CAPITOLO DICIOTTESIMO

— Non siamo ancora arrivati? — biascicò Miles, ancora intontito.

Batté le palpebre che, stranamente, non sentì appiccicose e dolenti. Il soffitto non vacillava, né ondeggiava, sembrava invece un miraggio visto attraverso l’aria cocente del deserto. Il respiro attraversava le sue narici frementi fresco e senza intoppi. Niente catarro. Niente tubi. Niente tubi?

Quell’ambiente non gli era familiare. Frugò nella memoria. Nebbia. Angeli e diavoli in biocontenimento, che lo tormentavano; qualcuno che pretendeva che orinasse. Umiliazioni mediche, ora misericordiosamente vaghe. Cercare di parlare, dare ordini, finché un’iposiringa di oscurità l’aveva messo a tacere.

E prima ancora: disperazione quasi totale. Spedire messaggi frenetici come avanguardie davanti al suo piccolo convoglio. Il flusso di ritorno di notizie vecchie di giorni di gallerie di transito bloccate; stranieri internati da entrambe le parti; beni sequestrati, concentrazione di navi, che raccontavano la loro storia alla mente di Miles, resa ancora peggiore dai dettagli.

Conosceva troppo bene i maledetti dettagli. Non possiamo fare una guerra adesso, stupidi! Non sapete che qui ci sono delle creature quasi nate? Il suo braccio sinistro si mosse di scatto, senza incontrare altra resistenza che una morbida trapunta sotto le sue dita contratte. — … ancora arrivati?

L’incantevole viso di Ekaterin si chinò su di lui. Non dietro alle apparecchiature protettive. Per un momento temette che fosse solo una proiezione olografica, o un’allucinazione, ma il bacio caldo e reale delle sue labbra, sulle ali di una breve risata, lo rassicurò della sua concreta presenza prima ancora che la sua mano esitante potesse toccarle la guancia.

— Dov’è la tua mascherina? — le chiese con voce stanca. Si sollevò su un gomito, lottando contro un’ondata di nausea.

Di certo non era nell’affollata, spartana infermeria della nave militare barrayarana in cui era stato trasferito dalla Idris. Il suo letto si trovava in una camera piccola, ma elegantemente arredata, la cui estetica cetagandana era chiaramente proclamata dalla quantità di piante, dalla luce serena, dal panorama oltre la finestra di una spiaggia tranquilla. Le onde spumeggiavano dolcemente sulla riva di sabbia bianca, che s’intravedeva dietro alberi alieni che gettavano delicate dita d’ombra. Quasi certamente una videoproiezione, dato che i segnali subliminali dell’atmosfera e dei suoni della stanza gli mormoravano anche Cabina di astronave.

Indossava un ampio indumento serico, in sfumature delicate di grigio, la cui natura di runica da ospedale era tradita solo dalle strane aperture. Sopra la testiera del letto, un pannello discreto riportava dati medici.

— Cosa succede? Abbiamo scongiurato la guerra? Quei replicatori che hanno trovato erano un trucco, vero?

Il disastro finale: la sua nave in corsa aveva intercettato notizie inviate a fascia stretta da Barrayar di negoziati diplomatici interrotti dalla scoperta, in un magazzino vicino a Vorbarr Sultana, di mille replicatori vuoti all’apparenza rubati dal Nido Celeste, privi dei loro occupanti. Presunti occupanti? Neppure Miles era stato sicuro. Un incubo di implicazioni. Il governo barrayarano naturalmente aveva negato vigorosamente di sapere come i replicatori fossero arrivati lì, o dove si trovasse il loro contenuto. E non era stato creduto…

— Il ba, Gupta, ho promesso… tutti quegli embrioni haut… Devo…

Devi stare buono e fermo. — Una mano risoluta sul petto lo spinse giù. — Le questioni più urgenti sono state concluse.

— Da chi?

Ekaterin arrossì leggermente. — Be’… da me, più che altro. Vorpatril probabilmente non avrebbe dovuto lasciarmi passare sopra di lui, tecnicamente, ma ho deciso di non farglielo notare. Hai un influsso malefico su di me, amore.

— Cosa? Come?

— Ho continuato semplicemente a ripetere i tuoi messaggi, e richiedere che fossero trasmessi all’haut Pel e al generale ghem Benin. Benin è stato magnifico. Una volta in possesso dei tuoi primi dispacci, ha scoperto che i replicatori trovati a Vorbarr Sultana erano semplici esche, trafugate dal ba un po’ alla volta dal Nido Celeste più di un anno fa, per prepararsi a questa operazione. — Aggrottò la fronte. — A quanto pare è stata una trappola premeditata del ba, intesa a provocare proprio questo genere di depistaggio. Un piano di riserva, casomai qualcuno si rendesse conto che non tutti erano morti sulla nave dei feti, e ne seguisse le tracce fino a Komarr. Ha quasi funzionato. Avrebbe potuto funzionare, se Benin non fosse stato tanto scrupoloso ed equilibrato. Da quel che ho capito, le circostanze politiche connesse a questa indagine erano diventate molto difficili. Ha davvero messo in gioco la sua reputazione.

Forse anche la sua vita, se Miles leggeva correttamente fra le righe. — Onore al merito, allora.

— Le forze militari, le loro e le nostre, sono finalmente uscite dallo stato di allerta e ora stanno rompendo le righe. I cetagandani l’hanno dichiarato un affare interno.

Miles si rilassò sui cuscini, enormemente sollevato. — Ah.

— Non credo che avrei potuto arrivare a loro senza il nome dell’haut Pel. — Esitò. — E il tuo.

— Il nostro.

A queste parole le sue labbra s’incurvarono in un sorriso.

— Effettivamente Lady Vorkosigan sembrava una formula magica. Faceva esitare entrambe le parti, mentre continuavo a gridare la verità. Ma non avrei potuto farcela senza il nome.

— Posso suggerire che solo il mio nome non avrebbe potuto farcela senza di te? — La sua mano libera si strinse intorno a quella di Ekaterin, sulla trapunta. Lei rispose alla stretta.

Cercò di nuovo di alzarsi. — Aspetta, non dovresti essere in tuta anticontaminazione?

— Non più. Stai giù, maledizione. Qual è l’ultima cosa che ti ricordi?

— Ero su una nave barrayarana a circa quattro giorni dallo Spazio Quad. E il freddo… — I suoi occhi si fecero scuri al ricordo, — era freddo davvero. I filtri del sangue non ce la facevano più, nemmeno usandone quattro alla volta.

— Sì — confermò Ekaterin… — Vedevamo letteralmente la vita scorrerti via dal corpo; il tuo metabolismo non ce la faceva, non poteva rigenerare le risorse che venivano risucchiate, nemmeno con le endovenose e i tubi di siero nutriente a pieno regime, e trasfusioni multiple. Il capitano Clogston non è riuscito a escogitare altro modo per sopprimere i parassiti, che mettere te, Bel, e i parassiti in stasi. Ibernazione fredda. Il gradino successivo sarebbe stato il congeLamento criogenico.

— Oh, no. Non di nuovo!

— Era l’ultima spiaggia, ma non ce n’è stato bisogno, grazie al cielo. Quando tu e Bel siete stati raffreddati abbastanza, i parassiti hanno smesso di moltiplicarsi. I capitani e gli equipaggi del nostro piccolo convoglio hanno fatto l’impossibile per farci viaggiare alla massima velocità compatibile con la sicurezza, e anche un po’ di più. Oh, sì, siamo arrivati; siamo entrati in orbita intorno a Rho Ceta… ieri, credo.

Era riuscita a dormire da allora? Non molto, sospettava Miles. Il suo viso, benché allegro, era contratto dalla fatica. Tese di nuovo una mano verso di lei, per toccare delicatamente le sue labbra con due dita come faceva di solito con la sua immagine olografica.

— Mi ricordo che non hai voluto che ti dicessi addio come si deve — si lamentò Miles.

— Mi sono detta che ti avrebbe dato una motivazione in più per lottare. Se non altro per avere l’ultima parola.

Miles sbottò in una risata e lasciò ricadere la mano sulla trapunta. Probabilmente la gravità artificiale non era veramente impostata su due G in quella camera, anche se il suo braccio sembrava legato a pesi di piombo. Doveva ammetterlo, non si sentiva esattamente… in forma. — E allora, sono libero da quei parassiti infernali?

Il sorriso ricomparve. — Completamente guarito. Be’, insomma, quella terrificante dottoressa cetagandana che la haut Pel ha portato qui ti ha dichiarato guarito. Ma sei ancora molto debole. Devi riposare.

— Riposare, non posso riposare! Cos’altro sta succedendo? Dov’è Bel?

— Anche Bel è vivo. Potrai vederlo tra poco, e anche Nicol. Sono in una cabina in questo corridoio. Bel ha subito… — Aggrottò la fronte, esitante. — Ha subito più danni di te da questa cosa, ma dovrebbe ristabilirsi col tempo.

A Miles quella frase non piacque molto.

Ekaterin seguì il suo sguardo che vagava per la stanza.

— Al momento siamo a bordo della nave della haut Pel… cioè, la sua nave del Nido Celeste, che l’ha portato qui da Eta Ceta. Le donne del Nido Celeste vi hanno fatto trasferire qui per curarvi e non hanno lasciato salire a bordo nessuno dei nostri uomini per farvi la guardia, nemmeno l’armiere Roic all’inizio, cosa che ha provocato uno stupidissimo litigio; avevo voglia di sculacciare tutti quanti, finché poi non hanno deciso che Nicol e io potevamo venire. Il capitano Clogston era molto turbato di non potervi assistere. Ha addirittura minacciato di non restituire i replicatori finché non avessero cooperato. Puoi immaginare come ho reagito a quell’idea.

— Bene! — E non solo perché si erano liberati di quelle piccole bombe a orologeria. Non poteva immaginare una manovra più psicologicamente sbagliata o diplomaticamente disastrosa, in un momento come quello.

— Inoltre ho dovuto calmare quell’idiota di Gupta, che era isterico all’idea di essere riportato dai cetagandani. Sono stata costretta a fare promesse… Spero di non aver mentito spudoratamente.

— Era vero che covava ancora un serbatoio di parassiti? — chiese Miles. — Hanno curato anche lui? Gli avevo giurato che se avesse collaborato come testimone, Barrayar l’avrebbe protetto, ma non mi aspettavo di essere incosciente al nostro arrivo.

— Sì, la dottoressa cetagandana ha curato anche lui. Dice che il residuo latente di parassiti non si sarebbe più riattivato, ma in realtà non credo che fosse sicura. A quanto pare, nessuno è mai sopravvissuto prima d’ora a quest’arma biologica. Ho avuto l’impressione che il Nido Celeste voglia Gupta a scopo di ricerca ancor più di quanto la Sicurezza Imperiale di Cetaganda lo voglia per le sue imputazioni criminali, e se devono giocarselo a braccio di ferro, vincerà il Nido Celeste. I nostri uomini comunque hanno eseguito il tuo ordine; è ancora detenuto sulla nave barrayarana. Alcuni cetagandani non ne sono troppo felici, ma gli ho detto che dovranno parlarne personalmente con te.

Miles si schiarì la gola. — Uhm… Mi pare di aver registrato qualche messaggio. Ai miei genitori. E a Mark e Ivan. E ai piccoli Aral ed Helen. Spero che tu non li abbia… non li hai ancora spediti, vero?

— Li ho messi da parte.

— Oh, bene. Non ero molto coerente in quel momento.

— Forse no — ammise lei. — Ma erano molto commoventi.

— Ora puoi cancellarli.

— Mai — disse lei, con fermezza.

— Ma parlavo a vanvera!

— Non importa, voglio tenerli. — Gli accarezzò i capelli, e il suo sorriso si torse. — Forse un giorno si potranno riciclare. Dopotutto… la prossima volta, potresti non avere tempo.

La porta della camera scivolò di lato, ed entrarono due donne alte e flessuose. Miles riconobbe immediatamente la più anziana.

La haut Pel Navarr, Consorte di Eta Ceta, era forse la numero due nella strana gerarchia segreta del Nido Celeste, seconda solo alla stessa Imperatrice, haut Rian Degtiar.

Il suo aspetto non era cambiato dalla prima volta che Miles l’aveva incontrata, una decina d’anni prima, se non forse per l’acconciatura. I suoi capelli biondo miele, incredibilmente lunghi, erano raccolti in una dozzina di trecce che scendevano da una linea sulla nuca che andava da un orecchio all’altro, e le cui estremità ondeggiavano attorno alle caviglie insieme all’orlo e ai drappeggi della gonna. Miles si chiese se l’effetto sconcertante, vagamente da Medusa, fosse intenzionale. La sua pelle perfetta era sempre pallida, ma non avrebbe mai potuto essere scambiata per una donna giovane, nemmeno per un istante. Troppa calma, troppo controllata, troppa distaccata ironia.

Al di fuori dei santuari più reconditi del Giardino Celeste, le donne haut di alto lignaggio normalmente si spostavano protette e celate da bolle di forza personali, al riparo da sguardi indegni. Il solo fatto che fosse entrata senza quel velo era sufficiente a far capire a Miles che si trovava in un territorio privato del Nido Celeste. La donna bruna accanto a lei era abbastanza anziana da avere tracce d’argento nei lunghi capelli che si inanellavano sulla schiena tra gli abiti, e una pelle che, benché immacolata, era visibilmente ammorbidita dall’età. Gelida, deferente, sconosciuta a Miles.

— Lord Vorkosigan. — La haut Pel gli rivolse un cenno del capo relativamente cordiale. — Sono lieta di trovarla sveglio. È tornato a essere se stesso?

Perché, prima chi ero? Temeva di poterlo indovinare. — Credo di sì.

— È stata una sorpresa incontrarci di nuovo in questo modo, anche se non è stata una sorpresa sgradita.

Miles si schiarì la gola. — È stata una completa sorpresa anche per me. I vostri embrioni dei replicatori, li avete recuperati? Stanno bene?

— Abbiamo completato gli esami la scorsa notte. Sembrano in ottime condizioni, nonostante le loro terribili avventure. Mi è dispiaciuto che non fosse così anche per lei.

Fece un cenno del capo alla sua compagna; la donna si rivelò un medico, che effettuò un breve esame dell’ospite barrayarano accompagnato da pochi mormorii bruschi. Per concludere il suo lavoro, immaginò Miles. Le sue domande sui parassiti transgenici furono accolte da risposte educatamente evasive; in seguito Miles si chiese se fosse veramente una dottoressa, oppure una veterinaria; se non fosse che la maggior parte dei veterinari che aveva incontrato dimostravano più simpatia per i loro pazienti.

Ekaterin fu più risoluta.

— Potete darmi un’idea del tipo di effetti collaterali che dobbiamo aspettarci da questo contagio, per il Lord Ispettore e il portomastro Thorne?

La donna fece cenno a Miles di riallacciarsi il camice, e si voltò per parlarle.

— Suo marito — e in bocca a lei questo termine riusciva a suonare del tutto alieno — ha subito una certa micro-cicatrizzazione muscolare e circolatoria. Il tono muscolare dovrebbe col tempo ristabilirsi gradualmente a livelli simili a quelli originali. Tuttavia, andando ad aggiungersi al suo precedente trauma criogeno, mi aspetterei un’accresciuta possibilità di problemi circolatori con l’età. Anche se, considerando la brevità della vostra esistenza, pochi anni di differenza nella speranza di vita non vi sembreranno significativi.

Esattamente il contrario, signora. Infarti, trombosi, emboli, Miles tradusse mentalmente. Che gioia. Aggiungiamoli alla lista, insieme a pistole ad ago, granate soniche, fuoco al plasma, raggi nervini, rivetti incandescenti e vuoto assoluto.

E convulsioni. Allora, quali interessanti sinergie avrebbe potuto aspettarsi quando quella micro-cicatrizzazione circolatoria si fosse incrociata con il suo disturbo convulsivo?

Miles decise di riservare questa domanda per i suoi medici personali. Loro avevano bisogno di nuovi stimoli, e lui sarebbe diventato un interessante progetto di ricerca. Militare oltre che medico, notò con un brivido.

L’haut continuò, rivolta a Ekaterin: — Il betano ha subito danni interni molto maggiori. Il tono muscolare potrebbe non ristabilirsi mai completamente, e dovrà fare attenzione a evitare sforzi di ogni genere. Un ambiente a gravità ridotta o nulla potrebbe essere la cosa più sicura per l’erm durante la convalescenza. Mi è parso di capire dalla sua compagna, la donna quad, che questo potrebbe essere un problema semplice da risolvere.

— Qualunque cosa occorra a Bel sarà fatta — promise Miles. Per una lesione tanto debilitante non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di un Ispettore Imperiale per togliergli di torno l’ImpSec, e forse raggranellare una piccola pensione di invalidità, già che c’era.

L’haut Pel fece un cenno appena visibile con il mento. La dottoressa rivolse un riverente inchino alla consorte planetaria, e si accomiatò.

Pel si rivolse nuovamente a Miles. — Appena riterrà di avere recuperato forze a sufficienza, Lord Ispettore Vorkosigan, il generale ghem Benin chiede l’opportunità di parlare con lei.

— Ah! Dag Benin è qui? Anch’io voglio parlargli. Ha già ricevuto in consegna il ba? È stato del tutto chiarito che Barrayar è stato vittima innocente di un imbroglio, che è stato coinvolto senza nulla sapere negli atti illeciti di quell’uomo?

— Il ba era del Nido Celeste ed è stato restituito al Nido Celeste. È un affare interno, anche se, naturalmente, siamo grate al generale ghem Benin per la sua assistenza nell’occuparsi delle persone estranee al nostro ambito, che potrebbero aver aiutato il ba nella sua… follia.

E così, le dame haut avevano recuperato il loro randagio. Miles represse un leggero moto di pietà per il ba. Il tono di voce definitivo di Pel non invitava ulteriori domande da parte di barbari stranieri. Peggio per lei. Pel era la più avventurosa delle consorti planetarie, ma le sue probabilità di incontrarla da sola, faccia a faccia, dopo quel momento erano esigue, e le probabilità che discutesse questa faccenda schiettamente davanti a chiunque altro ancora più esigue.

Miles spiegò: — Ho dedotto che il ba dovesse essere un rinnegato, e non, come avevo pensato inizialmente, un agente del Nido Celeste. Sono estremamente curioso di sapere i dettagli di questo bizzarro rapimento. Gupta… il contrabbandiere jacksoniano, ha potuto fornirmi solo un punto di vista esterno degli eventi, e solo dal suo primo contatto, quando il ba ha scaricato i replicatori da quella che immagino fosse l’annuale nave degli embrioni diretta a Rho Ceta, giusto?

Pel fece un profondo respiro, ma ammise: — Sì. Il crimine era stato progettato e preparato da molto tempo, a quanto ci risulta. Il ba ha avvelenato la Consorte di Rho Ceta, le sue ancelle, e l’equipaggio della nave subito dopo il loro ultimo salto. Erano già tutti morti al momento dell’incontro. Ha programmato il pilota automatico della nave in modo che col tempo precipitasse nel sole del sistema. A suo favore si può dire che questo era inteso, in un certo senso, come un rogo funebre adeguato al rango dei defunti — ammise a malincuore.

Grazie alle sue precedenti esperienze dei misteri delle pratiche funebri degli haut, Miles riuscì quasi a seguire questo ovvio punto a favore del prigioniero senza farsi venire i crampi al cervello. Quasi. Ma Pel parlava delle intenzioni del ba come di un fatto, non una congettura; quindi le dame haut avevano già avuto più successo nei loro interrogatori di una sola notte di quanto il personale della Sicurezza di Miles avesse ottenuto in tutto il viaggio. Sospetto che non sia una questione di fortuna. — Credevo che il ba avrebbe avuto con sé una maggiore varietà di armi biologiche, se ha avuto il tempo di saccheggiare la nave dei feti prima che fosse abbandonata e distrutta.

Pel normalmente era un tipo piuttosto cordiale, per una consorte planetaria haut, ma questo provocò un cipiglio raggelante. — Queste faccende sono decisamente inadatte a essere discusse fuori dal Nido Celeste.

— In una situazione ideale, no. Ma sfortunatamente, i vostri… effetti personali sono riusciti a viaggiare a una bella distanza dal Nido Celeste. E sono diventati una fonte di preoccupazione piuttosto forte per noi, sulla Stazione Graf. Quando sono partito da lì, nessuno sapeva per certo se avessimo identificato e neutralizzato ogni rischio di contagio oppure no.

Con riluttanza, Pel ammise: — Il ba aveva progettato di rubare l’assortimento completo. Ma la dama haut responsabile per le… scorte della consorte, per quanto morente, è riuscita a distruggerle prima di perire. Com’era suo dovere. — Gli occhi di Pel si strinsero. — Lei sarà ricordata tra noi.

L’omologa della donna dai capelli scuri, forse? E la gelida dottoressa custodiva forse un simile arsenale per conto di Pel, magari a bordo di quella stessa nave? Assortimento completo. Miles archiviò mentalmente questa tacita ammissione, per condividerla in futuro con i gradi più alti di ImpSec, e dirottò rapidamente la conversazione.

— Ma cosa stava cercando di fare veramente il ba? Agiva da solo? E in questo caso, come ha potuto superare la sua programmazione alla fedeltà?

— Anche questo è un affare interno — ripete l’haut.

— Ebbene, le dirò le mie conclusioni — Miles continuò rapidamente, prima che lei potesse andarsene e chiudere l’argomento. — Credo che questo ba fosse strettamente imparentate con l’Imperatore Fletchir Giaja, e quindi con la sua defunta madre. Mi immagino che fosse uno dei confidenti più intimi della vecchia Imperatrice Madre Lisbet durante il suo regno. Il suo bio-tradimento, il suo piano di dividere gli haut in sottogruppi concorrenti, fu sconfitto dopo la sua morte…

— Non si trattò di tradimento — l’haut Pel obiettò debolmente — non proprio.

— Riprogettazione unilaterale non autorizzata, allora. Per qualche motivo, quel ba non fu epurato con gli altri membri della sua cerchia più intima dopo la sua morte… o magari sì, non lo so. Degradato, forse? Ma in ogni caso, la mia convinzione è che tutta questa avventura fosse una specie di tentativo malaccorto di completare il progetto della sua defunta padrona, o madre. Ci sono andato vicino?

L’haut Pel lo squadrò con antipatia. — Abbastanza vicino. Ora è davvero tutto finito, in ogni caso. L’Imperatore sarà soddisfatto di lei, ancora una volta. Un pegno della sua gratitudine l’attende probabilmente domani alla cerimonia per l’atterraggio della nave degli embrioni, alla quale lei è invitato insieme a sua moglie. Sarete i primi stranieri ad avere mai ricevuto questo onore.

Miles fece un leggero inchino: — La ringrazio, ma sarei disposto a rinunciare a questo onore in cambio di una visione più chiara della situazione.

Pel sbuffò. — Non è proprio cambiato, vero? Sempre insaziabilmente curioso. Anzi, esageratamente curioso — rispose con un tono a metà tra l’ironico e l’indispettito.

Anche Ekaterin non poté far a meno di sorridere, ma lei aveva inteso quel velato rimprovero come un complimento alla caparbietà del marito.

— Vede, signora, non credo di avere capito come sono andate le cose. Sospetto che gli haut, e i ba, non siano ancora tanto post-umani da essere immuni dal rischio di crearsi illusioni. Ho visto il volto del ba, quando ho distrutto quel congelatore di campioni genetici sotto ai suoi occhi. Qualcosa dentro di lui è andato in pezzi. Qualche ultimo, disperato… qualcosa. Quell’uomo aveva ucciso degli esseri, e se ne rendeva conto, ma in cuor suo probabilmente la considerava una cosa senza importanza, mentre i campioni genetici che vedeva morire erano un delitto che non poteva sopportare. E io devo capire.

Era chiaro che Pel non volesse continuare quel discorso, ma comprendeva la profondità di un debito che non poteva essere ripagato con frivolezze come medaglie e cerimonie.

— Il ba, a quanto pare — rispose con una certa fatica — desiderava qualcosa di più della visione di Lisbet. Progettava un nuovo impero, con se stesso come Imperatore e imperatrice. Aveva rapito i feti haut di Rho Ceta non solo per farne la popolazione iniziale della nuova società che progettava, ma come… coniugi. Consorti. Aspirava a qualcosa in più perfino della posizione genetica di Fletchir Giaja che, per quanto facesse parte dell’obiettivo del progetto haut, non immaginava di rappresentarne la totalità. Superbia — sospirò. — È stata una follia.

— In altre parole — suggerì Miles — il ba voleva dei bambini. Nell’unico modo che poteva… concepirli.

La mano di Ekaterin sulla sua spalla, si strinse.

— Lisbet non avrebbe dovuto dirle così tanto — sospirò Pel. — Aveva fatto di questo ba un compagno. Lo trattava quasi come un figlio, invece che un servitore. Aveva una personalità formidabile, ma non sempre saggia. Forse anche troppo indulgente con se stessa, in vecchiaia.

Sì, il ba era fratello, o sorella, di Fletchir Giaja, forse quasi un clone dell’Imperatore di Cetaganda. Fratello, o sorella, maggiore. Era una prova genetica, e la prova era riuscita. Poi erano seguiti decenni di attento servizio nel Giardino Celeste, con una domanda sempre sospesa nell’aria: perché non era toccato al ba, invece che a suo fratello, tutto quell’onore, potere, ricchezza, fecondità?

— Un’ultima domanda. Se posso. Come si chiamava il ba?

Le labbra di Pel si strinsero. — Ora è senza nome. E lo sarà per sempre. Cancellato. Che la pena sia commisurata al suo reato.

Miles rabbrividì.


Il lussuoso veicolo virò sopra il palazzo del Governatore Imperiale di Rho Ceta, un esteso complesso scintillante nella notte. Poi cominciò a scendere nel vasto giardino buio, punteggiato da venature di luci lungo strade e sentieri, che si trovava a est degli edifici. Miles guardava affascinato dall’oblò, mentre scendevano in picchiata e poi risalivano sopra una piccola serie di colline, cercando di indovinare se il paesaggio fosse naturale, oppure scolpito artificialmente nella superficie di Rho Ceta. Almeno parzialmente scolpito, in ogni caso, poiché sul lato opposto dell’altura giaceva la conca erbosa di un anfiteatro prospiciente a un lago di seta nera largo un chilometro. Al di là delle colline, sull’altro lato del lago, la capitale di Rho Ceta proiettava nel cielo notturno la sua luce ambrata.

L’anfiteatro era illuminato solo da fiochi globi luminosi sparsi generosamente per tutta la sua ampiezza: mille bolle di forza delle dame haut, di un bianco luttuoso, smorzato fino a una luminosità appena visibile. Tra questi, delle figure pallide si muovevano silenziose come fantasmi.

Quel panorama scomparve alla vista di Miles quando il pilota fece virare il veicolo per atterrare delicatamente a pochi metri dalla riva del lago, all’estremità dell’anfiteatro.

Le luci interne della vettura divennero leggermente più intense, in lunghezze d’onda rosse, progettate per conservare l’adattamento all’oscurità degli occhi dei passeggeri. Nella corsia opposta a Miles ed Ekaterin, il generale ghem Benin distolse lo sguardo dal suo oblò. Era difficile interpretare la sua espressione sotto gli arabeschi formali di pittura bianca e nera che indicavano la sua posizione di ufficiale ghem imperiale, ma Miles la giudicò pensierosa. Nella luce rossa, la sua uniforme brillava come sangue fresco.

Tutto considerato, anche tenendo conto del suo improvviso incontro con le armi biologiche del Nido Celeste, Miles non avrebbe voluto scambiare i suoi incubi con quelli di Benin. Le ultime settimane erano state snervanti per l’ufficiale superiore della sicurezza interna del Giardino Celeste. La nave degli embrioni haut, con a bordo il personale del Nido Celeste, era svanita senza lasciare traccia, e di questo si sentiva responsabile; i numerosi e confusi rapporti che gli pervenivano sulle tracce lasciate da Gupta, gli suggerivano non solo un furto senza precedenti, ma anche una possibile biocontaminazione proveniente dalle scorte più segrete del Nido Celeste; per di più tutto era avvenuto nel cuore di un impero nemico.

Non c’era quindi da stupirsi che, al suo arrivo nell’orbita di Rho Ceta, si fosse precipitato per interrogare personalmente Miles. La loro contesa per la detenzione di Gupta era stata breve, anche se Miles aveva capito il forte desiderio di Benin di avere qualcuno su cui sfogare le sue frustrazioni. Tuttavia Miles era stato irremovibile: aveva dato a Gupta la sua parola di Vor, in più aveva scoperto che al momento non c’era limite al credito di cui lui potesse godere su Rho Ceta.

Nonostante ciò, Miles si chiese dove scaricare Gupta quando tutta questa faccenda fosse finita. Alloggiarlo in una prigione barrayarana sarebbe stata una spesa inutile per l’Impero; lasciarlo libero nel Complesso Jackson era un invito a tornare ai suoi vecchi ambienti e alla sua precedente occupazione, e la cosa non sarebbe stata di nessun vantaggio per i suoi vicini, senza contare che un giorno avrebbe potuto cedere alla tentazione di una vendetta da Cetaganda. Gli venne in mente solo un luogo adeguatamente distante in cui depositare una persona con il suo retroterra variopinto e i suoi talenti irregolari. Ma sarebbe stato giusto fare quel dispetto all’ammiraglio Quinn? Bel aveva riso malignamente a quell’idea.

Nonostante la posizione chiave di Rho Ceta nelle considerazioni strategiche e tattiche di Barrayar, Miles non aveva mai messo piede su quel mondo, e non avrebbe voluto farlo nemmeno in quell’occasione. Con una smorfia, lasciò che Ekaterin e il generale ghem Benin lo aiutassero a trasferirsi in un flottante. Nella cerimonia che sarebbe seguita, intendeva stare in piedi da solo, ma dopo brevi tentativi si era convinto dell’opportunità di conservare le forze. Almeno non era l’unico ad avere bisogno di assistenza meccanica. Nicol badava premurosamente a Bel Thorne. L’erm, nonostante manovrasse da solo il suo flottante, tradiva la sua estrema debolezza.

L’armiere Roic, con l’uniforme di Casa Vorkosigan tirata a lucido, prese posto dietro a Miles ed Ekaterin, più rigido e silenzioso che mai.

Miles aveva deciso che durante la serata avrebbe rappresentato tutto l’Impero barrayarano, e non solo la sua casa, così indossava i suoi semplici abiti civili grigi. Ekaterin appariva alta e aggraziata come un’haut in un abito fluido, grigio e nero; Miles sospettava che avesse avuto l’assistenza femminile da parte di Pel, o di una delle sue molte assistenti.

Mentre il generale ghem Benin guidava il gruppo, Ekaterin camminava accanto al flottante di Miles, con una mano appoggiata delicatamente sul suo braccio. Il suo leggero, misterioso sorriso era enigmatico come sempre, ma a Miles sembrò che rispecchiasse una nuova, risoluta sicurezza, intrepida nella fosca oscurità.

Benin si fermò davanti a un piccolo gruppo di uomini, balenanti nelle tenebre come spettri, che si erano raccolti a pochi metri dal veicolo. Profumi sofisticati esalavano dai loro abiti nell’aria umida, distinti ma in qualche modo non contrastanti. Il generale ghem presentò tutti i membri del gruppo al governatore haut di Rho Ceta, che era membro della costellazione Degtiar, cugino di qualche grado dell’attuale imperatrice. Anche il governatore indossava, come tutti gli uomini haut presenti, l’ampia tunica e i pantaloni bianchi in segno di lutto stretto, con una sopravveste bianca a vari strati che gli scendeva fino alle caviglie.

Il precedente titolare di quella carica, che Miles aveva incontrato in passato, aveva chiaramente fatto capire che i barbari stranieri potevano a malapena essere tollerati, ma quell’uomo fece un inchino profondo e in apparenza sincero, con le mani formalmente unite davanti al petto. Miles batté le palpebre sconcertato, poiché il gesto assomigliava più all’inchino di un ba verso un haut che al saluto di un haut a uno straniero.

— Lord Vorkosigan, Lady Vorkosigan, portomastro Thorne, Nicol dei quad, armiere Roic di Barrayar. Benvenuti a Rho Ceta. La mia casa è al vostro servizio.

Risposero tutti con mormorii di ringraziamento opportunamente cortesi. Miles notò la scelta dei termini… la mia casa, non il mio governo, e questo gli ricordò che quello che avrebbe visto quella notte, sarebbe stata una cerimonia privata.

Il governatore fu brevemente distratto dalle luci di una navetta che scendeva dall’orbita, e le sue labbra si incurvarono in una smorfia di disappunto, ma subito dopo il veicolo virò verso il lato opposto della città. Allora il governatore tornò a voltarsi verso gli ospiti.

Seguirono pochi minuti di cortese conversazione… auguri formali per la buona salute dell’Imperatore di Cetaganda e delle sue imperatrici; domande un poco più spontanee su conoscenti comuni… ma furono di nuovo interrotti quando le luci di un’altra navetta comparvero nella vasta oscurità prima dell’alba. Il governatore si voltò di nuovo a guardare. Miles ne approfittò per osservare la folla silenziosa di uomini haut e di bolle delle dame haut sparse come petali bianchi sul pendio della collina. Sembravano appena muoversi, ma Miles avvertì, più che sentire, un sospiro incresparsi tra di loro, e la tensione farsi più forte.

Questa volta la navetta s’ingrandì, le sue luci si fecero più brillanti mentre attraversava rombando il lago, che ribollì nella sua scia. Roic, nervosamente, si accostò a Miles ed Ekaterin, guardando la navetta che incombeva su di loro.

Sulle fiancate, delle luci formavano sulla fusoliera il motivo di un uccello urlante in smalto rosso, lucente come una fiamma. Il veicolo atterrò sui sostegni che apparivano come zampe distese, leggero come un gatto, e si stabilizzò, mentre gli scricchiolii e i gemiti delle lamiere surriscaldate che si contraevano sembravano chiassosi nel silenzio sospeso.

— È ora di alzarsi — Miles sussurrò a Ekaterin, e fece atterrare il suo flottante. Lei e Roic lo aiutarono a mettersi in piedi, per poi farsi avanti sull’attenti. L’erba tagliata corta, sotto le suole dei suoi stivali, dava la sensazione di un morbido e spesso tappeto; il suo profumo era umido e muscoso.

Un ampio portello si aprì, e una rampa si distese, illuminata dal basso da un bagliore pallido e diffuso. Per prima scesse la bolla di una dama haut, il suo campo di forza non era opaco come gli altri, ma trasparente come una garza. All’interno, era visibile la sua sedia flottante vuota.

Miles chiese a Ekaterin sottovoce: — Dov’è Pel? Credevo che questa faccenda l’avesse concepita lei.

— La cerimonia è in onore della consorte di Rho Ceta, morta sulla nave — rispose lei con un sussurro. — L’haut Pel sarà la prossima a scendere. Sarà lei ad accompagnare i nascituri al posto della defunta consorte.

Miles aveva incontrato una decina d’anni prima la donna assassinata. Di lei ricordava ben poco, salvo una nube di capelli color cioccolata che le scendeva a cascata intorno al corpo, la sua stupefacente bellezza mimetizzata in una schiera di altre donne haut di pari splendore, e una fiera dedizione ai suoi doveri. Ora, quella sedia flottante che era stata sua, sembrò tristemente ancora più vuota.

Fu seguita da un’altra bolla, poi altre ancora, e donne ghem e serve ba. La seconda bolla si avvicinò al gruppo del governatore haut, divenne trasparente e poi si spense. Pel nel suo abito bianco sedeva regalmente nella sua sedia flottante.

— Generale ghem Benin, come è suo compito, la prego di trasmettere la gratitudine dell’Imperatore haut Fletchir Giaja a questi stranieri che ci hanno riportato a casa le speranze delle nostre Costellazioni.

Parlava in tono normale; Miles non vide i microfoni, ma una leggera eco proveniente dalla conca erbosa gli disse che le sue parole venivano trasmesse a tutti i presenti.

Benin, con parole formali di cerimonia, consegnò a Bel un alto onore cetagandano, un documento legato con un nastro, stilato di propria mano dall’Imperatore, con lo strano nome di Brevetto della Casa Celeste. Miles conosceva dei nobili ghem cetagandani che avrebbero venduto le proprie madri per essere inclusi nella Nota dei Brevetti dell’anno: ma non bastava così poco per essere ammessi. Bel abbassò il suo flottante perché Benin potesse metterle in mano il cartiglio infiocchettato, e per quanto i suoi occhi luccicassero d’ironia, rispose mormorando un ringraziamento all’assente Fletchir Giaja, e per una volta tenne il suo senso dell’umorismo sotto controllo. Probabilmente l’erm era ancora così esausto da faticare a tenere alta la testa.

Miles ammiccò, e represse un ampio sorriso, quando Ekaterin fu chiamata dal generale ghem Benin e insignita di un simile onore infiocchettato. Anche il suo evidente piacere non era del tutto privo di un filo d’ironia, ma rispose con un ringraziamento elegantemente formulato.

— Milord Vorkosigan — disse Benin.

Miles si fece avanti, stranamente con una certa apprensione.

— Il mio imperiale signore, l’Imperatore haut Fletchir Giaja, mi ricorda che la vera sensibilità nell’offrire doni prende in considerazione i gusti del destinatario. Mi incarica quindi solo di trasmetterle la sua personale gratitudine, nel suo proprio Respiro e Voce.

Primo premio: l’Ordine del Merito cetagandano. Quanto era stata imbarazzante quella medaglia, dieci anni prima. Secondo premio: due Ordini del Merito cetagandani? Evidentemente no. Miles trasse un sospiro di sollievo. — Ringrazi da parte mia il suo imperiale signore.

— Anche la mia imperiale signora, l’Imperatrice haut Rian Degtiar, Ancella del Nido Celeste, mi ha incaricato di trasmetterle la sua gratitudine, nel suo proprio Respiro e Voce.

Miles si inchinò ancora più profondamente. — In questo sono al suo servizio.

Benin indietreggiò; l’haut Pel si fece avanti. — Davvero. Lord Miles Naismith Vorkosigan di Barrayar, il Nido Celeste la chiama.

Era stato avvertito, e ne aveva discusso con Ekaterin. Dal punto di vista pratico, non aveva senso rifiutare quell’onore; il Nido Celeste doveva già avere almeno un chilo della sua carne in qualche archivio privato, raccolta non solo durante la sua degenza lì, ma anche in occasione della sua memorabile visita a Eta Ceta molti anni prima. Quindi, con solo una leggera stretta allo stomaco, si fece avanti e lasciò che un servo ba gli arrotolasse una manica e porgesse il vassoio con lo scintillante ago da campionatura all’haut Pel.

La mano bianca dalle lunghe dita di Pel gli infilò personalmente l’ago nella parte carnosa dell’avambraccio: era così sottile che la sua puntura non lo infastidì neppure. Quando lo ritrasse, una sola gocciolina di sangue si formò sulla sua pelle, e venne asciugata dal servo. Pel depose l’ago nel suo congelatore, poi lo sollevò per un momento di proclamazione ed esibizione pubblica, quindi lo chiuse e lo ripose in uno scomparto della sua sedia.

L’indistinto mormorio della moltitudine nell’anfiteatro non sembrava di indignazione, anche se forse c’era una sfumatura di meraviglia. Il più alto onore cui un cetagandano potesse aspirare, ancora più alto dell’assegnazione di una sposa haut, era quello di avere il proprio genoma formalmente raccolto nella banca genetica del Nido Celeste, per futura scomposizione, accurata analisi e forse integrazione selettiva delle parti approvate nella generazione successiva della razza haut.

Miles, abbassandosi la manica, mormorò a Pel: — Probabilmente è cultura, non natura, sa.

Le sue labbra squisite si strinsero per formare silenziosamente il suono: — Shh.

La scintilla di tetro umorismo nei suoi occhi venne di nuovo velata come attraverso la nebbia del mattino quando riattivò il campo di forza. Il cielo a oriente, al di là del lago e delle colline, si stava schiarendo. Spirali di nebbia si increspavano sopra le acque, e la sua superficie liscia cominciava a colorarsi di un grigio-acciaio riflesso dalla luminescenza che precedeva l’alba.

Un silenzio più profondo avvolse l’assembramento di haut mentre dal portello della navetta scendevano, sospese nell’aria, file e file di rastrelliere di replicatori, guidati dalle donne ghem e dai servi ba. Una Costellazione dopo l’altra, gli haut furono chiamati da Pel per ricevere i propri replicatori. Anche il governatore di Rho Ceta lasciò il gruppetto di dignitari per unirsi al proprio clan, e Miles si rese conto che dopotutto il suo umile inchino di poco prima non era stato assolutamente ironico. La folla vestita di bianco lì riunita non era tutto l’insieme della razza haut residente su Rho Ceta, ma solo quelli che avrebbero ricevuto il frutto degli incroci genetici di quell’anno.

Gli uomini e le donne che ora ricevevano i propri figli potevano non essersi mai toccati, o nemmeno visti, prima di quest’alba, ma ogni gruppo accettò dalle mani del Nido Celeste la propria progenie. A loro volta diressero poi le rastrelliere verso la fila di bolle bianche che ospitavano le loro compagne genetiche. Mentre ogni Costellazione si ridisponeva intorno alle proprie rastrelliere di replicatori, i campi di forza passarono dal bianco spento del lutto a colori brillanti, come un lussureggiante arcobaleno. Le bolle multicolori rifluirono fuori dall’anfiteatro, scortate dai loro compagni maschi, mentre l’orizzonte al di là del lago si stagliava contro il fuoco dell’alba, e in alto le stelle svanivano nell’azzurro.

Quando gli haut fossero arrivati nelle loro enclave di origine, sparse per il pianeta, i bambini sarebbero stati di nuovo affidati alle loro balie e custodi ghem per essere liberati dai replicatori e messi negli accoglienti nidi d’infanzia. Genitori e figli avrebbero potuto incontrarsi di nuovo, ma non necessariamente. Eppure sembrava che quella cerimonia significasse qualcosa di più di una semplice formalità protocollare haut. Non tocca a tutti noi restituire i nostri figli al mondo, alla fine? I Vor lo facevano, almeno nei loro ideali. Barrayar divora i propri figli, aveva detto una volta sua madre.

E allora, pensò stancamente Miles. Oggi qui siamo degli eroi, o i più grandi traditori sfuggiti al capestro? Cosa sarebbero diventati questi haut di belle speranze? Grandi uomini e donne? Terribili nemici? Aveva forse, a sua insaputa, salvato una futura nemesi di Barrayar, un nemico che avrebbe distrutto i suoi stessi figli non ancora nati?

E se un qualche dio crudele gli avesse concesso di saperlo, avrebbe potuto agire diversamente?

La sua mano cercò quella di Ekaterin; le dita di lei si avvolsero alle sue. Ora c’era abbastanza luce perché potesse vedere il suo viso. — Stai bene, amore? — mormorò preoccupata.

— Non lo so. Andiamo a casa.

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