Hawks arrivò finalmente all'emporio che sorgeva nel punto in cui la strada di sabbia si congiungeva con l'autostrada. Portava la giacca sul braccio e la camicia, che aveva slacciato alla gola, era umida di sudore e gli aderiva al magro corpo.
Si fermò e diede un'occhiata all'emporio, un piccolo edificio di legno grigiastro, con una falsa facciata squadrata, accanto alla quale si ammucchiavano malconce cassette di bottiglie vuote e sporche di bibite analcoliche.
Si asciugò la faccia con il taglio della mano, si sfilò le scarpe, e si tenne in equilibrio come un airone, mentre a turno le svuotava della sabbia che vi era entrata. Poi si avviò all'ingresso del negozio.
Guardò oltre le pompe scrostate della benzina, in su e in giù per l'autostrada, che scompariva ardente in distanza, e perdeva ogni lieve avvallamento della superficie sotto le pozze frementi dei miraggi. Si vedevano soltanto auto private, che passavano davanti a lui rombando. I miraggi sembravano mozzare le ruote, quando li attraversavano fischiando, e confondevano gli orli dei paraurti.
Hawks si voltò, aprì la malferma porta a zanzariera che ostentava un cartello sudicio con la pubblicità di una marca di pane, ed entrò.
L'emporio era pieno di scaffali e di armadietti che riempivano quasi tutto lo spazio libero, lasciando solo strette corsie. Si guardò intorno, sbattendo le palpebre, e finalmente chiuse completamente gli occhi, e li riaprì dopo un momento con una smorfia d'impazienza. Tornò a guardarsi intorno, questa volta con maggiore fermezza. Nel negozio non c'era nessuno. Una porta molto stretta dava sul retrobottega, dal quale non proveniva alcun suono. Hawks si riabbottonò il colletto e raddrizzò la cravatta.
Aggrottò la fronte e si voltò a guardare la porta da cui era entrato. Vide un campanello, appeso in alto in modo che l'uscio principale, spostandosi, l'avrebbe urtato facendolo suonare; ma la porta a zanzariera l'aveva appena sfiorato. Alzò la mano, e piegò verso il basso il supporto elastico. Il suo gesto preciso non smosse il campanello quanto bastava per farlo squillare: restò a guardarlo, rannuvolandosi in viso. Fece per toccare il campanello, riabbassò la mano, e si girò di nuovo. Parecchie automobili passarono avanti e indietro sull'autostrada, in rapida successione.
Hawks aveva deposto la giacca sul coperchio di un refrigeratore della Coca-Cola, lì accanto. La riprese, e alzò il coperchio, guardando le bottiglie nell'interno. Erano tutte bibite d'una marca locale, arancione acceso e rosso vitreo, immerse fino al collo nell'acqua sudicia, le etichette di carta, macerate, erano risalite lungo i fianchi di alcune di esse. Un pezzo di ghiaccio affusolato, che sembrava una testa di ratto gigantesca, ballonzolava in pi angolo, chiazzata dagli stessi sedimenti che formavamo una specie di schiuma sulle bottiglie. Hawks riabbassò il coperchio, sempre con un gesto automatico, controllato, e ancora una volta non vi fu un suono abbastanza forte da arrivare fino al retrobottega. Si fermò a guardare il refrigeratore, con le graffiature tutte piene di ruggine, e trasse un profondo respiro, poi lanciò un'occhiata verso la porta del retro.
All'esterno ci fu uno scricchiolio sommesso di ghiaia, quando una macchina si avvicinò alle pompe della benzina. Hawks sbirciò fuori oltre la porta a zanzariera. Una ragazza, al volante di un vecchio coupé, lo guardò dal finestrino, abbassando il vetro.
Hawks si girò di nuovo verso il retro. Silenzio. Mosse un passo in quella direzione, aprì la bocca e la richiuse.
La portiera della macchina si aprì e si richiuse, mentre la ragazza scendeva, si avvicinava alla porta a zanzariera e sbirciava nell'interno. Era piccola, bruna, pallida, con la bocca grande, un po' contratta in un'espressione indecisa. Si schermò gli occhi con la mano. Guardò Hawks, ed egli scrollò le spalle.
La ragazza aprì la porta, e il campanello tintinnò. Lei entrò e disse a Hawks: — Vorrei un po' di benzina.
Vi fu un rumore d'improvviso movimento nel retrobottega… un pesante cigolio delle molle d'un letto, e uno strascicar di passi. Hawks indicò vagamente con un gesto da quella parte.
— Oh — fece la ragazza. Guardò gli abiti di Hawks e sorrise con aria di scusa. — Mi perdoni. Pensavo che lavorasse qui.
Hawks scosse il capo.
Un uomo grasso e quasi calvo, in canottiera e calzoni color kaki, i piedi gonfi infilati nei sandali e le ciocche di capelli umidi e grigi premuti a virgola contro la testa, uscì dal retrobottega. Si massaggiò le grinze lasciategli dal cuscino e disse con voce rauca: — Stavo facendo un sonnellino. — Il suo sguardo sfrecciò dalle loro mani al banco, notò che non c'era niente. Borbottò: — Magari potrebbero derubarmi — disse a tutti e due.
— Ecco, questo signore è arrivato prima di me — disse la ragazza.
L'uomo guardò Hawks. — Stava aspettando? Non ho sentito chiamare. — Lanciò un'occhiata acuta alla giacca che Hawks teneva ripiegata sul braccio, poi agli scaffali. — Era qui da molto?
— Voglio solo sapere se passa di qui un autobus per la città.
— E aveva pensato di stare qui ad aspettare che comparissi io? E se l'autobus fosse passato mentre lei era qui? Sarebbe stata una sciocchezza, no?
Hawks sospirò. — C'è qualche autobus che passa di qui?
— Una quantità di autobus, amico. Ma nessuno si ferma per far salire i viaggiatori locali. Se viene dalla città, la fanno scendere dove vuole; ma non la fanno salire, se non è una fermata ufficiale. Questione di regolamenti. Lei non ha la macchina?
— No, non ce l'ho. Dov'è la fermata d'autobus più vicina?
— Due chilometri e mezzo più in giù, da quella parte. — L'uomo agitò la mano. — Al distributore. «Henry's Friedly Service».
Hawks si asciugò di nuovo la faccia. — Dia la benzina alla signorina, mentre ci penso sopra. — Sorrise, per un attimo. — Quando rientra, potrà anche perquisirmi.
L'uomo arrossì. I suoi occhi sfrecciarono da Hawks alla porta. — Ha fatto il fess… ha pasticciato con il campanello? Perdoni il mio linguaggio, signorina.
— Sì, l'ho aggiustato. In modo che nessun altro potesse entrare a sua insaputa.
L'uomo borbottò: — Nel retrobottega tengo un fucile a canne mozze che potrebbe farla volare fuori dalla facciata dell'emporio. — Dopo un'occhiataccia a Hawks, si rivolse alla ragazza. — Voleva della benzina? — E sorrise. — La servo in un attimo. — Passò davanti a Hawks e tenne aperta la porta, goffamente, con il braccio bianco e molle. Poi, dalla soglia, disse a Hawks: — Sarà meglio che decida cosa vuol fare, amico… andare a piedi, chiedere un passaggio, comprare qualcosa. Non posso stare mica qui tutto il giorno. — Sogghignò di nuovo, all'indirizzo della ragazza. — Devo servire la signorina.
La ragazza sorrise impacciata a Hawks e disse — Mi scusi — mentre gli passava davanti. Nell'uscire, sfiorò l'intelaiatura della porta con il fianco e la spalla, per non toccare la mole del bottegaio, immobile dalla parte opposta.
L'uomo sporse le labbra, come se volesse sputarle alle spalle, facendo scorrere lo sguardo sulla gonna e sulla camicetta di lei, e la seguì.
Hawks osservò dalla vetrina, mentre la ragazza risaliva in macchina e chiedeva quaranta litri di normale. L'uomo staccò il tubo dal supporto, e mosse la leva dell'azzeramento con uno scatto brusco del braccio. Poi rimase immobile, torvo, davanti alla macchina, con le mani in tasca, mentre la pompa automatica versava la benzina nel serbatoio. Quando la valvola che segnava il pieno scattò, mentre il contatore passava i trentacinque litri, l'uomo immediatamente tirò fuori il tubo e lo riappese. Gualcì tra le dita il biglietto da cinque dollari che la ragazza gli aveva porto dal finestrino. — Torni dentro, le darò il resto — borbottò, allontanandosi.
Hawks attese che l'uomo fosse chino sul banco, intento a frugare nel cassetto degli incassi. Poi disse: — Riporterò io il resto alla signorina.
L'uomo si voltò a guardarlo, stringendo in pugno il denaro. Hawks lanciò un'occhiata verso la ragazza, che teneva semiaperto l'uscio a zanzariera, con un'espressione un po' tesa. — Le va bene, vero? — le chiese.
Lei annuì. — Sì — rispose, nervosamente.
L'uomo sbatté il resto nel palmo proteso di Hawks, e Hawks lo guardò.
— Forse non è giusto per quaranta litri, signor mio? — chiese bellicoso l'uomo. — Vuole andare a vedere cosa dice quella stramaledetta pompa?
— Per trentasei litri non va bene. Ho già guardato. — Hawks continuò a fissare l'uomo, che all'improvviso si girò e frugò di nuovo nel cassetto, e poi gli diede altri spiccioli.
— Venite qui a trattare così un uomo nel suo negozio — borbottò, sottovoce. — Avanti, se ne vada, tanto non vuole comprare neinte. — E si voltò verso il retrobottega.
Hawks uscì e diede il resto alla ragazza. Quando la porta a zanzariera si chiuse alle sue spalle, il campanello tintinnò, ed egli scosse il capo. — È colpa mia se si è comportato in quel modo. L'ho sconvolto. Mi dispiace che sia stato così scortese con lei.
La ragazza aveva portato con sé la borsetta: vi ripose il resto. — Non è responsabile lei, se quello è fatto così. — Senza alzare la faccia, chiese, con un certo sforzo: — Vuole… vuole che le dia un passaggio fino in città?
— Fino alla fermata dell'autobus, sì, grazie. — Le sorrise gentilmente, quando lei alzò gli occhi. — Avevo dimenticato che non sono più un giovanotto. Ho fatto una passeggiata più lunga di quanto pensassi.
— Non è necessario che lo spieghi a me — rispose la ragazza. — Pensa di aver bisogno del passaporto, per farsi dare un passaggio?
Hawks alzò le spalle. — Sembra che la gente lo pretenda. — Scosse di nuovo il capo, un po' perplesso. — Perché non lo pretende anche lei?
La ragazza aggrottò la fronte e strisciò i piedi per terra. — Devo andare fino in città — disse. — È assurdo che la faccia scendere alla fermata dell'autobus.
Hawks tastò impacciato la giacca che teneva sul braccio. Poi l'indossò e l'abbottonò. — Va bene. — Una lieve ruga verticale gli s'incise tra le sopracciglia. Si lisciò la giacca contro le costole. — La ringrazio.
— Allora andiamo — disse la ragazza. Salirono in macchina e si inserirono nella corrente del traffico dell'autostrada.
Rimasero seduti rigidi, mentre la macchina correva, e i pneumatici sobbalzavano regolarmente sulle giunture a espansione dei blocchi di cemento.
— Non credo di aver l'aria di una di quelle che si caricano gli uomini in macchina — disse la ragazza.
Hawks la guaito, e aggrottò di nuovo la fronte. — È molto carina.
— Ma non sono una ragazza facile! Le ho solo offerto un passaggio. Perché ne ha bisogno, suppongo. — Le unghie scarlatte tambureggiavano contro la plastica consunta e graffiata del volante.
— Lo so — disse Hawks, senza alzare la voce. — E non credo che l'abbia fatto per gratitudine. Avrebbe potuto farcela da sola, a mettere al suo posto quel tipo. Io le ho solo risparmiato una piccola seccatura. Non sono il suo eroico salvatore, e non ho conquistato la sua mano in un duello mortale.
— Bene, allora — fece lei.
— Ecco che torniamo a cacciarci in trappola — disse Hawks. — Nessuno dei due sa cosa fare. Parliamo a circoli viziosi. Se quel tale non fosse uscito dal retrobottega, saremmo ancora nell'emporio, a fare una danza rituale l'uno intorno all'altra.
La ragazza annuì con veemenza. — Oh, mi scusi… Pensavo che lavorasse qui! — esclamò, parodiando se stessa.
— No… ehm… non ci lavoro — recitò lui.
— Beh… uhm… non c'è nessuno?
— Non lo so. Pensa che dovremmo provare a chiamare, o qualcosa del genere?
— Cosa dovremmo dire?
— Ehi!?
— Forse dovremmo battere una moneta sul banco?
— Io… ehm… ho solo un biglietto da cinque dollari.
— Beh, allora… — Hawks s'interruppe, in una tesa imitazione di un mormorio imbarazzato.
La ragazza batté spazientita il piede sinistro sul tappetino. — Sì, sarebbe andata esattamente così! E adesso lo stiamo facendo qui, anziché là. Lei non può rimediare?
Hawks trasse un profondo respiro. — Mi chiamo Edward Hawks. Quarantadue anni, scapolo, laureato. Lavoro per la Continental Electronics.
La ragazza disse: — Mi chiamo Elizabeth Cummings. Ho appena cominciato a lavorare come disegnatrice di moda. Nubile. Venticinque anni. — Poi gli lanciò uno sguardo di sottecchi. — Perché andava a piedi?
— Facevo spesso lunghe passeggiate, quand'ero ragazzo — disse lui. — Avevo molte cose cui pensare. Non riuscivo a capire il mondo, e cercavo di scoprire il segreto per vivere bene. Se mi sedevo in poltrona a casa, per pensarci, i miei genitori si preoccupavano. Qualche volta pensavano che la mia fosse pigrizia, e qualche volta che io fossi strano. Non so bene. Se andavo in qualche altro posto, c'era sempre gente di cui dovevo tener conto. Perciò facevo delle passeggiate, per stare solo con me stesso. Camminavo per chilometri e chilometri. E non riuscivo a scoprire il segreto del mondo, né che cosa non andava in me. Ma sentivo che mi stavo avvicinando. Bene, con il passare del tempo, ho imparato poco a poco a comportarmi nel modo più appropriato, secondo me. — E sorrise. — È per questo che andavo a piedi, questo pomeriggio.
— E adesso dove sta andando?
— Torno al lavoro. Devo fare alcuni preparativi per un progetto che incominciamo domani. — Guardò per un attimo fuori del finestrino, poi tornò a fissare Elizabeth. — Lei dove va?
— Ho uno studio in centro. Anch'io devo lavorare fino a tardi, stasera.
— Mi darà l'indirizzo e il numero del telefono, in modo che domani possa chiamarla?
— Sì — disse lei. — Domani sera?
— Se posso.
Elizabeth disse: — Non mi faccia domande, se conosce le risposte. — E lo guardò. — Non mi dica cose senza importanza, solo per passare il tempo.
— Allora avrò molte più cose da dirle.
La ragazza fermò la macchina davanti al cancello della Continental Electronics, per farlo scendere. — Lei è il famoso Edward Hawks — disse.
— E lei è la famosa Elizabeth Cummings.
La ragazza indicò i bianchi edifici sparsi. — Sa benissimo cosa intendo dire.
Lui la guardò, serio serio. — Io sono il famoso Edward Hawks che è importante per un altro essere umano. E lei è l'altrettanto famosa Elizabeth Cummings, nello stesso senso.
La ragazza gli sfiorò la manica, mentre Hawks apriva la portiera. — È troppo pesante per portarla in una giornata così.
Hawks si soffermò accanto alla macchina, si sbottonò la giacca e la tolse, se la gettò di nuovo sul braccio. Poi sorrise, alzò la mano in un gesto incerto, si voltò, e passò oltre il cancello che una guardia gli teneva aperto.