— Che cazzo hanno ’ste dannate ruote?
— Ruote? — Axxter guardò con aria perplessa la faccia dell’altro, come cercando qualcosa di nascosto tra la ragnatela di cicatrici.
— Questi poppanti! — Il guerriero della Folla Devastante si avvicinò e colpì una delle corde che dalla cintura di Axxter andavano al suolo. Risuonò una nota alta che vibrò vicino al muro dove la corda era agganciata e nei denti stretti di Axxter.
— Oh… quelle. — Si strinse nelle spalle e sorrise, pentendosene subito — Sai… le vecchie abitudini sono dure a morire.
Il guerriero grugnì e scosse la testa, con le trecce coperte di brillantina che gli si muovevano sulle spalle. Senza altri ancoraggi se non quelli degli stivali, l’uomo si diresse camminando perpendicolarmente al terreno verso l’accampamento di tende e stendardi. Axxter prese la sua borsa dal sidecar e si affrettò a seguirlo, anche se era rallentato dalle sue corde.
Gli ci erano voluti due giorni buoni di viaggio — compresa una notte in cui era stato mezzo sveglio, fissato al sellino della Norton, mentre le ruote seguivano un cavo di transito verticale — per raggiungere il campo. Le direzioni che gli aveva dato Brevis non lo avevano portato al quartier generale della Folla Devastante; ci sarebbero voluti molti altri giorni di viaggio. E avrebbe dovuto attraversare più di una città, accampamenti, basi militari e centri politici all’interno dei confini controllati dalla terribile Amalgama. Era passato per il quartier generale della Folla Devastante una volta e ci aveva guadagnato un colpo di avvertimento, un proiettile nella ruota frontale della Norton. L’eco della risata sguaiata e roca l’aveva seguito per chilometri.
Quel campo era più piccolo, ma comunque impressionante. Una divisione militare della Folla, circa duemila guerrieri — Axxter era ormai diventato abile nel valutare la grandezza di una tribù, sia dal punto di vista militare sia da quello economico — con tutto il materiale di supporto necessario, impresari, prostitute e altri tirapiedi, per un totale di diecimila uomini. Le tende sgargianti, ornate di pennacchi, erano state montate a caso, creando un caos di sentieri, passerelle, scale di corda e reti che s’intersecavano. La divisione doveva aver stazionato in quel luogo abbastanza a lungo, infatti, oltre al primo strato di tende e piattaforme, ne erano stati montati un secondo e un terzo, simili a protuberanze sovrapposte che sporgevano dal muro dell’edificio.
Un’ondata di rumore colpì Axxter, mentre seguiva il suo guerriero guida. Un cerchio di trofei segnava i confini originali dell’accampamento, piegati dal peso delle armature vinte ai nemici; alcuni scudi ed elmetti, ovviamente quelli conquistati più recentemente, scintillavano ancora grazie agli innesti luminosi. I trofei più spaventosi si muovevano al vento e nessuno si era preoccupato di togliere e conservare la pelle. Alcune mosche sembravano dare vita a quei tessuti; al di sotto, il biofoglio innestato era ormai grigio e morto, oppure vi pulsavano ancora i resti di alcuni grafici. Axxter immaginò che i suoi precedenti clienti, la Squadra dei Ragazzi Arrabbiati, doveva trovarsi da qualche parte in bella mostra. Senza dubbio, almeno una parte di loro era lì. Un viso vuoto, a cui era attaccato uno scalpo sanguinante, gli rivolse un sorriso senza labbra mentre passava. Rabbrividì e si affrettò a raggiungere la sua guida.
Il rumore proveniva dall’officina meccanica del campo e alcune voci cercavano di sovrastare il chiasso del metallo contro il metallo. Figure accucciate che indossavano maschere da saldatore lanciavano scintille lungo la parte annerita dell’edificio, accanto ai resti bruciacchiati di tende che erano state montate troppo vicino alle torce dell’officina. Lame affilate e scudi dentati prendevano forma sotto forti colpi di martello; sotto strati di grasso, i visi di quegli uomini guardarono Axxter per tornare poi al lavoro che avevano sotto le mani e gli strumenti.
— Ehi… — Gli stretti sentieri del campo avevano rallentato il passo del guerriero e Axxter era riuscito a raggiungerlo. Gli urlò in un orecchio: — Dove stiamo andando esattamente?
Il guerriero l’aveva aspettato nello spazio vicino al perimetro del campo. Accosciato, con gli occhi socchiusi per vedere qualunque cosa si muovesse lungo i cavi di transito. Si vedevano la cenere di un piccolo fuoco acceso nel muro e alcune ossa rosicchiate, a testimonianza del fatto che l’uomo era rimasto in attesa per un po’ di tempo, per ordine dei suoi superiori, aspettando il grafico che avevano convocato. I suoi occhi guardarono Axxter come lame di rasoio. Era un vecchio veterano con le trecce simili a corde grigie; il volto sembrava quello di una maschera da tigre tatuata — si trattava di inchiostro intrecciato nella sua pelle — segnata dalle rughe. Axxter pensò che quel tipo avrebbe dovuto trovarsi in un museo. Anche se era abbastanza grosso e torvo da far venire un brivido lungo la schiena a qualunque persona normale.
Un gruppo di prostitute, più giovani di Guyer e con lo sguardo più ingordo, lo squadrarono dal loro rifugio su un cavo. Lo inquadrarono subito come un tipo poco redditizio e tornarono alle loro chiacchiere.
— La tenda del Comandante. — Il vecchio guerriero indicò il cuore dell’accampamento. — Il Generale vuole vederti.
— Il Generale…
— Questi sono i miei ordini. — Il guerriero si arrampicò come una scimmia su delle liane e proseguì il suo cammino senza voltarsi indietro.
Axxter, a fatica, si fece strada tra le liane e finalmente riuscì a raggiungere l’uomo. — Il Generale chi?
Un grugnito stupito di fronte alla stupidità di quel civile: — Il Generale Cripplemaker.
Axxter non riconobbe quel nome. Lo sforzo che stava facendo per muoversi gli prosciugava tutto l’ossigeno del cervello; non riusciva a decidere se il fatto che quel nome gli era sconosciuto fosse un buon segno o no. Sulle insegne della Folla era rappresentato un buon numero di comandanti con tanto di resoconto delle loro imprese militari. Questo avrebbe potuto essere una nullità, un fallito non piazzato nella corsa, di cui non valeva la pena fare alcuna pubblicità. Oppure — e si augurò che non fosse l’ipotesi giusta — poteva trattarsi di qualcuno tanto orribile e assetato di sangue che la Folla Devastante non aveva affatto bisogno di pubblicizzarlo con le solite mini-serie che il Sindacato delle Comunicazioni trasmetteva gratuitamente sui canali specializzati in programmi per ragazzi. Qualcuno che avrebbero giocato come arma segreta, senza alcun preavviso, e tutti si sarebbero accorti immediatamente della sua crudeltà. Axxter combatté l’impulso di fermarsi, chiamare la Chiedi Ricevi e avere tutte le informazioni possibili su questo Cripplemaker… ma a quel punto a cosa sarebbe servito? Era ormai troppo coinvolto in quell’affare.
Arrivarono al centro del campo. Una tenda più grande di tutte le altre: era come un polo centrale che si alzava dal muro dell’edificio e il suo pennacchio si muoveva come un serpente al di sopra di tutti gli altri tetti colorati. Due guardie, che sembravano i fratelli minori dell’uomo che stava accompagnando Axxter, si trovavano ai lati dell’entrata della tenda; una era mezza addormentata nella sua cintura di sicurezza, mentre l’altra stava pulendosi le unghie con la punta di un coltello. Nessun tatuaggio antico; Axxter notò solo i minuscoli segmenti di biofoglio che avevano inserito nelle guance e sulle sopracciglia: erano inattivi, ma aspettavano solo i segnali per mostrare le loro immagini. Un cenno di saluto al vecchio guerriero e uno sguardo indagatore verso lo straniero fu tutto quello che concessero loro; mani ruvide aprirono le tende.
Ad Axxter ci volle un attimo per adattare i suoi occhi al buio. Poi si guardò intorno e si accorse di essersi aspettato qualcosa di più. Più di un semplice spazio diviso solo da corde e reti. Il colore e i disegni sui tappeti appesi erano sbiaditi dal tempo e quando Axxter si appoggiò a uno di essi per mantenere l’equilibrio venne coperto da una nuvola di polvere. Al centro della tenda pendeva una mappa su grande scala della superficie del Cilindro, o perlomeno della zona del giorno.
Il vecchio guerriero lasciò Axxter in piedi su una traballante passerella. Da un punto più vicino al muro, attraverso la mappa, filtrava una debole luce. Poteva sentire la voce del vecchio e quella di un paio d’altri, ma era troppo lontano per capire cosa dicessero.
Axxter guardò la mappa che aveva di fianco. Vi erano parti bianche segnate con la frase MURA INCOGNITA; vi erano anche piccole macchie che partivano dalla cima dell’edificio e s’ingrandivano verso il basso, fino ad immergersi nel grande spazio sconosciuto sotto alla barriera di nuvole. Qualcuno aveva disegnato piccole figure infantili, con corna e forconi, che danzavano ai margini della mappa. Le estremità di destra e sinistra erano delineate dalle Fiere Equatoriali, indicate con il simbolo dei dollari. La zona rossa, quella che indicava le alte sfere, era piena di oscenità. Le alleanze dell’Atroce Amalgama erano indicate con strisce rosse. Più in basso, un blu acceso indicava la posizione della Folla Devastante e dei loro alleati; poi vi era un’altra selezione di colori per tutte le piccole tribù non allineate che si muovevano nei territori più bassi della superficie esterna dell’edificio.
La mappa era tremendamente superata. Non ci volle molta abilità politica da parte di Axxter per capirlo. Alcune delle zone colorate portavano i nomi di tribù che si erano sciolte anni prima, volontariamente o per cause esterne. Altre tribù, nate da poco, non comparivano affatto sulla mappa. Dov’erano le Crudeli Guardie Televisive? Avevano messo a ferro e fuoco con ottime strategie la zona che sulla mappa si trovava tra il settore rosso e quello blu e avevano anche ricevuto ottime offerte di reclutamento da entrambe le parti. Ecco cosa si riusciva a fare con un atteggiamento duro e deciso. Quel cretino di Brevis avrebbe dovuto legarmi a quella tribù; anch’io sarei stato in grado di capire che erano davvero in gamba. Il libero professionista che si era occupato dei loro lavori grafici, un punk che si trova sul verticale da meno tempo di me, aveva avuto alcune delle loro azioni praticamente per niente. Quel pensiero gli fece venire un nodo di invidia allo stomaco.
Il ritorno della sua guida interruppe l’osservazione della mappa. — Di qui. — E indicò la zona più lontana della tenda.
— Questo è lui? — Un uomo alzò lo sguardo da un mucchio di carte sparse sulla scrivania; aveva gli occhi umidi, circondati da antichi occhiali rotondi e sbatté le palpebre. File di armadietti e cassetti semiaperti, straripanti di fogli, formavano una specie di confine a “L” sulla piccola piattaforma. — Tu sei Axxter? — Gli chiese puntandogli contro una biro.
Il vecchio guerriero lo spinse avanti. Qualcuno con un’uniforme nera rifinita in metallo e cuoio gli lanciò uno sguardo da uno dei cassetti. Il viso sottile dell’uomo osservava impassibile la scena che aveva di fronte.
— Uhm… già. Sì, esatto. — Egli riconquistò il suo eqilibrio e annuì. — Sono venuto… il più presto possibile. — Notò che stava agitando nervosamente una mano: l’afferrò con l’altra e le nascose entrambe dietro la schiena. — Quando ho ricevuto la vostra chiamata dal mio agente, come sapete, ero molto lontano da…
— Siediti. — La penna indicò una sedia vicino alla scrivania. — Mi spiace farti aspettare, ma le cose sono nel loro solito stato di caos qui intorno. — Un sorriso, o qualcosa di molto simile, mentre le mani dell’uomo tornavano a rovistare nel mucchio di documenti.
Da dove si trovava Axxter, quelle carte sembravano conti da pagare, lunghe liste di voci, spese e ricevute, il resoconto di un grosso giro di affari. Il piccolo uomo dietro alla scrivania — poteva vedere la sua testa dall’alto, piegata sulle carte — doveva essere un tipo molto concreto, incapace di pensare senza avere davanti qualcosa di solido. — Quando incontrerò il Generale?
Quello sguardo umido si alzò ancora verso di lui. — Io sono il Generale.
Senza guardarsi intorno, sentì il sorriso dell’uomo che indossava l’uniforme. E fu una sensazione spiacevole; il suo volto era abbastanza sgradevole da essergli rimasto impresso.
— Oh, mi dispiace.
— Aspetta solo un altro po’, poi ci occuperemo di affari. D’accordo?
— Certo. Nessun problema. — Si tolse la borsa dalla spalla e la mise per terra. — Fate con calma. — Taci, si ordinò.
L’Uniforme Nera chiuse una fila di cassetti. Axxter udì i passi dei suoi stivali alle sue spalle e la sua voce bassa, interrotta dalla risata goffa del vecchio guerriero, che si allontanava lungo una passerella. Allora, il silenzio della tenda fu rotto solo dal rumore della penna del Generale.
— Ecco. — Il Generale sistemò una fila di documenti in uno dei contenitori di metallo sulla scrivania. — Che male al culo! — Ancora quel sorriso sul suo viso rosa. — Non puoi credere alla quantità di lavoro che devo fare.
Axxter fece un piccolo rumore con la bocca. — Già, dev’essere dura. — Chi è questo qui? Dev’essere stato inviato dall’unità delle fighettine della Folla Devastante. Non sarà facile escogitare qualcosa di duro per un tipo così deboluccio e mite.
— Un goccio? — E tirò fuori una bottiglia dall’ultimo cassetto della scrivania. Il Generale Cripplemaker faceva dondolare due bicchieri con l’altra mano.
— Certo… grazie. — Axxter sorseggiò con cautela. Un leggero calore gli scese lungo la gola. Ne fu deluso: aveva bevuto roba più forte quando si trovava ancora sull’orizzontale. Bevve ancora e si appoggiò allo schienale della sedia.
— Già, un attimo di calma. — Cripplemaker si allungò sulla sedia e appoggiò il bicchiere sullo stomaco. — Sai, Axxter… o meglio, Ny, esatto? Bene, sai Ny, io voglio che tu ti avvicini a questo lavoro in modo… rilassato. Capisci cosa voglio dire? — Bevve metà del liquore e gesticolò col bicchiere facendosi cadere il liquido rimasto sulla mano. — So che a volte la gente diventa un po’… nervosa quando si trova in una situazione simile.
Axxter si strinse nelle spalle. — Già… be’…
Il Generale mise una cartelletta sulla scrivania. — Mi è stata data una documentazione completa. Su di te, Ny — e sbatté ancora gli occhi sorridendo. — Questo è un passo importante per te, non è vero? Voglio dire, queste piccole tribù di stronzetti ti hanno dato filo da torcere in passato.
Il calore gli era arrivato allo stomaco e si dipanava lungo la spina dorsale. — Oh, qualcuno non era poi così male. — Axxter bevve ancora. Il Generale prese la bottiglia e versò ancora.
— Bene, noi tutti dobbiamo cominciare in piccolo, vero? Mi ricordo… è da molto che sto con la Folla Devastante, sai. — Il suo sguardo oltrepassò Axxter e si perse nel vuoto, meditabondo. — E ancora prima stavo coi vecchi Danze e Rumori… ero stato reclutato personalmente da uno dei fratelli dei Barattoli. — Bobo in persona… che personalità aveva! — Gli occhi umidi del Generale brillarono. Con una mano se li asciugò entrambi.
Merda. Imbarazzato, Axxter guardò il fondo del suo bicchiere vuoto. Per la prima volta notò le rughe sul piccolo viso rosa dell’uomo, una fine ragnatela dietro agli occhiali. Quel povero vecchio… da che razza di gente mi ha mandato Brevis? I Danze e Rumori… il vecchio Bobo… i Barattoli… storia antica… scarse possibilità di elaborarla per progettare dei simboli interessanti.
— Ti sto probabilmente annoiando. — Cripplemaker si riempì di nuovo il bicchiere. — I miei ardori di gioventù. — La sedia scricchiolò quando si girò per guardare Axxter. — Ti ho raccontato abbastanza. Torniamo agli affari. — Si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulla pigna di carte sulla scrivania. — Sai perché abbiamo voluto che tu venissi qui. Abbiamo visto un po’ del tuo materiale; pensiamo che tu possa avere quello che cerchiamo.
— Bene… farò del mio meglio.
— No, no; farai molto di più, Ny. Vogliamo che tu superi te stesso. Vogliamo qualcosa di grandioso.
Vecchio pazzo furioso. Che cazzate mi tocca sentire. — Cos’è questa merda? — Si rese conto di essere ubriaco. Incredibile! Non quanto fosse ubriaco, ma come avesse potuto diventarlo bevendo così poco. Come se quel liquore si fosse scatenato, una volta entrato nel suo corpo, e avesse liberato una sostanza volatile pronta a prendere fuoco. E, incredibilmente, egli aveva permesso che gli succedesse una cosa simile in un luogo come quello, tanto pericoloso. Con quelle tribù militari non si doveva scherzare, in nessun momento. Bisognava tenere all’erta tutte le difese, e comportarsi in modo tale da non causare nessun casino. Ma lui ce l’aveva messa tutta per cacciarsi esattamente nella situazione opposta. Perché non vado a farmi fottere ogni tanto? Quella era un’intossicazione di pericolo. Una pessima posizione in cui trovarsi. È incredibile: lo sai, eppure non sei riuscito a comportarti diversamente. — Voglio dire, cosa volete di preciso da me?
— Adesso, adesso. Calmati. Volevo solo creare un’atmosfera amichevole, a livello personale. Ma vedo che sei un tipo a cui non piace perdere tempo. Ammiro questa dote — Cripplemaker avvicinò la faccia a quella di Axxter. — Abbiamo intenzione di iniziarti con qualcosa di importante. Per vedere come te la cavi. Abbiamo bisogno di una nuova icona.
— Davvero? Di che tipo? Voglio dire… avete bisogno di qualcosa che debba andare bene a livello corporativo, cioè per tutta la Folla, oppure qualcosa solo per la vostra divisione? — Axxter faceva scorrere il bicchiere vuoto tra i palmi delle mani. Metà del suo cervello gli faceva muovere la bocca e l’altra metà cercava nel suo archivio del materiale adatto a quella situazione. — E stiamo parlando di un’insegna di battaglia? O di qualcosa per le parate formali? Materiale sanguinario, oppure destinato alle pubbliche relazioni? È molto diverso.
Cripplemaker incrociò le braccia sulla scrivania ed era così vicino ad Axxter che poteva sentirne il respiro. — Ny… vogliamo qualcosa di grosso. Vogliamo che tu ci prepari una nuova insegna di morte.
Bingo! Axxter chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale. La rabbia si trasformò in esaltazione. Soldi. Ecco, ce l’ho fatta. Da qualche parte nell’accampamento, smorzato dagli strati di tende, proveniva il suono di una banda militare, con i suoi tamburi e tromboni. Lui la prese per la sua fanfara personale. Sorrise: posso farcela, amico. Sei venuto dall’uomo giusto.
— Stiamo mandando in pensione il nostro megassassino. — Cripplemaker allargò le mani. — Si trova all’accampamento principale in questo momento: ci vuole parecchio tempo per smontare tutta quell’armatura e quelle protesi… Ah! Ho sempre pensato che sarebbe stato divertente togliere tutti quegli armamenti da battaglia e non trovare poi niente all’interno. Come se quell’enorme meccanismo si fosse mosso da solo, seminando terrore durante gli ultimi venti anni. Sì, da ben vent’anni è l’uomo di punta della tribù. Ed è stato molto in gamba; davvero un fottutissimo terrore. — Il Generale rovistò un po’ sulla scrivania poi allungò alcune foto ad Axxter. — Ecco, dai un’occhiata a queste. Visto che ormai sta per essere messo a riposo non c’è ragione per cui tu non le possa vedere.
Axxter prese le foto e le guardò. Qualcosa di enorme e nero, tanto largo quanto alto, che al posto degli occhi aveva dei puntini rossi: un megassassino. Ne aveva già visto uno in un filmato e gli era sembrato spaventoso, ma quello era del tutto diverso. I pannelli del torace erano aperti e lasciavano intravvedere all’interno l’icona della morte.
Un disegno un po’ banale, ma efficace, tipico della DeathPix, pieno di denti e pugnali. Ma, in fondo, non doveva essere il miglior disegno del mondo: era solo l’ultima immagine che gli avversali avrebbero visto prima che la loro testa venisse tagliata. Vedere quell’icona significava respirare gli ultimi secondi di una vita che sarebbe stata stroncata da una bieca inevitabilità; ecco il significato di quell’immagine. La paura che si provava vedendola doveva essere in qualche modo superiore alla paura di quello che sarebbe seguito.
Ma l’icona che stava guardando aveva ormai fatto il suo tempo. — Io penso… che sarò capace di darvi quello che volete. Qualcosa di davvero… speciale.
— Bene, molto bene. Sono felice di sentirtelo dire. — Il Generale tamburellò sulla scrivania, seguendo il tempo della musica lontana. — Anche il nuovo megassassino sarà qualcosa di speciale. Ho visto i progetti per i suoi congegni di guerra; il lavoro di chirurgia comincerà a giorni. Sarà un capolavoro, assolutamente invincibile. E noi vogliamo che porti la tua icona — Disse puntandogli un dito contro il petto. — La tua creazione sarà l’ultima cosa che un gran numero di persone vedrà prima di morire.
— Accidenti… grandioso! Non vedo l’ora di mettermi al lavoro! — Si rese conto di essersi alzato dalla sedia. Guardò verso il basso e vide una mano grinzosa afferrargli il gomito. Il vecchio guerriero era tornato con l’ordine di riaccompagnarlo indietro. L’udienza con il Generale era terminata.
— Questo è il biglietto. — Cripplemaker si dondolò sulla sedia, incrociando le mani dietro alla testa. — Ci vedremo ancora. Ci saranno altri lavori per te. Questa è una promessa.
Gli diedero un lasciapassare per andare e venire tranquillamente dal campo. Il livello di rumore fuori dalla tenda del generalissimo era assordante; nell’officina meccanica il baccano dei motori e dei martelli era un continuo crescendo. I guerrieri fuori servizio si divertivano con rumorose bisbocce. Dirigendosi verso l’uscita dell’accampamento, Axxter passò vicino a un gruppetto che fingeva di combattere: sagome sudate e piene di cicatrici si colpivano sulla testa con aste di alluminio, ridendo con allegria demenziale. Una delle prostitute dell’accampamento che stava guardandoli, appoggiò una mano sulla coscia di Axxter e lo avvicinò alla cintura su cui era seduta, facendogli una proposta che si perse nel caos generale. La donna gli mimò la sua offerta; allibito, Axxter si allontanò velocemente fino ad arrivare in un punto dove poté fissare nuovamente le sue corde di sicurezza all’edificio. Il tumulto, unito al liquore che aveva bevuto dal Generale, gli faceva pulsare la testa in sincronia con i battiti cardiaci.
Le guardie all’uscita lo guardarono annoiati mentre passava, poi gli fecero un cenno. — Hai intenzione di tornare più tardi? — Il sole aveva già superato la cima dell’edificio, lasciandolo nell’ombra.
Scosse la testa, trasalendo immediatamente e rimpiangendo di aver dato quella risposta. — No… ho qualcosa da fare. Sarò indietro domani mattina. — In realtà aveva bisogno di un posto in cui ascoltare i propri pensieri. — Va bene?
Una scrollata di spalle, mentre grandi mani richiudevano le sbarre dei cancelli. — Se va bene a te.
Trovò la Norton che stava rifornendosi a mezzo chilometro di distanza da dove l’aveva lasciata. Salì sul sidecar, bagnò uno straccio con dell’acqua e se lo mise sulla fronte. Che branco di fottuti animali. Era la sensazione che provava ogni volta che abbandonava le sue peregrinazioni sui settori più desolati del Cilindro per occuparsi di qualche affare… ma abbandonava anche il rischio di morire di fame, doveva ammetterlo. Forse dopo quel lavoro i suoi giorni di peregrinaggi e fame sarebbero terminati. In un certo senso era un pensiero deprimente.
Appoggiò la testa sul bordo del sidecar e guardò verso il cielo. Il puntolino che aveva già visto era ancora là, fluttuante nell’aria.
— Ah! Cristo! — Sapeva chi era; non aveva bisogno dello zoom. Ormai, qualche legame invisibile li univa, il filo di un aquilone all’altro capo del quale egli sentiva la presenza dell’angelo. Lei mi sta seguendo. Quello stupido essere. Quello non era il territorio degli angeli… soprattutto non era adatto a un angelo che fosse già stato colpito da qualcuno. O qualcosa.
Si alzò in piedi nel sidecar, aggrappandosi al paravento per non perdere l’equilibrio. — Vattene da qui! — Il suo grido si perse nel vento; sapeva che lei non poteva sentirlo. Ma urlò di nuovo, sbracciandosi. — Va’ via!
L’angelo, quel piccolo punto, era sospeso nell’aria, piccolissimo e lontanissimo. Ma non se ne andò.