Quando Vickers aprì la porta della stanza, vide che la trottola non c’era più. L’aveva lasciata sulla sedia, sgargiante nei suoi nuovi colori, e adesso non era né sulla sedia né sul pavimento. Si mise carponi e guardò sotto il letto, ma non c’era. Non era nell’armadio, e non era fuori, nel corridoio.
Rientrò nella stanza e sedette sull’orlo del letto.
Dopo tutte le preoccupazioni e i progetti, ora la trottola era scomparsa. Chi poteva averla rubata? Che cosa poteva farsene, uno, di una vecchia trottola ammaccata?
Che cosa voleva farsene, lui?
Ora gli pareva un po’ ridicolo, starsene lì seduto sull’orlo del letto, in una stanza d’albergo che gli era estranea, a rivolgere a se stesso quelle domande.
Aveva pensato che la trottola gli avrebbe aperto la via per la terra incantata e adesso, nel chiarore candido della lampada, si meravigliava dell’assurdità della sua preoccupazione.
Alle sue spalle, la porta si aprì; Vickers sentì il rumore, e si girò di scatto.
Sulla soglia c’era Crawford.
Era ancora più massiccio di quanto lui lo ricordasse. Riempiva il vano della porta e stava immobile, senza un fremito: solo le palpebre si alzavano e si abbassavano lentamente.
Crawford disse:
«Buonasera, signor Vickers. Non m’invita a entrare?»
«Certamente,» disse Vickers. «Sì, certamente. Stavo proprio aspettando una sua telefonata. Non avrei mai pensato che si sarebbe preso il disturbo di venire qui personalmente.»
Ed era una bugia, la sua, perché non si era affatto aspettato di ricevere una telefonata.
Crawford avanzò pesantemente nella stanza, come una massiccia montagna di carne che si muoveva ponderosamente, con l’ineluttabilità di un fenomeno naturale.
«Questa sedia mi sembra abbastanza robusta da reggermi. Non le dispiacerà, spero.»
«La sedia non è mia,» disse Vickers. «Può anche sfasciarla.»
La sedia non si sfasciò. Scricchiolò e gemette, ma resse.
Crawford si rilassò, e sospirò.
«Mi sento sempre molto meglio, quando posso sentire sotto di me una bella sedia robusta.»
«Lei teneva sotto controllo il telefono di Ann. Ha intercettato la telefonata,» disse Vickers.
«Certamente. In caso contrario, come avrei potuto rintracciarla? Sapevo che, prima o poi, le avrebbe telefonato.»
«Ho visto arrivare quell’aereo,» disse Vickers. «Se avessi pensato che a bordo c’era lei, sarei venuto a prenderla. Ho una faccenda da chiarire, con lei.»
«Non ne dubito,» disse Crawford.
«Perché ha cercato di farmi linciare?»
«Non vorrei farla linciare per nulla al mondo,» rispose Crawford. «Ho troppo bisogno di lei.»
«Eppure, lei ha cercato di farmi linciare.»
«Non sono stato io. Non si metta in testa una cosa simile, per favore. Le ripeto che ho bisogno di lei.»
«Perché ha bisogno di me?»
«Non lo so,» disse Crawford. «Sinceramente, non lo so. Pensavo che potesse saperlo lei.»
«Io non so niente,» dichiarò in tono neutro Vickers. «Niente di niente. Senta, Crawford, cos’è tutta questa storia? Lei non mi ha detto la verità, il giorno che sono venuto da lei. La storia del libro da pubblicare, e della società in pericolo, e tutte le altre belle chiacchiere, erano menzogne. Perché mi ha mentito, Crawford? Che cosa vuole da me, in realtà?»
«Io le ho detto la verità, quel giorno, almeno in parte. Non le ho detto tutto quello che sapevamo.»
«Perché no?»
«Perché, vede, io non sapevo chi era lei.»
«Ma adesso lo sa?»
«Sì, adesso lo so,» rispose Crawford.
Vickers rimase in silenzio, per un istante, e fissò negli occhi Crawford.
«E chi sono io, signor Crawford?»
«Lei è uno di loro.»
«Uno di quali?»
«Di coloro che fabbricano quegli aggeggi eterni.»
«E cosa diavolo le fa pensare una cosa simile?»
«Gli analizzatori. È così che li chiamano gli specialisti di psicologia. Analizzatori. Sono cose maledettamente strane. Non pretendo di capirle.»
«Aspetti un momento. Lei mi ha fatto… osservare da uno di questi analizzatori, e gli analizzatori le hanno detto che in me c’era qualcosa di strano? Ho capito bene?»
«Sì,» disse Crawford. «Più o meno.»
«Se sono uno di coloro che teme, perché è venuto da me?» chiese Vickers. «Se sono uno di loro, lei mi combatte. Ricorda? Un mondo con le spalle al muro, ha detto. Lo ricorderà, senza dubbio.»
«Non dica ’se’,» fece Crawford. «Lei è uno di loro, sicuro, ma smetta di comportarsi come se fossi un nemico.»
«Perché, non lo è?» chiese Vickers. «Se io sono quello che lei dice, lei è un mio nemico.»
«Non vuole capirmi,» disse Crawford. «Proviamo con un’analogia. Ritorniamo ai tempi in cui i Cro-Magnon si avventurarono nel territorio degli uomini di Neanderthal…»
«Non mi faccia un’analogia,» obiettò Vickers, «Mi dica che cos’ha in testa. Mi dica che cosa vuole da me, e chi mi crede, esattamente, e quali sono i suoi piani.»
«Non mi piace la situazione,» disse Crawford. «Non mi piace la piega che sta assumendo.»
«Lei dimentica che io non so quale sia la situazione.»
«È quanto cercavo di dirle con la mia analogia. Lei è il Cro-Magnon. Ha l’arco e le frecce e la lancia. Io sono un uomo di Neanderthal. Possiedo soltanto una rozza clava. Lei ha il coltello di pietra levigata: io ho un pezzo di selce scheggiata, raccolto nel letto di un fiume. Lei ha indumenti confezionati di pelli, e io non ho altro che il mio pelo.»
«Se lo dice lei…» disse Vickers.
«Non mi sembra il caso di fare dello spirito,» fece Crawford. «Non sono molto sicuro neppure io dell’analogia. Non sono esperto in queste cose. Forse attribuisco troppi privilegi ai Cro-Magnon, e do all’uomo di Neanderthal meno di quanto avesse in realtà. Ma questo non importa.»
«Capisco,» disse Vickers. «E dove andiamo a finire?»
«Gli uomini di Neanderthal si difesero,» disse Crawford. «E cosa ne fu di loro?»
«Si estinsero.»
«Possono essere morti per molte ragioni, non solo a causa della lancia e delle frecce. Forse non potevano competere con una razza migliore, per assicurarsi il cibo. Forse vennero estromessi dai loro territori di caccia. Forse vennero scacciati e morirono di fame. O forse morirono di vergogna… per la certezza di essere superati, di non essere buoni a nulla, di essere, in confronto ai nuovi venuti, poco più che bestie.»
«Non credo,» fece asciutto Vickers, «che un uomo di Neanderthal potesse farsi venire un forte complesso d’inferiorità.»
«Può darsi che l’ipotesi non sia calzante, nei confronti dell’uomo di Neanderthal. Ma lo è nei nostri confronti.»
«Lei sta cercando di farmi capire quanto è profonda la spaccatura.»
«Per l’appunto,» rispose Crawford. «Non può rendersi conto dell’immensità dell’odio, del margine d’intelligenza e di abilità. E non può neppure capire fino a qual punto siamo disperati.
«Lei vuole sapere chi sono questi disperati? Glielo dirò io, chi sono. Sono gli uomini di successo, gli uomini brillanti, gli industriali, i banchieri, gli affaristi, i professionisti che hanno la sicurezza e posizioni importanti, che si muovono negli ambienti sociali privilegiati della nostra cultura.
«Non avrebbero più le loro posizioni, se prendessero il sopravvento quelli come lei. Sarebbero come gli uomini di Neanderthal in confronto ai Cro-Magnon. Sarebbero come i greci di Omero alle prese con la complessa tecnologia di questo nostro secolo. Sopravviverebbero fisicamente, è naturale. Ma sarebbero aborigeni. I loro valori verrebbero travolti, e tali valori, costruiti così faticosamente, sono i soli che consentano loro di vivere.»
Vickers scosse il capo:
«Non scherziamo, Crawford. Cerchiamo di essere sinceri, per un po’. Lei crede, immagino, che io sappia molto più di quanto so in realtà. Suppongo che dovrei fingere di sapere tutto ciò che lei crede che io sappia… fare il furbo e indurla a pensare che sono al corrente di tutto, parlare per enigmi, facendo il grand’uomo e impegnandomi in una brillante schermaglia dialettica con lei, per farle scoprire le sue carte e informarmi di tutto a sue spese. Ma, non so perché, non me la sento. C’è qualcosa che mi induce a mettere le cose in chiaro subito, con lei, senza perdere del tempo a giocare.»
«So benissimo che lei non sa troppo. È per questo che volevo raggiungerla al più presto possibile. Secondo me, lei non è ancora completamente mutante, non è ancora uscito dalla crisalide dell’uomo normale. In lei c’è ancora molto dell’uomo comune. La tendenza però slitta verso la mutazione… oggi più di ieri, domani più di oggi. Ma questa notte, in questa stanza, io e lei possiamo ancora parlarci da uomo a uomo. Per questo sono venuto.»
«Potremmo parlarci comunque.»
«No, non potremmo,» disse Crawford. «Se lei fosse completamente mutante, sentirei profondamente la differenza esistente tra noi. Senza una base di eguaglianza, non vi sarebbe più una base per la discussione. Io dubiterei della solidità della mia logica. Lei mi guarderebbe con un’ombra di disprezzo.»
«Poco prima che lei entrasse,» disse Vickers, «mi stavo quasi convincendo del fatto che tutti questi enigmi, che tutti questi interrogativi, non fossero altro che uno scherzo dell’immaginazione. Pensavo di avere perduto il cervello per una serie di sciocchezze prive di senso…»
«Non si tratta di uno scherzo dell’immaginazione, Vickers. Lei aveva una trottola, rammenta?»
«La trottola non c’è più.»
«C’è ancora,» disse Crawford.
«L’ha presa lei?»
«No,» disse Crawford. «No, non l’ho presa io. Non so dove sia, ma è ancora da qualche parte, in questa stanza. Vede, sono venuto qui prima che lei rientrasse, e ho forzato la serratura. A proposito, è una serratura molto inefficiente.»
«A proposito,» disse Vickers, «è un trucco molto sporco.»
«Lo ammetto. E prima che questa storia sia finita, ricorrerò ad altri trucchi ancora più sporchi. Ma torniamo a quel che le stavo dicendo: ho forzato la serratura, sono entrato qui e ho visto la trottola e mi sono meravigliato, e… be’, ecco…»
«Continui,» disse Vickers.
«Stia a sentire, Vickers. Anch’io avevo una trottola come quella, quand’ero bambino. Tanto, tanto tempo fa. Non ne vedevo più una da molti anni, perciò l’ho presa e l’ho fatta girare, vede. Senza motivo. Be’, sì, può esserci stato un motivo. Forse un tentativo di recuperare, nel posto più impensato e nel momento meno atteso, un attimo perduto dell’infanzia, con la sua serenità e le sue certezze e i suoi candori. E la trottola…»
S’interruppe, e fissò Vickers, come se cercasse di cogliere traccia di un sorriso ironico. Quando riprese a parlare, il suo tono era quasi distratto.
«La trottola è scomparsa.»
Vickers non disse nulla.
«Che cos’era?» disse Crawford. «Che razza di trottola era?»
«Non lo so. Lei la stava guardando quando è scomparsa?»
«No. Mi è sembrato di sentire dei passi, nel corridoio. Ho distolto lo sguardo per un momento. Quando ho guardato di nuovo, la trottola non c’era più.»
«Non avrebbe dovuto sparire,» disse Vickers. «Non doveva sparire, se lei non la guardava.»
«La trottola aveva qualche ragione per essere qui,» disse Crawford. «Lei l’aveva dipinta. Il colore non era ancora completamente asciutto, e su quella tavola c’erano i barattoli di vernice. Lei non si sarebbe dato tanto da fare senza un motivo. A cosa le serviva la trottola, Vickers?»
Vickers rispose:
«Mi serviva per andare nella terra incantata.»
«Che razza d’indovinello è questo?»
Vickers scosse il capo.
«C’ero andato una volta, fisicamente, quando ero bambino.»
«Dieci giorni fa, avrei detto che eravamo pazzi tutti e due, lei per avermi detto una cosa simile, e io… io ancora più pazzo, perché le credo. Adesso, non so. Non so più cosa credere.»
«Può darsi che siamo davvero dei pazzi, o, nella migliore delle ipotesi, che siamo due stupidi.»
«Non siamo né stupidi né pazzi,» disse Crawford. «Siamo uomini tutti e due, diversi e resi più diversi a ogni istante che passa: ma siamo pur sempre umani, e questa è una base di comprensione più che sufficiente.»
«Perché è venuto qui, Crawford? Non mi dica che è solo per parlarmi. Lei è troppo ansioso. Ha messo sotto controllo il telefono di Ann per sapere dov’ero andato. È entrato con lo scasso in camera mia e ha fatto girare la trottola. E aveva una ragione per farlo. Quale?»
«Sono venuto per avvertirla,» disse Crawford. «Per avvertirla che gli uomini da me rappresentati sono ridotti alla disperazione, che non si fermeranno di fronte a nulla. Non si lasceranno battere.»
«E se non avessero scelta?»
«Una scelta ce l’hanno. Lotteranno con tutte le armi di cui dispongono.»
«Gli uomini di Neanderthal combattevano con le clave.»
«Lo farà anche l’Homo sapiens. Con le clave, contro le vostre frecce. È per questo che volevo parlarle. Perché non possiamo sederci a un tavolo e cercare una soluzione? Deve pure esistere una possibilità di accordo.»
«Dieci giorni fa,» disse Vickers, «sono venuto nel suo ufficio, ho parlato con lei. Mi ha descritto la situazione e mi ha detto di essere completamente disorientato, prima di farmi una proposta ridicola, non per la cifra che offriva, ma per l’idea stessa che c’era dietro. A sentirla parlare allora, lei non aveva la più pallida idea di ciò che stava succedendo. Perché mi aveva mentito, le chiedo per la seconda volta?»
Crawford restò impassibile, immobile, senza cambiare espressione.
«Per tutta la durata di quell’incontro, lei ha avuto puntate addosso le macchine, ricorda? Gli analizzatori. L’incontro era un pretesto, per sapere quanto sapeva.»
«E quanto sapevo?»
«Niente,» disse Crawford. «Abbiamo scoperto solo che era un mutante allo stato latente.»
«E allora perché scegliere proprio me?» domandò Vickers. «A parte quel che mi dice della mia diversità, non ho motivo di credere di essere un mutante. Non conosco nessun mutante. Non posso farmi loro portavoce. Se vuole concludere un negoziato, allora vada a cercarsi un mutante autentico.»
«Abbiamo scelto lei,» disse Crawford, «per una ragione molto semplice. Lei è l’unico mutante che abbiamo potuto riconoscere. Lei e un altro… e l’altro se ne rende conto ancor meno di lei.»
«Ma debbono essercene altri.»
«Certamente. Ma non riusciamo a prenderli.»
«Lei parla come un cacciatore, Crawford.»
«E forse lo sono davvero. Lei non sa per quanto tempo abbiamo setacciato, frugato, analizzato… fino a quando non ci siamo imbattuti in lei, che aveva la potenzialità di essere un mutante. Capisce, adesso, perché eravamo così ansiosi? Lei solo. E gli altri… quelli si possono riconoscere solo quando vogliono venirci a vedere. Altrimenti sono sempre fuori.»
«Fuori?»
«Spariscono,» spiegò Crawford, bruscamente. «Li individuiamo e aspettiamo. Li mandiamo a chiamare e aspettiamo. Suoniamo il campanello della loro porta e aspettiamo. Non li troviamo mai. Entrano da una porta, ma nella stanza non ci sono. Aspettiamo ore per vederli, e poi scopriamo che non erano affatto nel posto dove li avevamo visti andare, ma da qualche altra parte, magari a parecchi chilometri di distanza.»
«Ma io… è riuscito a scovarmi. Io non sparisco.»
«No, non ancora.»
«Forse io sono un mutante idiota.»
«Un mutante imperfettamente sviluppato.»
«Ha scelto proprio me,» disse Vickers. «Fin dall’inizio, voglio dire. Aveva qualche motivo di sospettare, prima ancora che io stesso lo sapessi.»
E non lo so neppure adesso, pensò, cupamente. Lui sembra saperne molto di più, sul mio conto, di quanto ne sappia io.
Crawford ridacchiò.
«I suoi scritti. Avevano qualcosa di strano, vede. Il nostro servizio psicologico se n’è accorto. Abbiamo scoperto degli altri, in questo modo. Un paio di artisti, un architetto, uno scultore, un paio di scrittori. Non mi chieda come ci riescano quelli del servizio psicologico. Forse al fiuto. Non assuma quell’aria sbalordita, Vickers. Quando si organizza l’industria mondiale, si ha a disposizione, dal punto di vista delle finanze e del personale, un sistema capace di svolgere incredibili lavori di ricerca… o qualunque altro compito. Lei pensa che qualcuno avrebbe potuto opporsi a noi anche solo per pochi minuti, se non fosse stato… superiore come i Cro-Magnon furono superiori ai neanderthalensi? Si stupirebbe se sapesse quanto lavoro abbiamo svolto, quante aree abbiamo esaminato. Ma non è sufficiente. Posso dirle francamente che ogni volta siamo stati battuti.»
«Perciò a questo punto volete negoziare.»
«Io voglio negoziare. Gli altri no. Loro non vorranno mai negoziare. Combattono per il mondo che hanno costruito in tanti anni di sangue, se ne rende conto?»
Ed era proprio così, pensò Vickers. In tanti anni di sangue.
Loro. Coloro che avevano tenuto i fili, dietro le quinte.
Loro non intendevano negoziare.
E perché avrebbero dovuto negoziare, si domandò, se non erano mai stati abituati a farlo? Nessuno, mai, si era opposto ai loro voleri. Erano bastati pochi ordini, pochi minuti, e governi erano saltati, regimi erano cambiati, uomini potenti erano stati spezzati. Loro sarebbero stati disposti a negoziare, oh sì. Condizioni di resa. Quelle le avrebbero negoziate sempre.
Ma non erano abituati a essere sconfitti.
Loro era un termine astratto. C’erano dei nomi, dei volti, delle figure, delle organizzazioni di potere, dietro quella semplice definizione. Ma in fondo non aveva molta importanza conoscere i volti e i nomi. Non importava conoscere le identità singole, fisiche. Bastava conoscere il loro potere.
In tanti anni di sangue, aveva detto Crawford, ed era proprio così.
Horton Flanders, seduto sotto il portico, a dondolarsi, e la lucciola della brace delle sigaretta accesa andava avanti e indietro, e lui parlava della guerra, e del perché non era scoppiata la terza guerra mondiale, e diceva che qualcuno o qualcosa era intervenuto, ogni volta, per impedire che scoppiasse. Un intervento, aveva detto, dondolandosi sulla sedia, e sopra la sua testa avevano scintillato le stelle, ammiccanti nel cielo scuro della notte, mondi e mondi e astri senza fine, un’infinita distesa di lucciole sfavillanti che avevano osservato da sempre, lontane e distaccate, l’evolversi delle cose umane. E forse si erano domandate, in cuor loro, come il vecchio Flanders, per quale motivo non era scoppiata quella guerra che avrebbe dovuto scoppiare, quella guerra che la paura avrebbe dovuto non scongiurare, ma affrettare.
«Il mondo che hanno costruito,» osservò Vickers, «non è molto bello, sa. È stato costruito con troppo sangue e troppa infelicità, e troppe ossa mescolate nella calce. Nel corso di tutta la sua storia non c’è quasi stato un anno in cui non vi sia stata, in qualche angolo della Terra, la violenza… ma cosa dico, un anno? Un mese, un giorno. E non parlo della violenza del singolo, non parlo della violenza che è propria delle cose di ogni giorno, parlo di quella organizzata, ufficiale.»
Ed era vero, si disse Vickers. E davanti agli occhi della sua mente sfilavano visioni di eserciti in assetto di battaglia, di poliziotti infagottati e armati come misteriosi abitanti di altri mondi, di sangue sparso nelle strade, di scontri e lotte e sangue, sangue senza fine.
«Capisco ciò che intende dire,» fece Crawford. «Lei pensa che debba esserci una riorganizzazione.»
«Qualcosa del genere.»
«E allora proviamo a capirci qualcosa,» lo invitò Crawford. «Cerchiamo di arrivare a un chiarimento.»
Ed era strano che lui stesse là, a parlare di quelle cose, quando ne sapeva ancora meno dell’uomo massiccio che gli stava davanti, quando qualcosa nella sua mente gli diceva ancora che stava parlando di assurdità, di cose che esistevano soltanto nella sua fantasia.
«Non posso,» disse, umilmente. «Non ne so abbastanza, e non ne ho l’autorità. Non ho neppure preso contatto con questi mutanti, né loro hanno preso contatto con me… ammesso che esistano davvero dei mutanti, che siano come lei dice, che operino in mezzo alla gente normale senza farsi scoprire, che ci siano loro dietro tutte le cose nuove che stanno spuntando nel mondo come funghi in una giornata di pioggia.»
«Le macchine dicono che lo sono. L’analizzatore afferma che lei è un mutante.»
«E come può esserne certo?» domandò Vickers.
«Non si fida di me,» disse Crawford. «Crede che io sia un rinnegato. Pensa che io veda l’imminenza di una sconfitta sicura e corra a sventolare la bandiera bianca, ansioso di dimostrare la mia non belligeranza all’ordine che sta per affermarsi, ansioso di concludere una pace separata e di mandare al diavolo tutti gli altri. Forse i mutanti mi terranno come mascotte o come cagnolino addomesticato.»
«Se quello che lei dice è vero, allora lei e gli altri come lei sono inevitabilmente sconfitti, qualunque cosa possano fare.»
«Non completamente sconfitti,» disse Crawford. «Possiamo lottare. Possiamo scatenare un inferno.»
«E con che cosa? Si ricordi, Crawford, che voi avete soltanto la clava.»
«Abbiamo la disperazione.»
«Niente altro ancora? Solo la clava e la disperazione?»
«Abbiamo un’arma segreta.»
«E gli altri vogliono usarla.»
Crawford annuì.
«Ma non è abbastanza efficace, ed è per questo che sono qui.»
«Mi terrò in contatto con lei,» disse Vickers. «Glielo prometto. È il massimo che posso fare. Quando e se scoprirò che lei ha ragione, mi metterò in contatto con lei.»
Crawford si alzò pesantemente dalla sedia.
«Cerchi di affrettarsi,» disse. «Non c’è molto tempo. Non potrò trattenerli in eterno.»
«Lei ha paura,» disse Vickers. «È l’uomo più spaventato che io abbia mai visto. Era spaventato la prima volta che l’ho vista, e lo è ancora.»
«Ho sempre avuto paura, dal momento in cui tutto questo è incominciato. E peggiora di giorno in giorno.»
«Due uomini spaventati,» disse Vickers. «Due bambini che fuggono nel buio.»
«Anche lei?»
«Certo. Non vede che ho paura? Non vede come sto tremando?»
«No, non lo vedo. In un certo senso, Vickers, lei è l’uomo più dotato di sangue freddo che io abbia mai conosciuto.»
«Una cosa,» disse Vickers. «Mi ha detto che c’era un altro mutante che potrebbe prendere.»
«Sì, ho detto proprio così.»
«Può dirmi chi è?»
«No,» rispose Crawford.
«Non credo che esista.»
Sul tappeto fremette una macchia confusa, e poi apparve, ruotando lentamente, sussultando in ondeggiamenti frenetici, con un ronzio soffocato, i colori chiazzati dalla rotazione irregolare.
La trottola era ritornata.
Immobili, la guardarono fino a quando si fermò, rovesciata, sul pavimento.
«Era andata via,» disse Crawford.
«E adesso è ritornata» mormorò Vickers.
Crawford si chiuse la porta alle spalle e Vickers rimase nella stanza fredda e luminosa, solo, con la trottola immobile sul pavimento, ad ascoltare i passi di Crawford che si allontanavano lungo il corridoio.