PROLOGO INVERNO 1062

Ogni luce proietta un’ombra, e così fa anche il dweomer. Alcuni uomini scelgono di porsi nella luce e altri nell’ombra, quindi siate sempre consapevoli che la posizione da voi occupata è una questione di scelta, e non lasciate che l’ombra strisci su di voi cogliendovi alla sprovvista…

Dal Libro segreto di Cadwallon il Druido


S’incontrarono nelle profondità delle Terre Interiori, in un luogo dove si potevano recare soltanto coloro che avevano conquistato il cuore del dweomer. Il corpo fisico di ciascuno dei presenti giaceva addormentato in stato di trance in una diversa città del regno di Deverry, in modo che la mente fosse libera di assumere una nuova forma e di viaggiare fino a quell’antico boschetto di querce che cresceva sotto un sole mite e gradevole. Per un migliaio di anni i maestri del dweomer che avevano immaginato quel boschetto, ricreandone ogni particolare con la loro mente addestrata e discutendone fra loro i dettagli, erano stati così numerosi che ormai le immagini in questione vivevano in maniera autonoma sul piano astrale, e c’era sempre chi sapeva come raggiungerle.

Coloro che erano adesso riuniti in quel boschetto avevano scelto un aspetto molto semplice per la loro immagine mentale; il volto era uguale a quello fisico, ma il corpo appariva sottile, stranamente attenuato e vestito con una versione stilizzata degli abiti consueti, calzoni e camicia bianca per gli uomini e un vestito dello stesso colore lungo fino alla caviglia per le donne. La scelta del colore bianco non aveva un particolare significato ed era dovuta soltanto al fatto che mantenere quella tinta richiedeva un’energia minore di quella necessaria per i colori vivaci. Una alla volta, le figure apparvero nel boschetto, finché tutti e trentadue i convenuti furono presenti e rimasero a fluttuare al di sopra dell’erba priva di sostanza, in attesa che colui che aveva indetto quella riunione prendesse la parola.

L’uomo in questione era alto e molto anziano, con una massa di folti capelli bianchi e penetranti occhi azzurri. Anche se portava il titolo di Maestro dell’Aethyr, preferiva però essere conosciuto come Nevyn… un nome che era di per se stesso un assurdo perché significava «nessuno». Accanto a Nevyn c’era un individuo basso e snello, con i capelli brizzolati e intensi occhi grigi che gli dominavano il volto: il suo nome era Aderyn, e da un punto di vista strettamente tecnico non aveva nessun diritto di essere presente nel boschetto perché il suo Wyrd non era più legato alla razza umana ma a quella degli elfi, gli Elcyion Lacar, che vivevano ad ovest di Deverry. Aderyn era tuttavia stato chiamato perché poteva offrire una testimonianza in merito agli strani eventi che costituivano la causa di quella riunione.

— Allora, ci siamo tutti? — chiese infine Nevyn. — Dunque, ognuno di voi ha sentito almeno qualcosa di quello che è successo la scorsa estate, giusto?

I presenti annuirono in segno di assenso e le loro immagini mentali imitarono i movimenti che il corpo avrebbe fatto. Dovunque si era infatti diffusa la notizia che in un remoto angolo di una provincia di Eldidd un nobile di nome Corbyn si era ribellato contro il suo signore, la Tieryn Lovyan di Dun Gwerbyn. In condizioni normali, questo non sarebbe stato un evento di tale importanza da interessare il dweomer, perché ribellioni e spargimenti di sangue erano una cosa che si verificava di continuo in Deverry, e i signori avevano eserciti privati con cui fare fronte a simili ribellioni, ma Corbyn era stato assoggettato ad un incantesimo da parte di un uomo del dweomer che era impazzito. Adesso quell’uomo, Loddlaen, era morto e la ribellione era stata schiacciata, ma la questione era tutt’altro che risolta.

— Non appena ho raggiunto Aderyn, qui, per aiutarlo a sconfiggere Loddlaen — proseguì Nevyn, — mi sono subito reso conto che qualcuno lo aveva sottoposto ad un incantesimo e si stava servendo di lui per fini malvagi… e quel qualcuno poteva essere soltanto un maestro del dweomer oscuro. Non appena si è accorto di avere a che fare con me, l’uomo in questione è fuggito, e in base a quello che sono stato in grado di stabilire mi risulta che si sia imbarcato per il Bardek.

I presenti si agitarono a disagio poi Caer, un uomo alto e magro, i cui occhi cangevoli avevano in quel momento una sfumatura verde, fluttuò in avanti per prendere la parola.

— Qual era esattamente l’intento di quel maestro oscuro? — chiese. — Sei poi riuscito a scoprirlo?

— Soltanto in maniera estremamente vaga. La Tieryn Lovyan ha un figlio di nome Rhodry che io stavo sorvegliando da tempo perché alcuni anni fa avevo ricevuto un presagio secondo il quale quel ragazzo aveva un Wyrd d’importanza cruciale per Eldidd. Pare che lo scopo ultimo di questa dannata guerra fosse quello di uccidere Rhodry… vedete, lui era a capo delle truppe di sua madre in qualità di cadvridoc.

— Allora i maestri oscuri devono aver scoperto l’importanza del ragazzo — intervenne una donna di nome Nesta. — Sai quale possa essere il suo Wyrd?

— Il problema dipende in gran parte dal fatto che non ne ho idea, e senza dubbio i nemici ne sanno molto più di me al riguardo, perché i maestri oscuri si tormentano sempre per scoprire cosa riservi il futuro mentre noi preferiamo confidare nella Luce.

Gli altri annuirono, unanimi. I Grandi che si trovavano alle spalle del dweomer, i Signori del Wyrd e i Signori della Luce, non comunicavano mai in maniera chiara e diretta con i loro servitori, per la semplice ragione che quegli spiriti privi di corpo esistevano su un piano inimmaginabilmente lontano dal mondo fisico; per loro era quindi impossibile raggiungerlo, se non per mandare vaghi suggerimenti, sogni e avvertimenti alla mente di coloro che erano addestrati per ricevere simili brevi messaggi. Per quanti camminavano nella Luce tali suggerimenti erano un aiuto sufficiente, mentre i maestri del dweomer oscuro continuavano a tormentare il futuro come una crosta pruriginosa.

— Spero che tu stia proteggendo bene il ragazzo — osservò ancora Caer. — Indubbiamente tenteranno ancora di colpirlo.

— Ecco, questa è una cosa che mi lascia alquanto perplesso — replicò lentamente Nevyn, riflettendo. — Ho trascorso molte ore in meditazione ma non ho ricevuto nessun avvertimento in merito ad altri pericoli che possano riguardarlo… il che è doppiamente strano, se si considera che dopo la fine della guerra Rhodry è stato esiliato dal suo fratello maggiore.

— Cosa? — esclamò Nesta. — Chi è questo fratello maggiore? Io non conosco molto bene la politica di Eldidd.

— Ti chiedo scusa. Si tratta di una vicenda che per me riveste un’enorme importanza, e questo mi ha indotto a dimenticare che altri possono non esservi altrettanto interessati. La madre di Rhodry è Lovyan, una donna che ha ereditato di diritto il tierynrhyn di Dun Gwerbyn tramite la sua appartenenza al clan Cwl Coc; il padre del ragazzo era invece Tingyr, un Maelwaedd di Aberwyn, e adesso il fratello maggiore di Rhodry, Rhys, è il gwerbret di Aberwyn.

Tutti annuirono, come a indicare che quelle informazioni erano sufficienti: per riuscire a capire a fondo la complicata ragnatela di vincoli di sangue e di possedimenti terrieri ad essi connessi esistente fra i nobili era necessario il lungo addestramento di un bardo o di un prete.

— Rhys e Rhodry si sono odiati a vicenda per anni, ma è una cosa che non ha nulla a che vedere con il dweomer o con il Wyrd: si tratta semplicemente di una di quelle sgradevoli forme di avversione che si sviluppano fra fratelli. Così, durante la sua permanenza ad Aberwyn una sera Rhys ha insultato il fratello in maniera tale che Rhodry ha accennato ad estrarre la spada per reagire… ricordate che Rhys è il gwerbret.

— Rhodry è stato fortunato che Rhys non lo abbia fatto impiccare — commentò Caer.

— Proprio così. Vedendo l’opportunità di liberarsi dell’odiato fratello, Rhys l’ha colta al volo, e adesso Rhodry sta vagando lungo le strade ridotto al rango di daga d’argento.

— Davvero? — intervenne ancora Nesta. — Sono sorpreso che tu gli abbia permesso di diventare un soldato mercenario.

— Ti garantisco che non mi è stato possibile avere voce in capitolo, altrimenti non gli avrei certo lasciato fare una cosa simile. In ogni caso, Rhodry costituisce soltanto una piccola parte dei nostri problemi. Nesta, qui, ha individuato il maestro oscuro quando è passato da Cerrmor, ma né lei, né io né i nostri spiriti elementari siamo riusciti a riconoscerlo… anche se noi tutti credevamo ormai di conoscere ogni stolto dedito a quelle oscure pratiche. Ebbene, siamo stati troppo sicuri di noi stessi.

— Inoltre, quell’uomo ci è sfuggito con troppa facilità — aggiunse Nesta, — come se avesse dei rifugi già pronti lungo tutta la strada. Doveva aver progettato e approntato ogni cosa già da molto tempo, e proprio sotto il nostro naso.

Parecchi uomini borbottarono imprecazioni decisamente colorite, e in quel momento Aderyn venne avanti per prendere la parola.

— Quello che mi spaventa, è il fatto che il maestro oscuro sia riuscito a controllare così facilmente Loddlaen, perché la sua mente era più elfica che umana — disse. — Capite cosa questo significhi? Il nostro nemico deve possedere ottime conoscenze delle usanze elfiche, eppure io sono certo entro i limiti del possibile che nessun maestro del dweomer oscuro abbia mai viaggiato nelle terre degli elfi.

— Si tratta di notizie davvero cattive — dichiarò Caer. — La dura verità è che non siamo stati abbastanza vigili. Ora le cose dovranno cambiare.

— Proprio così — convenne Nevyn. — In seguito potremo elaborare con calma i dettagli, ma prima c’è ancora un problema che voglio sottoporre al Consiglio dei Trentadue: durante la recente guerra, centinaia di uomini hanno visto il dweomer operare allo scoperto.

Per un momento, i presenti rimasero immersi in uno sconvolto silenzio, poi le proteste scoppiarono subitanee e fragorose al seguito di quella quiete iniziale, proprio come accade quando si prepara un temporale estivo e il cielo si fa sempre più plumbeo e pesante fino a far tacere gli uccelli… per poi esplodere nel rombo di un tuono improvviso che accompagna la pioggia. Ignorando la tempesta, Nevyn si rivolse ad Aderyn.

— È tempo che tu ci lasci — disse. — Ti contatterò in seguito attraverso il fuoco.

— Benissimo. Invero, avete molte cose di cui discutere.

Mentre l’immagine di Aderyn scompariva dal boschetto, il consiglio cominciò lentamente a calmarsi.

— Questa è una cosa davvero grave — affermò infine Caer, — anche se naturalmente nessuno che viva fuori dell’Eldidd occidentale crederà mai a storie del genere, che con il tempo verranno dimenticate.

— A patto che nessuno le rinfocoli con altre manifestazioni del dweomer.

— Per gli dèi! Credi che quello di costringerci ad uscire allo scoperto fosse uno degli intenti dei maestri oscuri?

— È una possibilità come un’altra, giusto?

Fra i presenti si diffuse un senso di disagio, peraltro giustificato da validi motivi. Nell’Alba dei Tempi, quando il popolo di Bel era giunto a Deverry dalla sua terra d’origine attraversando il mare orientale, i preti che custodivano i boschi di querce e che erano noti come drwiddion avevano usato apertamente il dweomer, con il risultato che gli uomini li avevano temuti e adulati, si erano prostrati davanti a loro, fino a quando la corruzione si era inevitabilmente diffusa. I preti si erano arricchiti e avevano acquisito grandi dimore, avevano modellato le leggi a loro vantaggio e avevano gestito il potere come i nobili… e a poco a poco, di sua iniziativa, il dweomer li aveva abbandonati, fino a quando i loro rituali avevano perso ogni vero contenuto, le loro parole erano state svuotate di ogni potere. Le tentazioni del potere temporale erano state così forti che ben presto i preti avevano dimenticato di aver mai posseduto il vero dweomer e all’epoca di Nevyn anch’essi erano giunti a giudicare qualsiasi storia di preti capaci di operare meraviglie come una semplice fantasticheria degna soltanto delle canzoni di un bardo.

In qualche modo, però, il dweomer era sopravvissuto ed era stato trasmesso in segreto da maestro ad apprendista. Coloro che possedevano il dweomer pronunciavano il solenne giuramento di condurre una vita tranquilla, nascondendo le loro capacità al fine di evitare di essere a loro volta corrotti dall’adulazione e dalle ricchezze. Caer era il capo scudiero nelle stalle del gwerbret di Lughcarn, Nesta era la vedova di un mercante di spezie di Cerrmor, e lo stesso Nevyn conduceva l’esistenza più umile che ci potesse essere, perché era un erborista girovago, che viaggiava attraverso il regno con il suo mulo per curare i mali di chi era troppo povero per potersi permettere di pagare farmacisti e chirurghi. Se quei lunghi anni di segretezza fossero finiti, — era probabile che presto o tardi i maestri del dweorner avrebbero finito di nuovo per soccombere a quelle stesse tentazioni che avevano allontanato i preti dalla via del dweomer.

— E poi c’è un’altra cosa — aggiunse Caer. — La maggior parte della gente del regno ci additerà come streghe o stregoni… che accadrebbe se dovessero decidere di darci la caccia e di sterminarci?

— È vero — convenne Nevyn, — quindi dovremo… — Di colpo s’interruppe, assalito da un pensiero così urgente che nel formularlo lui stesso comprese che veniva da una fonte esterna alla sua mente. Quando riprese a parlare, la sua voce mentale aveva assunto un tono profetico: — È giunto il tempo che il dweomer si mostri, dapprima con cautela ma poi fino ad arrivare al punto che tutti lo usino apertamente.

I presenti avvertirono il tono profetico della sua voce e compresero che i Signori della Luce avevano parlato attraverso il loro servo.

— Oh, per tutti gli inferni! — sussurrò Caer. — Non ho mai creduto che avrei visto giungere questo giorno.

Tutti furono d’accordo con lui, soprattutto lo stesso Nevyn.

— È una cosa che richiede lunghe ore di meditazione — osservò il vecchio, — e vi prometto che dedicherò alla questione tutto il tempo necessario. Ci dovremo muovere con la stessa cautela di un gatto in un bagno pubblico.

I Trentadue discussero ancora per qualche tempo della profezia, giungendo infine alla decisione che Nevyn si sarebbe incaricato di districare quella nuova, intricata matassa, mentre il resto di loro avrebbe continuato a condurre una vita del tutto normale. Infine il consiglio si sciolse e le varie immagini mentali svanirono come una fiamma di candela; Caer e Nevyn indugiarono però ancora nella quiete pacifica del boschetto astrale, mentre intorno a loro gli enormi alberi stormivano come sotto il soffio del vento a mano a mano che le maree astrali cominciavano a cambiare, un mutamento che i due avvertirono come un delicato movimento all’interno della mente.

— Ciò che abbiamo udito oggi è davvero una cosa strana, o Maestro della Terra — commentò allora Nevyn. — Io però intendo sviluppare la cosa, non importa quanto tempo mi ci vorrà.

— Oh, non sono minimamente preoccupato al riguardo. Sei sempre stato cocciuto quanto un maiale in giorno di mercato.

I due si scambiarono un sorriso di sincero affetto. Un tempo, circa quattrocento anni prima, Caer era stato il maestro di Nevyn quando questi aveva affrontato il suo duro apprendistato nel dweomer. Anche se Rhegor… questo era allora il suo nome… aveva condiviso la sorte comune a tutti gli uomini del dweomer ed era già morto e rinato parecchie volte da quell’epoca, Nevyn aveva invece vissuto un’unica, lunga esistenza, sorretto dalle forze elementari di cui aveva il controllo.

Molta gente avrebbe forse desiderato di vivere così a lungo, ma quello era per lui un Wyrd molto aspro da sopportare, perché durante il suo apprendistato aveva commesso un errore che aveva determinato la morte di tre persone innocenti e che lo aveva indotto a pronunciare l’impulsivo voto di non riposare più fino a quando non avesse riparato alla sua colpa.

— Dimmi una cosa — chiese Caer. — Pensi di essere prossimo ad adempiere al tuo voto?

— Non lo so, davvero. Già tante volte in passato ho creduto di essere vicino alla meta soltanto per vedere le cose sfuggire al mio controllo… posso però dirti questo: Gerraent ed io siamo finalmente venuti a patti, il che significa che una parte della catena si è spezzata in maniera definitiva.

— Allora siano ringraziati tutti gli dèi. Ho cercato di avvertirti di non pronunciare quel…

— Lo so, lo so, ed hai perfettamente ragione: sono troppo cocciuto per il mio bene. Oh, dèi, povera Brangwen! Sai, penso ancora a lei con quel nome, sebbene lo abbia portato soltanto per una misera manciata di anni. Ho mancato così gravemente nei suoi confronti, ed anche in quelli di Blaen, ma quando ho giurato che avrei fatto ammenda non pensavo che mi ci sarebbero voluti quattrocento spaventosi anni!

— Non ti attribuire tutta la colpa. Ormai sono passate parecchie esistenze, e tutti e tre hanno fatto del loro meglio per complicare l’intreccio dei rispettivi Wyrd… immagino che in questa vita stiano creando un pasticcio ancora peggiore, vero?

— Pura verità. Brangwen… voglio dire Jill, dannazione… è partita con Rhodry.

— Che suppongo sia la stessa anima che un tempo era conosciuta come Lord Blaen del Cinghiale.

— Proprio così. Mi sono dimenticato di dirtelo? Chiedo scusa ma per gli dèi… la mia mente si fa sempre più confusa con il passare degli anni. Mi chiedo come facciano gli elfi a mantenere così nitida la loro memoria, me lo chiedo davvero.

— Hanno una mente adatta, noi no.

— A volte mi domando per quanto tempo ancora sarò in grado di continuare.

L’immagine di Caer gli scoccò un’occhiata penetrante piena di preoccupazione, e Nevyn distolse lo sguardo, sollevandolo verso gli antichi alberi che si agitavano gentilmente in un mondo che non conosceva decadenza o cambiamenti. A volte, si sentiva così stanco da desiderare di potersi trasformare in un albero come i maghi delle antiche leggende, che alla fine della vita trovavano la pace fondendosi con le querce che adoravano.

— Senti — offrì Caer, — puoi fare affidamento su di me, se mai ti servisse aiuto.

— Ti ringrazio di cuore, e può darsi che finisca per prenderti in parola.

— Bene. A proposito, c’è qualche possibilità che tu passi da Lughcarn prima del sopraggiungere dell’inverno? Fa sempre piacere vedere gli amici in carne ed ossa.

— Senza dubbio, ma verrò forse la prossima primavera, perché per ora devo restare in Eldidd.

— I maestri oscuri sono ancora all’opera?

— No. Sono stato invitato ad un matrimonio.


A quel tempo, la provincia di Eldidd era una di quelle meno fittamente popolate di Deverry, e le città erano una cosa rara nelle sue zone occidentali. La più grande era Dun Gwerbyn, le cui alte mura di pietra contenevano circa cinquecento abitazioni dai tetti di paglia, un paio di locande e tre templi. Su una collina al centro dell’abitato sorgeva il dun, o fortezza, del tieryn: lassù, una seconda cinta di mura circondava le stalle, gli alloggiamenti del contingente di cento uomini che formavano l’esercito del tieryn, un assortimento di baracche che servivano da magazzini e il complesso della rocca vera e propria… una torre rotonda in pietra alta quattro piani ai cui lati erano annesse due torri più basse.

In quella particolare mattina il cortile intorno alla rocca era tutto un fermento di servitori intenti a portare le provviste in cucina, ad accumulare le scorte di legna nei camini della grande sala o a far rotolare grandi botti di birra dai magazzini alla rocca. Vicino alle porte rinforzate in ferro altri servitori s’inchinavano profondamente per accogliere gli ospiti che cominciavano a sopraggiungere per il matrimonio, e poco lontano Cullyn di Cerrmor, capitano delle truppe del tieryn, aveva riunito i suoi uomini nel cortile e li stava passando in rassegna. Per una volta, tutti si erano lavati e rasati ed apparivano presentabili.

— Benissimo, ragazzi — approvò Cullyn, — non avete un brutto aspetto, per essere un branco di mastini. Ora ricordate: oggi saranno presenti qui ogni lord e ogni dama del tierynrhyn, ed io non voglio che qualcuno di voi si ubriachi, così come non voglio che scoppino risse. Tenete a mente che questo è un matrimonio e che la sposa ha il diritto di essere felice, dopo tutto quello che ha passato.

Gli uomini annuirono solennemente all’unisono, ben consapevoli che chiunque avesse dimenticato gli ordini avrebbe avuto modo di pentirsene.

Cullyn precedette quindi il gruppo nella grande sala, un enorme ambiente rotondo che occupava tutto il piano terra della rocca. Quel giorno il pavimento era coperto da stuoie di giunchi intrecciate di fresco, gli arazzi che decoravano le pareti erano stati battuti per liberarli dalla polvere e riappesi, e la sala era affollata da una quantità di tavoli aggiuntivi, perché ciascuno dei numerosi nobili ospiti aveva portato con sé cinque uomini come scorta d’onore. I servitori passavano zigzagando fra la folla con boccali di birra e canestri pieni di pane, un bardo suonava in un angolo senza che quasi nessuno lo sentisse, i soldati giocavano a dadi e scherzavano fra loro, e vicino al camino padronale le nobili dame ciangottavano come uccellini mentre i loro consorti bevevano. Dopo aver fatto sistemare i suoi uomini, Cullyn ripeté loro l’ordine di non causare risse e si avviò verso il tavolo d’onore per inginocchiarsi accanto alla tieryn.

La Tieryn Lovyan costituiva una sorta di anomalia in Deverry, perché era più che raro che una donna governasse in proprio nome un vasto dominio. In origine, quella fortezza era appartenuta a suo fratello, ma quando lui era morto senza eredi Lovyan l’aveva ereditata in virtù di un cavillo legale escogitato apposta per mantenere unite le terre di un clan, anche a costo di farle governare da una donna. A quarantotto anni, Lovyan aveva ancora un aspetto piacevole, con i capelli nerissimi striati di bianco, i grandi occhi azzurri e l’atteggiamento eretto di chi era abituato a comandare; in quel particolare giorno, indossava un abito di seta rossa del Bardek, intorno al quale aveva avvolto il plaid rosso, bianco e marrone del clan Cwl Coc.

— Le truppe sono presenti, mia signora — riferì Cullyn.

— Splendido, capitano. Hai già visto Nevyn?

— No, mia signora.

— Sarebbe tipico da parte sua restarsene alla larga, considerato quanto detesta la folla e le cerimonie, ma se dovessi vederlo digli di venirsi a sedere qui accanto a me.

Rialzatosi, Cullyn s’inchinò e tornò a raggiungere i suoi uomini. Dal posto dove era seduto poteva vedere bene la tavola d’onore, e mentre sorseggiava un bicchiere di birra indugiò ad osservare la sposa, Lady Domilla, una donna bellissima con una massa di capelli castani ora fermati all’indietro come quelli di una ragazza nubile per la formalità del rito nuziale. Nel guardarla, Cullyn provò compassione per lei: il primo marito di Domilla, il Gwerbret Rhys, l’aveva recentemente ripudiata perché sterile, e se Lovyan non le avesse trovato un altro marito Domilla sarebbe dovuta tornare alla fortezza del fratello, per sempre coperta di vergogna. Il suo nuovo sposo, Lord Garedd, era un uomo più anziano di lei di qualche anno, con i capelli e i folti baffi biondi striati di grigio e con un aspetto abbastanza piacevole; secondo quanto affermavano i suoi soldati, Garedd era un uomo d’onore, calmo e moderato in tempo di pace e del tutto spietato in guerra. Inoltre, il nobile era vedovo ed aveva una quantità di bambini, cosa che lo rendeva più che lieto di prendere una nuova moglie giovane e bella, indipendentemente dal fatto che fosse o meno sterile.

— Garedd sembra davvero infatuato di lei, non trovi? — commentò Nevyn.

Con uno strillo di sorpresa Cullyn si voltò e vide il vecchio che lo fissava sorridendo: eretto sulla persona, con le mani piantate sui fianchi, Nevyn dimostrava ancora il vigore e la resistenza di un ragazzo anche se il suo volto era segnato e logoro quanto un vecchio sacco di cuoio.

— Non volevo spaventarti — aggiunse, con un astuto sogghigno.

— Non ti avevo visto entrare!

— Non stavi guardando dalla mia parte, ecco tutto. Garantisco che non mi sono reso invisibile, anche se ammetto di averti giocato un piccolo scherzo.

— E senza dubbio io ci sono cascato in pieno. Senti, la tieryn vuole che tu ti vada a sedere accanto a lei.

— Al tavolo d’onore? È una dannata seccatura, ed è un bene che abbia indossato una camicia pulita.

A quel commento, Cullyn scoppiò a ridere. Nevyn vestiva sempre come un contadino, con trasandati indumenti di stoffa marrone, ma quel giorno aveva indossato una camicia bianca con lo stemma di Lovyan, un leone rosso, ricamato sullo sprone, e un paio di rattoppati ma dignitosi calzoni grigi.

— Prima che tu vada, hai qualche… ecco, qualche notizia della mia Jill? — chiese Cullyn.

— Quello che vuoi dire è se di recente ho avuto modo di osservarla mediante il dweomer. Vieni con me.

I due uomini si diressero verso il secondo camino, dove un maiale intero stava arrostendo allo spiedo, e per un momento Nevyn indugiò a fissare con espressione intenta le fiamme.

— Vedo Jill e Rhodry, che sembrano di ottimo umore — disse infine. — Stanno camminando nelle strade di una città in una bella giornata di sole, diretti verso una bottega. Aspetta! Conosco quel posto: è la bottega di Otho il Gioielliere, a Dun Manannan, ma al momento lui sembra essere assente.

— Non è che puoi dirmi se lei aspetta un figlio, vero?

— Se anche è così, non si nota ancora. Posso capire la tua preoccupazione.

— È una cosa che prima o poi succederà, e spero soltanto che quando accadrà lei abbia abbastanza buon senso da tornare a casa.

— Non le è mai mancato il buon senso.

Pur dovendo dirsi d’accordo, Cullyn continuò a preoccuparsi, perché dopo tutto Jill era la sua unica figlia.

— Mi auguro che abbiano abbastanza denaro per superare l’inverno — aggiunse.

— Fra tutti e due gliene abbiamo dato a sufficienza, sempre che Rhodry non lo consumi tutto nel bere.

— Oh, Jill non gli permetterà di farlo. La mia ragazza è tirchia quanto una vecchia massaia nello spendere anche una dannata moneta di rame — replicò Cullyn, con un accenno di sorriso. — Se non altro, lei sa dannatamente bene come si percorre la lunga strada.


Siccome il materasso era pieno di pulci, Rhodry preferì sedersi sul pavimento della piccola camera che avevano affittato in una locanda, osservando Jill che era intenta a rammendare uno strappo della sua camicia con la fronte aggrottata per la concentrazione. Jill indossava un paio di sporchi calzoni azzurri e una semplice camicia bianca di lino di taglio maschile, e sebbene anche i suoi capelli dorati fossero tagliati corti come quelli di un uomo, lei appariva comunque talmente bella, con i grandi occhi azzurri, i lineamenti delicati e la bocca morbida, che Rhodry adorava semplicemente restare a guardarla.

— Ah, per la nera anima del Signore dell’Inferno! — imprecò infine Jill. — Dovrà andare bene così… io detesto cucire!

— I miei umili ringraziamenti per esserti abbassata a rammendare i miei abiti.

Con un altro ringhio, Jill gli turò in faccia la camicia; ridendo, lui scrollò l’indumento e fissò il lino un tempo candido e ora chiazzato di ruggine dagli anelli di metallo della cotta di maglia. Sugli sproni spiccava lo stemma del leone rosso, tutto quello che gli rimaneva della sua vecchia vita in cui era stato erede del tierynrhyn di Dun Gwerbyn. Infilatosi la camicia, affibbiò intorno ad essa la cintura, appendendovi a sinistra la spada… una splendida arma del migliore acciaio con l’elsa lavorata a forma di drago… e a destra la daga d’argento che lo marchiava come un uomo disonorato. Quella daga era il contrassegno di una banda di mercenari che viaggiavano per il regno, da soli o in coppie, e combattevano soltanto per denaro e non per lealtà o per onore. Nel caso particolare di Rhodry, la daga denunciava in lui anche una stranezza ancora maggiore, ed era questo il motivo per cui i due si trovavano a Dun Manannan.

— Pensi che ormai il gioielliere sia rientrato nella bottega? — chiese Rhodry.

— Non ne dubito. È una cosa rara che Otho se ne assenti, anche per breve tempo.

Insieme, i due uscirono nelle vie della città priva di mura, formata da uno sparso agglomerato di botteghe e di case rotonde dal tetto di paglia che si allargavano lungo un fiume, sulla cui riva erano attraccate parecchie barche da pesca dall’aspetto così logoro e malandato da far dubitare della loro capacità di stare ancora a galla.

— Non vedo come questa gente possa ricavare di che vivere dal mare — commentò Rhodry.

— Zitto! — Jill si guardò intorno per accertarsi che nelle vicinanze non ci fosse nessuno, e quando riprese a parlare lo fece comunque in un sussurro. — Hanno una ragione per dare l’impressione che quelle barche siano vecchie e malandate. Sotto i pesci, spesso arrivano anche carichi meno raccomandabili.

— Per gli dèi! Vuoi dire che ci troviamo in un covo di contrabbandieri?

— Proprio così, ma parla piano!

La bottega di Otho era al limite estremo della città, in fondo ad un sentiero sterrato di fronte ad un campo di cavoli. Rhodry fu lieto di vedere che la porta non era più sprangata; quando Jill aprì il battente, in alto si udì il tintinnio di un campanello d’argento.

— Chi è? — tuonò una voce profonda.

— Sono Jill, la figlia di Cullyn di Cerrmor, ed ho con me un’altra daga d’argento.

Rhodry la seguì in una stanza vuota, costituita da una piccola fetta triangolare della casa rotonda, separata dal resto mediante sporchi pannelli di vimini, in uno dei quali era inserita una logora coperta verde che svolgeva le mansioni di una porta; spingendo di lato la coperta, Otho sbucò nella stanza esterna. Anche se era alto appena un metro e quaranta, il gioielliere era perfettamente proporzionato e aveva braccia così muscolose da poter essere scambiato per un minuscolo fabbro; il suo volto, circondato da una folta e ordinata barba grigia, era illuminato da astuti occhi neri.

— Bene, Jill, sei proprio tu — commentò il gioielliere. — Mi fa piacere rivederti. Dov’è tuo padre, e chi è questo ragazzo?

— Pa è in Eldidd, dove si è conquistato un posto come capitano della banda di guerra della tieryn.

— Davvero? — sorrise Otho, sinceramente contento. — Ho sempre pensato che fosse un uomo troppo in gamba per portare una daga d’argento… ma tu cos’hai combinato? Sei forse scappata con questo bel tomo?

— Un momento! — ringhiò Rhodry. — È stato Cullyn a darle il permesso di venire con me!

Otho espresse con uno sbuffo la sua profonda incredulità.

— È vero — intervenne Jill. — Pa si è perfino reso garante per lui accogliendolo fra le daghe d’argento.

— Davvero? — Pur mostrandosi ancora sospettoso, il gioielliere decise di lasciar cadere l’argomento. — E cosa ti porta da me, ragazzo? Hai un po’ di bottino da vendere?

— No. Sono qui a causa della mia daga d’argento.

— Non l’avrai per caso intaccata o qualcosa del genere, vero? Non vedo in che modo potresti essere riuscito a danneggiarne il metallo.

— Vuole che la sua daga venga liberata dal dweomer — spiegò Jill. — Puoi farlo, Otho? Puoi rimuovere l’incantesimo posto sulla lama?

Il gioielliere si girò verso di lei, a bocca aperta per la sorpresa.

— So benissimo che quella lama è sottoposta ad un incantesimo — proseguì la ragazza. — Rhoddo, tirala fuori e mostragliela.

Con riluttanza, Rhodry estrasse la daga dal fodero: era un’arma splendida con la lama lucida come l’argento ma al tempo stesso più dura dell’acciaio, formata con una lega particolare che pochissimi sapevano forgiare. Su di essa era intagliato il simbolo di un falco in picchiata (quello un tempo usato da Cullyn, a cui la daga era appartenuta), ma adesso lo stemma era quasi invisibile perché in mano a Rhodry un intenso bagliore di luce creata dal dweomer scorreva come acqua lungo tutta la lama.

— Hai del sangue elfico nelle vene, vero? — scattò Otho. — E parecchio, per di più.

— Ecco, ne ho un poco — ammise con riluttanza Rhodry. — Vengo dall’ovest, vedi, e quel vecchio proverbio secondo cui ci sarebbe sangue elfico in Eldidd è in effetti pieno di verità.

Quando Otho afferrò l’arma, la luce si ridusse ad un tenue bagliore.

— Non ho intenzione di permetterti di entrare nel mio laboratorio — annunciò quindi il gioielliere. — Quelli del tuo popolo sono tutti ladri, non possono evitarlo immagino, e suppongo che anche tu sia stato allevato in questo modo.

— Per tutti gli dèi, io non sono un ladro! Sono un Maelwaedd per nascita e per educazione, e non è certo colpa mia se da qualche parte nel mio clan c’è del dannato sangue elfico!

— Hah! Comunque non intendo permetterti di entrare nel laboratorio — dichiarò Otho, poi si girò e si rivolse ostentatamente a Jill. — Quello che mi chiedi è molto difficile, ragazza, perché io non possiedo il vero dweomer. Questo incantesimo è il solo che sono in grado di fare e non capisco neppure in che modo ci riesco: è soltanto una cosa che ci tramandiamo di padre in figlio… almeno quelli di noi che sono in grado di realizzarla.

— È ciò che temevo — replicò Jill, con un sospiro, — ma dobbiamo fare qualcosa per questo problema. Rhodry non può usare quella daga a tavola finché la lama continua a manifestare il dweomer ogni volta che lui la impugna.

Otho rifletté per un momento, mordendosi distrattamente il labbro inferiore.

— Ecco, se fosse una daga qualsiasi mi limiterei a darvene in cambio una nuova priva d’incantesimo, ma dal momento che è quella di Cullyn cercherò di liberarla dal dweomer. Forse ripetere la procedura a rovescio sarà sufficiente ad attenuare l’incantesimo… ma vi costerà parecchio, perché è rischioso mettere le mani in cose del genere.

Dopo un paio di minuti di accese contrattazioni Jill sborsò cinque monete d’argento, all’incirca la metà del prezzo inizialmente richiesto da Otho.

— Tornate al tramonto — disse infine il gioielliere. — Per allora sapremo se ho avuto successo o meno.

Rhodry trascorse il pomeriggio alla ricerca di un lavoro. Anche se l’inverno ormai troppo vicino aveva portato ad una cessazione di qualsiasi attività bellica, il giovane trovò un mercante che doveva trasportare fino a Cerrmor un carico di merci; sebbene fossero uomini disonorati, le daghe d’argento erano molto richieste come scorte per le carovane, perché appartenevano ad una banda la cui reputazione imponeva ai suoi membri un comportamento onesto. Non tutti potevano infatti diventare una daga d’argento: un guerriero che fosse abbastanza disperato da essere disposto ad accettare la daga, doveva trovare un’altra daga d’argento e restare in sua compagnia per qualche tempo per dare prova di sé, prima che gli fosse permesso di incontrare uno di quei rari fabbri che servivano la banda. Soltanto allora poteva «imboccare la lunga strada», come dicevano le daghe d’argento riferendosi alla loro esistenza.

Se Otho fosse riuscito ad attenuare l’incantesimo, Rhodry non sarebbe più stato costretto a tenere la daga nel fodero per timore di rivelare la propria particolare ascendenza. Impaziente, il giovane costrinse praticamente Jill a trangugiare la cena e ad avviarsi verso la bottega del gioielliere un po’ prima del tramonto. Al loro arrivo scoprirono che adesso la barba di Otho era molto più corta e che le sue sopracciglia erano praticamente scomparse.

— Avrei dovuto sapere che non era il caso di fare un favore ad un dannato elfo — annunciò il gioielliere.

— Accetta tutte le nostre umili scuse, Otho — replicò Jill, afferrandogli la mano e stringendola con calore. — Sono davvero felice che non ti sia ustionato in modo grave.

Tu ne sei felice? Hah! Vieni qui, ragazzo.

Quando Rhodry prese in mano la daga, la lama mantenne il suo aspetto ordinario, senza traccia di bagliore, e nel riporla nel fodero lui sorrise con sollievo.

— Ti ringrazio di cuore, buon gioielliere — disse. — Davvero vorrei poterti meglio ricompensare per il rischio che hai corso.

— Lo vorrei anch’io, ma voi elfi siete tutti così: una quantità di belle parole ma niente monete.

— Otho, per favore — intervenne Jill. — La componente elfica di Rhodry è davvero minima.

— Hah! Questo è quello che pensi tu, giovane Jill! Hah!


Per tutto il giorno il Popolo continuò ad affluire all’alardan. A piccoli gruppi, sospingendo davanti a loro le mandrie di cavalli e i greggi di pecore, gli Elcyion Lacar conversero su un prato erboso così ad ovest di Eldidd che nessun essere umano lo aveva mai visto, e dopo aver avviato gli animali al pascolo alzarono le loro tende di cuoio, dipinte a colori vivaci con disegni di animali e di fiori. Bambini e cani presero a correre per il campo, i fuochi per la cena fiorirono un po’ dappertutto, il profumo del cibo si fece intenso nell’aria. Al tramonto, le tende erano almeno un centinaio, e quando anche l’ultimo fuoco si accese una donna intonò il canto della lunga e dolente storia di Donabel e del suo perduto amore, Adario. Un arpista cominciò ad accompagnarla, poi un suonatore di tamburo, e infine qualcuno tirò fuori un conaber… uno strumento formato da tre canne congiunte.

Devaberiel Mano d’Argento, che tutti giudicavano il migliore bardo che si potesse trovare in quella parte delle terre elfiche, prese in considerazione l’eventualità di estrarre dai bagagli la sua arpa e di unirsi agli altri, ma semplicemente aveva troppa fame. Munitosi di una ciotola di legno e di un cucchiaio, lasciò quindi la sua tenda e prese ad aggirarsi per il campo in festa. Ogni singolo gruppo… o alar, per usare il termine elfico… aveva approntato enormi quantità di un particolafe piatto, e adesso tutti stavano gironzolando da un fuoco all’altro, mangiando un po’ qui e un po’ lì ciò che più preferivano fra il protrarsi della musica, delle chiacchiere e delle risa. Devaberiel, in particolare, stava cercando Manaverr, il cui alar arrostiva per tradizione un agnello intero in una fossa scavata nel terreno.

Finalmente, il bardo trovò l’alar in questione al limitare del campo. Un paio di giovani stavano proprio in quel momento tirando fuori l’agnello dalla fossa, mentre gli altri stavano approntando il letto di foglie pulite su cui esso sarebbe stato deposto. Manaverr in persona si affrettò a venire ad accogliere il bardo; il capo dell’alar aveva i capelli così chiari da apparire quasi bianchi e le sue pupille simili a quelle di un gatto erano di un profondo color porpora. Ciascuno dei due posò la mano sinistra sulla spalla destra dell’altro in segno di saluto.

— È un grande raduno — osservò poi Manaverr.

— Tutti sapevano che tu saresti stato presente per arrostire l’agnello.

Manaverr scoppiò a ridere, scrollando il capo. In quel momento un piccolo spiritello verde apparve improvvisamente, appollaiato sulla sua spalla; quando l’elfo allungò una mano per accarezzarlo, lo spiritello sorrise, esibendo una bocca piena di denti aguzzi.

— Non hai ancora visto Calonderiel? — domandò quindi al bardo.

— Il capo guerriero? No, perché?

— Sta continuando a chiedere ad ogni bardo, che riesce a trovare informazioni su un punto oscuro della genealogia di qualcuno, e probabilmente presto o tardi finirà per interpellare anche te.

Improvvisamente lo spiritello gli tirò i capelli e svanì prima che Manaverr avesse il tempo di assestargli una pacca. Adesso l’alardan era pieno di esseri del Popolo Fatato, che correvano di qua e di là con la stessa eccitazione dei bambini: spiritelli,gnomi, silfidi e salamandre, quelli erano gli spiriti degli elementi, che a volte assumevano un aspetto solido anche se la loro vera dimora era altrove nei molti strati che componevano l’universo… Devaberiel non era del tutto certo di dove si trovasse tale dimora, perché quelle erano cose note soltanto a chi possedeva il dweomer.

Con un ultimo sforzo gli uomini riuscirono a tirare fuori l’agnello, avvolto in un rozzo panno bruciacchiato, e lo lasciarono cadere sulle foghe: il profumo della carne arrostita, fortemente speziata e farcita di frutta era così invitante che Devaberiel si avvicinò maggiormente senza neppure accorgersene… ma era destino che dovesse attendere per avere la sua porzione, perché in quel momento il capo guerriero Calonderiel, che somigliava molto a suo cugino Manaverr, sopraggiunse a grandi passi e lo chiamò.

— Qual è questa tua misteriosa domanda? — gli chiese subito il bardo.

— È soltanto una mia curiosità — replicò Calonderiel. — Sai che sono andato con Aderyn quando lui è partito per dare la caccia a Loddlaen, vero?

— Ho sentito raccontare qualcosa in proposito.

— Benissimo. In viaggio, ho incontrato un condottiero umano che si chiamava Rhodry Maelwaedd, un ragazzo di vent’anni che stranamente ha nelle vene una buona dose del nostro sangue. Mi stavo chiedendo se per caso tu sapevi in che modo esso potesse essere entrato nel suo clan.

— Una donna del Popolo dell’Ovest ha sposato Pertyc Maelwaedd nel… oh, quando è stato… ecco, circa duecento anni fa.

— Una cosa tanto remota? Ma io ho visto Rhodry maneggiare un pezzo di argento lavorato dai nani, ed esso brillava nelle sue mani.

— Davvero? Allora non si può trattare di una parentela così distante. Come si chiama suo padre?

— Tingyr Maelwaedd, e sua madre è Lovyan del clan Cwl Coc.

Per un momento, Devaberiel rimase perfettamente immobile. Quando era stato? Poteva ancora vedere nella mente il volto di lei: era una splendida ragazza nonostante gli orecchi tozzi e gli occhi rotondi, ed era così malinconica per qualche motivo. Ma quando era successo? Si era trattato di quell’estate insolitamente secca… sì, certo, il che significava che erano passati esattamente ventuno anni.

— Oh, per il Sole Oscuro — esplose infine il bardo. — Non ho mai saputo che Lovva avesse avuto un figlio da me!

— Non trovi che sia davvero ironico? — scoppiò a ridere Calonderiel. — Di certo ho scelto il bardo più indicato a dare una risposta alla mia domanda. Hai davvero una strana passione per le donne con gli orecchi arrotondati, amico mio.

— Non sono poi state così tante!

Quando Calonderiel scoppiò a ridere, il bardo accennò ad assestargli un pugno.

— Smettila di ululare come un orchetto! Voglio sapere tutto su questo mio figlio, ogni dettaglio che riesci a ricordare.


Non molti giorni più tardi, Rhodry costituì l’argomento di un’altra discussione, che si svolse però nel Bardek, al di là del Mare Meridionale. In una stanza al piano superiore di una villa isolata, nelle profondità di una zona collinosa dell’isola principale, due uomini seduti su un divano color porpora erano intenti ad osservarne un terzo che sedeva invece ad un tavolo coperto di libri e di rotoli di pergamena. Il terzo uomo era disgustosamente grasso, floscio e grinzoso come una vecchia e lacera palla di cuoio, e sul suo cranio dalla pelle scura rimanevano soltanto pochi ciuffi di capelli bianchi; ogni volta che sollevava lo sguardo, le palpebre gli si abbassavano in maniera incontrollabile, nascondendo parzialmente gli occhi castani. Quell’uomo si era immerso così totalmente e così a lungo nello studio del dweomer oscuro che non aveva più neppure un nome: adesso era soltanto il Vecchio.

I due visitatori seduti sul divano erano entrambi originari di Deverry. Alastyr, che dimostrava cinquant’anni ma che era in effetti vicino alla settantina, era un individuo robusto con il volto squadrato e i capelli grigi; a prima vista, aveva il tipico aspetto dei mercanti di Cerrmor, con i calzoni a scacchi e la camicia ricamata, e in effetti badava sempre a recitare con cura quella parte. Il suo compagno, Sarcyn, aveva appena compiuto i trent’anni; con i capelli biondi, gli occhi di un azzurro intenso e i lineamenti regolari, sarebbe apparso attraente se non ci fosse stato qualcosa nel modo in cui sorrideva e nell’espressione rovente dei suoi occhi, che induceva la gente a trovarlo repellente.

Entrambi i visitatori rimasero in assoluto silenzio fino a quando il Vecchio non sollevò lo sguardo, piegando la testa all’indietro in modo da poterli vedere bene.

— Ho riesaminato tutti i calcoli principali — affermò, con voce che somigliava al rumore di due rami secchi sfregati uno contro l’altro. — Qui c’è all’opera qualcosa di nascosto che non riesco a capire… un segreto, o forse una forza messa in opera dal Destino, che ha interferito con i nostri piani.

— Non si potrebbe essere trattato semplicemente dell’intervento del Maestro dell’Aethyr? — domandò Alastyr. — Loddlaen se la stava cavando in maniera splendida finché non è entrato in gioco lui.

Il Vecchio scosse il capo e raccolse un fascio di pergamene.

— Questo è l’oroscopo di Tingyr, il padre di Rhodry. La mia arte è molto complessa, piccolo Alastyr, e un singolo oroscopo rivela pochi segreti.

— Capisco. Non me ne ero reso conto.

— Non ne dubito, perché pochi conoscono le stelle bene quanto me. Ora, la maggior parte della gente pensa che quando un uomo muore il suo oroscopo non serva più, ma l’astrologia è l’arte dello studio degli inizi, e qualsiasi sia il modo in cui un uomo inizia la sua vita… come figlio, per esempio… l’influenza delle sue stelle continua anche dopo la morte. Quando ho correlato questo oroscopo con certi transiti di stelle, è parso chiaro che quest’estate Tingyr avrebbe perso un figlio mediante un inganno da parte di qualcuno. Dal momento che le carte astrali dell’altro fratello indicavano che lui non correva pericolo, era quindi ovvio che il figlio destinato a morire fosse Rhodry.

— L’anno non è ancora finito, e sarebbe facile mandare un assassino a dargli la caccia.

— Facile e del tutto inutile. I presagi indicano con chiarezza che lui morirà in battaglia. Hai forse dimenticato tutto quello che ti ho insegnato?

— Ti porgo le mie umili scuse.

— Inoltre, l’anno di Deverry termina con Samaen, quindi ormai ci resta meno di un mese. No, è come ho detto io: qui è all’opera qualche fattore nascosto. — Il Vecchio lasciò indugiare lo sguardo sul tavolo carico di carte, poi riprese: — Tuttavia, mi sembrava di possedere tutte le informazioni necessarie, e questo potrebbe presagire male… per tutti noi. No, Alastyr, non manderemo nessun assassino e non useremo nessun mezzo drastico fino a quando non avrò districato questo enigma.

— Faremo come desideri, naturalmente.

— Naturalmente. — Il Vecchio raccolse uno stilo d’osso e batté con esso qualche colpetto su un’altra pergamena. — Anche questa donna mi lascia perplesso… invero Jill mi sconcerta molto, perché nei presagi non c’era nulla che parlasse di una donna capace di combattere come un uomo. Vorrei raccogliere maggiori informazioni sul suo conto, se possibile perfino la sua data di nascita, in modo da poter analizzare le sue stelle.

— Farò ogni sforzo per portarti al mio ritorno ciò che ti serve. Con un cenno di approvazione che fece tremare i suoi molteplici menti, il Vecchio spostò la propria mole sulla sedia.

— Manda il tuo apprendista a prendere il mio pranzo — ordinò.

Alastyr rivolse un cenno a Sarcyn, che si alzò con pronta obbedienza e lasciò la stanza; quando fu uscito, il Vecchio indugiò per qualche momento a contemplare la porta chiusa.

— Quell’uomo ti odia — affermò infine.

— Davvero? Non me ne ero reso conto.

— Senza dubbio sta facendo di tutto per nasconderlo. Ora, è giusto e normale che un apprendista sia in lotta costante con il suo maestro, perché in quale modo può l’uomo imparare al meglio se non lottando per acquisire il sapere? Ma l’odio è una cosa molto pericolosa.

Alastyr si chiese se il Vecchio avesse scorto un presagio indicante che Sarcyn costituiva una concreta minaccia, ma sapeva che il maestro non lo avrebbe mai detto, se non dietro pagamento di un prezzo considerevole: il Vecchio era il maggiore esperto vivente di quella particolare branca del dweomer oscuro che consisteva nello strappare accenni di eventi futuri ad un universo restio a rivelarli.

La sua personale versione distorta dell’astrologia rientrava in quell’arte, che richiedeva molta meditazione e una pericolosa forma di esplorazione astrale; dal momento che era prezioso e a suo modo scrupolosamente onesto, il Vecchio godeva di un rispetto e di una lealtà che erano una cosa rara fra coloro che possedevano il dweomer oscuro ed era, in senso limitato, ciò di più simile ad un capo che la loro «confraternita» avesse mai avuto.

Poiché la sua età e la sua mole lo costringevano a restare confinato in quella villa, Alastyr aveva stipulato con lui un accordo in base al quale si era accollato quella parte del lavoro del Vecchio che richiedeva viaggi e spostamenti in cambio di un aiuto nei propri progetti.

Alcuni minuti più tardi Sarcyn tornò con un vassoio su cui era posata una ciotola, e dopo aver deposto il tutto davanti al Vecchio tornò a sedersi accanto ad Alastyr. La ciotola conteneva carne fresca di un animale appena ucciso, mescolata con il sangue ancora caldo… un cibo necessario per gli anziani maestri delle arti oscure. Il Vecchio immerse con delicatezza un dito nella ciotola e lo leccò.

— Ora, veniamo al tuo lavoro — disse. — I tempi sono ormai maturi per ottenere quello che cerchi, ma dovrai essere molto cauto. So che hai preso parecchie precauzioni, ma ricorda la cura con cui abbiamo lavorato per eliminare Rhodry… e tu sai bene quanto me come sono andate a finire le cose.

— Ti garantisco che sarò costantemente sul chi vive.

— Bene. La prossima estate una certa configurazione di pianeti sarà ostile nell’oroscopo del Sommo Re di Deverry, e questo raggruppamento sarà a sua volta influenzato da sottili fattori che esulano dalla tua comprensione. Tutti questi presagi esaminati complessivamente indicano che il re potrebbe perdere un potente custode, se qualcuno decidesse di operare per sottrarglielo.

— Splendido! Il gioiello che cerco è proprio un custode del genere.

Il Vecchio si concesse una pausa per raccogliere un altro po’ di carne sanguinante.

— Questo è tutto molto interessante, piccolo Alastyr. Finora hai mantenuto la tua parte dell’accordo, forse perfino meglio di quanto tu sappia. Sono accadute cose così strane — affermò, in tono quasi sognante. — Cose molto, molto interessanti. Quando tornerai da Deverry, vedremo se ti saranno accaduti altri fatti strani. Capisci cosa intendo? Dovrai stare continuamente in guardia!

Alastyr avvertì una morsa gelida serrargli lo stomaco. Era stato avvertito, sia pure con la massima circospezione, che il Vecchio sentiva di non potersi più fidare delle proprie predizioni.


In ginocchio nella sua tenda di cuoio rosso, Devaberiel Mano d’Argento stava rovistando metodicamente in una sacca appesa alla parete e ricamata con rose e viticci. Dal momento che la sacca era piuttosto grande, gli ci volle qualche tempo per trovare quello che stava cercando; con irritazione, frugò in mezzo ai vecchi trofei vinti nelle gare di canto, spinse da un lato il primo goffo ricamo realizzato da sua figlia, due fibbie d’argento spaiate, una bottiglia di profumo del Bardek, un cavallo intagliato nel legno regalatogli da una donna che aveva amato e di cui aveva dimenticato il nome. Proprio in fondo, s’imbatté infine in un sacchettino di cuoio tanto vecchio che cominciava a creparsi.

Apertolo, si fece cadere sul palmo della mano l’anello in esso contenuto: anche se era fatto di argento dei nani ed era quindi ancora lucido come il giorno in cui lo aveva conservato, l’anello non era permeato da nessuna forma di dweomer… almeno nessuna che i saggi e gli uomini del dweomer fossero in grado di individuare. Si trattava di una fascetta d’argento larga poco meno di un centimetro su cui era inciso all’esterno un motivo di rose, mentre all’interno c’erano alcune parole in caratteri elfici appartenenti però ad una lingua ignota. Durante tutti i duecento anni in cui quell’anello era stato in suo possesso, Devaberiel non aveva ancora trovato un saggio capace di decifrare quella scritta.

Anche il modo in cui era entrato in possesso dell’anello era altrettanto misterioso. A quell’epoca, Devaberiel era un giovane che aveva appena finito il suo addestramento come bardo e stava viaggiando con l’alar di una donna che gli piaceva in maniera particolare; un pomeriggio, un viandante in sella ad uno splendido stallone dorato era giunto al campo, e quando si era avvicinato per accoglierlo insieme ad un paio di altri uomini, Devaberiel aveva ricevuto una notevole sorpresa. Anche se da lontano lo sconosciuto appariva come un comune uomo del Popolo, con i capelli scuri e gli occhi nerissimi degli originari del lontano ovest, da vicino era difficile stabilire con esattezza quale fosse il suo aspetto. Sembrava che i suoi lineamenti e la sua figura cambiassero in maniera continua anche se quasi impercettibile: la bocca era ora ampia ora sottile, e la sua statura appariva ora più alta ora più bassa. L’uomo era sceso di sella e aveva guardato il gruppetto venuto ad accoglierlo.

— Desidero parlare con Devaberiel il bardo — aveva annunciato.

— Sono io.

— Eccellente. Ho qui un dono per uno dei tuoi figli, giovane bardo, perché ne avrai più di uno. Quando ciascuno di essi nascerà, consultati con qualcuno che sia esperto nel dweomer, e così saprai a chi di essi dovrà andare il dono.

Lo sconosciuto gli aveva quindi porto il sacchettino con l’anello, e per un istante i suoi occhi erano parsi più azzurri che neri.

— Ti ringrazio, buon signore, ma chi sei?

Lo straniero si era limitato a sorridere mentre rimontava in sella, e si era allontanato senza aggiungere una sola parola.

Nel corso degli anni successivi, Devaberiel non aveva scoperto nulla di più sull’anello o sul suo misterioso donatore… né i saggi né gli esperti del dweomer avevano potuto aiutarlo. Alla nascita di ciascuno dei suoi due figli aveva obbedientemente consultato qualcuno che possedesse il dweomer, ma ogni volta i presagi erano stati contrari alla trasmissione del dono. Adesso, però, si era ritrovato di colpo con un terzo figlio. Tenendo in mano l’anello, il bardo si avvicinò alla soglia della tenda e guardò fuori: una pioggerella fredda e grigia stava cadendo sul campo e il vento era pungente. Il suo sarebbe stato un viaggio disagevole, ma era deciso a trovare la donna del dweomer che sembrava possedere la maggiore affinità con l’anello, perché sapeva che la curiosità non gli avrebbe permesso di riposare fino a quando non avesse scoperto se esso apparteneva davvero al giovane Rhodry ap Devaberiel, che si credeva ancora un Maelwaedd.


Sospinta da un vento gelido, la pioggia si abbatteva sferzante sulle grigie strade di Cerrmor, per cui Jill e Rhodry non potevano fare molto di più che starsene rintanati come volpi nella locanda presso le porte settentrionali. Dal momento che avevano soldi a sufficienza per trascorrere tutto l’inverno al caldo e senza patire la fame, Jill si sentiva felice e ricca quanto un nobile, ma Rhodry era invece scivolato in un umore nero che poteva essere descritto soltanto con l’intraducibile termine di hiraedd… un doloroso e malinconico desiderio per qualcosa d’irraggiungibile.

Il giovane se ne stava seduto per ore nella sala comune della taverna, accasciato in avanti con lo sguardo fisso sul suo boccale di birra mentre dentro di sé continuava a riflettere sul suo disonore. Nulla di ciò che Jill diceva o faceva sembrava in grado di riscuoterlo da quello stato d’animo e alla fine, sebbene le dolesse il cuore ad agire così, la ragazza si decise a lasciarlo al suo silenzio.

Se non altro di notte, quando salivano nella loro camera, poteva usare baci e carezze per rincuorarlo. Dopo che si erano amati, lui rimaneva felice per un po’ e parlava con lei tenendola stretta a sé; infine scivolava nel sonno, e spesso Jill restava sveglia a fissarlo come se fosse stato un rompicapo da risolvere. Rhodry era un uomo alto e muscoloso ma snello dalle spalle ai fianchi, con lunghe mani sensibili che tradivano il suo sangue elfico; anche se i capelli corvini e gli occhi azzurri erano tipici degli uomini di Eldidd, non c’era però nulla di tipico nel suo volto avvenente dai lineamenti così perfetti che sarebbero parsi quasi femminei se non fosse stato per le varie piccole cicatrici che lui aveva collezionato combattendo. Avendo avuto modo di incontrare qualche uomo degli Elcyion Lacar, Jill sapeva che anche loro erano altrettanto avvenenti, e spesso si poneva interrogativi su quella vena di sangue elfico che, secondo quanto Nevyn garantiva, era improvvisamente riaffiorata in Rhodry. Da un punto di vista logico, la cosa sembrava improbabile.

Una notte, poi, le sue lunghe riflessioni le portarono infine la risposta a quel problema. Di tanto in tanto, le capitava di fare sogni permeati di verità, che erano in effetti visioni scaturite dal dweomer e sottratte al controllo della sua sfera cosciente. Di solito, proprio come in questo caso, quei sogni si presentavano quando lei stava da tempo riflettendo su qualche problema.

Quella particolare notte, in cui la pioggia batteva contro le imposte e il vento ululava intorno alla taverna, lei si addormentò nelle braccia di Rhodry e sognò gli Elcyion Lacar. Nel sogno le parve di volare al di sopra delle praterie occidentali, in una giornata in cui il sole si faceva vedere soltanto a tratti fra le nubi. Molto più in basso, sotto di lei, un gruppetto di tende elfiche che splendevano come gemme colorate spiccava in mezzo al verde mare d’erba.

All’improvviso, si venne a trovare dentro al campo. Un uomo alto avvolto in un mantello rosso le passò accanto ed entrò in una tenda tinta di azzurro e di porpora. D’impulso, Jill lo segui. La tenda era elaboratamente decorata con arazzi intrecciati, sacche ricamate appese alle pareti e tappeti del Bardek stesi a coprire il terreno; seduta su un mucchio di cuscini di cuoio c’era una donna elfica con i capelli biondi raccolti in due lunghe trecce dietro gli orecchi allungati e delicatamente appuntiti come due conchiglie. Il visitatore s’inchinò congiungendo le mani in segno di rispetto, poi si liberò del mantello e sedette sul tappeto più vicino alla donna. I suoi capelli erano chiari come la luce lunare, i suoi occhi di un azzurro intenso erano tipici occhi elfici, tagliati verticalmente con la pupilla simile a quella dei gatti. Nonostante quelle stranezze, Jill pensò che nel suo modo alieno l’uomo era avvenente quanto il suo Rhodry, e aveva anche un’aria stranamente familiare.

— Molto bene, Devaberiel — esordì la donna, e Jill si accorse di riuscire a comprenderla anche se si era espressa nella lingua elfica. — Ho studiato le pietre, ed ho la risposta che cerchi.

— Ti ringrazio, Valandario — rispose l’uomo, protendendosi in avanti.

In quel momento Jill si accorse che fra i due era steso un panno ricamato con simboli geometrici e che in svariati punti di quella ragnatela di triangoli e di quadrati giacevano gemme sferiche: rubini, berilli gialli, zaffiri, smeraldi e ametiste. Al centro del panno giaceva invece un semplice anello d’argento. Valandario cominciò a spostare le gemme lungo svariate linee, fino a disporne una di ciascun colore in modo da formare un pentagono intorno all’anello.

— Il Destino di tuo figlio è racchiuso da questo anello — disse, — ma io non so di quale Destino si possa trattare. So soltanto che esso si trova alquanto a nord e che aleggia nell’aria. Senza dubbio ogni cosa ci sarà rivelata a tempo debito.

— Come gli dèi desiderano. Hai i miei solenni ringraziamenti per il tuo aiuto. Farò in modo che Rhodry abbia questo anello: può darsi che decida di andare io stesso fino a Dun Gwerbyn per dare un’occhiata a questo mio figlio.

— Non sarebbe saggio dirgli la verità.

— È ovvio. Non voglio interferire con la successione politica in Eldidd, voglio soltanto vederlo. Dopo tutto, è una notevole sorpresa scoprire di avere un figlio adulto di cui si ignorava l’esistenza… anche se Lovyan non avrebbe certo potuto avvertirmi, essendo ancora sposata al suo potente condottiero.

— Comprendo il tuo punto di vista — cominciò Valandario, poi sollevò improvvisamente lo sguardo e lo fissò su Jill. — Ehi! Chi sei tu che vieni a spiarmi in spirito?

Quando tentò di rispondere, Jill scoprì di non poter parlare. Esasperata, Valandario sollevò una mano e tracciò un sigillo nell’aria, e subito Jill si ritrovò sveglia e seduta nel letto, con Rhodry che le dormiva accanto. Dal momento che la stanza era fredda, la ragazza si affrettò a sdraiarsi e a infilarsi sotto le coperte.

Era un sogno vero, pensò intanto fra sé. Oh, per la Dea della Luna, il mio uomo è per metà un elfo!

Rimase a lungo sveglia a riflettere sul sogno… era ovvio che Devaberiel avesse avuto un aspetto familiare, considerato che era il padre di Rhodry. Jill era alquanto sconvolta dal fatto che Lady Lovyan, che lei ammirava molto, avesse tradito il marito, ma del resto Devaberiel era un uomo eccezionalmente attraente… per un momento, pensò di parlare a Rhodry del sogno, ma l’avvertimento di Valandario la dissuase dal farlo. Inoltre, scoprire di non essere un vero Maelwaedd ma un bastardo avrebbe avuto soltanto l’effetto di spingere ancor più profondamente Rhodry nel suo stato di hiraedd, e già così lei era in difficoltà a tenere a freno le sue crisi di depressione.

E c’era anche quell’anello d’argento: quella era un’altra prova di ciò che Nevyn le aveva detto, e cioè che il Wyrd di Rhodry era profondo e nascosto. Alla fine, Jill decise che se mai avesse rivisto il vecchio gli avrebbe parlato di quei presagi. Quando già stava scivolando di nuovo nel sonno, si chiese se le loro strade si sarebbero incrociate ancora: sebbene il dweomer la spaventasse, voleva molto bene a Nevyn… ma il regno era vasto e chi poteva sapere in quale direzione il vecchio avrebbe indirizzato i suoi vagabondaggi?

L’indomani, Jill si rese conto appieno dell’importanza del sogno fatto mentre lei e Rhodry sedevano nella sala comune della taverna. Ancora una volta, infatti, il dweomer fece irruzione nella sua mente e s’impadronì di lei senza preavviso. Per un momento, Jill sì ritrasse in se stessa, come una lepre che si accoccolasse immobile fra i cespugli nel sentire l’abbaiare dei cani.

— C’è qualcosa che non va, amor mio? — chiese subito Rhodry.

— Nulla, nulla. Stavo soltanto… oh, stavo pensando alla guerra scatenata da Loddlaen la scorsa estate.

— Di certo è stata una cosa strana — convenne Rhodry, abbassando la voce fino a ridurla a un sussurro. — Tutto quel dannato dweomer! Prego ogni dio che il dweomer non ci tocchi mai più di nuovo!

Jill annuì esteriormente, ma dentro di sé sapeva che questo era impossibile. Nel momento stesso in cui Rhodry parlava, il piccolo gnomo grigio si manifestò sul tavolo e si sedette accanto al suo bicchiere. Durante tutta la sua vita Jill era sempre stata in grado di vedere il Popolo Fatato, e quel particolare gnomo ossuto dal naso grosso era un suo grande amico.

Oh, mio povero Rhoddo, pensò, il dweomer è tutt’intorno a te dovunque vai.

E si sentì al tempo stesso rabbiosa e spaventata, combattuta fra il desiderio che i suoi particolari talenti svanissero e il timore che essi non se ne andassero mai.

Una volta, l’estate precedente, Nevyn le aveva detto che se avesse rifiutato di usarli, con il tempo quei talenti sarebbero avvizziti e scomparsi, ma pur sperando che il vecchio avesse ragione… e di certo ne sapeva assai più di lei in materia… Jill nutriva i suoi dubbi al riguardo, soprattutto quando indugiava a riflettere su come il dweomer l’avesse sospinta nella guerra contro Loddlaen e nella vita di Rhodry. Lei era sempre stata una persona del tutto sconosciuta, la figlia bastarda di una daga d’argento, finché suo padre non aveva accettato quello che sembrava un incarico del tutto normale, e cioè di scortare una carovana di mercanti in viaggio verso il confine occidentale di Eldidd. Tuttavia, dal preciso momento in cui il mercante aveva offerto l’ingaggio a Cullyn, lei aveva saputo che sarebbe successo qualcosa d’insolito, aveva avvertito l’inesplicabile certezza che la sua vita era giunta ad un crocevia. E quanto aveva avuto ragione!

Prima la carovana aveva proseguito verso ovest fino alle terre degli Elcyion Lacar, quel popolo elfico che si supponeva esistesse soltanto nelle fiabe e nei miti, poi era tornata in Eldidd portando con sé alcuni elfi ed era finita nel bel mezzo di una guerra permeata dal dweomer.

E lei era giunta giusto in tempo per salvare la vita di Rhodry uccidendo un uomo che, così sembrava asserire il dweomer, era invincibile… secondo la profezia infatti, Lord Corbyn non sarebbe mai morto per mano di un uomo. Come tutti gli enigmi posti dal dweomer, però, anche quello aveva avuto due facce affilate, come dimostrava il fatto che il nobile era stato abbattuto dalla mano di una ragazza. Nel ripensarci, Jill ebbe l’impressione che fosse stato tutto troppo perfetto, troppo ingegnoso, quasi gli dèi modellassero il Wyrd delle persone nello stesso modo in cui gli artigiani del Bardek modellavano quelle scatole a incastro con i loro minuscoli e precisi meccanismi privi di un vero significato.

Si ricordò però poi degli elfi, che non erano uomini nel vero senso della parola, e del fatto che Rhodry era per metà un elfo. Si rese allora conto che Rhodry avrebbe potuto lui stesso abbattere il nemico, se soltanto avesse creduto di esserne in grado, e che il suo arrivo, per quanto utile, non era necessariamente stato preordinato dal dweomer più di quanto potesse esserlo una tempesta di neve in pieno inverno.

Tuttavia il dweomer l’aveva portata a lui, di questo era certa, e se non era stato per salvargli la vita, allora ci doveva essere un altro motivo ancora oscuro. Sebbene quel pensiero la facesse rabbrividire, Jill si trovò suo malgrado a chiedersi perché il dweomer dovesse spaventarla tanto, perché fosse tanto certa che seguire la via del dweomer l’avrebbe portata alla morte, e d’un tratto comprese: ciò che temeva era che un suo coinvolgimento con il dweomer potesse portare non soltanto alla sua morte ma anche a quella di Rhodry. Per quanto continuasse a ripetersi che si trattava di un’idea stupida, passò molto tempo prima che riuscisse a liberarsi di quella sensazione irrazionale.

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