8

Il Generale lo agguantò mentre si stava facendo largo tra la folla per entrare nella tenda da cerimonia. Cripplemaker gli urlò nelle orecchie, superando il rumore delle fanfare e dei tamburi. — Dove diavolo sei stato? — Axxter sentì uno sputo colpirgli il lobo. — Hai solo dieci minuti! Prima che entri!

— Sono dovuto uscire…

— Cosa? — Il viso del Generale era rosso, segnato da piccoli capillari che sporgevano. — Parla più forte!

Una fila di guerrieri che ballava il conga lo spinse quasi via e dovette togliersi un braccio peloso dalla vita per liberarsi. La fila batteva i piedi e si dimenava tra la folla, fingendo di prendere a pugni facce sorridenti.

Axxter si avvicinò al Generale. — Sono dovuto uscire per andare a prendere la mia attrezzatura. — Il Generale annuì; una parte del palco dell’orchestra era crollato, facendo cadere i suonatori di corno tra la folla, creando il caos anche all’interno della tenda. Axxter sventolò il pezzo di cartoncino quadrato che aveva in mano. — Dovevo prendere il mio invito. Il servizio di sicurezza, uff!, non mi avrebbe mai fatto entrare senza. — Si grattò la schiena dove qualcosa di duro e tondo, forse la testa di un uomo, gli aveva dato fastidio. Era scoppiata una lite furiosa e nelle mani di qualcuno si vedevano risplendere delle lame; si allontanò per evitare quell’onda d’urto che si allargava a macchia d’olio.

Non ci avrebbe messo tanto ad andare a prendere l’invito se non avesse dovuto attraversare l’accampamento due volte. Quando si era svegliato, nel buio, e aveva guardato l’orologio, accorgendosi che aveva appena il tempo di cambiarsi e precipitarsi al banchetto, era stato colto dal panico. Guardando verso l’alto del muro aveva visto una folla di guardie che proteggeva la grande tenda a strisce montata su una piattaforma che si ergeva direttamente nello spazio. Suppose che sarebbe stato più semplice lasciare la Norton e il sidecar dove si trovavano e procedere lungo un cavo di transito. Quando vide le file di veicoli e le frotte di moto che assediavano la tenda si rese conto di aver preso una saggia decisione; la Folla Devastante aveva spedito inviti a tutte le tribù alleate e a qualche rivale non particolarmente pericoloso. Non ci sarebbe stato posto per la Norton in quel groviglio di ruote e cavi.

Anche se la sentinella l’aveva riconosciuto perfettamente, non l’aveva lasciato entrare senza l’invito, su cui era scritto a lettere dorate su sfondo nero: Nunc est bibendum, nunc pede libero mura pulsanda. Quindi era dovuto tornare indietro, tenendo la testa bassa per evitare pugni e colpi, scivolando tra schiene e gambe sudate. Stava tornando verso l’accampamento, con la sua giacca migliore già tutta spiegazzata, quando notò una sospetta macchia beige sugli stivali.

Cripplemaker gli mise un braccio intorno alle spalle e lo spinse verso il centro della tenda. — Tu l’hai creato! Grandioso! — Axxter trasalì al grido del Generale.

C’era un posto per lui vicino al palco centrale. Accanto a lui sedevano ufficiali minori e alcuni dignitari per diritto d’eredità: quello alla sua sinistra aveva il viso in una chiazza di vino che era caduto sul tavolo e con una mano stringeva con forza l’impugnatura della brocca. — E tu chi sei? — chiese una faccia stordita alla sua destra.

In un angolo della tenda, i corni erano tornati sul palco, unendosi alle percussioni. — Sono solo un impiegato. — Aveva un sorriso sereno mentre sollevava il gomito dalla macchia di vino. — Faccio qualche lavoro di grafica qui e là.

— Già, già. Grande. — L’uomo guardò il tavolo in tutta la sua lunghezza e afferrò un’altra brocca. Bevve e fissò il vuoto davanti a sé, ignorando chiunque altro gli fosse intorno.

Axxter allungò il collo, guardando verso il palco. Con ogni probabilità si era perso la cena, perché i camerieri stavano portando via piatti unti coperti solo di ossa. Non aveva comunque fame: il suo stomaco si contorceva per l’emozione.

Poteva vedere Cripplemaker al centro dei tavoli dei dignitari: si era seduto e parlava, rideva e dava pacche sulle spalle a quelli seduti vicino a lui. Non indossavano il vestito da cerimonia della Folla Devastante, quindi Axxter suppose che si trattasse di persone importanti di tribù alleate. Le grandi pistole, vecchi bastardi grinzosi con lo stesso sguardo a fessura e guerrafondaio che aveva anche il Generale, il tipico sguardo di chi è abituato al comando e alle stragi. Quando ridevano sembravano trappole d’acciaio che si aprivano per mostrare i tremendi meccanismi al loro interno. Cripplemaker si allungò sulla sedia prendendo un enorme sigaro; i suoi occhi incrociarono quelli di Axxter. Attraverso una barriera di fumo egli vide il cenno che il Generale gli fece.

La suoneria che Axxter aveva caricato gli trillò nelle orecchie, mentre un piccolo segnale rosso si accese ai margini del suo schermo. Solo tre minuti allo spettacolo; conto alla rovescia. La banda smise di suonare la sua mortale marcia di guerra e attaccò un ostinato, sempre più preciso a ogni da capo. I camerieri cominciarono a spazzare il pavimento davanti al palco.

Attraverso la folla si formò un corridoio: puntando i tacchi sulla superficie della piattaforma, i guerrieri formarono un cordone umano per trattenere la gente. Dietro a loro, la folla, compressa in uno spazio più stretto, urlava e fremeva, stimolata dal ritmo della banda. Axxter notò che un tizio stava mordicchiando l’orecchio di una guardia, ormai diventato tutto rosso. Una gomitata alla gola lo fece cadere all’indietro, ai piedi dei suoi camerati.

I corni tennero un semi-tono, risolvendo la dissonanza in ottava; i tamburi si lanciarono in un doppio-tempo. Le luci della tenda si spensero: rimase acceso solo un riflettore che illuminava una figura all’inizio del tunnel umano.

L’hanno oliato bene… Axxter riconobbe a fatica il vecchio guerriero che camminava verso il centro della tenda. I medici della Folla, o qualche libero professionista chiamato per l’occasione, avevano pompato il vecchio con qualcosa che teneva eretta la sua spina dorsale e conferiva un’espressione fiera al suo sguardo incavato. Aveva la barba lavata, pettinata e intrecciata con fiocchi neri, alcuni dei quali erano abbastanza lunghi da arrivargli alle spalle mentre camminava; a ogni passo appoggiava a terra un bastone alto come lui, sulla cui cima di metallo era inserito un microfono per trasmettere e ricevere veloci comunicazioni al di sopra del rumore della folla. Una cappa ricamata gli arrivava fino ai lucenti stivali e copriva la sua armatura.

L’accordo della banda si abbassò quando il vecchio guerriero raggiunse il punto stabilito. Si fermò e buttò indietro la testa, impugnando saldamente la cima del bastone. Scrutò la folla; mostrò i denti gialli e assaporò lo sguardo di tutte quelle persone puntato su di lui.

I corni e i tamburi tacquero e miracolosamente ci fu il silenzio. Ad Axxter il frastuono delle orecchie rimbombava ancora nella testa. La folla taceva. Tutti si alzavano sulle punte per vedere meglio oltre il cordone di sentinelle che li tratteneva.

00:00:30. Era l’ora che segnava l’orologio davanti agli occhi di Axxter. 00:00:29, 00:00:28… Il suo cuore batteva al ritmo della luce rossa dell’orologio.

Alzò lo sguardo verso il palco mentre il Generale Cripplemaker sollevava una mano e la lasciava ricadere come un’ascia. Un segnale per il vecchio guerriero: Axxter si girò a guardarlo e vide che la figura barbuta si era già scrollata dalle spalle il manto che giaceva a terra vicino ai suoi stivali. L’aria all’interno della tenda si era rarefatta: tutti trattenevano il respiro.

L’armatura del guerriero, le grandi curve del pettorale, la fascia sullo stomaco, le rotondità che coprivano le spalle e le ginocchia, i bracciali e i gambali… era tutto bianco. Il biofoglio luccicava, riflettendo i visi stralunati. Un tessuto innestato sulla carne ormai insensibile e riscaldato dalla pulsazione sanguigna sotto la pelle. Tutto aspettava di prendere vita.

00:00:01 e… 00:00:00. L’orologio rosso esplose all’angolo dello schermo di Axxter.

Per un attimo ebbe la sensazione che il biofoglio avrebbe continuato a restare bianco. Che niente sarebbe accaduto. Porca puttana! Disse una voce dentro di lui che balbettava in preda al panico. Quei rottinculo della Piccola Luna, non hanno inviato il segnale d’animazione…

Un punto nero si formò sul petto dell’armatura del vecchio guerriero, dando vita a una spirale a Fibonacci. La folla esplose in un’esclamazione: ahhhh. Axxter si rilassò nella sedia, tirando un sospiro di sollievo.

I punti si mossero a grappolo e si fusero; l’armatura si ossidò, come fosse uno specchio nero. Apparvero banchi di nebbia grigia, che si sollevarono per lasciar posto a un campo di battaglia disseminato di teschi. Il guerriero guardava verso il basso, osservandosi, con l’espressione stupita di un bambino.

Figure sul campo di battaglia allungavano le loro ombre in controluce. Un mormorio si sollevò dalla folla che indicava i vecchi eroi morti, rugosi veterani che indossavano i colori dei loro squadroni; in quell’immagine gli attuali capi apparivano invece saggi e risoluti mentre osservavano i corpi dilaniati dei nemici per poi perdere il loro sguardo verso un orizzonte distante e ricco di future glorie. Dietro a tutti loro c’erano le mitiche figure dei Fratelli di Latta, i fondatori della tribù, raggianti come fossero immortali.

La folla era eccitata e premeva alle spalle delle sentinelle per avere una visuale migliore. Il vecchio guerriero sogghignò e allargò le braccia, come per accogliere quel vocio d’apprezzamento.

Axxter guardò intorno al palco. Gli ufficiali e gli ambasciatori delle altre tribù osservavano con attenzione quello spettacolo. Cercò di cogliere l’espressione di Cripplemaker, ma lo sguardo del Generale era fisso sulla figura al centro della tenda.

L’espressione di Cripplemaker cambiò. Il sigaro gli cadde di bocca, seminando scintille e cenere sul tavolo. La sua faccia si fece grigia, poi rossa, mentre una vena gli pulsava su una tempia. Anche i visi accanto a lui sembravano sconvolti; al capo più distante del tavolo dei dignitari, uno degli emissari scoppiò in una risata fragorosa.

L’applauso della folla tacque e di nuovo ci fu il silenzio.

Che cavolo… Axxter balzò in piedi, guardandosi intorno. Tutti gli occhi erano puntati sul vecchio guerriero. Qualcosa… Si girò e guardò davanti a sé.

La gioia del guerriero era svanita: stava guardando, del tutto disorientato, il proprio corpo. Sul suo petto e sui piccoli pannelli che coprivano gli arti, gli eroi della tribù erano impegnati in sodomie maniacali. I visi severi e cesellati che un attimo prima perdevano il proprio sguardo fiero verso il futuro, facevano ora roteare gli occhi e schioccavano comicamente le labbra assaporando i propri e altrui escrementi.

Il vecchio guerriero alzò lo sguardo e osservò le file di visi che aveva davanti a sé e che lo fissavano stupiti. Sembrava che stesse per scoppiare a piangere; non era altri che un uomo in quel momento: e quel tremendo scherzo lo aveva rivelato a tutti.

Sul biofoglio, le immagini dei Fratelli di Latta roteavano come ruote, mentre si bloccavano a vicenda la testa tra le cosce.

Axxter si sentiva la testa leggera e confusa: tutto quello che aveva intorno girava all’impazzata, in vorticose spirali. Ma è tutto sbagliato… Avrebbe voluto alzarsi e urlarlo a quelle facce stravolte, ma le gambe non sembravano più obbedirgli. È tutto sbagliato! Non l’ho fatto io, quello non è il mio lavoro! Aprì la bocca, ma non riuscì a emettere alcun suono.

Proprio in quel momento, una luce rossa vibrò al centro del suo piccolo schermo. Una chiamata urgente: qualcuno, da qualche parte, si stava addebitando la parcella per poter parlare con lui immediatamente. Senza neanche riflettere, accettò la comunicazione.

La luce rossa si trasformò in una scritta; non ci fu nessuna voce.

QUESTO È QUELLO CHE TI SEI MERITATO. Seguita da un piccolo simbolo, un marchio, che riconobbe immediatamente. L’emblema con il teschio coperto di pennacchi e medaglie della DeathPix.

Per un attimo, quelle parole restarono sovraimpresse sul guerriero e sulla folla che lo circondava, poi scomparvero.

Questo è quello che mi merito. Pensò a quel messaggio per qualche secondo, come se fosse stato scritto in un’altra lingua, quella dei Centri dei Morti o di qualche altro luogo ancora più lontano, forse addirittura dalla zona sconosciuta dell’edificio.

Il suo cervello era molto attivo, ma tutto quello che c’era al di fuori di lui sembrava immobile: Cripplemaker e il palco dei dignitari delle altre tribù e degli ambasciatori, gli altri tavoli, la folla e il cordone delle guardie, il vecchio guerriero, perfino le figure coprofaghe sulla sua armatura. Tutto era immobile o si muoveva nell’aria con la lentezza di uno sciroppo che sta cadendo al rallentatore: la folla che si arrampicava sulla schiena delle sentinelle, le loro urla simili a infrasuoni troppo bassi per essere uditi. Axxter continuava a pensare velocemente, mentre intorno a lui tutto era fossilizzato.

Lo sapevano. Da sempre. La DeathPix sapeva tutto, adesso lo capiva. Sapeva che stava infiltrandosi nei loro affari; da chi potevano averlo saputo? Forse da Lauren della Piccola Luna in cambio di qualche bonus oppure di una piccola somma di denaro. O forse si trattava di qualcuno dello staff di Cripplemaker, che lavorava per conto della DeathPix con il compito di tenere ogni cosa sotto controllo.

Quindi, tutto quello che la DeathPix aveva dovuto fare, era stato modificare il segnale d’animazione e sovrapporlo a quello per cui lui aveva pagato. Avevano unto una bella sommetta alla Piccola Luna per il lavoretto e quello era bastato. Proprio una bella sorpresina per lui e la Folla Devastante. Una sorpresa che aveva fatto andare il sangue alla testa alla tribù, visto che ogni riferimento omosessuale era tabù tra quei muscolosi guerrieri. Faceva saltare loro i nervi ed era certo sufficiente a far saltare anche la testa di Axxter.

Confusamente, attraverso l’immagine congelata intorno a lui, vide le guardie, che con i visi trasfigurati dalla rabbia, rompevano le file e si disperdevano tra la folla che fino a quel momento avevano trattenuto.

Merda, la spia avrebbe potuto essere chiunque e ovunque. Una corporazione potente come la DeathPix ha sostenitori da ogni parte, come un ragno che siede al centro della propria ragnatela aspettando di avvertire uno strattone su quella seta. Era proprio stato un pazzo a esporsi a un rischio che non era nemmeno riuscito a calcolare esattamente. Aveva creduto alla fortuna e a quanto lui se la meritasse. Aveva pensato che fosse davvero arrivato il suo grande momento. E quando si incomincia a credere una cosa simile, è facile convincersi di essere intoccabili e che non ci si deve preoccupare di nulla.

Ma forse la fortuna non aveva avuto niente a che fare con quel lavoro. Quel pensiero fu come un fulmine a ciel sereno. Forse era stata una mossa della DeathPix fin dall’inizio. Era da un po’ di tempo che non fottevano nessuno, che non riuscivano a vendicarsi di nessuna intromissione nei loro affari. Era segno di ottima organizzazione dare qualche buona lezione ogni tanto, ricordando a tutti i liberi professionisti quali fossero le conseguenze nel caso in cui avessero tentato di fregare loro dei clienti. Serviva a tenere tutti occupati nei propri miseri tran-tran quotidiani, sempre alle prese con teppisti da due soldi che bisognava rincorrere per essere pagati, e quindi sempre ben lontani dal terreno della DeathPix. Avevano organizzato il tutto per fregare qualche povero scemo che si trovava sul muro; e senza dubbio, la voce sarebbe girata molto velocemente.

Cripplemaker era coinvolto in questa manovra? Era l’uomo di punta del piano? Poteva darsi, poteva darsi. Una muraglia di visi rabbiosi si stava avvicinando con passo glaciale al Generale, che si guardava intorno. Era in piedi sulla sedia e aveva i lineamenti del viso sfigurati: sembrava che le tempie potessero scoppiargli da un momento all’altro, schizzando sangue in ogni direzione. Stava urlando qualcosa, ma Axxter non riusciva a sentire cosa, nel rombo sordo che aveva nuovamente riempito la tenda. Se davvero Cripplemaker fosse stato coinvolto, la sua abilità nel nasconderlo era ammirevole: sembrava sinceramente furioso, mentre lo indicava con un dito vibrante e incitava la folla alla vendetta.

Era tutto così chiaro adesso. Come avevano fatto a fotterlo. Qualche dettaglio gli sfuggiva ancora, per esempio chi impugnava la lama che vedeva scintillare vicino a lui. I pensieri fluttuavano sopra la sua testa e su tutta quella scena, sfiorando la sommità della tenda. Senza nemmeno rendersene conto, scoppiò in una risata isterica, un urlo folle che gli scosse la mascella e gli fece vibrare i denti.

Quel povero scemo, il vecchio guerriero piangente, era stato travolto dalla marea della folla. Le persone infuriate più vicine a lui gli si erano lanciate contro, un vortice nel mezzo di un’onda, che avanzava con l’intenzione di strappargli di dosso quell’armatura offensiva. Il biofoglio e la pelle furono lacerati e il guerriero perse del sangue. Axxter ne fu dispiaciuto: non era colpa di quel vecchio. Molto meno di quanto non fosse sua. Il vecchio era stato una pedina usata per fregare un’altra pedina. Aveva speso un sacco di tempo all’ospedale della Folla Devastante per farsi innestare la nuova armatura. Non ci sarebbe stato alcun rimedio per il suo vecchio cuore spezzato.

L’onda umana colpì, riportando Axxter al mondo reale. Cadde di nuovo sulla sedia quando il bordo del tavolo gli finì nello stomaco. Il tavolo stesso si sollevò, girandosi lungo il proprio asse quando la folla gli arrivò contro. Axxter, senza fiato per il colpo ricevuto, alzò lo sguardo appena in tempo per accorgersi che il tavolo gli stava cadendo addosso.

O quasi. Uno degli spigoli del tavolo, cadendo, ruppe il tessuto della tenda alle sue spalle e vi rimase impigliato, creando uno spazio triangolare con la piattaforma sottostante. Axxter abbandonò la posizione a uovo che aveva assunto per ripararsi, togliendo le mani dalla testa. Poteva sentire i guerrieri spumeggianti di rabbia raspare il tavolo, come se potessero arrivare fino a lui con le loro unghie nere.

GesùCristoporcamerda… quella strana prospettiva soffusa e atemporale l’aveva abbandonato. Muovendosi a carponi, sentì le urla che provenivano dall’altro capo del tavolo. Quei figli di puttana l’avrebbero ammazzato. Se sono fortunato… Una volta messe le mani su di lui, avrebbero trovato un’infinità di metodi ingegnosi per vendicare il loro orgoglio ferito a spese delle sue ossa e del suo sistema nervoso. Avrebbero ideato mille modi per soffocare la rabbia per l’affronto ricevuto davanti ad ambasciatori e tirapiedi delle tribù alleate e a qualche stupido libero professionista come lui.

I colpi che piovevano sul tavolo lo scuotevano violentemente. L’angolo tra lui, la piattaforma e la tenda formava uno stretto tunnel; nessuno in quella folle massa aveva ancora pensato di aggirare il tavolo, strisciare per terra e tirarlo fuori. Restavano forse solo pochi secondi prima che la folla riuscisse a spostare il tavolo e a raggiungerlo.

Una possibilità — quel pensiero, prima confuso nella testa di Axxter, divennne a un tratto chiaro — di salvare la propria vita, o quanto meno il debole tentativo di sfuggire a quella furia che stava per abbattersi su di lui. Se avesse potuto attraversare quel tunnel triangolare, uscire all’aperto a pochi metri di distanza, fare una corsa veloce verso il tavolo dei dignitari e raggiungerlo prima che la folla lo intercettasse e lo afferrasse per il collo… avrebbe abbracciato le ginocchia del Generale Cripplemaker e allora avrebbe potuto fare una dichiarazione davanti a tutta la tribù. E a quel punto sarebbe stato sotto la loro protezione, almeno in parte… Infatti, secondo le regole della tribù, a quel punto non avrebbero potuto ucciderlo, anche se sapeva che ci sarebbero andati il più vicino possibile.

Quella prospettiva e le conseguenze che avrebbe comportato, cioè diventare un oggetto posseduto, non più un uomo, ma una cosa, attraversò i suoi pensieri.

Guardò lungo il tunnel: aveva una perfetta vista del palco. Tutti sembravano essersi uniti all’assalto del tavolo. Quella che sembrava la parte bassa dell’uniforme di Cripplemaker, lucidi pantaloni neri con due strisce rosse, apparve in lontananza davanti a una sedia rovesciata.

Vai! Iniziò a muoversi a carponi e si tagliò il palmo della mano su un bicchiere rotto. Vai, vai, per Dio!

— Ufff… — Il pesante suono dei colpi risuonava lungo il tavolo. — Vieni fuori rottinculo! — Qualcuno si era accorto di lui. — Forza, vieni qui, dannazione!

Axxter raggelò, fissando l’apertura triangolare davanti a sé. E al di là: non vide più il caos dei tavoli e delle sedie, né le gambe del Generale. C’era qualcos’altro: il muro della notte, avvolta in un buio senza fine.

— Vieni fuori, vieni fuori, forza, forza, muoviti… — Una voce abbaiò un comando e il tavolo scricchiolò in risposta, mentre tutti smettevano di colpirlo.

Lo stretto tunnel si allungava e si muoveva, mentre Axxter ne scorreva con lo sguardo la profondità.

Ai bordi del tavolo comparvero delle dita. — Ci siete? No, qua, forza… allontanatevi… bene, adesso tirate…

Il tavolo si rovesciò.

Il Generale Cripplemaker era salito su una sedia del palco per seguire meglio l’operazione. Quel piccolo bastardo di un grafico avrebbe pagato, poteva starne certo. Fargli fare una simile figura… — Allora? — urlò il Generale agli uomini che si stavano lanciando sul tavolo. — L’avete preso?

Il sergente che stava dirigendo le operazioni tirò indietro per le spalle un paio di uomini. Tutti gli altri si allontanarono dal tavolo rovesciato.

— Dov’è? — Il sergente guardò dall’altro lato del tavolo, ma tutto ciò che ebbe in risposta furono alzate di spalle e palmi aperti. — Dove potrebbe essere andato? — Un paio di guerrieri della Folla sollevarono un capo del tavolo dalla piattaforma, come se il grafico avesse potuto essere rimasto schiacciato lì sotto. Il sergente stupito guardò il Generale.

Axxter poteva sentirli bestemmiare e muoversi a passi pesanti sulla piattaforma. Fece un lungo passo per raggiungere l’aria aperta e vacillò, mentre il muro sembrava una bocca spalancata sotto di lui; si tenne saldamente attaccato alle corde che servivano a reggere la tenda cerimoniale. Doveva essere molto veloce, altrimenti la sua agile mossa sarebbe stata inutile. Un’occhiata alla barriera di nuvole al di sotto gli fece venire un buco allo stomaco. S’aggrappò alla tenda ancora più saldamente e aiutandosi con le gambe incominciò la discesa del muro.

Nei pochi secondi prima che i guerrieri rovesciassero il tavolo, aveva avuto una visione. Uno sguardo al futuro. Al suo futuro. A quello che gli sarebbe accaduto dopo la dichiarazione al Generale e alla tribù: sarebbe diventato di loro proprietà e avrebbe perso ogni diritto. La sua libertà sarebbe stata il prezzo da pagare per la vita: il battito cardiaco e la respirazione sarebbero state le uniche cose di cui il suo nuovo padrone non avrebbe potuto disporre. E in quel futuro, la tribù l’avrebbe inviato con un contratto di lavoro a lungo termine — il che significava a vita — in qualche impianto di produzione del settore orizzontale, nelle viscere della pelle metallica del Cilindro. A una distanza infinita dalla rotazione del giorno e della notte, in una perpetua luce fluorescente, che faceva apparire tutti degli scheletri viventi. Era stata una percezione molto vivida: restare imprigionato in una di quelle industrie interne, di cui si sarebbe gettata via la proverbiale chiave, significava essere morti, porre fine alla propria vita, abbandonare per sempre qualunque opportunità questa potesse offrire. Dormire di fianco a qualche macchina di plastica per quattro ore — o almeno così dicevano: non c’era modo di stabilire se davvero si trattasse di quattro ore, visto che gli oggetti non potevano servirsi di altri oggetti, come orologi o terminal — e poi tornare al lavoro per le seguenti venti ore; e il ritmo si ripeteva all’infinito, fino a quando nell’individuo si alienava ogni capacità critica e ogni azione veniva ripetuta meccanicamente, senza più porsi domande. E, a quel punto, anche gli uomini diventavano dei congegni e la trasformazione in oggetto era completa.

Era poi così male? In fondo sarebbe stato vivo, almeno. E non tanto diverso da ogni altro povero bastardo che lavorava al settore orizzontale, sia che fosse profumatamente pagato o che fosse uno schiavo. Era una vita in cui si sapeva bene che il giorno seguente sarebbe stato del tutto identico al precedente. Quella era la natura dell’esistenza orizzontale. Era quello da cui era fuggito, erano le sue radici; adesso stava per tornarci.

Tornare indietro… Quelle parole continuavano a frullargli in testa mentre si muoveva a carponi, guardando il cunicolo che si allungava davanti a sé, e i guerrieri della Folla che cercavano di rovesciare il tavolo. Alla fine del cunicolo c’era ad attenderlo la morte ulteriore. Tornare indietro…

Poi girò la testa e un lampo di luce gli colpì gli occhi: vide un sottile spicchio di cielo argenteo vicino alla sua mano sinistra. E capì cosa fosse successo: quando il tavolo si era rovesciato aveva strappato la tenda. Un piccolo taglio, che sventolava alla brezza che accarezzava il muro dell’edificio; aveva assaporato quall’aria con le narici e la bocca aperta. Aria, e una fetta di nuvole, distanti, là nello spazio.

L’aria o il cunicolo. Il tavolo aveva cominciato a traballare, spinto da mille mani all’altro capo.

E quando si fosse rovesciato, lui sarebbe stato perso. Infilò la testa nella fessura e si guardò in giro, mentre la tela strappata gli sfregava le spalle. Non si preoccupò nemmeno di cosa ci fosse dall’altra parte, una presa o meno, il bordo della piattaorma o il grande vuoto.

C’era una corda, una di quelle che reggevano la grande tenda. Fortunatamente, afferrarla gli aveva evitato di cadere a capofitto dalla piattaforma mentre usciva dalla fessura. Per un confuso istante, Axxter lanciò un’occhiata alle nuvole con una gamba penzolante e una mano aggrappata al bordo della piattaforma. Dietro a sé sentiva le voci della folla che premeva. Un veloce sguardo alle sue spalle, poi azionò i cavi d’aggancio della sua cintura: si fissarono alla corda, disponendosi su tutta la sua lunghezza, mentre lui si girava sul bordo della piattaforma. Si fermò un attimo, quindi si lanciò lungo la corda.

Una foresta di metallo, strutture di supporto, altre corde: ombre che formavano disegni astratti sul muro dell’edificio. Axxter stava ancora cercando di riprendere fiato — per quanto gli permettessero la paura e la nausea che gli serravano la gola — e di riordinare i suoi pensieri, quando udì una voce sopra di lui.

— Ehi! È qui!

Guardò verso l’alto e vide un viso capovolto: baffi impomatati e la fronte di un guerriero. Niente di più, visto che il corpo era nascosto dalla piattaforma. Il guerriero sogghignò disgustosamente, poi si girò verso i suoi compagni, urlando. — È qui!

Merda… Axxter lasciò la corda, dopo averne afferrata un’altra con la mano libera. I cavi d’aggancio si fissarono a quella.

Altre urla dall’alto che si univano a quella caccia. Si allungò e afferrò una delle strutture che correvano lungo il muro formando un angolo di quarantacinque gradi. Vi avvolse le gambe e cominciò a scendere.

— Tu, piccolo rottinculo! Brutto stronzo!

Girò la testa e vide dei guerrieri arrampicarsi sulla piattaforma. La loro rabbia si era trasformata nel piacere dell’attesa del divertimento che li aspettava. Stava offrendo loro un passatempo molto più divertente di quanto si fossero aspettati; davvero spiritoso.

Figlidiputtana. Un’occhiata alle sue spalle, per cercare di capire dove stesse andando, gli fece girare la testa e provò di nuovo quella sensazione di nausea. La lingua divenne più pesante, soffocandolo. Bastardi… la paura fece emergere tutta la sua rabbia che gli annebbiò la vista. Non si era mai spinto così distante, perlomeno non avendo solo il vuoto intorno a sé, senza alcun pavimento orizzontale su cui appoggiarsi, né il muro dell’edificio per aggrapparsi.

Un forte rumore metallico gli rintronò nelle orecchie e la vibrazione che quel suono aveva provocato gli giunse fino alle dita, proprio nel punto in cui erano aggrappate alla struttura. Con la coda dell’occhio, Axxter vide uno dei guerrieri che agitava un braccio. Il coltello sibilò sopra la sua testa, colpì la struttura e vi s’infilzò. Un filo metallico uscì dall’impugnatura, per un attimo danzò come un serpente nell’aria ed individuò la corda più vicina che partiva dalla vita di Axxter e che si agganciava alla struttura stessa.

Il filo del coltello tagliò la corda; Axxter si sentì cadere all’indietro fino a quando le altre corde di sicurezza non ricrearono un equilibrio, distribuendo tra loro il suo peso. Un’ondata di panico, e le sue dita si strinsero ancor più saldamente alla struttura; spalancò gli occhi e vide il filo metallico muoversi avanti e indietro, mentre il sensore che aveva in cima cercava altri bersagli.

Si lanciò di nuovo verso una corda. Axxter lasciò la presa e cercò di afferrarlo. Il filo gli si attorcigliò intorno alle nocche, facendogliele bruciare. Il dolore gli fece ritrarre la mano e lo strattone staccò il coltello dal metallo. Un rivolo rosso gli attraversò il palmo, mentre il filo scivolava via trascinato dal peso del pugnale che cadeva nel vuoto.

La vista del coltello che precipitava verso le nuvole gli ricordò chiaramente dove si trovasse e, istintivamente, abbracciò con entrambe le braccia la struttura, mentre il cuore gli batteva all’impazzata.

— Molto bene, dolcezza — Una voce maliziosa provenne dall’alto. — Continua a tenerti ben stretto e noi verremo a prenderti. E poi… poi faremo una bella festicciola. Sarà divertente, non è vero?

Axxter guardò in alto, verso il bordo della piattaforma. Un paio di guerrieri erano già arrivati alla prima giuntura della struttura. Quella vista gli fece passare la paura del vuoto, ma la sostituì con il terrore d’essere acciuffato. Con i palmi umidi allentò la presa, abbastanza per poter scivolare in basso verso il muro.

Gli appigli si muovevano automaticamente, compensando la sua goffaggine; le corde di sicurezza degli stivali abbandonarono la struttura per aggrapparsi al muro quando ancora si trovava a un metro di distanza. Vi si aggrapparono saldamente e si accorciarono in modo da avvicinarlo velocemente al muro e permettere anche alle corde della cintura di agganciarsi — a tutte, tranne a quella recisa dal coltello, che ora svolazzava inutilmente in giro: così sarebbe stato ben ancorato all’edificio. Stava per scendere dalla struttura, quando sopra la sua testa sentì i pesanti stivali dei guerrieri che si muovevano sul metallo, mentre parlavano e si urlavano frasi a vicenda. Si appiattì contro il muro e il suo peso morto azionò la discesa a doppia corda dei suoi appigli: durante quella caduta controllata acquistò velocità e la frizione gli bruciò una guancia.

Un’apertura: le sentinelle che c’erano all’entrata principale dell’accampamento avevano abbandonato le loro postazioni. Probabilmente quando era scoppiato quel gran casino nella tenda, pensò Axxter. Non volevano perdersi la festa. Rallentò il movimento veloce delle corde d’aggancio, usando se stesso come freno contro il muro. Aveva già individuato il luogo in cui aveva lasciato la Norton. Un sospiro di sollievo: la moto avrebbe potuto essersi allontanata per cercare vegetali da ingurgitare per la normale trasformazione in carburante. I guerrieri della Folla gli sarebbero stati addosso prima che il suo fischio potesse richiamare la Norton.

S’arrampicò sul sidecar e poi balzò sul sedile, mentre le cinture di sicurezza lo bloccavano al suo posto. Pregava più ardentemente del solito, mentre infilava la chiave nell’accensione e metteva in moto. Il motore tossì, scoppiettò… in agonia; le urla dei guerrieri risuonavano sopra di lui… poi finalmente, con un rombo, la Norton si accese.

Axxter si precipitò verso il basso, come se fosse in caduta libera e diede gas per andare ancora più in fretta. Il vento faceva del suo viso una maschera rigida e le labbra erano del tutto esangui. Si abbassò dietro il manubrio, appoggiando il petto contro l’indicatore del livello di carburante. Guardò verso il basso, verso le nuvole. La velocità gli fece venire le vertigini, mentre l’aria che lo colpiva alla gola gli pompava sangue nelle orecchie che gli rimbombavano. Non era mai andato così forte; ne aveva sempre avuto troppa paura. Ma ora… — Non ho mai, mai avuto abbastanza paura. — La realizzazione gli attraverò in un lampo la mente e poi scomparve in una spirale.

Si guardò alle spalle, al di là della curva della sua spina dorsale e del paraurti posteriore della Norton. E li vide, sul muro: i guerrieri della Folla Devastante, una squadra armata per la caccia. Avevano probabilmente impiegato mezzo minuto a organizzarsi, scegliendo un capo, l’equipaggio e urlandosi a vicenda strategie; poi avevano agguantato i veicoli più veloci e si erano tuffati all’inseguimento del loro bersaglio, della gola che volevano tagliare, degli arti che volevano strappare e su cui volevano poi danzare. Era troppo distante per vederne i volti, ma Axxter sapeva che erano sogghignanti.

Calma, calma; devi solo riuscire a pensare. Pensare… Strinse i denti contro il vento freddo, ordinando al suo cervello di concentrarsi. Immagina…

Un brivido scosse la Norton e gli fece tremare le mani. Le corde d’aggancio fuoriuscirono confusamente dal mozzo della ruota anteriore, si fissarono al cavo di transito, poi si sganciarono. Axxter si girò verso la Watson. Il sidecar si era sollevato dal muro, svolazzando a qualche centimetro dalla superficie. Di tanto in tanto, la sua unica ruota colpiva la superficie metallica, producendo un’esplosione di scintille.

Axxter sbatté gli occhi e guardò il contachilometri. I numeri nel quadrante in alto a sinistra stavano ancora aumentando, mentre l’ultima cifra scorreva così velocemente che non era neanche leggibile. Davanti ai suoi occhi comparve una scritta. CI STIAMO AVVICINANDO AL LIMITE DI ADESIONE.

Era l’ultima delle sue preoccupazioni: i dispositivi della moto erano programmati per impedire alla macchina di staccarsi dal muro per l’alta velocità. Finché fosse riuscito ad andare così velocemente e a distanziare i veicoli che lo inseguivano…

Che tipo di veicoli erano? Chiuse gli occhi, lasciando che la Norton accelerasse da sola lungo il cavo, mentre cercava di ricordare quelli che aveva visto all’accampamento. Soprattutto tricicli d’attacco, grandi veicoli armati; poteva distanziarli facilmente: erano costruiti per combattere non per gareggiare. Grandi mezzi da trasporto, con portabagagli capienti… non costituivano un problema.

E ricognitori. Merda… si era quasi dimenticato quei piccoli levrieri, delle Guzzi spartane, ma con i motori truccati. Quelli avrebbero guidato il gruppo, divorando la distanza tra loro e la Norton, più accessoriata.

Se le avessero avute pronte… se ne avessero dotata una di qualche arma… Il loro valore militare stava proprio nella velocità: penetravano nel territorio nemico per una veloce ricognizione e poi ne uscivano altrettanto rapidamente; di solito non avevano armi, erano leggere e veloci.

Doveva riuscire a scoprire che tipo di veicolo lo stesse inseguendo. Se l’avesse saputo, avrebbe potuto escogitare una strategia e una rotta di fuga. E il territorio… devo sapere, devo sapere. I pensieri gli turbinavano nella mente.

E doveva capire cosa ci fosse davanti a lui… sì, anche quello. Non poteva continuare a scendere lungo il muro per sempre, anche se quelli non fossero mai riusciti a raggiungerlo. Le nuvole: quando le avrebbe raggiunte avrebbero significato il nulla; il grande Nulla, il luogo che ingoia quelli che hanno fatto il grande passo, li ingoia e poi li lascia cadere. Ci sarebbe arrivato piuttosto in fretta in quel modo; nessuno era così stupido da dare gas per arrivarci ancora più velocemente.

Il vento gli era penetrato nella giacca, raffreddandolo. Socchiuse gli occhi, e cercò di ricordare, di ricostruire a memoria una mappa. Lungo il muro verso sud, partendo dall’accampamento della Folla… qualcuno… qualche tribù che non fosse alleata con la Folla, con sufficienti coglioni o legata da trattato all’Atroce Amalgama… qualunque cosa che lo aiutasse a liberarsi di quella massa armata alle sue spalle… se solo fosse riuscito ad arrivare in un posto simile…

Sarebbe stato perfetto, se il cavo a cui era fissata la Norton l’avesse condotto lì. Qualche gruppo che davvero odiasse la Folla Devastante, che si facesse una bella risata pensando a quello che era successo al banchetto, che gli offrisse riparo fino a quando lui non fosse riuscito a pensare bene a cosa fare, a dove andare. Il vento gli faceva lacrimare gli occhi, segnandogli il viso fino alla mascella, mentre Axxter stringeva i denti e sperava.

Non riesco a ricordare un cazzo… Sapeva che non gli sarebbe servito a molto nemmeno se ci fosse riuscito: era rimasto all’accampamento della Folla abbastanza a lungo perché le cose fossero cambiate in quel settore del muro: le tribù potevano aver trasferito le postazioni. Continuò a tenere la testa bassa, riflettendo, senza prestare attenzione ai ricordi di chiacchiere e pettegolezzi sugli itinerari dei liberi professionisti. Qualsiasi cosa fosse riuscito a ricordare sarebbe stata ormai vecchia, inutile.

Avrebbe dovuto chiamare la Chiama Ricevi, pagare l’agenzia per avere una mappa aggiornata e poi pagare anche un extra perché quelle informazioni fossero ad alta affidabilità. Anche con una banda di assassini alle calcagna il pensiero di una tale parcella lo fece esitare. Se ci fosse stato qualunque altro modo…

Merda… Sarebbe stato un salasso per il suo conto corrente. Era diventato così carino e pasciuto da quando il Generale Cripplemaker gli aveva dato il suo anticipo… Si torna alla realtà.

Guardò in basso a destra e vide la Piccola Luna orbitare in cielo, lucente e in attesa. Quegli stronzi. Grazie tante. Ma almeno era lì per inviare la sua chiamata alla Chiedi Ricevi. Se non si fosse trovata in quel punto, se fosse stata nascosta sull’altro lato del Cilindro, lui sarebbe stato proprio fottuto. Non avrebbe assolutamente potuto fermare la Norton, scendere e cercare una presa per inviare la chiamata attraverso il Sindacato delle Comunicazioni; non certo con quei pazzi furiosi che lo inseguivano.

Ma mentre sbatteva le ciglia, formando il numero della Chiedi Ricevi che aveva trovato in elenco, si chiese se fosse prudente chiamarli tramite la Piccola Luna. L’avevano già fregato una volta, in combutta con la DeathPix. Però probabilmente pensano che io sia già morto. Quella riflessione lo confortò. Crederanno che mi abbiano fatto fuori al banchetto. Il Consorzio della Piccola Luna non poteva aspettarsi una sua chiamata a una simile distanza dall’accampamento. Aveva il tempo di chiamare, ottenere l’informazione di cui aveva bisogno e chiudere, prima che quelli potessero capire. Compose anche l’ultima cifra del numero e l’ascoltò rimbalzare sul satellite riflettente.

TU LO VUOI, NOI TE LO PROCURIAMO. La scritta comparve sotto al viso che rappresentava l’agenzia di informazioni.

— Passatemelo con l’audio — Anche per quello c’era un sovrapprezzo, ma non aveva tempo di leggere.

Tu lo vuoi, noi…

— D’accordo, d’accordo, piantala — Axxter si avvicinò ancor di più al contachilometri della Norton, coprendosi le orecchie con le spalle nel tentativo di ripararsi dal vento. — Ho bisogno di una mappa, un… come cavolo si chiama? Un tracciato al cui centro vi sia il richiedente. Capito bene?

CARATTERISTICHE? Scusa. Caratteristiche?

— Cancella qualsiasi cosa, tranne i cavi di transito operativi e le tribù militari che ci sono nei dintorni. E un’ultima cosa: ditemi anche le loro dimensioni numeriche, la forza stimata in campo e i legami politici. Avrò bisogno dell’ottanta per cento di affidabilità, quindi calcolate tutto al novanta.

Ti costerà parecchio.

Autorizzò il prelievo dal suo conto. — Fatelo e basta. E velocemente, d’accordo? — Il viso della Chiedi Ricevi svanì; egli lanciò un’occhiata al saldo del proprio conto al margine del suo schermo. Era già diminuito per la chiamata; improvvisamente diminuì ancor di più, fino a che la prima cifra sparì del tutto. Quella vista fu come una pugnalata al cuore.

Forza, forza… oh Cristo! Un’altra occhiata alle sue spalle. In lontananza, il viso dell’uomo che guidava il gruppo era appena visibile, almeno nell’alta definizione della sua immaginazione. E immaginò anche il ghigno compiaciuto del guerriero.

Poi, finalmente, arrivò la mappa per cui aveva pagato così salato. Axxter si girò e la studiò attentamente.

Peggio di quanto pensasse. Il suo cuore già sanguinante, parve fermarsi. I simboli dei cavi di transito erano davvero pochi su quella mappa, a malapena formavano un quadrato, senza nemmeno considerare schemi di altro tipo. Il cerchietto pulsante che rappresentava lui stesso, la Norton e la Watson, era immobile al centro di quel tracciato, una bisettrice che si dirigeva verso l’alto; al limitare della mappa si vedeva il gruppo armato della Folla Devastante — puntini neri lungo un unico cavo — che si avvicinò a lui di un centimetro proprio mentre li stava osservando. Le chiazze che rappresentavano le tribù non erano più di un paio ed erano di diversi colori: quelle dell’Amalgama e dei suoi alieti davano sul rosso, mentre quelle della Folla erano blu e verdi. E comunque si trovavano troppo lontane; Axxter si stava infatti allontanando da quella blu più vicina, dirigendosi a sinistra verso l’alto, scomparendo nell’angolo destro della mappa.

Scorse la parte bassa della mappa, mentre il cerchio pulsante e i puntini neri scomparivano verso l’alto. Continiuò a scorrerla, senza vedere niente se non la linea verticale del cavo nel mezzo, fino a quando comparve una scritta: DATI INSUFFICIENTI PER MANTENERE IL GRADO DI AFFIDABILITÀ. Digrignò i denti; aveva scorso la mappa, tanto da trovarsi davanti dei settori sconosciuti del muro. — Andate al cinquanta per cento. — La mappa continuò a svolgersi davanti ai suoi occhi, fino a quando divenne tutto bianco, anche il cavo di transito.

Risparmia i tuoi soldi. Hai già oltrepassato la barriera delle nuvole, amico.

Niente. Solo un muro bianco tra il punto in cui si trovava e le nuvole. E al di là non c’era nulla; lo sapevano tutti. Non c’era il fondo del Cilindro. Solo il nulla, il Nulla verso cui lui si stava dirigendo a folle velocità.

E non c’erano cavi perpendicolari su cui deviare, nessun modo per spostarsi anche di pochi gradi intorno alla circonferenza dell’edificio. Verso un posto in cui poter trovare un nascondiglio, una tribù che lo ospitasse. Se avesse provato ad abbandonare il cavo, costringendo la Norton a muoversi usando molti più appigli e meccanismi, avrebbe rallentato la sua andatura e i guerrieri della Folla l’avrebbero subito raggiunto. Non si sarebbe allontanato più di due metri dal cavo prima che potessero piombare su di lui: e sarebbe stato un bersaglio facilissimo.

Dannazione… Tutto il mondo si era trasformato in una linea, una stringa: a un capo c’era lui e all’altro quelli che volevano ucciderlo. È per questo che sono passato al livello verticale? Gli veniva contemporaneamente da ridere e da piangere.

Avrebbe anche potuto fermare la Norton, girarsi e restare in piedi, offrendo il suo petto ai coltelli che stavano per arrivare. Così l’avrebbe fatta finita in fretta…

Il viso della Chiedi Ricevi stava aspettando un’ulteriore richiesta. — Datemi le Strategie. — Non si preoccupò di salvare la mappa nei suoi archivi. A che cosa gli sarebbe servita una pagina bianca?

Non vide più nulla, se non la cifra che aveva sul conto, riportata nell’angolo in basso a destra dello schermo. I numeri erano tremolanti, il che significava che lo stavano controllando.

Mi spiace. Ancora quel viso. Non hai il denaro per pagare questo servizio. E noi non facciamo credito.

— Oh… aspetta un attimo.

Niente affatto — Il viso stava già svanendo. — Tu non ti puoi permettere i nostri servizi, amico. Hasta la vista — Ed era già scomparsa.

’Fanculo, ce n’erano altri. Non voleva guardare quanto gli era rimasto sul conto — quanto gli avevano succhiato per quella informazione — ma provò a cercare un’agenzia più economica, che gli fornisse quello di cui aveva bisogno per quella cifra.

La ricerca stava diventando lunga, i secondi volavano via. Evidentemente era già arrivato quasi in fondo alla lista di agenzie d’informazioni, a quelle molto piccole, che fanno pagare quasi nulla. E c’era un motivo.

Alla fine un’indicazione: CHIEDI A BENNY PERÙ: È VELOCE, ECONOMICO E QUALCHE VOLTA CI AZZECCA. Fu seguita dall’immagine ferma di un uomo grasso, seduto dietro a un’antica scrivania di legno. Quello che restava del cuore di Axxter, mantenuto al suo posto dall’adrenalina, cadde, con tutto il resto.

— Hai un problema? — Non c’era alcuna animazione, solo l’audio sovrapposto a quell’immagine immobile.

Non aveva niente da perdere… si stava già dirigendo verso il basso, aveva il Nulla davanti a sé e decisamente qualcosa da evitare alle sue spalle. Raccontò all’uomo grasso il proprio problema.

Qualche secondo… sia le nuvole che i guerrieri erano più vicini, troppo vicini, accorciando tutte le distanze. Si rese conto che la persona con cui stava comunicando — lo stesso Benny, suppose — ci stava davvero pensando su.

Il conto non era calato di molto. — Bene, giovane amico, c’è una semplice soluzione a ogni cosa. Non è vero?

Aveva il sapore sospetto del preludio a un consiglio di tipo religioso. Non certo quello di cui aveva bisogno al momento. — Per esempio?

Semplice — Il tono sembrava quasi dar vita all’immagine. — Semplice… taglia il cavo.

— Cosa? — Non poteva crederci; il segnale inviato dalla Piccola Luna doveva essere distorto. — Ripetimelo!

Ho detto, taglia il cavo. Capisci, il cavo di transito su cui ti trovi. Tutto qui.

L’uomo grasso, o qualunque cosa vi fosse dietro l’immagine, l’aveva detto davvero. — Ma sei matto…

Se vuoi una spiegazione completa, ti costerà di più. — Cortese, imperturbabile, come fosse abituato a epiteti ben peggiori. — Ma risparmia il tuo denaro — quello che ti è rimasto — e accontentati.

Quel tipo aveva ragione: al cento per cento.

Hai capito? Ci sono altri problemi? Io mi occupo di ogni cosa. Come va la tua vita sentimentale…

Axxter troncò la comunicazione. Aveva avuto tutto quello che gli serviva.

Tagliare il cavo… naturalmente! Se il mondo si era trasformato in una sola linea, bastava solo liberarsi di un capo di quella linea, del capo che gli procurava problemi. Le multe per il sabotaggio di una qualunque parte della rete di transito dell’edificio erano enormi… il Dipartimento dei Lavori Pubblici che si trovava ai piani alti del Cilindro era l’incarnazione della legge, molto più stabile di tribù come l’Atroce Amalgama, che andavano e venivano; si raccontava che i Lavori Pubblici risalivano addirittura all’epoca precedente la Guerra, un’entità che aveva radici in nuvole ben più oscure di quelle che vedeva davanti a sé. Comunque… tagliare un cavo, soprattutto in un settore che ne aveva pochi come quello, gli avrebbe fatto prendere una multa che gli avrebbe prosciugato quel poco denaro rimasto sul conto e l’avrebbe mandato in rosso per un lunghissimo periodo. Avrebbe dovuto lavorare per il Dipartimento dei Lavori Pubblici almeno fino a che non avesse estinto il suo debito. Sempre meglio del resto… non c’era altra alternativa che gli permettesse di continuare a muoversi e a respirare.

Forza, muoviti! Aveva già perso un mare di tempo. Non aveva più bisogno di una mappa dettagliata per capire quanto fossero vicini i guerrieri della Folla Devastante… poteva guardare alle sue spalle e rendersi conto che avevano divorato molti dei chilometri che li dividevano, ghignando e spingendo al massimo i loro motori con l’acquolina in bocca per il divertimento che li attendeva.

Nella cassetta degli attrezzi della Watson c’era un cannello per le saldature. Ogni libero professionista ne aveva uno: serviva a riparare sezioni del muro. Avrebbe tagliato il cavo piuttosto facilmente in un paio di minuti.

Allentò le cinture che lo tenevano legato al sedile della Norton e si sporse verso il sidecar. Si allungò per tenere il manubrio girato, mentre prendeva la cassetta. Avendo una sola mano libera, rischiò di perdere il saldatore: lo strinse al petto per impedire che il vento glielo strappasse dalle mani. Tolse la sicura dall’attrezzo e lo accese. Ne uscì una fiamma blu e scoppiettante, che si rimpicciolì e si trasformò in una fiera incandescenza.

Lasciò il manubrio della Norton che incominciò a procedere a motore spento. Mentre rallentava, Axxter si girò e si accoccolò sul sedile per poi appiattirsi contro il paraurti posteriore. Subito le fasce si sicurezza della sua cintura si agganciarono, rendendo sicura la sua posizione. Alzò la testa e vide i guerrieri della Folla che rombavano dietro a lui; il cavo vibrava quando Axxter vi avvicinò il saldatore.

Il punto del cavo dietro alla ruota posteriore della Norton divenne rosso, poi arancione, infine bianco. Rivoletti di metallo fuso scivolarono lungo la parete del muro. Axxter socchiuse gli occhi per guardare la fiamma del saldatore, il cui calore gli scaldava le guance.

Poteva sentire i guerrieri urlare: eccitati dalla vicinanza della preda, le loro grida superavano il rumore dei motori. Alzando gli occhi dalla fiamma, Axxter notò che il capo aveva alzato sulla sua testa una scimitarra lavorata e aveva il viso distorto in un ghigno maniaco. Dietro a lui, tutti gli altri avevano brandito le proprie armi.

Ancora un minuto, forse meno… fu colto dalla voglia di gettare via il saldatore, tornare alla guida della Norton e dare gas. Qualunque cosa, pur di fuggire, pur di guadagnare anche solo dieci secondi… l’inseguimento aveva eccitato i guerrieri, aveva fatto andare loro il sangue alla testa. Il mio sangue… Si morse le labbra e avvicinò il saldatore al cavo.

Improvvisamente, sotto la fiamma, il cavo parve assottigliarsi. La tensione che lo teneva attaccato al muro… capì d’aver quasi finito. Ce l’ho fatta. Il cavo si faceva sempre più sottile: la sua larghezza era più che dimezzata e il metallo e la fiamma diventavano una cosa sola…

Poi la udì, una nota acuta che proveniva dal cavo stesso. Gli risuonò nelle orecchie, fino ad arrivare al centro del suo cervello, così acuta che riusciva a fatica a tenere fermo il saldatore, premendolo contro l’acciaio che si scioglieva.

Forza, forza… bastardi! Digrignò i denti e il rumore che produsse gli rimbombò nella testa.

E poi quell’altro suono, quello dei motori rombanti e della vibrazione che provocavano sul muro. Un grido, abbastanza alto da sovrastare tutti gli altri rumori: Axxter sapeva che la scimitarra risplendeva alla luce, alta nell’aria, pronta a colpire, a pochissimi metri da lui, ma non riuscì ad alzare lo sguardo. Restò con gli occhi fissi sulla fiamma e il metallo…

Si ruppe.

In un attimo, egli vide il cavo assottigliarsi improvvisamente, fino a diventare sottile come un suo dito. Poi niente, solo il muro sottostante, illuminato dalla fiamma; la tensione aveva aiutato il cavo a rompersi.

Gli sembrò di vederla ancora, quella linea impressa davanti ai suoi occhi, ma in realtà sapeva che si era ormai staccata dal muro. Per una frazione di secondo, rifletté su quello che aveva intorno, sul vento improvviso che gli scorreva sul petto e sulle braccia, sul saldatore e la sua fiamma blu che si allontanavano in una spirale. Aveva il sangue alla testa e tutto ciò che vedeva tendeva al rosso, con strane macchie nere che si stagliavano contro il cielo che gli girava intorno.

Vide le nuvole sopra di lui che volteggiavano nell’aria, poi, sorprendentemente, le rivide sotto di lui. Due guerrieri della Folla Devastante: sembrava che stessero nuotando nel nulla, sollevati verso l’alto, mentre dalle loro bocche uscivano imprecazioni che in qualche modo egli riusciva a sentire.

Il vento lo avvolse di nuovo. Ora vedeva l’edificio, il muro che si allontanava da lui. Il cavo di transito, diviso in due, scagliava il resto dei guerrieri in aria, insieme alle loro armi e ai veicoli.

Poi comprese. In un lampo, capì esattamente cos’era successo. Guardò verso il basso e vide se stesso sospeso, non c’era niente sotto di lui, tranne il cielo. L’altro capo del cavo, quello a cui erano fissate le ruote della Norton, si dibatteva come un serpente, trascinando la moto e il sidecar in un’ampia curva ad arco.

Sarei dovuto scendere… Fu l’unico pensiero che riuscì a formulare prima di accorgersi che le corde di sicurezza della cintura si spezzassero e l’impatto gli togliesse il fiato. Sarei dovuto scendere prima di recidere il cavo… che idiota…

Il mondo aumentò la propria velocità e poi divenne di nuovo reale. Axxter si girò per guardare alle sue spalle. Un capo del cavo si stava riavvicinando al muro; la Norton vi era ancora fissata, mentre le corde che tenevano bloccate le sue ruote avevano raggiunto la massima tensione. La parte finale di quella catena era lo stesso Axxter, fissato con altre cinture al sedile della Norton.

Colpì il muro con la spalla e il dolore gli annebbiò la vista. Sentì che le sue mani, malgrado il dolore, stavano graffiando la superficie metallica, in cerca di un appiglio. Poi il muro si allontanò di nuovo da lui, mentre il cavo reciso si allungava nel vuoto.

Riuscì ad aprire gli occhi e vide la Norton staccarsi dal cavo con tutte le corde svolazzanti. Anche il sidecar, dopo aver colpito il muro, andò in tanti pezzi, come una costellazione che si muoveva nel cielo.

Le corde non avevano resistito: le sentì schioccare come colpi di pistola distanti. Ogni cosa era svanita, perfino l’edificio stesso. E Axxter, sospinto dal vento, sembrava una X svolazzante e inarcata contro il nulla. Vide le nuvole sotto di sé, immobili per un attimo e poi, improvvisamente, muoversi velocemente verso di lui.

Le colpì e si sentì accecato: si trovava in un mondo bianco, senza connotazioni. Gli sembrava ancora di cadere, mentre quella nebbia pesante gli copriva il viso.

Improvvisamente riuscì a vedere di nuovo, in un crepuscolo grigio e soffice. Girò la testa e vide la parte scura delle nubi, che ora si trovavano sopra di lui.

Poi udì un canto.

E li vide, in cerchio intorno a sé. I loro visi sorridevano, stupiti al suo passaggio in mezzo a loro.

Vide le schiere di angeli cantare nella luce soffusa: il cielo ne era pieno. I suoi pensieri erano confusi, la sua testa piena di nulla e la caduta gli stava prosciugando le ultime energie. Eppure continuava a sentirli cantare.

Загрузка...