6. Un viso troppo familiare

Rod Caquer sapeva cosa era successo adesso. E l’ultima cosa che voleva fare era di rimanere alla stazione di polizia ad ascoltare Borgesen che parlava sotto l’influenza di quella che sembrava appunto una Ruota di Vargas. Nient’altro, assolutamente nient’altro avrebbe potuto indurre il tenente Borgesen a parlare così come aveva parlato. Sì, il professor Gordon aveva proprio fatto centro. Nient’altro avrebbe potuto provocare quei risultati.

Caquer camminò alla cieca in quella notte rischiarata solo dalla massa di Giove, passando davanti all’edificio in cui si trovava il suo appartamento. Non voleva andarci.

Le strade della Città Settore Tre sembravano affollate per essere un’ora così tarda. Tarda? Gettò un’occhiata all’orologio e fischiò leggermente. Non era più sera ormai. Erano le due del mattino e di norma le strade avrebbero dovuto essere assolutamente deserte.

Ma stasera non lo erano. La gente vagava per le vie, da sola o a gruppi, e tutti camminavano in un silenzio soprannaturale. Si sentiva uno scalpiccio di piedi, ma neanche un mormorio di voce. Neppure…

Sussurri! Qualcosa in quelle strade e in quella gente fece ricordare a Rod Caquer il suo sogno della notte prima. Solo adesso capì che non era un sogno. Né lui aveva camminato da sonnambulo, almeno come si intende normalmente.

Si era vestito. Era scivolato fuori di casa. Anche le luci dei lampioni erano spente e questo significava che gli addetti avevano disertato i loro posti. Come gli altri, anche loro vagavano tra la folla.

— Uccidi… Uccidi… uccidi… tu li odi… — Un brivido scese giù per la spina dorsale di Caquer quando si rese conto cosa significasse il fatto che il sogno della notte precedente fosse stato realtà. Questo era un fatto al cui confronto perdeva perfino di significato l’assassinio di un piccolo proprietario di un negozio di libri e bobine.

Questo era qualcosa che stava afferrando tutta una città, qualcosa che poteva sconvolgere un mondo, qualcosa che poteva condurre a un incredibile terrore e a un carnaio su una scala quale mai si era conosciuta da dopo il ventiquattresimo secolo. E tutto aveva avuto inizio con un semplice caso di omicidio!

In fondo alla strada, Rod Caquer udì la voce di un uomo che arringava la folla. Una voce frenetica, stridula per il fanatismo; allora corse fino all’angolo e giratolo si trovò ai bordi di una massa di gente che premeva attorno a un uomo che parlava dall’alto di una fuga di gradini.

— …e io vi dico che domani è il giorno. Adesso abbiamo perfino il Reggente dalla nostra parte e non sarà necessario deporlo. Ci sono uomini che stasera lavoreranno tutta notte per preparare le cose e dopo la riunione in piazza di domattina, noi…

— Ehi! — gridò Rod Cauquer. L’uomo smise di parlare e si volse per guardare in direzione di Rod, e anche la folla si voltò lentamente, quasi all’unisono, per fissarlo.

— Lei è in…

Poi Caquer si accorse che il suo era solo un futile gesto.

Non fu il fatto che l’uomo si avventasse verso di lui che lo convinse di questo. Non temeva la violenza. Anzi l’avrebbe accolta anche con sollievo come una liberazione da quel terrore soprannaturale, avrebbe accolto con piacere l’occasione di distribuire piattonate attorno a sé con la daga.

Ma dietro l’oratore c’era un uomo in uniforme… Brager. E Caquer ricordò in quel momento che anche Borgesen, ora a capo della stazione di polizia, stava dall’altra parte. Come avrebbe potuto arrestare l’oratore quando poi Borgesen, forte della sua autorità, si sarebbe rifiutato di convalidare l’arresto? E a che sarebbe servito dare il via a dei disordini che potevano costare cari a persone innocenti che non agivano di volontà propria, ma sotto l’insidiosa influenza che gli aveva descritto il professor Gordon?

Con la mano sulla spada, rinculò. Nessuno lo seguì. Come automi si voltarono tutti verso l’oratore che riprese l’arringa, come se non fosse mai stato interrotto. L’agente Brager non si era mosso, non aveva neppure guardato nella direzione del suo collega superiore in grado. Lui solo tra tutti non si era voltato sentendo il grido di sfida di Caquer.

Il tenente Caquer si affrettò ad avviarsi nella direzione in cui stava andando quando aveva sentito l’oratore. Così sarebbe arrivato in centro. Avrebbe trovato un locale aperto dove usare un visifono e avrebbe chiamato il Coordinatore di Settore. Questo era un caso di emergenza.

Certo chi aveva la Ruota di Vargas non aveva ancora esteso la propria attività al di là dei confini del Settore Tre.

Il tenente trovò un ristorante notturno, aperto ma deserto. La luce era accesa, ma non c’erano in giro camerieri, né c’era il cassiere dietro il registratore. Allora entrò nella cabina del visifono e premette il pulsante per avere il centralino delle chiamate interurbane. Quasi immediatamente sullo schermo comparve l’operatrice.

— Il Coordinatore di Settore, Città di Callisto, — disse Caquer.

— Mi spiace, signore, ma il servizio interurbano è sospeso per tutta la durata per ordine del controllore dei Servizi Pubblici.

— Per tutta la durata di cosa?

— Non ci è permesso dare questa informazione.

Caquer digrignò i denti. Be’, c’era almeno una persona che avrebbe potuto aiutarlo. Costrinse la sua voce a rimanere calma.

— Mi passi il professor Gordon, Residenze Universitarie, — disse alla centralinista.

— Sissignore.

Ma lo schermo rimase buio sebbene per qualche minuto continuasse a lampeggiare la spia rossa che indicava che il cicalino era in funzione.

— Non risponde nessuno, signore.

Probabilmente Gordon e sua figlia dormivano troppo profondamente per sentire il cicalino. Per un istante, Caquer prese in considerazione l’idea di precipitarsi là. Ma era dall’altra parte della città e poi che aiuto avrebbero potuto offrirgli? Nessuno. E il professor Gordon era un vecchietto fragile e malato.

No, avrebbe dovuto… premette di nuovo il pulsante del visifono e un istante dopo parlava col custode dell’hangar delle astronavi.

— Mi tiri subito fuori l’apparecchio veloce del Dipartimento di Polizia, — scattò Caquer. — Lo prepari perché sarò lì a minuti.

— Mi spiace, tenente, — fu la secca risposta. — Tutti i raggi d’energia diretti verso l’esterno sono stati interrotti per ordine speciale. Tutte le unità dovranno rimanere a terra per tutta la durata dell’emergenza.

Avrebbe dovuto immaginarselo, pensò Caquer. Ma che ne sarebbe stato dell’investigatore speciale inviato dall’ufficio del Coordinatore? — Le astronavi in arrivo hanno ancora il permesso di atterrare? — domandò.

— Hanno il permesso di atterrare, ma non di ripartire senza un ordine speciale, — rispose la voce.

— Grazie, — disse Caquer. Spense lo schermo e usci dal locale, alla luce dell’alba. C’era ancora una speranza. Forse l’investigatore speciale avrebbe potuto aiutarlo.

Ma lui, Rod Caquer, avrebbe dovuto intercettarlo, raccontargli tutta la storia e le sue implicazioni, prima che potesse cadere, come gli altri, sotto l’influenza della Ruota di Vargas. Caquer si avviò rapidamente verso il terminal. Forse era troppo tardi. Forse l’astronave dell’investigatore era già atterrata e il danno era stato fatto.

Di nuovo passò davanti a una folla di gente raccolta attorno a un oratore isterico. Ormai dovevano essere quasi tutti sotto influenza ipnotica. Ma come mai lui era stato risparmiato? Come mai non c’era anche lui sotto quella malvagia influenza?

È vero che nel momento in cui Skidder andava in onda, lui doveva essere per strada, diretto alla stazione di polizia, ma questo non spiegava tutto. Non era possibile che tutta quella gente avesse visto e sentito la trasmissione. A quell’ora doveva pure esserci stato qualcuno che dormiva.

E poi anche lui, Caquer, aveva subito l’influenza ipnotica la sera prima, la sera dei sussurri. E doveva essere stato sempre sotto l’influenza della ruota quando aveva compiuto la sua indagine sul delitto… anzi, i delitti.

Come mai, allora, adesso lui era libero? Era lui l’unico o ce ne erano altri che erano sfuggiti all’effetto Vargas ed erano assolutamente normali?

Ma se era lui l’unico, come mai allora era libero?

Ma lo era davvero?

Non poteva magari darsi che quanto faceva adesso, lo facesse sotto costrizione in base a un piano preordinato?

Ma non c’era senso a pensarci adesso per impazzire. L’unica cosa che poteva fare era agire per il meglio e sperare che la realtà fosse, nel suo caso, proprio quella che gli sembrava.

Poi si mise a correre perché davanti a lui c’era l’area aperta del terminal e una piccola astronave argentea stava atterrando in quel momento. Un piccolo apparecchio veloce ufficiale… doveva appunto essere l’investigatore speciale. Caquer girò attorno all’edificio del check-in, attraversò il cancello nella rete di filo metallico e corse verso l’astronave che aveva già toccato terra. La porta si stava aprendo.

Un ometto segaligno scese dall’astronave e chiuse il portello dietro di sé. Quando vide Caquer sorrise.

— Lei è Caquer? — chiese con simpatia. — L’ufficio del Coordinatore mi ha inviato qui per indagare su un caso che vi ha messo in difficoltà. Il mio nome è…

Il tenente Rod Caquer fissava affascinato e inorridito il viso ben noto dell’ometto, il porro che aveva a lato del naso, e aspettava il seguito che stava per aggiungere quell’uomo…

— …è Willem Deem. Possiamo andare nel suo ufficio?

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