CAPITOLO DODICESIMO

— Dove lo avete trovato? — chiese Miles.

— Nella stiva di Carico Merci — rispose il quad. — Stava tentando di convincere Pramod Sedici — con il mento indicò uno dei quad nerboruti che reggevano il tubo, il quale annuì confermando, — di portarlo fuori con una capsula attorno alla zona di sicurezza e verso i moli delle navi iperspaziali. E quindi potete anche aggiungere alla lista delle accuse il tentativo di corrompere un tecnico per indurlo a violare i regolamenti.

A Miles venne in mente Solian.

— Pramod lo ha fatto attendere, dicendogli che andava a sistemare le cose per accontentarlo, ed è venuto a chiamarmi. Io ho radunato i ragazzi, e lo abbiamo portato qui perché desse delle spiegazioni. — Il quad fece un cenno al Capo Venn, che era uscito in fretta dal suo ufficio e stava osservando la scena, soddisfatto e niente affatto sorpreso.

Il prigioniero emise un suono lamentoso dietro il nastro adesivo, ma Miles lo interpretò come protesta più che come spiegazione.

Nicol chiese con apprensione: — Avete notizie di Bel?

— Oh, sei tu? Ciao, Nicol. — Il quad scosse la testa, dispiaciuto. — L’abbiamo chiesto a questo tizio, ma non siamo riusciti a farci dare una risposta. Comunque quando torniamo indietro, ci daremo da fare. Ho un paio di idee di dove cercare. — Dal cipiglio, s’intuiva che quelle idee potevano comportare l’apertura illecita di portelli stagni, e forse l’uso delle apparecchiature per la movimentazione di carico certamente non coperte dalla garanzia del produttore.

— Credo che da adesso in poi possiamo continuare noi, grazie — lo rassicurò il Capo Venn. Guardò senza particolare simpatia Firka, che si dimenava. — Ma terrò a mente la vostra offerta.

— Conoscete il portomastro Thorne? — chiese Miles ai quad.

— Bel è uno dei nostri migliori supervisori — rispose il quad. — Il terricolo più di buon senso che abbiamo mai avuto. Non vogliamo perderlo, eh? — Rivolse un cenno del capo a Nicol.

Nicol abbassò la testa in segno di gratitudine.

L’arresto da parte di privati cittadini venne doverosamente registrato. I poliziotti quad osservarono il prigioniero che si divincolava e decisero, prudentemente, di portarselo via, con tanto di palo. La squadra dei quad, con giustificata soddisfazione, consegnò anche la borsa che Firka aveva con sé al momento della cattura.

Ecco dunque pescato il primo sospetto che Miles desiderava interrogare. Non vedeva l’ora di strappare il nastro adesivo da quel volto di gomma e cominciare a spremerlo.

Nel frattempo era arrivata la Sigillatrice Greenlaw, accompagnata da un quad con i capelli neri e il fisico abbastanza in forma, anche se non particolarmente giovane. Indossava abiti sobri e discreti come quelli del Capo Watts e di Bel, ma neri invece di blu. Greenlaw lo presentò come il Giudice Leutwyn.

— Dunque — disse il giudice, osservando incuriosito il sospetto imbavagliato. — Questo individuo rappresenterebbe la piccola ondata criminale terricola. Mi pare di capire che anche lui è arrivato con la flotta barrayarana, vero?

— No, giudice — rispose Miles. — Si è imbarcato sulla Rudra qui alla Stazione Graf, all’ultimo minuto. In effetti, si è procurato un posto a bordo solo dopo che la nave sarebbe dovuta partire. E mi piacerebbe sapere perché. Sospetto che sia stato lui a sintetizzare il sangue rinvenuto nella stiva di carico, a compiere l’attentato nell’atrio dell’albergo, e ad aver stordito Garnet Cinque e Bel Thorne ieri sera. Garnet Cinque, quanto meno, lo ha visto chiaramente e dovrebbe essere in grado di identificarlo. Ma la domanda più urgente è: che fine ha fatto il portomastro Thorne? Questa è una ragione sufficiente per un interrogatorio sotto penta-rapido o almeno lo sarebbe in molte giurisdizioni.

— E anche qui — ammise il giudice. — Ma un esame sotto penta-rapido è una faccenda delicata. Per esperienza ho scoperto che non è quella bacchetta magica che la maggior parte della gente crede che sia.

Miles si schiarì la gola, fingendo diffidenza. — Anch’io sono pratico di questa tecnica, giudice. Ho condotto o assistito a più di un centinaio di interrogatori fatti con penta-rapido. E a me stesso è stato somministrato un paio di volte. — Si limitò a dire questo; non c’era ragione di raccontare al giudice quando e perché era successo.

— Oh! — esclamò il giudice quad, nonostante tutto impressionato, probabilmente soprattutto dall’ultimo dettaglio.

— So bene che bisogna impedire che l’esame diventi un linciaggio, ma so anche che bisogna porre le domande giuste. E io ritengo di averne diverse.

Venn intervenne: — Non abbiamo nemmeno completato la procedura dell’arresto. Voglio dare un’occhiata a quello che ha in quella borsa.

Il giudice annuì. — Benissimo, proceda, Capo Venn. Anch’io vorrei chiarirmi ulteriormente le idee, se è possibile.

Linciaggio o no, tutti seguirono i poliziotti quad, che portarono lo sfortunato Firka ancora legato al palo, in una stanza sul retro. Un paio di poliziotti, dopo avere applicato opportuni sistemi di contenzione ai polsi e alle caviglie del sospetto, registrarono l’impronta della retina e scansionarono con il laser quelle delle dita e delle mani. Una curiosità di Miles fu soddisfatta quando tolsero al prigioniero gli stivali flosci; le dita dei piedi erano lunghe quanto quelle delle mani, prensili o poco ci mancava, in grado di distendersi e aprirsi, e avevano una membrana rosa interditale. I quad scansionarono anche quelle (certo, i quad scansionano sempre tutte e quattro le estremità) poi lo liberarono dai legacci che lo tenevano legato al palo, senza però togliere il nastro adesivo che aveva sulla bocca.

Nel frattempo un altro poliziotto, assistito da Venn, vuotava la borsa e ne faceva l’inventario. Dopo un assortimento di vestiti, per lo più appallottolati e sporchi, trovarono un coltellaccio da cucina nuovo, uno storditore con una batteria sinistramente corrosa, senza licenza di possesso, un piede di porco e una borsa di pelle piena di attrezzi più piccoli. C’era anche la ricevuta d’acquisto di un rivettatore automatico. Fu a quel punto che il giudice assunse un’espressione cupa. Poi quando un poliziotto mostrò una parrucca biondo rame di qualità non eccelsa, le prove sembrarono fin troppe.

Più interessanti per Miles furono una dozzina di documenti di identità. Una metà erano stati rilasciati dal Complesso Jackson; gli altri provenivano da sistemi spaziali adiacenti al Mozzo di Hegen, un sistema povero di pianeti e ricco di punti di salto che era uno dei più vicini a Barrayar. Le rotte iperspaziali che da Barrayar portavano sia al Complesso Jackson, sia all’Impero cetagandano passavano, via Komarr e lo stato-cuscinetto indipendente di Pol, attraverso il Mozzo.

Venn, sempre più accigliato, passò la manciata di documenti al giudice. Miles e Roic si avvicinarono per guardarli meglio.

— Insomma — ringhiò Venn dopo un attimo — da dove viene in realtà questo tizio?

Due serie di documenti di Firka includevano le immagini di un uomo molto diverso dal prigioniero che continuava a mugolare; appariva come un maschio umano grande e grosso ma perfettamente normale che proveniva dal Complesso Jackson, senza alcuna affiliazione di Casa, oppure da Aslund, altro pianeta vicino del Mozzo di Hegen. Un terzo documento, quello che Firka sembrava avere usato per viaggiare da Tau Ceti fino alla Stazione Graf, raffigurava invece il prigioniero come lo si poteva vedere in quel momento. La sua immagine corrispondeva anche su. un documento intestato a Russo Gupta, anch’egli proveniente dal Complesso Jackson. Lo stesso nome, volto e impronta retinica comparivano anche sulla licenza di meccanico di navi iperspaziali che Miles riconobbe provenire da una certa organizzazione jacksoniana con cui aveva avuto a che fare durante i suoi giorni come agente coperto. A giudicare dalla lunga sfilza di date e di timbri doganali apposti sul documento, era stata considerata autentica in molti luoghi. E anche recentemente. Benissimo, per lo meno abbiamo una documentazione dei suoi spostamenti!

Miles la indicò. — Questa è sicuramente falsa.

I quad che gli stavano attorno sembrarono sconvolti. Greenlaw disse: — Ma che scopo può aver avuto per falsificare una licenza da meccanico?

— Se viene da dove penso, avrebbe anche potuto comprare una laurea in neurochirurgia, o l’abilitazione per qualunque altro lavoro volesse fingere di fare.

O, come in questo caso, fare sul serio… questo sì che era un pensiero inquietante.

Ma in nessuna circostanza quel pallido e allampanato mutante poteva passare per una donna grassoccia e gradevolmente brutta, con i capelli rossi, di nome Grace Nevatta del Complesso Jackson, o Louse Latour di Pol, a seconda dei documenti che si guardava. Né lo si sarebbe potuto scambiare per un pilota di nave iperspaziale di nome Hewlet.

— Ma chi sono tutti questi? — borbottò Venn, seccato.

— Perché non glielo chiediamo? — suggerì Miles.

Firka aveva finalmente smesso di divincolarsi e ora restava a mezz’aria, le narici che si dilatavano sopra il rettangolo blu del nastro che gli copriva la bocca. Il poliziotto quad finì di registrare le ultime scansioni e tese una mano verso il nastro, ma si fermò, incerto. — Gli farà male.

— Toglilo con uno strappo netto — suggerì Miles.

Un soffocato gemito di disaccordo del prigioniero divenne un urlo acuto quando il quad lo fece. Tuttavia il prigioniero, anche se libero dal bavaglio, non proruppe in proteste indignate, bestemmie, lamentele, maledizioni o minacce. Semplicemente, continuò ad ansimare. Aveva negli occhi un’espressione che Miles conosceva: quella di un uomo che è stato troppo teso per troppo tempo. I quad che lo avevano catturato potevano anche averlo un po’ malmenato, ma non certo al punto da fargli venire quell’espressione.

Il Capo Venn prese il mazzo di documenti del prigioniero e glielo mise sotto il naso. — D’accordo. Chi sei in realtà? Di’ la verità, tanto poi controlleremo.

Con riluttanza imbronciata, il prigioniero borbottò: — Io mi chiamo Guppy.

— Guppy, o Gupta?

— Guppy è il mio vero nome, ma tutti gli altri mi chiamavano Gupta.

— E chi sono gli altri?

— Amici assenti.

Miles, che non era sicuro che Venn avesse colto l’intonazione, intervenne: — Vuoi dire amici morti?

— Già, quello. — Guppy/Gupta stava fissando qualcosa in lontananza, e Miles intuì che era una distanza di anni luce.

Miles era combattuto fra il desiderio di procedere e una gran voglia di mettersi a sedere e studiare tutti i timbri di quei documenti, prima di continuare a parlare con lui. Era sicuro che avrebbe trovato un intero mondo di rivelazioni. Ma in quel momento c’era una priorità più pressante.

— Dov’è il portomastro Thorne? — gli chiese.

— Non ho idea di chi sia.

— Thorne è quel betano che hai stordito con il gas, ieri notte in un corridoio di servizio poco lontano dal Giunto. E con lui c’era una quad bionda di nome Garnet Cinque, alla quale hai fatto lo stesso servizio.

Lo sguardo del prigioniero si fece corrucciato. — Mai sentiti, nessuno dei due.

Venn fece un cenno a uno dei suoi poliziotti, il quale sparì e un momento dopo ritornò scortando Garnet Cinque. La sua carnagione adesso aveva un aspetto molto migliore; era evidentemente riuscita a ottenere dalla cosmetica femminile il suo aspetto normale, e molto appariscente.

— Ah! — disse contenta. — Lo avete preso! Dov’è Bel?

Venn chiese in tono formale: — È questo il terricolo che ha assalito lei e il portomastro con gas narcotizzante, ieri notte?

— Oh, sì — rispose prontamente Garnet Cinque. — Non potrei mai scambiarlo per qualcun altro. Per riconoscerlo basterebbe guardare le membrane che ha fra le dita.

Gupta contrasse tutti i muscoli del corpo.

Venn emise un ringhio minaccioso. — Gupta, dov’è il portomastro Thorne?

— Non lo so dove diavolo sia quel maledetto ficcanaso di un erm! Io l’ho lasciato nel bidone con la donna. Stava bene, respirava. Tutti e due stavano bene. Probabilmente è ancora lì addormentato.

— No — disse Miles. — Abbiamo controllato tutti i bidoni di quel corridoio senza trovarlo.

— Be’, io non so dove possa essere andato.

— Saresti disposto a ripeterlo sotto penta-rapido, per evitare l’accusa di rapimento? — chiese Venn, cercando astutamente di ottenere il consenso per l’interrogatorio volontario.

Il volto di gomma di Gupta si irrigidì. — Non posso. Sono allergico a quella roba.

— Davvero? — disse Miles. — Controlliamo, vuoi? — Si mise una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori la striscia di test dermici che aveva preso sulla Kestrel, proprio in vista di una simile eventualità. Certo, non aveva immaginato che la scomparsa di Bel aggiungesse tanta urgenza e allarme alla situazione. Mostrò la striscia e spiegò a Venn e al giudice, che stavano osservando con cupo cipiglio: — Test dermico per l’allergia al penta. Se il soggetto soffre di un’allergia naturale, anche leggera, sviluppa subito una reazione molto visibile.

Per rassicurare i presenti, Miles staccò uno dei cerottini rotondi e se lo applicò sul dorso della mano, esponendolo alla loro vista. Il gesto fu sufficiente a distrarre l’attenzione tanto che nessuno, tranne il prigioniero, protestò quando Miles si chinò in avanti e applicò un altro cerotto al braccio di Gupta, il quale emise un grido di orrore.

Miles tolse il suo cerotto di test dermico rivelando un puntino rosso ben evidente sulla pelle. — Come vedete, io ho in effetti una leggera sensibilità endogena. — Attese qualche altro momento per convalidare la sua affermazione, poi strappò il cerotto dal braccio di Gupta. Il colore della pelle del prigioniero, anche se di aspetto malaticcio, era perfettamente normale.

Venn a quel punto guardò dritto negli occhi il prigioniero e disse: — Finora hai detto due menzogne. Adesso puoi smetterla di mentire, altrimenti lo farai tra poco. Per noi non fa differenza. — Sollevò gli occhi, stringendo le palpebre, all’altro ufficiale quad. — Giudice Leutwyn, a suo giudizio, ritiene di avere sufficienti ragioni per autorizzare l’interrogatorio chimico senza consenso di quest’uomo?

Il giudice non sembrò entusiasta, ma rispose: — Alla luce della sua ammissione di essere l’artefice dell’aggressione e della scomparsa di un impiegato della Stazione, sì, non ci sono dubbi. Tuttavia le ricordo che sottoporre persone in stato di detenzione a inutili disagi fisici è contro il regolamento.

Venn guardò Gupta, che stava ancora sospeso con aria infelice. — Come può sentirsi a disagio? È in caduta libera.

Il giudice sporse le labbra. — Gupta, a parte i mezzi di contenzione, si trova in uno stato di disagio fisico in questo momento? Ha bisogno di cibo, acqua, o equipaggiamento igienico terricolo?

Gupta mosse i polsi dentro i legami elastici, e scrollò le spalle. — No. Be’, sì. Le branchie mi si stanno seccando. Se non avete intenzione di liberarmi, ho bisogno che qualcuno me le bagni. La sostanza per farlo è nella mia borsa.

— Questa? — La poliziotta quad tirò fuori un oggetto che sembrava un normale spruzzatore, simile a quello che Miles aveva visto usare a Ekaterin sulle sue piante. La donna lo scosse, e si udì un rumore liquido.

— Cosa contiene? — chiese Venn, sospettoso.

— Acqua, più che altro. E un po’ di glicerina — rispose Gupta.

— Vada a farlo controllare — ordinò Venn alla poliziotta. La donna annuì e fluttuò via; Gupta la guardò uscire con una certa diffidenza, ma nessun allarme.

— Transiente Gupta, sembra che per un certo periodo di tempo sarai nostro ospite — disse Venn. — Se rimuoviamo ì legami, ci causerai dei problemi, o ti comporterai bene?

Gupta rimase in silenzio per un po’, poi esalò un respiro esausto. — Mi comporterò bene. — Promise.

Un poliziotto fluttuò in avanti e liberò i polsi e le caviglie del prigioniero. Solo Roic non sembrava gradire quella cortesia non necessaria, e si mise in posizione con una mano a una maniglia e un piede puntellato a una parete libera, pronto a gettarsi in avanti. Ma Gupta si limitò a strofinarsi i polsi e poi a chinarsi per ripetere il movimento sulle caviglie, mentre sul volto affiorava una riluttante gratitudine.

La poliziotta tornò con la bottiglia e la porse al suo capo. — Il laboratorio chimico dice che è inerte. Dovrebbe essere innocuo — riferì.

— Benissimo. — Venn gettò la bottiglia a Gupta, che nonostante le sue lunghe mani la afferrò prontamente, con ben poca goffaggine da terricolo: Miles vide che Venn l’aveva notato.

Gupta, rivolgendo un’occhiata un po’ imbarazzata ai presenti, sollevò il poncho. Si stirò e così facendo le costole del suo ampio torace si separarono: sulla pelle si aprirono delle pieghe, rivelando una serie di cavità rosse, sotto le quali appariva una sostanza spugnosa che si contrasse quando ricevette lo spruzzo dello spray umidificante come un fitto piumaggio.

Santo Dio. Ha veramente delle branchie là sotto.

Presumibilmente i movimenti del torace, come fosse un mantice, aiutavano a pompare l’acqua attraverso le branchie quando l’anfibio era immerso. Quell’uomo possedeva un doppio sistema biologico. Quando tratteneva il fiato, i suoi polmoni smettevano di funzionare con un riflesso involontario? Con che meccanismo la circolazione sanguigna passava da un tipo di ossigenazione all’altro? Gupta usò la pompetta dello spruzzatore per umidificare tutte le aperture rosse, passandola da sinistra a destra, e sembrando trame notevole conforto. Sospirò, le aperture si chiusero, e il suo torace sembrò semplicemente corrugato, come segnato da cicatrici. Quindi tornò a coprirsi con il poncho.

— Ma da dove vieni? — Non poté fare a meno di chiedere Miles.

— Indovina.

— Be’, dal Complesso Jackson, presumo, ma quale Casa ti ha fatto? Ryoval, Bharaputra, un’altra? E sei un prototipo isolato o fai parte di una serie? Appartieni a una generazione di modificati geneticamente, oppure di una nuova specie di uomini acquatici in grado di autoriprodursi?

Gupta sbarrò gli occhi per la sorpresa. — Tu conosci il Complesso Jackson?

— Diciamo che ho avuto diverse dolorose occasioni di venire istruito sul tuo pianeta.

La sorpresa si colorò di un leggero rispetto, e di una certa solitudine. — Mi ha fatto la Casa Dyan. Ero parte di una serie, in effetti, creata per una troupe di ballo subacqueo.

Garnet Cinque esclamò con sorpresa: — Tu saresti stato un ballerino?

Il prigioniero si strinse nelle spalle. — No. Mi hanno creato per lo staff tecnico. Ma la Casa Dyan è stata in seguito annientata dalla Casa Ryoval… poco dopo la morte del Barone Ryoval, la quale ha diviso la troupe per destinarla ad altri compiti. Per me non hanno trovato alcun uso alternativo, per cui sono rimasto senza lavoro e senza protezione. Avrebbe potuto andare peggio. Sono andato in giro per un po’ senza meta e ho fatto ogni lavoro tecnico che mi potevo procurare. Da cosa nasce cosa.

In altre parole, Gupta era nato in stato di tecno-schiavitù jacksoniana, ed era stato buttato sulla strada quando il suo originario creatore-padrone era stato inghiottito da un più feroce rivale in affari. Visto quello che Miles sapeva del defunto e sgradevole Barone Ryoval, il destino di Gupta era stato forse più felice di quello dei suoi fratelli genetici. Conoscendo la data della morte di Ryoval, quel vago accenno da cosa nasce cosa copriva dai cinque ai dieci anni.

Miles gli chiese, pensieroso: — Non volevi uccidere me, ieri, vero? E neanche il portomastro Thorne. — Il che lasciava solo…

Gupta lo guardò sbattendo le palpebre. — Ah! Ecco dove ti avevo già visto prima. Mi dispiace. No. — Corrugò la fronte. — Ma che cosa ci facevi lì? Non sei uno dei passeggeri. Sei un altro abitante di questa lurida Stazione come quel maledetto ficcanaso betano?

— Betano? No. Mi chiamo… — decise in un istante di lasciare perdere tutti i titoli, — Miles. Mi hanno mandato a prendermi cura degli affari di Barrayar quando i quad hanno sequestrato la flotta komarrana.

— Oh. — Gupta perse interesse.

Che diavolo stavano facendo con quel penta-rapido? Perché non arrivava? Miles disse con voce più dolce: — Allora, che cosa è successo ai tuoi amici, Gupta?

Questo attirò di nuovo l’attenzione dell’anfibio. — Ingannati. Iniettati, infettati… rifiutati. Ci ha ingannato tutti. Maledetto bastardo cetagandano. Non era quello il patto.

Qualcosa dentro Miles partì in quarta. Ecco il legame, finalmente. Il suo sorriso divenne simpatico, caldo, e la sua voce ancora più dolce. — Dimmi tutto di questo bastardo cetagandano, Guppy.

Il gruppo di quad presenti aveva smesso anche solo di frusciare, e stava perfino respirando più silenziosamente. Roic si era ritirato in un punto in ombra di fronte a Miles. Gupta si guardò attorno poi esclamò: — A che serve? — Il tono non era di disperazione, ma di amara curiosità.

— Io sono barrayarano. Ho un interesse particolare per i bastardi cetagandani. I ghem-lord cetagandani si sono lasciati dietro cinque milioni di morti nella generazione di mio nonno, quando finalmente si arresero e si ritirarono da Barrayar. Ho ancora la sua borsa piena di scalpi di ghem. Per certi tipi di cetagandani, conosco un paio di usi che troveresti interessanti.

Lo sguardo vago del prigioniero tornò sul suo volto e lì rimase fisso. Per la prima volta Miles si era guadagnato tutta la sua attenzione. Forse aveva accennato a qualcosa che Gupta desiderava veramente. Qualcosa per cui bruciava di una fame folle e ossessiva. I suoi occhi fissi erano affamati di… forse vendetta, forse giustizia… in ogni caso, sangue. Ma era chiaro che non ne sapesse molto di vendetta. I barrayarani, invece… be’ i barrayarani avevano un’altra reputazione.

Gupta fece un profondo respiro. — Non so che tipo sia quello. Non avevo mai incontrato nulla del genere. Bastardo cetagandano. Ci ha sciolti.

— Dimmi tutto — sollecitò Miles. — Perché voi?

— È arrivato da noi… attraverso i nostri soliti agenti. Abbiamo pensato che sarebbe andato tutto bene. Avevamo una nave. Gras-Grace, Firka, Hewlet e io, avevamo questa nave. Hewlet era il nostro pilota, ma era Gras-Grace il cervello. Io, io ero quello che aggiustava le cose. Firka teneva i libri, e si occupava dei regolamenti, dei passaporti, degli ufficiali ficcanaso. Gras-Grace e i suoi tre mariti, ci chiamavamo. Eravamo tutti dei reietti, e forse assieme facevamo un marito come si deve per lei. Tutti per uno e uno per tutti, perché certo sapevamo che una nave di profughi jacksoniani, senza una Casa né un Barone, non avrebbe ricevuto favori da nessuno nell’intero Complesso Iperspaziale.

Gupta si stava infervorando. Miles, che ascoltava con la massima attenzione, pregò che Venn avesse il buon senso di non interrompere. Dieci persone li circondavano nella stanza, ma lui e Gupta, ipnotizzati l’un l’altro dall’intensità della confessione, avrebbero anche potuto fluttuare in una bolla di spazio e tempo sospesa in un altro universo.

— E allora, dov’è che avete raccolto il cetagandano e il suo carico?

Gupta alzò gli occhi, sorpreso. — Tu sai del carico?

— Se è lo stesso che si trova ora a bordo dell’Idris, sì, ho dato un’occhiata. L’ho trovato molto inquietante.

— Che cos’ha là dentro, in realtà?

— Preferirei non dirlo, per ora. Lui cosa vi ha detto che c’è?

— Mammiferi geneticamente modificati. Non che abbiamo fatto domande. Eravamo pagati di più per non fare domande. Era quello il patto, o così pensavamo.

E se c’era qualcosa che gli abitanti del Complesso Jackson nella loro etica elastica ritenevano sacro, era il patto.

— Un buon affare, eh?

— Così sembrava. Due o tre altri passaggi del genere, e avremmo potuto finire di pagare la nave ed essere gli unici proprietari.

Miles ne dubitò, soprattutto se l’equipaggio si era indebitato per comprare la nave iperspaziale con una tipica Casa finanziaria jacksoniana. Ma forse Gupta e i suoi amici erano stati molto ottimisti. O molto disperati.

— Sembrava un ingaggio semplice. Dovevamo solo portare un carico misto attraverso i confini dell’Impero cetagandano. Abbiamo saltato nel Mozzo di Hegen via Vervain, e siamo passati attorno a Rho Ceta. Tutti quegli arroganti, sospettosi ispettori che sono venuti a bordo a perquisirci in tutti i punti di salto, non hanno potuto trovare niente contro di noi, anche se avrebbero voluto, perché non c’era niente a bordo oltre a quello che diceva il nostro manifesto di carico. E il vecchio Firka si faceva delle belle risate. Fino a che non ci siamo allontanati dall’ultimo salto, verso Rho Ceta attraverso quei sistemi deserti, subito prima che la rotta si divida per Komarr. Lì abbiamo avuto un incontro nello spazio che non era previsto nel nostro piano di volo.

— Che genere di nave? Una nave iperspaziale, o solo un trasporto locale? Si vedeva chiaramente, o era per caso camuffata?

— Una nave iperspaziale. Non so cos’altro avrebbe potuto essere. Sembrava una nave del governo cetagandano. Aveva un sacco di scritte molto impressionanti. Non era grande, ma veloce… nuova fiammante, una cosa di classe. Il bastardo cetagandano ha trasbordato il suo carico sulla nostra nave, tutto da solo, con delle slitte a levitazione e trattori a mano, e non ha certo perso tempo. Nel momento in cui i portelli si sono chiusi, l’altra nave se n’è andata.

— Dove? L’avete capito?

— Be’, Hewlett ha detto che era una traiettoria molto strana, diretta verso quel sistema binario deserto a qualche salto di distanza da Rho Ceta, non so se lo conosci…

Miles annuì, incoraggiante.

— Sono andati verso il centro del sistema, in profondità nel pozzo gravitazionale. Forse volevano girare attorno ai soli e avvicinarsi a uno dei punti di salto nascondendo la propria traiettoria, non lo so. Però mi sembrava verosimile.

— Avevate solo un passeggero? — chiese Miles.

— Già.

— Raccontami qualcos’altro su di lui.

— Non c’è molto da dire. Si teneva sulle sue, mangiava sempre in cabina. A me non ha parlato affatto. Doveva parlare con Firka, perché Firka era quello che sistemava le cose nel manifesto di carico. Quando abbiamo raggiunto il primo punto di salto barrayarano e la relativa ispezione, la provenienza era stata modificata. E anche il passeggero era qualcun altro, a quel punto.

— Ker Dubauer?

Venn fece un sussulto nel sentirgli nominare quel nome, ma non osò interrompere il flusso di Gupta. L’infelice anfibio stava confessando a Miles tutti i suoi guai.

— No, non ancora. Deve essere diventato Dubauer durante la sosta su Komarr. Non l’ho rintracciato basandomi sulla sua identità, in ogni caso. Era troppo bravo per quello. Ha messo nel sacco anche i barrayarani.

In effetti. A quanto pareva un agente cetagandano del massimo calibro era appena passato attraverso la principale stazione di commercio di Barrayar come se fosse uno sbuffo di fumo. ImpSec avrebbe avuto un infarto all’arrivo di quel rapporto. — Come hai fatto a rintracciarlo qui, allora?

La prima espressione lontanamente simile a un sorriso passò su quel volto gommoso. — Ero l’ufficiale di macchina. L’ho seguito attraverso la massa del suo carico. Era molto particolare, quando più tardi sono andato a esaminarla.

Il sorriso sinistro divenne uno scuro cipiglio. — Quando abbiamo lasciato lui e le sue slitte sulla postazione di trasferimento komarrana, sembrava contento. Era perfino cordiale. Per la prima volta ha stretto la mano a tutti e ci ha consegnato il premio per averlo portato a destinazione senza problemi. A Gras-Grace ha perfino dato un buffetto su una guancia, e le ha sorriso con quel suo modo dolciastro. Lei si è limitata a sorridere invece di dargli un pugno sul naso, ma ho visto che c’era mancato poco. Così ce ne siamo andati. Hwelet e io volevamo prenderci una licenza e spendere un po’ dei soldi del premio, ma Gras-Grace ha detto che avremmo potuto festeggiare più tardi. Firka ci ha fatto notare che l’Impero barrayarano non era un posto in cui fosse prudente restare troppo a lungo. — Fece una risata distratta che non aveva nulla a che fare con il divertimento, e fu in quel momento che Miles si accorse che le sue labbra si erano gonfiate. Dunque quella sua reazione, quando Miles aveva premuto il test dermico alla sua pelle, non era stata una finzione. Miles soppresse un brivido. Mi dispiace. Mi dispiace.

— Eravamo partiti da Komarr da sei giorni, e avevamo passato il salto per Pol, quando sono iniziate le febbri. Gras-Grace lo ha capito per prima, dal modo in cui sono cominciate. È sempre stata la più in gamba di noi. Quattro piccole pustole rosa, come morsi di insetto, sul dorso delle mani di Hewlet e Firka, e sulla sua guancia, e sul braccio dove il bastardo cetagandano mi aveva toccato. Si sono gonfiate fino a essere grosse come uova, e hanno cominciato a pulsare, ma non quanto ci pulsava la testa. Ci volle solo un’ora. La testa mi faceva così male che non potevo quasi vedere. Gras-Grace, che non stava molto meglio, mi ha aiutato ad arrivare alla mia cabina, in modo che potessi immergermi nella mia vasca.

— Vasca?

— Mi ero costruito una vasca nella mia cabina, con un coperchio che potevo chiudere dall’interno, perché la gravità su quella vecchia nave non era affidabile. Era molto comoda per riposare, una specie di letto d’acqua. Potevo stiracchiarmi, e voltarmi. Aveva un buon sistema di filtraggio dell’acqua, che era sempre bella pulita, e ossigeno che entrava da una bocchetta, con delle belle luci colorate. E musica. Mi manca la mia vasca. — Sospirò.

— Tu… sembri avere anche dei polmoni. Trattieni il fiato sott’acqua, o cosa?

Gupta scrollò le spalle. — Ho dei muscoli a sfintere nel naso, nelle orecchie e nella gola che si chiudono automaticamente quando passo da una respirazione all’altra. È sempre un momento un po’ fastidioso, il passaggio; a volte sembra che i miei polmoni non vogliano saperne di smettere di funzionare. Ma non posso stare nella vasca per sempre, o finisco per orinare nell’acqua che respiro. È così che è successo quella volta. Ero rimasto nella vasca per… ore, non so quante. Non ero lucido, stavo troppo male. Ma alla fine avevo bisogno di orinare, così sono stato costretto a uscire.

«Per poco non sono svenuto quando mi sono alzato in piedi. Ho vomitato sul pavimento. Ma potevo camminare e sono riuscito ad arrivare al bagno. La nave era ancora in moto, potevo sentire tutte le vibrazioni attraverso i piedi, ma per il resto, tutto silenzioso. Nessuno parlava o litigava o russava, niente musica. Avevo freddo ed ero bagnato. Mi sono messo una vestaglia… era una vestaglia di Gras-Grace. Me l’aveva data poiché diceva sempre che avevo freddo perché i miei progettisti mi avevano dato geni di rana. Per quanto ne so, potrebbe anche essere vero.

«Poi ho trovato il suo corpo… — Si fermò. Lo sguardo che prima sembrava assente, si intensificò. — Circa cinque passi più in giù nel corridoio, vidi la sua treccia, che galleggiava sul… almeno, penso che fosse un corpo. La grandezza della pozza sembrava più o meno giusta. Puzzava come… che diavolo di morbo uscito dall’inferno può liquefare le ossa?

Prese fiato, e continuò con voce malferma.

— Firka era riuscito ad arrivare in infermeria, ma non gli era servito a niente. Sgocciolava dalla cuccetta e puzzava anche peggio di Gras-Grace. E fumava.

«Hewlet… o quel che restava di lui, era nella sua postazione di pilota. Non so come fosse riuscito ad arrampicarsi lassù, forse gli dava conforto. I piloti sono un po’ strani. Il casco da pilota gli teneva fermo il teschio, ma il suo volto… la sua faccia… stava scivolando giù. Forse aveva tentato di mandare una chiamata di emergenza. Aiuto. Biocontaminazione a bordo. Ma forse no, perché non arrivò mai nessuno. Più tardi ho pensato che avesse semplicemente detto troppo, e chi avrebbe potuto salvarci era rimasto alla larga di proposito. Perché mai qualcuno doveva rischiare la vita per dei contrabbandieri jacksoniani, della feccia. Meglio morti, così si risparmia la spesa e la seccatura di un processo.

Miles temette che stesse per tacere, esausto. Ma c’era ancora molto, e disperatamente importante, da sapere… Azzardò un tentativo. — E così, eri bloccato su una nave alla deriva con tre cadaveri in dissolvimento e senza pilota. Come hai fatto a cavartela?

— La nave… la nave non mi serviva più, non senza gli altri. Che i bastardi di finanziatori se la tenessero, con tanto di biocontaminazione. Tutti i nostri sogni erano morti. Poi, però, ho pensato che ero il loro erede. Se fossi stato al loro posto, avrei avuto piacere che tenessero le mie cose. Perciò ho raccolto tutto quello che era di valore, contante, gettoni di credito… Firka ne aveva un mucchio, e tra le sue cose ho trovato tutti i nostri documenti di identità. Gras-Grace, be’, lei probabilmente tutto quello che aveva guadagnato lo aveva perso al gioco, o speso per comprare giocattoli, o in qualche modo se lo era lasciato sfuggire dalle mani. Il che a lungo andare la rendeva più furba di noi. Riguardo a Hewlet, il suo denaro se lo era bevuto.

«Ma ce n’era abbastanza per arrivare fino all’altro capo del complesso iperspaziale, se ci stavo attento. Abbastanza da raggiungere quel bastardo cetagandano, che con un carico così pesante, non avrebbe viaggiato tanto veloce.

«Ho messo tutto in una capsula di salvataggio, dopo aver decontaminato ogni cosa, me stesso compreso, per una dozzina di volte, per togliermi di dosso quell’orribile sapore di morte. Non ero… non ero al mio meglio, ma non ero del tutto fuori di testa. Una volta nella capsula, non è stato difficile. Sono progettate per portare in salvo la gente; seguono automaticamente i fari locali. Tre giorni dopo mi ha raccolto una nave di passaggio. Ho raccontato che la nostra nave si era disintegrata… e loro non hanno voluto approfondire la cosa, soprattutto quando hanno capito che era una nave jacksoniana. A quel punto avevo smesso di piangere. — Agli occhi ora gli brillavano delle lacrime. — Naturalmente non ho fatto cenno al morbo biologico che ci aveva contaminato, o mi avrebbero buttato fuori bordo. Mi hanno sbarcato alla prima stazione di trasferimento iperspaziale Poiana. Lì ho evitato gli ispettori e sono salito sulla prima nave che ho potuto trovare diretta a Komarr.

«Ho trovato le tracce del bastardo cetagandano, e ho saputo che si era imbarcato con il suo carico su una nave della flotta komarrana che era appena partita, diretta qui. — Si guardò attorno, sbattendo gli occhi come sorpreso di trovarsi ancora circondato da quad.

— Com’è rimasto coinvolto in questa storia il tenente Solian? — Miles aveva atteso, con i nervi tesi, il momento di porre quella domanda.

— Avevo pensato che avrei semplicemente potuto aspettare il bastardo cetagandano appena fosse sceso dall’Idris, ma rimaneva sempre chiuso nella sua cabina. Allora ho provato a salire a bordo, ma non sono riuscito a passare attraverso i sistemi di sicurezza: non ero un passeggero e non possedevo nemmeno l’invito per far visita a qualcuno. Alla fine ho capito come fare: ho preso una cabina sulla Rudra. Così avrei potuto raggiungerlo, oppure, se la flotta fosse partita all’improvviso, stargli alle calcagna. Volevo ucciderlo di persona, per vendicare i miei compagni, ma poi decisi che lo avrei denunciato ai barrayarani accusandolo di essere una spia cetagandana. Feci in modo di incontrare l’ufficiale della Sicurezza dell’Idris mentre era nella stiva di carico. Gli dissi qualcosa, ma non credo che sulle prime mi abbia creduto, tuttavia andò a controllare. Ma non fece ritorno; deve essere incappato nel bastardo cetagandano. Mi dispiace per lui. Credo che sia finito sciolto come era successo a Gras-Grace e… — il racconto si interruppe in un singhiozzo.

— È stato allora che Solian ha perso sangue dal naso? Mentre era sulle tracce del cetagandano? — chiese Miles.

Gupta lo fissò. — Cosa sei, un veggente?

Scacco.

— Ma perché spargere il sangue finto sul pavimento della stiva?

— Be’… avevo sentito che la flotta stava partendo. Dicevano che quel povero disgraziato aveva disertato, e che avevano chiuso la pratica su di lui, come… come se non avesse una Casa o un Barone a difenderlo, e a nessuno importasse. Ma avevo paura che il bastardo cetagandano avesse organizzato un altro trasferimento nello spazio, così io sarei rimasto bloccato sulla Rudra, e lui se ne sarebbe andato. Allora ho tentato di riportare l’attenzione sull’Idris, e su quello che poteva esserci a bordo. Non pensavo che quei deficienti dei militari avrebbero attaccato la Stazione quad!

— C’è stata una concatenazione di circostanze — disse Miles, conscio degli ufficiali quad presenti. — Tu hai messo in moto degli eventi che non potevi immaginare dove avrebbero portato. — Sbatté le palpebre e si guardò attorno. — Ehm… ha delle domande da fare, Capo Venn?

Venn, che era ancora confuso dall’incredibile racconto che aveva udito, senza parlare scosse la testa da un lato all’altro.

Un giovane poliziotto quad, che Miles aveva appena notato entrare durante il soliloquio di Gupta, tese al suo capo un piccolo oggetto rilucente. — Signore, ho la dose di penta-rapido che aveva ordinato.

Venn lo prese e guardò il giudice Leutwyn.

Leutwyn si schiarì la gola. — Notevole. Credo, Lord Ispettore Vorkosigan, di aver visto per la prima volta un interrogatorio sotto penta-rapido condotto senza penta-rapido.

Miles guardò Gupta, che si era raccolto in posizione fetale a mezz’aria, e che tremava leggermente. Tracce di lacrime gli brillavano ancora negli occhi.

— Lui… voleva raccontare la sua storia a qualcuno. Lo voleva da settimane. È solo che non c’era nessuno in tutto il Complesso Iperspaziale di cui si potesse fidare.

— E ancora non c’è — disse il prigioniero con un singhiozzo. — Non montarti la testa, barrayarano. So che nessuno è dalla mia parte. Ma io ho mancato il colpo, e adesso lui mi ha visto. Ero al sicuro finché pensava che fossi finito sciolto come gli altri. Adesso, in un modo o nell’altro, mi raggiungerà. Ma se non lo posso uccidere io, spero che ci penserà qualcun altro.

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