CERRMOR ED ELDIDD, 790–797

Sono dunque tutte le cose che accadono nella vita preordinate dagli dèi? Non lo sono, perché molte di esse accadono per puro caso. Badate bene: ogni uomo ha il suo Wyrd e ogni uomo ha la sua fortuna. Il segreto della saggezza consiste nel distinguere l’uno dall’altra.

Dal Libro Segreto di Cadwallon il Druido

UNO

A circa una settimana di cavallo da Aberwyn, su quello che avrebbe potuto benissimo essere il confine occidentale di Eldidd dal momento che nessuno viveva al di là di esso, una fortezza sorgeva sulla sommità di un’altura erbosa che si affacciava sull’oceano. Il muro di pietra, che aveva notevole bisogno di riparazioni, cingeva un ampio cortile dove l’erba faceva capolino fra le giunture dell’acciottolato e al centro del cortile si levava una tozza rocca di pietra circondata da un agglomerato di baracche di legno in mezzo alle quali si ergeva una stretta torre, simile ad una cicogna in mezzo ai polli.

Ogni pomeriggio, Avascaen saliva i centocinquanta gradini a spirale che portavano alla sommità della torre e si serviva di un pesante argano con carrucola per issare su di essa il carico di legna da ardere che intanto i suoi figli avevano approntato dabbasso, procedendo poi ad ammucchiare la legna nell’apposito vano concavo del faro. Al tramonto, accendeva una torcia e dava fuoco al primo mucchio di legna perché non lontano dalla riva il mare era in quella zona costellato di rocce sommerse che dalla sommità del faro erano distinguibili per la scia di spuma bianca che si creava su di esse, ma che erano praticamente invisibili per una nave che stesse dirigendo da quella parte. Qualsiasi capitano che avesse scorto la luce di Cannobaen avrebbe capito che doveva tenersi al largo e restare al sicuro in mare aperto.

Non che negli ultimi anni le navi passate di lì fossero state molte… a causa del protrarsi della guerra per la successione al trono di Deverry, i commerci languivano e c’erano dei momenti, soprattutto quando i freddi venti invernali sibilavano intorno al riparo sulla sommità della torre, in cui Avascaen si chiedeva perché si prendesse il fastidio di tenere il fuoco acceso.

Pensa a come ti sentiresti se una sola nave dovesse affondare, si diceva allora.

Inoltre era stato lo stesso Principe Mael a chiedergli di tenere acceso il faro, prima di partire per quella guerra da cui non era mai tornato.

Adesso Avascaen stava addestrando i suoi due figli, Maryl ed Egamyn, nel mestiere di custode del faro, perché gli succedessero alla sua morte. Maryl, un ragazzo piuttosto stolido, era abbastanza soddisfatto di quel lavoro e della posizione relativamente privilegiata che esso conferiva loro nell’ambito del villaggio di Cannobaen; Egamyn, invece, che aveva appena quattordici anni, borbottava e imprecava di continuo, minacciando di fuggire di casa per entrare a far parte dell’esercito del re, e ogni volta che il ragazzo protestava Avascaen gli assestava una manata sulla testa e gli ordinava di tenere a freno la lingua.

— Il principe ha chiesto a me e alla mia famiglia di accudire il faro — diceva, — e noi lo accudiremo.

— Suvvia, Pa — ribatteva Egamyn. — Scommetto che non rivedrai mai più quel dannato principe.

— Può darsi, ma se dovessi rivederlo lui saprà allora che ho mantenuto il mio impegno. Io sono come un tasso, tengo duro.

Avascaen, sua moglie Scwna e i ragazzi vivevano nella grande sala della rocca, dove cucinavano, dormivano e in genere facevano ogni cosa, perché durante l’inverno i piani superiori venivano tenuti chiusi per risparmiare il calore. Due volte all’anno, Scwna arieggiava ogni stanza, scuoteva via la polvere dai teli che coprivano i mobili e spazzava il pavimento, nell’eventualità che un giorno il principe dovesse tornare. Nel cortile la famiglia aveva piantato un orto ed allevava alcuni polli e qualche maiale, mentre i contadini del vicino villaggio fornivano loro il resto di cui avevano bisogno come parte delle tasse che dovevano pagare per il faro di Cannobaen. Anche la legna da ardere era portata dai contadini, che la prelevavano nella grande foresta primordiale che si allargava a nord e ad ovest.

— Conduciamo una vita piacevole — era solito ripetere Avascaen ad Egamyn, — e tu dovresti ringraziare gli dèi che le cose siano così pacifiche.

Egamyn si limitava però a scuotere il capo con cocciutaggine e a borbottare che le cose erano noiose, non pacifiche, perché a parte i contadini era raro che a Cannobaen si ricevessero visite.

Fu quindi un vero e proprio evento quando un pomeriggio qualcuno si presentò alle porte della rocca. Dal momento che aveva dormito per tutta la mattina, Avascaen stava proprio allora dando inizio alla sua giornata con una passeggiata nel cortile quando vide un cavaliere su un cavallo sauro che risaliva la strada tirandosi dietro due muli carichi di sacchi di tela. Allorché il cavaliere scese di sella, Avascaen si rese conto che si trattava di una donna robusta di mezz’età, che indossava un paio di calzoni sotto il vestito in modo da poter cavalcare come un uomo. I suoi capelli grigi erano fermati sulla nuca secondo lo stile delle donne nubili e i suoi occhi scuri erano pieni di buon umore… ma la cosa più strana erano le sue mani, che avevano uno strano colore fra il marrone e il blu che si stendeva fino ai gomiti.

— Buona giornata a te, buon signore — salutò la donna. — Scommetto che il mio arrivo ti sorprende.

— Ecco, è vero, ma sei comunque la benvenuta — replicò Avascaen. — Come ti chiami?

— Primilla di Abernaudd, buon signore. Sono qui in cerca di piante rare e cose del genere per la corporazione dei tintori di Abernaudd.

— Ma guarda! Allora, vuoi accettare la nostra ospitalità? Ti posso offrire un pasto, se non ti secca consumare una colazione all’ora di cena.

A Primilla la cosa non importava minimamente. Mentre Maryl si occupava del cavallo e dei muli, la donna aggredì con allegria un vassoio di pancetta e una ciotola di porridge d’orzo; la visitatrice possedeva una quantità di preziose notizie relative ad Abernaudd, la città reale di Eldidd, e Scwna ed Egamyn l’ascoltarono con avidità mentre lei parlava di quello che succedeva in città.

— Immagino che non ci siano notizie del Principe Mael, il mio signore — chiese infine Avascaen.

— Ecco, ce ne sono, e si tratta di tristi notizie. Sua moglie è morta per una febbre, poveretta. — Primilla scosse il capo con tristezza. — È stata davvero una cosa triste, che non avesse più modo di rivedere il marito.

Le lacrime salirono a velare gli occhi di Scwna e lo stesso Avascaen si sentì un po’ scosso… quella sembrava una vicenda uscita dalla narrazione di un bardo.

— E si parla di disconoscere il mio principe e di porre il figlio al suo posto? — chiese ancora Avascaen.

— Corrono voci in tal senso. Qual è il tuo parere al riguardo?

— Mael è il principe che io ho giurato di servire, e servirò solo lui. Io sono come un tasso, buona dama, tengo duro.

Primilla sorrise come se trovasse meravigliosa quella manifestazione di fedeltà… e per Avascaen fu un grande sollievo, dopo tutte le derisioni che essa gli era costata. Mentre scrutava gli occhi della donna, astuti e profondi nonostante il suo aspetto gioviale e le guance rosse, si chiese chi fosse in effetti la visitatrice.

Quella notte, quando la luna arrivò allo zenit, Primilla salì ansimando i gradini di pietra della torre per raggiungere Avascaen in cima ad essa. Dopo averlo aiutato a disporre il secondo carico di legna per il faro, si accostò al limitare della torre per dare un’occhiata al panorama: in basso, sotto di loro, la luna piena tracciava sul mare scuro una scia argentea che si stendeva fino all’orizzonte, e nella limpida aria primaverile le stelle sembravano tanto vicine da poter essere toccate allungando una mano.

— Adorabile, vero? — commentò Avascaen. — Pochi però si prendono la briga di venire quassù ad ammirare il panorama, a parte me e i miei ragazzi.

— Devi avere gambe robuste, buon signore, per salire tutti quei dannati gradini.

— Oh, dopo un po’ ci si abitua, davvero.

A mano a mano che il fuoco attecchiva alla legna nuova, il faro ardente proiettò intorno a loro un alone danzante di luce dorata sempre più intensa. Appoggiatasi comodamente al parapetto di pietra, Primilla lasciò vagare lo sguardo sulla spiaggia sottostante, dove i frangenti rotolavano sulla sabbia come spettri argentei.

— Ti chiedo scusa se sono troppo curioso — osservò Avascaen, — ma è una cosa rara vedere una donna che viaggia sola. Non hai paura dei pericoli che si incontrano lungo la strada?

— Oh, se necessario sono in grado di badare a me stessa — replicò Primilla, con una risatina, — e poi da queste parti non ci sono molte persone che potrebbero causarmi problemi. Valeva proprio la pena di viaggiare fin qui, per frugare nelle foreste alla ricerca delle mie piante. Vedi, da tutta la vita lavoro nella corporazione dei tintori, ed ora sono giunta a desiderare di creare colori migliori per la mia corporazione. Al mio ritorno studieremo le erbe da me raccolte e proveremo a tingere qualche pezzo di stoffa, per vedere se il colore stinge nel lavaggio o scolorisce in altro modo. Non si può mai sapere quando si può trovare una piccola fortuna — aggiunse, sollevando le mani macchiate. — Ecco tutta la mia vita, buon signore, disegnata sulla mia pelle.

Dal momento che era fermamente convinto che valesse la pena di faticare per fare le cose per bene, Avascaen non ebbe difficoltà a condividere il suo punto di vista, ma dopo che Primilla fu partita gli capitò per parecchio tempo di ripensare di tanto in tanto a quella donna dalle mani sporche di azzurro e di chiedersi quali fossero state le sue effettive intenzioni.


La città regale di Abernaudd si allargava sulle due rive dell’Elaver circa tre chilometri a monte rispetto alla costa e al porto; dietro le mura di pietra fornite di bastioni le strade lastricate si diramavano su e giù per le colline a terrazze, in cima alla più alta delle quali si levava la fortezza reale, su cui sventolava la bandiera azzurra e argento con lo stemma del drago reale, mentre nelle valli intermedie erano ammucchiate le puzzolenti e ravvicinate abitazioni dei poveri. Ad Abernaudd, la posizione in cui sorgeva la casa di una persona indicava alla lettera quanto fosse elevato il suo rango; come capo della Corporazione dei Tintori, Primilla occupava un’ampia abitazione sulla sommità di una bassa collina, casa che veniva assegnata insieme alla carica da lei ricoperta; nei tre piani della dimora abitavano insieme alla donna i suoi cinque apprendisti, che fungevano anche da servitù per pagarsi l’apprendistato, mentre nel cortile posteriore c’erano le lunghe baracche che ospitavano i laboratori principali della corporazione, dove sotto la personale supervisione di Primilla venivano prodotte le stoffe destinate alla casa reale.

Anche se in effetti durante il suo viaggio aveva trovato rare piante per tinture, Primilla era comunque piuttosto seccata di aver dovuto distogliere parte del suo tempo e della sua attenzione dagli affari della corporazione, ma come sempre il suo dovere verso il dweomer doveva avere la precedenza sul dovere verso i tintori e sarebbe apparso molto sconveniente se lei avesse rifiutato al capo del Consiglio del Trentadue l’aiuto che questi le aveva richiesto. Pur non avendo idea del perché Nevyn fosse tanto interessato alla vicenda di Mael, principe di Aberwyn e di Cannobaen, lei era comunque disposta a ficcanasare un po’ in giro per scoprire cosa stesse accadendo, e adesso che aveva scoperto che Cannobaen era ancora fedele al principe, si poteva concentrare sulla più importante questione della posizione del principe all’interno della corte.

Per sua fortuna, quell’estate aveva a disposizione una quantità di occasioni per accedere a corte, perché il re stava chiedendo alle corporazioni della città prestiti enormi al fine di portare avanti la guerra per la conquista del trono di Deverry; sebbene in genere i nobili avessero un atteggiamento di disprezzo nei confronti dei commercianti, ogni volta che il re aveva bisogno di prestiti ingenti i mercanti e i capi delle corporazioni si trovavano ad essere oggetto delle attenzioni delle persone più in vista della corte. La notte stessa del suo rientro dal viaggio, Primilla tenne quindi la prima di molte riunioni indette dalle corporazioni e dai mercanti per scegliere i rappresentanti da inviare a palazzo per le trattative vere e proprie inerenti ai prestiti, e dal momento che era decisa ad ottenerlo non ebbe difficoltà a farsi assegnare un posto all’interno di quel ristretto consiglio: mentre i mercanti erano pronti a lottare fra loro per accaparrarsi quell’incarico di prestigio, infatti, fra gli artigiani erano in pochi ad essere disposti a sottrarre parte del loro tempo al lavoro per assumerselo.

Finalmente, dopo una settimana di incontri e di trattative, la commissione corporativa di cinque membri, capeggiata da Grothyr il prestatore di denaro, s’incontrò con quattro consiglieri del re in una stretta camera al secondo piano della fortezza reale. Mentre uno scriba appartenente a ciascun gruppo prendeva annotazioni con cura, i nove sedettero intorno ad un lungo tavolo di quercia. Primilla si era aspettata una lunga discussione con proposte e controproposte ma il consigliere capo del re, un uomo grasso e scuro di occhi chiamato Cadlew, annunciò subito in tono piatto che il sovrano aveva bisogno di cinquemila monete d’oro.

— Dèi! — strillò Grothyr. — Ti rendi conto, signore, che le corporazioni andrebbero incontro alla bancarotta se un simile prestito non venisse restituito prontamente?

Cadlew si limitò a sorridere, perché tutti i presenti sapevano che Grothyr stava mentendo. Le trattative ebbero allora inizio sul serio, e Primilla prese a riflettere fra sé sull’entità del prestito richiesto: se aveva bisogno di tanto denaro, il re stava probabilmente progettando una grossa offensiva, il che lasciava presagire molto male per il principe ancora prigioniero a Cerrmor. L’incontro si concluse senza che si giungesse a nulla, come tutti sapevano che sarebbe successo. Mentre i membri delle corporazioni se ne andavano, Primilla invece si trattenne ancora e chiese a Cadlew se fosse disposto a farle visitare i giardini reali.

— Ma certo, buona dama. Senza dubbio ti interesseranno, visto che il tuo lavoro è strettamente connesso all’uso delle piante.

— Hai ragione, e per me è un raro piacere vedere fiori interi, perché il mio lavoro consiste principalmente nel farli a brandelli e nel bollirli.

Con una gradevole risata il consigliere l’accompagnò intorno alla rocca, dove un muretto predisposto soprattutto per tenere lontano i cavalli separava dal resto del cortile un complesso di piccoli prati che s’intrecciavano intorno a vaste aiuole come gemme verdi inserite in fili colorati. Là i due trascorsero un quarto d’ora a parlare degli svariati fiori che li attorniavano prima che Primilla sentisse di poter fare la mossa che aveva in mente.

— Sai — disse, — poco tempo fa ero in viaggio alla ricerca di piante rare nelle vicinanze del confine occidentale e mi è capitato di fermarmi per la notte a Cannobaen… mi riferisco alla dimora di campagna del Principe Mael.

— Ah, ricordano ancora il principe, laggiù?

— Lo ricordano molto bene. Mael ha davvero avuto un triste Wyrd, e non posso fare a meno di pensare che questo prestito significhi che il re ha deciso di abbandonarlo al suo destino.

— Bada di tenere la cosa per te, buona dama, ma… la tua supposizione è esatta. Il nostro signore avrebbe dovuto lasciare che Mael venisse impiccato e farla finita con questa faccenda già da anni, ma la Principessa Maddyan lo ha sempre implorato ed ha curato gli interessi del marito per tutto questo tempo. Dal momento che era stata allevata a corte, il re l’aveva sempre considerata quasi come una figlia.

— Ma adesso la principessa è morta.

— Proprio così.

— E cosa mi dici del figlio di Mael?

— Oh, per senso dell’onore Ogretoryc ha a cuore la sorte di suo padre ma… per gli dèi, lui era soltanto un neonato quando Mael è partito, e per quanto tempo un uomo può continuare a nutrire sentimenti per qualcuno che non ha mai conosciuto?

Soprattutto quando ha la possibilità di ereditarne il posto, pensò Primilla, fra sé, e decise che era tempo di agire in maniera diretta invece di sperare di ricevere altre informazioni da consiglieri poco discreti.

Quella stessa settimana scelse parecchi rocchetti del suo migliore filo azzurro da ricamo e li fece pervenire come dono alla moglie di Ogretoryc, Camlada. Quel suo filo azzurro era sempre molto richiesto, perché soltanto un maestro tintore poteva garantire che l’intero rocchetto avesse tutto la stessa tonalità, una cosa di estrema importanza per gli abiti di corte. Quel dono le fruttò un’udienza presso la dama in questione, fissato per il primo pomeriggio in cui si sarebbe recata a corte.

Un paggio l’accompagnò fino ad una camera sorprendentemente piccola al terzo piano di una delle torri laterali; anche se era lussuosamente arredata con tappeti e sedie coperte da cuscini, la stanza aveva una sola finestra e un misero panorama. Camlada, una graziosa ragazza bionda di sedici anni, ricevette Primilla da sola invece che in presenza delle cameriere che avrebbero dovuto contrassegnare la sua elevata condizione; la sua sola compagnia era un piccolo terrier che le sedeva in grembo e che ringhiò a intervalli per tutto il colloquio.

— Ti ringrazio per il tuo splendido filo, buona dama. Sarà adeguatamente utilizzato per una delle camicie di mio marito.

— Allora, mia signora, sono estremamente onorata.

Con un sorriso, Camlada indicò uno sgabello imbottito posto accanto alla sua sedia; obbediente, Primilla si sedette e lasciò che la dama la scrutasse con attenzione.

— Ho trascorso tutta la mia vita a corte — osservò infine Camlada, — e quindi dubito che questo dono sia stato soltanto un gentile pensiero da parte tua. Quale genere di favore hai bisogno di ottenere da mio marito?

— Uno molto piccolo. Vorrei soltanto che lui fosse consapevole della mia esistenza. Vedi, sul nostro confine occidentale crescono piante per tintura di estrema rarità, e vorrei che alla nostra corporazione venisse dato il diritto di raccoglierle, anche se esso spetta primariamente alla corporazione di Aberwyn. Dopo tutto, il principe controlla tanto Aberwyn quanto Cannobaen.

— Il principe? Per ora non è ancora un principe.

— Ecco, lo è più di suo padre, considerando le circostanze.

Camlada si alzò in piedi di scatto e si avvicinò alla finestra, con il terrier che le si teneva sempre vicino.

— Ti ho irritata, mia signora? — chiese Primilla. — Te ne domando umilmente scusa.

— È solo che mi hai fatto ricordare la verità, e cioè che nessuno sa cosa sia mio marito o quale futuro ci si apra davanti. Immagino che tu non abbia mai avuto modo d’incontrare la Principessa Maddyan.

— In effetti non ho mai avuto tale onore, ma ho sentito dire che era una moglie dolce e devota.

— Lo era. Tutti l’adoravano, ma guarda a cosa le è servito. Adesso che è morta mi dispiace tanto per lei.

— Di diritto, dovresti ora avere il suo rango.

— Non ho nessun rango, buona dama, e non ne avrò uno finché mio suocero non sarà morto. Oh, sembra così orribile da parte mia, ma è solo che sono così spaventata perché potrebbe succedere anche a me ciò che è capitato a Maddyan, di passare la vita a corte appartata e senza la minima influenza o il minimo prestigio… ed io non sono neppure simpatica quanto lei agli occhi del re.

— Posso comprendere i tuoi timori, mia signora.

Primilla comprendeva però anche un’altra cosa: pur non avendo conosciuto suo padre, Ogretoryc vedeva sua moglie tutte le notti. Andandosene, decise che sarebbe stato meglio contattare immediatamente Nevyn tramite il fuoco per riferirgli le ultime velenose notizie da lei raccolte.


In qualità di più fidato consigliere di Glyn, Nevyn aveva diritti che andavano molto al di là di quelli dei semplici cortigiani. Non appena ebbe finito di parlare con Primilla, il vecchio si recò quindi negli appartamenti reali senza neppure farsi preannunciare da un paggio. In passato, gli era spesso capitato di domandarsi se fosse lecito fornire al re informazioni militari ottenute tramite il dweomer, ed ora che quella situazione si era effettivamente presentata giunse alla conclusione che era giusto farlo, semplicemente perché le pretese di Eldidd al trono erano tanto deboli da marchiare chiaramente quel sovrano come un usurpatore. A capo della guardia del re c’era adesso il Principe Cobryn, che era cresciuto fino a diventare un giovane di ventun’anni alto, snello, avvenente e così simile a Dannyn che a volte Nevyn e il re trovavano doloroso guardarlo in volto.

— Ciò di cui devi discutere è urgente, mio signore? — chiese Cobryn. — Se lo desideri, io posso ritirarmi.

— È urgente, ma riguarda anche te — replicò Nevyn, inchinandosi in direzione di Glyn, che era in piedi accanto al camino. — Eldidd sta richiedendo un enorme prestito ai maestri delle corporazioni di Abernaudd, e penso che ci sia un solo posto dove lui intenda spendere tutto quel denaro: sui nostri confini.

— Già — convenne il re. — Mi stavo chiedendo per quanto tempo ancora saremmo riusciti a sfruttare il nostro prigioniero nella torre. Bene, Cobryn, questo significa che dovremo modificare i nostri piani per i combattimenti estivi fino ai più piccoli dettagli. Scommetto che Eldidd riverserà le sue truppe oltre il nostro confine prima ancora che noi abbiamo il tempo di ricevere il messaggio formale in cui Mael viene disconosciuto… e non ho bisogno del dweomer per esserne certo.

— Proprio così — convenne Cobryn, con una fredda risata. — Ma quei bastardi troveranno una sorpresa ad attenderli.

— Mio signore — intervenne Nevyn, — hai intenzione di far valere la tua minaccia e di impiccare il Principe Mael?

Glyn si massaggiò il mento con il dorso della mano, riflettendo sulla questione. Sempre massiccio, il suo volto si era fatto squadrato e grasso con gli anni, e le guance avevano assunto un colore florido.

— Mi recherebbe dolore impiccare un uomo impotente, ma Eldidd potrebbe non lasciarmi altra scelta. In ogni caso, non farò nulla fino a quando non avrò in mano l’atto formale di disconoscimento, perché Eldidd potrebbe anche cambiare idea all’ultimo istante, mentre non sarebbe più possibile riportare in vita il principe una volta che fosse stato impiccato.

Quella settimana stessa il Principe Cobryn partì con cinquecento uomini lungo la strada costiera che portava al confine con Eldidd, mentre sul mare lo seguivano navi da guerra e navi mercantili cariche di viveri. Dopo tre settimane di ansia arrivarono i primi messaggeri, annunciando che era stata ottenuta una schiacciante vittoria sulle forze d’invasione di Eldidd, colte di sorpresa. Due giorni più tardi giunse a corte un araldo del sovrano di Eldidd per consegnare una lettera in cui il re disconosceva Mael e lo sostituiva formalmente con suo figlio Ogretoryc. Immediatamente Nevyn salì sulla torre per informare Mael della cosa.

Al suo arrivo trovò il principe, ora non più tale, seduto allo scrittoio ingombro dei libri a lui tanto cari e di fogli di pergamena sparsi qua e là, l’inizio di un suo commento all’Etica di Nicomachea del saggio Greggyn Ristolyn. Nevyn aveva la certezza che il commentario sarebbe risultato eccellente, se soltanto Mael fosse vissuto abbastanza a lungo da portarlo a termine; a trentaquattro anni, Mael stava ingrigendo prematuramente e folte striature bianche spiccavano fra i suoi capelli un tempo corvini.

— Ci sono alcune notizie dannatamente brutte per te — annunciò Nevyn.

— Sono stato disconosciuto? — chiese Mael, in tono piatto e quasi secco. — Ho immaginato che sarebbe successo, quando ho sentito le guardie parlare di una guerra lungo i confini.

— Temo che sia così.

— Allora vuol dire che le idee di Ristolyn riguardo alla virtù mi serviranno a qualcosa. Sembra che lo scopo di tutta la mia vita sia stato quello di morire con dignità sulla piazza del mercato, e mi pare che a tale scopo la forza d’animo sia la virtù più indicata… non credi?

— Ascolta. Se soltanto potrò dire una sola dannata parola al riguardo tu non sarai impiccato.

— Questo mi dà una certa speranza, o almeno suppongo che sia speranza. Forse però sarebbe meglio essere impiccato e viaggiare libero verso l’Aldilà che restare qui a marcire. Sai, il tempo che ho trascorso in questa stanza è più lungo di quello che ho trascorso come Principe di Eldidd… pensa un po’, ho vissuto oltre metà della mia vita come ospite di Glyn.

— Scommetto che la libertà nell’Aldilà non ti apparirebbe più così attraente quando ti trovassi veramente con il cappio intorno al collo. Tornerò da te non appena avrò parlato con il re.

Era ormai tardo pomeriggio quando gli affari di corte permisero finalmente a Nevyn di conferire in privato con il suo signore. Insieme, si recarono nel giardino alle spalle della rocca; là un salice piegava i suoi lunghi rami verso l’acqua di un ruscello, i roseti erano coperti di boccioli rossi come il sangue e costituivano il solo tocco di colore in quel minuscolo angolo verde curato amorevolmente perché sembrasse incolto.

— Sono venuto a intercedere per la vita di Mael, mio signore — esordì subito Nevyn.

— Pensavo che lo avresti fatto. Ho una mezza idea di liberarlo e di permettergli di tornare a casa, ma non vedo proprio come potrei. Là lui diventerebbe per me un nemico peggiore di tutti gli altri, ma la cosa più grave sarebbe il modo in cui il sovrano di Eldidd interpreterebbe il mio atto di misericordia. Senza dubbio lo giudicherebbe una debolezza, ed è una cosa che non mi posso permettere, perché ne va del mio onore.

— Il mio signore ha ragione riguardo al fatto che Mael non può essere liberato… ma lui potrebbe essere ancora utile in futuro.

— Certo, ma anche così Eldidd interpreterebbe la mia condotta come una forma di debolezza.

— Gli dèi la considereranno un atto di forza. Qual è la buona opinione che più conta per il mio signore, la loro o quella di Eldidd?

Glyn colse una rosa, reggendola nel palmo coperto di calli e riflettendo sul problema con la fronte leggermente aggrottata.

— Mio signore? — insistette Nevyn. — Ti imploro per la sua vita.

Con un sospiro Glyn gli porse la rosa.

— D’accordo, allora. Non posso negartelo dopo tutto quello che hai fatto per me. Il sovrano di Eldidd ha tanti eredi quanti può averne un’astuta vecchia chioccia, ma chi può saperlo… forse verrà il giorno in cui rimpiangerà di aver rinnegato Mael.


Dal momento che Gavra godeva della protezione e del favore del consigliere più importante del re, la sua attività di erborista aveva prosperato giù in città e adesso lei possedeva una casa e una bottega nel quartiere dei mercanti, guadagnando denaro a sufficienza per mantenere i suoi due figli, Ebrua e Dumoryc, i bastardi del principe. Per anni, Gavra aveva sopportato i pettegolezzi che la classificavano come una sgualdrina che aveva generato dei figli con qualsiasi uomo le andasse a genio, perché questo era sempre meglio che vedere i propri figli uccisi in quanto eredi della linea di discendenza nemica. Adesso che Mael era stato formalmente disconosciuto, lei prese in considerazione l’idea di dire la verità ai figli, ma poi decise che sarebbe stato inutile: sebbene Mael vivesse ad appena tre chilometri di distanza, loro non lo avevano mai visto.

Gavra supponeva che gli uomini che sorvegliavano Mael sapessero benissimo che lei era la sua amante e che avessero preferito tacere in parte per comprensione maschile nei confronti della vita monotona che il prìncipe conduceva, ma soprattutto perché erano terrorizzati all’idea di quello che Nevyn avrebbe potuto fare loro se avessero rivelato quel segreto. Quel giorno, quando salì sulla torre, le guardie giunsero perfino a congratularsi con lei per il fatto che a Mael fosse stata graziata l’impiccagione.

Non appena fu entrata, Gavra si gettò fra le braccia di Mael e mentre restavano stretti uno all’altra si accorse che lui stava tremando.

— Sia resa grazie ad ogni dio per il fatto che ti sarà concesso di vivere — disse infine la donna.

— In effetti ho dedicato del tempo a questo scopo — replicò lui, interrompendosi per baciarla. — Ah, mio povero amore, tu meriti un vero marito e una vita felice, non un uomo come me.

— La mia vita è sufficientemente felice, perché so che mi ami.

Quando Mael la baciò ancora, Gavra si aggrappò a lui, con l’impressione che entrambi fossero due bambini spaventati che si tenevano stretti uno all’altra in un’oscurità pervasa di incubi. Nevyn non lascerà mai che lo impicchino, pensò, ma per quanto tempo ancora può continuare a vivere quel caro vecchio?

DUE

Dopo tre anni di duri combattimenti la guerra lungo il confine con Eldidd giunse ad una situazione di stallo quando, nel cuore dell’estate, accadde qualcosa a cui nessuno era preparato: la provincia di Pyrdon si ribellò contro il trono di Eldidd. Le spie di Glyn si affrettarono a rientrare per riferire la notizia che la ribellione era non soltanto scoppiata, ma sembrava anche avere successo. Le forze ribelli avevano trovato in Cwnol, l’ex-gwerbret di Dun Trebyc che era la sola grande città di Pyrdon, un condottiero così brillante che i suoi uomini sussurravano addirittura che possedesse il dweomer.

— Inoltre la metà del territorio di Pyrdon è coperto da foreste — commentò Glyn. — Se sarà stretto da vicino, Cwnol potrà far disperdere in esse i suoi uomini per poi attaccare ancora con delle imboscate. Pare che abbia forze notevoli, e mi chiedo se stia ricevendo denaro da Cantrae.

— Se così fosse non ne sarei per nulla sorpreso, mio signore — replicò Nevyn, — e sarebbe opportuno che gliene mandassimo anche noi.

Per il resto di quell’estate il confine con Eldidd rimase tranquillo ed entro l’autunno parve evidente che Cwnol stava ottenendo grandi successi, anche se avrebbe dovuto comunque combattere a lungo. Glyn gli mandò dei messaggi, indirizzandoli a Cwnol, Re di Pyrdon, e come ultimo gesto di amicizia vincolò in fidanzamento la figlia del Principe Cobryn, che aveva sei anni, con il figlio di Cwnol che ne aveva sette, un simbolo di onore regale che Cwnol ricambiò intensificando le sue scorrerie nel territorio di Eldidd. Anche se la questione si era risolta molto bene dal punto di vista di Cerrmor, Nevyn aveva comunque il cuore addolorato, perché vedeva il regno andare in pezzi intorno a lui a mano a mano che quella interminabile guerra si protraeva.

Un giorno in cui la pioggia autunnale cadeva fitta, il vecchio salì sulla torre per far visita a Mael che, come al solito, stava lavorando ai suoi commentari. Come accade sempre a progetti del genere, il suo lavoro si era esteso molto al di là della semplice introduzione al pensiero di Ristolyn che aveva costituito l’intenzione originaria del principe.

— Questo inciso finirà per diventare un dannato capitolo! — esclamò Mael, infilando la penna nel calamaio con tanta violenza che la punta quasi si spezzò.

— Succede a parecchi dei tuoi incisi, ma si tratta sempre di buoni capitoli.

— Vedi, si tratta di questa faccenda: di cosa costituisca il bene maggiore. Per quanto brillanti, le argomentazioni di Ristolyn non mi soddisfano completamente e le sue categorie sono un po’ limitate.

— Voi filosofi siete sempre dannatamente abili nel moltiplicare le categorie.

— Filosofi? Per gli dèi, io non mi definirei tale.

— Per tutti gli inferni, e allora che altro sei?

Mael rimase a bocca aperta per lo stupore, poi si unì con aria contrita alla risata di Nevyn.

— Niente altro, davvero — ammise. — Per vent’anni mi sono creduto un guerriero, mordendo il freno come un cavallo da guerra e desiderando di essere libero per tornare a combattere, ma per almeno dieci di essi non ho fatto altro che ingannare me stesso. Adesso mi chiedo se sarei più capace di andare in guerra: mi pare di vedermi, seduto in sella che medito su cosa Ristolyn intendesse con la parola «fine» mentre qualcuno pone intanto fine alla mia esistenza.

— Non mi sembri dispiaciuto.

Mael si avvicinò alla finestra, osservando la pioggia che cadeva, grigioargentea come i suoi capelli.

— Il panorama di cui godo da qui è diverso da quello che scorgevo prima: non è possibile vedere le cose con chiarezza, in mezzo alla polvere di un campo di battaglia — affermò, appoggiando una guancia contro il vetro freddo e guardando verso il basso. — Sai qual è la cosa più dannatamente strana di tutte? Che se non mi preoccupassi tanto per Gavra e i bambini, sarei davvero felice.

Mentre il principe parlava, Nevyn avvertì l’impatto di una rivelazione del dweomer: era tempo che Mael fosse liberato, perché adesso che aveva accettato la sua condizione poteva andare via libero.

— Dimmi una cosa. Se avessi la possibilità di farlo, sposeresti Gavra?

— È ovvio. Perché non dovrei? Non ho più un posto presso la corte reale e così potrei anche legittimare i nostri figli… sempre che fossi libero di farlo. Invero sono proprio un filosofo, visto che indugio a disquisire perfino di ciò che è assurdo e senza speranza.

Quando lasciò la camera di Mael, Nevyn stava riflettendo sulle condizioni del tempo: dal momento che la neve cadeva di rado lungo la costa, viaggiare durante l’inverno era una cosa possibile anche se scomoda. Immediatamente rientrò nelle proprie camere e contattò Primilla attraverso il fuoco.


La bottega di Gavra occupava la metà anteriore di una casa che si trovava dall’altra parte della strada rispetto alla taverna di suo fratello. Ogni mattina, quando si accingeva ad iniziare il lavoro, lei lasciava vagare lo sguardo sugli scaffali coperti di erbe e di recipienti, sulle botti e sulle anfore, e sulla pelle secca di coccodrillo che pendeva sotto la grondaia.

La mia casa, pensava, e la mia bottega. Tutto mio.

Era una cosa rara infatti che una donna di Cerrmor possedesse qualcosa a nome proprio e non per conto del marito o del fratello; con l’approssimarsi dell’inverno, lei aveva in quel periodo una quantità di clienti che soffrivano di febbri e di congestioni polmonari, di geloni e di dolori alle ossa, e lavorava per lunghe ore nella camera anteriore. In aggiunta a tutto questo, aveva anche un altro problema pressante da risolvere: il fidanzamento di Ebrua, perché sebbene lei si fosse lasciata dominare dall’amore, voleva per la figlia un solido matrimonio convenzionale.

Per fortuna il ragazzo che piaceva ad Ebrua era un bravo giovane di sedici anni, Arddyn, figlio minore di una prospera famiglia che commerciava in pelli conciate. Dopo aver formalmente discusso del fidanzamento con il padre del ragazzo, Gavra si recò alla fortezza per consultarsi con Mael. In un certo senso, quella era una cosa sciocca, considerato che Mael non aveva mai conosciuto la famiglia di Arddyn e che aveva visto sua figlia soltanto da una notevole distanza, ma lui ascoltò ogni cosa con espressione grave, applicando la sua mente brillante al problema con una tale intensità da far comprendere a Gavra il suo intento di fingere, come faceva anche lei, che avessero una normale vita coniugale.

— Mi sembra un buon matrimonio per gente come noi — osservò infine.

— Oh, senti come parla il mio regale amore. Gente come noi… davvero!

— La mia signora dimentica che non sono altro che un umile filosofo. Quando avrò finito il mio libro i sacerdoti del tempio ne faranno stilare cinquanta copie dagli scribi ed io riceverò una moneta d’argento per ciascuna di esse. Questa, amore mio, è la sola fortuna di cui io disponga al mondo, quindi speriamo che la famìglia di Arddyn non sia avida per quanto concerne la dote.

— Penso che si accontenteranno della sua quota di proprietà della bottega e forse di un po’ d’argento.

— E questo è un bene. Una ragazza che ha per padre un filosofo è davvero sfortunata.

Gavra stava lasciando la fortezza quando s’imbatté in Nevyn, che passò familiarmente il braccio sotto il suo e la accompagnò fino alla bottega, dove poterono parlare in privato perché i figli di Gavra erano in cucina a cenare.

— Oggi fa freddo — osservò Nevyn, posando un paio di ceppi nel focolare e accendendoli con uno schiocco delle dita. — Ho una cosa piuttosto importante da dirti: credo di avere ottime probabilità di far liberare Mael.

Gavra trattenne il respiro con un sussulto.

— Per ora non gliene parlare — proseguì il vecchio. — Non voglio infatti destare le sue speranze soltanto per poi vederle crollare, ma tu devi essere informata, perché hai molte cose da sistemare prima di partire.

— Partire? Oh, via, pensi che Mael vorrà che vada con lui?

— Se mai ne hai dubitato per un solo istante, questa è la prima cosa stupida che ti abbia mai visto fare.

Improvvisamente, Gavra sentì la necessità di sedersi e si appollaiò su uno sgabello accanto al fuoco, sfregandosi le mani tremanti.

— Ho paura che non ci sia altra scelta che quella di rimandarlo in Eldidd — continuò Nevyn. — Vuoi andare con lui?

Gavra guardò gli scaffali, la stanza, tutto ciò per cui aveva lavorato così duramente e che si sarebbe lasciata alle spalle, insieme ad una figlia sposata… e cosa avrebbe detto Dumoryc, quando gli avrebbe presentato uno sconosciuto dicendogli che era suo padre?

— Sai — osservò Nevyn, — è probabile che finiate per stabilirvi lungo il confine occidentale di Eldidd, e là non c’è un erborista decente nel raggio di chilometri.

— Capisco. Allora potrei avviare una nuova bottega per Dumoryc e lasciare questa ad Ebrua. Sarebbe una dote splendida, che mi permetterebbe di far stilare il contratto di matrimonio come voglio io.

— Infatti. E probabilmente finirai per dover mantenere anche il tuo brillante marito.

— Eldidd comincia ad apparirmi interessante — affermò Gavra, sollevando lo sguardo con un sorriso. — E poi, naturalmente, io amo il mio uomo.


Per una serie di ragioni, Nevyn decise di far coincidere la liberazione di Mael con l’avvento della primavera. Innanzitutto, i re del Popolo Fatato lo avvertirono che quell’inverno sarebbe stato pieno di violente tempeste, ma il motivo principale fu che lo stesso Mael avrebbe rifiutato di lasciare la sua prigione fino a quando non avesse visto il suo libro adeguatamente copiato, un compito che avrebbe richiesto mesi. Mentre gli scribi del tempio di Wmm lavoravano alla stesura delle copie, Nevyn lavorò per convincere il re, trovando un grande alleato nel suo profondo senso dell’onore. Essendo un uomo generoso per natura, Glyn trovava in Mael una causa di profondo imbarazzo e un prigioniero troppo patetico perché lo si potesse assassinare, soprattutto adesso che gli eruditi sacerdoti lodavano la sua mente di brillante studioso e lo definivano un ornamento per il regno. Quando ritenne che fosse arrivato il momento giusto, Nevyn chiese senza mezzi termini al re che Mael venisse liberato e che gli venisse permesso di rientrare in Eldidd senza troppo chiasso.

— In effetti, consigliere, sarebbe la cosa migliore. Cerca di escogitare una ragione che ci permetta di rilasciarlo onorevolmente. Che io sia dannato se permetterò ad Eldidd di beffarsi della mia debolezza, ma d’altro canto non posso più tollerare il pensiero di quel principe che marcisce nella mia torre.

Alla fine, fu la ribellione di Pyrdon a fornire loro la ragione che cercavano. Avendo un disperato bisogno di un’estate tranquilla per poter domare la ribellione, il sovrano di Eldidd offrì infatti a Glyn dell’oro perché si trattenesse dall’effettuare razzie e Glyn non soltanto accettò l’offerta, ma solennizzò anche l’occasione offrendosi di liberare il principe prigioniero in cambio di un pagamento simbolico di dieci cavalli. Dopo molti scambi di araldi e uno strano ristagnare delle trattative da parte di Eldidd, l’accordo venne sigillato e firmato quando ormai l’inverno cedeva il passo alla primavera. Soltanto allora Nevyn sì decise ad informare Mael della sua buona sorte.

Allorché sali nella sua camera, trovò Mael intento ad accarezzare una copia del suo libro, rilegata in cuoio e accuratamente stilata nella sottile calligrafia degli scribi del tempio. Il principe era così impaziente di mostrargliela che trascorse una buona mezz’ora prima che Nevyn potesse venire all’effettivo motivo della sua visita.

— La cosa veramente meravigliosa è che il re ha intenzione di sovvenzionare la stesura di altre venti copie — concluse Mael. — Tu ne conosci il perché?

— Sì, è un modo per solennizzare la tua liberazione. Ha intenzione di lasciarti andare la prossima settimana.

Mael sorrise, accennò a parlare, poi il volto gli si raggelò in un’espressione d’incredulità e le sue unghie affondarono nella morbida rilegatura di cuoio del volume che aveva in mano.

— Io verrò con te fino al confine con Eldidd — proseguì Nevyn. — Gavra e tuo figlio ci raggiungeranno fuori di Cerrmor. Ebrua invece rimarrà qui, ma non la si può certo biasimare per questo: ama suo marito, e non ti ha mai conosciuto.

Mael annuì, talmente pallido che il suo volto appariva bianco come neve.

— Oh, per il Signore dell’Inferno — sussurrò. — Mi chiedo se quest’uccello in gabbia si ricordi ancora come si fa a volare.


Anche se adesso vivevano a corte in uno splendido appartamento di più stanze, il Principe Ogretoryc e sua moglie non avevano dimenticato i tempi in cui Primilla era stata la sola persona a rendere loro omaggio, ed erano di solito disposti a riceverla in quelle occasioni che dedicavano agli artigiani e ai mercanti. Il principe era un giovane alto con i capelli corvini e gli occhi azzurri come fiordalisi, dotato di una rude avvenenza e di un’indole incline ad essere espansiva finché non veniva contrariato. Quella particolare mattina, Primilla gli portò in dono un costoso smeriglio da usare per il suo sport preferito, la caccia con il falcone. Immediatamente il principe prese il volatile sul polso e gli indirizzò qualche verso di richiamo.

— Ti ringrazio, buona dama, è un piccolo falco adorabile.

— Sono estremamente onorata che piaccia a Vostra Altezza. Quando ho sentito che il padre di Vostra Altezza stava per essere liberato ho pensato che ci volesse un dono per celebrare l’occasione.

Gli occhi di Ogretoryc improvvisamente si ombrarono e lui prese a dedicare una grande attenzione allo smeriglio, che girò la testa incappucciata verso di lui, quasi avesse riconosciuto in quell’uomo un’anima simile alla sua. Seduta vicino alla finestra. Camlada si agitò a disagio sul suo seggio.

— Naturalmente — replicò, con un sorriso accuratamente studiato, — siamo molto felici della liberazione di Mael, ma è davvero buffo pensare che mio suocero sia diventato uno scriba.

Ogretoryc le scoccò un’occhiata in tralice che avrebbe potuto significare una quantità di cose, tutte rabbiose.

— Ti ringrazio, buona Primilla — disse quindi. — Porterò subito questa piccola bellezza al mio falconiere.

Dal momento che era chiaro che l’udienza era finita, Primilla eseguì una riverenza e si ritirò nell’area pubblica della grande sala reale, affollata da numerosi supplici e da parecchi curiosi, soffermandosi a parlare con i consiglieri e con gli scribi che conosceva. In questo modo riuscì a raccogliere parecchi accenni secondo cui molte persone importanti di corte sarebbero state felici di vedere Mael reinserito nella sua antica posizione e suo figlio ridotto al semplice rango di erede. Forse era una reazione dettata dai sentimenti o dal senso dell’onore… forse. Primilla andò a cercare il Consigliere Cadlew e gli chiese senza mezzi termini perché tutti fossero così impazienti di vedere Mael tornare come signore di Aberwyn e di Cannobaen.

— Sembri dannatamente interessata agli affari di Mael — osservò il consigliere.

— È ovvio, perché la corporazione deve sapere come meglio investire i suoi doni: non ci piace coltivare il favore del nobile sbagliato.

— Ben detto. Bada però di non riferire ad altri le mie parole. La Principessa Camlada ha cominciato a darsi arie fin da quando suo marito è diventato Principe di Aberwyn, e sono parecchi quelli a cui piacerebbe vederla ridotta ad una condizione inferiore, senza contare che a parecchie vedove piacerebbe poter consolare il Principe Mael negli anni della maturità.

— Capisco. Quindi è soltanto una questione di donne?

— Tutt’altro. La principessa non ha offeso soltanto le dame di corte, e le vedove a cui ho accennato hanno fratelli che apprezzerebbero l’occasione di poter guadagnare influenza.

— Vedo. Tu credi che Mael verrà reinserito nel suo rango?

— Nel suo interesse spero di no, perché una cosa del genere sarebbe indubbiamente pericolosa per la sua salute. Adesso però non caverai più da me un’altra parola, buona dama.

Primilla si disse che quanto aveva appreso era già più che sufficiente e provvide a contattare subito Nevyn, perché non desiderava vedere Mael tornare a casa soltanto per essere avvelenato dai suoi stessi parenti.


Dalla finestra della camera di Mael il cortile di Dun Cerrmor appariva piccolo e ordinato come il giocattolo di un bambino. Cavalli minuscoli trottavano sull’acciottolato appena visibile, uomini altrettanto minuscoli andavano avanti e indietro per poi scomparire oltre piccole porte, e soltanto i rumori più forti fluttuavano fino alla finestra della torre. Quel pomeriggio, Mael era appoggiato al davanzale, intento a osservare il panorama ormai familiare quando sentì la porta che si apriva alle sue spalle.

— Che tutti s’inginocchino al cospetto di Glyn, re di tutto Deverry — scandì una delle guardie.

Mael si girò e s’inginocchiò proprio nel momento in cui il re entrava nella stanza: per un momento, i due si studiarono a vicenda con una sorta di sconcertato stupore per il modo in cui entrambi erano invecchiati dal loro ultimo incontro.

— Da oggi — disse infine Glyn, — sei un uomo libero.

— Vostra Altezza ha i miei umili ringraziamenti.

Glyn lasciò vagare per un momento lo sguardo per la stanza poi se ne andò, portando le guardie con sé; una volta solo, Mael rimase a lungo inginocchiato a fissare la soglia vuota, fino a quando Nevyn apparve in essa.

— Alzati, amico mio — lo incitò il vecchio. — È tempo di mettere alla prova le tue ali.

Nel seguire Nevyn lungo la scala buia e ricurva, Mael fissò le mura che lo circondavano, il soffitto che lo sovrastava, il volto di ogni persona che incontrarono. Quando infine sbucarono nel cortile la luce del sole gli si riversò sopra come un’ondata d’acqua e nel sollevare lo sguardo lui fu assalito da un senso fisico di vertigine di fronte alle mura della torre che si ergevano sopra e non più sotto di lui. Afferrandolo per un braccio, Nevyn lo sostenne finché la sensazione non fu passata.

— La mente è una cosa dannatamente strana — osservò il vecchio.

— Lo è davvero. Mi sento come se fossi stregato o qualcosa del genere.

All’inizio, il rumore e la confusione minacciarono di sopraffare Mael: gli sembrava che tutto il cortile fosse pieno di uomini che gridavano, ridevano e conducevano per la briglia cavalli i cui zoccoli tamburellavano sonoramente sull’acciottolato, mentre una quantità di serve andavano avanti e indietro con secchi d’acqua, carichi di legna da ardere e bracciate di vivande; gli intensi colori della bandiera rossa e argento di Cerrmor erano dappertutto e abbagliavano il suo sguardo di recluso. Dopo alcuni minuti, però, lo stordimento di Mael si tramutò in avidità e lui prese a camminare lentamente per assaporare ogni cosa, da uno splendido lord che gli passava accanto a cavallo ad un mucchio di vecchia paglia vicino alle stalle. Quando uno dei mastini da caccia del re gli concesse di accarezzarlo sulla testa, lui ne fu tanto compiaciuto da sentirsi quasi come un bambino idiota, deliziato da tutto perché incapace di dare alle cose un giusto valore. Allorché però espresse quella sua osservazione a Nevyn, il vecchio scoppiò a ridere.

— E chi può dire se un bambino idiota non sia il più saggio fra tutti noi? — ribatté poi. — Andiamo nelle mie camere. Gavra ci dovrebbe raggiungere fra breve.

Gavra stava però già aspettando nella spartana camera di ricevimento di Nevyn, e non appena la vide Mael le corse incontro, prendendola fra le braccia e baciandola.

— Oh, amore mio — disse, — ho paura di credere a tutto questo. Continuo a pensare che domani ci sveglieremo per scoprire che si è trattato soltanto di un sogno crudele.

— È dannatamente meglio che non sia così, dopo tutti i fastidi che ho avuto con la bottega! Gli accordi necessari per trasferirla ad Ebrua mi hanno causato una tale emicrania che ho dovuto ricorrere ad alcune delle mie stesse erbe!


Nevyn calcolò che avrebbero impiegato circa quattro giorni per raggiungere il confine con Eldidd dove, secondo gli accordi, una guardia d’onore inviata dalla corte di Eldidd sarebbe stata in attesa del principe. Durante la terza notte di viaggio, mentre erano accampati circa quindici chilometri ad ovest di Morlyn, un diverso comitato di ricevimento venne però loro incontro: Primilla e due giovani muniti di bastoni. Con un grido di saluto, Nevyn si affrettò ad andare loro incontro mentre ancora smontavano di sella, e Mael lo seguì a passo più lento.

— Cosa succede? — domandò Nevyn.

— Ecco, temo di avere delle notizie che potrebbero non essere piacevoli.

— Davvero? — intervenne Mael. — A corte mi vogliono avvelenare?

— Vedo che il filosofo non ha dimenticato la sua antica vita di principe — osservò Primilla. — Non sono certa che tu corra un vero pericolo, ma d’altro canto non è mai saggio correre rischi inutili, quindi siamo venuti per scortarti in un luogo sicuro fino a quando non avrò la certezza che potremo affrontare la gente di corte alle nostre condizioni e non alle loro.

— Ti ringrazio — disse Nevyn. — Non ho evitato a questo ragazzo di finire impiccato soltanto perché morisse avvelenato.

— Non ti preoccupare. Sgusceremo fra i boschi come volpi e poi… — Primilla fece una pausa e sorrise, concludendo: — E poi ci rinchiuderemo nella tana come tassi.


Dal momento che quello era il periodo in cui i contadini venivano a portare i carri carichi di legna da ardere che costituivano la loro tassa primaverile a favore del faro di Cannobaen, per tutta la settimana Avascaen si era alzato parecchio prima del tramonto per dare loro una mano a scaricare i carri e ad ammucchiare la legna nelle lunghe baracche destinate a quello scopo. In quel particolare giorno, nel vedere la nube di polvere sulla strada, Avascaen suppose che si trattasse di un’altra consegna.

— Ecco che arriva qualcun altro — disse ad Egamyn. — Corri a vedere in quale baracca rimane ancora del posto vuoto.

Con un sospiro annoiato, Egamyn si allontanò a passo lento mentre Avascaen spalancava le porte scricchiolanti per poi immobilizzarsi con la mano ancora posata sulla sbarra arrugginita e con lo sguardo fisso sul gruppo che stava sopraggiungendo lungo la strada: cavalieri… muli da soma… quella strana donna con le mani sporche di azzurro… e dietro di loro… non poteva essere… e tuttavia era lui, capelli grigi o meno. Con un grido che era quasi un singhiozzo, Avascaen si precipitò lungo la strada per dare al Principe Mael il benvenuto a casa, e quando si aggrappò alla sua staffa in segno di fedeltà Mael si chinò verso di lui dalla sella.

— Guarda come siamo cambiati entrambi, Avascaen! Quando sono partito eravamo ragazzi, mentre ora siamo ingrigiti tutti e due.

— Infatti, mio principe, ma vederti mi rallegra lo stesso.

— Così come io sono lieto di rivedere te. Puoi darci ospitalità?

— Cosa? Ma certo, Vostra Altezza. Siete arrivati proprio al momento giusto, perché Scwna ha cominciato ad arieggiare le tue camere, come fa ogni primavera, e adesso devono essere tutte pulite e in ordine per te.

— Davvero? Lo fa ogni primavera?

— Ogni primavera. Noi siamo come tassi, mio principe, teniamo duro.

Mael scese di sella e afferrò la mano del custode, stringendola con vigore; quando scorse le lacrime che brillavano negli occhi del principe, Avascaen si sentì a sua volta prossimo alla commozione.

— Adesso io non sono più un principe — affermò quindi Mael, — e mi ritengo onorato di considerarti un amico. Ho qui con me la mia nuova moglie e mio figlio, e questa volta prego proprio di essere tornato a casa per restarci.

Quando il gruppo entrò nel cortile, Egamyn, Maryl e Scwna corsero fuori per salutare i nuovi venuti, e Avascaen indirizzò al suo secondogenito un sorriso compiaciuto.

— Non ti avevo detto che sarebbe tornato? — commentò.

Ed ebbe la soddisfazione di vedere suo figlio restare a bocca aperta per lo stupore.

Dopo un pomeriggio trascorso in amichevole compagnia e una cena per celebrare l’avvenimento, Avascaen uscì per accendere il faro. Mentre il cielo cominciava a tingersi di un grigio perlaceo strappò alcune scintille al suo acciarino, accese l’esca secca e soffiò su di essa fino a farla ardere bene. A quel punto cominciò ad aggiungere ceppi finché il fuoco prese a bruciare intenso per inviare il proprio avvertimento sul mare, ed infine si accostò al parapetto per abbassare lo sguardo sulla rocca, le cui finestre brillavano allegre per la luce delle lanterne: il principe era tornato a casa.

Io non ho dimenticato lui e lui non ha dimenticato me, pensò. Siamo proprio come i tassi, tutti e due.

Il mondo gli parve un luogo soddisfacente e permeato di giustizia. Più tardi, quando la luna piena era al suo zenit, Mael salì sulla torre. Ansante, con il fiato corto, il principe si appoggiò al parapetto.

— Devi avere gambe dannatamente robuste — osservò.

— Oh, dopo un po’ ci si abitua.

Insieme, rimasero a contemplare il mare e le onde coperte di schiuma tinta d’argento dalla luna che si abbattevano sulla piccola, pallida striscia di spiaggia.

— Ti ho detto che sono stato tenuto sulla sommità di una torre per tutto il tempo della mia prigionia? — chiese infine Mael.

— Ma guarda che strano. E così tu eri là che guardavi in basso mentre io qui facevo la stessa cosa.

— Proprio così, ma qui il panorama è dannatamente più ampio di quello di cui godevo io. Voglio rimanere a Cannobaen per il resto della mia vita, ma la cosa dipenderà dal Principe Ogretoryc, perché adesso la tenuta appartiene a lui e non più a me.

— Se avrà il coraggio di buttarti fuori, allora si dovrà trovare un altro custode per il faro — dichiarò Avascaen, poi rifletté per un momento sul problema e aggiunse: — Senti, mio fratello ha più terra di quanta sia in grado di coltivarne da solo, e se si dovesse arrivare a questo ci accoglierà di certo presso di sé.

— Ti ringrazio. Anch’io potrò guadagnare qualche moneta scrivendo lettere a pagamento.

Per alcuni minuti i due condivisero un amichevole silenzio.

— A proposito — chiese poi Mael, — sono mai passate di qui delle navi?

— Dannatamente poche, ma non si può mai sapere quando qualcuno può aver bisogno del faro.


Dal momento che tutta la sua strategia si basava sul fatto di dimostrare che Mael era ormai una persona del tutto inadatta alla vita di corte, Primilla chiese al principe di scrivere al più presto possibile una lettera al figlio, e il risultato la lasciò molto soddisfatta.

«A Ogretoryc, Principe di Aberwyn e di Cannobaen, e mio figlio, Mael il filosofo manda i suoi saluti. Vostra Altezza, sebbene non ci siamo mai scambiati neppure due parole, si addice ad un padre di essere franco con la propria progenie. So benissimo che tu desideri conservare la posizione e gli onori di cui godi alla corte di mio fratello il re e non desidero altro che vederteli mantenere. Dopo la mia lunga prigionia sono infatti divenuto un umile studioso, inadatto ai doveri della guerra e del governo, e tutto ciò che voglio è vivere il resto del tempo che mi rimane nella dimora di campagna di Cannobaen oppure, se Vostra Altezza così preferisce, come comune abitante del villaggio vicino. Potrai trasmettermi la tua decisione tramite Primilla, capo della corporazione dei tintori, perché temo per la mia vita nell’ambiente di corte e non nutro nessun desiderio di assaporare la libertà soltanto per essere avvelenato poche settimane più tardi. Tuo padre, Mael il filosofo.»

Quando Primilla ebbe finito di leggere la lettera, Mael si appoggiò allo schienale della sedia e le indirizzò un sorriso enigmatico.

— Dovrebbe andare benissimo — osservò la donna.

— Ottimo. Sai, è strano essere umili con il proprio figlio. Se per loro non era sufficiente che fossi stato disconosciuto, adesso ho anche abdicato, e per usare il modo di esprimersi del nostro Avascaen, questo dovrebbe sistemare per bene le cose.

Quando tornò ad Abernaudd, Primilla attese un giorno intero prima di consegnare la lettera, in modo da poter prima sentire gli ultimi pettegolezzi, e dal momento che la corte e l’intera città ne erano pieni nello stesso modo in cui un nido di vespe è pieno di pungiglioni, i suoi amici ebbero parecchie cose da riferirle. Il re aveva effettivamente mandato al confine una guardia d’onore per ricevere Mael, ma essa aveva invece trovato là soltanto Nevyn, un consigliere di Cerrmor, e il Principe Cobryn di Cerrmor, i quali avevano informato la scorta che il Principe Mael aveva preferito viaggiare da solo. Tutti avevano sospettato un tradimento, non da parte di Cerrmor ma di Ogretoryc.

— Io sostengo invece che in questa corsa stanno scommettendo tutti sul cavallo sbagliato — commentò Cadlew. — Se c’è stato un tradimento, dietro di esso non c’è il principe ma la principessa. Alcuni degli uomini a lei fedeli avrebbero potuto mandare una banda di guerra a dare la caccia a Mael.

— Davvero? Supponiamo per un momento che il filosofo non sia morto. Qualcuno ha idea di dove potrebbe essere?

— Ci sono molte supposizioni al riguardo, ma la voce che circola con maggiore insistenza è quella secondo cui Mael si sarebbe recato presso i ribelli di Pyrdon, che gli avrebbero dato asilo per creare problemi qui in Eldidd. Fortunatamente, i ribelli sono troppo deboli per sostenerlo in un tentativo di conquistare il trono… almeno per ora. Dopo tutto, chi può biasimare un uomo che è stato principe per voler riavere ciò che era suo?

L’indomani, Primilla fece la sua visita al principe e alla principessa. Il volto di Camlada era tanto teso da lasciar pensare che non dormisse da alcune notti, mentre Ogretoryc appariva soltanto perplesso.

— Ho una lettera per te da parte di tuo padre, Altezza — disse subito Primilla.

Ogretoryc si alzò in piedi di scatto mentre Camlada s’incurvò in avanti sul suo seggio e fissò con occhi sgranati Primilla che porgeva a suo marito il messaggio in questione.

— E dove hai visto mio padre?

— Sulla strada… Vostra Altezza sa che io viaggio spesso. Tuo padre mi è parso molto angosciato e quando ha saputo che ero diretta ad Abernaudd mi ha chiesto di consegnarti questa lettera.

— Il sigillo è senza dubbio quello di Aberwyn — osservò Ogretoryc, rigirando il rotolo di pergamena fra le mani. — Deve essere quello che aveva con sé quando è stato catturato.

Mentre leggeva la missiva, Camlada continuò a fissarlo con occhi che tradivano un eccessivo timore.

— Bene — commentò infine Ogretoryc, — questo dovrebbe far cessare tutte quelle voci secondo cui io lo avrei fatto assassinare mentre era in viaggio. Scusami, buona dama, temo di aver dimenticato le regole della cortesia, ma nelle ultime settimane ho avuto il cuore gravato da molti problemi.

— Naturalmente, Vostra Altezza. Senza dubbio ti è stato difficile sopportare la preoccupazione per la vita di tuo padre.

— Infatti — replicò Ogretoryc, e il modo in cui si espresse convinse Primilla della sua sincerità, come anche il gesto carico di disprezzo con cui gettò la lettera in grembo a sua moglie.

Scrollando il capo con alterigia, Camlada raccolse la lettera e la lesse, mentre Primilla osservava le correnti di paura e di sospetto che volteggiavano come demoni nella sua aura.

— La mia signora è soddisfatta? — chiese Ogretoryc, secco e sprezzante.

— Il mio signore pensava che avrei potuto non esserlo?

Allorché i loro sguardi s’incrociarono, Primilla si affrettò a voltarsi e a far finta di ammirare una composizione floreale; dopo un momento Ogretoryc distolse lo sguardo da quello della moglie con un piccolo ringhio sommesso.

— Permettimi di accompagnarti alla porta, buona dama — disse quindi. — Hai la mia gratitudine per avermi consegnato quella lettera.

E non aggiunse altro fino a quando non furono ben lontani dal raggio uditivo di sua moglie.

— Puoi dirmi dove si trova Mael? — chiese allora.

— È a Cannobaen, Altezza.

— È quello che pensavo. Bada però di non dirlo a nessun altro finché non avrò sistemato ogni cosa: la mia amata moglie può benissimo continuare a cuocere nell’incertezza ancora per un po’.


Ogni mattina Mael e Gavra uscivano per fare una lunga passeggiata sulle alture e ammirare l’oceano. Dal momento che il ricordo di Cannobaen lo aveva tormentato durante tutto il suo esilio, Mael stentava ancora a credere di essere veramente lì, di sentire il calore del sole sulla schiena e di respirare l’aria pungente e pervasa dal profumo del mare. Spesso nel pomeriggio saliva sulla torre e sedeva vicino alle ceneri del fuoco del faro per osservare la strada, e con il passare del tempo cominciò a chiedersi quanti giorni di appagamento ancora gli restassero, perché ogni giorno senza una risposta da Abernaudd era un cattivo presagio che parlava di intrighi di corte.

Quando infine la risposta giunse, essa lo colse però di sorpresa. Mael era nella sua camera, intento a tracciare delle righe su una pergamena con l’ausilio di stilo e di righello, quando il figlio di Avascaen, Maryl, fece irruzione nella stanza.

— Altezza, alle porte ci sono venticinque uomini, e tuo figlio è con loro.

Quasi senza soffermarsi a riflettere, Mael afferrò il suo minuscolo coltello per aguzzare la punta delle penne e corse fuori. Gli uomini stavano smontando di sella in mezzo ad una cordiale confusione e Mael non ebbe difficoltà a individuare in mezzo ad essi suo figlio, perché gli somigliava notevolmente. Sorridendo, Ogretoryc venne verso di lui e gli tese la mano.

— Mi rallegra il cuore vederti, padre. Per tutta la vita ho sentito parlare di te, ed ora finalmente c’incontriamo.

— Infatti — rispose Mael, stringendo la mano offertagli.

— La tua lettera mi ha addolorato. Ti giuro che non hai nulla da temere.

— Allora la corte è cambiata dall’ultima volta che ci sono stato.

— Ho ricevuto parecchi consigli poco raccomandabili, se è questo che intendi… ma ucciderò il primo uomo che oserà levare la mano contro di te.

Ogretoryc parlò con una tale nota di sincerità che Mael sentì quasi il desiderio di piangere per il sollievo.

— Te ne sono grato — rispose semplicemente.

Ogretoryc si girò, sollevando lo sguardo verso la torre.

— Sai, non ero mai stato qui prima d’ora. Quando ero bambino, mia madre non ci è mai venuta, perché il ricordo di quanto tu amavi questo posto la faceva soffrire, e quando sono cresciuto sono rimasto lontano in guerra per la maggior parte del tempo. È tuo. L’ho trasferito a tuo nome, e il re ha generosamente annesso un titolo alle terre. Ho le lettere di nomina nelle sacche della mia sella.

— Per gli dèi! È stato generoso da parte tua.

— C’è una cosa che ti devo dire — proseguì Ogretoryc. — Alcuni anni fa, quando hanno mandato quella lettera che ti disconosceva, tutti erano certi che Glyn ti avrebbe impiccato. Io avrei implorato il re di non inviare quella lettera, ma all’epoca ero lontano dalla corte. — Ogretoryc fece una pausa e si decise infine a guardare in volto il padre. — Mia moglie a fatto in modo che io fossi assente quando si è tenuto il consiglio in cui il re ha preso quella decisione… l’ho scoperto soltanto molto più tardi.

— Al tuo posto non me ne farei una colpa, perché dubito che il re avrebbe prestato orecchio alla tua supplica. Ti chiedo però il favore di non dover mai essere costretto a incontrare tua moglie.

— Sto per ripudiarla. Potrà vivere il resto della sua vita in un tranquillo luogo di ritiro.

La malizia che permeava la voce di Ogretoryc disse a Mael che lui aveva scelto per la moglie la punizione più adeguata.

Il mattino successivo Ogretoryc partì per tempo, promettendo di tornare presto se soltanto i combattimenti estivi lo avessero permesso. Mael rimase a salutarlo vicino alle porte e andò poi in cerca di Gavra, trovandola intenta a studiare il tratto di cortile adiacente all’orto di Scwna.

— Cosa stai facendo? — le chiese.

— Stavo pensando di togliere questo tratto di acciottolato per piantare un po’ di erbe mediche. Scwna mi ha detto che qui c’è molto sole.

— Lo vedo. Per anni la gente parlerà dell’eccentrica Lady Gavra di Cannobaen e delle sue erbe.

— Non posso essere una dama. Lo rifiuto.

— Non puoi rifiutare. Hai sigillato la tua sorte quando mi hai sposato. Sai, molte ragazze si sono conquistate un titolo con la loro bellezza, ma tu sei la prima di cui io abbia mai sentito parlare che lo abbia conquistato con un decotto di erbe febbrifughe.

Quando Gavra scoppiò a ridere Mael la baciò e si limitò poi a tenerla stretta a sé, sotto la calda luce del sole.

TRE

Nell’estate del 797, nel suo cinquantesimo anno d’età Glyn, Gwerbret di Cerrmor e aspirante re di tutto Deverry, mori per un attacco di cuore. Sebbene Nevyn fosse da tempo preoccupato per le condizioni di salute del re, quella fine repentina lo colse alla sprovvista. Una mattina Glyn lasciò la fortezza alla testa dei suoi uomini e a mezzogiorno venne riportato indietro morto: la crisi lo aveva colto mentre stava montando a cavallo ed era morto nel giro di pochi minuti. Mentre la regina affranta e le sue cameriere lavavano e componevano il corpo, il figlio maggiore di Glyn, Camlan, assunse la carica di sovrano al cospetto dei suoi fedeli vassalli: nella grande sala il sommo sacerdote di Bel dapprima gli impartì la benedizione e poi gli appuntò sul plaid l’enorme spilla regale. Mentre i vassalli venivano avanti ad uno ad uno per inginocchiarsi davanti al loro nuovo signore, Nevyn approfittò della confusione per sgusciare via e raggiungere le sue camere: era giunto per lui il momento di lasciare Cerrmor.

A tarda notte, il vecchio era intento a preparare i bagagli quando il nuovo re lo mandò a chiamare. Camlan si era già trasferito negli appartamenti reali ed era fermo accanto al camino, di fronte al quale Nevyn aveva tante volte visto suo padre passeggiare con irrequietezza. Trentenne, di struttura robusta, il nuovo sovrano era attraente quanto lo era stato suo padre, ed era altrettanto alto ed eretto.

— Ho sentito dire che intendi lasciarci — affermò. — Speravo che mi avresti servito come hai fatto con mio padre.

— Il mio signore è molto gentile — replicò Nevyn, sospirando al pensiero delle necessarie menzogne che avrebbe dovuto proferire, — ma la morte di tuo padre è stata un duro colpo per una persona vecchia come me. Non ho più la forza di addossarmi i doveri di corte, mio signore, e desidero soltanto trascorrere nella quiete i miei ultimi anni, onorando la memoria di tuo padre.

— Sentimenti molto nobili. Allora lascia che ti assegni un po’ di terra nelle vicinanze di Cerrmor, come ricompensa per i lunghi anni in cui ci hai serviti.

— Il re è davvero generoso, ma dovrebbe conservare simili favori per uomini più giovani di me. Ho dei parenti che mi ospiteranno, ed è ai parenti che si rivolge sempre la mente di un vecchio.

Quando lasciò Cerrmor, Nevyn si recò dapprima a Cannobaen, per fare visita a Mael e a Gavra. Anche se la guerra infuriava lungo il confine di Eldidd il suo aspetto di vecchio e trasandato erborista gli permise di sgusciare con facilità fra le linee e di puntare indisturbato verso la costa. Sul finire di un dorato giorno d’estate, quando le rose selvatiche erano in piena fioritura lungo la strada, Nevyn raggiunse la fortezza: l’antico stemma dei principi di Aberwyn era stato rimosso dalle porte e al suo posto ce n’era uno nuovo rappresentante due tassi che lottavano e il motto: Noi teniamo duro.

Allorché Nevyn condusse all’interno delle mura il cavallo e il mulo Mael, che adesso appariva abbronzato e vigoroso, gli venne incontro con un grido di saluto e con un ampio sorriso, stringendogli la mano fra le proprie.

— Sono lieto di vederti, ma cosa ci fai qui, tanto lontano dagli importanti affari del regno? — domandò.

— Glyn è morto, ed io ho lasciato la corte.

— È morto? Non lo sapevo.

— Mi sembri rattristato, amico mio.

— In un certo senso lo sono. Quali che siano stati i suoi motivi, Glyn è stato il mecenate più generoso che uno studioso abbia mai avuto. Dopo tutto mi ha nutrito per vent’anni, giusto? Più di un nobile ha ricevuto lunghe dediche per assai meno. Ma ora vieni dentro. Gavra sarà lieta di vederti ed abbiamo una nuova figlia da mostrarti.

Oltre alla nuova nata, Mael aveva anche un altro tesoro da condividere con Nevyn, un libro assai raro che aveva trovato in un tempio di Wmm nel corso di una delle sue rare visite ad Aberwyn. Quella notte, i due fecero a turno nel leggere a voce alta l’antica traduzione di un dialogo scritto da un saggio dei Rhwman, Tull Cicryn, e nei giorni che seguirono più di una volta rimasero alzati fino a tardi per discutere di quei pensieri risalenti all’Alba dei Tempi.

— Questo libro mi è costato una dannata quantità di denaro — commentò Mael. — Gavra ha pensato che fossi impazzito, e forse ha ragione, ma i preti sostengono che si tratta del solo libro di Cicryn che sia sopravvissuto all’esilio.

— È così, ed è un peccato che non ne abbiamo altri. La storia antica sostiene che Cicryn era un uomo molto simile a te, un principe dei Rhwmanes che ha perduto il potere perché ha sostenuto il pretendente sbagliato al trono e che ha poi dedicato alla filosofia il resto della sua vita.

— Spero che il suo esilio non sia stato troppo aspro, ma senza di esso forse non avremmo avuto questi Discorsi Tuscani. Intendo includere le sue argomentazioni contro il suicidio nel mio nuovo libro, perché quella sua immagine centrale è decisamente adatta e impressionante, là dove lui afferma che noi siamo come le sentinelle di un esercito, nominate dagli dèi per ragioni che non possiamo conoscere, e che quindi uccidersi equivale a disertare dal proprio posto.

— Come mi pare di aver commentato all’indirizzo di un giovanissimo principe, molto tempo fa.

— Proprio così — rise con disinvoltura Mael, — e avevi ragione. A questo proposito, c’è una cosa che avevo intenzione di dirti. Se vorrai restare con noi per il resto della tua vita sarai il benvenuto. Non ti posso offrire lo splendore di una corte, ma Cannobaen ha un clima mite d’inverno.

— Sei molto generoso e la tua offerta mi tenta davvero, ma ho dei parenti presso cui andare.

— Parenti? Ma certo, è ovvio che tu abbia dei parenti. Stavo cominciando a pensare che gli uomini del dweomer sbucassero già adulti dal terreno.

— Come i ranocchi dal fango caldo? Non siamo tanto strani… non del tutto, comunque.

Quando se ne andò, Nevyn sgusciò via una mattina all’alba, prima che la famiglia si svegliasse, per evitare a tutti il dolore della separazione. Mentre si allontanava, si girò a guardare il pallido bagliore del faro di Cannobaen che splendeva sulla cima della torre e seppe che non avrebbe mai più rivisto Mael. Gli sarebbe piaciuto avere davvero dei parenti presso cui recarsi, ma i pochi distanti parenti che ancora gli restavano si trovavano presso una delle varie corti in guerra, che ora lui avrebbe dovuto evitare per qualche tempo: semplicemente, doveva far finta di morire. Dopo parecchi anni, un altro Nevyn l’erborista avrebbe potuto presentarsi di nuovo nei luoghi in cui lui era già stato senza che ci fossero persone in grado di porre domande imbarazzanti in merito alla sua vita insolitamente lunga.

Incamminandosi, decise di recarsi in qualche villaggio di confine del territorio di Cantrae, dove avrebbe potuto mettere le sue capacità al servizio della popolazione di quel regno lacerato, e si chiese se avrebbe rivisto Brangwen, che forse era già rinata in un nuovo corpo. Non poteva comunque fare altro che seguire il proprio intuito e lasciare che quella casualità che era qualcosa di più del puro caso lo guidasse. Con un lungo e doloroso sospiro indirizzò il cavallo sulla strada che portava a nord, sentendosi molto stanco nonostante la sua lunghissima esistenza che ad altri uomini sarebbe parsa una cosa meravigliosa.


Mael, Signore di Cannobaen, e sua moglie Gavra vissero molti lunghi anni felici e infine morirono di vecchiaia a pochi giorni di distanza uno dall’altra. A mano a mano che la sua reputazione di saggezza andò crescendo, lui divenne noto come «Mael il Veggente» e venne così inserito in quella categoria di uomini che nell’Alba dei Tempi erano stati conosciuti come «vati». Anche se la gente di Deverry lo chiamava Mael y Gwaedd, nella lingua di Eldidd il suo nome divenne Maelwaedd, un titolo che per lungo tempo venne poi trasmesso ai suoi discendenti.

Загрузка...