PARTE SETTIMA

Il giorno dopo, Barker si presentò al laboratorio con gli occhi arrossati. Le mani gli tremavano, mentre infilava le sottotute.

Hawks gli si avvicinò. — Sono lieto di vederla qui — disse impacciato.

Barker alzò gli occhi e non disse nulla.

Hawks proseguì: — È sicuro di sentirsi bene? Se no, possiamo rimandare a domani.

Barker ribatté: — La finisca di preoccuparsi per me.

Lo scienziato si mise le mani in tasca. — Bene. È stato a parlare con gli specialisti del percorso?

Barker annuì.

— È riuscito a dare loro un resoconto chiaro dei risultati di ieri?

— Sembravano felici. Perché non aspetta che abbiano rimuginato tutto a dovere e le mettano i rapporti sulla scrivania? Che cosa le importa di quello che trovo lassù, purché io continui ad avanzare, e non impazzisca? Non è giusto? A lei non importa quello che succede a me: non faccio altro che aprire una pista, in modo che i suoi bravi tecnici non inciampino in qualcosa quando saliranno per fare a pezzi la formazione, giusto? Perciò che cosa le interessa, a meno che perda me e debba trovarsi qualcun altro? Giusto? E come ci riuscirebbe? Per quanti individui pensa che Connington stia facendo piani? Non piani che portino qui, giusto? Quindi, perché non mi lascia in pace?

— Barker… — Hawks scosse il capo. — No, lasci perdere. Parlare non serve.

— Mi auguro che rimanga di questa idea.

Hawks sospirò. — Sta bene. C'è una cosa: questa storia continuerà giorno per giorno, ormai, se le condizioni astronomiche lo permetteranno. Continuerà fino a quando lei uscirà dall'altra parte della formazione. Una volta incominciato, sarà difficile perdere lo slancio. Ma se in qualunque momento vorrà interrompersi… prendersi un po' di riposo, lavorare sulle sue macchine da corsa, qualunque cosa… se sarà possibile glielo concederemo. Noi…

Barker raggricciò le labbra. — Hawks, io sono qui per fare qualcosa. Intendo farlo. È tutto ciò che voglio fare. Chiaro?

Hawks annuì. — Chiaro, Barker. — Si sfilò le mani dalle tasche. — Spero che non ci vorrà troppo tempo.


Hawks si avviò per il corridoio fino a quando arrivò alla sezione degli specialisti del percorso. Bussò ed entrò. Gli uomini alzarono la testa, poi tornarono a chinarsi sulla pianta a larga scala della formazione, che occupava un tavolo di cinque metri per cinque al centro della sala. Soltanto l'ufficiale della Guardia Costiera che era il responsabile si avvicinò a Hawks, mentre gli altri tracciavano pazientemente dei segni sul grande foglio di plastica, con gessetti rossi fissati all'estremità di lunghe bacchette. Uno di loro stava accanto a un registratore, con la testa inclinata, ascoltando la voce di Barker.

La voce era bassa, soffocata. — Ve l'ho detto! — stava dicendo. — C'è una sorta di nuvola azzurra… e qualcosa che sembra muoversi all'interno. Ma non come se fosse qualcosa di vivo.

— Sì, lo sappiamo — rispose paziente la voce di un membro della squadra. — Ma a che distanza era dal punto in cui lei stava sulla collina di sabbia bianca? Quanti passi.

— È difficile dirlo. Sei o sette.

— Uh-uh. Ora, lei dice che era direttamente alla sua destra dalla parte in cui era voltato? Bene, allora, che cosa ha fatto?

— Ho camminato per circa due metri su questo cornicione, e ho svoltato a sinistra per seguirlo intorno a quella guglia rossa. Poi…

— Ha notato dov'era la nuvola azzurra, in relazione a lei, quando ha svoltato?

— Ho voltato indietro la testa, sulla destra.

— Capisco. Vuole girare la testa allo stesso modo adesso, in modo che possa farmene un'idea più chiara? Grazie. Circa dodici gradi dalla destra esatta. Ed era ancora a sei o sette passi di distanza in linea d'aria?

L'uomo fermò il nastro, lo riavvolse, e ricominciò ad ascoltarlo. Prese un appunto su di un foglio.

L'ufficiale della Guardia Costiera chiese a Hawks: — Posso aiutarla, dottore? Avremo trascritto tutto quanto fra poche ore, e glielo consegneremo. Non appena sarà pronto, lo manderemo direttamente nel suo ufficio.

Hawks sorrise: — Non sono venuto qui per darvi fastidio. Non si preoccupi, tenente. Volevo solo sapere come va, in generale. Barker parla in modo abbastanza sensato per esserle utile?

— Va magnificamente, signore. Le sue descrizioni delle cose che ci sono là dentro non concordano con quello che risulta dagli altri rapporti… ma sembra che nessuno veda le stesse cose. Ciò che conta è che i rischi sono sempre situati nelle stesse posizioni relative. Quindi noi sappiamo che lì c'è qualcosa, ed è sufficiente. — Il tenente, un uomo magro, solitamente tetro, sorrise. — E questo è molto meglio che cercare di ricavare un senso da uno scarabocchio tracciato su una lavagnetta. Barker ci ha dato una quantità enorme di materiale su cui lavorare, in un viaggio solo. — Il tenente si massaggiò la nuca. — È un sollievo. C'è stato un momento in cui abbiamo cominciato a pensare che avremmo maturato il diritto alla pensione prima che quella — e indicò la mappa — fosse finita.

Hawks sorrise, senza allegria. — Tenente, se non potessi fare la telefonata a Washington che ora potrò fare, questo lavoro sarebbe già finito.

— Oh, allora penso che faremmo meglio ad avere molta cura di Barker. — Il tenente scosse il capo. — Spero che duri. È un po' difficile, come carattere, secondo noi. Ma non si può avere tutto. Penso che lei abbia finalmente trovato l'uomo adatto per la parte scientifica, anche se non è tutto rose e fiori, qui, dal punto di vista pratico.

— Sì — disse Hawks. L'uomo al registratore spense l'apparecchio, si avvicinò al tavolo, avvitò un gessetto alla sua bacchetta e tracciò delicatamente un segno sulla plastica bianca. Lo guardò con aria critica, poi annuì soddisfatto.

Anche Hawks annuì. — Grazie, tenente — disse all'ufficiale e andò nel suo ufficio.

Quel giorno, il tempo durante il quale Barker riuscì a sopravvivere entro la formazione salì a quattro minuti e ventotto secondi.


Il giorno in cui il tempo di sopravvivenza salì a sei minuti e dodici secondi, Connington andò a trovare Hawks nel suo ufficio.

Hawks alzò gli occhi dalla scrivania, incuriosito. Connington attraversò lentamente l'ufficio. — Volevo parlarle — mormorò, sedendosi. — Mi sembrava necessario. — Il suo sguardo sfrecciava intorno, irrequieto.

— Perché? — chiese Hawks.

— Beh, non so, esattamente. Solo che non mi pareva giusto, lasciar cadere la cosa. C'è… non so come lo definirebbe lei, ma c'è uno schema nella vita… O almeno dovrebbe esserci, un inizio, una parte centrale e una fine dei capitoli, o qualcosa del genere. Voglio dire, deve esserci uno schema, altrimenti come si potrebbero dominare le situazioni?

— Capisco che può essere necessario crederlo — disse in tono paziente Hawks.

— Continua a non cedere di un millimetro, vero? — chiese Connington.

Hawks non rispose, e l'altro attese un momento, poi non insistette. — Comunque — fece — volevo farle sapere che me ne vado.

Hawks si appoggiò alla spalliera e lo guardò, senza espressione. — Dove va?

Connington fece un gesto vago. — All'Est. Mi troverò un posto là, credo.

— Claire viene con lei?

L'altro annuì, fissando il pavimento. — Sì. — Poi alzò gli occhi e sorrise disperatamente: — È un modo strano di finirla, non è vero?

— Proprio come aveva pianificato lei — osservò Hawks. — Tutto, tranne per quanto riguarda la sua eventuale nomina a presidente dell'azienda.

L'espressione di Connington divenne un sogghigno fisso, di sfida. — Oh, non ero molto convinto che fosse possibile. Volevo solo vedere cosa sarebbe successo se le avessi messo un po' di sale sulla coda. — Si alzò in fretta. — Bene, mi pare sia tutto. Volevo solo farle sapere come è andata a finire.

— Beh, no — disse Hawks. — Barker e io non abbiamo ancora finito.

Io sì. — disse Connington, sempre in tono di sfida. — Ho fatto la mia parte. Qualunque cosa succeda, d'ora innanzi, io non c'entro.

— Allora il vincitore della gara è lei.

— Sicuro — disse Connington.

— È sempre così. Una gara. E poi ecco il vincitore, e così finisce quella parte della vita di tutti. Bene. Addio, Connington.

— Addio, Hawks. — L'altro si voltò, poi esitò. Girò la testa. — Penso sia tutto ciò che volevo dire.

Hawks non rispose.

— Avrei potuto farlo con un biglietto o una telefonata. — Arrivato sulla porta, disse: — Non ero tenuto a farlo. — Scosse il capo, perplesso, e guardò lo scienziato come cercando la risposta a una domanda che rivolgeva a se stesso.

Hawks disse gentilmente: — Teneva a farmi sapere chi era il vincitore, Connington. Ecco tutto.

— Credo di sì — fece insicuro Connington, e uscì, lentamente.

Il giorno successivo, quando il tempo di sopravvivenza salì a sei minuti e trentanove secondi, Hawks entrò nel laboratorio e disse a Barker: — Ho sentito che si trasferisce qui in città.

— Chi gliel'ha detto?

— Winchell. — Hawks guardò attento Barker. — Il nuovo direttore del personale.

Barker grugnì. — Connington è andato all'Est, da qualche parte. — Alzò gli occhi, con un'espressione perplessa. — Lui e Claire sono venuti a prendere la roba di lei, ieri, mentre c'ero io. Hanno fracassato tutte le vetrate del salone, che danno sul prato. Dovrò farle sostituire, prima di mettere in vendita la casa. Non avevo pensato che Connington fosse così.

— Vorrei che tenesse quella casa. Gliela invidio.

— Non è affar suo, Hawks.

Comunque, il tempo di sopravvivenza era stato portato a sei minuti e trentanove secondi.

Il giorno in cui salì a sette minuti e dodici secondi, Hawks era nel suo ufficio, e seguiva con le dita il tracciato sulla carta gualcita, quando il telefono squillò.

Gli lanciò un'occhiata rapida, aggobbì le spalle, e continuò a seguire ciò che stava facendo. Il dito si muoveva lungo l'incerta linea azzurra, tra le zone nere ombreggiate, contraddistinte dalle istruzioni e dalle relative indicazioni dei tempi, circondate da file di X rosse, come se la carta fosse il diagramma di una spiaggia preistorica, dove un organismo barcollante avesse lasciato una traccia faticosa sulla sabbia e tra le lunghe strisce di alghe inaridite e di detriti sparsi sotto il cielo coperto. Hawks guardò estatico la carta, muovendo le labbra, poi chiuse gli occhi, corrugò la fronte, ripeté direzioni e istruzioni, riaprì gli occhi e tornò a chinarsi sul foglio.

Il telefono squillò di nuovo, sommessamente, ma senza smettere. Hawks serrò per un attimo la mano a pugno, poi spinse da parte la carta e sollevò il ricevitore. — Sì, Vivian — disse.

Ascoltò, poi disse: — Bene. Chiami la guardiola, per favore, e faccia rilasciare un lasciapassare al dottor Latourette. Lo aspetterò qui. — Depose il microfono e girò lo sguardo sulle pareti nude dell'ufficio.


Sam Latourette bussò adagio all'uscio ed entrò, la bocca piegata in un mezzo sorriso intimidito, passi lenti e cauti.

L'abito che aveva indosso era gualcito, e la camicia bianca aveva il collo slacciato, senza cravatta. C'erano tagli lasciati da poco dal rasoio, sotto il mento e sul collo, come se si fosse raso solo qualche minuto prima. I capelli erano pettinati con cura, ancora umidi dell'acqua con cui li aveva bagnati, e disposti in grossi solchi tra i quali si scorgeva la cute, come se qualcuno avesse trovato un suo vecchio busto di cartapesta e, in un impulso di tenerezza, l'avesse riassettato per quanto era possibile, date le circostanze.

— Ciao, Ed — disse gentilmente, tendendo la mano mentre Hawks si affrettava ad alzarsi. — È passato parecchio tempo.

— Sì. Sì davvero. Accomodati, Sam… Ecco: ecco la sedia.

— Speravo che trovassi il tempo di vedermi — disse Latourette, sedendo di peso. Alzò gli occhi con aria di scusa. — Adesso le cose devono procedere molto in fretta.

— Sì — disse Hawks, sedendosi a sua volta. — Sì, molto in fretta.

Latourette guardò la carta che Hawks aveva ripiegato e depositato all'estremità della scrivania. — Sembra che io mi fossi sbagliato, sul conto di Barker.

— Non so. — Hawks tese la mano verso il foglio, poi la contrasse. — Sta facendo progressi per noi. Immagino sia ciò che conta. — Scrutò incerto Latourette, con occhi irrequieti.

— Sai — disse quello con la stessa espressione imbarazzata. — Non volevo quel lavoro con la Hughes Aircraft. Credevo di volerlo. Sai bene. Un uomo… un uomo vorrebbe continuare a lavorare. Almeno, è quello che dovrebbe desiderare.

— Sì.

— Ma tu sai che non mi ubriaco. Voglio dire, io… io non mi ubriaco mai. Oh, magari a una festa. Ma non… Ecco, non perché mi arrabbio e voglio rovinare tutto. Non ho mai fatto così.

— No.

Latourette rise, silenziosamente. — Forse cercavo solo di dire a me stesso che ero veramente infuriato con te. Capisci… cercavo di trasformarmi in una specie di personaggio tragico. No… non volevo andare a lavorare. Tutto lì, credo. Volevo solo andare a sedermi al sole. Voglio dire, il mio compito qui era finito, tanto… e tu dovevi cominciare a passare la mano a Ted Gersten. Avresti dovuto farlo comunque, prima o poi.

Hawks posò le mani sul bordo della scrivania. — Sam — disse con fermezza — ancora oggi non so se ho fatto bene o male. — Poi aggiunse: — Ero in preda al panico, Sam. Mi ero spaventato, perché Barker mi dava sui nervi.

Latourette si affrettò a dire: — Ciò non significa che avessi torto. Dove saremmo, se non ci affidassimo alle intuizioni improvvise? Ogni tanto, bisogna decidere in fretta. Dopo ci ripensi e capisci che, se non l'avessi fatto, la situazione sarebbe diventata troppo pesante. Qualche volta, il nostro subconscio è più in gamba di noi. — Tirò fuori una sigaretta dal taschino della camicia, senza abbassare lo sguardo, con le dita che frugavano incerte mentre gli occhi guardavano fissi nel vuoto, come se quanto stava dicendo l'avesse pensato in anticipo, provando e riprovando mentalmente ciò che si sarebbero detti lui e Hawks, e come se in realtà la sua attenzione fosse concentrata su qualcosa che non era sicuro di poter dire.

— Domani andrò all'ospedale — proseguì. — Era ora. Voglio dire, potrei stare fuori ancora un po', ma ormai ho chiuso. E sai, potrei tirare avanti con la morfina… o quel che è. Sta diventando fastidioso — disse disinvolto. — E del resto, il governo mi ha mandato un tale, l'altro gior no. Non è che mi abbia detto in faccia cosa dovevo fare, ma credo che quelli sarebbero più tranquilli se io fossi in un posto dove non ha importanza quel che dico nel sonno. — Sorrise, faticosamente. — Sai bene. Il Grande Fratello.

Hawks lo fissava.

— Comunque… — Latourette agitò una mano, dimentico della sigaretta che stringeva da quando l'aveva finalmente pescata dalla tasca. — Sarò fuori circolazione. — Abbassò gli occhi, disse: — Oh — e si mise in bocca la sigaretta. Si tolse rapidamente una bustina di fiammiferi dalla tasca della giacca, ne accese uno, aspirò con vigore, poi spense il fiammifero e si sporse per gettarlo nel cestino di Hawks, attento a non mancare il bersaglio. — Perciò mi sono chiesto se non poteva essere una buona idea tirar fuori un mio duplicato dalla bobina archiviata. Così potresti avermi… voglio dire, potresti avere il duplicato a portata di mano in laboratorio, nel caso che ogni tanto ti servisse aiuto. Voglio dire, sei così vicino alla meta, e potrebbe essere utile avermi… — La voce si spense. Guardò Hawks con la coda dell'occhio, arrossendo.

Hawks si alzò in fretta e cominciò a regolare i comandi del condizionatore d'aria incorporato nella finestra dietro la scrivania. I comandi meccanici erano induriti, e assunsero la nuova posizione con uno scatto metallico degli umidificatori.

— Sam, tu sai che il tuo ultimo nastro è vecchio di sei mesi. Se ne ricavassimo un tuo duplicato, non conoscerebbe neppure la procedura che oggi usiamo per i lanci sulla Luna. Crederebbe che fosse aprile.

— Lo so, lo so, Ed — disse sottovoce Latourette. — Non ho detto che dovresti assegnargli il mio vecchio incarico. Ma sapevo che prima o poi sarei stato duplicato dalla registrazione. Voglio dire, io… il duplicato non sarebbe sorpreso di quello che è accaduto. Avevo pensato a questo. Il duplicato sarebbe un esperto, e capirebbe la situazione. Si adatterebbe rapidamente.

— Si adatterebbe a lavorare agli ordini di Gersten? — Hawks si voltò, appoggiando il dorso al condizionatore. — Non si tratta di capire o non capire quanto è accaduto. Si tratta di ben altro. Vedila da questo punto di vista. Per quanto lo riguarda, entrerebbe nel trasmettitore per un'analisi come mio vice nell'intero progetto, e un attimo dopo uscirebbe dal ricevitore, non solo con sei mesi passati di colpo, non solo con Gersten al di sopra di lui, ma con mezza dozzina di altri uomini in posizioni più cruciali della sua. Certo… sarebbe te, si renderebbe conto di ciò che è accaduto, saprebbe di essere un duplicato. Ma cosa proverebbe? Cosa avresti provato tu, in aprile, se fossi entrato per quell'analisi, sapendo che era una procedura d'ordinaria amministrazione, che il nastro sarebbe stato semplicemente archiviato e che saresti tornato al tuo solito lavoro… e poi, uscendo, avessi scoperto che le cose non stavano così, che tutto il mondo era cambiato, che erano state fatte cento cose con sistemi che non conoscevi, e all'improvviso eri solo uno dei vari ingegneri, con i tuoi vecchi conoscenti che non sapevano come parlare con te, e Gersten imbarazzato nei tuoi confronti, e uno sconosciuto di nome Barker che sembrava avere per te un'ostilità speciale? Pensaci sopra, Sam. Perché è esattamente quello che proverebbe il duplicato. E sentirebbe soprattutto che questo non è giusto. Sam… cosa vuoi fare a te stesso?

Latourette disse lentamente, guardando il pavimento: — E poi non capirei cos'è accaduto a Ed Hawks… a parte il fatto che gli ho reso tutto più difficile, non più facile. — Rialzò la testa. — Mio Dio, Ed, che cosa mi è successo? Cosa sto facendo a me stesso e a te? Ho sempre desiderato aiutarti, ed ecco come è andata a finire. Non avrei dovuto venire qui, oggi, Ed. Non avrei dovuto farti anche questo.

— Perché no? — chiese Hawks. — Non hai il diritto morale di lavorare a qualcosa cui hai dedicato tanta parte di te stesso? Un moribondo non ha diritti? Anche il diritto di rivivere ancora sei mesi di cancro? — Guardò Latourette. — Tu ci hai pensato parecchio. Se potessi aspettarmi una risposta da qualcuno, quello saresti tu: perché non puoi avere ciò che ti è dovuto?

Latourette lo fissava angosciato. — Ed, non avrei dovuto venire.

— Perché no? Non hai fatto altro che cedere al panico, Sam. Ti sentivi chiudere in una morsa, e dovevi fare qualcosa. Uno uomo deve fare qualcosa… non può aspettare semplicemente di sprofondare.

— No, non avrei dovuto venire.

— Perché no? Perché un uomo non può alzarsi e protestare contro ciò che lo travolge? Perché deve essere in balìa di cose che non gli prestano attenzione?

Latourette si alzò. — Ho peggiorato la situazione — disse, disperatamente. — Ti ho scaricato addosso un altro peso. Ma non volevo. L'unica cosa che posso fare è andarmene subito. Ti prego, Ed… cerca di dimenticarlo. — Si diresse in fretta alla porta e guardò Hawks per un momento d'incomprensione. — All'inizio volevo soltanto ciò che andava meglio per te. E poi sono venuto qui, oggi, e ne ero ancora convinto. Ma volevo anche qualcosa per me stesso, e così ho rovinato tutto. Come fa la gente a cacciarsi in queste situazioni? — chiese, ciecamente. — Dov'è scritto che debba succedere?

Hawks chiese, con amarezza: — Perché un uomo non può avere ciò che merita?

— Ed, questa è la cosa peggiore che io ti abbia mai fatto.

— Forse me lo merito, Sam. Vorrei…

— Addio Ed — disse Latourette, terrorizzato, e uscì. Hawks sedette, a occhi chiusi, mentre le sue mani compivano rapidi movimenti convulsi e senza scopo sulla superficie della carta.


Hawks attraversò il laboratorio e si avviò verso il trasmettitore. Inaspettatamente Gersten gli si avvicinò e disse: — Ho cercato di parlarti, poco fa. La tua segretaria mi detto che nel tuo ufficio c'era Sam Latourette, e ha chiesto se quel che volevo non poteva aspettare.

Hawks lo guardò. Gersten era pallido, e gli tremavano le labbra.

Hawks disse, incerto: — Mi dispiace. Qualche volta Vivian dimentica l'ordine d'importanza delle cose. — Sbirciò Gersten. — È stata scortese? — domandò, con un'espressione perplessa.

— È stata cortesissima. E date le circostante, non si trattava di qualcosa che non potesse aspettare. — Gersten fece per andarsene.

Aspetta — disse Hawks. — Cosa c'è che non va?

Gersten tornò a voltarsi. Fece per parlare, poi cambiò idea. Attese un attimo e chiese sottovoce: — Ho ancora il mio posto?

— Hawks domandò: — Perché non dovresti? — Poi la sua espressione perplessa sparì. — Cosa ti ha fatto pensare che rivolessi Sam? — chiese lentamente. Scrutò attento Gersten. — Ti avevo sempre ritenuto un uomo molto sicuro di sé. E stai facendo un ottimo lavoro. — Si posò il palmo della mano dietro il collo e massaggiò con la punta delle dita i muscoli rigidi. — Per la verità, avevo l'impressione che avrei dovuto decidermi prima a darti maggiori responsabilità. Mi… mi dispiace di non avere avuto il tempo di imparare a conoscerti meglio. — Abbassò impacciato la mano e scrollò le spalle. — Succede, di tanto in tanto. È sempre un peccato, quando succede a un brav'uomo. Ma non so che altro dirti.

Gersten si morse le labbra. — Dici davvero? Io non so mai quello che pensi.

Hawks inarcò le sopracciglia e torse le labbra. — È una cosa strana che tu lo dica a me.

Gersten scosse il capo irritato. — Neppure io so cosa voglia dire tu. Hawks… — Alzò gli occhi di scatto. — Questo è il lavoro migliore che io abbia mai avuto. E il più importante. Ho quasi cinque anni meno di te. Che conosca o no il mio mestiere come tu conosci il tuo, è un'altra faccenda. Ma presumendo che lo conosca, quale probabilità tu credi che abbia di essere dove adesso sei tu, di qui a cinque anni?

Hawks si rannuvolò. — Beh, non lo so — disse pensieroso. — Dipende, naturalmente. Cinque anni fa, io cominciavo appena a procedere a tentoni, intorno all'idea di questo… — Indicò con un cenno del capo il macchinario che stava intorno a loro. — Per caso, aveva possibili applicazioni militari, e quindi ebbe un'accoglienza favorevole. Se si fosse trattato di qualcosa d'altro, forse non si sarebbe mai tradotto in pratica. Ma questo non è un metro di giudizio. Ciò che gli altri sono disposti a comprare non è necessariamente il meglio… ammesso che il meglio esista. — Scrollò le spalle. — Proprio non so, Ted. Se hai qualche idea fondamentalmente nuova, alla quale stai lavorando a tempo perso, come facevo io quand'ero con l'RCA, potresti arrivare dappertutto. — Alzò le spalle di nuovo. — Penso che stia a te.

Gersten aggrottò la fronte. — Non so. Non so. Mi dispiacerebbe buttarmi su qualcosa che non dia risultati, proprio adesso. — Sorrise con un'incerta espressione di scusa, che subito svanì. — Immagino che tu abbia altre cose da pensare, oltre agli ingegneri un po' matti. Ma… — Gersten parve riprendersi. — Quand'ero sotto le armi, durante la guerra — disse bruscamente — feci domanda per il corso allievi ufficiali. Ebbi un colloquio con un tenente di complemento che era stato sergente fin dal tempo dei tempi. M'interrogò, riempì tutti gli spazi vuoti del questionario, poi girò il foglio, leccò di nuovo la punta della matita e scrisse: «Il candidato sembra avere difficoltà di linguaggio. Queste difficoltà di linguaggio probabilmente gli impedirebbero di esercitare il comando delle truppe». Poi girò il modulo, perché io potessi vedere la sua valutazione. E fu tutto. — Gersten studiò attento l'espressione di Hawks. — Che cosa ne pensi?

Hawks sbatté le palpebre. — E l'Esercito cosa se n'è fatto di te, allora?

— Mi mandarono alla scuola d'elettronica a Fort Monmouth.

— Perciò non sei sicuro che oggi saresti qui, se non fosse stato per quello?

Gersten si accigliò. — Suppongo di sì — disse finalmente. — Non ci avevo pensato.

— Bene, non so di te, Ted, ma io sarei stato un pessimo ufficiale di carriera, in Marina. Non credo che essere nell'Esercito avrebbe migliorato le cose. — All'improvviso fece una smorfia. — E lascia che sia io a preoccuparmi di Sam Latourette. — Poi guardò Gersten con aria di scusa. — Forse, quando ci saremo tolti di dosso il peso maggiore di questo progetto, potremo imparare a conoscerci meglio.

Gersten non disse nulla. Guardò Hawks come se non sapesse quale espressione assumere. Poi scrollò le spalle e disse: — Prima volevo parlarti di quella faccenda della serie degli amplificatori del segnale. Ora, mi sembra che se noi…

S'incamminarono insieme, discutendo.


Il giorno dopo che il tempo di sopravvivenza arrivò a sette minuti e quarantanove secondi, fu necessario chiudere il trasmettitore, perché l'angolo del lancio non avrebbe incluso uno strato sufficientemente ampio della ionosfera terrestre. Le squadre di manutenzione cominciarono il loro programma di ricostruzione periodica.

Hawks lavorava con loro.

Il giorno in cui poterono ricominciare i lanci, Barker si presentò al laboratorio in perfetto orario.

— Mi sembra dimagrito — disse Hawks.

— E lei non sembra molto entusiasta.

Il giorno in cui il tempo di sopravvivenza fu portato a otto minuti e trentun secondi, Benton Cobey chiamò Hawks nel suo ufficio.

Hawks entrò, con un camice pulito, e scrutò attento gli uomini seduti intorno al tavolo delle riunioni. Cobey si alzò dalla sedia a capotavola.

— Dottor Hawks, lei conosce Cari Reed, il nostro revisore dei conti — disse indicando l'uomo, con le mani da contadino posate una sopra l'altra sul fascio di fogli di contabilità che aveva portato con sé.

— Come sta? — chiese Hawks.

— Bene, grazie. E lei?

— E questo è il comandante Hodge, naturalmente — fece Cobey, indicando l'ufficiale di collegamento della Marina che sedeva dall'altra parte: si era tolto il berretto e l'aveva posato sul tavolo lucido che ne rifletteva l'immagine.

— Naturalmente — disse Hawks con un lieve sorriso che Hodge contraccambiò. Andò a sedersi all'estremità del tavolo, di fronte a Cobey. — Cosa c'è? — chiese.

Cobey lanciò un'occhiata a Reed. — Tanto vale che ne parliamo subito — disse.

Reed annuì. Si sporse leggermente, spingendo i fogli verso Hawks.

— Queste sono le cifre relative alle sue ordinazioni di materiale per il laboratorio — disse.

Hawks chinò il capo in cenno d'assenso.

— Sia per l'installazione originale sia per le sostituzioni, durante l'anno fiscale trascorso.

Hawks annuì di nuovo. Fissò Cobey, che teneva le mani giunte, i gomiti appoggiati sul tavolo e i pollici sotto il mento, e guardava i fogli al di sopra delle punte delle dita. Hawks lanciò un'occhiata a Hodge, che si passava l'indice destro lungo la guancia, con gli occhi azzurro-ghiaccio apparentemente vacui, segnati agli angoli dalle solite grinze.

— Dottor Hawks — disse Reed — nell'esaminare questi conti, ho pensato in un primo momento che avremmo dovuto cercare il modo di ridurre un po' le spese, se possibile. E poi mi sembra che ci siamo riusciti.

Hawks lo guardò.

Reed proseguì. — Ora, ho spiegato la mia idea al signor Cobey, ed egli ha ritenuto che fosse opportuno sottoporla a lei.

Cobey contrasse le labbra.

— Perciò — concluse Reed — abbiamo chiesto al comandante Hodge se la Marina sarebbe stata disposta a prendere in considerazione un cambiamento nella procedura operativa, purché non interferisse con l'efficienza.

Hodge disse, con l'aria di non dedicare molta attenzione alle proprie parole: — Risparmiare non ci dispiace. Specialmente quando non riusciamo a farci approvare tutte le spese dalle commissioni parlamentari.

Hawks annuì.

Nessuno disse niente per qualche istante, poi Cobey proruppe: — Bene, è disposto ad ascoltare, Hawks?

— Certo — disse Hawks. Si guardò intorno. — Chiedo scusa… Non sapevo che aspettaste la mia risposta. — Guardò Reed. — Continui, la prego.

— Bene — disse Reed, abbassando lo sguardo sulle cifre — mi pare che molti di questi apparecchi siano più o meno doppioni. Voglio dire, qui sono contabilizzati cento divisori di voltaggio di un unico tipo. E qui…

— Sì. Ecco, il nostro equipaggiamento consiste in gran parte di dati componenti particolari, collegati in serie tra loro. — Hawks teneva la testa inclinata lateralmente, e i suoi occhi erano guardinghi. — Dobbiamo svolgere simultaneamente una grande quantità di operazioni in sostanza simili. Non c'era il tempo di disegnare componenti con la capacità di svolgere tali funzioni. Dovevamo utilizzare modelli elettronici già esistenti e rimediare alla loro capacità relativamente bassa usandoli in gran numero. — Si interruppe per un attimo. — Ci vogliono mille formiche per trasportare il contenuto di una tazza di zucchero — concluse.

— Molto bene, Hawks — disse Cobey.

— Stavo cercando di spiegare…

— Vada avanti, Reed.

— Bene… — Reed si sporse in avanti, animandosi. — Non voglio che lei mi giudichi una specie d'orco, dottor Hawks. Ma, siamo sinceri, in quelle apparecchiature è immobilizzato molto danaro, e secondo me non c'è motivo perché, se abbiamo una macchina duplicatrice, non possiamo… — Scrollò le spalle. — Non possiamo fare tutte le copie che ci servono. Non capisco perché sia necessario fabbricarle noi, o acquistarle da fornitori esterni. Ora, in questa situazione non sono in grado neppure di calcolare un costo operativo fisso. E…

— Signor Reed — disse Hawks.

Reed s'interruppe. — Sì?

Hawks si passò una mano sulla faccia. — Capisco il suo punto di vista. E mi rendo conto che la sua proposta è completamente ragionevole. Però…

— Bene, Hawks — fece asciutto Cobey. — Sentiamo il «però»…

— Ecco — disse Hawks a Reed — lei conosce i principi in base a cui opera l'analizzatore… il duplicatore?

— Soltanto approssimativamente, purtroppo — rispose paziente Reed.

— Bene, approssimativamente, il duplicatore prende un pezzo di materia e lo riduce in una serie sistematica di flussi d'elettroni. Elettricità. Un segnale, come quello che esce da un'emittente radio. Ora il segnale passa in queste componenti… nello stesso modo, diciamo, in cui verrebbe captato dall'antenna di una radio ricevente e passato ai suoi circuiti interni. Quando esce all'altra estremità del circuito, non va a finire in un altoparlante, ma viene ritrasmesso alla Luna, dopo essere stato nel frattempo controllato e ricontrollato. Ora, è sostanzialmente questo, ciò che fanno tali componenti… esaminano il segnale per accertarne la coerenza. Il fatto è che l'esattezza con cui il pezzo di materia originale viene ricostruito… duplicato, dipende dalla coerenza dei flussi d'elettroni che arrivano al ricevitore. Perciò, se dovessimo usare componenti duplicati per controllare la coerenza del segnale con cui duplichiamo oggetti estremamente complicati, come un essere umano vivo, introdurremmo una possibilità addizionale d'errore che, nel caso di un essere umano, è più alta di quanto possiamo permettere. Mi segue?

Reed aggrottò la fronte.

Cobey contrasse un angolo della bocca e guardò Hawks.

Hodge riprese il berretto e cominciò ad aggiustarne il filo metallico che lo manteneva rigido sotto la stoffa.

Finalmente Reed disse: — È tutto, dottor Hawks?

Hawks annuì.

Reed scrollò le spalle, imbarazzato. — Bene, senta — disse — purtroppo non capisco ancora. Mi rendo conto che forse l'equipaggiamento originale non può venire duplicato, perché l'analizzatore non funzionerebbe, altrimenti, ma…

— Oh, funzionerebbe - l'interruppe Hawks. — Come ho detto, è un circuito di controllo, non un circuito primario.

Reed abbassò bruscamente le mani e guardò Cobey. Poi scosse la testa.

Cobey trasse un profondo respiro e lo esalò, amaramente. — Cosa ne dice, comandante?

Hodge posò il berretto. — Penso che il dottor Hawks intenda dire che se lei adopera un tornio automatico per fabbricare altri tornii automatici, e dopo si serve di questi per fabbricarne altri ancora, basta che una parte qualsiasi abbia un difetto minimo, per ritrovarsi alla fine tra le mani milioni di tornii che sono semplicemente dei catorci.

— Beh, maledizione, Hawks, perché non l'ha detto subito? — domandò Cobey.


Il giorno in cui il tempo di sopravvivenza arrivò ai nove minuti e trenta secondi, Hawks disse a Barker: — Sono preoccupato. Se il tuo tempo di sopravvivenza continua a crescere, il contatto tra L e T risulterà troppo facile. Gli specialisti del percorso mi dicono che i suoi rapporti stanno diventando sensibilmente meno coerenti.

— E allora che provino loro ad andare lassù. E vedranno cosa riusciranno a ricavarne. — Barker s'inumidì le labbra. Aveva gli occhi incavati.

— Non è questo che intendevo.

— So quello che intendeva. Può smettere di preoccuparsi. Sto quasi per uscire dall'altra parte.

— Questo non me l'hanno detto — fece brusco Hawks.

— Non lo sanno. Ma ho quest'impressione.

— Un'impressione.

— Dottore, la carta mostra soltanto quello che io dico dopo una giornata di lavoro. Non ha principio e non ha fine, tranne quando la faccio finire io. — Si guardò intorno, rabbiosamente. — Tutto questo ciarpame, dottore, in ultima analisi è tutto imperniato su di un uomo. — Fissò Hawks. — Un uomo, e ciò che c'è nella sua mente. O forse due uomini. Non so. Cosa c'è nella sua mente, Hawks?

Hawks ricambiò lo sguardo di Barker. — Io non curioso nella sua mente. Lei non metta piede nella mia. E adesso, devo fare una telefonata.

Attraversò il laboratorio, e chiamò un numero esterno. Attese la risposta, guardando senza vederlo il vecchio, familiare muro liscio. All'improvviso, scattò, vi batté contro con violenza il palmo della mano libera. Poi il ronzio al suo orecchio s'interruppe con uno scatto, ed egli disse, impaziente: — Pronto? Elizabeth? Sono… sono Ed. Senti… Elizabeth… Oh, sto bene. Ho molto da fare. Senti… sei libera stasera? È soltanto che non ti ho mai portata fuori a pranzo o a ballare, niente… Ci vieni? Io… — Sorrise al muro. — Grazie. — Riappese il ricevitore e se ne andò. Si voltò indietro e vide che Barker l'aveva osservato, e trasalì, vergognandosi un po'.

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