Barker era appoggiato ad un banco, quando Hawks entrò nel laboratorio, la mattina, e gli si avvicinò.
— Come va? — chiese Hawks, guardandolo intento. — Bene?
Barker sorrise fiaccamente. — Cosa vuole? Che ci tocchiamo i guantoni prima d'incominciare l'ultimo round.
— Le ho rivolto una domanda.
— Sto benone. Vispo e pieno d'energia. Okay, Hawks? Cosa vuole che le dica? Che sono orgoglioso? Che sono pienamente consapevole del fatto che questo è un enorme passo avanti per la scienza, che sono onorato di contribuire a questo fausto giorno? Sono già decorato con il Purple Heart, Doc… basta che lei mi dia un paio di aspirine.
Hawks disse, incalzante: — Baker, è veramente sicuro che ce la farà a uscire dall'altra parte della formazione?
— Come posso esserne sicuro? Forse fa parte della sua logica il fatto che sia impossibile vincere. Forse mi ucciderà per dispetto. Non so. Posso soltanto dirle che sono solo a un passo dalla fine dell'unico percorso sicuro. Se il mio prossimo movimento non mi condurrà fuori, allora vuol dire che non esistono vie d'uscita. È un barattolo di pomodori, allora, e io sono arrivato al fondo. Ma se è qualcosa d'altro, allora, sì, oggi è il gran giorno.
Hawks annuì. — Non posso chiederle di più. Grazie. — Si guardò intorno. — Gersten è al trasmettitore?
Barker rispose di sì con un cenno. — Mi ha detto che saremo pronti al lancio tra circa mezz'ora.
— Bene. Benissimo — disse Hawks. — Può cominciare a indossare le sottotute. Ma ci sarà un po' di ritardo. Prima dovremo effettuare una mia analisi preliminare. Verrò con lei.
Barker schiacciò la sigaretta con un tacco. Alzò la testa. — Immagino che dovrei dire qualcosa. Qualche frase ironica su di lei, che arriva intrepido a guado sulla spiaggia nemica dopo che le truppe hanno già conquistato l'isola. Mi venga però un colpo se avevo mai pensato che lei fosse disposto a farlo.
Hawks non disse nulla, e s'incamminò verso il trasmettitore.
— Tu sapevi che avevamo delle tute di scorta — disse a Gersten, mentre si sdraiava dentro l'armatura aperta. I tecnici della Marina lavoravano intorno a lui, regolando le viti sulle lastre a pressione. Il guardiamarina sorvegliava attentamente, con un'espressione un po' incerta.
— Sì, ma dovevano servire solo nel caso che ne perdessimo una in un'analisi sbagliata — ribatté Gersten, ostinatamente.
— Abbiamo sempre avuto una scorta, di tutte le taglie.
— Hawks, essere in grado di fare qualcosa e farlo sono due questioni diverse. Io…
— Senti. Tu conosci la situazione. Sai quello che stiamo facendo, qui, come lo so io. Non appena abbiamo un percorso sicuro, incomincia la fase di studio. Dovremo smontare quella cosa, come se fosse una bomba: io sono il responsabile del progetto. Fino a ora, se il progetto mi avesse perduto, sarebbe stato un sacrificio troppo grande. Ma adesso il rischio è accettabile. Voglio vedere com'è quella formazione. Voglio essere in grado d'impartire istruzioni intelligenti. È tanto difficile capirlo?
— Hawks, lassù potrebbero andare storte moltissime cose, oggi.
— Supponiamo che vada tutto bene. Che Barker ce la faccia. E allora? Allora lui resta là, e io sono quaggiù. Credi che non ne avessi avuto l'intenzione fin dall'inizio?
— Prima ancora di conoscere Barker?
— Vorrei non averlo mai conosciuto. Tirati via e lascia che chiudano l'armatura. — Infilò meticolosamente la mano nel guanto, dentro al gruppo degli utensili.
Lo spinsero nella camera. I magneti lo sollevarono, e il tavolo venne rimosso. Lo sportello si chiuse e venne bloccato. Hawks galleggiò a mezz'aria, con le gambe e le braccia protese, circondato dai centomila occhi scintillanti degli analizzatori. Gaurdò oltre il disco di vetro del casco, imperturbabile. — Quando vuoi, Ted — disse con voce assonnata nel microfono, e le luci della camera si spensero.
Le luci si accesero nel ricevitore. Hawks aprì gli occhi, sbatté dolcemente le palpebre. La porta si aprì, il tavolo venne infilato sotto di lui. I magneti laterali smisero di funzionare, quando furono spenti i reostati, ed egli scese, fluttuando, a contatto con la superficie di plastica. — Mi sento normalmente — disse. — Avete ottenuto una buona registrazione?
— Sì, a quanto ne sappiamo — rispose Gersten, attraverso il microfono. — I computer non hanno riscontrato difetti nella trasmissione.
— Bene, è il meglio che possiamo fare — disse Hawks. — D'accordo… rimettetemi nel trasmettitore, e tenetemi lì. Infilate Barker nella tuta, abbassate le gambe del tavolo, e infilatelo sotto di me. Oggi — disse — segna un altro precedente negli annali dell'esplorazione. Oggi manderemo un Sandwich sulla Luna.
Fidanzato, che spingeva il tavolo attraverso il laboratorio, rise nervosamente. Gersten girò la testa di scatto e lo guardò.
Hawks e Barker si alzarono lentamente in piedi, nel ricevitore lunare. Gli specialisti della Marina che li attendevano fuori aprirono la porta, e si spostarono per lasciarli passare. La stazione lunare era spoglia e grigia, con le travature geodetiche di palstica triangolare che reggevano la cupola di lastre semiflessibili. C'erano lampade che ne pendevano a intervalli, come stalattiti, e il pavimento era un intreccio di stuoie pressate, poste sopra il rivestimento del terreno. Hawks si guardò intorno incuriosito, girando il casco dell'armatura con un lieve cigolio che immediatamente si trasmise alle lastre della cupola e venne ingigantito: ogni movimento compiuto da un uomo era seguito da un'eco amplificata. L'interno della struttura non era mai immobile. Scricchiolava e gemeva continuamente, facendo fremere le lampade appese ai supporti.
Gli uomini, gli specialisti della Marina nelle loro sottotute e Hawks e Barker nelle loro armature, erano inondati da riflessi mobili, come se si trovassero sul fondo di un mare sconvolto da una tempesta. Al portello, gli uomini della Marina s'infilarono nelle tute elastiche e poi, a uno a uno, uscirono tutti sulla superficie scoperta della Luna.
La luce delle stelle splendeva sopra di loro con fredda, mesta intensità, più forte di quella che discende sulla Terra in una notte illune, ma squarciata da nette fasce d'ombra a ogni irregolarità del terreno. Dal livello del suolo era possibile distinguere le forme vaghe dell'installazione, ogni cupola e ogni galleria coperta dalle griglie mimetiche; giaceva come il relitto di un dirigibile alla destra di Hawks, e aveva un vago colore verdegrigio, senza luci.
Hawks strasse un profondo respiro. — Benissimo, grazie — disse agli uomini della Marina, con voce lontana, meccanica, ferma attraverso il circuito del radiotelefono. — Le squadre degli osservatori sono pronte?
Un uomo, con le barrette del grado di tenente dipinte sul casco, annuì e tese il braccio verso sinistra. Hawks girò la testa lentamente, con espressione riluttante, e guardò nella direzione in cui le cupolette del bunker d'osservazione sembravano rannicchiate ai piedi di una parete di ròccia, dell'incombente formazione nera e argentea.
— Il passaggio è qui — disse Barker, toccando l'avambraccio di Hawks con gli utensili all'estremità della manica destra. — Andiamo… finiremo l'aria, se aspettiamo che lei metta il piede nell'acqua per sentire se è troppo fredda.
— Sta bene. — Hawks si mosse per seguire Barker sotto la tettoia mimetica, simile a un pergolato su cui non sarebbe mai cresciuto un rampicante, piazzata al di sopra del sentiero spianato tra la cupola del ricevitore e la formazione enigmatica.
Il tenente fece un segnale con la mano e si allontanò, seguito dai suoi, lungo l'altro sentiero che conduceva alla stazione, al loro abituale lavoro.
— Tutto pronto? — chiese Barker, quando raggiunsero la formazione. — Allora faccia lampeggiare la sua lampada in direzione degli osservatori, laggiù, perché sappiano che cominciamo.
Hawks alzò una mano e fece lampeggiare la lampada. Un punto di luce apparve, in risposta, sulla facciata spoglia del bunker.
— È tutto, Hawks. Non so che cosa stia aspettando. Faccia tutto quello che faccio io, e mi segua. Speriamo che questa baracca non si offenda perché non sono solo.
— È un rischio accettabile — disse Hawks.
— Se lo dice lei, dottore. — Barker protese le mani e appoggiò i lati interni delle maniche contro la vitrea parete increspata davanti alla quale s'interrompeva bruscamente il sentiero. Si spostò di sbieco e nell'armatura di Hawks vi fu un secco spang, un crepitio che salì dalle suole degli stivali, quando il muro accettò Barker e lo risucchiò.
Hawks abbassò lo sguardo sulla ghiaia del sentiero, coperto di orme come se di lì fosse passato un esercito. Si accostò alla parete e alzò le braccia, mentre il sudore gli colava sulle guance più rapidamente di quanto potessero asciugarlo i deumidificatori.
Barker si stava inerpicando su per un piano iclinato di uno scintillante nerazzurro, verso un punto in cui due facce marrone scuro cozzavano ripetutamente una contro l'altra. Intorno a Hawks turbinavano cortine verdi e bianche.
Si mise a correre, mentre squarci di trasparenza cristallina si aprivano tra le pieghe verdi e bianche, e lampi di luce rossa guizzavano fiochi sul fondo, e altri azzurri, verdi e gialli salivano intorno ai suoi piedi.
Hawks correva con le braccia strette contro i fianchi. Arrivò al punto dove aveva visto Barker tuffarsi avanti, rotolando su se stesso sfiorando un torrente turbinoso di flessibili frange pallide simili a foglie. Mentre si tuffava, passò sopra a un corpo contorto, chiuso in un tipo di tuta che non veniva più usato.
L'armatura bianca di Barker si coprì improvvisamente di ghiaccio che si staccò a pezzi, mentre correva, e piovve davanti a Hawks come una serie di stampi, in un mucchio di maniche, gambali e corazze, ai quali Hawks aggiunse anche i suoi nel passare.
Seguì Barker giù nell'imbuto a spirale le cui pareti li spruzzarono di una polvere grigio chiara che cadeva dalle loro armature in lunghi fili delicati, mentre essi giravano per superare il corpo di Rogan, che giaceva quasi nascosto da un mucchio di semicerchi invetriati, come un carico di piatti rotti e abbandonati.
Barker alzò la mano: si fermarono sul ciglio del campo di piani incrociati, uno accanto all'altro, guardandosi in faccia sotto una lucida lingua di metallo nerazzurro che sporgeva sopra di loro, arrugginita e brunita là dove un tempo un altro Barker s'era trascinato strisciando: e adesso egli giaceva là, con una manica bianca penzolante, un frammento di superficie verde stretta convulsamente nelle pinze. Barker alzò la testa in quella direzione, tornò a guardare Hawks, e strizzò l'occhio. Poi si afferrò a una delle sporgenze cristalline, trasparenti, della giuzzante parete rossa e si lanciò verso la successiva scomparendo oltre la curva dove ruscellava la luce azzurra, verde e gialla.
I piedi corazzati di Hawks calpestarono il vuoto mentre seguiva Barker oltre l'angolo. Avanzava aggrappandosi con le mani, tenendo il corpo proteso per mantenere le spalle al di sopra del livello della mani, mentre procedeva di sbieco lungo l'alta frastagliatura di un color giallo pallido, e ogni foglia semicurva si piegava come cera sotto il suo peso, si torceva sin quasi al punto che le sue pinze perdevano la presa sulla superficie che non riuscivano a penetrare con le punte aguzze. Doveva incrociare le braccia e spostare il peso da una frastagliatura all'altra, prima che quella lo facesse cadere, e mentre avanzava doveva torcere il corpo per evitare lo scatto dei mezzi dischi che aveva appena abbandonato. Sotto di lui giaceva un groviglio di armature spezzate, maniche e gambali e corazze contorte.
Finalmente, Hawks arrivò in un punto dove Barker stava disteso sul dorso a riposare. Fece per sedersi accanto a lui, chinandosi goffamente. All'improvviso gettò uno sguardo alla girobussola che portava al polso, e che indicava il Nord lunare. Si voltò, cercando di ritrovare l'equilibrio, e finalmente si fermò ansando, ritto su un piede solo come un trampoliere, mentre Barker lo sorreggeva. In alto, una trina arancione guizzò in una vitrea massa rossa, foggiata come una gigantesca testa di topo, e poi si placò, quasi riluttante.
Camminarono lungo un'enorme piana indistinta di grigi e di neri pancromatici, seguendo una particolare fila d'impronte in mezzo a un ventaglio di orme. Tutte finivano in un'armatura bianca ammucchiata, tranne quella su cui Barker si fermava di tanto in tanto, ogni volta a un passo da un suo cadavere, e si spostava da un lato, o semplicemente aspettava un po', o smuoveva un po' i piedi. Ogni volta, la piana riprendeva di colpo colore, dal punto di vista di Hawks. Ogni volta che seguiva Barker, il colore si spegneva, e la sua tuta pulsava di un suono ligneo, squillante.
Al termine della piana c'era una muraglia. Hawks consultò l'orologio. Erano nella formazione da quattro minuti e cinquantuno secondi. La muraglia ondeggiava e ribolliva di bollicine, dai loro piedi fino al cielo nero, con i suoi ventagli di luce violetta. Fiori di ghiaccio sbocciavano sulla piana dove cadevano le loro ombre, e si levavano più alti là dov'erano più lontano dall'orlo, in minore contatto con la luce. Il ghiaccio formava rozze copie aggobbite delle loro armature e, quando Hawks e Barker si mossero contro la muraglia, il ghiaccio restò esposto per un momento, poi esplose silenziosamente per la pressione del vapore, e ogni frammento che volava via lasciava una lunga, delicata scia, mentre divorava se stesso. Poi l'esplosione si placò, lentamente.
Barker batté sulla parete con un martello da geologo, e uno scintillante cubo neroazzurro si staccò, scoprendo una ruvida superficie bruna e piatta. Barker batté leggermente, e la superficie cambiò colore, diventando di un bianco scintillante, acceso da frementi fili verdi. La parete diventò cristallina e trasparente, e scomparve. Erano sul bordo di un lago di fumante fuoco rosso. Sulla riva, semisepolta, con la vernice bianca coperta di fuliggine gialla, carbonizzata e fusa come se fosse stata vetrificata, giaceva un'armatura di Barker. Hawks guardò l'orologio. Erano nella formazione da sei minuti e trentotto secondi. Si girò e si guardò indietro. Sulla piana pancromatica stava un cubo di metallo scintillante, nerazzurro. Barker tornò indietro, lo raccolse e lo gettò al suolo. Una ruvida muraglia bruna s'innalzò tra loro e la piana, e alle loro spalle il fuoco si smorzò. Dove prima stava l'armatura bruciata, c'era un mucchio di cristalli, sull'orlo di un riquadro di lapislazzuli, all'incirca d'un centinaio di metri di lato.
Barker vi si avventurò. Una sezione del quadrato s'inclinò, e i cristalli dell'orlo vi scivolarono sopra, in un ventaglio scintillante. Barker camminò cautamente in mezzo a essi, fino a quando arrivò all'estremità opposta della sezione, bilanciandola con il suo peso. Hawks si avviò lungo il pendio e scese per raggiungerlo. Barker tese il braccio, indicando. Attraverso la fenditura tra la sezione inclinata e il resto del riquadro, potevano scorgere gli uomini della squadra d'osservazione che sbirciavano verso di loro, ciecamente. Hawks guardò di nuovo l'orologio. Erano nella formazione da sei minuti e trentanove secondi. Tra loro e gli osservatori, visibile a malapena, giaceva un altro Barker. I cristalli sulla loro sezione scivolavano dalla fenditura e piovevano in lunghi, delicati fili di neve sull'armatura che si scorgeva appena.
Barker passò sul quadrato di lapislazzuli. Hawks lo seguì, e la sezione si raddrizzò alle loro spalle. Camminarono per diversi metri, e Barker si fermò. Il suo volto era teso, gli occhi scintillanti d'esultanza. Lanciò un'occhiata ad Hawks, e la sua espressione diventò guardinga.
Hawks guardò fissamente l'orologio. Barker s'inumidì le labbra, poi si voltò e prese a correre in una spirale sempre più ampia; i suoi stivali smuovevano mucchi di cristalli ed egli chinava il capo mentre ondate di luce rossa, verde e gialla si spegnevano sulla sua armatura. Hawks lo seguì, mentre i lapislazzuli si spezzavano in grandi crepe gelide, formando una rete sotto i suoi piedi, mentre correva in tondo.
I lapislazzuli divennero azzurro-acciaio e trasparenti, e poi scomparvero, lasciando solo la rete delle fratture, su cui Barker e Hawks continuavano a correre, mentre sotto di loro giaceva l'armatura coperta di neve e gli osservatori stavano evidentemente a pochi centimetri di distanza, e dietro di loro si scorgeva l'orizzonte tormentato della Luna, contro il quale s'incastrava l'arco del cielo.
Erano nella formazione da nove minuti e diciannove secondi. Barker si fermò di nuovo, agganciandosi alla rete con i piedi e le pinze, appeso immobile, voltandosi a guardare Hawks che lo seguiva. Gli occhi di Barker avevano un'espressione disperata. Respirava ad ansiti, muovendo la bocca a fatica. Hawks gli si fermò accanto.
La rete di fratture cominciò a infrangersi in schegge affilate come pugnali; queste cadevano lasciando grandi squarci in cui turbinavano nubi di particelle fumose grigio-acciaio che formavano strati taglienti e si sospendevano nel grande spazio aperto, sopra il punto dove stavano aggrappati Hawks e Barker; le frange vorticavano salendo e congiungevano gli strati in una griglia di incroci marmorei a piani bruschi, che avanzavano verso di loro.
Barker improvvisamente chiuse gli occhi, scosse con violenza la testa dentro al casco e con una smorfia cominciò ad arrampicarsi sulla rete, tenendo il braccio sinistro premuto contro il fianco, e aggrappandosi con la mano destra non appena il suo peso lasciava l'appiglio abbandonato dal piede sinistro.
Quando Hawks e Barker uscirono sul bordo della rete, accanto all'armatura che giaceva sotto la crosta di punte di pugnali spezzati, erano ormai nella formazione da nove minuti e quarantadue secondi. Barker si girò verso gli osservatori, attraversò la parete, e uscì all'aperto, sulla Luna. Hawks lo seguì. Si fermarono a guardarsi attraverso i vetri dei visori: la formazione era alle loro spalle.
Barker la guardò. — Sembra che quella cosa non sappia che cosa abbiamo fatto — disse, nel circuito del radiotelefono.
Hawks gettò un'occhiata dietro di sé. — Pensava che se ne accorgesse? — chiese, scrollando le spalle. Si rivolse agli osservatori che attendevano, in piedi, chiusi nelle tute, con espressioni pazienti dietro le sfere di plastica trasparente dei caschi.
— Avete visto accadere qualcosa di nuovo, mentre eravamo là dentro?
Il più anziano del gruppo, un uomo dalla faccia grigia e chiusa, con gli occhiali cerchiati d'acciaio fissati da una fascia elastica, scosse il capo. — No. — La sua voce arrivò distorta, attraverso il microfono applicato sulla gola. — La formazione non mostra segni esteriori di aver discriminato tra un individuo e un altro, o di aver reagito in modo speciale alla presenza di più di una persona. Cioè, suppongo che sia così, presumendo che siano state osservate tutte le sue regole interne.
Hawks annuì. — È stata anche la mia impressione. — Si girò verso Barker. — Ciò significa, molto probabilmente, che adesso possiamo cominciare a mandare là dentro le squadre di tecnici. Credo che lei abbia portato a termine il suo lavoro, Al. Ne sono convinto. Bene, andiamo con questi signori, per un po'. Potremmo fare a loro i nostri rapporti verbali, nel caso che Hawks e Barker abbiano perso i contatti con noi prima che uscissimo. — S'incamminò lungo il sentiero verso il bunker, e gli altri lo seguirono.
Gersten s'inginocchiò, si piegò sul vetro aperto del casco. — Tutto bene, Hawks? — chiese.
Hawks lo guardò stordito. Un filo di sangue gli scendeva dall'angolo della bocca. Lo leccò, passandosi la lingua sul labbro inferiore inciso dai morsi. — Devo essermi spaventato più di quanto pensassi, dopo che si è staccato da me e mi sono accorto di essere nella tuta. — Girò la testa da una parte all'altra, disteso sul pavimento del laboratorio. — Barker sta bene?
— Lo stanno tirando fuori adesso dal ricevitore. Sembra in buone condizioni. Ce l'avete fatta?
Hawks annuì. — Oh, sì, è andata bene. L'ultima volta che ho sentito, stava facendo un rapporto verbale agli osservatori. — Sbatté gli occhi per liberarli dalle lacrime. — Che razza di posto, quello lassù. Senti… Gersten… — Il suo volto era contratto in un'espressione di disgusto, mentre lo guardava. Quand'era bambino, e soffriva di forti raffreddori, suo padre aveva cercato di guarirlo facendogli bagni bollenti e poi avvolgendolo nelle lenzuola umide, stringendogliele addosso a strati, e lasciandolo così inchiodato per tutta la notte. — Mi… mi dispiace chiederlo — disse senza accorgersi di aver girato il viso direttamente verso Gersten — ma non potrebbero tirarmi fuori dalla tuta prima di tirar fuori Barker?
Gersten, che in un primo momento aveva scrutato Hawks con interesse premuroso, assunse un'aria gelida e offesa. — Certo — disse e si allontanò, lasciando Hawks solo sul pavimento, come un bambino nella notte. Egli rimase così per parecchi istanti, prima che uno dei tecnici ritti in cerchio tutto intorno comprendesse che aveva bisogno di compagnia e s'inginocchiasse accanto a lui, entro la portata della visuale limitata dai bordi della visiera.
Hawks guardò il capo degli osservatori che richiudeva il taccuino. — Credo che basti, allora — disse all'uomo. Barker, che era seduto accanto a lui, al tavolo d'acciaio, annuì esitante.
— Io non ho visto nessun lago di fuoco — disse a Hawks.
Lo scienziato alzò le spalle. — E io non ho visto al suo posto un'arcata di vetro verde. — Si alzò e disse agli osservatori: — Signori, se ci richiudete le visiere, ce ne andremo.
Gli osservatori annuirono e si avvicinarono. Quando ebbero finito, lasciarono la stanza attraverso il portello stagno, per passare all'interno del bunker, e Hawks e Barker rimasero soli, a usare il portello esterno. Hawks fece un gesto impaziente, mentre la valvola d'aspirazione del casco ricominciava a trarre aria dalle bombole, con un fruscio intenso. — Andiamo, Al. — Disse. — Non abbiamo molto tempo.
Mentre svuotavano d'aria la camera stagna, Barker disse amaramente. — Certo che è bello avere qualcuno che si commuove per te e ti dà una pacca sulla spalla, quando hai realizzato qualcosa.
Hawks scosse il capo. — Costoro, qui, non s'interessano affatto a noi come individui. Forse oggi avrebbero dovuto farlo, ma è difficile cambiare abitudini. Non dimentichi, Al… per quelli lei non è mai stato altro che un'ombra nella notte. Solo l'ultima di tante ombre. E altri uomini verranno quassù a morire. Vi saranno occasioni in cui i tecnici sbaglieranno. Forse vi saranno ragioni che costringeranno lei e magari anche me a ritornare quassù. Gli uomini in quel bunker osserveranno, registreranno ciò che vedono, faranno del loro meglio per strappare informazioni a quella cosa… — Indicò con un gesto la massa d'ossidiana, che precipitava perpetuamente e perpetuamente tornava a rizzarsi, cambiando posto, incombendo sul bunker, ora riflettendo la luce delle stelle, ora nera e buia. — Quell'enorme enigma. Ma io e lei, Al, siamo soltanto strumenti, per loro. È necessario che sia così. Dovranno vivere qui fino al giorno in cui l'ultimo tecnico smonterà l'ultimo pezzo di quella formazione. E poi, quando ciò avverrà, gli uomini di quel bunker dovranno affrontare qualcosa cui avranno cercato di non pensare per tutto questo tempo.
— Sa, Hawks — disse Barker, impacciato — quasi non volevo uscire.
— Lo so.
Barker fece un gesto d'indecisione. — È stata la cosa più strana. Per poco non mi sono buttato nella trappola che mi ha fregato l'ultima volta. E poi, poco è mancato che restassi lì ad attendere che ci prendesse. Hawks, io… non so. Non volevo uscire. Avevo la sensazione di stare per perdere qualcosa. Che cosa, non lo so. Ma stava lì, e all'improvviso ho capito che c'era qualcosa di prezioso che avrei perduto, se ne fossi uscito fuori.
Hawks, che gli camminava al fianco con passo fermo, si voltò a guardarlo per la prima volta da quando avevano lasciato il bunker. - E l'ha perduta?
— Non… non so. Dovrò pensarci a lungo, credo. Mi sento diverso. È quanto posso dire. — La voce di Barker si fece più animata. — Mi sento diverso.
— È la prima volta che ha fatto qualcosa che nessun altro uomo aveva mai fatto? Con successo, voglio dire?
— Io… beh, no, ho battuto primati di vario tipo e…
— Altri uomini hanno battuto gli stessi primati, Al.
Barker si fermò e guardò Hawks. — Credo di sì — fece, aggrottando la fronte. — Credo che lei abbia ragione. Ho fatto qualcosa che nessun altro uomo aveva mai fatto prima. E non sono morto per questo.
— Niente precedenti, niente tradizione, Al: ma c'è riuscito egualmente. — Anche Hawks si era fermato. — Forse è diventato un uomo secondo i suoi ideali? — La sua voce era sommessa e triste.
— Forse sì, Hawks! — esclamò eccitato Barker. — Senta… non può… Cioè, non è possibile rendersene conto così di colpo, ma… Si fermò di nuovo, scrutando ansioso oltre il vetro del casco.
Erano giunti quasi al punto in cui la pista proveniente dal bunker si congiungeva alla rete di sentieri che copriva il terreno tra la formazione, il ricevitore, l'installazione della Marina e la rimessa dove stavano i semicingolati della spedizione. Hawks attese immobile, osservando paziente Barker, chinando il casco per vederlo meglio.
— Aveva ragione Hawks! — disse Barker, precipitosamente. — Superare le prove dell'iniziazione non significa nulla, se poi torna a fare quello che faceva prima: se non sa di essere cambiato! Un uomo… un uomo crea se stesso. È… Oh, accidenti, Hawks, io cercavo di essere quello che volevano loro, cercavo di essere quello che dovevo, ma che cosa sono? Ecco ciò che dovevo scoprire! Devo ritornare sulla Terra e rifarmi di tutti questi anni! Io… Hawks, probabilmente le dovrò una gratitudine immensa.
— Davvero? — Hawks riprese a camminare. — Venga con me, Al.
Barker lo seguì, affrettando il passo. — Dove andiamo?
Hawks continuò a camminare fino a quando fu sul sentiero che portava ai cingolati, e poi procedette, superandolo, per un breve tratto, prima che la mimetizzazione cessasse e il terreno nudo diventasse quasi impercorribile per un uomo a piedi, chiuso nell'armatura. Agitò un braccio. — Da quella parte.
— Non è rischioso? Quant'aria c'è, in queste tute?
— Non molta. Solo per pochi minuti.
— Bene, allora torniamo al ricevitore.
Hawks scosse il capo. — No. Quello non è per noi, Al.
— Come sarebbe a dire? Il trasmettitore di ritorno funziona, non è vero?
— Funziona. Ma non possiamo usarlo.
— Hawks…
— Se vuole andare al trasmettitore e dire a quelli della Marina di seguire la stessa procedura con cui spediscono i campioni e i rapporti sulla Terra, può farlo. Ma prima voglio che capisca quello che intendo fare.
Barker lo guardò frastornato, attraverso il vetro robusto. Hawks tese il braccio, toccò goffamente con la manica la spalla corazzata dell'altro. — Molto tempo fa, le dissi che l'avrei uccisa in molti modi, Al. Quando ogni Barker riprendeva conoscenza sulla Terra, dopo che ogni Barker era morto, io lasciavo che lei s'illudesse. Lei credeva di avere già provato la morte più certa di tutte. Non era vero. Dovrò ucciderla ancora una volta.
«C'era sempre una continuità. Barker L e T sembravano essere lo stesso uomo, con la stessa mente. Quando L moriva, T continuava a vivere. Il filo non si spezzava, e lei poteva continuare a credere che in realtà non fosse accaduto nulla. Io potevo dirle, e lei poteva crederlo, che in realtà vi era soltanto una successione di Barker, i cui ricordi s'incastravano perfettamente. Ma è una cosa troppo astratta perché un essere umano l'afferri realmente. In questo momento, io mi considero lo stesso Hawks che nacque, molti anni or sono, nella stanza da letto di una fattoria. Anche se so che c'è un altro Hawks, nel laboratorio sulla Terra, che da qualche momento vive di vita propria; anche se so di essere nato dalle ceneri di questo mondo venti minuti fa, nel ricevitore. Tutto ciò non significa nulla per il me stesso che ha vissuto nella mia mente per tutti questi anni. Posso guardarmi indietro. Posso ricordare.
«Era così anche per lei. Gliel'ho detto. Molto tempo fa, le ho detto che il trasmettitore invia soltanto un segnale: distruggere l'uomo che analizza per ricavare il segnale. Ma sapevo che tutte le spiegazioni di questo mondo non sarebbero bastate a far sì che lei sentisse questo, finché poteva svegliarsi ogni mattina dentro alla sua pelle. Perciò penso che fosse fiato sprecato. Lo penso spesso. Ma cosa potrei dire a me stesso, ora, se non avessi tentato di dirlo a lei?»
— Arrivi al dunque! — intimò Barker.
Hawks proruppe, esasperato: — È quel che cerco di fare! Vorrei che gli altri se lo mettessero in testa, una volta per tutte, che una risposta breve va bene soltanto per le domande che ci sono familiari! Che cosa crede che abbiamo a che fare, qui… con qualcosa che Leonardo da Vinci avrebbe potuto affrontare? Se l'avesse potuto, l'avrebbe fatto, e avremmo avuto il Ventesimo Secolo nel Secolo Decimoquinto! Se vuole una risposta, allora è meglio che me la lasci inserire nel contesto.
— Sta bene, Hawks.
— Mi dispiace — disse Hawks, perdendo lo slancio. — Mi dispiace. Un uomo tiene qualcosa rinchiuso dentro di sé, e poi alla fine trabocca. Senta, Barker… qui non abbiamo gli apparecchi necessari per rimandare esattamente gli individui sulla Terra. Non abbiamo i computer, non abbiamo gli impianti elettronici, non abbiamo tutte le complesse salvaguardie. Le avremo. Non appena avremo scavato un laboratorio abbastanza grande per contenere tutto questo, nel sottosuolo, dove gli apparecchi saranno al riparo dagli incidenti e dagli occhi indiscreti. Poi dovremo pressurizzare l'intero laboratorio, o imparare a progettare componenti elettronici capaci di funzionare nel vuoto. Se pensa che non sia un problema, si sbaglia. Ma lo risolveremo. Quando avremo tempo.
«Finora il tempo non c'è stato, Al. Tutti coloro che sono qui… gli uomini della Marina, gli osservatori… pensi a loro. Sono i migliori, nei rispettivi campi. Individui competenti, che hanno famiglie, carriere, interessi, proprietà: è un errore credere che se un uomo è un buon astronomo o un buon cartografo, sia altrettanto in gamba negli altri campi della vita. Alcuni di loro non lo sono: molti sì. E tutti, qui, sanno che quando sono venuti sulla Luna, i loro duplicati restavano sulla Terra. Doveva essere così. Non potevamo sottrarre uomini simili alle loro attività. Non potevamo correre il rischio che morissero… nessuno sapeva cosa poteva accadere quassù. E potrebbero ancora accadere cose terribili. Si sono offerti tutti volontari. Avevano capito, tutti. Sulla Terra, le loro controparti continuano come se nulla fosse successo. Un certo pomeriggio hanno trascorso qualche ora nel laboratorio, naturalmente, ma per loro questa è solo una parte trascurabile del passato.
«Tutti noi, quassù, siamo ombre, Al. Ma loro sono d'un tipo particolare. Anche se avessimo le apparecchiature, non potrebbero tornare. Quando le avremo, non potranno tornare egualmente. Non li fermeremo se tentassero di farlo, ma pensi, Al, pensi all'uomo che dirige la squadra degli osservatori. Sulla Terra, la sua controparte segue un'importante carriera scientifica: ha fatto molto, dal giorno in cui venne duplicato. Ha una carriera, una reputazione, tutto un patrimonio di esperienze che questo individuo, quassù, non ha più in comune con lui. E anche l'uomo che è qui è cambiato… sa cose che l'altro non sa. Lui possiede un intero patrimonio d'esperienze divergenti. Se ritorna, che cosa faranno? Chi avrà la carriera, chi avrà la famiglia, chi avrà il conto in banca? Potranno tentare di risolvere il problema, se vogliono. Ma passeranno anni, quassù, prima che la missione abbia termine. Ci saranno stati divorzi, nascite, morti, matrimoni, promozioni, lauree, condanne, malattie… No. Quasi tutti non torneranno. Ma quando questo avrà fine, dove andranno? Sarebbe meglio che trovassimo loro qualcosa da fare. Lontano dalla Terra… lontano dal mondo che non ha più posto per loro. Abbiamo creato un intero corpo di uomini con i più forti legami con la Terra, e nessun futuro, se non nello spazio. Ma dove andranno? Su Marte? Su Venere? Non abbiamo razzi che possano lanciare lassù i ricevitori. Sarebbe bene che li avessimo… ma se alcuni di loro fossero diventati così preziosi che noi non osassimo duplicarli ancora? E allora?
«Lei li ha chiamati zombie, una volta. Aveva ragione. Sono morti viventi, e lo sanno. E li ho fatti io, perché non c'era tempo. Non c'era tempo per farlo sistematicamente, per pensare a tutti gli aspetti, per cercare in tutto il mondo uomini che potessimo utilizzare senza assoggettarli a questo smembramento. E in quanto a lei e a me, ora, Al, c'è il semplice fatto che nelle nostre tute rimane aria solo per pochi minuti, e non possiamo affatto tornare indietro.»
— Per l'amor del cielo, Hawks, possiamo entrare in una qualunque di quelle cupole, e trovare tutta l'aria che ci occorre!
Hawks chiese lentamente: — E sistemarci qui, vuol dire, e ritornare fra un anno o due? Se vuole può farlo, suppongo. Nel frattempo, cosa farà? Imparerà qualcosa di utile, qui, e si chiederà che cosa sta facendo nel contempo sulla Terra?
Per un momento Al non disse nulla. Poi: — Vuol dire che sono bloccato qui. — La voce era sommessa. — Sono uno zombie. Bene, è tanto orribile? È peggio che morire?
— Non so — rispose Hawks. — Potrebbe parlarne con gli altri che sono quassù. Neppure loro lo sanno. E ci hanno pensato a lungo. Perché crede che la sfuggissero, Barker? Perché non c'era nulla, in lei, che li spaventasse più di quanto essi potessero sopportare? Abbiamo avuto le nostre ondate di suicidi, quando vennero quassù. Quelli rimasti sono relativamente stabili. Ma lo sono perché hanno imparato a pensare al problema solo in un certo modo. Ma faccia pure. Riuscirà forse a combinare qualcosa.
— Ma, Hawks, io voglio tornare alla Terra!
— Al mondo dei suoi ricordi, che desidera rimodellare?
— Perché non posso usare il trasmettitore di ritorno?
— Gliel'ho detto. Abbiamo un solo tramsettitore, quassù. Non abbiamo un laboratorio pieno di apparecchiature di controllo. Il trasmettitore di qui lancia segnali che descrivono i rapporti dattiloscritti e i campioni di roccia che gli uomini della Marina collocano nel ricevitore. Non viene usato molto: ma quando lo si adopera, non trasporta altro. Da qui, senza dati astronomici esattissimi, senza la nostra disponibilità di energia, i segnali si diffondono, mancano la nostra antenna laggiù, si confondono negli strati ionizzati… non è possibile, dalla superficie di un satellite disabitato, inesplorato, privo d'aria, fare ciò che possiamo fare sulla Terra. E da un mondo con la gravità terrestre, con un'atmosfera e la pressione atmosferica e una gamma diversa di temperature, non si possono trasmettere apparecchi che funzionino quassù. Devono venire progettati per queste condizioni, e meglio ancora, dovrebbero essere fabbricati qui. Con che cosa? In quale stabilimento? Non importa, se si tratta di qualche segno sulla carta e pezzi di roccia, che noi disponiamo del minimo indispensabile di equipaggiamento che abbiamo avuto il tempo di adattare. Provando e sbagliando, e con la ripetizione costante, inviamo i segnali, e li decifriamo sulla Terra. Se sono confusi, mandiamo un altro segnale, e un furiere della Marina batte a macchina un nuovo rapporto sulla copia a carbone, e un geologo preleva con lo scalpello un altro pezzo di roccia dello stesso tipo. Ma un uomo, Barker… gliel'ho detto. Un uomo è una fenice. Qui non abbiamo semplicemente i mezzi per effettuare le analisi, passarle attraverso gli amplificatori a differenziale, controllarle, e preparare una registrazione per controllare ancora.
«Può tentare, Al. Può entrare nel trasmettitore di ritorno, e gli specialisti della Marina gireranno gli interruttori. L'hanno fatto altre volte, per altri uomini che dovevano tentare. Come sempre, l'analizzatore la distruggerà istantaneamente e senza farla soffrire. Ma ciò che arriva sulla Terra, Al… ciò che arriva sulla Terra non è l'uomo che lei è diventato da quando è stato introdotto l'ultima volta nel trasmettitore del laboratorio. Glielo assicuro, Al.»
Hawks alzò le braccia e le lasciò ricadere. — Ora capisce che cosa le ho fatto? Capisce cosa ho fatto al povero Sam Latourette, il quale un giorno si sveglierà in un mondo pieno di estranei, senza sapere mai che cosa gli ho fatto dopo averlo affidato agli amplificatori, sapendo soltanto che è guarito ma che il suo vecchio buon amico Ed Hawks è morto ed è diventato polvere? Non ho giocato a carte scoperte, con nessuno di voi. Neppure una volta ho avuto pietà di voi, se non di tanto in tanto, per coincidenza. Si voltò e si avviò, allontanandosi.
— Aspetti! Hawks… Non deve…
Hawks disse, senza fermarsi e senza girare la testa, camminando a passo fermo: — Che cosa non devo fare? C'è un Ed Hawks, nell'universo, che ricorda tutta la sua vita, anche il tempo che ha trascorso nella formazione lunare, fino a questo momento, mentre si trova nel laboratorio. Che cosa va perduto? Non ci sono sprechi. Le auguro buona fortuna, Al… farà bene ad affrettarsi per arrivare al portello stagno. A quello del trasmettitore di ritorno o a quello della stazione della Marina. La distanza è più o meno la stessa.
— Hawks!
— Devo allontanarmi da costoro — disse distrattamente Hawks. — Non è compito loro occuparsi di cadaveri nella loro zona. Voglio arrivare là, fra quelle rocce.
Arrivò in fondo al sentiero, con l'armatura chiazzata dalle ombre del reticolato mimetico che spezzavano le linee del suo corpo, fino a quando parve diventare anch'egli una parte tormentata e irregolare del terreno su cui camminava.
Poi uscì nella luce delle stelle, e la sua armatura balenò di quei riflessi freddi e nitidi.
— Hawks — disse Barker con voce soffocata. — Sono al portello.
— Buona fortuna, Barker.
Hawks s'inerpicò sulle rocce, fino a quando cominciò ad ansimare. Poi si fermò, immobile. Levò il volto verso l'alto, e sul vetro scintillarono le stelle. Trasse un respiro poco profondo dopo l'altro, sempre più rapidamente. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Poi sbatté le palpebre seccamente, rabbiosamente, più volte. — No — disse. — No, non ci casco. — Sbatté di nuovo gli occhi. — Non ho paura di voi — disse. — Un giorno io, o un altro uomo, vi terrà in pugno.
Hawks si sfilò dalla testa la maglia arancione, e rimase in piedi accanto al tavolo della vestizione, indossando soltanto la parte inferiore della tuta, e si scosse il talco dalla faccia e dai capelli. Le costole spiccavano sotto la pelle.
— Dovrebbe uscire a prendere un po' di sole, Hawks — disse Barker, sedendosi sul bordo del tavolo e scrutandolo.
— Sì — fece distrattamente Hawks, pensando che non aveva modo di sapere se c'era stata davvero una coperta scozzese sul suo letto, alla fattoria, o se era stata invece una trapunta. — Beh, potrei andarci. Dovrei essere in grado di trovare un po' più di tempo, adesso che la situazione diventerà più normale. Forse andrò a fare il bagno con una ragazza che conosco, o qualcosa del genere. Non so.
C'era un foglietto nella sua mano sinistra, accartocciato e madido di sudore, dove l'aveva stretto prima che lo chiudessero nall'armatura, la prima volta. Lo prese, meticolosamente, cercando di aprirlo senza lacerarlo nei punti in cui era piegato.
Barker chiese: — Ricorda qualcosa di ciò che ci è successo sulla Luna, dopo che siamo usciti dalla formazione?
Hawks scosse il capo. — No, ho perso contatto con Hawks L poco dopo. E la prego, cerchi di ricordare che noi non siamo mai stati sulla Luna.
Barker rise. — D'accordo. Ma che differenza c'è, tra l'esserci stati e il ricordare di esserci stati?
Hawks mormorò, mentre cercava di aprire il foglietto: — Non Io so. Forse la Marina ci manderà un rapporto su quello che hanno fatto, dopo, Hawks L e Barker L. Questo potrebbe dirci qualcosa. Penso che ce lo dirà.
Barker rise ancora. — Lei è un tipo strano, Hawks.
Hawks lo guardò di sottecchi. — E questo mi definisce, vero? Bene, io non sono Hawks. Ricordo di essere Hawks, ma sono stato creato nel ricevitore circa venticinque minuti fa, e lei e io non c'eravamo mai incontrati, prima.
— D'accordo, Hawks — ridacchiò Barker. — Si rilassi!
Hawks non gli badava più. Aprì finalmente il foglietto, e lesse il messaggio confuso con poca difficoltà, poiché era nella sua grafia e, comunque, sapeva cosa diceva. C'era scritto:
Ricordami a lei.