercanti, il convoglio si avviò sotto il sole rovente fra i ragli di protesta dei muli, puntando verso le montagne che si levavano scure, striate di roccia chiara e aguzze come zanne.

Il convoglio impiegò l’intera giornata a percorrere quindici chilometri a causa del calore e della strada erta che si snodava con curve continue fra le alture rocciose e fitte macchie di pini contorti che offrivano migliaia di punti adatti ad un’imboscata. Allorché la carovana si accampò per la notte, Jill si accodò a Rhodry mentre questi poneva tre uomini di guardia e si offrì di montare un turno lei stessa. Rhodry rifiutò la sua offerta ma decise comunque di incrementare il numero delle sentinelle con tre mulattieri; anche se le sue decisioni erano sostenute dall’autorità di Seryl, la cosa ebbe però l’effetto di rendere gli uomini cupi quanto i loro muli.

— Ascolta, daga d’argento — ribatté uno di essi, — sei tu ad essere pagato per stare sveglio, non noi.

— Avrete modo di dormire abbondantemente nell’Aldilà se sarete sorpresi dai banditi. Intendete eseguire i miei ordini oppure no?

— Io non prendo ordini da feccia par tuo.

Rhodry sferrò al mulattiere un destro allo stomaco seguito da un sinistro sotto la mascella; mentre Jill indugiava ad ammirare il modo in cui l’uomo si era afflosciato come un sacco vuoto, Rhodry lasciò vagare lo sguardo sul cerchio di uomini che stavano guardando la scena a bocca aperta.

— Chi è il prossimo che vuole discutere? — chiese.

I mulattieri fissarono l’uomo steso a terra e poi Rhodry.

— Farò io il turno di guardia — rispose infine uno di essi. — Dove vuoi che ci disponiamo?

Dopo una notte pacifica il convoglio riprese la marcia circa due ore dopo l’alba e iniziò la lenta salita alla volta del pericoloso passo di Cwm Pecl, dove più di una carovana era stata massacrata dai banditi; una volta che lo avessero oltrepassato i pericoli sarebbero diminuiti perché Blaen, il Gwerbret di Cwm Pecl, manteneva pattuglie di sorveglianza sul suo lato delle montagne.

— I banditi di solito non attaccano le carovane reali — spiegò Seryl a Jill, mentre cavalcavano, — perché sanno che in quel caso gli uomini del gwerbret darebbero loro la caccia in forze. Dopo tutto, si tratta di beni destinati a loro.

Nonostante quelle affermazioni, Seryl non pareva però rassicurato dalle proprie parole. Quando arrivarono al passo, verso mezzogiorno, Jill decise che quel posto era all’altezza della sua pessima reputazione: lungo circa quindici chilometri, era una gola dalle pareti verticali e dal fondo costellato di enormi massi che costrinsero la colonna a procedere in fila per uno.

— Sarà faticoso per le bestie — affermò Rhodry, — ma non ci fermeremo finché non saremo dall’altra parte.

Perfino i muli parvero fiutare il pericolo nell’aria perché accelerarono l’andatura e la mantennero costante senza che i mulattieri dovessero infliggere una sola frustata o lanciare una sola imprecazione. Per tutto il tempo, Rhodry continuò a spostarsi su e giù per la colonna con parole d’incitamento per gli uomini; dopo qualche chilometro la strada accennò ad allargarsi ma non smise di snodarsi intorno a mucchi di rocce cadute. Ogni volta che Jill gli lanciava un’occhiata, Seryl si limitava ad annuire, tornando poi a fissare la strada. Qualche tempo dopo Rhodry venne a raggiungerli.

— Spostati più indietro nella colonna, buon mercante — disse. — D’ora in poi starò qui io.

— Ti aspetti guai, daga d’argento?

Rhodry annuì, sollevando lo sguardo verso la sommità rocciosa della gola che incombeva su di loro, costellata di massi.

— Ho combattuto un numero sufficiente di guerre per riuscire a fiutare il pericolo in arrivo — replicò, — ed ora ne sento l’odore.

Con un gemito Seryl fece girare il cavallo e indietreggiò per assumere una posizione più sicura; quando Rhodry accennò a slacciare lo scudo assicurato al pomo della sella, Jill lo imitò.

— Non ho nessuna speranza di convincerti a restare fuori da tutto questo, vero? — chiese il giovane, impugnando un giavellotto.

— Nessuna — replicò Jill, guardandosi alle spalle e vedendo che Rhodry aveva posizionato le guardie immediatamente dietro di loro. — Dopo aver ucciso Corbyn ho perso ogni desideno di andare ancora in guerra, ma Epona mi è testimone che sono dannatamente decisa a combattere per salvarmi la vita.

Rhodry le indirizzò un sorriso pieno di tensione, come se non si fosse aspettato di meno da lei. Per un altro chilometro e mezzo la strada continuò a zigzagare fra i massi, facendosi appena più larga, mentre la polvere sollevata dai muli rimaneva sospesa nell’aria immobile come una bandiera che annunciasse il loro approssimarsi. Jill avvertì una leggera sensazione di gelo alla bocca dello stomaco, perché ora sapeva cosa significasse andare in battaglia, e abbassò lo sguardo sulla spada che le brillava in pugno, quella spada che suo padre le aveva regalato.

Oh, Pa, pensò. È stata una cosa dannatamente buona che tu mi abbia insegnato ad usarla.

Un momento più tardi la strada descrisse una brusca svolta e Jill li vide… una ventina di uomini armati che bloccavano la pista una decina di metri più avanti. Alle sue spalle la carovana si trasformò in una massa caotica mentre i mulattieri facevano arrestare i muli e cercavano di portarsi avanti con i loro bastoni.

— Per Aberwyn! — esclamò Rhodry, lanciando senza riflettere l’antico grido di guerra, e scagliò il giavellotto che stringeva in pugno, sguainando poi la spada mentre esso stava ancora descrivendo il suo arco.

In risposta i banditi si scagliarono urlando alla carica, ma il cavallo del loro capo barcollò e si accasciò con il giavellotto di Rhodry piantato nel petto, proiettando il suo cavaliere sotto gli zoccoli delle cavalcature degli altri uomini. Mentre Rhodry guidava incontro ai nemici il suo drappello di uomini Jill spronò Sunrise per affiancarsi a lui.

Non c’era il minimo dubbio che le guardie della carovana fossero numericamente inferiori, ma il passo era troppo stretto perché i banditi potessero sfruttare la loro forza numerica; essi erano inoltre armati poveramente, con corazze ricavate da pezzi di legno e di cuoio messi insieme alla meglio fra cui si scorgeva di tanto in tanto una cotta di maglia. A questo si aggiungeva il fatto che non si erano mai trovati a dover affrontare un berserker come Rhodry, che menava fendenti letali lanciando ululanti risate. Combattendo invece in assoluto silenzio, Jill affrontò un avversario, schivò il suo goffo affondo e lo raggiunse in pieno al torace privo di armatura. L’uomo si accasciò oltre il collo del cavallo con il sangue che gli inzuppava la camicia, facendo impennare la cavalcatura del compagno più vicino mentre Sunrise, addestrato alla battaglia, si limitava a spostarsi lateralmente senza cessare di avanzare. Allorché il cavallo che si era impennato tornò a ricadere sulle quattro zampe, Jill ebbe l’occasione di sferrare un buon colpo al suo cavaliere, trapassandogli il fianco appena oltre il bordo della sua corazza di cuoio.

Un fendente improvviso le calò con violenza sulla schiena, lasciandola quasi senza fiato anche se venne deviato dalla cotta di maglia. Rendendosi conto di essersi spinta troppo oltre, si girò ciecamente e intercettò un secondo colpo con lo scudo… appena in tempo. Sotto di lei Sunrise cercò di voltarsi nella mischia e intanto Jill continuò a menare colpi, parando più di quanto attaccasse. Un momento più tardi sentì la demoniaca risata di Rhodry venire verso di lei e subito si mise a combattere con rinnovato vigore, ruotando di qua e di là sulla sella e parando ogni fendente che le pioveva addosso, mentre Sunrise schivava, si spostava e mordeva con cattiveria i cavalli che lo attorniavano; la risata si fece sempre più vicina, levandosi stridula al di sopra delle urla e delle grida di guerra, poi l’uomo che si trovava sulla destra di Jill crollò al suolo con il collo squarciato dalla spada di Rhodry e lui le fu accanto. Fianco a fianco, i due ripresero a lottare per liberarsi dalla mischia. D’un tratto, uno dei banditi si lanciò in fuga lungo il passo, infine atterrito dalla risata di Rhodry, e subito un altro lo seguì urlando. Con il tipico coraggio della loro specie, i banditi finirono per cedere al panico, spingendosi a vicenda nel darsi alla fuga.

— Lasciateli andare! — urlò Rhodry, — Si combatte dietro di noi.

Un istante più tardi girò il cavallo e si lanciò verso la carovana con la risata che tornava a scaturirgli dalle labbra. Alcuni banditi erano infatti riusciti a passare e Jill vide una delle giovani guardie da loro assoldata che stava lottando disperatamente per proteggere Seryl da uno di essi. Il bandito uccise il ragazzo proprio mentre Sunrise gli arrivava a ridosso: con un urlo di rabbia, Jill trapassò l’uomo alla schiena con tanta violenza da scagliarlo al suolo. Gli altri assalitori si diedero allora alla fuga, ma trovarono sulla loro strada Rhodry e le due guardie superstiti. Jill intanto afferrò le redini del cavallo di Seryl, che aveva riportato un lungo taglio al braccio ed era accasciato in avanti sulla sella.

— Non avrei mai creduto di vedere un giorno una ragazza salvarmi la vita — sussurrò il mercante. — Comunque grazie, daga d’argento.

Calmare i muli in preda al panico fu un’impresa quasi più ardua della battaglia appena combattuta, ma alla fine i mulattieri superstiti riuscirono a ristabilire una sorta di ordine e a creare una mandria stretta con aria infelice nel centro del passo. Mentre Jill faceva tutto il possibile per i feriti, Rhodry e le guardie andarono a controllare i caduti per vedere se c’era ancora qualcuno vivo, riportando al campo i loro compagni e tagliando la gola ai banditi superstiti con la stessa calma con cui avrebbe potuto farlo il giustiziere del re. Jill aveva appena finito di fasciare l’ultimo mulattiere ferito quando le portarono il servo di Seryl, che era caduto da cavallo ed era stato calpestato; sebbene fosse ancora vivo, il ragazzo sputava sangue e aveva entrambe le gambe spezzate.

— Oh, dèi! — gemette Seryl. — Il mio povero Namydd.

Il ragazzo sollevò lo sguardo con occhi che ovviamente non erano più in grado di riconoscerlo.

— Non possiamo spostarlo — affermò il mercante, in tono secco. — Ne morirebbe.

— Morirà comunque — replicò Jill. — Mi dispiace, buon signore, ma questa è la dura verità.

Con un altro gemito, Seryl passò una mano fra i capelli del ragazzo e Jill lo lasciò al suo dolore, andando a raggiungere Rhodry che era inginocchiato accanto all’ultimo bandito, con la daga d’argento insanguinata stretta in pugno. Il bandito, un ragazzo che non poteva avere più di quindici anni, stava gemendo in maniera così pietosa da indurre il giovane ad esitare a finirlo.

— Non farlo — suggerì Jill. — Tanto sta morendo.

Sentendola, il ragazzo girò il volto da un lato e scoppiò in pianto.

— Io posso arginare l’emorragia — osservò Jill, inginocchiandoglisi accanto. — Se lo faccio, ci dirai quello che sai?

— Sì. Oh, dèi, quanto fa male!

Il taglio all’inguine era tanto profondo che Jill impiegò parecchio tempo ad arrestare la fuoriuscita di sangue; quando ebbe finito il ragazzo era talmente debole da avere a stento la forza di parlare, ma lei riuscì comunque sapere che era un apprendista fuggito dal suo maestro dopo averlo derubato e che si era appena unito alla banda, composta in tutto da trentuno uomini. Il fatto che dieci di essi fossero stati lasciati a guardia del campo costituiva una notizia davvero sgradevole.

— Torneranno — affermò Rhodry. — Stanotte si leccheranno le ferite, ma domani…

— Ne abbiamo uccisi dodici su trentuno.

— È vero, ma abbiamo perso due guardie e sei mulattieri. Se non altro, sappiamo almeno cosa aspettarci. È un bene che tu abbia deciso di risparmiare quel ragazzo.

— Non si tratta di questo. Mi sembrava che ci fosse qualcosa che lui avrebbe dovuto essere in grado di dirci.

— Cos’è? Ancora quel tuo dannato dweomer?

— Infatti. Ah, per ogni inferno e il suo ghiaccio, vorrei che il mio gnomo tornasse. Giuro che lui deve sapere qualcosa di tutto questo.

Rhodry rabbrividì come un cavallo morso da un tafano e Jill sollevò lo sguardo verso la sommità della gola. Sapeva che qualcuno li stava osservando… non era mai stata tanto certa di qualcosa in tutta la sua vita… ma nulla si muoveva fra le montagne silenziose e incombenti.

Namydd morì al tramonto, sputando sangue dai polmoni fracassati. Dopo aver cercato di confortare come poteva il mercante, Jill prese a girovagare con irrequietezza per il campo, dove i mulattieri sedevano in un gruppetto silenzioso e sfinito, simili a pecore spaventate in attesa di essere finite dai lupi.

Il confine della provincia di Cwm Pecl non è lontano, pensò, ma potrebbe anche essere dall’altra parte del Mare Meridionale per il bene che ce ne può derivare.

Poi le venne un’idea che, per quanto spericolata e pazzesca, era la sola possibilità che restasse loro. Quando gliela espose, Rhodry imprecò contro di lei.

— Non essere idiota! — aggiunse poi. — Per quel che ne sappiamo, il resto di quella feccia può essere accampato lungo il passo. Non intendo permetterti di andare via da sola, e questo è tutto.

— Far arrivare un messaggio ad una delle pattuglie di Blaen è l’unica speranza che abbiamo e tu stai dimenticando che io dispongo di Sunrise. Anche se mi vedessero, nel tempo che impiegheranno per sellare i cavalli e scendere nel passo io sarò lontana, e non raggiungeranno mai un corsiero occidentale. Inoltre io non peso molto, e anche se si è stancato durante lo scontro Sunrise ha avuto tutto il pomeriggio per riposare.

Mentre parlava, la ragazza stava procedendo a sellare l’animale. Rhodry imprecò, minacciò e discusse, ma alla fine fu Jill a spuntarla, per il semplice motivo che quella era davvero la loro unica speranza. La luna piena stava ormai sorgendo quando lei si allontanò nel buio con la spada in pugno e lo scudo sul braccio, lasciando Sunrise libero di scegliere il percorso fra i massi.


Per molto tempo Rhodry rimase fermo al limitare del campo, con lo sguardo fisso nella direzione in cui era scomparsa Jill, e alla fine si concesse di versare qualche fugace lacrima al pensiero del pericolo che lei stava correndo, prima di tornare indietro. Gli uomini avevano intanto acceso un piccolo fuoco, e la maggior parte dei mulattieri stava già dormendo, nel tentativo di soffocare il terrore nel solo modo possibile. Al sopraggiungere di Rhodry le due guardie superstiti, Lidyc e Abryn si alzarono in piedi e lo fissarono con la cieca speranza che quella daga d’argento potesse ancora salvarli con la sua esperienza in fatto di battaglie.

— Dormite un poco — disse loro Rhodry. — Monterò io il primo turno di guardia.

I due annuirono e Abryn accennò a dire qualcosa, limitandosi però poi a scrollare le spalle. Preso con sé lo scudo e l’elmo, Rhodry si allontanò di qualche centinaio di metri lungo il passo. Sotto la luce della luna poteva vedere ogni particolare con la stessa chiarezza come se fosse stato giorno, perfino i colori… caratteristica ereditata con il suo sangue elfico. Il servizio di guardia era sempre e comunque un’incombenza noiosa, e la sua preoccupazione per Jill servì soltanto a far trascorrere il tempo con lentezza ancora maggiore; le ombre ingannevoli davano l’impressione che ci fossero dovunque cose che si muovevano… magari conigli o furetti… ma quando lui accennava a guardare in direzione del movimento esso cessava. Del resto, qualsiasi fosse la sua causa, essa era troppo piccola per poter costituire una minaccia. Quando infine la posizione della luna indicò che era passata da parecchio la mezzanotte, Lidyc venne a dargli il cambio.

— Avresti dovuto svegliarmi prima — protestò.

— Mi stanco meno della maggior parte degli uomini. Quando rientrerai per il cambio della guardia, avverti Abryn di svegliarmi prima dell’alba.

Lidyc sorrise, come se pensasse che lui si stesse addossando quelle fatiche soltanto per risparmiare i suoi uomini, ma Rhodry poteva effettivamente resistere lunghe ore senza dormire… un altro dono connesso al suo retaggio elfico. Nel tornare al campo, il giovane si arrestò vicino al bandito ferito, che stava gemendo e nell’inginocchiarglisi accanto giunse alla conclusione che gli sforzi fatti da Jill per salvargli la vita erano andati sprecati: il volto del ragazzo era talmente arrossato dalla febbre da rendere evidente la presenza di un’infezione.

— Quale daga d’argento sei? — sussurrò il ferito.

— Sono Rhodry. Perché?

— Dov’è la ragazza?

— È andata a cercare aiuti.

— Possiede davvero i gioielli?

— I cosa?

— I gioielli, quelli che lei ha con sé, secondo quel vecchio. Dovevamo catturarla viva e prenderle i gioielli.

Rhodry lo afferrò per le spalle e lo scrollò.

— Dimmi la verità! — ringhiò. — Quale vecchio?

— Quello che ci ha assoldati — rispose il bandito, con voce impastata e indistinta. — Non conosco il suo nome, ma ci ha assoldati perché prendessimo la ragazza.

— Che aspetto ha?

Allorché il ragazzo non rispose Rhodry lo scosse nuovamente, ma poi si accorse che era svenuto e si rialzò con un’imprecazione, allontanandosi. Pensando che ormai era troppo tardi per seguire Jill pianse ancora, poi tornò a sostituire Lidyc perché con quel nuovo timore che lo angustiava sarebbero trascorse ore prima che gli riuscisse di dormire. Le aveva permesso di andare da sola quando era proprio lei la vera preda di quella partita.


Verso mezzanotte Sunrise cominciò ad essere veramente stanco e Jill smontò di sella per liberarlo dal suo peso mentre entrambi proseguivano il cammino incespicando per la spossatezza. Sebbene si sentisse la schiena in fiamme per via del peso della cotta di maglia, la ragazza decise di non toglierla… tutto quello a cui riusciva a pensare era riposare, ma sapeva che se lo avesse fatto si sarebbe addormentata. Un chilometro più tardi arrivò al punto più alto del passo, dove accanto alla strada si levava un rozzo pilastro di pietra su cui era intagliato uno stallone rampante, lo stemma del gwerbret di Cwm Pecl.

— È una vista piacevole quanto una intera ora di sonno. Ormai non ci deve più essere molta strada — osservò Jill.

Sunrise sbuffò stancamente, a testa bassa, e lei si appoggiò con la schiena al pilastro, concedendo al cavallo qualche minuto di riposo. D’un tratto, seppe che la stavano osservando e sentì un brivido gelido lungo la schiena. Con la spada in pugno, lasciò cadere le redini e si addentrò sulla strada di qualche passo, girando lentamente in cerchio per scrutare la sommità delle alture dove però non si muoveva nulla né si scorgevano sagome nemiche stagliate contro lo sfondo della luce lunare. Raccolte le redini del cavallo, si rimise in marcia con passo reso più veloce dalla paura.

La sensazione andò crescendo al punto che il sudore prese a correrle lungo la schiena. La stavano sorvegliando e da un momento all’altro avrebbe potuto imbattersi nell’imboscata che le sarebbe costata la vita, dietro la prossima curva o il prossimo mucchio di rocce. Tuttavia percorse un altro chilometro senza che accadesse nulla e a poco a poco le erte pareti cominciarono ad abbassarsi, la strada a farsi più ampia, più sgombra, più adatta ad un attacco da parte di quegli invisibili osservatori che continuavano a seguirla mentre lei camminava accanto al cavallo e gli accarezzava il collo sudato, incoraggiandolo con parole sommesse.

Quando alla fine Sunrise incespicò e quasi cadde, gli permise di fermarsi, con la testa tanto bassa da toccare quasi il terreno, e prese in considerazione l’eventualità di lasciarlo lì. Di colpo, sentì l’ignoto osservatore svanire: sconcertata, si guardò intorno e scorse a meno di cento metri di distanza, sul lato della strada, una torre circondata da un basso muro di pietra che poteva essere soltanto una delle famose stazioni delle pattuglie del Gwerbret Blaen, che dava alloggio ad una piccola banda di guerra di stanza vicino al confine e pronta a qualsiasi intervento… una spesa che nessun altro nobile di Deverry era pronto a sostenere. Gettando indietro il capo, Jill scoppiò a ridere.

— Vieni, vecchio amico — disse. — Possiamo percorrere ancora qualche metro.

Barcollando, Sunrise si lasciò guidare fino alle porte rinforzate in ferro su cui era intagliato lo stemma del cavallo rampante. Giunta davanti ad esse, Jill pregò che qualcuno sentisse le sue grida di richiamo, ma poi notò un bagliore argenteo sotto la luce della luna… un corno, assicurato all’anello delle porte. Afferrandolo, soffiò in esso e ne trasse una lunga nota disperata mentre Sunrise scrollava la testa con uno sbuffo di trionfo.

— Chi è là! — domandò una voce dall’interno.

— Una daga d’argento. Ci sono dei banditi al passo.

Le porte si aprirono di una fessura e uno degli uomini che montavano la guardia l’afferrò per un braccio, tirandola al sicuro.


— E dobbiamo semplicemente aspettare qui? — domandò Seryl.

— È la cosa migliore — rispose Rhodry. — Con le spalle addossate all’altura ci sarà più facile combattere.

Annuendo in segno di assenso, Seryl lo fissò come un bambino affamato avrebbe fissato suo padre, certo al di là di ogni logica che lui avrebbe trovato da mangiare anche quando ogni speranza era perduta. Nella grigia luce dell’alba i due fecero il giro del campo mentre Rhodry cercava di venire a patti con la dolorosa certezza che Jill fosse morta. La propria fine era una cosa che sentiva di poter accettare con calma, ma non quella di Jill, e il suo solo conforto derivava dal fatto che presto avrebbe avuto la possibilità di vendicarla trascinando con sé nell’Aldilà qualcuno di quei banditi. Il campo era stato fortificato nel miglior modo possibile, ammucchiando il carico dei muli fino a formare un rozzo muro a protezione dei mulattieri, che si trovavano così con le spalle a ridosso dell’altura e con i muli impastoiati vicino a loro. Ripetendo ancora una volta i propri ordini, Rhodry ricordò ai mulattieri che quando lui e le altre due guardie fossero stati uccisi loro avrebbero dovuto spaventare i muli e dirigere la mandria nel folto dei banditi, perché così sarebbero probabilmente riusciti ad eliminarne qualcuno.

— E combattete fino alla morte — concluse, — perché non otterrete comunque misericordia.

Infine lui, Lidyc e Abryn montarono in sella e si portarono davanti alla barricata improvvisata; pur essendo pallidi, i due ragazzi apparivano calmi e decisi a morire da uomini. A poco a poco la luce del sole si fece più intensa con il lento trascorrere dei minuti e Rhodry si rese conto di essere impaziente di morire e di raggiungere la sua amata nell’Aldilà. Finalmente udirono un rumore di zoccoli e un tintinnio di finimenti… i suoni prodotti da parecchi uomini che stavano cavalcando verso di loro… e con un cenno della spada Rhodry segnalò ai compagni di muoversi per andare incontro al nemico. In quel momento la banda di guerra aggirò la svolta della strada al trotto, venti uomini in cotta di maglia, montati su buoni cavalli e muniti di scudo su cui spiccava lo stemma rosso e oro di Cwm Pecl. Alle proprie spalle, Rhodry sentì l’esplosione di grida di entusiasmo e di risa isteriche che si verificò all’interno del campo ma lui rimase in silenzio, incapace di parlare a causa del sollievo che provava nel sapere che Jill era salva. Poi il capitano della banda di guerra avanzò verso di lui.

— Bene, daga d’argento — disse con un sorriso, — pare che tutti siano contenti di vederci.

— Davvero non ho mai provato tanto piacere nel vedere qualcuno in vita mia. Quando vi ha raggiunti l’altra daga d’argento?

— Circa un’ora dopo la mezzanotte, ed è un ragazzo resistente, anche se dimostra appena quattordici anni. Era praticamente sul punto di crollare ma ha continuato ad insistere per tornare indietro con noi.

— È fatto così — convenne Rhodry, più che disposto a lasciare che i guerrieri continuassero a pensare che Jill era un ragazzo. — Hai portato un chirurgo? Abbiamo alcuni feriti — proseguì, sfilandosi l’elmo e spingendo indietro il cappuccio della cotta di maglia.

— Certamente… — Il capitano s’interruppe di colpo, fissandolo in volto. — Ecco… volevo dire… mio signore.

— Oh, dannazione! Allora ci siamo già incontrati, giusto?

— Più di una volta, mio signore.

— Non mi chiamare mai più così. Il mio nome è Rhodry e niente altro.

Il capitano annuì con un atteggiamento di silenziosa comprensione che risultò irritante. Girato il cavallo, Rhodry guidò la banda di guerra verso il campo, ma quando accennò a smontare di sella il capitano si affrettò a venire a tenergli le briglie.

— Smettila! Prima dicevo sul serio.

— D’accordo, allora. Rhodry e niente altro.

— Così va meglio. Ora dimmi, quanto dista da qui la vostra stazione di pattuglia? Ho intenzione di rivolgere qualche parola di encomio alla nostra giovane daga d’argento.

— Con un cavallo fresco sono circa cinque ore di viaggio, ma il ragazzo non sarà più là quando arriveremo perché l’ho mandato a Dun Hiraedd con un messaggio, chiedendo rinforzi. Ha detto che sarebbe partito all’alba.

Rhodry imprecò sonoramente e il capitano, che a quanto pareva continuava a pensare a lui come a Lord Rhodry Maelwaedd, si affrettò a fornire una spiegazione.

— Ho dovuto portare con me tutti gli uomini che avevo. Questa marmaglia non attacca quasi mai le carovane del re, perché sa che in casi del genere interveniamo in forze, quindi qui sta succedendo qualcosa di dannatamente strano.

Rhodry però non lo stava quasi ascoltando. Jill era di nuovo sola sulla strada, e sapeva meno di lui in merito ai pericoli che la braccavano.


— Mi è scivolata fra le mani — disse Sarcyn. — Ero ad appena un chilometro di distanza da lei quando ha raggiunto la stazione di pattuglia.

— Lo so — replicò Alastyr. — Stavo seguendo ogni cosa a distanza.

— Se tu avessi pensato a evocare prima la sua immagine…

Alastyr lasciò passare sotto silenzio quel riaffiorare della fin troppo familiare arroganza perché in quel momento il pericolo che correvano era eccessivo per poter rischiare di litigare fra loro. Anche se Evy e Sarcyn erano entrambi buoni spadaccini, tutt’intorno a loro c’erano diciannove banditi furenti, troppi perché Alastyr potesse gettare un incantesimo su tutti. Il nuovo capo eletto dalla banda, un uomo massiccio dai capelli rossi chiamato Ganedd, venne avanti a grandi passi con le braccia incrociate sul petto.

— Non ci avevi detto che quella ragazza sapeva combattere come un demone uscito dall’inferno! — esclamò.

— Vi avevo avvertiti che era abile con la spada.

Ganedd emise un ringhio allarmante e Alastyr si affrettò a tirare fuori il sacchetto che aveva preparato per loro.

Ganedd ne versò il contenuto sul palmo della propria mano pelosa, e il suo volto fu rischiarato da un sorriso alla vista di un regale d’oro, di venti pezzi d’argento e di un rubino squadrato grosso quanto l’unghia del suo pollice.

— Niente rancore, allora — disse, girandosi. — Benissimo, ragazzi, qui abbiamo un gioiello che potremo vendere a Marcmwr e che ci permetterà di vivere da re per mesi.

Mentre i banditi lanciavano grida entusiaste, Alastyr e i suoi apprendisti montarono a cavallo e si allontanarono, tirandosi dietro Camdel. Anche se quei furfanti avrebbero potuto tentare di tendere un’imboscata a uomini che ora sapevano essere ricchi, ad Alastyr sarebbe bastato ricorrere al dweomer per riparare tutti e quattro da un simile evento. Nel cavalcare, si sentì prossimo a imprecare per la frustrazione: erano arrivati così vicino a impadronirsi di quella ragazza! E lui era certo che se soltanto fosse riuscito a prendere Jill viva avrebbe poi potuto cederla a Nevyn in cambio della garanzia di lasciare Deverry sano e salvo… e con la Grande Gemma dell’Ovest.


Jill avrebbe voluto restare alla stazione per aspettare Rhodry, ma nessuna daga d’argento poteva rifiutare l’ordine diretto da parte di un capitano del gwerbret di portare un messaggio al suo signore, senza venire frustata. Dal momento che Sunrise era ancora stanco, lo stalliere le diede un robusto cavallo nero per iniziare il suo viaggio; il capitano le aveva già consegnato credenziali ufficiali in virtù delle quali qualsiasi vassallo di Blaen avrebbe dovuto fornirle da mangiare e un cavallo fresco per accelerare il suo viaggio finché fosse stata impegnata al servizio di sua grazia.

— Ascoltami — disse allo stalliere. — È meglio che Sunrise sia ancora qui quando Rhodry arriverà.

— Cosa pensi che siamo, ladri di cavalli?

— C’è più di un gran signore che ha «barattato» un cavallo che il suo proprietario non intendeva minimamente barattare, e Sunrise è un animale dannatamente prezioso.

— Senza dubbio, ma qui è al sicuro. Voglio dirti una cosa, daga d’argento: i ladri di cavalli sono quelli che noi uomini di Cwm Pecl detestiamo di più. Da noi un ladro di cavalli non se la cava con le mani tagliate: riceve quindici frustate e viene impiccato sulla pubblica piazza.

— Splendido! Allora posso partire con l’animo tranquillo.

Jill lasciò la stazione della pattuglia ad un’andatura veloce, alternando il passo e il trotto fino a quando non fu uscita dalle montagne. Una volta sui più dolci pendii delle colline si poté permettere anche qualche tratto di galoppo e poco prima di mezzogiorno arrivò alla fortezza di un lord, dove ottenne un cavallo fresco e qualcosa da mangiare. Rimessasi in cammino, si lasciò rapidamente alle spalle anche le colline e si venne a trovare sui pascoli ondulati di Cwm Pecl, un terreno per lo più inadatto alle colture ma perfetto per l’allevamento. Sui prati ben irrigati che si allargavano fra macchie di betulle lei vide infatti parecchie mandrie di cavalli che pascolavano tranquille sotto la sorveglianza di alcuni mandriani e numerose mucche bianche con gli orecchi rossicci che se ne stavano distese all’ombra a ruminare.

Ora che era giunta in pianura non ebbe difficoltà ad alternare il trotto e il galoppo, e cambiò cavallo altre due volte, perché la città sorgeva a settanta chilometri abbondanti dalla postazione della pattuglia, una distanza che soltanto un corriere speciale come era lei poteva sperare di coprire in un solo giorno. Al terzo cambio di cavallo il sole cominciava però ad essere basso nel cielo e il nobile che le aveva fornito l’animale le ricordò che un corriere del gwerbret aveva diritto anche ad alloggio per la notte. Jill prese in considerazione l’offerta, ma uno dei consueti avvertimenti del dweomer la trapassò come un coltello: doveva continuare il viaggio, e il più in fretta possibile.

— Ti ringrazio, mio signore, ma questo messaggio è davvero urgente.

— Allora non dubito che tu sappia cosa sia meglio fare, daga d’argento.

Quando lasciò la fortezza, Jill lanciò il cavallo al galoppo, sentendo il gelo dell’avvertimento del dweomer che l’accompagnava: qualcuno sapeva dove lei si trovava, e quel qualcuno la stava seguendo per farle del male. Dopo la fatica della notte precedente era quasi prossima ad addormentarsi in sella ma si costrinse a resistere e spinse al massimo il cavallo, gridando a tutti quelli che incrociava sulla strada di sgombrarle il passo nel nome del gwerbret. Con esclamazioni stupite gli altri viandanti si affrettavano a spostarsi per obbedire.

Finalmente, oltrepassò la cresta di una bassa collina e scorse sotto di sé la città del gwerbret, Dun Hiraedd, che si allargava sulle due rive di un fiume ed era circondata da alte mura di pietra. Il fiume brillava così intenso sotto la luce del tramonto che Jill fece fatica a guardare verso di esso con i suoi occhi sfiniti. Il tramonto. Le porte della città dovevano essere prossime a chiudersi per la notte. Con un colpo di sproni strappò un ultimo impeto di energia alla sua cavalcatura e si lanciò giù per il pendio, arrivando alle porte proprio mentre i battenti cominciavano ad accostarsi.

— Un messaggio per il gwerbret! — gridò. — Dal passo di Cwm Pecl!

Le porte rimasero aperte e non appena una guardia le corse incontro Jill smontò di sella, esibendo le credenziali.

— Benissimo, daga d’argento — rispose la guardia, prendendole, — ti accompagnerò subito alla fortezza.

Allorché le porte si chiusero alle sue spalle Jill avvertì un sollievo tanto intenso che doveva essere ispirato dal dweomer. Almeno per un po’, qui sarebbe stata al sicuro.

La guardia l’accompagnò in fretta lungo il labirinto di strade lastricate e affiancate da case rotonde e strette le une alle altre. Dalle finestre trapelava la luce delle lanterne e la gente si stava affrettando a rientrare dopo una giornata di lavoro, mentre qua e là si avvertivano profumi di cibo che fecero brontolare lo stomaco di Jill. All’estremità opposta dell’abitato si ergeva una collinetta artificiale cinta da una seconda cerchia di mura dotata di altre porte e di altre guardie, ma il lasciapassare permise loro di entrare nel cortile dell’enorme fortezza di Blaen, dove una torre tripla dominava un agglomerato di capanne e di stalle. Là un paggio portò via il cavallo di Jill e la guardia accompagnò la ragazza nella grande sala.

L’ambiente era illuminato dalle candele e dalla luce del fuoco e Jill si arrestò vicino alla soglia sbattendo le palpebre mentre la guardia andava a parlare con il gwerbret. Accanto ad un camino laterale alcuni servi erano impegnati a servire la cena per il centinaio di uomini della banda di guerra che sedevano ai lunghi tavoli, mentre vicino al camino d’onore il gwerbret stava cenando da solo. Nel guardare le eleganti decorazioni, gli splendidi arazzi, i boccali e i candelabri d’argento posati sui tavoli, Jill si sentì profondamente imbarazzata e si chiese perché quello stupido ufficiale della pattuglia non avesse pensato a indirizzare il messaggio al capitano del gwerbret invece di costringerla a disturbare in quel modo un grande nobile intento a cenare. Una daga d’argento come lei avrebbe dovuto aspettare la risposta nel cortile.

Blaen stesso costituiva una figura tutt’altro che rassicurante. Quando la guardia gli parlò, il nobile si alzò in piedi scuotendo la testa con fare arrogante e squadrando le spalle in un atteggiamento pieno di orgoglio. Il gwerbret era molto più giovane di quanto Jill si fosse aspettata, poteva avere ventuno o ventidue anni, e le ricordava moltissimo Rhodry a causa degli occhi azzurri e dei capelli corvini, anche se non era certo attraente quanto lui.

— Vieni avanti, daga d’argento — scattò Blaen. — Qual è questo messaggio?

Jill si affrettò ad avvicinarsi e accennò ad inginocchiarsi, ma era talmente sfinita che perse l’equilibrio e per poco non cadde a terra.

— Chiedo scusa, Vostra Grazia — balbettò, — ma ho cavalcato per due giorni dopo aver sostenuto una battaglia.

— Per tutti gli dèi! Allora alzati da quel dannato pavimento e prendi una sedia. Paggio! Porta un po’ di sidro! E un vassoio di carne! Muoviti! Questo ragazzo deve essere affamato!

Prima che gli sconcertati paggi avessero la possibilità di intervenire Blaen afferrò personalmente Jill per le spalle e l’aiutò ad alzarsi e a sedersi sulla sua stessa sedia, poi le ficcò in mano un boccale di sidro e si appollaiò sul bordo del tavolo accanto a lei, dimentico del pasto interrotto.

— Scommetto che riesco a indovinare — disse. — Ci sono ancora guai in quel dannato passo.

— Proprio così, Vostra Grazia.

Mentre Jill raccontava l’intera storia, il capitano della banda di guerra di Blaen, un uomo massiccio sui trent’anni con una cicatrice sbiadita su una guancia, si avvicinò per ascoltare. Quando la ragazza ebbe finito, il gwerbret si girò verso di lui.

— Comyn, prendi cinquanta uomini e un cambio di cavalli e parti stanotte stessa. Io… aspetta un momento. — Interrompendosi, Blaen afferrò una fetta di carne arrostita da un piatto dorato e la gettò a Jill. — Prenditi il pane da solo, ragazzo. Ora ascolta, Comyn: dà la caccia a quei dannati banditi e spingili nell’Yr Auddglyn. Se il Gwerbret Ygwimyr avesse il coraggio di protestare al riguardo digli che sarà la guerra se lui non avrà entro due settimane la testa di quei banditi su una picca.

— Lo farò, Vostra Grazia, e manderò un messaggio non appena avrò qualcosa da riferire.

Jill continuò a mangiare mentre i due uomini elaboravano i dettagli della spedizione, poi Comyn si allontanò per andare a radunare i suoi uomini e Blaen prese il suo boccale di sidro, svuotandolo come se fosse stata acqua. Un paggio in attesa si fece subito avanti e tornò a riempire con disinvoltura il boccale.

— Sembra che tu abbia appena toccato il tuo sidro, ragazzo — osservò allora Blaen. — Che sorta di daga d’argento sei, se bevi così lentamente? A proposito, qual è il tuo nome?

— Gilyan, Vostra Grazia, e non sono un ragazzo ma una ragazza.

Blaen la fissò per un momento, poi gettò indietro il capo e scoppiò a ridere.

— Si vede che comincio a diventare vecchio e cieco — commentò, continuando a sorridere. — È proprio vero. Ma cosa ci fa una ragazza sulla lunga strada?

— L’uomo che amo è una daga d’argento e ho lasciato la famiglia per seguirlo.

— È stata una cosa davvero stupida, ma del resto chi può mai sapere cosa fanno le donne! — Blaen accantonò il problema con una scrollata di spalle. — Molto bene, Gilyan, dal momento che non ti posso certo sistemare negli alloggiamenti, per stanotte ti darò una camera qui nella rocca.


Sul finire di quella stessa giornata i cavalieri della pattuglia di Cwm Pecl scortarono quanto rimaneva della carovana di Seryl alla stazione di confine prima di ripartire a caccia dei banditi. Rhodry aiutò a trasportare Seryl su un letto negli alloggiamenti, badò che guardie e mulattieri fossero nutriti a dovere e infine andò nelle stalle per accertarsi che Sunrise fosse sano e salvo. Là lo stalliere lo informò che Jill era effettivamente partita all’alba come corriere speciale.

— Allora starà arrivando a Dun Hiraedd più o meno adesso — commentò Rhodry, osservando il tramonto che trapelava dalla soglia.

— Infatti. Sei mai stato nella nostra città prima d’ora, daga d’argento?

— Un paio di volte. Bene, è tempo che vada a mangiare qualcosa.

Dopo aver cenato, andò a controllare le condizioni del bandito ferito, che era stato rinchiuso in un magazzino, precauzione che risultò essere superflua perché il ragazzo stava morendo. Non soltanto la febbre era tanto alta da impedirgli di parlare, ma nell’entrare Rhodry poté avvertire il fetore dell’infezione anche attraverso le bende. Dopo aver dato da bere al ferito, si accoccolò all’indietro sui talloni per osservarlo: mai in vita sua (e aveva partecipato a parecchie battaglie) gli era capitato divedere un’infezione diffondersi così in fretta, quasi la ferita fosse stata deliberatamente avvelenata. Dal momento che di certo quei banditi non mangiavano come i nobili, il ragazzo era probabilmente denutrito e quindi debole, e tuttavia gli umori malsani si sarebbero dovuti diffondere più lentamente, soprattutto se si considerava che Jill aveva fasciato adeguatamente la ferita subito dopo che essa era stata inferta. Se qualcuno aveva voluto chiudere la bocca al ragazzo era stato davvero fortunato.

— Ma si è trattato soltanto di fortuna? — si chiese ad alta voce.

Il ragazzo morente gemette e annaspò per respirare nel sonno indotto dalla febbre. Anche se il giorno precedente era stato sul punto di tagliargli la gola, Rhodry provò un’improvvisa pietà nei suoi confronti.


Jill si svegliò a tarda mattinata e si guardò intorno con perplessità, chiedendosi cosa ci facesse in quel lussuoso letto dai tendaggi ricamati, ma poi ricordò l’ospitalità offertale da Blaen la notte precedente.

Non appena spinse di lato le tende del letto scoprì che la luce del sole si stava riversando dalle finestre e che un paggio era in attesa con aria incerta vicino alla porta.

— Mia… uh… signora? — disse il ragazzo. — Il gwerbret richiede la tua presenza durante il pasto di mezzogiorno. Ti devo preparare un bagno? C’è appena il tempo necessario.

— Un bagno andrebbe benissimo. Mezzogiorno? Oh dèi! Senti, la dama di Sua Grazia sarà presente a tavola? Non conosco neppure il suo nome.

— Si chiama Canyffa, ma è in visita per qualche tempo presso suo fratello.

Dentro di sé Jill ringraziò gli dèi per quel favore, perché l’avrebbe messa in imbarazzo mangiare alla presenza di una nobildonna che avrebbe certo criticato i suoi modi. Dopo il bagno tirò fuori la camicia di ricambio dalle sacche della sella e decise che era il caso di cambiare anche i calzini: di colpo ricordò il bracciale d’oro che avrebbe dovuto essere avvolto in essi… era scomparso.

— Per il ghiaccio di tutti gli inferni! Deve averlo rubato uno di quei dannati mulattieri! — esclamò.

Con irritazione, frugò in entrambe le sacche della sella, ma il bracciale semplicemente non c’era più; in fondo ad una di esse trovò però, incastrato sotto una cucitura, un oggetto piccolo e duro. Quando lo tirò fuori scoprì che si trattava di un anello con uno zaffiro, una grossa pietra inserita in una fascia d’oro e con due minuscoli draghi raggomitolati intorno all’incastonatura. Per un momento rimase a fissare l’oggetto con assoluta incredulità.

— Come sei finito fra la mia roba? — commentò poi. — Forse che il Popolo Fatato ha rubato il bracciale e lasciato te al suo posto?

Nel guardare lo zaffiro che brillava di una luce sommessa sotto i raggi del sole si sentì di colpo una perfetta stupida a parlare con l’anello come se esso potesse capirla. Scovato fra la sua roba uno straccio, vi avvolse con cura l’oggetto perché per il momento non aveva il tempo di preoccuparsene, non ora che il gwerbret la stava aspettando.

Una volta nella grande sala scoprì che Blaen le aveva destinato l’onore di mangiare alla sua tavola perché era curioso della vita da lei condotta sulla lunga strada. Ben sapendo che Rhodry si vergognava che la gente parlasse del suo esilio, fece del suo meglio per non dire nulla di lui, cosa che le riuscì molto facile non appena accennò al fatto che suo padre era Cullyn di Cerrmor.

— Ma davvero? — commentò subito Blaen, con un sorriso. — Allora non mi meraviglia più che tu abbia così pochi problemi a percorrere la lunga strada. Sai, Jill, una volta ho conosciuto Cullyn, quando ero ragazzino di sei o sette anni. Mio padre lo aveva assoldato, e ricordo di averlo guardato e di aver pensato che quello era l’uomo più temibile che avessi mai incontrato.

— In effetti è questa l’impressione che Pa fa alla gente.

— Però era uno splendido guerriero. Non rammento con esattezza come siano andate le cose, ma so che mio padre ha finito per regalargli uno splendido fodero lavorato in oro e una ricompensa aggiuntiva oltre alla paga. Dimmi, è ancora fra i vivi?

Da quel momento in poi Jill non ebbe difficoltà a occupare la conversazione con il racconto delle varie imprese compiute da suo padre nel corso degli anni. Una volta terminato il pasto Blaen le elargì con noncuranza una manciata di monete come paga per aver portato il messaggio.

— E quando pensi che arriverà la vostra carovana? — le chiese quindi.

— Ci vorranno almeno altri tre giorni, Vostra Grazia, perché alcuni degli uomini erano feriti.

— Ah. Bene, al loro arrivo avvisa il padrone della carovana di venire da me.

Jill raccolse le sue cose e lasciò la fortezza, uscendo nelle strade affollate della città, che costituiva l’unico insediamento degno di questo nome nell’intera vallata. Il fiume l’attraversava scorrendo sotto arcate ricavate nelle mura e separava la parte occidentale, riservata alla gente facoltosa e al gwerbret stesso, da quella orientale che era invece abitata dalla popolazione più umile; racchiuse fra le due zone, le rive del fiume costituivano un verde pascolo comune dove alcune vacche erano intente a brucare sotto il caldo sole pomeridiano. Nelle vicinanze della porta orientale Jill trovò finalmente una locanda, la Volpe in Fuga, il cui proprietario era disposto ad accogliere clienti come lei. Non appena fu sola nella stanza piccola e sporca apri le sacche della sella: l’anello c’era ancora, ma adesso un solo drago ne avviluppava l’incastonatura.

— Non è possibile che stia impazzendo — mormorò. — Questa deve essere opera del dweomer.

Per un momento la pietra ebbe un bagliore intenso, poi tornò ad essere una gemma ordinaria. Con un brivido, Jill ripose nuovamente l’anello e lo infilò questa volta nella piccola sacca che portava al collo e in cui conservava tutti i soldi tranne poche monete di rame. Quando scese nella sala comune ordinò un boccale della birra più scura di cui la locanda disponeva, per cercare di calmarsi i nervi. Oh, dèi, eccola sola in una città sconosciuta, con una gemma pervasa dal dweomer in suo possesso e Rhodry a decine di chilometri di distanza!

Nevyn, Nevyn, gli dèi sanno quanto vorrei che tu fossi qui! pensò.

Sta arrivando, rispose un pensiero spontaneo nella sua mente. Verrà a salvarci entrambi.

La birra le andò di traverso a tal punto che lei prese a tossire convulsamente e il locandiere si affrettò ad avvicinarsi.

— Non c’era una mosca nel boccale, vero? — chiese, battendole qualche colpo sulla schiena.

— No. Ti ringrazio.

L’uomo si allontanò con un cenno comprensivo, mentre Jill rifletteva che quella era veramente la goccia che faceva traboccare il vaso. Doveva scoprire qualcosa riguardo a quella pietra. In una città di quelle dimensioni dovevano di certo esserci parecchi gioiellieri, ma lei non aveva intenzione di parlare apertamente di una gemma capace di cambiare forma e di trasmettere pensieri alla mente delle persone che la possedevano. Per chi sapeva come cercarle esistevano però sempre anche altre fonti d’informazione.

La sala comune della taverna era affollata di clienti. Ad un tavolo c’era un gruppetto di giovani donne vistose che stavano consumando una colazione a base di porridge nonostante l’ora decisamente tarda, un altro era occupato da alcune aspiranti guardie per carovane e ad un terzo sedevano dei giovani che avrebbero potuto essere apprendisti di bottega. Quando il locandiere venne a riempirle di nuovo il boccale, Jill si fece deliberatamente loquace, lodando la generosità di Blaen e affermando di non essere mai stata ricompensata così bene per aver consegnato un messaggio. Naturalmente, badò a pagare il locandiere dalla sacca che portava apertamente alla cintura e non da quella appesa al collo e contenente la maggior parte dei suoi averi. Poi uscì per fare una passeggiata per le strade, dove la luce pomeridiana batteva intensa sull’acciottolato ben spazzato.

Prosperi mercanti la oltrepassarono con andatura affrettata oppure indugiarono lungo la via a chiacchierare del più e del meno; alcune donne che portavano cesti pieni di acquisti fatti al mercato o secchi d’acqua lanciarono un’occhiata alla daga d’argento che lei aveva alla cintura e si affrettarono a passare dall’altro lato della strada. Imboccando i vicoli più stretti che riuscì a trovare, Jill continuò a camminare lentamente, come se fosse stata immersa nei propri pensieri e infine in un vicolo fra una panetteria e la bottega di un ciabattino la sua caccia le portò la selvaggina sperata. Tre giovani le passarono accanto e uno di essi la urtò malamente. Con qualche gentile parola di scusa, il giovane accennò poi ad allontanarsi in fretta, ma Jill si voltò di scatto e gli afferrò il polso, poi lo sbatté contro il muro della bottega del ciabattino prima che avesse il tempo di liberarsi, assestandogli un colpo tanto violento da togliergli il fiato. I suoi due amici si diedero subito alla fuga, come il codice dei ladri permetteva loro di fare, e la preda di Jill, un individuo magro con i capelli chiari e un naso coperto di verruche, sollevò lo sguardo su di lei con il respiro affannoso.

— Chiedo scusa, daga d’argento. Non intendevo insultarti.

— Insultarmi? Il Signore dell’Inferno si può tenere gli insulti. Ridammi la mia sacca.

Il ladro scalciò e cercò di sgattaiolare da un lato, ma Jill tornò ad afferrarlo e lo spinse a faccia in avanti contro la parete; poi, mentre l’uomo si dibatteva e protestava, gli infilò una mano nella camicia e recuperò la sacca con le monete di rame, sfilando per buona misura dal fodero la piccola e affilata daga che il ladro portava alla cultura. Quando infine costrinse la sua preda a girarsi per fronteggiarla, l’uomo si accasciò con un gemito fra le sue mani.

— Dunque — scandì Jill, — di certo sai che se ti consegnassi agli uomini del gwerbret ti verrebbero tagliate le mani sulla piazza del mercato.

Il volto del ladro si tinse di un pallore mortale.

— Se però mi dirai chi comanda in questa città ti lascerò andare.

— Non posso! Questo mi costerebbe la vita, non soltanto le mani!

— Oh, per gli inferni, cosa credi che voglia fare? Correre a dirlo al gwerbret? Ascolta, ho del denaro da dare al vostro capo, e se non avessi stupidamente tentato di derubarmi ti avrei posto la mia domanda in maniera più cortese. — Nel parlare, gli restituì la daga con l’elsa in avanti. — Avanti, riprendila.

Il ladro indugiò a riflettere, mentre il colore cominciava a riaffiorargli sul volto e alla fine accettò la daga offertagli.

— Si chiama Ogwern — disse. — Lo puoi trovare alla Locanda del Drago Rosso, sul lato orientale del fiume vicino al pascolo comune. È accanto alla bottega del fabbricante di candele… non puoi evitare di vederla.

Poi si girò e si mise a correre come un daino spaventato che fuggisse nella foresta. Dal canto suo, Jill gli andò dietro a passo lento, in modo da lasciargli il tempo di arrivare da Ogwern con la notizia prima di presentarsi a sua volta. Ben presto scoprì che l’uomo aveva avuto ragione a proposito della bottega del fabbricante di candele: in effetti era impossibile evitare di vederla, con i mucchi di sego puzzolente accumulati nel soleggiato cortile. Dalla parte opposta dello stretto vicolo c’era una piccola locanda di legno con il tetto di paglia che si andava assottigliando e le finestre chiuse da imposte scolorite e distorte. Quando Jill bussò, la porta si aprì appena di una fessura e rivelò un occhio sospettoso che la fissava dall’apertura.

— Chi sei? — chiese una profonda voce maschile.

— La daga d’argento che ha chiesto di Ogwern. Se non parlerà con me ci rimetterà dei profitti.

Con una risata il suo interlocutore spalancò la porta: si trattava di un uomo di una grassezza spropositata, con il ventre che sporgeva voluminoso dalla camicia e le guance che pendevano flosce intorno al collo da toro.

— Mi piace il tuo coraggio. Io sono Ogwern. Vieni dentro.

La sala semicircolare della taverna puzzava di paglia vecchia e di fumo, ed era arredata con quattro tavoli malconci e traballanti. Dietro insistenza di Jill, i due sedettero in un punto dove lei poteva avere le spalle a ridosso della parete e il locandiere, un uomo pallido e ossuto quanto Ogwern era grasso, si affrettò a portare loro due boccali di birra sorprendentemente buona, che Jill ebbe cura di pagare.

— Allora, bella signora — esordì quindi Ogwern, — e bella lo sei, anche se non puoi essere una signora, considerato tutto ciò che sai sulla gente come noi… cosa ti porta da me?

— Una cosa semplice. Probabilmente sai che ho portato un messaggio per Sua Grazia dal passo di Cwm Pecl.

— Oh, sento tutto ciò che vale la pena di sapere.

— Benissimo. Dunque, io sono giunta in città in sella ad un cavallo appartenente ad uno dei vassalli del gwerbret, ma la mia cavalcatura mi raggiungerà presto insieme alla carovana che ero stata assoldata per proteggere. È un animale di valore, e non voglio che venga rubato, quindi ho pensato che qualche moneta pagata alla persona giusta ne potrebbe garantire la sicurezza.

— Niente di più semplice, e sei venuta proprio nel posto giusto. Di che tipo di cavallo si tratta?

— Un corsiero occidentale, castrato, dal pelo dorato.

— Addestrato per la guerra?

— Sì.

Ogwern rifletté, agitando nell’aria una mano grassa.

— Ecco, se si trattasse di uno stallone ti costerebbe una moneta d’oro — affermò infine, — ma per un castrato ne basteranno quindici d’argento.

— Cosa! Oh, dèi! Questo è un furto!

— Ti prego di non usare simili termini, che turbano il mio prezioso, grasso cuore. Facciamo tredici, allora.

— Dieci, e non una moneta di rame in più.

— Undici. Permettimi di ricordarti che un animale così pregiato è facile da piazzare sul mercato.

— Affare fatto, allora. Undici… sei adesso e cinque quando lasceremo la città senza avere avuto problemi.

— Dieci se paghi tutto subito. Ti giuro che i miei uomini obbediscono ai miei ordini. Posso anche essere grasso, ma governo Dun Hiraedd come un gwerbret.

— D’accordo, e in aggiunta ti offrirò anche un altro boccale di birra.

Mentre Jill pagava il denaro richiestole per la protezione, Ogwern indugiò a studiarla con un’espressione astuta negli occhi castani.

— Lascia che ti dia un avvertimento — disse infine, mettendo via le monete. — Il nostro dannato gwerbret ha organizzato una squadra di guardie cittadine che circolano per le strade in gruppi di sei senza niente di meglio da fare che ficcare il loro lungo naso negli affari altrui.

— Per l’anima nera del Signore dell’Inferno! — esclamò Jill, fingendosi disgustata. — E pattugliano anche di notte?

— Infatti. Io dico che è una cosa disgustosa. Ah, il padre di Blaen era un uomo splendido… tranquillo, molto distratto dalla guerra e piuttosto stupido, ma purtroppo Blaen ha lo stesso carattere astuto di sua madre e la vita è diventata difficile da quando lui ha ereditato il rhan.

— Un vero peccato, anche se ammetto di essere contenta che stia facendo del suo meglio per spazzare via i banditi.

— Lo sono anch’io. Odio quei dannati furfanti! Spero proprio che ne abbiate uccisi un po’, quando hanno attaccato la vostra carovana.

— A sentirti, sembri uno degli uomini del gwerbret.

— Per favore, non essere offensiva — ribatté Ogwern, posando una mano grassoccia sul proprio corpo straripante, più o meno in corrispondenza del cuore. — I banditi sono idioti assetati di sangue, che rendono pericolose le strade e costringono gli uomini onesti ad assoldare delle guardie. Se non fosse per loro, un vero ladro si potrebbe avvicinare ad una carovana in marcia per divertirsi un poco. Inoltre, i banditi si rifiutano di pagare le tasse alle nostre corporazioni.

— Oho! Allora è questa la vera spina nel tuo fianco, giusto?

Ogwern sbuffò con finta indignazione, poi riprese a scrutarla con attenzione e Jill cominciò a rendersi conto che quel grassone voleva qualcosa da lei nella stessa misura in cui lei sperava di cavargli qualcosa.

— C’è una curiosità che vorrei togliermi — osservò infine Ogwern. — Naturalmente, ho saputo che la tua carovana proveniva dall’Yr Auddglyn… non è che per caso sei passata da Marcmwr?

— Ci ho trascorso un paio di giorni. Perché?

Per un momento il grassone fissò il proprio boccale con espressione accigliata.

— Ecco — replicò poi, — non credo che una daga d’argento sarebbe interessata a rubare gioielli.

Il cuore di Jill mancò un battito per l’eccitazione.

— Per nulla — rispose. — So che siamo tutti cugini dei ladri, ma non è come essere loro fratelli.

— Proprio così. Vedi, mi erano giunte all’orecchio alcune notizie interessanti provenienti da Deverry, secondo cui pare che un tizio si sia addentrato nell’Yr Auddglyn con una dannata quantità di gioielli rubati. A proposito, pare che si trattasse di un completo idiota, perché stava cercando di fingersi un mercante ma aveva sella e briglie degni di un gwerbret… e per di più si trattava di una sella da guerriero.

Jill fece del suo meglio per apparire a stento interessata. Oh, dèi, pensò però, ho davvero la fortuna delle daghe d’argento.

— Dunque, se le pietre sono ancora nell’Yr Auddglyn — proseguì Ogwern, con aria piuttosto meditabonda, — la cosa non mi riguarda. Alcuni dei miei ragazzi hanno però cercato di rintracciare quel supposto mercante per liberarlo dal peso delle gemme che aveva con sé ed hanno seguito le sue tracce fino al fiume Lit, dove sono scomparse.

— Aha, quindi tu ti stai chiedendo se per caso quel tizio non sia entrato nel tuo territorio. Doveva avere con sé oggetti davvero preziosi se ogni ladro del regno lo sta cercando.

— Molto preziosi. Si dice che quelle gemme appartenessero addirittura al re.

— Suvvia… come potrebbe qualcuno derubare il re?

— Una buona domanda, daga d’argento, una domanda davvero molto buona. Io ti sto soltanto riferendo ciò che ho sentito. Pare però che una di quelle pietre sia un rubino grande quanto l’unghia del tuo pollice… sai che valore può avere una gemma del genere? Inoltre ci dovrebbe essere anche un opale grosso come una noce e se di solito gli opali valgono meno delle altre pietre, uno di simili dimensioni è talmente raro da costituire di per sé una fortuna.

— Non ne dubito. Mentre ero a Marcmwr ho sentito parlare di un anello con un zaffiro. Pensi che faccia parte dello stesso bottino?

— Potrebbe darsi. — Ogwern la fissò con occhi che brillavano fra le pieghe di grasso. — Cosa hai sentito, esattamente?

— Che era un anello maledetto — rispose Jill, riflettendo in fretta per presentare il concetto di una gemma pervasa dal dweomer in termini comprensibili per il suo interlocutore. — Dicevano che si tratta di una pietra capace di inviare pensieri alla mente e che la sua luminosità cambia in modo strano, ma probabilmente sono tutte sciocchezze.

— Ascolta, non ti fare mai beffe delle gemme maledette. Nella mia grassa ma preziosa vita ho maneggiato parecchie pietre preziose, e saresti sorpresa dal potere che è racchiuso in alcune di esse. Una gemma veramente buona ha una sua vita… perché pensi che gli uomini le desiderino tanto? — Ogwern s’interruppe, tamburellando con le dita sul piano del tavolo. — Una gemma maledetta, eh? Questo potrebbe spiegare qualcosa. Uno o due ragazzi che conosco hanno tentato di derubare quel tizio, ma hanno fatto una brutta fine. Uno è morto precipitando da un’alta finestra mentre stava cercando di scalare la parete, e il suo compagno ha detto che è stato proprio come se qualcuno l’avesse spinto. Non so che ne sia stato dell’altro.

Il pensiero proveniente dalla pietra echeggiò di nuovo nella mente di Jill.

Membri cattivi del Popolo Fatato lo hanno fatto inciampare e precipitare in un fiume.

— C’è qualcosa che non va? — domandò Ogwern, in tono brusco. — Sembri pallida.

— Oh, non è nulla, sono soltanto stanca per la lunga cavalcata.

Nel frattempo, la sala della taverna aveva cominciato a riempirsi. Pochi per volta, giovani dall’aspetto anonimo sgusciavano dentro, prendevano un boccale di birra e si andavano a sedere insieme nell’ombra, in silenzio: accanto al camino, intanto, il magro locandiere stava sfilando dallo spiedo alcuni polli arrostiti.

— Resta a cenare qui — propose Ogwern a Jill. — Il cibo è dannatamente migliore di quello della Volpe in Fuga: è cosa risaputa che la sguattera si pulisce il naso mentre gira lo stufato.

Il cibo era effettivamente assai migliore di quanto Jill avrebbe supposto. Il locandiere le portò un vassoio con mezzo pollo e qualche fetta di pane fresco, e servì ad Ogwern un pollo intero e una grossa pagnotta. Mentre i due mangiavano i ladri si avvicinarono a turno per scambiare qualche parola con Ogwern o consegnargli del denaro; quando infine il giovane catturato da Jill entrò nella sala, Ogwern gli segnalò di avvicinarsi con un cenno imperioso della mano in cui brandiva una coscia di pollo.

— Questa è Jill — disse al ladro. — Jill, questo è l’Airone. Posso confidare che non ci siano rancori fra voi?

— Nessuno, da parte mia — garantì Jill.

— Lo stesso vale per me — replicò l’Airone, indirizzandole un accenno d’inchino. — Senti, dal momento che sei passata dall’Yr Auddglyn…

— Ne stavamo giusto parlando — lo interruppe Ogwern, — e lei…

Qualcuno bussò con forza alla porta e il locandiere si affrettò ad andare a vedere, mentre alcuni fra i presenti si accostavano alle finestre. Dopo aver sbirciato fuori, il locandiere scosse il capo in un gesto di diniego, e tutti si rilassarono.

— Non sono le guardie, capisci — sussurrò Ogwern a Jill. Intanto il locandiere si era ritratto dalla soglia, lasciando entrare un uomo alto e largo di spalle, che indossava semplici calzoni grigi e una camicia macchiata di sudore, stretta intorno alla vita da una pesante cintura da cui pendeva una spada infilata in un fodero dall’aria costosa; il modo disinvolto e controllato con cui l’uomo si muoveva disse a Jill che sapeva usare bene l’arma. Lo sconosciuto si diresse verso il tavolo di Ogwern e l’Airone si affrettò a togliersi di mezzo, una reazione che Jill trovò comprensibile perché non aveva mai visto occhi come quelli dell’uomo biondo che le stava davanti… azzurri come il ghiaccio, assolutamente gelidi e determinati, come se lui avesse contemplato tante cose nauseanti da essere ormai costretto a guardare il mondo soltanto con disprezzo. Senza riflettere, posò d’istinto la mano sull’elsa della spada e nel notare il suo gesto lo straniero sorrise, increspando appena le labbra.

— Er… buona sera — salutò Ogwern. — Devo dedurre che desideri parlare con me?

— Forse. Dipende da ciò che questa daga d’argento ha da dire.

La voce dell’uomo non era particolarmente sgradevole, suonava soltanto fredda e secca, ma Jill rabbrividì comunque quando lui si girò a guardarla.

— Non credo che ci siamo mai incontrati, signore — osservò.

— Infatti, ma mi è stato dato di capire che hai con te un gioiello rubato. Sono disposto a pagartelo in oro.

— Ti sbagli — replicò Jill, consapevole che Ogwern la stava fissando con divertita sorpresa, come se stesse pensando di essere stato precedentemente imbrogliato da lei. — Non ho gioielli da vendere. Cosa ti aspettavi che possedessi?

— Un opale, piuttosto grosso… è risaputo che voi ladri amate contrattare, ma ti garantisco che posso pagarti molto più di qualsiasi ricettatore. So che lo tieni in quella sacca che porti al collo. Tiralo fuori.

— Se avessi quest’opale, lo venderei a te — dichiarò lei, sentendo una forza estranea porle in bocca quelle parole, — ma l’unico gioiello che posseggo è una spilla.

Lo sconosciuto socchiuse gli occhi con espressione irritata mentre Jill esibiva la sacca, l’apriva e ne tirava fuori… una spilla d’ottone di fattura comune, con pezzi di vetro al posto delle gemme, cioè proprio ciò che si era aspettata di trovare.

— Non scherzare con me, ragazza! — ringhiò l’uomo.

— Ti giuro che questo è il solo gioiello che posseggo.

Lo straniero si protese in avanti sul tavolo e la fissò negli occhi, trapassandola con lo sguardo come se volesse leggerle nell’anima, in un modo che la indusse a pensare a Nevyn.

— Quello è davvero il solo gioiello che possiedi? — insistette.

— Infatti — confermò Jill, incontrando una notevole difficoltà a parlare. — Ti ho detto la verità.

Gli occhi dello sconosciuto parvero divenire più scuri e lei si accorse che il sondaggio nella sua anima si stava facendo più profondo. Con uno sforzo di volontà si liberò e scrollò il capo, prendendo in mano il boccale pieno di birra con l’intenzione di scagliarlo contro l’uomo se questi avesse tentato altri trucchi. Lo sconosciuto però si piantò le mani sui fianchi e si guardò intorno con espressione onestamente sconcertata.

— Cosa significa tutto questo? — intervenne Ogwern, secco. — Jill ti sta dicendo la verità.

— Questo lo so, grasso maiale! Hai tu la pietra? Sai dove si trova?

— Quale pietra? — ribatté il grassone, posando la coscia di pollo e passandosi le mani sulla camicia… durante il gesto Jill notò il lieve bagliore indicante che Ogwern aveva impugnato la sua daga. — Senti, non puoi fare irruzione in un’onesta locanda in questo modo. Sii tanto gentile da dire che cosa vuoi e vedremo se possiamo aiutarti.

Lo sconosciuto esitò, trapassando il ladro con uno sguardo pieno di disprezzo.

— Benissimo — replicò infine. — Sto cercando un particolare opale, grosso come una noce e perfettamente levigato. Non tentare di dirmi che non ne hai sentito parlare perché so come circolano voci del genere.

— Infatti, e non intendo mentirti. Secondo le ultime notizie l’opale era nell’Yr Auddglyn. Se fosse da qualche parte nel Cwm Pecl io lo saprei, ma non c’è. Ammetto che piacerebbe anche a me potergli dare un’occhiata.

L’uomo esitò ancora, guardandosi intorno con quei suoi occhi duri e decisi. Sebbene stesse mantenendo un controllo assoluto, Jill riuscì però a notare in lui una traccia di paura, avvertendola con tanta chiarezza da comprendere che l’uomo aveva cercato di stabilire una sorta di legame fra loro quando l’aveva fissata negli occhi. La cosa generò in lei un profondo disgusto, come se avesse appena infilato la mano in un nido di ragni.

— Ascolta — disse infine lo sconosciuto, rivolto ad Ogwern, — la gemma che cerco deve essere in viaggio alla volta di Dun Hiraedd, e quando arriverà ci dovrai mettere sopra le tue grasse zampe per poi rivenderla a me. Ti pagherò bene, ma se non vuoi morire dovrai venderla soltanto a me. Mi hai capito?

— Mio buon signore! Tutto quello che m’interessa è il mio profitto, e dal momento che me lo garantisci la gemma sarà senz’altro tua. Non c’è bisogno di ricorrere alle minacce.

— Potresti ricevere altre offerte. Hai capito bene? Se lo venderai a qualcun altro, ti taglierò di dosso un po’ di quel lardo fino a quando mi implorerai di lasciarti morire!

La calma con cui l’uomo si espresse rese evidente che quella non era una minaccia da sottovalutare. Con le pesanti mascelle che tremavano per il terrore, Ogwern annui in segno di assenso.

— Mi farò vivo di tanto in tanto per verificare se ti è arrivata. Conservala per me, perché dovrebbe giungere presto.

Lo sconosciuto girò quindi le spalle con disprezzo e uscì a grandi passi, sbattendo la porta dietro di sé. L’Airone tentò di parlare ma riuscì soltanto a deglutire a fatica.

— Per gli inferni! — sussurrò Ogwern. — Era reale?

— Temo che lo fosse — rispose Jill. — Spero proprio che non abbia preso alloggio alla Volpe in Fuga: non mi andrebbe di tornare là soltanto per trovarlo nella sala comune.

— Non sarà difficile scoprirlo. Airone, prendi un paio di ragazzi ma non correre il rischio di seguire quel bastardo e limitati a fare qualche domanda in giro.

— Qualcuno deve averlo notato — convenne l’Airone. — Sono pronto a scommettere che spicca in mezzo a qualsiasi folla.

Il giovane uscì quindi dalla porta posteriore con un paio di amici ed Ogwern sospirò nel contemplare ciò che restava del pollo.

— Ho perso l’appetito — dichiarò. — Ne vuoi un po’, Jili?

— No, grazie. È davvero stupefacente che tu non abbia più fame.

— Per favore, non essere scortese — ribatté lui, posando una mano sul suo cuore oltraggiato e riponendo la daga con lo stesso gesto. — Un uomo può tollerare soltanto un certo numero di insulti. Grasso? Hah!

Trascorse oltre un’ora prima che l’Airone tornasse con modi insolitamente furtivi; il suo volto era decisamente pallido mentre lui riferiva ad Ogwern che nonostante le loro ricerche lui e i ragazzi non avevano trovato traccia dello straniero.

— Sei diventato di colpo idiota? — farfugliò Ogwern. — Dun Hiraedd non è poi così grande.

— Lo so, ma lui non c’è, e nessuno lo ha visto arrivare o partire. E c’è anche un’altra cosa dannatamente strana. Lo abbiamo intravisto mentre camminava in direzione delle mura cittadine, poi ha svoltato in un vicolo ed è come scomparso. Te lo giuro, Ogwern! È svanito nel nulla.

— Oh, per il roseo posteriore degli dèi! — imprecò debolmente Ogwern. — Preghiamo allora che questa dannata gemma salti fuori presto, in modo che possa prendere il dannato oro di quell’uomo e liberarmi di lui.

Poco dopo Jill tornò alla sua locanda, camminando in fretta e tenendosi a ridosso degli edifici; per tutto il tragitto si guardò di continuo alle spalle e una volta alla porta della locanda si fermò per sbirciare all’interno e controllare che l’uomo non fosse là ad aspettarla. Una volta nella sua camera sbarrò la porta e la finestra dall’interno, dormendo poi per tutta la notte con la spada posata accanto a sé, ma nonostante quelle precauzioni nulla disturbò il suo sonno tranne i sogni pieni di teste recise e di grotte oscure nelle quali gli occhi dello sconosciuto la fissavano brillando nel buio.


Rhodry trascorse quella stessa giornata in preda alla furia dell’impazienza, perché Jill era lontana, sola e in pericolo, mentre lui era vincolato dall’onore a fare da balia ad un mercante ferito e ai suoi puzzolenti muli. D’altro canto, avendo dato a Seryl la propria parola che lo avrebbe scortato fino alla città, non vedeva dinanzi a sé altra alternativa che rimanere con lui fino a quando non fosse stato in condizione di cavalcare. Il bandito ferito morì verso mezzogiorno e Rhodry aiutò a seppellirlo, tanto per avere qualcosa da fare. Infine la pattuglia rientrò alla stazione, un’ora dopo il tramonto.

— Li abbiamo inseguiti verso l’Yr Auddglyn — affermò il capitano. — Non posso però oltrepassare la frontiera senza autorizzazione, quindi dovremo aspettare che Sua Grazia ci faccia pervenire un messaggio.

— Per tutti gli dèi dell’Aldilà, allora spero che lo mandi al più presto.

Il messaggio giunse prima di quanto chiunque potesse immaginare. La pattuglia si stava disponendo a cenare quando Comyn arrivò con cinquanta uomini e altrettanti cavalli di riserva. Nella confusione che segui fu facile per Rhodry sgusciare via, perché l’ultima cosa che voleva era essere riconosciuto da Comyn. In mancanza di un nascondiglio migliore, si recò nella baracca delle cucine, dove i servi frenetici erano troppo impegnati a preparare cinquanta pasti aggiuntivi per accorgersi di lui che era fermo nella rientranza della parete, vicino al focolare in cui ardeva un fuoco vivace su cui erano stati posti ad arrostire spiedi carichi di carne di maiale gocciolante di grasso.

Osservando le fiamme che gli danzavano davanti, Rhodry imprecò contro il proprio infelice Wyrd che lo costringeva a nascondersi da un uomo che rispettava e che un tempo lo aveva onorato. Le dorate lingue di fiamma sembravano farsi beffe di lui, tremolando di qua e di là e levandosi più alte per poi svanire in un istante, proprio come poteva capitare alla gloria e all’onore di un uomo. I carboni ardenti sotto di esse parevano formare immagini, come se lui potesse scorgere in essi Aberwyn e la sua amata Cannobaen. Come se potesse scorgervi Nevyn. D’un tratto Rhodry sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena: poteva vedere Nevyn, o meglio una nitida immagine del suo volto che fluttuava al di sopra del fuoco. Poi nella sua mente affiorò un pensiero che risuonò espresso dalla voce del vecchio.

— Non stai impazzendo, ragazzo, ti sto parlando davvero. Per rispondere basterà che indirizzi a me i tuoi pensieri.

— D’accordo. Ma cos’è questo?

— Ora non ho tempo per spiegartelo, perché i nostri nemici ci potrebbero sentire. Jill è in grave pericolo e devi raggiungerla a Dun Hiraedd. Parti domani all’alba.

— Cosa? Partirò stanotte stessa!

— Non farlo! — L’immagine di Nevyn assunse un’espressione cupa. — Per te non è sicuro trovarti sulla strada di notte. Mi hai sentito? Aspetta l’alba, ma parti!

— Lo farò certamente. Oh, dèi, e lei non ha neppure il suo gnomo con sé.

— Che vuoi dire?

— Quella piccola creatura è scomparsa da qualche parte lungo la strada, e Jill è preoccupatissima per lei.

— E ne ha ragione. Ci penserò io.

Improvvisa com’era giunta l’immagine svanì, e nel sollevare lo sguardo Rhodry trovò un servo che lo stava fissando con espressione rovente.

— Hai bisogno di qualcosa, daga d’argento? — scattò l’uomo.

— Nulla. Ora mi tolgo dai piedi.

Mentre usciva, Rhodry si trovò a lottare con il proprio senso dell’onore, perché pur avendo dato a Seryl la sua parola sapeva che Jill era la sola cosa al mondo che potesse indurlo ad infrangerla.


Negli ultimi giorni, Nevyn si era spesso chiesto come mai lo gnomo grigio non fosse venuto da lui, e aveva pensato che la piccola creatura fedele avesse semplicemente avuto paura di lasciare sola Jill, ma ora non gli restava che supporre che essa fosse stata attaccata dal maestro oscuro. Quella notte, il vecchio era accampato sulla strada che portava nell’Yr Auddglyn, con un allegro fuoco da campo che ardeva per riscaldarlo e per permettergli di evocare immagini. Guardando quelle fiamme, Nevyn ringraziò gli dèi per il caso fortunato che aveva indotto Rhodry a fissare quell’altro fuoco, a tanta distanza da lui… anche se il giovane non possedeva un vero talento per il dweomer, infatti, il suo sangue elfico rendeva possibile operare il dweomer sulla sua mente dall’esterno, ed era per questo motivo che Nevyn era preoccupato per lui nella stessa misura in cui lo era per Jill.

Alla fine il vecchio si costrinse ad accantonare per un momento le sue preoccupazioni e a concentrarsi sul compito che lo attendeva. Quando li invocò, i membri del Popolo Fatato che lui conosceva apparvero immediatamente, affollandogli intorno… un giallo gnomo obeso, spiritelli azzurri, gnomi grigi o verdi, silfidi simili a cristalli tremolanti nell’aria e salamandre che balzavano nel fuoco.

— Conoscete il vostro piccolo fratello grigio che segue Jill dappertutto nel regno? — domandò loro Nevyn.

Le creature annuirono con un frusciare di minuscole teste.

— E conoscete l’uomo cattivo che sto inseguendo? Ebbene, ho paura che abbia catturato il vostro fratello.

Un tenue suono angosciato si riversò su di lui.

— Cercate di scoprire dove si trova ma tenetevi ben lontani da quell’uomo malvagio. Mi avete capito? State molto attenti.

I membri del Popolo Fatato svanirono improvvisi com’erano giunti e il fuoco tornò ad essere normale. Rivolgendo su di esso la sua concentrazione, Nevyn pensò a Jill e non ebbe difficoltà a vederla, seduta in una sporca taverna accanto ad un uomo enormemente grasso, ma per quanto ci provasse non riuscì ad attirare la sua attenzione e ad influenzarla abbastanza da indurla a guardare nel fuoco. Poté però avvertire che era molto spaventata, e quella paura andò ad alimentare la sua. Alla fine annullò la visione e prese a passeggiare con irrequietezza avanti e indietro.

Qualche tempo più tardi i membri del Popolo fatato riapparvero intorno a lui, sogghignando e danzando trionfalmente, e Nevyn si affrettò a contarli per accertarsi che fossero tutti sani e salvi.

— Devo dedurre che lo avete trovato — disse.

Massaggiandosi il ventre, lo gnomo giallo annuì e venne avanti, poi protese il pollice e l’indice in modo da indicare un piccolo oggetto squadrato, e Nevyn non ebbe difficoltà a intuire il significato del gesto.

— L’uomo malvagio lo ha vincolato in una gemma.

Lo gnomo assentì con espressione solenne.

— Adesso veniamo alla parte più difficile, amici miei. Devo sapere dove si trova la gemma. È ancora in possesso dell’uomo malvagio?

Quando lo gnomo scosse il capo in un gesto negativo Nevyn sospirò di sollievo; lo gnomo indicò poi la faccia rossa di una salamandra.

— È una gemma rossa — dedusse il vecchio.

Era proprio così: con un’elaborata pantomima i membri del Popolo Fatato riuscirono infine a riferire a Nevyn tutto ciò che lui aveva bisogno di sapere. Lo spirito elementare dello gnomo era stato vincolato all’interno di un rubino rientrante fra le gemme sottratte al re. Il maestro oscuro aveva poi dato quel rubino al bandito con i capelli rossi, che lo aveva portato in una città per venderlo. Mimare il nome della città risultò difficile, ma Nevyn infine lo indovinò quando uno spiritello si mise a cavalcioni di uno gnomo mentre gli altri indicavano che si trattava di qualcosa di grosso.

— Marcmwr! Grande cavallo! — esclamò il vecchio.

Le creature gli volteggiarono intorno danzando e scomparvero. Leggermente stanco per la concentrazione richiesta da tutto quel tirare a indovinare, Nevyn si sedette accanto al fuoco, pensando che era tipico di un maestro oscuro vincolare uno spirito dentro una gemma e poi consegnarla a mani ignare, intrappolando così la povera creatura per l’eternità. Per fortuna, lui sarebbe giunto a Marcmwr entro il mezzogiorno dell’indomani.

— E poi continuerò verso il Cwm Pecl — commentò, rivolto alle fiamme. — È un bene che io conosca un modo più rapido di quel dannato passo per attraversare le montagne.


Rimanendo nelle stalle, dove dormiva accanto al cavallo, Rhodry riuscì ad evitare Comyn per tutta la sera. Una volta che il capitano e i suoi uomini stanchi del viaggio si furono ritirati negli alloggiamenti, il giovane tornò nella torre, dove Seryl occupava una stanza al secondo piano, e trovò il mercante ancora sveglio, intento a fissare con sguardo inespressivo la luce tremolante della candela che rischiarava la camera.

— Buon signore — cominciò Rhodry, — sono venuto a chiederti un favore. So di aver giurato di rimanere con te, ma uno degli uomini del gwerbret mi ha portato un messaggio di Jill, che pare essere incorsa in qualche guaio giù in città.

— Allora devi senza dubbio partire domani — replicò Seryl. Con un sospiro si sollevò poi su un gomito e si guardò intorno. — Vedi quella sacca posata sul mio mantello? Prendila, daga d’argento, e accetta i miei ringraziamenti insieme ad essa. Se non fosse stato per te sarei morto.

Per quanto il proprio onore lo tormentasse al riguardo, Rhodry prese la pesante sacca di monete d’argento, perché sapeva che lui e Jill avrebbero potuto averne presto bisogno. Nel lasciare la camera si rese conto di aver mentito a Seryl, la prima menzogna che avesse mai pronunciato in tutta la sua vita… accorgersi che cominciava a pensare come una daga d’argento generò in lui un hiraedd tanto cupo che per poco non scoppiò in pianto.

Quella notte ebbe difficoltà ad addormentarsi e impiegò il tempo a preparare un accurato piano di viaggio, in quanto aveva intenzione di raggiungere Dun Hiraedd entro il tramonto dell’indomani. Dal momento che il suo cavallo e Sunrise erano entrambi ben riposati, montandoli a turno lui avrebbe potuto mantenere una buona velocità e se il suo baio si fosse stancato troppo avrebbe potuto barattarlo forse con un altro cavallo nella fortezza di qualche lord.

Il mattino successivo il suo risveglio fu però accompagnato dal rumore della pioggia che cadeva. Partì lo stesso, disposto a inzupparsi nell’interesse di Jill, ma non poté viaggiare in fretta e mentre procedeva con fatica sulla strada fangosa imprecò contro la propria sfortuna, chiedendosi se si trattasse veramente di sfortuna. Se qualcuno gli voleva impedire di raggiungere la città entro il tramonto, non avrebbe potuto escogitare un metodo più efficace.

— Questo dovrebbe rallentare quella dannata daga d’argento — commentò Alastyr, distogliendo lo sguardo dal fuoco. — La strada si è trasformata in un vero e proprio letto di fango.

— Splendido, maestro. In questo caso dovrei riuscire a raggiungerlo sulla strada molto lontano dalla città — replicò Sarcyn. — Sei certo che non devo semplicemente ucciderlo? So che con la spada è più abile di me, ma potrei usare un incantesimo per rallentargli i movimenti.

— Sono tentato di dirti di toglierlo di mezzo, ma il Vecchio mi ha ordinato di lasciarlo in vita.

Naturalmente quella era una cosa che troncava ogni discussione. Sarcyn sentì un pugno gelido serrargli lo stomaco: anche se tentava di tenere viva la speranza, sapeva che ogni giorno in cui la pietra sfuggiva loro era un giorno che li portava più vicini al fallimento. E un fallimento avrebbe potuto significare la loro morte, per opera del dweomer della luce o della stessa Confraternita Oscura, che non tollerava i deboli e chi commetteva troppi errori. Alastyr appariva teso, come se stesse pensando a sua volta cose altrettanto sgradevoli.

— Può darsi che sia Rhodry ad avere la gemma: dopo tutto, quei due viaggiano insieme e può sempre capitare che le cose si spostino dall’equipaggiamento dell’uno a quello dell’altro. Se soltanto potessi vedere quella dannata pietra! Sappiamo che la ragazza l’ha avuta per qualche tempo… il Popolo Fatato si è mostrato certo al riguardo. Se non ce l’ha neppure Rhodry dovremo semplicemente evocare di nuovo il Popolo Fatato ma è una cosa pericolosa, con il Maestro dell’Aethyr che sta in guardia.

— Infatti. Per quel che ne sappiamo quella gemma potrebbe essere caduta dalle sacche della ragazza durante il combattimento contro i banditi.

— Proprio così. Bene, passa prima a fare una visita a quel grasso ladro, poi continua lungo la strada per cercare la daga d’argento. Se ogni altro mezzo dovesse fallire sguscerò io stesso in città per sottoporre Jill ad un incantesimo. Avevo dimenticato che quella ragazza deve possedere il talento per il dweomer.

— E in notevole quantità, maestro. Mi ha respinto come se fossi stato una mosca.

Con un ringhio Alastyr fissò lo sguardo sul fuoco. Sarcyn andò a sellare il cavallo e dopo aver raccomandato ad Evy di tenere d’occhio Camdel lasciò il loro campo nascosto fra gli alberi e si avviò verso Dun Hiraedd sotto la pioggia provocata dal dweomer.


Sul lato delle montagne dove Nevyn si trovava il tempo era sereno e limpido e lui raggiunse Marcmwr parecchio prima di mezzogiorno. Dal momento che conosceva tutti i gioiellieri del regno che servivano le daghe d’argento… e che di solito commerciavano anche con i ladri… sapeva esattamente dove andare, e cioè in una piccola bottega dall’aria decrepita nella zona orientale della città, sotto il cui tetto di paglia sporca era appesa un’insegna sbiadita su cui figurava un boccale d’argento. Quando il vecchio aprì la porta ci fu un tintinnare di campanelli d’argento e Gedryc uscì da una camera interna per accogliere il cliente; l’argentiere era un uomo ossuto dalle mani enormi e quasi calvo.

— Bene, ma guarda se non è il vecchio Nevyn! — esclamò con un sorriso. — Cosa ti conduce da me, buon erborista?

— Il problema di una proprietà rubata che è giunta in tuo possesso.

Gedryc impallidì.

— Suvvia, non farmi sprecare tempo — scattò Nevyn. — Non ti consegnerò alla legge se mi darai quel rubino.

— Quello quadrato grosso quanto l’unghia di un pollice?

— Proprio quello. Avevo immaginato che sarebbe passato dalle tue mani.

— Hai ragione, ma se avessi saputo che era tuo non lo avrei toccato.

— Non è mio, ma sono dannatamente lieto che lo abbia tu. Lo hai già tagliato?

— Intendevo farlo questo pomeriggio per renderlo un po’ meno riconoscibile, ma mi doleva il cuore a rovinare una pietra come quella. Sai, mi è costata parecchio.

— Ti restituirò tutta la somma, ma ora spicciati a tirarlo fuori. Il tempo stringe.

Nevyn aveva con sé una cifra raccolta dagli uomini del dweomer al fine di ricomprare i gioielli rubati a mano a mano che li avesse trovati. Anche se soltanto l’opale possedeva il dweomer, le altre pietre, sottratte soltanto per rendere più credibile il crimine di Camdel, erano anch’esse abbastanza preziose da far sì che il re avesse promesso un’elevata ricompensa a chiunque le avesse recuperate, e pur non avendo interesse a quella somma Nevyn sperava che la restituzione delle pietre potesse procurargli una certa influenza presso il sovrano, al punto da riuscire magari a piazzare uno dei più giovani uomini del dweomer presso la sua corte, dove avrebbe potuto sradicare la corruzione che aveva permesso il verificarsi di questo furto. D’altro canto, la sorte delle altre gemme gli interessava relativamente, perché il suo primo e vero intento era quello di proteggere la Grande Gemma dell’Ovest.

Quando Gedryc tornò Nevyn gli diede un regale d’oro e prese il rubino nel palmo della mano, individuando subito con la seconda vista il cristallino reticolo di forze che vincolava lo spirito prigioniero al suo interno.

— Ti ringrazio — disse al gioielliere. — Se dovessero capitarti fra le mani altre gemme di pregio conservale per me. Ti garantisco che le pagherò bene.

— Ne sarò lieto. Uh… non ti è possibile dirmi cosa sta succedendo, vero?

— Hai ragione, non mi è possibile. Buona giornata a te, gioielliere.

Nevyn lasciò a grandi passi la bottega tenendo il rubino stretto in una mano; una volta all’esterno, si arrestò accanto ai cavalli e si guardò rapidamente intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, poi aprì la mano e fissò il rubino. Al contrario della materia veramente inanimata, la struttura cristallina delle gemme forniva loro una consapevolezza estremamente tenue e rudimentale che poteva essere influenzata da un maestro del dweomer dotato di un addestramento adeguato. Quell’influenza era una cosa sottile e di solito consisteva soprattutto nell’indurre la gemma a vibrare in risposta ad un determinato sentimento, come quando un uomo del dweomer creava un talismano per il coraggio. Chi però possedeva un addestramento elevato poteva far vibrare la gemma in perfetta comunione con uno spirito elementare, con il risultato che la gemma lo risucchiava e lo intrappolava. In genere, il processo per liberarlo era difficile, ma per Nevyn fu questione di un secondo persuadere la pietra a lasciar andare il suo involontario occupante. Subito vide le linee di forza all’interno del rubino attenuarsi e spegnersi, e un momento più tardi lo gnomo grigio gli si aggrappò alle gambe, sollevando verso di lui il volto contorto dalla gioia e dalla gratitudine.

— Ecco fatto, piccolo fratello — sussurrò Nevyn, — e bada a non avvicinarti mai più a quell’uomo malvagio. Ora torna da Jill, che sente la tua mancanza.

Lo gnomo l’abbracciò un’ultima volta e scomparve. Riposto il rubino nella sacca che portava intorno al collo, Nevyn montò in sella, prese la cavezza del cavallo di scorta e si affrettò a lasciare la città perché anche se era a corto di provviste conosceva un posto dove avrebbe potuto acquistarne a prezzi migliori di quelli offerti da Marcmwr.

Non appena fu uscito dall’abitato abbandonò la strada principale e si diresse a nord, puntando verso le colline. Per parecchie ore proseguì il viaggio lungo stretti sentieri che si snodavano fra i pini mentre tutt’intorno le alture si facevano più erte e rocciose, poi arrivò finalmente ad una sporgenza di roccia grigia che torreggiava su di lui sotto la forma di una parete verticale e liscia alta alcune decine di metri. Smontato di sella, Nevyn condusse a mano i cavalli fra i grandi massi sparsi intorno ad essa come ciottoli gettati da una mano gigantesca e infine si venne a trovare alla base della parete. Dal momento che erano trascorsi molti anni dall’ultima volta che era passato da quella parte, studiò per qualche tempo con attenzione le pieghe e le rientranze della roccia finché non trovò il disegno giusto, premendolo energicamente con il palmo della mano; anche se non udì nulla, non ebbe difficoltà a immaginare il suono dell’enorme campana che stava ora rintoccando all’interno. Seguì un periodo di attesa durante il quale lui si agitò con impazienza, e infine sentì in alto un rumore frusciante: sollevando lo sguardo, vide un battente di pietra che si spalancava e una faccia barbuta che guardava verso il basso con espressione sospettosa.

— Tarko! — chiamò Nevyn. — Ho bisogno di usare la vostra strada, se il tuo popolo me lo permetterà.

— Quando mai abbiamo negato qualcosa al Maestro dell’Aethyr? Spostati leggermente all’indietro, mio signore, e aprirò la porta.

Nevyn trasse in disparte i cavalli e Tarko scomparve all’interno della roccia; entro pochi minuti una pioggia di ciottoli cominciò a rotolare verso il basso mentre una nube di polvere si levava densa come fumo lungo la parete di roccia, e un’enorme porta si spalancò stridendo nel fianco della montagna. Tarko apparve sulla soglia con una lanterna in mano e segnalò a Nevyn di entrare; il nano, che misurava circa un metro e mezzo, era più alto e muscoloso della media della sua gente, ed aveva il volto incorniciato da una barba brizzolata e tagliata con cura.

— Non ti vedevamo da anni, mio signore — osservò, mentre Nevyn induceva i cavalli nervosi ad entrare nella galleria. — A dire il vero, non usiamo più molto questa porta ora che la tua gente vive tanto vicino a noi e sei davvero fortunato, perché un gruppo dei nostri ragazzi è uscito a caccia ed io ero qui per permettere loro di rientrare.

— Non hai idea di quanto sia grato della cosa. Ho bisogno di raggiungere Dun Hiraedd al più presto ed ho una fretta degna del Signore dell’Inferno.

— La grande strada è ampia e diritta.

Infatti era così: percorrendo soltanto una quarantina di chilometri Nevyn avrebbe attraversato le montagne, sbucandone ad appena altri quaranta dalla città.

— I cavalli saranno sfiniti quando arriverò dall’altra parte — osservò il vecchio.

— Lasciali qui e prendine un paio dei nostri.

— Ti ringrazio. In questo modo potrò viaggiare anche per tutta la notte.

Montato in sella, Nevyn rivolse un cenno di saluto a Tarko e si rimise in cammino, con il rumore degli zoccoli che echeggiava intenso sotto l’alta volta arcuata della galleria, rivestita da blocchi di pietra tagliati alla perfezione e rischiarata da funghi e muschi fosforescenti coltivati con cura. Presto avrebbe raggiunto le grandi caverne dove c’erano aperture che lasciavano entrare la luce del sole, e là avrebbe potuto comprare i viveri che gli servivano per il viaggio.


Cullata dal rumore della pioggia che batteva sul tetto, quella mattina Jill dormi fino a tardi. Quando si svegliò rimase distesa ancora per un po’, chiedendosi se fosse il caso di scendere nella sala comune. Sapeva di avere davanti a sé una giornata terribile, da trascorrere in una noia densa di minacce anziché in mezzo agli evidenti pericoli della battaglia, perché nella mente le pareva di vedere ancora lo sguardo duro e intenso dello sconosciuto che la minacciava. Alla fine si alzò e si vestì; stava affibbiandosi la spada quando lo gnomo grigio le apparve davanti.

— Sia resa grazie a tutti gli dèi!

Non appena lei spalancò le braccia lo gnomo le corse incontro, balzando in alto per stringerle il collo con le braccia magre, e Jill lo tenne stretto, cullandolo come un bambino mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance.

— Piccola peste, ho avuto tanta paura! Temevo che ti fosse successo qualcosa di male! — esclamò.

Lo gnomo si ritrasse e la fissò annuendo con aria solenne.

— Allora è davvero accaduto qualcosa di terribile?

La creatura le si serrò ancora contro, tremando per il terrore.

— Mio povero piccolo amico! Grazie agli dèi adesso sei salvo! Dimmi, come sei sfuggito al pericolo che ti minacciava?

L’essere assunse un’espressione estremamente concentrata e distolse lo sguardo, cercando ovviamente un modo per mimarle la risposta.

Lo ha salvato Nevyn, idiota, scandì la voce nella mente di Jill. Chi altri, se no?

— Senti, dannata gemma, non mi insultare! Se non fosse per te, adesso non mi troverei immersa nei guai fino al collo.

Lo so, ma ne valgo la pena.

— Bastarda!

Se intendi comportarti così, che io sia dannata se ti dirò soltanto un’altra parola.

Troppo contenta di riavere il suo gnomo per curarsi se la gemma le parlava o meno, Jill rimase a lungo seduta sul pavimento con la creatura in grembo, ricoprendola di attenzioni; quando infine scomparve lo gnomo lo fece lentamente, quasi detestasse doversene andare ma ci fosse costretto, e svanì un po’ per volta, diventando trasparente per poi trasformarsi in una tenue macchia che si dissolse nel nulla.

Sorridendo fra sé, Jill scese nella sala comune e ordinò una ciotola di porridge che risultò grumoso in modo sospetto. Lo stava mangiando con cautela, rigirandolo alla ricerca di eventuali insetti quando l’Airone entrò nella taverna e passò con noncuranza accanto al suo tavolo, scoccandole un’occhiata come se non l’avesse mai vista prima.

— Al Drago Rosso — le sussurrò però sottovoce.

Preso il mantello nella sua camera, Jill uscì sotto la pioggia sottile e raggiunse la locanda, dove trovò Ogwern seduto al suo solito tavolo, pallido, sudato e con le grosse mani che tremavano a tal punto che dovette usarle entrambe per portarsi il boccale alle labbra.

— Cosa succede? — gli chiese.

— Ricordi quel tizio che è venuto la scorsa notte? Ebbene, è tornato. È entrato qui meno di un’ora fa, sfacciato e tangibile, e si è seduto accanto a me senza neppure chiedere il permesso. Ha detto che se non trovo quell’opale che lui vuole mi trasformerà in salsicce! Che sfacciataggine!

— Davvero! Deve volere quel dannato oggetto a tutti i costi se ha corso il rischio di venire qui in pieno giorno.

— Oh, dubito che abbia corso il minimo rischio — replicò Ogwern, soffermandosi a bere un confortante sorso di birra. — Questa è la parte più maledettamente strana. So che sembra pazzesco, Jill, ma ti giuro sulla mia grassa e preziosa persona che è vero. Quando se ne è andato, ho deciso di seguirlo ed è stato abbastanza facile, perché la strada era affollata e lui camminava senza lanciarsi neppure un’occhiata alle spalle. Così gli sono andato dietro tenendomi ad una buona distanza e lui ha puntato dritto verso il pascolo comune, lungo il fiume. Conosci quella macchia di betulle, vicino al ponte?

— Sì.

— Ebbene, si è infilato fra gli alberi ed è scomparso. Voglio dire, è letteralmente svanito! Vedi, dopo che è entrato fra gli alberi io ho atteso, e atteso, ma non l’ho più visto uscire, e le betulle non sono fitte come se fossero noccioli o qualcosa del genere. Alla fine mi sono deciso ad andare a mia volta nel boschetto, e lui non c’era più.

— Suvvia! Stai perdendo il controllo dei nervi! Deve essere andato via senza che tu lo vedessi.

— Occuperei forse la posizione che ho se non potessi neppure vedere un uomo in pieno giorno? E non mi dire che sto diventando vecchio, perché sarebbe dannatamente scortese.

Jill rabbrividì in preda ad un gelido timore, pensando che quell’uomo doveva possedere il dweomer. Aveva già avuto modo di sperimentare quanto il dweomer potesse essere pericoloso nelle mani di un folle, e adesso aveva di fronte qualcuno che lo usava con freddezza per scopi malvagi.

— Voglio offrirti un ingaggio — proseguì Ogwern, — e cioè quello di proteggermi. Una daga non servirebbe a molto contro un uomo del genere, e se si tratta di usare una spada è meglio che si trovi nelle mani di qualcun altro, se voglio che mi serva a qualcosa. Ti offro una moneta d’argento per notte, daga d’argento.

— Affare fatto. Quell’uomo può anche avere occhi degni del Signore dell’Inferno, ma scommetto che sanguina come qualsiasi altro uomo.

— Allora speriamo proprio di non dovergli far sporcare di sangue tutto il mio pavimento. Dannazione, quanto detesto queste minacce!


Un piovoso tramonto colse Rhodry ancora ad una trentina di chilometri da Dun Hiraedd. Ricordando l’avvertimento di Nevyn di non viaggiare di notte, il giovane offrì ad un contadino un paio di monete di rame perché gli permettesse di dormire nel suo granaio, e per altre due monete la moglie del contadino gli diede per cena una ciotola di stufato e un pezzo di pane. Rhodry accettò il cibo con gratitudine e cenò insieme alla famiglia ad un lungo tavolo di legno vicino al camino; la paglia stesa per terra puzzava di maiali e i contadini mangiarono con le mani sporche, senza scambiare una sola parola né fra loro né con l’ospite fino ad aver raccolto fino all’ultima briciola accompagnata da un sorso di birra acquosa, ma anche così Rhodry fu comunque lieto della loro compagnia. Quando ebbe finito la cena indugiò ancora un po’ con loro, ascoltando senza eccessivo interesse la conversazione relativa al lavoro dell’indomani e fissando il fuoco nella speranza mista a timore di ottenere un altro messaggio di Nevyn, che però non venne.

Improvvisamente i cani si alzarono di scatto dalla paglia e si scagliarono oltre la porta aperta, ringhiando e abbaiando.

— A quanto pare sei il benvenuto più di quanto credessi, daga d’argento — commentò il contadino, lanciando un’occhiata alla spada di Rhodry. — Vuoi venire fuori con me?

— Con piacere.

Afferrata una torcia, il contadino la infilò per un momento nel fuoco per accenderla e si affrettò ad uscire seguito da Rhodry che teneva la spada in pugno. Vicino alla porta che si apriva nel muro di terra battuta i cani stavano ringhiando furiosamente contro un uomo fermo all’esterno, che teneva il cavallo per la cavezza e portava la spada al fianco.

Un’imprecazione del contadino indusse i cani a smettere di abbaiare, ma essi continuarono comunque a ringhiare contro lo straniero senza che ci fosse modo di farli quietare.

— Cosa significa tutto questo? — domandò infine il contadino.

— Nulla che ti riguardi, buon uomo — replicò lo sconosciuto, con uno sgradevole sorriso. — Voglio soltanto scambiare qualche parola con questa daga d’argento.

Rhodry avvertì un lieve senso di gelo allo stomaco. Come aveva fatto quell’uomo a sapere dove lui si trovava? Accorgendosi che lo sconosciuto lo stava fissando con una strana intensità, Rhodry si rese di colpo conto che l’uomo lo trovava interessante e che il sorriso che gli stava indirizzando era di quel genere che lui stesso aveva rivolto a più di una graziosa ragazza. L’idea gli causò un tale disgusto da indurlo a ritrarsi.

— Sto cercando una gemma rubata — affermò infine lo sconosciuto. — A Marcmwr qualcuno mi ha detto che forse potresti averla tu.

— Non sono un ladro.

— È ovvio che non lo sei, ma devo avere questo opale e sono disposto a pagarlo una moneta d’oro, più di quanto potresti mai ottenere da qualsiasi ricettatore.

— Non ho con me gemme di sorta.

Lo sconosciuto si protese leggermente in avanti, fissandolo negli occhi, e per un momento Rhodry si sentì completamente stordito, come se avesse bevuto troppo sidro.

— Non hai nessuna gemma con te? — chiese l’uomo.

— No.

Annuendo con decisione lo sconosciuto si ritrasse e distolse lo sguardo.

— Sono certo che sia così — affermò. — Ti ringrazio.

Prima che Rhodry potesse dire una sola parola l’uomo era già rimontato in sella, allontanandosi. I cani continuarono a ringhiare fino a quando non fu scomparso alla vista.


Sarcyn trovò un’ampia baracca di legno, indubbiamente costruita come rifugio per i numerosi mandriani che girovagavano al seguito delle mandrie; anche se puzzava, la baracca era asciutta ed aveva un piccolo camino da un lato, e dopo aver sistemato il cavallo in un angolo Sarcyn accese il fuoco. Non appena pensò ad Alastyr il volto del suo maestro gli apparve davanti: a quanto pareva, Alastyr era rimasto per tutto il tempo accanto al suo fuoco, in attesa di notizie.

— Non ce l’ha — gli trasmise mentalmente Sarcyn.

— È quanto temevo — replicò Alastyr, i cui pensieri avevano una connotazione di stanchezza. — Allora dovremo costringere gli spiriti a scovare la gemma. Se dovessero scoprire che ce l’ha la ragazza, manderò Evy in città.

— No, aspetta, lui non è abbastanza forte…

— Non discutere le mie decisioni.

Con quelle parole l’immagine di Alastyr svanì e nonostante i ripetuti tentativi Sarcyn non riuscì più ad evocarla. Sapeva che era inutile cercare di raggiungere Evy, perché senza dubbio il maestro si stava facendo assistere da lui nel rito, quindi si alzò in piedi e si accostò alla porta della capanna, osservando la pioggia che cadeva. Naturalmente, secondo tutti i principi del Sentiero Oscuro, se Evy fosse risultato tanto debole da fallire avrebbe meritato di pagare il prezzo che quel fallimento comportava, senza contare che la presenza di un membro debole nella loro piccola banda costituiva una fonte di pericolo… ma nonostante tutto Sarcyn si trovò a ricordare un giorno piovoso di molti armi prima, quando lui e suo fratello vivevano ancora nelle strade di Cerrmor: Evy aveva la febbre e nel guardarlo tremare per il freddo lui aveva pianto, pensando alla madre.

— Ho cercato di avere cura di lui, mamma — sussurrò, rivolto alla pioggia che cadeva nel Cwm Pecl.

Un momento più tardi imprecò sonoramente contro se stesso per essere un simile idiota dal cuore tenero che parlava da solo, e in preda all’ira tornò a girarsi verso il fuoco, fissandolo e vedendo soltanto le fiamme che danzavano irregolari. A quanto pareva Evy era ancora accanto ad Alastyr e quindi sotto il suo sigillo astrale, e tutto quello che lui poteva fare era sperare che la Grande Gemma dell’Ovest giacesse nel fango del passo di Cwm Pecl.


Jill e Ogwern rimasero al Drago Rosso per tutto il tempo del pasto serale perché Ogwern doveva ricevere le tasse e i pagamenti dovutigli dagli altri ladri; mentre il suo compagno procedeva a spolpare un intero arrosto d’agnello, Jill giocherellò distrattamente con il suo cibo, prendendo in considerazione l’idea di avvertire le guardie cittadine… ma cosa poteva fare? Correre dal gwerbret a raccontargli una storia di gemme maledette e di malvagi uomini del dweomer? Se ci avesse provato Blaen l’avrebbe probabilmente fatta arrestare con l’accusa di ubriachezza molesta.

Ultimata la cena, lei ed Ogwern passarono dalla Volpe in Fuga dove Jill recuperò la sua roba e proseguirono alla volta dell’alloggio del ladro, un paio di piccole stanze che si aprivano sopra la bottega di un sarto e che contenevano una un letto e l’altra una cassapanca, un piccolo tavolo e due panche; Ogwern spiegò a Jill che le modeste condizioni in cui viveva servivano a dimostrare alle guardie che i suoi unici introiti erano quelli derivanti dalla comproprietà del Drago Rosso. Stese a terra le coperte davanti alla porta, Jill si sedette su di esse, mentre Ogwern prese a passeggiare di qua e di là, accendendo le candele e andando alla finestra per sbirciare fuori attraverso una fessura delle imposte per poi tornare verso il camino con un profondo sospiro.

— Suvvia — disse infine Jill. — Credi forse che il nostro malvagio amico si materializzi dal nulla nel bel mezzo del tuo letto?

— La cosa non mi sorprenderebbe minimamente — ribatté Ogwern, adagiando la propria mole su una panca con un altro sospiro. — Sono davvero molto spaventato. Se mi piacesse questo genere di cose sarei diventato io stesso una daga d’argento.

— Saresti certo rimasto più snello.

— Ti prego di non essere scortese. C’è un lìmite agli insulti che si possono tollerare. Salsicce! Hah! Che sfaccia… — Di colpo il ladro s’interruppe per ascoltare.

Qualcuno stava salendo le scale con passo pesante. Allentata la spada nel fodero, Jill si alzò in piedi proprio mentre lo sconosciuto visitatore bussava con forza alla porta, attendeva un istante e bussava ancora.

— So che sei là dentro — scandì una voce diversa da quella che loro si aspettavano di sentire. — Apri la porta se non vuoi che la stacchi dai cardini.

L’ira che permeava la voce, per quanto effettiva, non ispirava il minimo timore, soltanto irritazione. All’interno, Jill ed Ogwern si scambiarono un’occhiata perplessa.

— Chi sei? — chiese quindi il grasso ladro. — Che cosa vuoi?

— Soltanto parlare con voi… di una questione di affari. — Adesso la voce era mutata, il suo tono era spaventato e supplichevole. — Avete già parlato con mio fratello.

Scrollando le spalle Ogwern tolse la sbarra dalla porta e aprì il battente di una fessura. Un momento più tardi Jill sentì un grugnito di sforzo e il loro visitatore assestò una spallata al battente, spingendo da un lato il grasso ladro per poi sgusciare nella stanza e richiudersi con violenza la porta alle spalle. I suoi lineamenti apparivano così familiari da indicare che lui era senza dubbio il fratello dell’uomo venuto in cerca dell’opale, ma i suoi occhi mancavano della spaventosa intensità di quelli dell’altro; lanciandosi intorno occhiate furtive, l’uomo manovrò jn modo da mantenere le spalle contro la parete, mentre la piega accasciata delle spalle e le ombre che gli segnavano gli occhi tradivano una stanchezza spaventosa.

— Non si è vista traccia dell’opale — affermò subito Ogwern.

— Non ti credo — replicò il visitatore, girandosi poi verso Jill. — Ce l’hai tu. È stato visto nel tuo equipaggiamento.

— Visto? Scommetto che vuoi dire che è stato individuato con il dweomer, ma qualcosa vi è andato storto. Tu possiedi il dweomer in misura sufficiente a sapere che sono sincera nell’affermare che il solo gioiello che ho è una spilla e per di più di scarso valore.

— Dèi, questo non ha senso! Tu devi… il mio maestro…

— Un momento! — stridette Ogwern. — Di cosa state parlando voi due? Io non ci capisco una sola dannata parola.

Ignorandolo, lo straniero mosse un passo verso Jill e la fissò negli occhi, cercando di catturare la sua volontà in maniera tanto goffa che la ragazza scoppiò a ridere. Con un ringhio, l’uomo portò la mano alla spada, ma non appena la estrasse Jill fece altrettanto, assumendo una posizione di combattimento.

— Ogwern! Chiama la guardia cittadina! — gridò.

Dal momento che la ragazza si trovava fra lui e la porta lo sconosciuto esitò, indietreggiando di un passo per avere spazio di manovra, e Ogwern ne approfittò per correre alla finestra e spalancare le imposte. Sentendo quel rumore, l’uomo scattò in avanti con un affondo, ma Jill parò il suo primo attacco con tale facilità da strappargli un sussulto di sorpresa, eseguendo poi una finta che lo spinse contro la parete.

— Aiuto! Assassinio! — prese intanto a gridare Ogwern, con quanto fiato aveva.

Lo sconosciuto si scagliò all’attacco come un animale braccato, dimostrando di non essere un goffo bandito ma uno spadaccino di abilità pari a quella di Jill, che si trovò a combattere per la propria vita fra un tintinnare d’acciaio mentre entrambi si muovevano per la minuscola camera, schivando e attaccando. Un rumore di passi echeggiò sulle scale e una voce urlò di aprire la porta nel nome del gwerbret. Per reazione l’uomo tentò un colpo disperato ma ebbe un momento di distrazione e Jill ne approfittò per schivare e raggiungerlo con forza alla spalla destra, ritraendosi subito dopo in modo da intercettare la sua lama e da strapparla dalla mano inerte. Con un grido, lo sconosciuto si addossò alla parete proprio mentre sei guardie dalla livrea rossa e oro spalancavano la porta ed entravano nella stanza.

— Ah, per gli dèi, buon Cinvan — esclamò Ogwern, — nessun onesto cittadino è mai stato più contento di me di vederti.

— Davvero? — Il capo delle guardie, un uomo robusto dai capelli scuri e brizzolati, si concesse un sorriso sprezzante. — Cosa succede? Ehi, ma è quella dannata daga d’argento che è una ragazza.

— Infatti, e vi prego di condurci immediatamente dal gwerbret.

— Quanto a questo non ti devi preoccupare — ribatté Cinvan.

Appoggiato al muro, con il respiro affannoso, lo sconosciuto sollevò la mano sinistra e la premette con forza contro la ferita nel tentativo di arrestare la fuoriuscita del sangue che gli colava lungo il braccio; quando guardò in direzione di Jill i suoi occhi apparvero torturati da un oscuro dolore che andava al di là della sofferenza causata dalla ferita.

— Fasciate quest’uomo — ordinò Cinvan, — e disarmate la daga d’argento.

Jill consegnò la spada e la daga ad una delle guardie mentre un’altra si guardava intorno alla ricerca di uno straccio per fasciare la ferita, e per tutto il tempo lo sconosciuto non distolse mai lo sguardo dal volto di Jill. All’improvviso, l’uomo sorrise come se fosse giunto ad una decisione e ritrasse la mano dalla ferita, sfregandola sulla camicia come per pulirla e portandosela infine alla bocca.

— Fermatelo! — urlò Jill, scattando in avanti.

Ormai era troppo tardi, perché l’uomo aveva inghiottito il veleno, quale che esso fosse. Irrigidendosi, s’incurvò all’indietro con tale violenza da sbattere la testa contro la parete, poi si contorse, sempre teso come la corda di un arco, e cadde al suolo; i suoi talloni picchiarono per qualche istante contro il pavimento di legno, quindi l’uomo giacque immobile, con un filo di schiuma grigia e maleodorante che gli colava dalla bocca.

— Per tutti gli dèi! — esclamò Cinvan.

Con le mascelle imperlate di sudore, Ogwern passò in camera da letto con andatura incerta e un momento più tardi tutti lo sentirono vomitare in una bacinella; a giudicare dal suo aspetto, sembrava che anche la più giovane delle guardie desiderasse poter fare altrettanto.

— Avanti, ragazzi — ordinò Cinvan, con voce un po’ troppo alta, — due di voi trasportino il corpo. Accompagneremo il nostro locandiere alla presenza di Sua Grazia.

— Un momento! — protestò con indignazione Ogwern, tornando nella stanza. — Adesso è così che un onesto cittadino viene trattato per aver nobilmente chiamato le guardie del gwerbret?

— Tieni a freno la lingua! — sibilò Jill. — Nel tuo interesse, Ogwern, ti conviene pregare che Sua Grazia scopra cosa si cela dietro questa faccenda.

Ogwern la guardò, rabbrividì e annuì. Dentro di sé, Jill si chiese con un senso di sgomento di cosa quell’uomo potesse aver avuto tanta paura da arrivare a prendere con un sorriso la decisione di uccidersi.

Quella che giunse nella sala delle guardie della fortezza di Blaen fu una piccola processione macabra; mentre Cinvan andava a chiamare il suo signore, i suoi uomini gettarono su un tavolo il cadavere ancora rigido e ordinarono a Jill e ad Ogwern di inginocchiarsi vicino ad esso. Pochi minuti più tardi Blaen sopraggiunse con passo tranquillo e con un boccale di sidro in mano: lanciata un’occhiata al cadavere, bevve un lungo sorso di sidro e ascoltò con aria pensosa il rapporto di Cinvan.

— Benissimo — commentò, quando il comandante ebbe finito. — Ora, daga d’argento, sentiamo cosa ci facevi in mezzo a tutto questo.

— Stavo soltanto facendo ciò per cui ero stata assoldata, Vostra Grazia, nulla di più — rispose Jill, poi esitò. Anche se rispettava Blaen, come daga d’argento la sua lealtà andava più alla corporazione dei ladri che a quel simbolo vivente della legge. — Ogwern mi ha detto che qualcuno minacciava la sua vita e mi ha offerto una moneta d’argento perché lo proteggessi.

— E perché quell’uomo ti minacciava? — domandò Blaen al grasso ladro.

— Ah, ecco, Vostra Grazia — cominciò Ogwern, asciugandosi la faccia sudata con l’ampia manica, — le minacce originali erano venute da un altro uomo, non da questo. Io posseggo parte della Locanda del Drago Rosso, e quel tizio sosteneva di essere stato imbrogliato da me. Così ho assoldato Jill e con nostra sorpresa questo assoluto sconosciuto ha fatto irruzione nella mia casa affermando di essere venuto a sistemare la faccenda del debito di suo fratello.

Come c’era da aspettarsi, Blaen rimase perplesso di fronte a quella storiella ambigua.

— Suo fratello? — ripeté infine.

— Proprio così, Vostra Grazia. Posso soltanto supporre che quest’uomo fosse il fratello di quello che si ritiene imbrogliato da me.

— Hah! — sbuffò Cinvan. — Derubato, più probabilmente.

— Mio buon signore! — esclamò Ogwern, fissandolo con espressione ferita. — Se ritenesse di essere stato derubato sarebbe venuto da voi.

— Questo è vero — ammise Blaen. — Vuoi quindi affermare che l’uomo che ha avanzato delle lamentele nei tuoi confronti è ancora in circolazione?

— Proprio così, Vostra Grazia, e in vero io temo ancora per la mia grassa ma preziosa persona. Ho dei testimoni delle sue minacce, Vostra Grazia, e sono tutti attendibili.

Blaen rifletté sulla cosa, sorseggiando il sidro e osservando il cadavere bluastro.

— Bene — decise infine, — non ci sono dubbi sul fatto che un tizio che tiene del veleno nella camicia sia di certo un poco di buono. Domani organizzerò un’udienza formale sulla questione nella mia camera di giustizia. Per ora, Ogwern, tu puoi andare… Cinvan incaricherà una guardia di rimanere per tutta la notte davanti alla tua porta. Il malover si terrà circa due ore dopo mezzogiorno, quindi procura di portare con te i testimoni.

— Lo farò, Vostra Grazia — garantì Ogwern, alzandosi ed eseguendo un inchino sorprendentemente aggraziato. — Sono estremamente grato a Vostra Grazia che garantisce tanta sicurezza a noi onesti e poveri abitanti.

Il grasso ladro uscì quindi indietreggiando e inchinandosi, e Jill suppose che appena fuori della presenza del gwerbret si sarebbe affrettato a lasciare la fortezza. Blaen intanto si rivolse a Cinvan.

— Dimmi, Cinvan — osservò, — sei davvero convinto che quel grassone sia il re di tutti i ladri di Cwm Pecl? Io trovo difficile crederlo.

— So che Vostra Grazia ha dei dubbi al riguardo, ma giuro che un giorno o l’altro lo coglierò con una tale refurtiva da convincere un’intera sala piena di consiglieri.

— Quando lo avrai fatto gli taglieremo le mani, ma non un momento prima. Ed ora veniamo a te, daga d’argento… non vorrei che sgusciassi fuori della città nel momento in cui le porte si apriranno, domattina, quindi Cinvan ti metterà agli arresti.

— Ma Vostra Grazia — balbettò Jill, — ha estratto lui per primo la spada.

— Non ne dubito, ma voglio che tu sia presente al malover per affermarlo di persona. Ascoltami, ragazza, non è che ti stia accusando di assassinio o qualcosa del genere… dopo tutto quel tizio si è avvelenato… ma conosco la scarsa opinione che le daghe d’argento hanno della legge,

— Come preferisce Vostra Grazia, ma se devo essere sottoposta a processo per qualcosa mi permetto di ricordare a Vostra Grazia che ho il diritto di avere accanto qualcuno della mia famiglia.

— Domani terremo soltanto un’udienza, comunque hai ragione. Se dovessi ritenere che la questione richiede un giudizio formale aspetteremo che tu possa convocare un parente che si trovi ad una ragionevole distanza da qui.

— Stavo pensando al mio uomo, Vostra Grazia. Rhodry dovrebbe arrivare presto con la carovana.

— Rhodry? — ripeté Blaen, scoccandole un’occhiata stranamente penetrante.

— È il suo nome, Vostra Grazia, Rhodry Mael… voglio dire, Rhodry di Aberwyn.

Cinvan emise uno strano suono soffocato, ma Blaen si limitò a gettare indietro la testa e a scoppiare in una fragorosa risata.

— Stavi per dire Rhodry Maelwaedd, vero? — osservò poi. — Per gli dèi, Jill, lui è mio cugino, il figlio della sorella di mia madre.

— Allora non mi meraviglia più che somigli tanto a Vostra Grazia.

— Proprio così. Tutti i grandi clan sono incrociati fra loro come cavalli del Bardek. Avanti, alzati da quel pavimento! Ho avuto proprio un bel modo di trattare la moglie di mio cugino! Mi farà dannatamente piacere rivedere Rhodry… quando ho appreso del suo esilio ero furibondo, ma Rhys è sempre stato un piccolo bastardo cocciuto e so che non presterà ascolto né a me né ad altri in merito a questa sua follia. Cinvan, procura una sedia a questa dama.

Il solo sedile disponibile nella sala delle guardie era uno sgabello di legno, ma Jill lo accettò con gratitudine.

— A dire il vero, Vostra Grazia — replicò, — non sono né una dama né la moglie legale di Rhodry.

— Non ha avuto la decenza di sposarti, vero? Penserò io a dirgli due parole al riguardo. Dov’è il tuo equipaggiamento? Cinvan, manda uno dei ragazzi a prenderlo… stanotte Gilyan si fermerà alla fortezza.

Dopo aver eseguito quell’ordine, Cinvan si addossò il macabro compito di perquisire il cadavere mentre Blaen osservava Jill con un sorrisetto paterno… fra i nobili, infatti, per un uomo un cugino era un parente più importante dei fratelli, suoi rivali nell’ereditare terre e influenza.

Hai la fortuna di una daga d’argento, si disse Jill, ma al tempo stesso si chiese cosa ne avrebbe pensato Rhodry di tutto questo e di colpo fu assalita dal desiderio che lui fosse lì, in modo da potersi gettare fra le sue braccia e dimenticare tutto quel dweomer malvagio.

— Adesso — disse infine Blaen, — dato che siamo praticamente parenti, puoi anche parlare sinceramente: tu sai su quest’uomo più di quanto sei disposta ad ammettere.

— Vostra Grazia penserà che sono pazza, ma giuro che quell’uomo possedeva il dweomer. Ha fatto irruzione nella casa di Ogwern con l’evidente scopo di causare guai e quando ho cercato di fermarlo mi ha guardata negli occhi e per poco non mi ha gettato addosso un incantesimo. Per un istante non ho potuto né pensare né muovermi.

Alle loro spalle Cinvan emise una sonora imprecazione.

— Chiedo scusa, ma è meglio che Vostra Grazia dia un’occhiata a questo — disse poi, protendendo una catena da cui pendeva un medaglione formato da una sottile piastra di piombo su cui erano incisi un pentacolo rovesciato, una parola nella lingua del Bardek e tre strani simboli. — Era intorno al collo di questo bastardo. Dubito che i discorsi di stregoneria di Gilyan siano assurdi quanto sembrano.


Attraverso le immagini create nel fuoco, Alastyr vide Evy morire, vide il suo corpo che ancora si contraeva al suolo mentre il pallido e azzurrino doppione eterico se ne separava, fluttuando al di sopra della materia morta abbandonata sotto di sé. Annaspando per respirare, con la testa che gli vorticava e lo sguardo velato da una crepitante nebbia dorata, Alastyr dovette far ricorso a tutta la sua volontà per respingere quella nebbia ed evitare di svenire. La sua aura era infatti collegata a quella di Evy mediante un legame eterico in modo che lui potesse attingere alla vitalità dell’apprendista per alimentare la propria, e l’infrangersi del vincolo lo aveva ferito come un colpo di spada. Legato dalla parte opposta del fuoco, Camdel lo fissò con espressione terrorizzata mentre lui si sdraiava supino: anche se si sentiva del tutto prosciugato, sapeva di dover cauterizzare su= bito quella ferita.

Passando all’impiego della seconda vista, poté scorgere la propria aura che pulsava debolmente, una nube rossastra e ovoidale venata di sottili linee nere da cui pendeva infranto un cordone di luce che ondeggiava come un serpente decapitato. Alastyr si concentrò su di esso e cominciò a ritrarlo nella propria aura ma poi pensò a Camdel: con la seconda vista ancora attiva si sollevò in piedi barcollando e fissò il giovane lord tremante, la cui aura appariva pallida e rimpicciolita. Prosciugare ulteriormente la sua vitalità sarebbe equivalso ad ucciderlo, e lui era ancora uno strumento utile, quindi Alastyr tornò a sedersi, con la testa china sulle ginocchia, e riassorbì in sé la linea di luce, disattivando poi la seconda vista. Adesso doveva riposare.

Fu allora che sentì la mente di Sarcyn toccare la sua e chiedergli di contattarlo. L’ira dell’apprendista era quasi palpabile e si riversò su di lui come un torrente di fuoco, ma non appena ebbe disposto intorno a sé i propri sigilli personali essa si ritrasse come la marea e scomparve. Adagiatosi al suolo, Alastyr si addormentò.


Naturalmente, Sarcyn aveva seguito a sua volta ciò che era accaduto nella camera di Ogwern, e allorché Alastyr rifiutò di contattarlo l’ira lo spinse ad afferrare un pesante pezzo di legna da ardere e a sbatterlo con violenza contro il muro, tornando in sé soltanto quando il suo cavallo prese a nitrire spaventato. Con uno sforzo di volontà calmò quindi la propria respirazione e la mente: dal momento che era ancora a trenta chilometri da Dun Hiraedd non poteva più fare nulla per suo fratello. Un più esperto uomo del dweomer vi si sarebbe potuto recare con il corpo di luce, ma Sarcyn era ancora un principiante di quella tecnica e inoltre la città era attraversata da un fiume che sul piano eterico costituiva un pericoloso torrente di forze capace di distruggere un viaggiatore poco attento.

Rimaneva però la vendetta. Pur essendo tentato di andarsene e di abbandonare Alastyr, Sarcyn sapeva di non essere abbastanza forte da potersi impadronire da solo di Jill, per cui avrebbe dovuto sopportare il suo maestro ancora per qualche tempo, fino a quando non si fosse saziato con la vendetta. Increspando le labbra in un sorriso che sarebbe stato orribile a vedersi, si sedette accanto al fuoco per evocare l’immagine della ragazza… anche se era a trenta chilometri di distanza aveva infatti ancora qualche trucco a disposizione e il talento stesso per il dweomer che Jill possedeva la rendeva vulnerabile.


Dal momento che Blaen insistette per trattare Jill come se lei fosse stata legalmente sposata al suo amato cugino, il ciambellano le assegnò un’ampia camera dotata di un camino personale, di un letto dalle coltri ricamate e di candelabri d’argento disposti lungo le pareti. Un paggio le portò dell’acqua calda e dopo essersi lavata lei posò la bacinella fuori della porta perché venisse prelevata, sbarrando quindi il battente dall’interno. Dal momento che aveva fatto ben poco durante tutto il giorno, invece di stancarla il breve combattimento aveva avuto soltanto l’effetto di renderla nervosa, e per qualche tempo passeggiò avanti e indietro, osservando il riflesso danzante della luce delle candele sulle pareti. Intorno a lei la stanza e l’intera rocca erano immerse nel silenzio, ma di colpo Jill ebbe la certezza di non essere sola. Non si avvertiva nessun suono, neppure la sottile differenza creata in una stanza dalla presenza di un ulteriore corpo che ne assorbisse il rumore, ma lei poteva percepire come una presenza tangibile qualcuno che la stava osservando. Sentendosi assolutamente stupida, estrasse dal fodero la daga d’argento e prese ad aggirarsi per la camera senza trovare però neppure un topo in un angolo; di scatto, si girò per guardarsi alle spalle, ma anche là c’era soltanto il bagliore delle candele. Eppure nella stanza si avvertiva una presenza… Jill era sicura che qualcuno le stesse dando la caccia più di quanto lo fosse mai stata di qualsiasi altra cosa.

Un cauto passo per volta si accostò alla finestra e spalancò le imposte, ma nessuno si stava arrampicando su per l’erta torre di pietra e in basso il cortile buio era vuoto. Sollevando lo sguardo, poté scorgere le stelle e la grande distesa della Strada Innevata che si allargava in alto sopra di lei… luce, ma fredda e indifferente alla sua situazione o a quella di qualsiasi altro essere umano. D’un tratto fu assalita dalla disperazione, un cupo dolore che le pervase il cuore come se più nulla avesse importanza, né l’onore, né la vita, neppure il suo amore per Rhodry… nulla, perché la vita umana non poteva essere altro che un tremolante punto di luce sullo sfondo avviluppante dell’oscurità, proprio come quelle minuscole stelle indifferenti e crudeli. Si protese in fuori sul davanzale e la sua disperazione si andò accentuando, privandola di ogni energia e della forza di volontà.

Perché lottare, pensò. Se la notte vince sempre, perché combatterla?

Lontano sull’orizzonte, al di là della città addormentata, l’ultimo quarto di luna stava sorgendo come un pallido chiarore contro l’oscurità dilagante, e nel guardarla Jill pensò che presto anche la luna si sarebbe assottigliata nel buio fino a scomparire.

Ma sorge di nuovo, si disse, e torna ad essere piena.

La luna era una promessa sospesa nel cielo, che alla conclusione del suo tempo oscuro ogni volta tornava e cresceva fino a diventare un faro argenteo che riversava la propria luce su tutto, sui buoni e sui malvagi.

Soltanto per svanire di nuovo, sussurrò un pensiero nella sua mente.

Quel pensiero era però stato pronunciato da una voce che non era la sua, e soltanto allora Jill si rese conto di essere impegnata a combattere una battaglia contro un nemico che non poteva vedere e con armi che non aveva mai usato.

Quella realizzazione infranse la sua disperazione e la fece spezzare come una corda troppo tesa. Girandosi di scatto, frugò la stanza con lo sguardo e parlò ad alta voce, anche se sembrava che in essa non ci fosse nessuno.

— Per la Dea, alla fine la luce vince!

Adesso era sola, la presenza se n’era andata, ma per quel che ne sapeva sarebbe potuta tornare a tormentarla, magari in sogno, quando lei fosse stata impotente a reagire. Versando qualche lacrima di sgomento si sedette sul bordo del letto e compresse le mani tremanti fra le ginocchia, consapevole che la sua decantata abilità con la spada non le sarebbe stata di nessun aiuto in questa circostanza, perché il dweomer era l’unica cosa che poteva combattere il dweomer, e in quel campo lei era debole e priva di addestramento. Soltanto allora si rese conto che negare il suo talento per il dweomer l’aveva resa impotente a difendersi e che continuare a negarlo avrebbe significato che si sarebbe trovata di continuo forzatamente in contatto con cose strane che non era in suo potere controllare o influenzare. Poi si ricordò di Nevyn e del fatto che stava arrivando.

Più di una volta aveva avuto modo di vedere il vecchio contattare gli altri maestri del dweomer attraverso il fuoco. Per quanto ne sapeva, quella era una cosa che soltanto un maestro poteva fare, preclusa a chi come lei era ignorante in materia, ma si alzò lo stesso e si avvicinò lentamente alle candele ammassate nei candelabri. Durante quel suo primo consapevole tentativo di servirsi del dweomer si sentì dapprima stupida, poi imbarazzata e infine spaventata, ma si costrinse a fissare le fiamme e a pensare a Nevyn. Per un momento fu consapevole soltanto dell’oscurità della propria mente, poi uno strano genere di pressione si andò creando contro qualcosa di inspiegabile, proprio come quando capita di dimenticare un nome che si conosce bene e si fruga nella mente con assoluta frustrazione per quell’improvviso vuoto di memoria.

La sua paura andò aumentando, paura di usare il dweomer, paura di chi la stava braccando, e continuò a crescere fino a quando lei ricordò di colpo qualcosa che in qualche modo aveva sempre saputo, e cioè che la paura era la chiave che le serviva, che un sentimento intenso era lo strumento per infrangere le mura presenti nella sua mente.

— Nevyn! — gridò. — Aiutami!

Un momento più tardi vide, nitido e danzante sulla fiamma delle candele, il volto del vecchio con le sopracciglia cespugliose alzate in un’espressione di sorpresa e lo sguardo preoccupato.

— Siano ringraziati gli dèi che mi hai chiamato — scandì la sua voce nella mente di Jill. — Da giorni stavo cercando di raggiungerti.

Il suo tono era così pratico che Jill scoppiò in una risatina quasi isterica.

— Cerca di restare calma, altrimenti perderai la visione — l’avvertì lui, in tono brusco. — Pensa a ciò che stai facendo come ad un combattimento, bambina. Tu sai come concentrare la tua volontà.

Adesso che Nevyn lo aveva detto, lei si rese conto che era vero: si trattava di una concentrazione molto simile a quella fredda e letale che lei evocava nello studiare le mosse di un avversario.

— Prima ti stavo osservando e ho visto quell’uomo avvelenarsi — proseguì Nevyn. — Non mi meraviglia che tu sia tanto turbata. Ora ascolta: i nostri nemici sembrano essere dannatamente forti. Tu sai che cosa vogliono?

— Quell’opale che ho con me, o armeno credo che si tratti dell’opale, perché quel piccolo bastardo continua a cambiare forma.

Nevyn ridacchiò in maniera tale che Jill sentì evaporare la propria paura.

— È l’opale, non ci sono dubbi, e ammetto che gli spiriti che lo custodiscono tendono a volte ad essere irritanti. Vedi, quella pietra è un talismano delle nobili virtù, e gli spiriti prendono un po’ troppo sul serio la virtù dell’orgoglio. Ma dimmi, l’ombra di quell’uomo morto è venuta a disturbarti?

— Non lo so. Qualcuno lo ha fatto. Ti ho chiamato perché pensieri estranei continuavano a infilarsi nella mia mente e sentivo qualcuno che mi braccava.

— Allora non si tratta di lui. Non ti preoccupare, porrò io un sigillo su di te. Ora va’ a dormire e riposa, bambina. Io sono quasi a Dun Hiraedd.

L’immagine svanì. Anche se si distese sul letto, Jill lasciò le candele accese e posò la daga d’argento sul cuscino; era certa che non si sarebbe mai addormentata, ma di colpo si svegliò in una stanza piena di sole. Fuori, nel corridoio, sentì un paggio fischiare, e quel semplice suono umano le parve la musica più bella che avesse mai udito. Alzatasi, si accostò alla finestra: in basso la luce del sole batteva sugli uomini che andavano e venivano ridendo e chiacchierando, e adesso sembrava impossibile credere alle battaglie condotte con il dweomer. Lei sapeva però che la notte precedente aveva usato la sua volontà per contattare Nevyn tramite il fuoco… con un brivido si allontanò dalla finestra e si affrettò a vestirsi, perché voleva avere altra gente intorno.

Una volta che fu scesa nella grande sala il ricordo della paura si ritrasse al limitare della sua mente. Gli uomini della banda di guerra sedevano ai tavoli intenti a fare colazione scherzando fra loro, mentre i servi si affaccendavano avanti e indietro, e Blaen era di ottimo umore, tanto che prese a chiacchierare con lei come se avesse del tutto dimenticato lo straniero che si era avvelenato nella sua città. Intorno a loro, i funzionari di corte, il ciambellano, il bardo e i consiglieri vennero a turno a dare il buon giorno al loro signore, indirizzando a lei un grave inchino. Jill fu contenta di vedere che Blaen stava bevendo birra e non sidro con la colazione; mentre mangiava, il gwerbret spezzò un pezzo di pane dolce con le noci e glielo porse con un gesto gentile.

— Ah, mi farà piacere rivedere mio cugino — osservò. — Abbiamo passato insieme molti bei momenti quando eravamo ragazzi. Eravamo tutti e due paggi a Dun Cantrae, e il vecchio gwerbret era un tipo piuttosto rigido, per cui noi ci divertivamo a organizzare uno scherzo dopo l’altro. — Blaen s’interruppe e sollevò lo sguardo quando un paggio gli si avvicinò con passo affrettato. — Cosa c’è, ragazzo?

— Fuori c’è uno strano vecchio, Vostra Grazia. Dice di doverti vedere immediatamente per una questione della massima importanza ma è vestito come un mendicante e sostiene che il suo nome è nessuno.

— È Nevyn, sia resa grazie a tutti gli dèi! — esplose Jill.

— Conosci quest’uomo? — domandò Blaen, sorpreso.

— Sì, e prego Vostra Grazia di parlare con lui, nell’interesse di Rhodry, oltre che nel mio.

— D’accordo, allora. Accompagnalo dentro, ragazzo, e ricorda di essere sempre cortese con chi è anziano, trasandato o meno che sia.

Mentre il paggio si allontanava Jill rabbrividì, assalita dalla sensazione che la soleggiata e affollata sala fosse divenuta d’un tratto irreale. Quasi avesse avvertito il suo cambiamento d’umore Blaen si alzò in piedi e fissò con espressione leggermente accigliata la soglia da cui Nevyn era appena sbucato; il vecchio avanzò verso di lui con il lacero mantello marrone che gli si agitava sulle spalle e s’inginocchiò in segno di omaggio con una facilità che più di un giovane cortigiano gli avrebbe di certo invidiato.

— Domando perdono per aver richiesto l’attenzione di Vostra Grazia, — disse, — ma si tratta di una cosa davvero urgente.

— Qualsiasi uomo che la richieda ha diritto alla mia giustizia. Cosa turba il tuo cuore, buon signore?

— Quell’uomo che si è avvelenato la notte scorsa.

— Dèi! — esclamò Blaen, stupefatto. — La notizia si è già diffusa così in fretta?

— Sì, Vostra Grazia, per coloro che hanno orecchi per sentire. Sono venuto per risparmiarti la fatica di seppellire quello stolto. Sai dove si trova il suo corpo?

— Dimmi, è un tuo parente?

— Ecco, si potrebbe anche dire che lo è, visto che ogni clan ha la sua pecora nera.

Perplesso, il gwerbret scoccò un’occhiata a Jill.

— Per favore, Vostra Grazia, facciamo come dice lui — supplicò lei.

— D’accordo, allora. Non può certo venirne nulla di male.

Consumato com’era dalla curiosità, Blaen scortò di persona Nevyn e Jill nella sala delle guardie, interrogando una di esse. Risultò che il cadavere era stato avvolto in una coperta e deposto in una baracca usata di solito per immagazzinare la legna da ardere: insieme, Nevyn e Jill lo trascinarono fuori sull’acciottolato, poi Nevyn gli si inginocchiò accanto e tirò indietro la coperta per osservare la faccia del morto.

— Non lo riconosco — disse infine, — e in un certo senso questo è un brutto segno.

Sedutosi all’indietro sui talloni appoggiò quindi le mani sulle cosce e rimase a lungo a fissare il corpo con un atteggiamento così rilassato e lo sguardo così appannato da far supporre a Jill che fosse entrato in trance. Di tanto in tanto, la sua bocca si mosse senza emettere suoni, come se stesse parlando con qualcimo, e alla fine lui sollevò lo sguardo scuotendo il capo per poi rialzarsi con espressione triste.

— Questo era un povero pesce piccolo — disse, — intrappolato in una rete non sua. Bene, è ora di avviarlo al riposo che gli spetta.

Segnalando a Jill e a Blaen di trarsi indietro, Nevyn si pose davanti alla testa del cadavere e sollevò le braccia come se stesse pregando il sole, mantenendo a lungo quella posizione con espressione concentrata prima di abbassare lentamente le mani in un arco che le portò a indicare con la punta delle dita il morto disteso sull’acciottolato. Dal corpo si levò allora un fuoco innaturale e spettrale, fatto di irregolari lingue azzurre e argentee; Nevyn pronunciò poi tre parole incomprensibili e le fiamme divennero incandescenti, alzandosi ancora di più. Con un’imprecazione, Blaen sollevò un braccio a proteggersi il viso ed anche Jill si coprì gli occhi con le mani mentre le giungeva all’orecchio un gemito tormentato, un lungo sospiro che esprimeva terrore e al tempo stesso, incomprensibilmente, sollievo, proprio come quello di un ferito che sapesse di essere prossimo a trovare nella morte la liberazione dalla sofferenza.

— È fatta! — esclamò Nevyn. — È finita.

Jill sollevò lo sguardo in tempo per vederlo battere tre volte il piede contro il terreno: adesso al posto del corpo restava soltanto una manciata di cenere bianca. Ad uno schioccare delle dita di Nevyn una brezza leggera si levò a disperdere anche quelle ceneri, per poi cessare improvvisa com’era sorta.

— Adesso la sua anima è libera dal corpo e in viaggio verso l’Aldilà — spiegò Nevyn, quindi si girò verso il gwerbret e aggiunse: — Nel rhan di Vostra Grazia stanno succedendo cose davvero strane.

— Non ne dubito — balbettò Blaen. — Per il nero posteriore del Signore dell’Inferno, quello cos’era?

— Dweomer, naturalmente. Cosa credevi che fosse?

Pallido in volto, con la bocca contratta, Blaen indietreggiò di un passo, e Nevyn gli indirizzò un sorriso paziente e gentile, come quello che una madre rivolge ad un figlio che si sia imbattuto in qualcosa che è troppo giovane per capire.

— È tempo che nel regno tutti apprendano la verità sul dweomer — proseguì, — e Vostra Grazia avrà il privilegio di essere uno dei primi. Ora vorresti permettere a me e a Jill di congedarci da te per un po’? Ho questioni urgenti da sbrigare in città.

Blaen abbassò lo sguardo sull’acciottolato, ancora intriso di calore, e rabbrividì.

— Se il mio signore lo desidera — replicò, elevando bruscamente il rango di Nevyn, — io non ho obiezioni.

Nevyn infilò subito il braccio sotto quello di Jill e la condusse via con decisione.

— Sono dannatamente contenta di vederti — osservò lei. — Ho avuto una paura terribile.

— E ne hai avuto motivo. Ora ascoltami, bambina: il pericolo non è ancora cessato, quindi restami vicino e fa’ esattamente quello che ti dico.

Jill si sentì quasi prossima a piangere per la delusione, perché aveva creduto che una volta che il vecchio fosse arrivato i rischi sarebbero cessati.

— Quando ho evocato la tua immagine, ti ho vista proteggere Ogwern il ladro — continuò Nevyn. — Accompagnami da lui: se tu hai passato dei brutti momenti, la scorsa notte, sono certo che anche ad Ogwern è successo lo stesso. Qualcuno ti stava tormentando per vendicarsi della morte di Evy.

— Evy? Come sai il suo nome?

— Me lo ha detto lui poco fa, naturalmente. Dal momento che era morto ormai da qualche tempo non mi ha potuto rivelare molto di più, perché la sua ombra stava già cominciando a indebolirsi e a dissolversi, quindi l’ho mandato incontro al suo giudizio anche se mi sarebbe piaciuto cavargli qualche altra informazione.

Quei discorsi di spettri indussero Jill a irrigidirsi per la paura.

— Suvvia — la rassicurò però Nevyn, — è una cosa del tutto normale, ma questo non è il momento più adatto per spiegarti ogni cosa. Vediamo prima cosa è successo ad Ogwern.

Quando arrivarono al Drago Rosso scoprirono che Nevyn aveva ragione ad essere preoccupato, perché il locandiere spaventato spiegò loro che Ogwern si era sentito male la notte precedente e si trovava nelle sue stanze. Mentre si affrettavano a raggiungere la bottega del sarto Jill si tenne nei vicoli meno frequentati per innato sospetto nei confronti delle guardie cittadine e per timore del fratello di Evy. Quando bussarono alla porta di Ogwern fu l’Airone che venne ad aprire.

— Ho sentito che Ogwern stava male — spiegò Jill, — ed ho portato un erborista di cui possiamo fidarci.

— Siano ringraziati gli dèi — replicò il giovane, con sincera devozione. — È stata una notte orribile. Non avrei mai creduto di poter essere lieto di vedere una dannata guardia, ma se Sua Grazia non avesse messo di sentinella alla porta quel tizio robusto giuro che Ogwern si sarebbe gettato dalla finestra.

Nevyn annuì con espressione cupa, quasi si fosse aspettato proprio una cosa del genere. Una volta dentro trovarono Ogwern disteso a letto con una logora coperta azzurra tirata su fino al collo massiccio; anche se aveva lo sguardo fisso al soffitto, il re dei ladri appariva più terrorizzato che malato.

— La scorsa notte è stato come trovarsi nel terzo inferno — spiegò l’Airone. — Stavamo bevendo un boccale al Drago Rosso quando di colpo lui ha cominciato a tremare e a farneticare.

— Non ne voglio sentir parlare — intervenne Ogwern, tirandosi la coperta sulla testa. — Lasciatemi libero di morire in pace, tutti quanti.

— Non stai per morire — ribatté Nevyn, secco. — Io sono un erborista, buon signore, quindi abbassa quella coperta e descrivimi i tuoi sintomi.

La coperta scivolò verso il basso quanto bastava per rivelare gli occhi scuri di Ogwern.

— Sto impazzendo. Oh, malvagia, malvagia, malvagia sorte. Preferisco morire piuttosto che impazzire, quindi preparami un veleno indolore, erborista.

— Non farò nulla del genere, perciò smettila di dire sciocchezze e parlami di quanto è successo.

— Ecco, in verità non so cosa dire. All’improvviso sono stato assalito dal terrore, mio buon signore, ed ho cominciato a tremare e a sudare. Sapevo di essere perduto, capisci, ero certo che sarei morto qualsiasi cosa avessi fatto. — Ogwern s’interruppe poi aggiunse, con voce fievole: — Non avevo mai provato un simile terrore in tutta la mia vita.

— E subito dopo ha cominciato ad urlare che era meglio morire in fretta che lentamente — intervenne l’Airone. — Ha afferrato la sua daga, e noi gli siamo saltati addosso per disarmarlo, poi io e un paio dei ragazzi lo abbiamo accompagnato qui, più o meno quando è arrivata la guardia del gwerbret. Dopo che ha tentato di buttarsi dalla finestra lo abbiamo legato al letto, ma lui ha continuato a delirare e a urlare che voleva morire.

— Ah, comincio a capire — commentò Nevyn. — Poi all’alba si è improvvisamente calmato.

— Infatti. — Ogwern si sollevò a sedere con espressione d’un tratto speranzosa, rivelando così di essere completamente vestito sotto le coperte. — È stata una cosa improvvisa come il cadere della febbre.

— Esatto, ma non si trattava di febbre, bensì di veleno. Ogwern, tu devi avere in città un nemico che ha messo una particolare sostanza nelle tue bevande, l’oleofurtiva tormenticula smargeddinni — dichiarò il vecchio, scandendo con gusto quel nome imponente. — Per fortuna, la tua mole ti ha salvato da una dose letale. Quel veleno crea squilibrio negli umori, dando la prevalenza a quelli caldi e umidi su quelli secchi e freddi, su cui poggiano le facoltà razionali. Quando il corpo comincia a risentire degli effetti del veleno, la mente non è in grado di capire cosa sta succedendo e non riesce a reagire razionalmente, e in questo modo il veleno raddoppia il suo effetto.

— Oh, dèi! — sussurrò Ogwern. — Una cosa davvero infernale, buon signore.

— D’ora in poi devi stare sempre in guardia. Quanto ai residui del veleno, per due settimane mangia soltanto cibi freddi e asciutti, come pane, mele, la parte bianca del pollo, il tutto a freddo. In questo modo purificherai gli umori.

— Lo farò, buon erborista. Oh dèi, ho visto la morte davvero da vicino.

Dal momento che non stava per morire, Ogwern si decise ad alzarsi dal letto e insistette per pagare Nevyn con una moneta d’argento.

— In un certo senso è un peccato che non sia malato — osservò poi, con aria cupa, — perché così questo pomeriggio dovrò affrontare quel dannato gwerbret. Ascolta, Jill, dì il meno possibile e attieniti al fatto di aver agito come mia guardia del corpo, lasciando il resto a me.

— Ha dedicato ore all’elaborazione di questa storia — interloquì l’Airone. — È un vero capolavoro.

Quando se ne andarono, Nevyn insistette per passare dal tempio di Bel che sorgeva vicino al fiume per deporre la moneta di Ogwern, di certo rubata, nella ciotola delle donazioni per i poveri, e mentre camminavano Jill continuò a guardarsi nervosamente intorno, quasi aspettandosi di vedere nemici balzare fuori dalle mura delle case.

— Nevyn, come ha fatto il fratello di Evy a far arrivare il veleno nella birra di Ogwern? — chiese.

— Cosa? Oh, è evidente che riesco a mentire con la stessa disinvoltura di una daga d’argento se anche tu hai creduto a quelle sciocchezze. Ho inventato tutto sul momento per tranquillizzare Ogwern: ha bisogno di stare in guardia, ma non potevo dirgli la verità perché non ci avrebbe creduto.

— Vuoi dire che non si è trattato realmente di veleno?

— No. Il nome che ho usato era formulato nell’antica lingua dei Rhwman e significava piccolo tormento color smeraldo per ladri grassi.

— Allora cosa è successo?

Nevyn si guardò intorno lungo la riva del fiume. A parte due ragazzi fermi vicino al bordo dell’acqua e intenti a sorvegliare il bestiame al pascolo, nelle vicinanze non c’era nessuno.

— Il fratello di Evy ha operato sulla mente di Ogwern nello stesso modo in cui ha cercato di fare con la tua — spiegò quindi. — Dubito che avesse l’intenzione di spingerti al suicidio, perché in quel caso Blaen avrebbe sequestrato i tuoi effetti personali e loro non avrebbero più potuto recuperare l’opale, ma di certo voleva tormentarti e farti soffrire. Dal momento che fra noi esiste una sorta di legame anche da lontano ho potuto apporre su di te i sigilli ma non ho potuto fare nulla per il povero Ogwern finché non sono arrivato qui. Questa notte provvederò perché possa dormire sonni tranquilli.

Jill fu assalita da un senso di malessere così intenso che dovette trasparirle dal viso, perché Nevyn le posò una mano sulla spalla con fare rassicurante.

— Adesso capisci perché ho taciuto la cosa ed ho usato con Ogwern un mucchio di stupidaggini intese a tranquillizzarlo? Ah, bambina! Non avrei mai voluto che simili cose malvagie si abbattessero su di te, ed ho cercato di lasciarti sola a seguire il tuo Wyrd a modo tuo, ma adesso pare che il tuo Wyrd ti abbia portata a qualcosa di veramente strano.

— Così sembra. È stato davvero il mio Wyrd a condurmi qui?

— Mettiamo la cosa in questi termini: è stato il puro e semplice caso a condurti fino a quel cavallo morto sull’Yr Auddglyn, ma è stato il tuo Wyrd a mostrarti la gemma che giaceva nell’erba, perché se il Popolo Fatato non si fidasse di te non l’avresti mai trovata. Ora però torniamo alla fortezza, perché non intendo aggiungere neppure un’altra parola qui in pubblico.


Mezzogiorno era passato da due ore quando finalmente Rhodry raggiunse le porte meridionali di Dun Hiraedd. Smontando di sella, il giovane guidò a mano i suoi due cavalli attraverso la piccola ressa di contadini venuti a portare al mercato i loro prodotti e il loro pollame, ma quando oltrepassò le due guardie che oziavano accanto alle porte notò che una di esse borbottava qualcosa all’altra… e un momento più tardi i due si spostarono in modo da bloccargli il passo. Subito altri due uomini sbucarono dall’ombra delle mura e uno di essi afferrò le redini dei cavalli, mentre l’altro posava con fermezza la mano sul braccio destro di Rhodry.

— Sei una daga d’argento, vero? Vieni con noi, ragazzo, e non causare problemi.

— Cosa diavolo significa tutto questo?

— Sono ordini di Sua Grazia: intercettare una daga d’argento che sembra originaria di Eldidd e portarla con noi. Ultimamente abbiamo avuto in città anche troppi guai a causa di quelli della tua risma.

— E per di più si tratta di una ragazza — aggiunse un’altra delle guardie. — Viene da chiedersi come andrà a finire il regno.

— Che cosa ha fatto Jill?

— Oh, la conosci, vero? — commentò la prima guardia, con uno sgradevole sorriso. — Sembra che abbia avuto qualcosa a che fare con un uomo che è morto, ecco cosa ha fatto. L’udienza ordinata da Sua Grazia deve essere in corso proprio ora, quindi ti accompagneremo direttamente là.

Troppo preoccupato per protestare, Rhodry lasciò che le guardie lo disarmassero e rimase immerso in un cupo silenzio mentre lo scortavano lungo le vie cittadine. Aveva sperato di poter evitare Blaen che, così lui pensava, doveva di certo disprezzarlo e considerarlo un fuoricasta disonorato, e adesso aveva di fronte a sé la prospettiva di doverlo affrontare addirittura per implorarlo di essere misericordioso con Jill.

Ma cosa può aver fatto? si chiese. Se riuscirò a tirarla fuori da questa storia sana e salva gliene darò tante da riempirla di lividi!

Una volta nel cortile della fortezza le guardie consegnarono i cavalli ad un paggio e spinsero il loro prigioniero all’interno della rocca. Rhodry non era più stato là da due anni, quando vi era venuto per il matrimonio di Blaen, e lasciò vagare con espressione stordita lo sguardo sulla grande sala, dove un tempo aveva pranzato come ospite d’onore, prima che le guardie lo sospingessero su per una scala a spirale che conduceva al secondo piano. Le pesanti porte di quercia della camera di giustizia erano spalancate e il gruppetto si portò appena oltre la soglia, rimanendo là in attesa.

Nella curva della parete, sotto una fila di finestre, Blaen sedeva ad un tavolo con uno scriba alla sua sinistra e due consiglieri alla sua destra. Dal momento che non c’erano sacerdoti presenti, Rhodry dedusse che si trattava di una sorta di udienza preliminare e non di un vero e proprio malover. Inginocchiati davanti a Blaen c’erano Jill, un paio di giovani dall’aspetto insignificante e un uomo dalla grassezza enorme, mentre alcune guardie munite di bastone erano disposte tutt’intorno. In un angolo della sala, là dove la curva delle pareti di pietra incontrava un divisorio di vimini, Nevyn sedeva su un seggio semicircolare e nel vederlo Rhodry avvertì un intenso sollievo, perché sapeva che il vecchio non avrebbe mai permesso che a Jill potesse accadere qualcosa di male.

— Molto bene, Ogwern — disse Blaen, — ammetto che le minacce avanzate dal morto sono state tali da rendere necessario per te assoldare una guardia del corpo.

— È stato orribile, Vostra Grazia — replicò l’uomo grasso, — e un povero ma onesto locandiere come me non ha il tempo di imparare ad usare una spada.

— Perfino un custode di maiali dovrebbe avere le zanne.

— Vostra Grazia è sempre pronto a scherzare, ma io preferisco assoldare le zanne che farmele crescere. In vero, assumere questa daga d’argento è stata un’ottima idea, perché quell’uomo è venuto con l’intenzione di usare la spada.

Blaen annuì e scoccò un’occhiata a Jill.

— Bene, daga d’argento, comincio a pensare che tu sia stata giustificata nel versare sangue per prima.

— Ringrazio Vostra Grazia… e del resto non avevo modo di prevedere che quell’uomo si sarebbe avvelenato.

Nel sentire quella strana affermazione Rhodry dimenticò la propria situazione quanto bastava per muovere un passo in avanti; con un’imprecazione le guardie si affrettarono ad afferrarlo e Blaen si girò verso la causa di quell’interruzione.

— Portatelo qui. Così avete preso questo miserabile furfante di una daga d’argento, vero?

— È entrato dalla porta meridionale con la massima sfacciataggine, Vostra Grazia — spiegò una delle guardie. — Ha con sé un corsiero occidentale, e sono pronto a scommettere che è rubato.

— Senza dubbio. Ha sempre avuto una passione eccessiva per i cavalli degli altri.

Anche se Blaen si stava sforzando di reprimere un sogghigno, Rhodry lo colse lo stesso in flagrante.

— Blaen, razza di bastardo! — scattò. — Questo è uno dei tuoi dannati scherzi.

Tutti i presenti sussultarono nel sentire quell’insulto, ma Blaen si limitò a scoppiare a ridere e si affrettò ad attraversare la camera per stringere la mano al cugino.

— Devo ammetterlo. Ho pensato che sarebbe stato divertente farti arrestare da quella daga d’argento che sei. Ah, per gli dèi, sono davvero felice di vederti.

Mentre si stringevano la mano, Rhodry sentì un nodo serrargli la gola.

— Ed io lo sono di rivedere te — replicò. — Ma si può sapere cosa stai facendo alla mia donna?

— Nulla, te lo assicuro. Nei confronti delle donne ho più onore di alcuni miei parenti che potrei menzionare.

Sorridendo, Rhodry gli assestò un pugno amichevole alla spalla. Accorgendosi che tutti nella camera li stavano fissando, Blaen si ricordò di colpo di avere per le mani un procedimento giudiziario.

— Puoi andare a sederti laggiù vicino al vecchio Nevyn? — chiese. — Devo chiudere questa dannata udienza.

Quando Rhodry lo raggiunse, Nevyn gli indirizzò un sorriso asciutto e sottile, ma dal suo sguardo era evidente che era profondamente turbato e il giovane cominciò a capirne il perché quando il capo delle guardie si fece avanti per fornire la sua testimonianza in merito a quell’uomo che aveva preferito avvelenarsi piuttosto che affrontare la giustizia del gwerbret e che aveva avuto al collo una sorta di talismano della stregoneria. Dopo un momento di riflessione, Blaen annunciò che a suo parere nessuno era responsabile di quel decesso e chiuse l’udienza.

— Indubbiamente a Dun Hiraedd si starà meglio senza di lui — commentò allegramente. — E questo è tutto.

Ogwern e i suoi testimoni si alzarono, s’inchinarono al gwerbret e poi si precipitarono letteralmente verso le porte. Mentre i consiglieri perplessi si avvicinavano a Blaen per chiedere maggiori delucidazioni su quella faccenda dell’avvelenamento, Rhodry si affrettò a raggiungere Jill e l’afferrò per le spalle.

— Per gli dèi, amore mio! Cosa succede?

— Non lo so, Rhoddo, davvero! Non hai idea di quanto sia contenta di vederti!

Quando la circondò con le braccia e la strinse a sé, Rhodry si accorse che stava tremando di paura e lo stomaco gli si serrò in un nodo gelido, perché prima di allora non l’aveva mai vista avere paura di nulla.

— Abbiamo già combattuto altre dure battaglie prima d’ora — disse. — Vedrai che vinceremo anche questa.

— È dannatamente meglio che tu abbia ragione.


Con la schiena appoggiata ad una betulla, Alastyr sedeva immobile per terra e stava lottando per non cedere al panico. Aveva appena cercato di evocare l’immagine di Jill e non aveva visto assolutamente nulla, per quanto si fosse concentrato… il che poteva significare soltanto una cosa: Nevyn era arrivato e aveva posto un sigillo su di lei. Nel sentire un rumore di zoccoli che si avvicinava Alastyr balzò in piedi, quasi pensando che si trattasse del Maestro dell’Aethyr venuto per lui, ma era soltanto Sarcyn, che smontò vicino al campo e condusse il cavallo fra gli alberi. Alastyr si preparò ad una sgradevole scenata, ma il suo apprendista parve avere un assoluto controllo quando tornò verso di lui.

— So che sei turbato per la morte di Evy — disse Alastyr, — ma l’ho mandato laggiù a titolo di prova e lui ha fallito. Il sentiero dei guerrieri è fatto così, ragazzo.

— Lo so, maestro — replicò Sarcyn, in tono mite, — e del resto il mio affetto per lui mi era soltanto d’ostacolo. Avevi ragione quando mi hai avvertito che un uomo deve essere completamente solo per poter ottenere il vero potere.

— Oh — mormorò Alastyr, rilassandosi. — Ottimo. Sono lieto che tu veda finalmente le cose con chiarezza. Ora dimmi, quanto è stanco il tuo cavallo? Se voghamo togliere questa castagna dal fuoco dobbiamo trovare un posto dove nasconderci per qualche tempo, e non possiamo continuare ad accamparci così all’aperto. Questa mattina mi sono librato sul piano dell’eterico per dare una buona occhiata alla zona circostante e credo di aver trovato il luogo ideale.

— Bene. Potrò montare il cavallo di Evy e condurre il mio per la cavezza.

— Allora mentre trasferisci la sella provvederò a sellare io stesso il mio cavallo. Dobbiamo affrettarci.

Quando Alastyr si allontanò Sarcyn indugiò per un momento a fissare la sua ampia schiena.

Per ora va tutto bene, disse a se stesso. Quel dannato stolto è davvero convinto che io lo abbia perdonato.


Nessun bardo o gerthddyn aveva mai avuto un pubblico più attento di quello che Nevyn si trovò di fronte quel pomeriggio, e il vecchio non riuscì a resistere alla tentazione di approfittarne. Nella camera privata di Blaen, un piccolo ambiente spoglio che conteneva soltanto un focolare, cinque sedie e lo scudo del gwerbret, Rhodry, Jill e Blaen erano seduti con lo sguardo fisso su di lui, che se ne stava in piedi di fronte a loro appoggiato alla mensola del camino. Dopo che un paggio ebbe servito l’immancabile sidro e se ne fu andato, Blaen accennò in direzione del vecchio con il boccale.

— Allora, buon mago — esordi, con fermezza, — mi devi una spiegazione riguardo a questa faccenda.

— Infatti, Vostra Grazia, e l’avrai. Jill, dammi quel gioiello che tieni nella tua sacca.

Quando la ragazza gli ebbe consegnato la spilla di poco valore, Nevyn la tenne sul palmo della mano in modo che tutti potessero vederla, poi trasmise mentalmente qualche breve istruzione allo spirito annesso ad essa.

— Questa, Vostra Grazia — affermò il vecchio, — è la pietra che viene chiamata la Grande Gemma dell’Ovest.

— Quella bruttura? — sbottò Blaen.

In quel preciso momento l’oggetto prese a cambiare forma, brillando, tremolando e dando l’impressione di dissolversi, finché un enorme opale grande quanto una noce giacque sul palmo di Nevyn. La gemma era così splendidamente lucida che la sua superficie brillava, intercettando la luce che entrava dalle finestre e trasformandola in fuoco nelle sue profonde venature. Allorché il suo piccolo pubblico sussultò sonoramente, Nevyn avvertì l’estremo compiacimento degli spiriti. Essi appartenevano ad un ordine superiore rispetto a quello del Popolo Fatato, e cioè a quello comunemente chiamato degli spiriti planetari, anche se il collegamento non era con i pianeti veri e propri ma piuttosto con le forze che essi rappresentavano.

— Oh, dèi! — sussurrò Jill. — È questo che mi stavo portando dietro?

— Quella che vedi è la sua vera forma. L’opale ha degli spiriti che lo proteggono e che possono mutarne la forma quando è necessario oppure spostarlo… non di molto ma quanto basta per salvarlo dai pericoli. I nostri dannati nemici non se ne sono resi conto, ed è questo che finora ci ha permesso di frustrare i loro tentativi.

Lasciando che i tre rimuginassero sulle sue parole, Nevyn ripose la pietra nel sacchetto che portava al collo, e nel trovarsi di nuovo così vicino a lui gli spiriti emisero un sospiro di soddisfazione tanto intenso da echeggiare nitido nei suoi pensieri. Di fronte a lui, Blaen accennò più di una volta a parlare soltanto per subito ripensarci, e alla fine il maestro del dweomer gli indirizzò un cortese cenno del capo, dando al gwerbret il permesso di parlare nella sua stessa fortezza.

— Buon mago, chi sono questi nemici?

— Uomini che seguono il dweomer oscuro, naturalmente. Vostra Grazia avrà notato che sto continuando ad usare il termine «nostri»… lo faccio perché questa gemma appartiene al Sommo Re, e il dweomer oscuro se ne voleva impadronire per danneggiare tanto lui quanto il regno.

Blaen e Rhodry imprecarono all’unisono, con rabbia: anche se uno era un onorato nobile e l’altro un esule disonorato, tutti e due avevano pronunciato un personale giuramento di fedeltà verso il loro sovrano, e Nevyn fu profondamente compiaciuto di vedere che entrambi onoravano quel giuramento.

— Il re vive nel cuore della migliore fortezza di tutto Deverry — osservò poi Blaen. — Come ha potuto qualcuno derubarlo?

— Con grande difficoltà, e sospetto che si tratti di un complotto ordito da un tempo molto lungo. L’opale è una delle maggiori pietre del dweomer che il mondo abbia mai visto: circa cento anni fa, un certo uomo del dweomer l’ha modellato ed ha chiesto agli spiriti di abitarlo, poi lo ha donato alla famiglia reale. — Nevyn emise un piccolo sospiro, ricordando le ore di lavoro che gli ci erano volute per levigare l’opale fino ad ottenere una sfera perfetta. — Mi è proibito rivelarvi tutti i suoi poteri, ma sono certo che lo capirete. Per proteggerlo, numerosi uomini del dweomer sono stati nominati suoi guardiani, e quando uno di noi muore un altro prende il suo posto. Adesso è il mio turno… — Per poco Nevyn non commise l’errore di dire invece «è di nuovo il mio turno». — Il segreto della gemma viene trasmesso dal sovrano al principe ereditario, in modo che i nuovi re ne sappiano quanto basta per proteggerla adeguatamente, tenendola nella loro camera e non in mezzo al tesoro reale. Naturalmente, nessun uomo avrebbe mai avuto la possibilità di corrompere una delle persone fedeli che hanno accesso alle camere reali, ma l’oro non è il solo modo per influenzare la mente di un uomo. Vostra Grazia, e anche tu, Rhodry, avete mai conosciuto a corte un uomo chiamato Camdel?

— Sì — rispose Blaen. — Era l’incaricato del Bagno del Re, vero? Un tizio magro e insignificante, se ben ricordo, ma la regina lo favoriva a causa dei suoi modi colti.

— Era un bastardo arrogante — aggiunse Rhodry. — Una volta l’ho sconfitto in un duello amichevole ed è rimasto intrattabile per tutto il giorno.

— Proprio lui — riprese Nevyn. — È il figlio più giovane del gwerbret di Blaeddbyr e temo che l’arroganza fosse soltanto uno dei suoi difetti, ma nonostante questo non meritava certo quello che gli è successo. Gli uomini del dweomer oscuro si sono impadroniti di lui, corpo e anima, e se ne sono serviti come un contadino si serve di un piccone… per far saltare fuori una pietra.

— Cosa? — esclamò Blaen. — Non riesco ad immaginare che Camdel possa aver derubato il suo signore!

— Oh, di sua spontanea volontà non lo avrebbe mai fatto, Vostra Grazia. Non so ancora in che modo gli uomini del dweomer oscuro abbiano trovato il modo di entrare in contatto con lui, ma ho a Dun Deverry un amico che sta cercando di appurarlo. In ogni caso, una volta che sono riusciti ad impadronirsi di lui Camdel non ha più avuto il minimo controllo sulle proprie azioni e sono pronto a scommettere che gli ultimi mesi gli devono essere sembrati un sogno, una sorta di lungo e confuso sogno ad occhi aperti che si è concluso in un incubo.

— Capisco — affermò Blaen, con una nota ringhiante nella voce. — La mia spada e la mia banda di guerra sono a tua disposizione, buon mago. Sai chi sono questi uomini?

— No, e da questo Vostra Grazia può dedurre i limiti del dweomer: io posso impedire a quegli stolti malvagi di seguire le mie mosse ma, ahimè, anche loro possono fare lo stesso con me.

Nel sentire quei discorsi permeati di dweomer Blaen rabbrividì. Pur detestando dover rivelare tanti segreti, Nevyn era consapevole di non avere altra scelta, perché per quel che ne sapeva avrebbe potuto essere costretto ad accettare l’offerta di Blaen.

— Fino a questa mattina — proseguì, — era possibile che i nostri nemici si trovassero nel raggio di un giorno di cavallo da Dun Hiraedd, ma adesso potrebbero benissimo essere in fuga, perché sanno che se dovessi prenderli li cancellerò dalla faccia della terra per quello che hanno fatto.

— Dunque — replicò Blaen, riflettendo, — se dividessimo la banda di guerra in squadre potremmo cominciare a passare al setaccio la regione. È possibile che qualche contadino o viandante abbia notato questi strani sconosciuti che stanno circolando nel rhan.

— Potremmo essere costretti a farlo, Vostra Grazia, ma preferirei ricorrere a questo come ultima risorsa. È per via di Camdel, vedi: se dovesse vedere a distanza i tuoi uomini che dirigono verso di lui, il maestro oscuro… che è di certo in guardia… si limiterebbe a tagliare la gola a Camdel e a fuggire, mentre se soltanto sarà possibile io vorrei tirare fuori vivo il nostro giovane nobile da questa faccenda. Del resto, ho ancora qualche trucco a mia disposizione.

Blaen annuì con espressione grave, accettando sulla fiducia quelle affermazioni, ma Nevyn era più preoccupato di quanto volesse dare a vedere. Anche se avrebbe potuto ordinare al Popolo Fatato di cercare il maestro oscuro, una cosa del genere avrebbe esposto quelle creature ad un grave pericolo; nello stesso modo, andare lui stesso in cerca del nemico nell’eterico con il corpo di luce sarebbe equivalso a rischiare un’aperta battaglia, e da tutto ciò che Jill gli aveva riferito era evidente che il maestro oscuro aveva con sé degli apprendisti… nessuno sapeva quanti. Se lui fosse rimasto ucciso in una battaglia astrale, Jill e Rhodry si sarebbero venuti a trovare privi di difese contro il maestro oscuro, che si sarebbe di certo vendicato in maniera orribile. D’altro canto, sebbene lui avesse richiesto l’aiuto di altri uomini del dweomer, il più vicino di essi avrebbe impiegato comunque alcuni giorni a raggiungerlo, e per allora Camdel avrebbe potuto essere già morto.

— Ah, bene — sospirò infine, — questo dannato pasticcio è proprio come una partita di Gwiddbwcl, Vostra Grazia. Loro hanno Camdel… il loro alfiere… e stanno cercando di toglierlo dalla scacchiera mentre noi piazziamo i nostri uomini per fermarli. Sfortunatamente, non so se la prossima mossa spetti a noi o a loro. Jill, vieni a scambiare due chiacchiere in privato con me: voglio sapere nei dettagli tutto quello che è successo nei giorni che hai trascorso da sola e non c’è bisogno di annoiare Sua Grazia e Rhodry con queste cose.

Obbediente, la ragazza si alzò in piedi, guardandolo con la disperata speranza di essere tenuta al sicuro, e nel profondo del suo cuore Nevyn si augurò di esserne capace.


Mentre la porta della camera si richiudeva alle spalle di Jill e di Nevyn, Blaen vuotò il boccale di sidro in un lungo sorso e Rhodry fece altrettanto con il suo; per un momento i due cugini si fissarono a vicenda con una comprensione assoluta che non aveva bisogno di parole… Rhodry sapeva benissimo che erano entrambi terrorizzati. Dopo un po’, Blaen sospirò.

— Sei sporco, daga d’argento. Ordinerò ai paggi di prepararti un bagno… e già che ci siamo mi andrebbe proprio dell’altro sidro.

— Hai già bevuto abbastanza per oggi pomeriggio.

Per un momento, Blaen parve infuriarsi, poi scrollò le spalle.

— È vero. Andiamo a provvedere per il tuo bagno.

Mentre Rhodry si lavava nell’elegante camera che avrebbe diviso con Jill, suo cugino si sedette sul bordo del letto e gli porse il sapone come un paggio; immerso nella vasca di legno, Rhodry si sfregò vigorosamente con esso e desiderò di poter lavare via tutti quei discorsi di dweomer con la stessa facilità con cui si stava liberando della polvere accumulata lungo la strada.

— Stai pensando che ho gusti dannatamente strani in fatto di donne? — chiese infine a Blaen.

— Li hai sempre avuti, ma d’altro canto Gilyan si adatta perfettamente a te e al genere di vita che stai conducendo. Ah, per gli dèi, mi duole il cuore nel vedere quella daga d’argento alla tua cintura.

— Sempre meglio che morire di fame sulle strade. Non c’erano molte altre cose che potessi fare.

— Hai ragione. L’ultima volta che sono stato a corte ho parlato con tua madre, che mi ha chiesto di insistere con Rhys perché ti richiamasse… ma lui non ha voluto sentire da me una sola dannata parola.

— Non sprecare altro fiato. Ha sempre voluto liberarsi di me e come un idiota io gli ho fornito l’occasione che cercava.

Nel parlare Rhodry uscì dalla tinozza e prese l’asciugamano che Blaen gli porgeva.

— Io non ho un’alleanza formale con Aberwyn — osservò il gwerbret, — e se vuoi ti posso offrire un posto qui presso di me. Potresti sposare la tua Jill ed essere il mio consigliere personale o qualcosa del genere. Anche ammesso che la cosa non gli vada a genio, che potrebbe fare Rhys? È troppo lontano per avviare una guerra contro di me.

— Ti ringrazio, ma quando ho accettato questa daga ho giurato di portarla con onore. Posso essere un esule, ma che io sia dannato se arriverò anche ad infrangere la mia parola.

Blaen inarcò un sopraccìglio con aria fra il divertito e l’incredulo.

— Ah, dannazione — sospirò Rhodry. — La verità è che credo sarebbe peggio vivere della tua carità, vedendo i tuoi onorati ospiti che sogghignano del fratello disonorato del Gwerbret di Aberwyn. Preferisco percorrere la lunga strada che questo.

— Anch’io la penserei così — ammise Blaen, porgendogli i calzoni. — Ma, per il nero posteriore del Signore dell’Inferno, tu sarai sempre il benvenuto qui.

Rhodry non replicò, per il timore di scoppiare in pianto e di coprirsi di vergogna. Mentre lui si rivestiva, Blaen estrasse la daga d’argento dal fodero e prese a giocherellarvi, soppesandola e provandone il filo con il pollice.

— È dannatamente affilata — commentò.

— Disonorata o meno, è la migliore daga che abbia mai avuto. Non ho la più pallida idea di come i fabbri ne ottengano il metallo, ma so che non scurisce mai.

Blaen scagliò la daga contro la legna da ardere accatastata in un angolo e la lama sibilò diritta verso il bersaglio, conficcandovisi in profondità:

— Un’arma eccellente, non ci sono dubbi. Bene, tutti sanno che una daga d’argento porta con sé la vergogna, ma non avevo idea che portasse con sé anche il dweomer.

Pur sapendo che suo cugino stava soltanto scherzando, Rhodry sentì nella propria mente scattare qualcosa in risposta a quell’osservazione. In effetti era strano, ora che indugiava a rifletterci sopra, che dapprima il dweomer gli avesse arrecato la daga d’argento e che poi la sua prima estate sulla lunga strada lo avesse a sua volta condotto al dweomer.

— C’è qualcosa che non va? — domandò Blaen.

— Nulla, davvero — garantì Rhodry.

E tuttavia sentì che il suo Wyrd lo stava chiamando, come un fischio sulle ali del vento.


Pur essendo passato parecchie volte da Dun Deverry, Salamander vi si era fermato di rado perché un gerthddyn incontrava troppa competizione nelle strade affollate della capitale, che a quell’epoca era costituita da un labirinto di vie a spirale che si allargavano intorno a metà del perimetro del Loc Gwerconnedd. Dun Deverry, che era la più grande città del regno, ospitava all’interno delle sue mura circa trecentomila abitanti, che richiedevano tutti forme d’intrattenimento più sofisticate di qualche semplice trucco con alcune sciarpe colorate. Nei molti parchi e nelle piazze che punteggiavano l’abitato era facile trovare gerthddynion e acrobati, menestrelli del Bardek, intrattenitori che disponevano di orsi ammaestrati, giocolieri e bardi girovaghi, tutti impegnati seriamente per indurre i passanti a separarsi dal loro denaro. In quella confusione, d’altro canto, nessuno avrebbe notato un altro gerthddyn, anche se questi avesse di tanto in tanto posto qualche domanda in merito al commercio dell’oppio.

Dal momento che stava cercando di evitare di attirare l’attenzione, Salamander aveva attuato un compromesso rispetto ai suoi consueti standard di vita e si era stabilito in una locanda di livello medio, nella parte vecchia della città che sorgeva lungo l’Aver Lugh, un distretto di piccoli artigiani e di rispettabili bottegai. Il Fascio di Grano offriva anche il vantaggio di ospitare gran parte degli intrattenitori girovaghi, cosa che rendeva possibile sentire i più disparati pettegolezzi. Non che fosse difficile raccogliere pettegolezzi sul conto di Lord Camdel e del suo crimine, considerato che anche ad alcune settimane di distanza dal furto la città ne era ancora piena.

— Dicono che il re abbia inviato messaggeri ad ogni gwerbret del regno — commentò quel pomeriggio Elic, il locandiere. — Quello che vorrei proprio sapere è come può fare un uomo a sgusciare in questo modo in mezzo a tante bande da guerra.

— Potrebbe essere morto — replicò Salamander. — Una volta che la notizia si è diffusa, ogni ladro del regno avrà probabilmente cominciato a tenere gli occhi aperti nella speranza di intercettarlo.

— Hai ragione — rifletté Elic, mordicchiandosi i lunghi baffi, — in effetti potrebbe essere morto.

Al Fascio di Grano c’era un cliente che se ne stava in disparte per la semplice ragione che era originario del Bardek e parlava assai poco la lingua di Deverry. Enopo era un giovane di circa venticinque anni, scuro di pelle e con il volto privo di decorazioni, il che significava che la sua famiglia lo aveva allontanato dalla casa e dal clan per qualche ragione; adesso lui vagabondava per le strade di Deverry con un wela-wela, un complesso strumento musicale del Bardek che si teneva in grembo e che aveva una trentina di corde da pizzicare e toccare con una penna d’oca. Dal momento che conosceva bene la lingua del Bardek, Salamander si era coltivato l’amicizia di quel menestrello, che aveva manifestato una contentezza quasi patetica nel trovare qualcuno che parlasse la sua lingua natale. Alla fine delle loro giornate di esibizioni i due s’incontravano nella taverna per confrontare i rispettivi guadagni e lamentarsi per la tirchieria degli abitanti della città più ricca del regno.

Quel particolare giorno Salamander aveva guadagnato parecchi soldi e pagò per entrambi una bottiglia di ottimo vino del Bardek; insieme i due si sistemarono ad un tavolo per berla, ed Enopo mostrò di assaporare ogni singolo sorso.

— Un’ottima annata — decretò. — Ah, però mi riporta alla mente amari ricordi di casa.

— Non ne dubito. Senti, se non vuoi non sei obbligato a rispondere, ma…

— Lo so — lo interruppe Enopo, con un sorriso. — Il tuo cuore di cantastorie sta dolendo dalla curiosità di sapere la causa del mio esilio. Non me la sento di addentrarmi nei dettagli, ma ha a che fare con una donna sposata e di rango molto elevato, che era troppo bella per l’uomo vecchio e brutto che aveva sposato.

— Ah. Non è una storia rara.

— Oh no, tutt’altro — convenne il giovane, con un profondo sospiro. — Brutto o meno che fosse, suo marito aveva comunque una notevole influenza presso gli arconti.

Per un momento bevvero in silenzio, mentre Enopo teneva lo sguardo perso in lontananza come se stesse ricordando la bellezza del suo pericoloso amore, e Salamander giunse alla conclusione che se Enopo gli aveva raccontato la causa del suo esilio questo significava che ormai si fidava di lui abbastanza da permettergli di fare la mossa successiva.

— Sai, il vino non è la sola cosa bella che si produca nel Bardek — osservò con noncuranza. — Quando ho visitato il tuo splendido e raffinato paese, mi sono concesso una o due pipe di oppio.

— Senti — replicò il menestrello, protendendosi in avanti con espressione seria, — devi essere molto cauto con il fumo bianco. Ho visto uomini degradarsi a tal punto per causa sua da vendersi come schiavi pur di potersene concedere ancora.

— Davvero? Oh, dèi, non lo sapevo! Soltanto una pipata di tanto in tanto può fare una cosa del genere ad un uomo?

— Oh no, ma come ti ho detto devi essere molto cauto, perché è come con il bere. Ci sono uomini capaci di farne a meno, altri che diventano vere e proprie spugne… ma il fumo bianco esercita un’attrattiva più forte di qualsiasi bevanda che io conosca.

Salamander finse di riflettere con estrema attenzione mentre Enopo l’osservava con un leggero sorriso.

— So quello che stai pensando di chiedermi, gerthddyn — disse dopo un momento, — e non conosco nessuno che venda quella roba.

— Ecco, se è pericolosa come dici forse è meglio così, ma in effetti mi stavo chiedendo come procurarmela.

— Da quel che mi è dato di capire in questa città soltanto i nobili usano l’oppio.

— Davvero? — esclamò Salamander, drizzandosi di scatto sulla persona. — Da chi lo hai saputo?

— Da un uomo del mio popolo, un mercante, che è passato di qui… oh, un mese fa, credo. È venuto a cercarmi per amore di mio padre, per vedere se stavo bene, e mi ha anche dato un po’ di denaro mandatomi dai miei fratelli. Abbiamo consumato un’ottima cena e una quantità di vino — proseguì il giovane, con malinconia, — e mentre chiacchieravamo il vecchio Lalano ha accennato al fumo bianco, dicendo che i mercanti del mio paese stavano cominciando a venderlo di tanto in tanto alla gente di Deverry. La cosa lo turbava, perché nel nostro paese è considerato un commercio vergognoso e lui sapeva che le vostre leggi addirittura lo proibiscono. Così, mentre ne discutevamo, ci è venuto spontaneo chiederci chi potesse avere abbastanza denaro da comprare merci di contrabbando.

— Chi se non i nobili, in effetti?

— O magari qualche ricco mercante, ma di certo questi vostri cosiddetti nobili sono molto abili nel mantenere in povertà i mercanti.

Fra sé, Salamander pensò che quelle erano davvero notizie interessanti. Se Camdel era un fumatore di oppio, questo poteva di certo spiegare come avessero fatto gli uomini del dweomer oscuro a impadronirsi di lui. Mentre giungeva alla decisione di fare qualche discreta indagine nel corso dei giorni successivi, come se lui stesso fosse stato interessato ad acquistare un po’ di quella sostanza, avvertì la leggera pressione mentale che indicava il tentativo da parte di qualche altra persona dotata di dweomer di contattarlo.

— Scusami un momento, Enopo — disse, alzandosi con noncuranza. — Devo andare sul retro per una necessità di natura.

Il menestrello assentì con un cenno della mano e Salamander si affrettò ad uscire, aggirando la locanda e raggiungendo il cortile delle stalle, dove un abbeveratoio brillava pieno d’acqua sotto il sole del pomeriggio. Fissando lo sguardo sullo specchio d’acqua, aprì la propria mente aspettandosi di vedere Nevyn, ma fu invece il volto bello e severo di Valandario a fissarlo dall’abbeveratoio. Salamander rimase troppo stupito per trasmettere qualsiasi pensiero.

— Eccoti qui, dunque — disse Valandario. — Tuo padre mi ha chiesto di contattarti, perché vuole che tu torni subito a casa.

— Non posso. Sto svolgendo un incarico per conto del Maestro dell’Aethyr.

Gli scuri occhi grigi della donna si dilatarono per la sorpresa.

— Non ti posso spiegare di cosa si tratta — proseguì intanto Salamander, — ma sono questioni davvero oscure e pericolose…

— Meno chiacchiere, gazza! In questo caso avvertirò tuo padre del tuo ritardo, ma torna più presto che puoi. Lui ti aspetterà sul confine di Eldidd, nelle vicinanze di Cannobaen. Per favore, questa volta non disobbedirgli.

Poi il volto si dissolse. Come sempre quando si veniva a trovare faccia a faccia con la sua antica maestra del dweomer Salamander si sentì in colpa, anche se questa volta non aveva fatto nulla di male.


Quella sera durante la cena Blaen insistette per trattare il cugino come un onorato ospite, ma Rhodry sussultò ogni volta che un paggio lo chiamava «mio signore» e sentire un servo usare uno dei suoi antichi titoli, quello di Signore di Cannobaen, gli fece salire le lacrime agli occhi perché tutta quella benintenzionata cortesia serviva soltanto a ricordargli la sua amata Eldidd, le sue coste selvagge e le vaste foreste di querce, intatte da tempo immemorabile. Il giovane si sentì quindi molto sollevato quando lui e Jill si poterono congedare dal gwerbret per ritirarsi nella loro camera.

Ormai si era fatto tardi e Rhodry era ubriaco e più stanco di quanto gli andasse di ammettere. Mentre lottava per sfilarsi gli stivali, Jill spalancò le imposte della finestra e si appoggiò al davanzale, guardando le stelle, e la luce delle candele che le aleggiava intorno fece brillare i suoi capelli come sottili fili d’oro.

— Per ogni dio e la sua sposa — imprecò Rhodry, — vorrei che tu avessi lasciato quel dannato gioiello nell’erba dove lo hai trovato.

— E sarebbe davvero servito a molto. Che sarebbe successo se questo maestro oscuro l’avesse trovato?

— Suppongo che tu abbia ragione.

— Oh, lo so, amore mio — aggiunse lei, voltando le spalle alla finestra. — Tutti questi discorsi di dweomer fanno dolere anche il mio cuore.

— Lo dici sul serio?

— Ma certo. Cosa credi che intenda fare? Lasciarti per seguire la strada del dweomer?

— Uh, ecco… — Improvvisamente Rhodry si rese conto di aver avuto paura proprio di questo. — Oh, dannazione, adesso che te lo sento dire suona davvero stupido.

Jill lo fissò con espressione assorta, come se stesse decidendo cosa replicare, poi sorrise all’improvviso e si chinò per protendere le mani verso qualcosa, raccogliendo ciò che Rhodry suppose essere lo gnomo grigio e tenendolo stretto fra le braccia.

— C’è qualcosa che non va? — chiese Jill. — No? Bene. Allora sei soltanto venuto a trovarci? Sei davvero una piccola creatura deliziosa.

Vederla parlare con qualcosa che lui non poteva scorgere e che tuttavia sapeva esistere era strano ed ebbe l’effetto di turbarlo maggiormente. Mentre la osservava alla luce delle candele, Rhodry ricordò quando era un bambino e pensava che forse il Popolo Fatato era reale e che forse lui era in grado di vederlo. A volte, allorché andava nella riserva di caccia di suo padre, aveva avuto l’impressione di scorgere qualche creatura che lo sbirciava da sotto un cespuglio o dai rami di un albero, ma quando era ancora molto piccolo aveva finito per decidere che il Popolo Fatato doveva essere soltanto una cosa di cui la sua balia parlava per divertirlo, e del resto suo padre, un indurito guerriero, aveva badato bene che in lui non ci fossero tracce di strane fantasticherie.

Adesso però sapeva che il Popolo Fatato era reale e sorrise, immaginando Tingyr Maelwaedd che restava a bocca aperta per lo stupore nello scoprire la verità. Jill intanto si venne a sedere accanto a lui sul letto, portando con sé lo gnomo.

— Eccolo qui, Rhoddo — disse. — Auguragli la buona sera.

Rhodry sentì una piccola mano afferrargli un dito.

— Buona sera — ripeté, con un sorriso. — Come sta il nostro buono gnomo?

E all’improvviso lo vide… una creatura di un grigio polveroso, con lunghi arti e un naso coperto di verruche, che sorrideva al suo indirizzo mentre gli stringeva la punta dell’indice nella piccola mano. La sua sorpresa fu tale che trattenne il respiro con un singulto.

— Lo vedi, non è così? — sussurrò Jill.

— Lo vedo. Oh, dèi!

Jill e lo gnomo si scambiarono un sorriso di trionfo, poi la creatura scomparve lasciando Rhodry ancora a bocca aperta per lo stupore.

— Questo pomeriggio ho chiesto a Nevyn come mai non potevi vedere il Popolo Fatato — spiegò Jill, con calma, come se stesse discutendo su cosa preparare per cena. — Lui mi ha detto che probabilmente potevi, considerata la tua traccia di sangue elfico, ma che non ci riuscivi perché eri convinto di non esserne in grado. Così ho pensato che se ti avessi costretto a constatare quanto il Popolo Fatato sia reale, alla fine ce l’avresti fatta.

— E avevi ragione. Per tutti gli infermi, amore! Non so cosa dire.

— Oho! Quanto è successo deve esserti sembrato davvero strano, se hai perso la parola!

— Tieni a freno la lingua! E poi, perché è tanto importante che io possa vedere il Popolo Fatato?

— Ecco, questo potrebbe tornare dannatamente utile — replicò Jill, distogliendo lo sguardo con espressione improvvisamente turbata. — Queste creature potrebbero portare messaggi e cose del genere, se dovessimo separarci ancora.

La verità che lui non valeva affrontare… che il dweomer oscuro li stava inseguendo… era tornata a riaffiorare. Come reazione, Rhodry la prese fra le braccia e la baciò con passione per scacciare quel senso di paura.

Dopo che si furono amati, Rhodry dormì come un sasso per la maggior parte della notte, ma verso l’alba fece un sogno che lo sconvolse a tal punto da spingerlo a sedersi di scatto sul letto. Intorno a lui la camera era rischiarata dal grigiore dell’alba e Jill era ancora immersa nel sonno al suo fianco. Alzatosi, s’infilò i pantaloni e si accostò alla finestra, guardando fuori per distrarsi e scacciare la sensazione destata in lui dal sogno. Il rumore prodotto da qualcuno che bussava alla porta gli strappò un grido, ma si trattava soltanto di Nevyn, che si affrettò a sgusciare dentro.

— Senti, ragazzo, mi stavo chiedendo se questa notte hai fatto qualche strano sogno.

— Per il grande dio Tarn in persona! In effetti sì.

Con uno sbadiglio assonnato Jill si sollevò a sedere, fissandoli entrambi con occhi ancora appannati.

— Parlami di questo sogno — incalzò Nevyn.

— Ecco, stavo montando il turno di guardia notturno davanti alle porte di una piccola fortezza. Sapevo che Jill era dentro e che dovevo proteggerla. Poi quest’uomo armato di spada si è avvicinato e non mi ha voluto rispondere quando gli ho chiesto la parola d’ordine; invece ha preso a insultarmi, usando ogni epiteto che io abbia mai sentito e deridendomi per il mio esilio. Infuriato come mai mi era capitato in tutta la mia vita, io ho estratto la spada con l’intenzione di sfidare quel bastardo, ma poi mi sono ricordato che ero di guardia e sono rimasto al mio posto vicino alle porte. Dopo un po’, ho pensato di chiamare il capitano, e questa è la parte più strana di tutte, perché quando il capitano è arrivato di corsa si trattava di te, e avevi una spada in mano.

— Infatti.

— Oh, suvvia — intervenne Jill. — Rhodry avrebbe avuto un sogno vero?

— Più vero di tanti altri — ribatté Nevyn. — Sai, Rhodry, devi avere un grande senso dell’onore se ti attieni ad esso perfino nel sonno. Il sogno ti stava mostrando una cosa vera usando un’immagine fantastica, come nelle canzoni del bardi: la fortezza era il tuo corpo e l’uomo che nel sogno tu hai ritenuto essere te stesso era la tua anima. Quell’uomo armato di spada era uno dei nostri nemici, che stava cercando di allontanare la tua anima dal corpo, perché quando un uomo sta dormendo l’anima può sgusciare nelle Terre Interiori. Se lo avessi inseguito tu ti saresti però trovato a combattere sul suo terreno, che è un luogo davvero molto strano, e lui avrebbe vinto.

— E cosa sarebbe successo? Sarei morto?

— Ne dubito — rispose Nevyn, indugiando poi a riflettere per un momento prima di aggiungere: — Più probabilmente lui avrebbe intrappolato la tua anima e avrebbe occupato di persona il tuo corpo. Vedi, tu avresti avuto la sensazione di continuare a sognare e saresti stato invece sotto il suo controllo. Hmm, mi chiedo chi volesse uccidere: me o Jill? Forse entrambi. In ogni caso alla fine tu ti saresti svegliato e ti saresti ritrovato con una spada insanguinata in mano e uno di noi steso morto ai tuoi piedi.

Rhodry fu assalito da un senso di nausea intenso come quello che avrebbe potuto provare mordendo un pezzo di carne marcia.

— Per fortuna sono rimasto sempre di guardia — continuò l’uomo del dweomer. — D’ora in poi, se ti capita di fare un sogno o di avere qualche pensiero che ti turba, parlamene subito, senza mai sentirti minimamente imbarazzato.

— D’accordo.

— Bene — approvò il vecchio, passeggiando avanti e indietro. — Ho appena scoperto una cosa importante, e cioè che i nostri nemici non si stanno ritirando. Quel sogno era una sfida, Rhodry: hanno intenzione di combattere fino in fondo contro di me.


Dopo il tentativo fallito di impadronirsi del corpo di Rhodry, Alastyr era stanco e piuttosto perplesso. Non si era infatti aspettato che una daga d’argento potesse avere una simile forza di volontà, anche se a rifletterci sopra era logico supporre che un guerriero avesse sviluppato un certo potere di concentrazione per sopravvivere in battaglia. La cosa più sconcertante era però la pura e semplice sensazione derivante dal contatto con la mente di Rhodry, insieme all’aspetto che il suo io astratto aveva avuto sul piano astrale. Considerata la forza mentale, sia pur grezza, di cui Rhodry disponeva, la sua proiezione di un’immagine di sogno avrebbe dovuto essere insolitamente solida, mentre essa aveva tremolato continuamente, somigliando addirittura a tratti più ad una fiamma dalla sagoma umana che ad un corpo. Consapevole che da qualche parte nel suo bagaglio di cognizioni doveva essere celata la risposta a quell’enigma, Alastyr rimase seduto in atteggiamento rilassato, lasciando la mente libera di vagare e di spostarsi da un pensiero all’altro seguendo collegamenti quasi inesistenti.

— Per il potere oscuro! — esclamò d’un tratto.

Sorpreso, Sarcyn sollevò lo sguardo e si girò verso di lui.

— Mi sono appena reso conto di una cosa — spiegò Alastyr. — Sono pronto a scommettere che Rhodry non è figlio di Tingyr Maelwaedd più di quanto sia mio figlio. Giuro che quel ragazzo è per metà un Elcyion Lacar.

— Davvero? Allora non c’è da meravigliarsi che tutte le previsioni astrali del Vecchio siano risultate errate.

— Infatti. Bene, lui sarà certo interessato a questa notizia.

— Se vivremo abbastanza a lungo da riferirgliela.

Alastyr accennò a ribattere, poi si limitò a scrollare le spalle, chiedendosi ancora una volta se non sarebbe stato meglio uccidere Camdel e fuggire. Però c’era la pietra: se fosse riuscito ad impadronirsi della Grande Gemma dell’Ovest avrebbe potuto assoggettare i suoi spiriti e attingere ad un incredibile potere per il proprio uso personale e per lo sviluppo dei suoi piani. Anni di studio gli avevano permesso di apprendere che la Grande Gemma era in contatto diretto con la mente del Sommo Re, un contatto che avrebbe potuto essere sfruttato per spingerlo lentamente alla pazzia e far piombare il regno nel caos… e a quel punto i maestri oscuri avrebbero potuto operare a loro piacimento in Deverry.

— Stai pensando di fuggire per conto tuo, ragazzo? — ringhiò d’un tratto, accorgendosi che Sarcyn lo stava fissando con occhi velati e indecifrabili. — Sai che avrei comunque il modo di ritrovarti, se ci provassi.

— Non sto pensando nulla del genere, maestro.

Il dweomer confermò ad Alastyr che il suo apprendista era sincero, ma lui continuò ad avvertire nella sua mente un pensiero nascosto e decise che era giunto il momento di ricordare all’apprendista quale fosse il suo posto.

— Prenditi cura dei cavalli e del tuo protetto — ordinò. — Ho bisogno di stare solo per fare un lavoro.


Sarcyn entrò nella stalla della fattoria isolata di cui si erano appropriati semplicemente uccidendo il suo vecchio proprietario; accoccolato sulla paglia in uno stallo vuoto c’era il bracciante, un robusto uomo sulla quarantina, che era stato risparmiato perché poteva tornare utile. Il bracciante era sottoposto ad un incantesimo così profondo che si affrettò ad alzarsi in piedi non appena Sarcyn schioccò le dita.

— Dà da mangiare ai cavalli e abbeverali — ingiunse l’apprendista. — Poi vieni in cucina per ricevere il mio prossimo ordine.

L’uomo annuì, barcollando come se fosse stato ubriaco.

La cucina era un’ampia stanza che occupava un quarto del diametro della casa rotonda di vecchio stile, con il camino al centro sotto un buco praticato nel tetto, e che era separata dal resto mediante divisori di vimini. Sul pavimento coperto di paglia, Camdel giaceva raggomitolato come un bambino, con le caviglie serrate in un anello di ferro munito di catena che Sarcyn aveva trovato quando avevano perquisito la fattoria e che un tempo doveva essere servito per legare un bue; la catena era adesso appesa ad un anello fissato nel focolare per appendervi le pentole, e quando Sarcyn la staccò Camdel si sollevò a sedere con un gemito.

— Vuoi un po’ di colazione, piccolo uomo? C’è del porridge di orzo.

Camdel annuì, e nel notare come fosse sporco e con la barba lunga, Sarcyn decise che più tardi gli avrebbe concesso di farsi un bagno. Allungando una mano, arruffò i capelli del giovane lord e gli sorrise.

— Il peggio è quasi passato — affermò, con una sicurezza che non sentiva. — Quando saremo nel Bardek avremo un posto piacevole dove vivere e ti potrò procurare abiti decenti e altre cose del genere.

In risposta, Camdel si costrinse ad esibire un sorriso tremante, e Sarcyn pensò che era strano come gli uomini differissero fra loro. Alcuni lottavano fino alla fine contro il suo dominio, mentre altri scoprivano di apprezzare gli strani piaceri sessuali a cui lui li introduceva… e Camdel apparteneva a questa seconda categoria, in maniera più che soddisfacente. Mentre lo guardava mangiare, Sarcyn si rese conto di essere lieto delle preferenze di Camdel e si sentì turbare e infastidire da una strana emozione, così poco familiare che impiegò parecchio tempo a identificarla: colpa. D’un tratto ricordò quando era ancora un bambino che piangeva per la violenza subita da Alastyr.

Ne è valsa la pena, si disse, perché questo mi ha portato al sentiero dei veri guerrieri.

Ma quella rassicurazione suonò falsa e vana ai suoi stessi orecchi.

— Dimmi una cosa — chiese d’un tratto Camdel, — piangi la morte di tuo fratello?

— Hai sentito quando ho esposto ad Alastyr i miei sentimenti al riguardo.

— Ho sentito, ma tu piangi la sua morte?

Sarcyn distolse bruscamente lo sguardo.

— Lo fai, non è vero? — affermò Camdel. — Lo pensavo.

Sarcyn gli assestò uno schiaffo e si alzò in piedi, raggiungendo la porta a grandi passi proprio mentre arrivava il bracciante, che s’inginocchiò barcollando ai suoi piedi. Emanata una linea di luce, Sarcyn la fissò intorno all’aura dell’uomo e la fece vorticare.

— Andrai a prenderci dell’altro cibo e non dirai niente tranne la storia che ti abbiamo insegnato. Guardami, uomo.

Il bracciante sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi.

— Andrò a prendere i conigli — sussurrò. — Dirò soltanto la storia che mi avete insegnato.

Rialzatosi, si allontanò quindi verso le stalle con passo strascicato e Sarcyn rientrò in casa. Ignorando Camdel, che stava mangiando il suo porridge, attraversò le piccole camere che si allargavano a ventaglio intorno al focolare fino a raggiungere il magazzino, dove si arrestò di colpo con un grugnito di sorpresa. Alastyr era fermo davanti alla finestra e il cadavere del vecchio contadino era in piedi accanto a lui, una cosa pallida, grigia ed esangue che però si muoveva barcollando goffamente. Alastyr scoccò all’apprendista un acido sorriso di trionfo.

— Ho vincolato dentro di esso alcuni membri del Popolo Fatato, che lo terranno in vita per un po’ e ci obbediranno. Ora dimmi, piccolo cane, puoi eguagliare il mio potere in questo?

— Non posso, maestro, davvero.

— Allora bada a quello che dici, altrimenti un giorno o l’altro farai anche tu questa fine.

Sarcyn si sentì assalire da una repulsione tanto violenta da desiderare soltanto di correre fuori dalla camera, ma si costrinse a fissare con calma quella cosa orribile mentre Alastyr si gloriava del suo operato; per un momento, pensò di prendere con sé Camdel e di fuggire, ma poi si rese conto che ormai era sprofondato troppo nel fango per poterne uscire.


Nevyn insistette perché Jill e Rhodry facessero colazione con lui nella sua stanza, e quando un paggio venne a riferire che il gwerbret desiderava la compagnia del cugino gli mandò a dire in risposta che la daga d’argento era occupata. Anche se dubitava che Alastyr potesse formare un collegamento con un membro della banda di guerra di Blaen o con qualsiasi altro occupante della fortezza, la situazione era troppo pericolosa per correre rischi, in quanto sarebbe bastata una sguattera armata di mannaia e dotata della forza innaturale portata da un incantesimo per stroncare bruscamente tutti i suoi piani.

Mentre rifletteva sulla questione, pensò che era strano che il maestro oscuro fosse riuscito ad operare in quel modo sulla mente addormentata di Rhodry e cominciò a pensare che il nemico che avevano di fronte fosse lo stesso che aveva causato la guerra in Eldidd l’estate precedente e che aveva quindi avuto modo di vedere Rhodry e di studiarlo.

Più tardi nel corso di quella giornata nuove informazioni vennero a confermare la sua supposizione. Il vecchio era seduto sul davanzale e intento a guardare Rhodry e Jill che giocavano a dadi con qualche moneta di rame come posta. Non appena uno dei due vinceva il piatto lo dividevano a metà e ricominciavano un’altra partita. Per distrarsi, Nevyn prese ad usare la seconda vista per stabilire chi dei due avrebbe vinto il giro successivo, e stava giusto profetizzando fra sé che la fortuna era prossima a volgere dalla parte di Rhodry quando Blaen in persona entrò nella camera.

— Comyn è tornato dal passo di Cwm Pecl — annunciò. — Hanno sterminato quei banditi e lui ha riportato indietro un prigioniero, perché potrebbe sapere cose interessanti.

— Infatti — convenne Nevyn. — Penso che correrò il rischio di lasciare questa stanza per assistere all’interrogatorio. Venite, daghe d’argento, non intendo perdervi di vista un istante.

A ridosso della sala delle guardie sorgeva una piccola e tozza torre che serviva da prigione per i criminali locali in attesa di un processo o della punizione, e quando entrarono nella piccola stanza centrale malamente illuminata da una minuscola finestra i quattro scoprirono che le guardie non erano rimaste inattive: un uomo nudo fino alla cintola era legato ad un pilastro accanto al quale un assortimento di ferri e di pinze era disposto su un tavolo mentre il boia, un uomo robusto con braccia da fabbro, stava disponendo il carbone su un braciere, soffiando per alimentare le fiamme.

— Dovrebbe essere pronto in un minuto, Vostra Grazia — garantì l’uomo.

— Bene. Allora è questo il topo che è stato scovato dai miei cani da caccia, vero? Rhodry, lo hai mai visto prima?

— Sì. Sono certo che fosse nel gruppo che ci ha attaccati.

Il bandito appoggiò la testa contro il pilastro e fissò il soffitto con espressione così disperata da far supporre a Nevyn che stesse desiderando di essere morto con i suoi compagni. Pur disapprovando per principio il ricorso alla tortura, il vecchio sapeva però che non avrebbe mai potuto convincere il gwerbret a non farvi ricorso. Avvicinatosi alla colonna, Blaen assestò al bandito uno schiaffo in pieno viso.

— Guardami, porco: la scelta sta a te… puoi avere una morte misericordiosa e rapida, oppure finire lentamente in pezzi.

Il bandito si limitò a serrare le labbra in una linea sottile e come risposta il boia posò una sottile asta di ferro nel braciere, dove essa sfrigolò emettendo un puzzo di carne bruciata; con un grido angosciato, il bandito prese a contorcersi fino a quando un altro schiaffo di Blaen lo ridusse al silenzio.

— Sappiamo che qualcuno vi aveva assoldati per attaccare quella carovana — disse il gwerbret. — Chi è stato?

Il boia tirò fuori il ferro dai carboni e sputò su di esso, ottenendo un suono sfrigolante.

— Non so molto — balbettò il prigioniero, — ma vi dirò tutto.

— Bene — approvò Blaen, con un gentile sorriso. — Allora sii tanto gentile da cominciare.

— Il nostro capo, che era soprannominato il Lupo, si è recato a Marcmwr per vedere se c’erano carovane interessanti e quando è tornato ha detto di avere un lavoretto per noi. Quel vecchio che sembrava un mercante voleva che prendessimo la ragazza che viaggiava con quella carovana… il Lupo ha detto che sembrava una cosa facile e che quel vecchio idiota ci avrebbe pagati bene, poi ha esposto il suo piano. Avremmo attaccato in forze e lui e un paio di altri avrebbero preso la ragazza, poi ci saremmo ritirati prima di subire delle perdite. Non sapevamo però che quella ragazza sapeva combattere come il Signore dell’Inferno… «non le fate del male» aveva detto il vecchio! Come se qualcuno di noi avesse qualche possibilità di fargliene.

Il bandito s’interruppe e scoccò a Jill un’occhiata velenosa.

— Continua a parlare — ingiunse Blaen, sferrandogli un altro schiaffo.

— Inoltre non dovevamo fare del male neppure all’altra daga d’argento, se appena avessimo potuto evitarlo — riprese l’uomo, guardando verso Rhodry. — Il vecchio conosceva il tuo nome: ‘Non lo ferite,’ ha detto, ‘a meno che non sia necessario per salvarvi la vita. Non è importante ma detesterei vederlo morire.’ Però dopo che hai ucciso il Lupo in quel modo noi ci siamo dimenticati del tutto delle parole del vecchio, dannato bastardo.

Rhodry si limitò a sorridere, ma Nevyn pensò che il loro avversario doveva quindi essere per forza lo stesso maestro oscuro dell’estate precedente… ma perché voleva Rhodry vivo? Perché volesse Jill era chiaro, per usarla al fine di costringere lui a lasciarlo andare. Ma Rhodry?

— In ogni caso, Vostra Grazia — proseguì il bandito, — non siamo riusciti a prenderla. Così abbiamo eletto un nuovo capo e siamo andati da quel vecchio. Vedi, avevamo in mente di ucciderlo per vendicarci, ma lui ci ha dato tanto denaro che lo abbiamo lasciato andare.

— Che aspetto aveva? — intervenne Nevyn, avanzando. — Era un uomo del Bardek?

— No, era di Deverry. Vestiva come un mercante e dava l’impressione di venire dalle parti di Cerrmor. La sua voce era così sommessa e untuosa da darmi sui nervi e ricordo che uno dei suoi uomini lo ha chiamato Alastyr. Aveva con sé due uomini armati di spada, uno dei quali mi faceva letteralmente accapponare la pelle… da come ci guardava sembrava che gli sarebbe piaciuto tagliarci la gola soltanto per il gusto di vederci morire.

— Probabilmente gli sarebbe piaciuto davvero. Quei tre avevano con loro un prigioniero?

— Sì, un tizio dai capelli castani legato al suo cavallo. Il suo volto era pieno di lividi e non guardava in faccia nessuno… era un ragazzo snello e sottile, di quelli che somigliano un po’ ad una ragazza.

— Era Camdel, non c’è dubbio — intervenne Blaen.

— Temo di sì — convenne Nevyn. — Molto bene, Vostra Grazia, temo che non si possa cavare altro sangue da questa rapa.

— Impicca pubblicamente questo verme domani a mezzogiorno — ordinò Blaen, rivolto al boia, — ma bada che faccia una morte facile.

Il bandito svenne con un improvviso fetore di urina.

Mentre lasciavano la torre, Nevyn rifletté sulle informazioni ottenute. Ricordava come quel capitano di nave, a Cerrmor, avesse a sua volta detto che il passeggero da lui portato nel Bardek aveva una voce untuosa e sembrava un tipico uomo di Cerrmor, ed era del tutto improbabile che ci fossero due maestri del dweomer oscuro che si somigliavano tanto. Un altro fatto importante era che questo Alastyr aveva avuto con sé soltanto due apprendisti, il che significava che ora non gliene restava che uno… le probabilità di successo erano quindi sempre più a loro favore.

Nevyn si rese inoltre conto di aver pensato di conoscere il suo avversario soltanto per scoprire di essersi sbagliato. Lui aveva un antico nemico, un maestro oscuro contro cui aveva lottato parecchie volte negli ultimi cento anni, un Bardekiano particolarmente abile nel leggere i presagi degli eventi futuri. La guerra dell’anno precedente in Eldidd, questo recente tentativo di impadronirsi dell’opale dotato di dweomer, perfino il lasciare Rhodry in vita come una sorta di esperimento… tutto sembrava collimare alla perfezione con il modo di pensare di Tondalo. Naturalmente, questi avrebbe potuto manovrare ogni cosa a distanza, perché ormai doveva avere qualcosa come centocinquant’anni e di certo era troppo debole per viaggiare. Anche se potevano mantenersi in vita con mezzi innaturali, i maestri del dweomer oscuro non avevano modo di conservare anche la salute, soprattutto verso la fine: la Natura stessa cercava infatti di contrastarli, per il semplice fatto che essi andavano contro i suoi principi come acqua che scorresse verso monte.


Stretto nella morsa delle mani di Alastyr il coniglio marrone e bianco si dibatteva cercando di graffiare con le zampe posteriorì, ma lui gli sbatté la testa più volte contro il tavolo della cucina fino a quando il suo corpo si afflosciò; a quel punto Alastyr tagliò la gola all’animale e si chinò per succhiare il sangue caldo direttamente dalla ferita… anche se lo faceva da anni, quella procedura aveva ancora il potere di disgustarlo. Sfortunatamente essa costituiva però il solo modo per avere la certezza di assorbire tutto l’effluente magnetico del sangue, e per quanto la aborrisse Alastyr non riusciva quindi a capire perché altri maestri del dweomer oscuro lasciassero ai loro servi il compito di uccidere la carne per loro. Mentre beveva sentì la forza magnetica fluire dentro di lui in un piccolo processo di ringiovanimento, e una volta finito si pulì accuratamente la bocca con uno straccio, procedendo poi a scuoiare e a fare a pezzi il coniglio.

Nel suo animo, tuttavia, la paura era ormai tale da fargli pulsare il sangue nelle vene: desiderava fuggire, ma aveva al tempo stesso timore di tornare alla Confraternita per riferire un altro fallimento. Il Vecchio lo avrebbe forse perdonato, soprattutto grazie all’informazione sul sangue elfico di Rhodry che costituiva il fattore che aveva rovinato tutti i suoi calcoli, ma gli altri maestri del Sentiero Oscuro avrebbero visto in lui un debole, e una volta che un uomo s’indeboliva la sua fine probabile era quella di essere attaccato, distrutto e prosciugato del suo potere… un fato a cui sarebbe stato preferibile il suicidio.

Il pensiero della morte lo fece tremare tutto: in fin dei conti, era stata proprio la paura di morire a spingerlo verso il sentiero oscuro, tanti anni prima. Presto avrebbe dovuto decidere se fuggire o combattere… presto, molto presto. Anche se il dweomer non mandava nessun avvertimento di pericolo a quanti seguivano il Sentiero Oscuro, la pura e semplice logica gli diceva che gli restava poco tempo.

Sollevando lo sguardo dalle sue riflessioni si accorse che Sarcyn lo stava osservando.

— Che cosa vuoi? — domandò, secco.

— Volevo soltanto macellare quel coniglio per te, maestro. È mio compito servirti.

Alastyr gli porse il coltello, poi si lavò le mani sporche di sangue in un secchio d’acqua, vicino al quale Camdel sedeva accoccolato sulla paglia.

— Se saremo costretti a fuggire — osservò, — Camdel dovrà morire, perché la sua presenza servirebbe soltanto a rallentarci.

Gemendo il giovane lord si ritrasse e Sarcyn fissò il maestro con il coltello in pugno e un’espressione di furia omicida nello sguardo.

— Non ti permetterò di ucciderlo.

— Davvero? E chi sei tu per permettermi o meno di fare qualcosa?

Nel parlare, Alastyr inviò un’ondata di odio lungo il cordone che univa la sua aura a quella di Sarcyn, assestando poi una torsione data dall’ira. Quelle emozioni si tradussero in un intenso dolore fisico e Sarcyn lasciò andare il coltello, cadendo in ginocchio con il volto contorto dal tentativo di evitare che la sua sofferenza trasparisse da esso. Con un ringhio Alastyr lo liberò dal dolore e lui si accasciò tremando.

— Ora tieni a freno la lingua finché non sarai interpellato — scattò il maestro. — Io devo riflettere.

Accostatosi alla finestra, lasciò vagare lo sguardo all’esterno, sentendo la paura serrarlo in una morsa e pulsare dentro di lui; quando infine si lanciò un’occhiata alle spalle vide che Sarcyn e Camdel erano stretti uno nelle braccia dell’altro.

Stolti, pensò. Forse li ucciderò entrambi.


Allorché giunse l’ora del pasto serale, Jill lo consumò nella camera di Nevyn insieme al vecchio e a Rhodry. Anche se lei non aveva fame, Rhodry stava consumando carne arrosto e cipolle fritte con voracità, come si conveniva ad un guerriero che mangiava sempre con abbondanza prima di una battaglia perché sapeva che avrebbe potuto non godere più di un altro pasto.

Se lui è un guerriero, io cosa sono? si chiese Jill. Di certo una codarda.

Per quanto detestasse quella parola, doveva ammettere di essere terrorizzata al pensiero che il dweomer oscuro volesse catturarla per motivi a lei ignoti. Alla fine non riuscì più a sopportare di guardare gli altri due che mangiavano e si avvicinò alla finestra.

La luce dorata della sera estiva le ricordò che il mondo reale e concreto era ancora là, libero dal dweomer, ma dentro di sé sapeva che non lo avrebbe mai più visto nella stessa maniera. Un interrogativo la tormentava, spaventandola quasi quanto il dweomer oscuro: come poteva sapere tante cose riguardo al dweomer? Pur essendosi trovata coinvolta in situazioni che avrebbero lasciato sconcertata la maggior parte della gente, lei aveva capito subito molte cose per puro istinto, come il fatto che la gemma potesse mutare forma, che l’apprendista possedeva il dweomer oscuro ed era in grado di capire se lei diceva o meno la verità, che poteva comunicare con Nevyn attraverso il fuoco. Con riluttanza, lentamente, lottando ad ogni passo, cominciava ad essere costretta a convincersi di possedere non soltanto il talento per il dweomer, ma anche di possederlo in quantità notevole.

Serrando le mani intorno al davanzale si affacciò alla finestra, cercando di rassicurarsi osservando il consueto e comune trambusto di servitori nel cortile sottostante, ma un momento più tardi vide l’Airone, che era fermo in un angolo nascosto vicino alle porte della fortezza e si stava sbirciando intorno.

Deve essere qui perché vuole parlare con me, pensò, e subito si chiese perché fosse andata alla finestra proprio nel momento giusto per riuscire a vederlo.

— C’è qualcosa che non va, bambina? — domandò Nevyn. — Sei impallidita.

— Oh, non è nulla. L’Airone è fermo vicino alle porte e credo che sia meglio parlare con lui.

Invece di scendere nel cortile, Nevyn insistette per mandare un servitore a chiamare l’Airone e ad accompagnarlo da loro; il pover’uomo si mostrò talmente nervoso all’idea di trovarsi all’interno della fortezza del gwerbret che non riuscì a stare seduto e prese a camminare con irrequietezza avanti e indietro, serrando fra le mani il boccale di birra che Jill gli aveva offerto.

— Dimmi, buon erborista — esordì infine. — Sei davvero certo che non ci possano sentire?

— Lo giuro. Se necessario mentirò anche in faccia al gwerbret per proteggerti.

— Benissimo, allora. — L’Airone s’interruppe per trangugiare un sorso di birra. — Penso che abbiamo trovato gli uomini che hanno tentato di avvelenare Ogwern.

Jill impiegò qualche istante a ricordare la storiella che Nevya aveva imbastito a beneficio dei ladri, ma il vecchio si eresse di scatto sulla persona e sorrise.

— Davvero? Avanti, dimmi tutto.

— Vedi, dopo che tu ci hai avvertiti, abbiamo riflettuto seriamente sulla cosa. Doveva per forza essere stato uno straniero a mettere quell’oleofur… quello che era… nel boccale di Ogwern, perché lui è di un’onestà scrupolosa quando si tratta di riscuotere percentuali e tasse e nessuno dei ragazzi vorrebbe vederlo eliminare. Così, abbiamo pensato che un’altra corporazione stesse cercando di prendere il nostro posto e ci siamo messi in movimento, badando a tutti gli stranieri che vedevamo e seguendoli con cura. Inoltre abbiamo sparso in giro un bel po’ di monete in cambio di informazioni. Oggi, poco prima di mezzogiorno, ho avuto la fortuna di essere presente quando quel tizio è venuto a fare acquisti al mercato; qualcuno mi ha detto che si trattava del bracciante di una fattoria, ma stava comprando una gabbia piena di conigli… ora io vi chiedo, perché un contadino dovrebbe spendere soldi in conigli quando ne può catturare gratuitamente quanti ne vuole sui suoi campi?

— Una domanda più valida di quanto tu possa immaginare, amico mio.

— Così, ho preso uno dei cavalli della corporazione e ho seguito quell’uomo quando ha lasciato la città. All’inizio sono stato molto guardingo, ma lui non si è mai guardato indietro neppure una volta e dal modo in cui sedeva accasciato sulla sella sembrava che stesse male o qualcosa del genere. Ho potuto quindi seguirlo da vicino e quando ho visto che stava effettivamente andando verso una fattoria ho creduto di essere su una falsa pista. Ormai però ero là, così ho sparso qualche moneta di rame nel villaggio vicino ed ho scoperto una storia davvero strana. Quella fattoria pare appartenga ad un vecchio vedovo che con gli anni è diventato un po’ strano… al villaggio tutti pensavano che lui non avesse un parente o un amico al mondo, ma d’un tratto sono arrivati da lui degli ospiti. Uno dei ragazzi del villaggio, che aveva inseguito una vacca fino nelle vicinanze, mi ha detto di aver visto un tizio nel cortile della fattoria intento a sellare un cavallo costoso. Per fortuna il ragazzo aveva dovuto continuare a correre dietro alla sua mucca, così non era potuto andare a fare domande.

— Fortunato e due volte fortunato — mormorò Nevyn.

— Proprio quello che stavo pensando anch’io — annuì l’Airone, — perché scommetto che quegli ospiti appartengono ad un’altra corporazione e che quel povero contadino è andato a raggiungere la moglie nell’Aldilà.

— Ho la sgradevole sensazione che tu abbia ragione — convenne Nevyn, alzandosi e unendosi all’Airone nel suo inquieto passeggiare. — Dimmi esattamente dove si trova questa fattoria e descrivimi tutto quello che riesci a rammentare della zona.

Quel «tutto» risultò essere parecchio. A quanto pareva, l’Airone era in grado di guardare un posto e di memorizzarne l’immagine nella mente, perché mentre parlava il suo sguardo era perso nel vuoto e i suoi occhi si muovevano come se stessero esaminando un’immagine invisibile a tutti gli altri. La fattoria si trovava sulle colline ed era del tutto isolata; una volta al mese circa un vicino andava a vedere se il vecchio stava bene ma a parte questo la gente del villaggio lo vedeva di rado.

— Un nascondiglio perfetto per uomini che hanno intenzione di uccidere — commentò Nevyn, quando l’Airone ebbe finito. — Ora ascolta, riferisci alla tua corporazione di lasciare questa faccenda nelle mie mani. Non ti posso spiegare il perché, ma quelle persone sono molto più pericolose di quanto credi.

— Lo farò. A proposito, buon signore, Ogwern giura che tu possiedi il dweomer.

— Davvero? Il dweomer non è soltanto un ricamo aggiunto alle storie dei bardi?

— Oh, quando si lavora in una corporazione si vedono tante cose strane. So che nobili e mercanti sono increduli, ma loro non vivono nelle strade, alla base di tutto.

— Infatti. Ogwern è un uomo intelligente nonostante il suo grasso, e intendo dimostrarti che ha visto giusto. Tu vuoi uscire di qui senza che nessuno ti scorga, vero?

Nel ricordare dove si trovava, l’Airone gemette.

— Benissimo, allora — proseguì Nevyn. — Se mi giuri di non rubare nulla mentre perdura l’incantesimo, ti renderò virtualmente invisibile per i prossimi minuti.

L’Airone giurò in assoluta sincerità, ma Jill rimase sconvolta, perché non aveva mai visto il vecchio sfoggiare così apertamente i suoi poteri quando non ce n’era un’effettiva necessità. Allorché il vecchio lo accompagnò nel corridoio in ombra, il ladro si trasformò improvvisamente in una figura indistinta che parve scomparire non appena ebbe percorso pochi passi. Rhodry imprecò sonoramente per la sorpresa mentre Nevyn richiudeva la porta con un sorriso compiaciuto.

— La caccia è aperta — annunciò quindi il vecchio. — I maestri del dweomer oscuro sono noti per la loro abitudine di mangiare carne cruda, ma non per la loro abilità nell’intrappolare conigli, e sono pronto a scommettere che quel bracciante era sottoposto a incantesimo.

— Sono proprio qui vicino! — scattò Jill. — Che arroganti bastardi!

Rhodry stava invece fissando la porta chiusa con la bocca serrata e contratta, quasi avesse appena mangiato qualcosa di amaro.

— Cosa c’è che non va, amore mio? — volle sapere Jill.

— C’è che quell’uomo è un ladro, e così anche Ogwern.

— Oh, suvvia, mio innocente amore, te ne sei reso conto soltanto adesso?

— Non mi prendere in giro, dannazione! L’Airone ci ha fornito l’aiuto di cui avevamo bisogno e dovrei ricompensarlo per questo, ma… per tutti gli inferni, l’onore mi impone di consegnarlo a Blaen!

— Cosa? Non puoi.

— Avanti, ragazzo — intervenne Nevyn. — Anch’io disprezzo i ladri, ma so di Ogwern da anni e non l’ho mai denunciato. Vuoi sapere perché? Perché per gli standard dei ladri è un uomo davvero moderato: tiene in riga i suoi ragazzi, non uccide mai e fa del suo meglio per evitare che ci siano assassinii sul suo territorio. Eliminato lui, chi può sapere quale uomo veramente malvagio potrebbe prendere il suo posto?

— Bellissime parole — ribatté Rhodry, — ma io sono ospite di mio cugino, quando lui avrebbe avuto tutti i diritti di buttarmi fuori, e non posso tacere e farmi beffe della sua giustizia.

— Razza di idiota! — esclamò Jill, afferrandolo e scrollandolo. — Perché fai tanto chiasso per una sciocchezza del genere? Abbiamo il dweomer oscuro tutt’intorno a noi.

— Il dweomer non c’entra niente con questo. È una faccenda d’onore.

— Via, via — mormorò Nevyn, appoggiando una mano sulla spalla di Rhodry con fare paterno. — So che ti trovi in una posizione difficile, costretto a scegliere fra due forme di disonore, ma adesso guardami in faccia per un momento, d’accordo? Ti ringrazio. Dunque, tu non dirai una sola parola a Blaen riguardo ai ladri, e del resto hai già dimenticato, vero? L’Airone non è un ladro, e non lo è neppure Ogwern… quei due ci hanno aiutati soltanto perché mi dovevano qualche favore. Questo è ciò che ricorderai, ragazzo.

Quando Nevyn ritrasse la mano Rhodry sbatté con violenza le palpebre come un uomo che fosse uscito da una stanza buia, venendosi a trovare sotto il sole.

— A proposito, chi era quel tizio? — chiese. — Un garzone della taverna di Ogwern?

— Infatti — rispose Nevyn. — Sai che sono sempre disposto a curare i poveri senza farmi pagare.

— È vero, ma è stato dannatamente altruista da parte sua correre un rischio del genere. Farò in modo che Blaen lo ricompensi.

Jill dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per mantenere un’espressione naturale.

— Rhodry, vorresti andare a dire a Blaen di salire qui da noi? — proseguì Nevyn. — Credo che dopo tutto dovremo accettare l’offerta della sua banda di guerra.

Non appena la porta si fu richiusa alle spalle del giovane, Jill si girò verso Nevyn.

— Senti — esplose, — non mi avevi detto che sottoporre qualcuno a incantesimo è una cosa sbagliata?

— Sì, ma non quando costituisce il solo modo per salvare la vita a quella persona. Quanto credi che sarebbe vissuto il tuo uomo, quando si fosse diffusa la notizia che aveva consegnato alla giustizia del gwerbret il re e il principe dei ladri di Cwm Pecl?

— Non molto, e questa è proprio l’argomentazione a cui stavo per ricorrere. I ladri non penserebbero a lui come ad un uomo vincolato dall’onore.

— Esatto. Ai loro occhi Rhodry sarebbe stato soltanto una daga d’argento traditrice. Sai, bambina, sono dannatamente contento di non aver giurato di non mentire mai. Molti uomini del dweomer lo fanno, perché è una cosa che garantisce il favore dei Signori del Wyrd, ma in questioni del genere io preferisco poter essere un po’ più flessibile.

La sua espressione era così astuta e maliziosa che Jill fu costretta a ridere.

— Così va meglio — approvò Nevyn. — Ora vuoi metterti di guardia alla porta? Devo evocare una visione.


Quando il Popolo Fatato ebbe acceso la legna disposta nel camino, Nevyn s’inginocchiò accanto ad esso e fissò le lingue di fiamma. Dal momento che conosceva piuttosto bene le zone colonizzate di Cwm Pecl, aveva riconosciuto la fattoria descritta dall’Airone, dove si era in effetti recato molti anni prima per curare un bambino malato. Allorché evocò il ricordo del sentiero che aveva seguito in un soleggiato pomeriggio, subito l’immagine fornita dalle fiamme divenne quella dello stesso sentiero così come appariva adesso, con il cielo che iniziava a scurirsi. Nella visione, Nevyn seguì il sentiero fino al punto in cui ci sarebbe dovuta essere la casa ma non trovò nulla tranne un prato incolto… né una casa, né un muro e neppure una mucca al pascolo nelle vicinanze. Quindi Alastyr aveva apposto sulla casa un sigillo astrale. Con uno schiocco delle dita, Nevyn ordinò al fuoco di spegnersi.

— Li hai visti? — domandò Jill.

— No… il che significa che sono là. Oh, Alastyr si può anche nascondere da me, ma di certo ha dimenticato cosa significa avere per nemici uomini che si fidano dei loro occhi e non del dweomer. Ora però — aggiunse il vecchio, con un sorriso gentile, — sta per ricordarlo.


Adesso che aveva preso la sua decisione, Alastyr si sentiva molto più calmo. A grandi passi entrò nella cucina, dove trovò Sarcyn e Camdel seduti al tavolo; l’apprendista sollevò lo sguardo su di lui con un atteggiamento servile e spaventato che migliorò ulteriormente il suo stato d’animo.

— Partiremo all’alba — annunciò. — Preferisco correre il rischio di affrontare la Confraternita che il Maestro dell’Aethyr.

— Benissimo, maestro. Stanotte stessa preparerò parte dei nostri bagagli.

— Ottimo — approvò Alastyr, poi si girò verso Camdel. — Quanto a te, se collaborerai potrai restare in vita. Dovremo viaggiare in fretta e tu morirai al minimo problema che ci causerai. Hai capito?

Camdel annuì con aria spaventata ed Alastyr girò sui tacchi, tornando nella camera dei riti. Doveva stare in guardia.


Nevyn sapeva che il piano era rischioso, ma doveva agire in fretta, perché presto o tardi Alastyr si sarebbe reso conto che era pericoloso restare così vicino a Dun Hiraedd e si sarebbe allontanato. Mentre sedeva in sella accanto a Jill e a Rhodry nel cortile rischiarato dalle torce, Nevyn rabbrividì, pensando che la battaglia che lo aspettava sarebbe stata dura se l’apprendista avesse avuto l’abilità necessaria per combattere accanto al suo maestro; intorno a lui, venticinque uomini della banda di guerra di Blaen stavano sellando i cavalli e il gwerbret si aggirava in mezzo a loro, parlando ora con uno ora con l’altro di loro. Pur essendo consapevole che stava correndo un grosso rischio a prendere con sé Sua Grazia, Nevyn non poteva farne a meno, perché aveva bisogno di qualcosa da usare come diversivo.

— Ricordate quello che vi ho detto — sussurrò alle due daghe d’argento. — Ad un certo punto lasceremo di soppiatto la banda di guerra.

Gli altri due annuirono in segno di assenso. In quel momento la banda di guerra montò in sella fra un tintinnare di finimenti e di spade, e dopo aver segnalato a Jill e a Rhodry di seguirlo Nevyn spinse il cavallo verso il gwerbret.

— Vostra Grazia è sicuro di riuscire a trovare quella fattoria? — chiese.

— Per gli inferni, anche un cieco potrebbe trovarla sulla base delle istruzioni che tu ci hai fornito. Non ti preoccupare, buon mago, staneremo questi topi dalla loro tana.

Quando s’incamminarono, Nevyn tenne Rhodry e Jill vicino a sé in coda alla colonna, poi consegnò al giovane le redini della propria cavalcatura chiedendogli di condurla a mano: dal momento che stava per scivolare in una leggera trance, gli sarebbe infatti risultato già difficile restare in sella senza doversi preoccupare anche di guidare il cavallo. Mentre la banda di guerra procedeva rumorosamente sulla strada immersa nel buio il vecchio rallentò la respirazione e ritrasse la propria consapevolezza dal mondo che lo circondava… adesso all’occhio di un osservatore esterno lui appariva semiaddormentato, con la testa che dondolava all’unisono con i movimenti del cavallo, ma sotto le palpebre appesantite i suoi occhi stavano seguendo i movimenti della colonna e la sua mente stava cominciando a lavorare.

Dapprima invocò i Grandi e vide venire a sé un raggio di luce immaginaria. Meditando su di essa, la rese sempre più nitida nella mente fino a quando acquisì una vita propria indipendente dalla sua volontà, un grande fascio di luce modellato come una spada. Nei suoi pensieri, Nevyn brandì quella spada e ne usò la lama per tracciare una vasta sfera di luce intorno e al di sopra della banda di guerra. A causa del movimento degli uomini e dei cavalli che lo circondavano, concentrarsi gli costò una dura lotta, ma alla fine diede solidità alla sfera e appose i sigilli… le stelle a cinque punte dei Re degli Elementi… ai punti ordinali, allo zenit e al nadir. Allorché la sfera prese a brillare di una luce intensa, il vecchio invocò quindi la grande Luce che risplende dietro a tutti gli dèi e implorò il permesso di manipolare l’oscurità. Lentamente, con cautela, ritrasse la luce dalla sfera senza alterarne la struttura, fino a quando non rimase altro che un solido globo di oscurità, invisibile all’occhio umano ma tale da costituire un efficace schermo contro i tentativi di usare la seconda vista.

Una volta creata la sfera, Nevyn poté riportare la propria mente nel mondo reale e rimase sconvolto nell’accorgersi che nel frattempo la banda di guerra aveva percorso almeno cinque chilometri: operare il dweomer in sella ad un cavallo era ancora più difficile di quanto lui si fosse aspettato. Per l’ora successiva si limitò a riposare, ma quando arrivarono a circa cinque chilometri dalla fattoria tornò ad entrare in trance per un breve momento per evocare la luce e lasciarla fluire di nuovo nella sfera, gettando però al tempo stesso un nuovo manto di oscurità intorno a se stesso, a Rhodry e a Jill. Adesso poteva soltanto sperare che Alastyr avesse il buon senso di montare la guardia con la seconda vista. Se lo stava facendo, avrebbe visto quella sfera dotata dei sigilli della luce che puntava dritta verso il suo nascondiglio. Nevyn voleva che il suo nemico cedesse al panico, in maniera completa e assoluta.

— Jill, Rhodry — sussurrò, — adesso!

I due rallentarono la cavalcatura in modo da adeguarne il passo a quello della sua, rimanendo sempre più indietro rispetto alla banda di guerra fino a porre una buona distanza fra loro e l’ignaro gwerbret. Con un rapido cenno della mano Nevyn condusse quindi le due daghe d’argento lontano dalla strada ad un rapido trotto, svoltando in un viottolo laterale che portava anch’esso alla fattoria mediante un percorso più stretto e più breve. Al galoppo, i tre raggiunsero una macchia di betulle e si addentrarono fra gli alberi: quando infine Blaen si fosse accorto che erano scomparsi loro avrebbero già avuto un notevole vantaggio sulla banda di guerra.

Finalmente arrivarono ad un ruscelletto che scorreva in una valle racchiusa fra due colline e là Nevyn fece arrestare la sua minuscola banda di guerra.

— Benissimo, daghe d’argento. La fattoria si trova immediatamente al di là della collina e questi sono i vostri ordini: ora io mi sdraierò ed entrerò in una trance profonda, e dòpo aver legato i cavalli voi dovrete montare la guardia al mio corpo, perché esiste la possibilità che Alastyr mandi qui il suo apprendista nel tentativo di farmi uccidere.

— Non riuscirà mai a oltrepassare la mia spada — garantì Rhodry, in tono quieto.

— Bene. Se dovessi perdere la mia battaglia ci incontreremo un giorno nell’Aldilà — replicò il vecchio, poi si girò verso Jill e aggiunse: — Se dovessi morire, bambina, prega con tutto il tuo cuore e la tua anima la Luce che si trova dietro la Luna, e non cercare di dirmi che non sai cosa intendo dire.

Jill trattenne il respiro con un sussulto, ma pur avendo il cuore che doleva per lei Nevyn non poté sprecare altro tempo con le parole. Steso a terra il mantello si adagiò su di esso e piegò le mani sul petto, appoggiando ciascuna sulla spalla opposta. Dopo aver invocato i Signori della Luce, rimase disteso in silenzio, raccogliendo le forze, mentre vicino a lui Jill e Rhodry montavano già la guardia con la spada snudata. Nel chiudere gli occhi, il vecchio si chiese se li avrebbe rivisti.

Lavorando mentalmente con lenta cautela, evocò poi il proprio corpo di luce, un simulacro azzurro pallido della propria forma ridotto però alle linee essenziali e unito al suo plesso solare da un cordone argenteo. Quando trasferì in esso la propria consapevolezza, ebbe la sensazione che il suo corpo fisico stesse precipitando violentemente e per una frazione di secondo fu assalito da un senso di nausea. Subito dopo ci fu però un rumore secco, come quello di una spada riposta nel fodero, e lui si trovò a guardarsi intorno con gli occhi del simulacro. Il suo corpo fisico giaceva sul terreno in un mondo pervaso sul piano dell’eterico da una luce azzurrina, ed ora che lo aveva abbandonato appariva soltanto come un inerte ammasso di carne morta. Accanto ad esso poteva però scorgere Jill e Rhodry come due vortici di fiamma ovoidali, con la rispettiva aura che pulsava intorno a ciascuno. Gli alberi e l’erba vibravano invece del rosso opaco tipico delle energie vegetali.

Nevyn si levò di circa tre metri al di sopra del proprio corpo, con il cordone argenteo che gli si snodava alle spalle come una lenza, e si guardò intorno, decidendo che il ruscello che solcava la valle gli sarebbe potuto tornare utile, in quanto attraversare l’acqua corrente con il corpo di luce era una cosa molto pericolosa. Nel chiarore azzurrino, il ruscello scorreva argenteo e sopra di esso fluiva la sua corrente elementare, visibile come un agitato e mutevole muro di una sostanza fumosa che sarebbe diventata un’ottima trappola se soltanto lui fosse riuscito a spingere in essa quella donnola del suo avversario. Salendo ancora più in alto, fluttuò verso la cresta della collina, perché era venuto il momento di lanciare la sua sfida.

Dall’altro lato della collina si stendeva un pascolo erboso su cui sorgeva la fattoria, una fatiscente casa rotonda cinta da un muro di terra che abbracciava anche alcune baracche e alberi da frutta così vecchi che il loro bagliore vitale tendeva più al marrone che al rosso. Notando che i sigilli erano svaniti, Nevyn sorrise fra sé. Alastyr doveva averli lasciati cadere in preda al panico non appena aveva individuato l’avvicinarsi della banda di guerra. Vedendo un uomo lasciare a precipizio la casa e dirigersi verso una baracca con le braccia cariche di sacche da sella, Nevyn decise che avrebbe fatto meglio a tenere impegnati i suoi nemici per evitare che pensassero ad uccidere Camdel.

Nel bagliore azzurro della notte, modellò quindi con la mente una lancia di luce e la scagliò con forza contro l’aura striata di nero dell’uomo che correva. Quando essa colpì il bersaglio l’uomo lasciò cadere le sacche da sella e lanciò un urlo: anche se il suo corpo fisico non aveva avvertito dolore, per la sua mente addestrata quel contatto doveva essere stato paragonabile a quello con un ferro rovente. Simile ad un falco in picchiata, Nevyn calò quindi sulla fattoria mentre l’uomo rientrava di corsa in essa.

— Alastyr! — chiamò, con un pensiero intenso e prolungato. — Alastyr, sono venuto per te!

Attraverso la luce azzurra gli giunse l’eco ululante di una risposta e Alastyr gli venne incontro a precipizio come un serpente che attaccasse sollevandosi dal suolo. Il suo simulacro era un’immensa figura avvolta in una tunica nera decorata con ricche gemme e con sigilli ricamati, e dal cordone argenteo avvolto tre volte intorno alla vita come un gonnellino pendevano parecchie teste recise. Il volto che sbirciava dalle profondità del cappuccio era pallido e crudele, gli occhi erano un brillio scuro in mezzo ai lineamenti spettrali. Nevyn invocò la Luce e sentì subito nel proprio corpo un leggero pulsare e il risplendere del potere; per tutta risposta, Alastyr divenne ancora più scuro e immenso, quasi potesse risucchiare e spegnere ogni luce dell’universo… poi la battaglia ebbe inizio, il suo scopo quello di vedere chi dei due sarebbe riuscito a infrangere il corpo di luce dell’altro e a sospingere l’anima racchiusa in esso, nuda e impotente, nella morsa del potere delle grandi forze schierate dietro ciascun opponente. Nevyn colpì per primo con un’onda di luce che fece ondeggiare Alastyr come un relitto sulle onde, e sferrò subito un secondo attacco che fece precipitare il nemico verso il basso, ma mentre lo inseguiva avvertì su di sé l’opera delle forze comandate da Alastyr… un senso di decadimento, come se un migliaio di piccoli artigli stessero cercando di lacerarlo, e questo lo costrinse a distogliere una parte notevole della sua volontà per mantenere compatto il simulacro, attingendo una quantità sempre maggiore di luce e ricostruendolo più in fretta di come Alastyr lo distruggesse. Il resto del suo potere fu dedicato all’attacco, una pioggia di frecce dorate e di lunghe lance che sospinse Alastyr di qua e di là mentre Nevyn gli girava intorno, pressandolo con la luce che percuoteva la sua oscurità e la faceva recedere.

Tutta la sua strategia era basata sulla necessità di costringere Alastyr ad uscire dalla luce azzurra e a portarsi nella sfera vera e propria delle Terre Interiori, dove Nevyn avrebbe avuto a sua disposizione forze più potenti; per il momento l’avversario era però ancora troppo forte e Nevyn continuò quindi a tempestarlo con le lance di luce mentre in risposta Alastyr inviava un’ondata di oscurità dopo l’altra ad artigliarlo. Gli occhi scuri all’interno del cappuccio bruciavano d’ira, ma quando Nevyn colpì abbastanza violentemente da staccare qualcuno dei pomposi sigilli apposti sulla tunica nera, Alastyr ululò come un animale ferito e si ritrasse. A quel punto Nevyn corse il rischio di tentare di costruire una porta dietro di lui, usando parte della sua volontà per inchiodare sul posto l’avversario e un’altra parte per aprire un sentiero verso le Terre Interiori, ma era troppo presto… Alastyr gli sgusciò di mano e riversò su di lui un flusso di oscurità simile ad un mare in tempesta.

Per un momento Nevyn precipitò verso il basso, sentendo il proprio simulacro allentarsi intorno a lui come un mantello che stesse scivolando via, e invocò la Luce con disperazione, non potendo per il momento fare altro che lottare per risanarsi e per parare gli attacchi più violenti di Alastyr, che lo stava pressando sempre più da vicino con colpi simili a macigni nella palpabile oscurità. D’un tratto vide il velo caliginoso al di sopra del ruscello farsi vicino, troppo vicino! Con violenza si girò su se stesso e saettò verso l’alto, schivando e oltrepassando lo sconcertato Alastyr prima che questi potesse reagire. Aveva però fatto appena in tempo a riparare il suo devastato corpo di luce quando il nemico gli si scagliò dietro assalendolo con fiotti di velenosa oscurità.

Nevyn gli lanciò contro un muro di luce che lacerò e dissolse le teste recise appese al cordone argenteo, ma al tempo stesso poté sentire la propria debolezza che cresceva a mano a mano che l’avversario lo incalzava e lo martellava con l’oscurità generata dalle sue mani distorte. All’improvviso però Alastyr urlò, un suono mentale che echeggiò nella luce azzurra, e prese a volare di qua e di là come una rondine a caccia di insetti su un campo: sotto di lui, il cordone argenteo pendeva tronco. Qualcuno aveva ucciso il corpo fisico di Alastyr, e Nevyn poteva supporre soltanto che fosse stata Jill, o forse addirittura Blaen.

Non c’era però il tempo di indulgere nello shock di quell’inatteso aiuto. Il simulacro di Alastyr si stava infrangendo, rivelando il doppione eterico azzurro racchiuso in esso. Mentre il maestro oscuro lottava contro l’inevitabile disgregamento, Nevyn costruì una porta di accesso alle Terre Interiori costituita da due pilastri, uno bianco e uno nero, che racchiudevano un vuoto color indaco. Non appena la struttura fu stabile lanciò una scarica di luce che sospinse Alastyr al di là di essa, affrettandosi poi a seguirlo. Anche se aveva perso la prima battaglia il nemico era tutt’altro che sconfitto, e Nevyn lo sapeva.

Si gettò quindi oltre la porta all’inseguimento del maestro oscuro in fuga ed entrambi saettarono, si librarono e precipitarono lungo il sentiero, sospinti come brandelli di pergamena da un livido vento indaco; intorno a loro echeggiavano voci… risa, urla e frammenti di parole trascinati via dalla marea indaco… e immagini di volti, di bestie e di stelle, che vorticavano e li percuotevano come uno stormo di uccelli impazziti. Nevyn scagliò davanti a sé ondate di luce, percuotendo e trapassando Alastyr fino a quando gli ultimi frammenti della tunica nera si strapparono e fluttuarono via, lacerati da buchi che si aprivano nel vuoto. Intanto il vento continuò a sospingerli in avanti e alla fine li proiettò in un bagliore di luce violetta, dove un fiume scorreva molto più in basso, pieno di un’acqua inconsistente e mutevole che non era mai stata conosciuta da nessun fiume terrestre e che nessun uomo aveva mai assaggiato. Lì regnava il silenzio, il vento non esisteva e intorno di stendevano campi di fiori… o almeno di forme simili a fiori… inconsistenti, bianchi e letali.

Sconvolto, il doppione eterico di Alastyr fluttuò di qua e di là, cercando ora non più la vittoria ma la fuga. La Landa della Luna in cui stavano combattendo era la porta di accesso a molti altri mondi, la Landa Verde dello stesso Nevyn, quella Arancione che era il mondo della forma, la dimora lucente dei Grandi; da lì si accedeva anche alla sfera vera e propria del dweomer oscuro, al Buio dell’Oscurità, alla Terra dell’Esteriorità e dell’Apparenza. Se Alastyr fosse riuscito a fuggire lì, la sua anima avrebbe continuato a vivere, compiendo malvagità per eoni, e Nevyn poteva già vederlo mentre era impegnato a tentare di aprire una porta, agitando le mani e recitando a precipizio le parole del rito. Una lancia di luce raggiunse il maestro oscuro e lo scagliò verso l’alto proprio mentre il primo pilastro cominciava a formarsi, poi frantumò la porta in parte eretta.

Ululando, Alastyr cercò di fuggire, ma Nevyn scese in picchiata e gli riversò addosso una pioggia di luce infuocata per intrappolarlo: con una mano il Maestro dell’Aethyr scagliò una lancia di luce dopo l’altra fino a formare una sorta di gabbia dorata intorno al nemico, che si scagliò contro le sbarre lucenti e le morse in preda al panico. Reso impotente l’avversario, Nevyn procedette a costruire un’altra porta, questa volta dotata dei dorati pilastri del sole, in mezzo alla quale si allargava l’azzurro limpido di un cielo estivo.

— Non è mio il giudizio! — gridò Nevyn. — È vostro!

Attraverso i pilastri passò veloce un’enorme e mutevole lancia di luce che si abbatté su Alastyr con tanta violenza da infrangere il suo doppione eterico in un migliaio di miseri brandelli. Ci fu uno stridio, poi il pianto di un bambino piccolo. Per un momento Nevyn vide quel bambino simile alla tremolante luce di una candela, un neonato urlante che aveva gli occhi furiosi di Alastyr, poi la luce aumentò e avviluppò la minuscola forma, trascinandola oltre il portale e lungo il sentiero che portava alla Sala della Luce, dove sarebbe stata giudicata.

— È fatta! — gridò Nevyn. — È finita!

Tre possenti colpi simili a scoppi di tuono echeggiarono nella luce violetta, mentre in basso i fiori bianchissimi dondolavano le corolle, annuendo. Inginocchiandosi, Nevyn piegò il capo in un gesto che non era di adorazione ma di fedeltà, poi lasciò dissolvere il portale. In preda allo sfinimento, sentì il cordone argenteo che lo tirava verso il suo corpo, che giaceva ad una grande distanza e al tempo stesso vicinissimo.

Sarcyn estrasse la daga dal cuore di Alastyr e la pulì sul volto del maestro morto.

— Vendetta — sussurrò. — Il suo sapore è dolce come il miele.

In fretta si alzò e corse in cucina, arrivando appena in tempo per vedere il bracciante che fuggiva a precipizio dalla porta posteriore. Lo lasciò andare, perché non c’era tempo da sprecare inseguendo qualcuno che sapeva così poco su di loro. Camdel giaceva ancora sulla paglia vicino al focolare, e quando Sarcyn gli si inginocchiò accanto si ritrasse piagnucolando sommessamente alla vista del coltello.

— Non intendo ucciderti, piccolo uomo — affermò Sarcyn, riponendo l’arma. — Ti voglio liberare, perché dobbiamo andare via in fretta.

Camdel gemette e Sarcyn esitò, trattenuto da un sentimento che non riusciva del tutto a comprendere: di certo il giovane nobile sarebbe andato incontro ad una vita miserevole, indipendentemente dal piacere che avrebbe potuto trarre dai tormenti inflittigli dal suo padrone.

— Ah, dannazione! — imprecò improvvisamente. — Dopo tutto finirai per rivedere il tuo dannato padre.

Dandosi dello stolto per aver ceduto al primo impulso di compassione che avesse avvertito da anni, Sarcyn si alzò in piedi e afferrò le sacche da sella che contenevano i libri di Alastyr.

— Addio, piccolo uomo — disse.

Camdel diede sfogo all’agonia del sollievo con due sottili rivoli di lacrime che gli scivolarono lungo le guance, mentre Sarcyn correva fuori della stanza ed usciva nel cortile, dove il suo cavallo era in attesa, sellato e pronto. Dopo aver riposto i preziosi libri nelle sacche della sella, montò e si allontanò in fretta, abbandonando la strada principale e addentrandosi fra le colline… fin da quando si erano trasferiti alla fattoria aveva cominciato a progettare vie di fuga. Aveva percorso appena mezzo chilometro allorché sentì un tintinnare di finimenti che segnalava l’arrivo degli uomini del gwerbret: in fretta, scese di sella e tenne chiusa la bocca del cavallo a mano a mano che il tintinnio si faceva più forte per poi oltrepassarlo e svanire lentamente in lontananza.

— Ecco sistemato quell’idiota — sussurrò, risalendo a cavallo.

Sapeva però che il pericolo era tutt’altro che cessato. Una volta che avesse saputo del fato di Alastyr la Confraternita avrebbe mandato degli assassini a cercarlo e lui avrebbe dovuto fuggire di continuo, nascondendosi sempre e spostandosi senza sosta mentre studiava i libri e cresceva sempre più nel potere. Forse sarebbe riuscito a sfuggire ai Falchi abbastanza lungo da acquisire il potere necessario a salvargli la vita. Forse. Quella era la sola speranza che aveva.


Non appena Nevyn entrò in trance, Jill si allontanò un poco fra gli alberi, mentre Rhodry rimaneva accanto al corpo del vecchio. Intorno, la luce della luna splendeva pallida sul ruscello e trasformava le bianche betulle in alberi spettrali; nel silenzio pervaso di dweomer Jill era acutamente conscia del rumore del proprio respiro nel tenere lo sguardo fisso su Nevyn, talmente immobile da destare in lei l’impulso costante di inginocchiarglisi accanto per vedere se era ancora vivo. All’improvviso ci fu un suono alle sue spalle e lei si girò di scatto, sollevando la spada.

— È soltanto un coniglio — la tranquillizzò Rhodry.

Sapendo che lui era capace di vedere al buio, Jill tornò a girarsi e fissò lo sguardo sulla cresta della collina alla ricerca delle tracce di movimento che avrebbero indicato la presenza di nemici che avanzavano nel buio. All’improvviso Nevyn gemette e Jill si mosse verso di lui nel momento stesso in cui il vecchio si rovesciava bruscamente su un fianco. Con il vago e confuso timore che fosse stato avvelenato, Jill gli si inginocchiò vicino mentre lui si sollevava a sedere per poi buttarsi da un lato… ma sempre con gli occhi serrati e il respiro lento e calmo. Il vecchio sferrò poi un calcio che mancò di poco Rhodry e assunse una posizione prona, strisciando sul terreno con movimenti simili a quelli di un granchio che lo portarono a mezzo metro di distanza. Allorché la sua testa rischiò di sbattere contro un sasso, Jill si decise ad afferrarlo per le spalle nel tentativo di immobilizzarlo, ma la forza indotta dalla trance nel corpo del vecchio risultò essere eccessiva per lei e Nevyn si liberò facilmente dalla sua stretta tornando poi a buttarsi da un lato. Imprecando, Rhodry si gettò in avanti per dare una mano a Jill.

Per quella che parve una grottesca eternità i due lottarono con il corpo di Nevyn, che continuava a contorcersi, a sussultare e ad agitare le braccia; una volta, un pugno raggiunse in pieno Rhodry alla mascella, ma pur imprecando con maggior vigore il giovane non allentò la stretta. Entrambi erano così impegnati nello sforzo di trattenere il vecchio che Jill poté soltanto pregare la Dea che tenesse lontano gli eventuali nemici che potevano esserci nelle vicinanze. Finalmente, Nevyn si accasciò, e la ragazza lo vide sorridere alla luce della luna; la sua bocca si mosse come se lui stesse parlando, poi il vecchio giacque del tutto immobile.

— Oh, dèi! — gemette Jill. — Sta per morire?

In quel momento Nevyn aprì gli occhi e le sorrise.

— Che cosa ho fatto? — domandò. — Mi sono agitato?

— Come un pesce sulla riva di un fiume — confermò Rhodry, abbandonando la presa.

— Di tanto in tanto succede, quando si è in trance — spiegò il vecchio, sollevandosi a sedere e guardandosi intorno con espressione un po’ stordita. — È stato uno di voi ad uccidere il corpo di Alastyr?

— No — rispose Jill. — Siamo sempre rimasti con te.

— Allora Blaen deve essere già arrivato alla fattoria. Non ho tempo di spiegarvi nulla… dobbiamo affrettarci.

Tuttavia, essi arrivarono alla fattoria contemporaneamente a Blaen e alla banda di guerra. Alla testa dei suoi uomini, il gwerbret trottò verso di loro e nel grigio chiarore dell’alba la sua espressione risultò profondamente irritata.

— Siano ringraziati tutti gli dèi — scattò il gwerbret. — Abbiamo setacciato le colline per trovarvi.

— Devo delle scuse a Vostra Grazia — replicò Nevyn, — ma la battaglia non è ancora finita.


Camdel sentì i cavalli che entravano nel cortile della fattoria e ogni muscolo del suo corpo s’irrigidì spasmodicamente per il panico quando si rese conto che non sarebbe morto di fame ma sarebbe stato salvato. Con un gemito, si sollevò sulle ginocchia facendo tintinnare la catena che gli bloccava le caviglie e che era appena abbastanza lunga da permettergli di muovere qualche passo. Sul tavolo di cucina era posato un lungo coltello con cui si sarebbe potuto tagliare la gola o i polsi, se soltanto fosse riuscito a raggiungerlo: voleva morire, desiderava con bramosia quell’unica cosa che avrebbe potuto cancellare la sua vergogna e fargli dimenticare le orribili verità su se stesso che Sarcyn gli aveva fatto scoprire.

La catena gli permise di arrivare fino al tavolo, ma il coltello era all’estremità opposta, a quasi due metri di distanza. Protendendosi in avanti, Camdel si allungò il più possibile ma per quanto si sforzasse riuscì a stento a sfiorare l’impugnatura con la punta delle dita. Dall’esterno gli giunse un suono di voci, fra le quali lui ne riconobbe due: quella del Gwerbret Blaen e quella di Lord Rhodry di Aberwyn, venuti a vedere che ne fosse stato dell’incaricato del Bagno del Re. Con uno sforzo che gli fece dolere le spalle Camdel arrivò a toccare il coltello, riuscendo a stento a chiudere due dita a pinza intorno ad esso, ma quando cominciò a tirarlo verso di sé la mano indolenzita ebbe una contrazione involontaria e gettò l’arma sul pavimento, dove essa rimbalzò contro lo spigolo della base del camino e andò a cadere fuori della sua portata.

Singhiozzando, con il respiro ansante, Camdel si lasciò scivolare giù dal tavolo e si raggomitolò sulla paglia. Perché Sarcyn non lo aveva ucciso? Forse il suo padrone aveva capito che lui voleva morire e lo aveva lasciato in vita per infliggergli il tormento estremo.

Blaen ti impiccherà, si disse, perché hai derubato il re.

Disperatamente, si aggrappò a quell’unico conforto, e cioè che presto sarebbe penzolato da una corda sulla piazza del mercato di Dun Hiraedd. Intanto le voci che risuonavano all’esterno si fecero più vicine.

— Prego soltanto che troviamo Camdel ancora vivo — stava dicendo Blaen, che indubbiamente non voleva rinunciare al piacere di impiccarlo.

— Lo spero anch’io — replicò una voce sconosciuta. — Avverto però Vostra Grazia che potrebbe aver perso la ragione.

— Ah, povero ragazzo! — Il tono di Blaen esprimeva una profonda pietà. — Comunque, sulla base di quanto mi hai detto, nessuno può ritenerlo responsabile di quanto ha fatto.

Camdel sollevò la testa di scatto: Blaen non aveva intenzione di impiccarlo. Era stato perdonato e adesso avrebbe dovuto convivere fino alla fine dei suoi giorni con ciò che sapeva di se stesso. Cedendo alla disperazione, cominciò ad urlare senza posa, dondolandosi violentemente sulla persona; vagamente, sentì degli uomini gridare e un rumore di passi in corsa, ma continuò ad urlare fino a quando qualcuno gli si inginocchiò davanti e lo afferrò per le spalle. Sollevando lo sguardo, Camdel vide davanti a sé il volto di Blaen, che esprimeva al tempo stesso orrore e pietà.

— Uccidimi — balbettò. — Per l’amore di ogni dio, ti imploro di uccidermi.

La bocca di Blaen si contrasse, ma lui non riuscì a parlare. Un vecchio dai folti capelli bianchi e dai penetranti occhi azzurri si affrettò ad inginocchiarsi accanto al gwerbret.

— Guardami, Camdel — disse. — Io sono un guaritore e ti aiuterò. Basta che tu mi guardi.

La sua voce era così gentile che Camdel obbedì. Gli occhi azzurri parvero ingrandire fino a riempire il suo mondo, come se lui stesse guardando in un lago limpido, e quando il vecchio gli posò una mano sul braccio lui si sentì scorrere nel sangue un senso di calore così rilassante e confortevole che i suoi muscoli cessarono di contrarsi.

— Più tardi parleremo di quello che ti è successo, ma per ora non c’è bisogno che tu lo ricordi.

Di colpo Camdel si sentì ubriaco, uno stato di ubriachezza gradevole ed euforica.

— Stai già dimenticando, vero, ragazzo? Certo che è così. Ora sai soltanto che sei molto malato e che noi ti aiuteremo.

Camdel si limitò ad annuire, pensando che la sua lunga malattia lo aveva lasciato febbricitante e confuso, poi afferrò la mano del vecchio e pianse di gratitudine per essere stato salvato.

Non appena vide in quali condizioni si trovava Camdel, Rhodry si affrettò a lasciare la cucina, perché era convinto che il giovane lord fosse impazzito, che la sua mente fosse stata fatta a pezzi e i pezzi dispersi per sempre. La morte in battaglia era una cosa che poteva affrontare con serenità, ma questo? Sentendosi profondamente nauseato, tornò lentamente verso la porta principale della casa, dove erano di guardia un paio di uomini di Blaen.

— Lo hanno trovato, mio signore? — domandò Comyn.

— Non mi chiamare mai più così.

— Chiedo scusa, daga d’argento.

— Benissimo. Lo hanno trovato, e non è uno spettacolo piacevole.

Comyn rabbrividì.

— Ho mandato qualcuno dei ragazzi a perquisire i terreni della fattoria — disse poi, — nel caso che ci sia qualcuno nascosto in giro.

— Buona idea. Hai già fatto perquisire anche la casa?

— Nessuno ci vuole entrare, ed io non posso ordinare ad un uomo di fare qualcosa di cui io stesso ho paura.

— Ma hai ai tuoi ordini una daga d’argento. Mi offro volontario: è sempre meglio che lasciare che sia Blaen a farlo, andando incontro a chissà quale rischio causato dal dweomer.

Comyn esitò, poi porse a Rhodry il suo scudo.

— Non possiamo sapere cosa troverai là dentro, giusto?

— Infatti — convenne il giovane, assestandosi lo scudo sul braccio sinistro. — Ti ringrazio.

Estrasse quindi la spada mentre Comyn spalancava la porta con un calcio. La fattoria era grande, con un diametro di circa venti metri, e come la maggior parte delle case di quel tipo era divisa come una torta in piccole camere a forma di cuneo separate fra loro da partizioni di vimini. Innanzitutto Rhodry entrò in quello che era stato una sorta di salotto, arredato con due seggi di legno, una cassapanca intagliata posta sotto una finestra e uno scaffale di legno su cui erano esibiti con orgoglio tre piatti di terracotta dipinti. Il pavimento era coperto da uno strato di polvere tanto fitto che nell’ attraversare la stanza lui lasciò una serie di impronte.

Entrambe le pareti presentavano aperture chiuse da coperte; sapendo che quella alla sua destra lo avrebbe condotto nella cucina dove si trovava Camdel, Rhodry decise di andare a sinistra e si avvicinò all’apertura con cautela, muovendo poi di scatto la spada per tirare via la coperta: quando essa si afflosciò al suolo il giovane vide una camera da letto con il pavimento coperto da uno strato di paglia fresca e un paio di pagliericci imbottiti di fieno. Nell’attraversarla scorse parecchi rotoli di coperte e sacche da sella, il tutto sparso in giro come se qualcuno avesse frugato di recente in mezzo a quegli oggetti. Sebbene l’equipaggiamento avesse un aspetto del tutto normale, Rhodry evitò di toccarlo, perché per quel che ne sapeva poteva essere intriso di strane magie.

La coperta stesa sull’apertura successiva era raccolta da un lato. Sbirciando nel locale, molto più grande degli altri due, Rhodry vide che conteneva due aratri, vecchi finimenti per cavalli e qualche pezzo di mobilio rotto; seduto accanto alla porta che si apriva nella parete opposta c’era un cadavere grigio e gonfio, vestito con abiti da contadino e con un’ascia da taglialegna stretta in entrambe le mani. Vedendolo, Rhodry suppose che il contadino avesse tentato di difendersi quando il dweomer oscuro lo aveva aggredito e ucciso.

— Bene, vecchio — disse, entrando nella stanza. — Penseremo noi a darti una sepoltura adeguata.

Il cadavere sollevò la testa e lo fissò. Rhodry lanciò un urlo e rimase per un momento paralizzato dallo stupore, mentre il corpo si alzava in piedi barcollando: anche se i suoi occhi erano spenti e vacui, esso sollevò l’ascia e avanzò con passo incerto verso il giovane, come se potesse vederlo. Reprimendo a fatica un conato di vomito, Rhodry sollevò lo scudo e si spostò di lato in risposta ad un colpo maldestro che lo mancò di parecchio; quando poi la cosa si girò verso di lui il giovane schivò la sua goffa parata e rispose con un fendente che la raggiunse in pieno alla gola: ci fu un fiotto di un liquido scuro dall’odore acre, ma il cadavere si limitò a sollevare con calma l’ascia per farsi nuovamente avanti.

La folle risata berserker affiorò sulle labbra di Rhodry mentre lui si spostava ed eseguiva un affondo che trapassò il cadavere all’altezza dell’ascella. Sebbene il liquido fetido prendesse a uscire anche dalla nuova ferita, la cosa avanzò e rispose al colpo… e quando intercettò l’ascia con lo scudo Rhodry sentì il legno che si crepava: quell’innaturale guerriero era molto forte. La sua risata si trasformò in un ululato che accompagnò un fendente ben diretto, che tranciò quasi in due il braccio destro del cadavere. Limitandosi a trasferire il peso dell’ascia nella mano sinistra, la cosa rinnovò i suoi attacchi; scattando di lato, Rhodry cercò di aggirarla e la trafisse alla schiena, ma essa si girò con canna per continuare a incalzarlo.

In lontananza, si udirono voci che gridavano e che si facevano sempre più vicine, ma Rhodry non si lasciò distrarre e si concentrò sull’ascia che il cadavere stava ora dondolando di qua e di là quasi volesse abbattere l’avversario come avrebbe fatto con un albero. Schivando, Rhodry intercettò un colpo con lo scudo e lacerò anche il braccio sinistro della cosa, senza però riuscire a fermarla. Ostacolato nei movimenti dagli oggetti sparsi nella stanza, il giovane perse l’equilibrio e scivolò: l’ascia gli passò sibilando ad appena un paio di centimetri dalla testa e lui si rialzò di scatto con una risata sempre più stridula, imprimendo tutta la sua forza berserker al colpo successivo. La sua spada affondò in profondità e raggiunse la cosa alla base del collo, fracassando l’osso.

Con la testa che pendeva da un lato, trattenuta soltanto da una striscia di pelle e di muscolo, il cadavere tornò all’attacco con un fendente che raggiunse in pieno lo scudo di Rhodry: il legno e il cuoio si spezzarono di netto e metà dello scudo cadde a terra. Costretto sulla difensiva, Rhodry continuò a spostarsi e ad abbassarsi mirando sempre al braccio sinistro della cosa, che alla fine lasciò cadere l’ascia ma persistette nell’avanzare contro di lui. In fretta, il giovane balzò all’indietro, perché gli sembrava che essere toccato da quelle dita fredde e viscide sarebbe stato peggio di un colpo d’ascia. Disperatamente, squarciò il ventre del cadavere, ma dalla ferita non fuoriuscì nulla ed esso non cessò d’incalzarlo.

— Fermati, in nome del Maestro dell’Aethyr!

Il corpo devastato e gocciolante si arrestò immediatamente. Mentre Nevyn entrava nella stanza, Rhodry gettò al suolo la spada e quanto restava dello scudo e crollò in ginocchio, vomitando senza badare a chi poteva vederlo. Sentì altre voci a mano a mano che un numero sempre maggiore di persone si accalcava nella stanza, poi Comyn gli si inginocchiò accanto proprio mentre lui si puliva la bocca su una manica.

— Stai bene, daga d’argento? — chiese. — Per il Signore dell’Inferno, che cos’era quell’essere?

— Che io sia dannato se lo so, ma in vita mia non sono mai stato tanto grato del prestito di uno scudo.

Nel rialzarsi sentì Nevyn cantilenare qualcosa in una strana lingua: quando il vecchio ebbe finito il cadavere piegò le ginocchia e si adagiò al suolo, più che accasciarsi. Nevyn batté quindi tre volte un piede per terra e Rhodry vide alcuni esseri del Popolo Fatato, brutti e deformi, che danzavano sul cadavere prima di svanire.

— Dopo quanto è successo Rhodry, ragazzo mio — affermò quindi il maestro del dweomer, — è meglio che tu chieda consiglio a me prima di andare a curiosare in posti strani.

— Hai la mia parola d’onore al riguardo.

Tuttavia, la cosa più orribile di tutte lo stava ancora aspettando al varco. Avvicinatosi all’apertura dell’ultima camera, Nevyn tirò giù la coperta rivelando un minuscolo ambiente privo di finestre: ad una parete era appeso un panno di velluto nero ricamato con una stella a cinque punte rovesciata e altri simboli che Rhodry non seppe riconoscere e l’atmosfera della camera puzzava di incenso e di un odore simile a quello del pesce.

Steso per terra al centro della stanza c’era il corpo di un uomo robusto dai capelli grigi, con le braccia allargate e dal comune aspetto di un nativo di Cerrmor. Qualcuno doveva averlo odiato, perché l’uomo era stato pugnalato al petto così tante volte che doveva essere morto da tempo quando gli era stato inferto l’ultimo colpo. Di per sé la vista del cadavere significò poco per Rhodry, ma la camera nel complesso ebbe il potere di terrorizzarlo al punto che quando Nevyn vi si addentrò lui fu assalito dal desiderio di urlargli di restarne fuori, costringendosi poi a seguirlo soltanto perché era certo che il vecchio potesse avere bisogno di protezione in quella penombra dove sembrava che si muovessero cose silenziose che s’intravedevano appena.

— Ebbene, Alastyr — commentò Nevyn, urtando il cadavere con la punta di uno stivale, — finalmente c’incontriamo fisicamente. Sei stato dannatamente astuto, perché non ricordo di averti mai visto prima. Questo — aggiunse, lanciando un’occhiata a Rhodry, — è l’uomo che ti voleva morto e che si è celato dietro Loddlaen nella guerra dell’estate scorsa.

Rhodry fissò il suo vecchio nemico più con stupore che con rabbia: dal momento che si era immaginato il maestro del dweomer oscuro come una sorta di mostro con sembianze umane, era adesso alquanto deluso di scoprire che aveva un aspetto del tutto normale. La stanza era però decisamente mostruosa e il suo irrazionale terrore continuò a crescere fino a quando Nevyn gli pose una mano sulla spalla con fare rassicurante.

— Qui non ci sono più pericoli — garantì il vecchio. — È il sangue elfico che hai nelle vene a renderti così sensibile.

— Davvero?

— Davvero. Vedi, questa è la camera in cui Alastyr operava la sua immonda perversione del dweomer. Oh, dèi, povero Camdel!

— Lo hanno costretto a guardare o qualcosa del genere?

— Guardare? Hah! Lo hanno usato per i riti: quel ragazzo è stato più volte violentato in questa stanza.

— Oh, dannazione! — imprecò Rhodry, cercando di negare ciò che stava sentendo. — Ma come si può violentare un uomo?

— Non fingere un’ingenuità che un uomo allevato a corte non può avere… sai benissimo cosa intendo. E mentre lo facevano lo hanno ferito perché il suo sangue nutrisse i loro spiriti deformi.

Se avesse avuto ancora qualcosa nello stomaco, Rhodry avrebbe vomitato di nuovo.

— Blaen ed io abbiamo intenzione di dire al re che Camdel è morto — proseguì Nevyn, scrutandolo con espressione pensosa. — Il tuo onore ti permetterà di mantenere il nostro segreto?

Rhodry lasciò vagare lo sguardo per la camera, chiedendosi come dovesse apparire ad un uomo gettato sul pavimento.

— Forse Camdel era un ladro — disse infine, — ma per quanto mi riguarda non ho una sola dannata parola da aggiungere in merito.


Nevyn aiutò Blaen a issare Camdel su uno dei cavalli che erano stati trovati nelle stalle: anche se barcollava in sella come un ubriaco, il giovane lord era abbastanza cosciente da essere in grado di cavalcare. Più tardi, Nevyn avrebbe rimosso l’incantesimo… molto più tardi, quando un’altra persona dotata di dweomer lo avesse raggiunto per aiutarlo a risanare la mente del giovane.

— Dimmi, buon mago — chiese infine Blaen, — sei certo di non correre rischi a rimanere qui da solo?

— Assolutamente certo, e del resto il lavoro che devo fare non richiederà molto tempo, per cui dovrei essere di ritorno alla fortezza più o meno per il pasto di mezzogiorno.

— Sono sicuro che tu conosca meglio di me i tuoi affari, e non voglio neppure sapere quali essi siano.

Mentre la banda di guerra montava in sella, Nevyn ne approfittò per scambiare qualche parola con Jill, che stava sbadigliando sulla sella.

— Dopo il vostro arrivo, Camdel dormirà per qualche ora. Posso chiederti di restargli vicino quando si sveglierà?

— Ma certo. Non deve restare solo, perché potrebbe ricordare qualcosa di quello che ha passato.

Nevyn sentì il cuore che gli doleva: se soltanto quella piccola stupida si fosse resa conto delle sue capacità, sarebbe potuta diventare un’ottima guaritrice! Sapeva però che non avrebbe mai potuto costringerla a imboccare il suo Wyrd. Rimase in attesa finché la banda di guerra fu scomparsa alla vista, sbadigliando sotto il sole tiepido del mattino… anche la sua innaturale vitalità aveva dei limiti. Con una smorfia, il vecchio pensò che quella sera avrebbe potuto godere della prima notte di sonno ininterrotta da circa cinquant’anni a quella parte, poi rientrò nella casa.

Gli uomini di Blaen avevano già seppellito Alastyr e ciò che rimaneva del cadavere del contadino sulle colline, quindi Nevyn andò dritto nella camera dei riti, dove strappò dalla parete il panno di velluto nero, gettandolo nel camino perché il Popolo Fatato del Fuoco provvedesse a distruggerlo. Mentre il panno bruciava fumando e crepitando, il vecchio frugò intorno fino a trovare in una piccola anfora la scorta di sale del contadino e prese anche un paio di schegge di legno da usare per trasferire il fuoco dal camino ad una candela… dal momento che non aveva incenso il semplice fumo sarebbe dovuto bastare.

Allorché fece ritorno nella camera l’atmosfera che regnava in essa parve già meno opprimente per la semplice eliminazione dei simboli blasfemi dalla parete. Nevyn avrebbe voluto procedere subito alla purificazione, ma la stanza custodiva ancora dei segreti che sarebbero andati perduti una volta che lui avesse concluso la sua opera. Sedutosi a gambe incrociate davanti alla chiazza marrone del sangue di Alastyr, posò da un lato il sale e le schegge di legno, poi rallentò la propria respirazione fino a mettere la mente perfettamente a fuoco e costruì l’immagine di una stella a sei punte che ben presto brillò come l’intreccio di due triangoli, uno rosso e uno azzurro. Lentamente, spinse infine l’immagine fuori della sua mente finché essa parve librarsi di fronte a lui.

Al centro dell’esagono visualizzò allora l’immagine del cadavere di Alastyr così come lo aveva visto all’alba, quindi mandò la propria mente a ritroso nel tempo, limitandosi in un primo tempo ad immaginare la stanza come doveva essere apparsa alla luce delle candele. Dal momento che l’assassinio era una cosa tanto recente, la vera visione rimpiazzò entro pochi secondi quella creata dalla sua immaginazione e in essa lui vide il biondo apprendista inginocchiato di guardia accanto alla testa del suo maestro. L’uomo contrasse la bocca in un piccolo e terrificante sorriso quando Alastyr prese a contorcersi e ad agitarsi nello stato di trance, poi portò la mano alla cintura ed estrasse la daga. Per un istante esitò, quasi stesse assaporando quel momento, poi conficcò l’arma nel cuore dell’uomo impotente, colpendo più e più volte. Dal momento che non aveva nessun interesse a contare i colpi, Nevyn interruppe la visione e riassorbì la stella dentro di sé.

— Quindi è stato questo l’aiuto inatteso che ho ricevuto, vero? E deve essere stato quell’uomo a prendere i libri e gli altri oggetti rituali di Alastyr, sempre supponendo che lui ne avesse con sé.

Gli esseri del Popolo Fatato accoccolati negli angoli annuirono all’unisono per indicare che in effetti Alastyr aveva viaggiato portando con sé tutta la consueta attrezzatura di un maestro oscuro. Quegli spiriti avevano un aspetto miserevole, erano tutti distorti e deformati dalle manipolazioni di Alastyr.

— Ma ha lasciato qui il panno. Aveva fretta perché noi stavamo arrivando?

Di nuovo, le creature annuirono.

— È stato per questo che non ha ucciso Camdel?

Questa volta ci fu un gesto unanime di diniego, poi uno gnomo nero dalle zanne sporgenti si distese a terra fingendo di avere paura e un altro si avvicinò a lui con la mano dotata di artigli sollevata come se stringesse un pugnale, miniando l’atto di inginocchiarsi, di riporre il coltello e di battere un colpetto gentile sulla spalla dell’altro gnomo.

— Per gli inferni! Volete dire che ha avuto compassione di Camdel?

Gli esseri annuirono solennemente.

— Non lo avrei mai pensato. Huh… ecco, amici miei, questi non sono affari vostri e presto sarete liberi da quelle forme orribili. Aiutatemi ad eseguire la purificazione, poi potrete tornare dai vostri sovrani.

Gli esseri presero a saltellare e Nevyn avvertì la loro gioia che si riversava su di lui concreta come un’onda d’acqua.


— È sveglio? — chiese Rhodry.

— Più o meno — rispose Jill, in tono dubbioso. — È difficile dirlo.

Avanzando nella stanza, Rhodry si costrinse a guardare Camdel, che giaceva sul letto a torso nudo: il giovane nobile era sporco, segnato da lividi, e aveva qua e là sottili ferite coperte da uno strato di crosta. Quando infine aprì gli occhi, Camdel sollevò lo sguardo con cautela, quasi si aspettasse che Rhodry gli infliggesse altre cicatrici.

— Vuoi qualcosa da mangiare? — gli domandò Jill.

— No — sussurrò Camdel. — Acqua?

Per tutto il tempo che Jill impiegò a riempire un boccale da una brocca d’acqua, Camdel continuò a fissare Rhodry con occhi dilatati dal timore.

— Oh, suvvia, non ti ricordi di avermi visto a corte? Sono Rhodry Maelwaedd, il fratello minore del Gwerbret di Aberwyn.

A quelle parole un accenno di sorriso tremolò sulla bocca di Camdel, che si sollevò a sedere e prese il boccale che Jill gli porgeva, tenendolo con entrambe le mani e guardandosi intorno mentre beveva a piccoli sorsi. Il tardo sole pomeridiano entrava dalle finestre con i suoi raggi inclinati, e il pulviscolo danzava nell’aria intrappolato in quel chiarore dorato, una vista che strappò a Camdel un sorriso soddisfatto quanto quello di un bambino. Con un senso di repulsione, Rhodry distolse lo sguardo… cosa sarebbe successo se i maestri oscuri si fossero impadroniti di Jill? Avrebbero fatto anche a lei qualcosa del genere? In cuor suo, Rhodry giurò solennemente che se mai fosse stato in suo potere liberare il mondo da qualche maestro oscuro lui avrebbe rischiato la propria vita, se necessario, pur di schiacciarlo come un insetto.

— Rhoddo, vuoi chiamare un paggio? — gli chiese Jill. — Voglio che porti dell’acqua in modo che Camdel possa fare un bagno.

— Un bagno? — ripeté Camdel, con voce da ubriaco. — Mi piacerebbe.

Rhodry fu grato di lasciare la camera, perché anche se non aveva nulla contro Camdel non riusciva a sopportare la sua vista.

Dopo aver riferito l’ordine al paggio andò a raggiungere Blaen al tavolo d’onore. Naturalmente suo cugino era come al solito intento a bere sidro e per la prima volta nella sua vita Rhodry decise di cercare di mantenere il suo ritmo, trangugiando un sorso lungo e abbondante mentre Blaen lo osservava con un accenno di sorriso.

— Fa bene — commentò poi il gwerbret. — Cancella molte cose.

— Infatti. Hai sentito cosa…

— Cosa è successo a Camdel? Sì.

Rhodry bevve un altro sorso di sidro e nessuno dei due pronunciò un’altra parola per ore.


Fra le colline sul lato occidentale del Cwm Pecl, Sarcyn stava conducendo a mano il cavallo stanco lungo uno stretto sentiero che si snodava in una macchia di pini. Era fuggito verso ovest alla cieca, cercando un luogo isolato dove potersi nascondere per un giorno o due, ma era poi giunto alla conclusione che avrebbe fatto meglio a mantenersi in movimento, perché tanto gli uomini del gwerbret quanto… cosa ancora peggiore… il Maestro dell’Aethyr dovevano certo essere sulle sue tracce. Adesso però era talmente sfinito che si chiese se non sarebbe stato meglio lasciare che il gwerbret lo impiccasse piuttosto che cadere nelle mani della Confraternita Oscura, che gli avrebbe fatto desiderare la morte per settimane prima di ucciderlo.

— Ma ho i libri — sussurrò ad alta voce. — Un giorno avrò il potere necessario per affrontarli.

Il tramonto era ormai prossimo quando trovò una valle con un corso d’acqua ed erba abbondante per il cavallo. Accampatosi, raccolse un po’ di legna secca sul pendio boscoso della collina ed accese un piccolo fuoco, ignorando la fame che gli faceva borbottare lo stomaco: quel giorno aveva già consumato un pasto e aveva bisogno di razionare le sue scarse provviste. Per qualche tempo rimase a fissare il fuoco, riflettendo sui suoi piani. Sparse per il regno c’erano alcune persone che gli avrebbero potuto dare rifugio almeno per alcuni giorni, e del resto non poteva permettersi di trascorrere più di pochi giorni in ciascun luogo, anche se aveva bisogno di tempo per studiare i libri di Alastyr. All’improvviso si sentì troppo stanco per pensare… notevolmente stanco e addirittura confuso, come avrebbe compreso in seguito.

Raggomitolatosi sulle coperte, si addormentò accanto al fuoco, svegliandosi di soprassalto parecchio tempo dopo nel sentire delle mani che gli toccavano le spalle. Con un grido di allarme prese a lottare, scalciando e contorcendosi, ma una corda di cuoio gli scivolò intorno ai polsi mentre un uomo gli si gettava di traverso sulle ginocchia, immobilizzandolo. Alla luce del fuoco morente, Sarcyn poté vedere che i suoi assalitori erano due uomini del Bardek dalla pelle chiara e abbigliati secondo lo stile di Deverry. Uno di essi finì di legargli strettamente i polsi e l’altro fece lo stesso con le caviglie sebbene lui continuasse a divincolarsi, poi i due uomini si alzarono e rimasero a contemplare la loro preda, distesa ansante sul terreno.

— E così, piccolo uomo — commentò uno dei due, — hai assassinato il tuo maestro, giusto?

Sarcyn s’irrigidì per il terrore, e un senso di gelo gli si diffuse lungo la schiena.

— Vedo che hai capito chi siamo — proseguì il sicario, — e che sei caduto nelle mani dei Falchi della Confraternita. Il Vecchio ci ha incaricati di seguire Alastyr per tenerlo d’occhio e così noi abbiamo osservato ogni vostra mossa, piccolo uomo, ma mai avremmo pensato di assistere ad un assassinio.

— Scommetto che il Vecchio sospettava qualcosa del genere — osservò il secondo uomo. — Non rivela mai a nessuno i suoi pensieri.

— Può darsi — convenne il primo sicario, sferrando un duro calcio alla testa di Sarcyn. — Ma tu pagherai, piccolo uomo, e molto lentamente, dopo aver detto ai maestri tutto quello che sai.

Sebbene il mondo stesse tremando intorno a lui a causa del colpo ricevuto, Sarcyn si morse con forza un labbro e si trattenne dal gridare; la paura lo stava facendo tremare, ma giurò solennemente a se stesso che per quanto lo avessero torturato non avrebbe mai detto loro nulla, perché sapeva che se anche avesse obbedito non avrebbe ricevuto comunque misericordia. Mentre i Falchi andavano a recuperare i loro cavalli nascosti da qualche parte fra gli alberi, lui si ritrasse in se stesso e si aggrappò alla propria forza di volontà, perché la capacità di concentrarla e di usarla per controllarsi era la sola cosa che gli rimanesse. A poco a poco costrinse la paura ad abbandonarlo e smise di tremare, giacendo passivo al suolo come un daino preso in una rete, con lo sguardo fisso sul fuoco.


Nevyn tornò verso mezzogiorno, ma Jill non ebbe modo di parlargli fino al tramonto perché il vecchio si occupò di Camdel per tutto il pomeriggio, lavando e curando le sue svariate ferite e dando conforto alla sua mente. Dopo cena, l’uomo del dweomer ordinò ad un paggio di accompagnare Jill nella sua stanza, dove gli ultimi raggi di sole si riversavano attraverso la finestra, e la ragazza sedette su una cassapanca mentre lui continuava a passeggiare avanti e indietro con irrequietezza.

— Come sta Camdel? — domandò infine Jill.

— Grazie agli dèi è profondamente addormentato. Mi sono fatto raccontare qualcosa di quello che gli è successo ma dopo ho badato che lui non ricordasse nulla. Ora come ora è troppo debole per affrontare i ricordi.

— Non ne dubito. Ma perché hanno… ecco, perché lo hanno usato in quel modo?

Nevyn piegò la testa da un lato e la scrutò in modo strano e astuto.

— In realtà non dovrei dirtelo — rispose poi, — e del resto pensavo che tutto questo parlare di dweomer ti disturbasse.

— Oh, Nevyn, non mi stuzzicare! Sai bene che ciò che mi disturba è la curiosità!

— Infatti lo so — replicò lui, con un sorriso. — Molto bene, allora. Quando due persone hanno un rapporto sessuale liberano una certa quantità di una sostanza chiamata effluente magnetico. So che non hai idea di cosa sia e non intendo fornire ulteriori spiegazioni a qualcuno che non è abbastanza preparato a riceverle, quindi accetta sulla fiducia quello che ti dico. Questo effluente ha molte strane proprietà, ma è fondamentalmente una sorta di essenza vitale, ed è presente anche nel sangue. Un maestro oscuro è addestrato ad assorbirlo e a usarlo per restaurare la propria vitalità… quindi quando il suo apprendista abusava di Camdel, Alastyr praticamente si nutriva della loro passione.

Jill si sentì profondamente nauseata.

— È disgustoso, vero? — commentò Nevyn. — Questi discorsi però mi rammentano che l’apprendista… Sarcyn, questo è il suo nome secondo Camdel… è fuggito, e che quindi tu e Rhodry dovrete stare molto attenti quando partirete.

— In effetti è una cosa su cui ho rimuginato per tutto il giorno.

— Io ho intenzione di dargli la caccia, altrimenti avrei insistito perché rimaneste presso Blaen, indipendentemente dalla vergogna che Rhodry può provare al riguardo. Ora come ora, però, Sarcyn è indebolito e presto si dovrà guardare da nemici peggiori di me, perché quando sarà informata dell’assassinio di Alastyr la sua Oscura Confraternita manderà dei sicari a cercarlo. Immagino quindi che sarà troppo occupato per pensare alla vendetta, ma è meglio che stiate comunque in guardia, perché lui ha del vantaggio su di me e naturalmente io non posso cercarlo con una visione perché non l’ho mai visto in carne ed ossa.

Non appena l’idea le affiorò in mente, Jill la trovò ovvia, tranne che per il fatto che non sapeva dove avesse acquisito quel genere di cognizioni. Per un momento rimase perfettamente immobile, analizzando la sua idea e sentendo nascere dentro di sé la paura, non soltanto di Sarcyn ma dell’uso freddo e deliberato del dweomer, in quanto sapeva che se avesse avanzato la sua proposta avrebbe mosso il primo passo su una strada molto strana. Ma era davvero soltanto il primo? Alquanto perplesso dal suo atteggiamento, Nevyn rimase a fissarla fino a quando lei non giunse ad una decisione.

— Io l’ho visto in carne ed ossa — disse. — Puoi evocare la visione tramite me, giusto? Non so perché ne sono tanto sicura, ma sono convinta che puoi usarmi come un paio di occhi.

— Per tutti gli inferni, hai ragione, ma sei certa di essere disposta a permettermelo? Per farlo dovrò assumere il controllo della tua volontà.

— È ovvio che intendo permettertelo. Ormai dovresti sapere che ti affiderei anche la mia vita.

Faticando a trattenere l’impulso di piangere, Nevyn si affrettò a volgerle le spalle per asciugarsi gli occhi con la manica, mentre lei si chiedeva con sconcerto perché mai la sua buona opinione potesse avere tanta importanza per un uomo dotato di simili poteri.

— Ti ringrazio — disse infine Nevyn. — Non appena mi sarò fatto portare un po’ di legna da un servo accenderemo il fuoco.

Quando il fuoco cominciò ad ardere in maniera soddisfacente fuori il crepuscolo stava ormai cedendo il posto ad un buio vellutato. Nevyn fece sedere Jill su una sedia davanti ad esso e si mise alle sue spalle… pur essendo spaventata, la ragazza avvertiva insieme alla paura anche quel genere di esaltazione che si provava di solito prima di una battaglia. Nevyn le posò le mani sul collo, nel punto in cui la colonna vertebrale incontra il cranio, e il normale calore iniziale delle sue dita andò aumentando a poco a poco, dando l’impressione di diffondersi in tutte le vene del corpo di lei, per poi raggiungerle anche la faccia e la mente, accentrandosi in ultimo fra gli occhi con una strana sensazione, come di torsione.

— Guarda nel fuoco, bambina, e pensa a Sarcyn.

Non appena obbedì, Jill lo vide, addormentato vicino ad un fuoco da campo in una regione collinosa. Inizialmente l’immagine fu piccola, poi ingrandì fino ad occupare dapprima tutto il focolare e poi la sua mente, al punto di darle l’impressione di librarsi sulla scena come le succedeva sempre in un sogno vero. Mentre fluttuava al di sopra della valle vide due uomini lasciare il cavallo fra gli alberi e avanzare di soppiatto verso l’ignaro dormiente con mosse lente e silenziose, sgusciando fra gli alberi come donnole. Anche se appena un minuto prima aveva provato soltanto odio per Sarcyn, Jill si sentì improvvisamente terrorizzata per lui.

Nella trance che accompagnava la visione cercò di gridare e di svegliarlo, ma non emise nessun suono; scese allora in picchiata verso il basso e lo afferrò per le spalle, ma il suo tocco incorporeo non fu sufficiente a svegliarlo. Nel momento in cui i due uomini si lanciarono su di lui Jill saettò via e si arrestò dalla parte opposta del fuoco, guardando i due Falchi legare e deridere il prigioniero. D’un tratto, la voce di Nevyn le echeggiò nella mente.

— Ora torna indietro! Se dovessero guardare dalla tua parte con la seconda vista, quegli uomini hanno il potere di vederti! Pensa a me, bambina, e torna nella stanza.

Jill immaginò la faccia del vecchio e la stanza, e di colpo si trovò con gli occhi aperti e lo sguardo fisso sul fuoco. Nevyn non la stava più toccando, e lei si stiracchiò per dissipare uno strano senso di irrigidimento.

— Non avrei mai immaginato che stessero seguendo Alastyr in quel modo — commentò Nevyn. — Devo agire in fretta, se voglio liberare il nostro apprendista da questa trappola.

— Cosa? Perché lo vuoi salvare, dopo tutte le cose ignobili che ha fatto?

— Sta’ certa che pagherà per quei crimini, ma lo farà secondo la legge.

— Ma è il porco più disgustoso che io abbia mai…

Nevyn sollevò la mano per imporle il silenzio.

— Perché non scendi nella grande sala dal tuo Rhodry? — disse. — Io devo riflettere intensamente.


Non appena Jill se ne fu andata, Nevyn riprese a passeggiare con irrequietezza, meditando sul da farsi. Era deciso a salvare Sarcyn dai Falchi più nell’interesse del regno che dell’apprendista stesso, perché se Sarcyn fosse morto urlando e imprecando sotto le torture l’odio e il dolore avrebbero pervaso la sua vita successiva, trasformandolo in una distorta minaccia per chiunque gli fosse stato vicino.

— Ammesso che si riesca a salvarlo, comunque — commentò, rivolto al grasso gnomo giallo che si stava crogiolando vicino al fuoco. — Senza dubbio sono diretti nel Bardek, e mi chiedo come faranno a caricarlo di nascosto su una nave… probabilmente useranno una grossa cassa o qualcosa del genere.

Lo gnomo si grattò il ventre con aria pensosa, mentre Nevyn prendeva in considerazione l’idea di chiedere a Blaen di mandare la sua banda di guerra a dare la caccia a quei due. Essi avevano però un notevole vantaggio e inoltre erano addestrati nell’uso del dweomer, il che avrebbe permesso loro di vedere a distanza gli inseguitori e di evitarli.

Però potrei andare anch’io con la banda di guerra, si disse, sempre che si riesca a raggiungerli.

D’altro canto, i Falchi sarebbero stati costretti a procedere con lentezza nell’attraversare le montagne…

Le montagne. D’un tratto Nevyn ridacchiò fra sé, poi si inginocchiò davanti al fuoco per contattare il solo maestro del dweomer che poteva adesso essergli di aiuto.


Dopo essersi presi cura dei cavalli i Falchi tornarono vicino al fuoco da campo. Restando disteso immobile, Sarcyn seguì con attenzione la loro conversazione fino a quando fu riuscito a capire i loro nomi: quello più alto, con gli occhi fra il giallo e il castano che tradivano una percentuale di sangue anamura nelle sue vene, si chiamava Dekanny mentre l’altro, che pareva avere il comando della spedizione, rispondeva al nome di Karlupo. Una volta che ebbero mangiato, Dekanny s’inginocchiò accanto a Sarcyn e gli afferrò i polsi legati fino a costringerlo ad allungare le braccia al di sopra della testa, poi gli tirò su la camicia in modo tale che gli coprisse il volto impedendogli di vedere. Per tutto il tempo Sarcyn rimase immobile, facendo appello alla propria volontà e ascoltando il Falco che fischiettava fra sé nell’armeggiare vicino al fuoco. Infine Dekanny tornò verso di lui.

— Ho in mano una daga — disse, — e l’ho arroventata.

Sarcyn si preparò all’inevitabile attingendo ad ogni grammo della sua volontà. Ridacchiando come una ragazzina, Dekanny gli posò la lama arroventata contro il capezzolo destro, ma nonostante il dolore lancinante che parve arrivargli fino al cuore, lui riuscì a non emettere un suono.

— Ora sto girando la lama, piccolo uomo.

Il dolore gli aggredì il capezzolo sinistro e lui dovette lottare per soffocare l’urlo che gli gorgogliava in gola. D’un tratto, sentì gli intestini che gli si svuotavano spontaneamente.

— Che fetore! Meriti che ti giri e ti marchi anche il posteriore!

— No, non lo farai! — scattò Karlupo, fermo lì vicino. — Hai fatto abbastanza per una notte. Quando arriveremo a casa il prigioniero dovrà essere ancora in condizioni decenti perché i maestri vorranno che resista il più a lungo possibile.

— Ah, ma potrà guarire sulla nave.

— Ho detto che così è sufficiente.

Il mondo prese a vorticare intorno a Sarcyn, che perse i sensi. Tornò in sé nel cuore della notte, trovandosi ancora disteso nei propri escrementi; inoltre i due Falchi gli avevano riabbassato la camicia e adesso la stoffa ruvida gli irritava le ustioni, dalle quali filtrava un liquido di qualche tipo. Prima di svenire ancora rimase sveglio a lungo, lottando per trattenersi dal gemere. Il mattino successivo lo svegliarono con un calcio e lo issarono a sedere, poi Karlupo gli portò una ciotola piena del porridge d’orzo che aveva preparato per colazione.

— Ti slegherò le mani perché tu possa mangiare — disse. — Se però causerai il minimo problema Dekanny avrà modo di divertirsi a tue spese prima che partiamo.

Sarcyn girò la testa da un lato: era deciso a non mangiare e a indebolirsi, in modo da morire più in fretta sotto la tortura.

— Mangerai — scattò Karlupo.

Allorché lui insistette nel suo rifiuto, i due gli si inginocchiarono accanto e Dekanny lo costrinse a tenere la bocca aperta mentre Karlupo versava in essa una cucchiaiata di porridge, che Sarcyn fu costretto a inghiottire istintivamente per non soffocare. I due lo obbligarono a mangiare in quel modo l’intera ciotola, un’umiliazione che gli bruciò quanto le ferite.

Una volta che furono a cavallo, però, il dolore prese il sopravvento, perché il movimento dell’animale faceva sì che la camicia sfregasse sulle ustioni; sotto il sole caldo ben presto il sudore andò ad aggiungere altra sofferenza a quella causata dalla frizione finché Sarcyn non riuscì più a pensare ad altro che a morire per liberarsi da quei tormenti. Verso mezzogiorno i polsi legati cominciarono a gonfiarsi, provocando il lento affondare dei lacci di cuoio nella carne, e quando si fermarono per il pasto di mezzogiorno Sarcyn si rese conto di sentire dolore anche al labbro inferiore, che aveva morso a sangue nella sua lotta contro la sofferenza.

— Hai intenzione di mangiare, piccolo uomo? — chiese Karlupo. — Oppure vuoi che ci pensiamo noi di nuovo?

— Mangerò.

Karlupo gli slegò le mani e gli rimase accanto con la spada sguainata mentre lui mangiava un po’ di carne secca e gallette; quando ebbe finito rimontarono a cavallo e l’agonia ricominciò.

Ormai si erano addentrati di parecchio nelle montagne e stavano seguendo uno stretto sentiero che si snodava fra massi enormi; di tanto in tanto guadavano un vorticoso ruscello o superavano la cresta di un’altura crepata e sgretolata, ma Sarcyn quasi non si accorse di ciò che lo circondava, perché adesso un nuovo disagio era insorto ad aumentare le sue sofferenze: cavalcare tutto il giorno con indosso i calzoni umidi e sporchi gli aveva escoriato il posteriore e le cosce. Dopo qualche tempo, Dekanny rimase indietro per affiancarglisi.

— Presto ci accamperemo ed io avrò di nuovo qualche minuto per giocare con te — disse. — Voglio che sia tu a scegliere… posso premere la lama arroventata sotto le tue ascelle o alla base della schiena, naturalmente due volte. Stanotte mi dirai quale alternativa preferisci.

Con quelle parole il Falco tirò le redini per restare ulteriormente indietro e porsi alla retroguardia, lasciando l’avanguardia a Karlupo, mentre Sarcyn prendeva a tremare in maniera incontrollabile perché sapeva esattamente quali fossero le intenzioni di Dekanny. Se non avesse scelto, lui avrebbe naturalmente subito entrambe le torture, ma scegliere sarebbe equivalso a muovere il primo passo nel collaborare con i suoi tormentatori: volevano che cominciasse a perdere volontà e a collaborare alla propria sofferenza, fino all’insorgere di una sorta di spaventosa e quasi sessuale complicità fra chi subiva il dolore e chi lo infliggeva.

— Dekanny! — gridò. — Non intendo scegliere.

Dietro di lui echeggiò per sola risposta una risatina eccitata e quasi femminea. Il gruppo si addentrò quindi in una gola rocciosa sovrastata da arbusti e da cespugli, e nel guardare per un momento verso l’alto Sarcyn ebbe l’impressione che uno di quei cespugli si fosse trasformato in una faccia. Subito si affrettò a distogliere lo sguardo, sapendo che se fosse scivolato nel delirio avrebbe perso la volontà di resistere; per reagire si concentrò sulla propria respirazione e cercò di allontanare la mente dalla consapevolezza del suo corpo pulsante e dolente, mentre le ombre si facevano sempre più profonde e la notte si avvicinava inesorabile.

Due ore prima del tramonto si accamparono in una valle tanto stretta da essere quasi soltanto una fenditura fra due colline. Seduto a terra, Sarcyn osservò ogni movimento di Dekanny mentre i due Falchi approntavano il campo e davano ai cavalli razioni extra di avena per compensare la mancanza di erba. Presto, molto presto, avrebbe sentito ancora la lama rovente, per quattro volte.

— Prima lascia che mangi — avvertì Karlupo, — perché non riuscirà a ingoiare niente una volta che avrai finito con lui.

— Benissimo. Gli permetterò anche di riposare fra un marchio e l’altro.

Sarcyn si morse il labbro sanguinante e fissò il terreno come se questo potesse permettergli di ridurre il mondo intero ad un mucchietto di rocce… ma all’improvviso sentì Dekanny urlare. Sollevando lo sguardo, vide il Falco barcollare con una freccia piantata nella spalla sinistra, mentre nella valle si riversava uno sciame di uomini alti al massimo un metro e mezzo ma di struttura massiccia e armati come guerrieri. Le loro lunghe asce sibilarono con efficienza una, due, tre volte e Karlupo giacque morto con la testa staccata dalle spalle ed entrambe le gambe troncate all’altezza del ginocchio. Dekanny tentò allora di fuggire, ma una grande ascia colpì dal basso e gli si piantò in profondità nell’inguine: il Falco cadde al suolo urlando e subito gli venne tagliata la gola con una lama tanto affilata da richiedere una pressione minima.

Scambiandosi sorrisi soddisfatti, i piccoli guerrieri si radunarono per dare un’occhiata ai due cadaveri, e soltanto allora Sarcyn si rese conto che nessuno di loro aveva emesso il minimo suono durante l’impari scontro.

Uno di essi avanzò quindi verso di lui sfilandosi l’elmo: il guerriero aveva un volto segnato e abbronzato circondato da una folta barba grigia e sovrastato da sopracciglia cespugliose.

— Tu parli parlare di Deverry?

— Sì.

— Bene. Io parlo parlare di Deverry. Non bene bene, ma parlo. Altri parlano bene bene, dentro. Parla allora. Io Jori. Tu alzi in piedi?

— Non so se posso. Senti, buon Jori, non capisco… chi siete?

— Popolo della montagna. Non temere, ragazzo. Noi salviamo. Tu salvo.

Sarcyn accasciò la testa in avanti e scoppiò a piangere come un bambino mentre Jori tagliava i lacci che gli legavano le mani con una minuscola daga.

Fu necessario l’intervento di parecchi nani per issare nuovamente Sarcyn in sella, poi essi presero le altre cavalcature e si avviarono a piedi, conducendo con loro l’apprendista. Anche se stava cercando vagamente di capire perché quelle persone lo avessero salvato, Sarcyn dovette usare la maggior parte della sua volontà e della sua attenzione semplicemente per restare in sella. Infine, mentre ormai il crepuscolo iniziava a spegnersi, il gruppo entrò in una stretta valle e puntò dritto verso un’altura: allorché furono più vicini Sarcyn udì un suono stridente.

— Oh, per gli dèi!

Una porta enorme si stava aprendo nella superficie dell’altura, e quando la raggiunsero il vasto battente era ormai spalancato. Jori guidò il gruppo in un’alta galleria squadrata e altri uomini vennero loro incontro, portando delle lanterne ed esprimendosi in una lingua ignota. Guardandosi alle spalle, Sarcyn vide che la porta si stava richiudendo lentamente dietro di lui e la vista della striscia di luce crepuscolare che si assottigliava sempre più gli diede le vertigini. Improvvisamente parecchie mani si protesero ad afferrarlo per adagiarlo delicatamente a terra, poi il volto di Jori si chinò su di lui.

— Prendiamo lettiga. Trasportiamo.

Sarcyn avrebbe voluto ringraziarlo, ma l’oscurità vorticante lo avviluppò.

Quando si svegliò era disteso su uno stretto pagliericcio in una stanza immersa nel buio totale. La sua prima reazione fu di panico perché non si scorgevano né una fessura di luce né le diverse gradazioni di oscurità riscontrabili in una camera durante la notte, poi a poco a poco si rese conto di essere pulito e nudo sotto una morbida coperta e che le ustioni pulsavano in maniera minima… anche il labbro spaccato era stato cosparso con un unguento dall’odore gradevole.

Qualche minuto più tardi la porta si aprì con un fiotto di luce, e nella stanza entrò un uomo che era alto all’incirca un metro e mezzo e che portava una lanterna.

— Il Popolo Fatato ci ha avvertiti che eri sveglio — disse. — Te la senti di mangiare?

— Credo di sì.

L’uomo posò la lanterna su un piccolo tavolo vicino alla porta, poi uscì chiudendosi il battente alle spalle, e Sarcyn sentì il rumore di una pesante sbarra che veniva abbassata all’esterno: dunque era un prigioniero, anche se veniva trattato con riguardo. Pur misurando appena tre metri di lato ed essendo intagliata nella roccia della montagna, la stanza non era infatti di certo una cella. Il pavimento era coperto da un folto tappeto rosso, e oltre al pagliericcio e al tavolo l’arredo comprendeva anche una sedia squadrata con lo schienale alto e il sedile coperto da un cuscino che appariva assai comoda… per qualcuno con le gambe molto corte; accanto alla porta, discretamente coperto da un panno, c’era un pitale, e vicino ad esso erano posati i suoi vestiti, lavati, asciugati e accuratamente piegati.

Muovendosi lentamente perché la testa gli girava ancora, Sarcyn si alzò e si vestì, senza restare sorpreso nel constatare la mancanza della sua spada. Aveva quasi finito quando il nano tornò con un vassoio di legno su cui erano posate due ciotole.

— Ti piacciono i funghi?

— Sì.

— Bene — commentò il nano, posando il vassoio sul tavolo. — Tutti i mobili sono un po’ piccoli per te, vero? Del resto, non rimarrai qui a lungo.

— Puoi dirmi dove andrò?

Il nano fece una pausa, riflettendo con il capo inclinato da un lato, poi scrollò le spalle e si accostò alla porta, aprendola di una frazione in modo che Sarcyn potesse vedere i due uomini armati di guardia davanti ad essa.

— Il Maestro dell’Aethyr sta venendo a prenderti — disse quindi.

Pronunciate quelle parole oltrepassò la soglia e chiuse di scatto il pesante battente nel momento stesso in cui Sarcyn si scagliava in avanti più per un cieco terrore che in un razionale tentativo di fuggire, andando a sbattere contro di esso. Per un momento, rimase appoggiato alla porta con le braccia allargate, ascoltando il suono della sbarra che veniva calata al suo posto, poi scoppiò in silenziosi singhiozzi. Ritrovato infine il controllo, si staccò dalla porta e prese a passeggiare con irrequietezza per la stanza. In alto, vicino al soffitto, era visibile un’apertura che doveva servire per la ventilazione, ma misurava appena trenta centimetri quadrati ed era troppo piccola perché lui vi si potesse insinuare. Forse avrebbe potuto fingere di stare male per poi sopraffare il suo guardiano… ma sarebbero rimaste comunque le guardie; oppure avrebbe potuto ritrarre la sua aura e sgusciare fuori… ma a patto che i nani aprissero ancora la porta prima dell’arrivo di Nevyn. O ancora avrebbe potuto evocare il Popolo Fatato perché creasse un diversivo, arrivando magari a convincere una di quelle creature a sollevare la sbarra.

Poi un pensiero lo trafisse come una freccia, inducendolo ad arrestarsi di colpo: non voleva fuggire. Sedutosi lentamente per terra accanto al piccolo tavolo, rifletté su quel pensiero, ottenendo però la stessa risposta: non aveva nessun desiderio di essere libero. Era stanco, esausto nel profondo dell’anima, troppo spossato per fuggire, e se anche ci fosse riuscito avrebbe poi dovuto continuare sempre a scappare da Nevyn, dalla legge, dai Falchi, dal terrore dei suoi stessi ricordi… correre senza posa, continuando a mentire e a stare in guardia.

— In vero, un daino in una riserva di caccia ha una vita più serena — commentò ad alta voce, accompagnando le parole con un sorrisetto distorto.

Sarebbe morto. Indubbiamente Nevyn lo avrebbe consegnato al gwerbret e sarebbe stato ucciso, ma naturalmente era sempre meglio che finire nelle mani dei Falchi: nel peggiore dei casi gli avrebbero rotto le ossa sulla ruota, ma lui aveva sentito parlare di Blaen quanto bastava per sapere che molto probabilmente gli avrebbe inflitto una pietosa impiccagione. Pensandoci, avvertì anche una sorta di perverso piacere nel rendersi conto che tutte le informazioni cruciali che aveva raccolto sarebbero morte con lui… adesso il Vecchio non avrebbe mai saputo del sangue misto di Rhodry. Allorché quel pensiero lo indusse a sorridere si rese conto di aver odiato il Vecchio per anni, di averli odiati tutti, ogni maestro oscuro, ogni apprendista e ogni Falco che aveva conosciuto… li aveva odiati come loro dovevano aver odiato lui. Bene, adesso si sarebbe liberato di loro.

Sollevò le mani, aspettandosi di vederle tremare, ma esse erano assolutamente salde: voleva morire… improvvisamente comprese che la sua inevitabile morte non sarebbe stata un’esecuzione ma un suicidio assistito. Per anni si era sentito come la vuota farsa di un uomo e adesso la falsa e sottile facciata che aveva presentato al mondo si sarebbe sgretolata per essere inghiottita dal vuoto che esisteva dentro di lui, e la lunga stanchezza sarebbe svanita. Sorrise di nuovo, e nel farlo si sentì avviluppare da un caldo senso di calma, come se stesse galleggiando in una vasca di acqua tiepida e profumata o fluttuando a qualche centimetro dal pavimento, tanto si sentiva leggero, tranquillo e sicuro ora che aveva deciso di morire. Nessuno lo avrebbe più costretto ad andare contro la sua volontà, nessuno gli avrebbe più fatto del male. Continuando a sorridere, tirò verso di sé il vassoio con il cibo, perché si sentiva assolutamente calmo e molto affamato.

Quando ebbe finito di mangiare, la calma si era ormai trasformata in una stanchezza tanto profonda da rendergli difficile continuare a tenere la testa sollevata, quindi si distese prono, appoggiò il capo sulle braccia ripiegate e rimase ad osservare le ombre proiettate dalla lanterna sul pavimento, fluttuando a tratti fuori del corpo per poi rientrarvi in un continuo ondeggiare fra il piano eterico e quello fisico che non era causato da nessuno sforzo cosciente. Era fuori del corpo quando infine la porta della cella si aprì e Nevyn entrò a grandi passi, accompagnato dal nano che era già venuto a portargli il cibo. Pur non avendo mai visto il vecchio prima di allora, Sarcyn comprese subito di avere di fronte il Maestro dell’Aethyr perché la sua aura era di un accecante bagliore dorato.

— Per tutti i vermi! — scattò il nano. — È morto?

— Ne dubito — rispose Nevyn, inginocchiandosi accanto al corpo di Sarcyn e posandogli una mano sulla base del collo. — No, ma è in trance.

D’un tratto Sarcyn sentì la luce azzurra vorticare intorno a lui, poi il suo corpo prese a risucchiarlo dentro di sé nonostante i suoi tentativi di resistere, tirandolo lungo il cordone argenteo fino a quando si sentì un sibilo seguito da uno scatto. Con un grugnito aprì gli occhi e vide Nevyn chino su di lui.

— Bene — commentò il nano. — Sarò qui fuori, se avrai bisogno di me.

Sarcyn continuò a fissare il pavimento finché non sentì la porta che si richiudeva, poi girò molto lentamente il capo per guardare il suo avversario. Gli sembrava di dover dire qualcosa, magari parole di sfida o una semplice affermazione di essere pronto a morire, addirittura impaziente, ma di nuovo si sentì molto stanco e non riuscì ad aprire bocca, mentre Nevyn si limitava a fissarlo per quello che parve un tempo molto lungo.

— Ero venuto qui con la speranza di parlare di riparazione — affermò infine il vecchio, — ma ora mi pare che sia troppo tardi per questo.

Con un sospiro si rialzò e si diresse verso la porta; dietro di lui, Sarcyn si addormentò prima ancora che avesse aperto il battente.


Sebbene Nevyn avesse insistito di essere capace di prelevare e di riportare indietro da solo un pericoloso prigioniero, Jill e Rhodry non gli avevano permesso di farlo, ma adesso cominciavano a capire perché il vecchio fosse stato così irremovibile nel rifiutare la scorta degli uomini di Blaen, mentre sedevano in silenzio su una lunga panca di pietra addossata alla parete di un’enorme caverna, intenti a guardare il mercato della città dei nani. La caverna aveva un diametro di almeno cento metri ed una volta alta il doppio, da cui piovevano i raggi di sole che fornivano l’illuminazione; di fronte al punto in cui loro si trovavano, un rivolo d’acqua scaturiva dalla roccia e si raccoglieva in un bacino artificiale, a cui di tanto in tanto qualche nano veniva ad attingere un secchio d’acqua per qualche scopo domestico, mentre nel centro della caverna un centinaio circa di membri del popolo della montagna era intento a commerciare e a contrattare. La maggior parte della merce in vendita erano viveri esibiti su rozzi panni: funghi, pipistrelli, radici coltivate furtivamente sulla superficie, cacciagione abbattuta con altrettanta cautela.

— Questa gente conduce una vita dura — osservò Jill.

— Huh. La vita che si meritano.

— Oh, suvvia, amore, cerca di prendere la cosa con filosofia.

Rhodry si limitò ad accigliarsi. Jill sapeva che dentro di sé lui stava ancora ribollendo per il fatto che i nani avevano individuato il suo sangue elfico alla prima occhiata e avevano deciso all’istante che lui era un ladro. Soltanto l’intervento di Nevyn aveva impedito che Rhodry fosse costretto ad aspettare fuori delle grotte e anche adesso sebbene di tanto in tanto qualche nano si avvicinasse a scambiare con lei qualche parola cortese il giovane veniva ignorato del tutto, come se fosse stato un lupo o un altro animale pericoloso di sua proprietà.

— Adesso capisco perché Otho il gioielliere è stato tanto scortese con te — osservò la ragazza.

— Vorrei soltanto essere stato a mia volta più scortese.

Jill gli batté un colpetto su un braccio in un gesto che voleva essere consolatorio. In quel momento si avvicinò loro una donna minuscola, alta non più di novanta centimetri, che portava un rozzo abito marrone lungo fino alle caviglie e che teneva un neonato sul fianco, sorretto da una fascia. Non avendo idea di quanto fosse lunga la vita di quella gente o della rapidità con cui arrivava all’età adulta, Jill non riuscì a determinare l’età del piccolo, che però sedeva eretto e si guardava intorno con lo stesso interesse che avrebbe potuto avere un bambino umano di circa un anno.

— Ah — disse la donna, — tu devi essere la ragazza che è venuta qui con il maestro dell’Aethyr.

— Infatti. Il tuo piccolo è un maschio o una femmina?

— Una femmina.

— È davvero un delizioso agnellino.

A quel complimento la piccola emise un versettino soddisfatto. Sebbene avesse la fronte bassa sotto la massa di riccioli neri e il naso largo e carnoso, era così minuscola e al tempo stesso così vitale che Jill desiderò di poterla tenere in braccio.

— Posso domandarti una cosa? — chiese alla donna. — Come mai tanta della vostra gente parla la lingua di Deverry?

— Oh, commerciamo con i contadini che vivono sulle colline. Sono pacifici e mantengono i nostri segreti in cambio di un po’ del nostro argento. Non c’è nulla come il metallo prezioso per farsi degli amici… o degli acerrimi nemici.

Con quell’ultimo commento la donna guardò ostentatamente in direzione di Rhodry e si allontanò vezzeggiando la neonata.

— Per tutti gli dèi, vorrei che Nevyn si spicciasse a tornare! — ringhiò Rhodry.

Il suo desiderio venne esaudito pochi minuti più tardi, allorché l’uomo del dweomer emerse da una galleria laterale sul lato opposto della caverna. Insieme a lui c’era il nano chiamato Larn, che aveva l’incarico di sorvegliare il prigioniero, e nel camminare di due stavano parlando fra loro in toni urgenti.

— Dov’è Sarcyn? — chiese Rhodry, alzandosi in piedi al loro sopraggiungere.

— L’ho lasciato nella cella — rispose Nevyn. — È impazzito, una pazzia totale e incurabile.

— Quel bastardo se lo è meritato.

— Suppongo di sì. Oh, senza dubbio la tua affermazione ha un che di giusto, ma… — Nevyn esitò, poi scrollò le spalle. — Non importa. È pazzo, e questo chiude il discorso.

Jill comprese che l’uomo del dweomer stava nascondendo loro qualcosa, che aveva ragioni personali per desiderare che Sarcyn fosse ancora sano di mente, ma sapeva che Nevyn non le avrebbe mai rivelate se non quando lo avesse ritenuto opportuno.

— Non avrai intenzione di lasciarlo andare, vero, Nevyn? — chiese. — Mi si torcerebbero le budella a vederlo libero.

— Vendicativa come sempre, vero? Ma no, non intendo liberarlo. Anche pazzo è sempre pericoloso come quando era sano di mente, e poi non era certo pazzo quando ha ucciso quel contadino e rapito Camdel. Lo porteremo indietro perché Blaen lo sottoponga a giudizio.

— Perché? — intervenne Larn. — Posso ordinare ad un paio di ragazzi di portarlo fuori e di tagliargli la gola. Risparmierebbe a tutti un sacco di problemi.

— Non spetta a me giudicarlo e ordinare la sua esecuzione. Soltanto la legge può farlo.

— Come preferisci, allora — si arrese il nano, scrollando le spalle. — Lo farò accompagnare qui.

L’immagine di Salamander che fluttuava al di sopra del fuoco esibiva un ampio sorriso, e nell’osservarlo Nevyn desiderò di cuore che almeno una volta nella vita il gerthddyn prendesse qualcosa sul serio.

— Dunque — trasmise mentalmente Salamander, — la testimonianza di Camdel sembra confermare che avevo ragione a proposito dell’oppio.

— Infatti. Voglio che tu ti rechi immediatamente da un certo Lord Gwaldyn, che collabora con il Prevosto del Re e che mi conosce bene. Digli di arrestare questa Anghariad al più presto e di sorvegliarla attentamente, perché scommetto che a corte ci sono molti nobili che cercheranno di avvelenarla per impedirle di parlare troppo.

— Andrò da lui per prima cosa, domattina. Per quanto ancora devo restare a Dun Deverry?

— Fino al mio arrivo. Liddyn il farmacista… credo che tu lo conosca… sta arrivando qui da Dun Cantrae: affiderò a lui Camdel e poi partirò per restituire al re la Grande Gemma dell’Ovest. Ti dispiace aspettarmi là?

— Per nulla. In effetti, chiedendomi di aspettarti mi fai quasi un favore, perché il mio amato e stimato padre vuole che io torni a casa.

— Se ha bisogno di te, posso mandare qualcun altro nella capitale.

— Non ti disturbare, Maestro dell’Aethyr — replicò Salamander, assumendo un atteggiamento artisticamente malinconico. — Posso immaginare con esattezza cosa vuole dirmi: mi vuole rimproverare per il mio modo di vivere poco ortodosso. Ho detto che tornerò in autunno, e sarà anche troppo presto per sentire un’ennesima conferenza composta con estrema cura e riguardante le mie manchevolezze, il tutto eseguito con un’altisonante voce da bardo.

Quando ebbero finito la conversazione Nevyn spense il fuoco, perché la notte estiva era calda, e rimase seduto a fissare i carboni ardenti chiedendosi se ci fosse ancora qualcosa che lui poteva fare per Sarcyn. L’indomani all’alba l’apprendista sarebbe stato impiccato sulla piazza del mercato, e sarebbe morto con la mente confusa e muta quanto quella di un animale quando il contadino alza l’ascia per macellarlo… e in che modo questo avrebbe influenzato la sua vita successiva? Nevyn non aveva modo di saperlo nei dettagli, ma sapeva che il risultato sarebbe stato negativo, in quanto l’anima di Sarcyn sarebbe stata spinta ulteriormente sul sentiero del male. Tuttavia i suoi tentativi di parlargli non erano approdati a nulla, perché nella sua follia Sarcyn era incapace di comprendere concetti complessi come riparazione e libera scelta… e d’altro canto Nevyn si era anche chiesto se l’apprendista sarebbe riuscito comunque a capire quei concetti quando era ancora lucido e se avrebbe davvero scelto di cambiare.

Lui supponeva che probabilmente non lo avrebbe fatto, ma lo rattristava comunque vedere un’anima gettarsi inutilmente nell’oscurità.

Vicino a lui, sulla pietra del focolare, erano posati i tre libri di Alastyr, che gli erano stati consegnati dai nani. Uno di essi era soltanto una copia del Libro Segreto di Cadwallon il Druido; gli altri due, scritti nella lingua del Bardek, erano intitolati La Via del Potere e La Spada del Guerriero, testi che erano per metà pieni di presuntuose stupidaggini e per metà di procedure e di riti effettivamente pericolosi. Raccogliendoli, Nevyn aprì a caso La Spada del Guerriero.

— «Sì, perché tutte le cose saranno dominate dalla Volontà del vero Guerriero, perfino i luoghi segreti dell’Oscurità, perché è una verità ammirevole e recondita che coloro che combattono sotto il Sigillo del…»

Con uno sbuffo sprezzante Nevyn richiuse il libro e lo gettò da un lato.

— Mi chiedo perché quella gente non riesca mai a scrivere decentemente — commentò, rivolto allo gnomo giallo. — Recondita… come no.

Lo gnomo si grattò lo stomaco, poi afferrò una manciata di carbone dal focolare e la sparse sul tappeto, svanendo prima che Nevyn potesse acchiapparlo. Il vecchio stava raccogliendo gli ultimi pezzi di quel piccolo disastro quando bussarono alla porta.

— Sono Jill.

— Entra, bambina, entra.

Lei obbedì e subito richiuse la porta, appoggiandosi con le spalle al battente come se fosse stanca.

— Sono venuta a salutarti. Rhodry ed io partiremo domani.

— Oh, dèi! Così presto?

— Così presto. È a causa del modo in cui Blaen lo tratta… tutta la sua generosità riesce soltanto a far vergognare maggiormente Rhoddo. A volte non capisco proprio queste persone vincolate dall’onore.

— Sono costrette ad arare un campo pieno di sassi. Speravo però che rimaneste almeno finché io avessi finito i miei affari.

— Lo speravo anch’io. Mi mancherai.

— Davvero? — fece Nevyn, sentendo la gola che gli si serrava. — Anche tu mi mancherai, ma adesso potrai sempre raggiungermi attraverso il fuoco.

— È vero — convenne Jill, poi rimase in silenzio tanto a lungo che Nevyn le si avvicinò per scrutarla in viso. — Stavo riflettendo… a volte vorrei essere venuta con te, quando volevi che studiassi l’arte delle erbe, ma adesso è troppo tardi.

— A causa del nostro Rhodry?

Lei annuì, dando l’impressione però di continuare a riflettere su qualcosa.

— Uno di questi giorni però finirò per aspettare un figlio da lui — disse infine, — e allora non potrò più seguirlo. Se tornassi a Dun Gwerbyn per stare con mio padre lui non potrebbe neppure venirmi a trovare a causa dell’esilio, ma che io sia dannata se intendo finire come mia madre, a fare la serva in qualche taverna. Perciò, vedi, mi stavo chiedendo se forse…

— Ma certo, bambina! — la interruppe Nevyn, sentendo la voglia di danzare per la gioia. — Non c’è motivo per cui tu, io e il bambino non ci si possa sistemare da qualche parte dove la gente ha bisogno di un erborista e della sua apprendista.

Il sorriso di sollievo di Jill fu talmente intenso da farla apparire quasi più una bambina che una donna.

— Se non fosse per il cocciuto senso dell’onore di Rhodry potremmo farlo subito — proseguì il vecchio, — ma non riesco a vederlo disposto a coltivare erbe come un contadino.

— Potrebbe farlo… il giorno in cui la luna si tingerà di porpora e cadrà dal cielo.

— Infatti, ma anche così andrà benissimo. Su nelle provincie settentrionali ci sono parecchie città che hanno abbastanza bisogno di un erborista da ignorare il fatto che una daga d’argento sta svernando presso di lui.

Dopo che Jill se ne fu andata, Nevyn rimase a lungo fermo accanto alla finestra, sorridendo fra sé. Finalmente! pensò. Presto il suo Wyrd avrebbe cominciato a districarsi, presto avrebbe potuto avviare Jill al dweomer. Presto. E tuttavia nella sua gioia avvertì anche un freddo avvertimento… nella sua vita legata al dweomer nulla sarebbe mai più stato semplice.

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