VII PRIGIONIERI

Alvin Junior non si sentiva mai piccolo, tranne quando era in groppa a qualche vecchio cavallo da tiro. Non che avesse problemi a montare: Alvin e i cavalli s’intendevano alla perfezione, lui non si era mai sognato di frustarli, e loro non si erano mai sognati di disarcionarlo. Il suo problema era che le gambe gli sporgevano come stecchi dai due lati del cavallo, e poiché stavolta cavalcava con la sella gli avevano dovuto accorciare le staffe praticando nuovi fori nella cinghia di cuoio. Al non vedeva l’ora di arrivare alle dimensioni di un adulto. Gli altri potevano ben dirgli che era grande per la sua età, ma a lui non importava un fico secco. Quando hai dieci anni, essere grandi per la propria età non è niente al confronto di essere grandi veramente.

«Non mi piace» disse Faith Miller. «Non mi piace affatto che i miei ragazzi si mettano in viaggio proprio mentre i Rossi sono sul piede di guerra.»

La mamma stavolta aveva buoni motivi per essere preoccupata. Al era sempre stato abbastanza sbadato, e particolarmente soggetto agli incidenti. Finora non gli era mai capitato niente di irrimediabile, ma il più delle volte era stata questione di un capello. L’incidente più grave gli era accaduto qualche mese prima, quando la nuova macina da mulino gli era caduta sulla gamba fratturandogliela malamente. L’avevano ormai dato per spacciato, tanto che lui stesso si era rassegnato. Sarebbe morto. Sarebbe morto di sicuro. E questo pur sapendo che i poteri a sua disposizione gli avrebbero permesso di curarsi.

Dalla notte in cui l’Uomo Luminoso era entrato in camera sua quando lui aveva sei anni, Al non aveva mai usato il suo dono a proprio vantaggio. Tagliare macine per il mulino di suo padre poteva farlo, in quanto ciò tornava a vantaggio di tutti. Alvin faceva scorrere le dita sulla roccia, la saggiava, cercava i punti nascosti di frattura, e poi metteva tutto a posto, la faceva essere come voleva lui; e la pietra docilmente si fendeva staccandosi dalla roccia com’era giusto che fosse, come lui le aveva chiesto. Ma mai a proprio vantaggio.

Poi, con quella gamba sfracellata, tutti erano certi che sarebbe morto. E Al non avrebbe mai usato il suo dono per aggiustare le cose in modo da guarire, non ci avrebbe nemmeno provato, se non fosse stato per il vecchio Scambiastorie. Questi gli aveva chiesto: «Perché quella gamba non provi ad aggiustartela da solo?» Allora Al gli aveva raccontato ciò che non aveva mai raccontato a nessuno, gli aveva detto dell’Uomo Luminoso. Scambiastorie gli aveva creduto, non aveva pensato che fosse impazzito o se lo fosse sognato. E aveva chiesto ad Al di ripensare a quello che era successo in quell’occasione, di sforzarsi di ricordare le esatte parole dell’Uomo Luminoso. E quando Al riuscì a richiamarle alla mente, capì che era stato solo lui a dire che non avrebbe mai usato il suo dono a proprio vantaggio, mentre l’Uomo Luminoso si era limitato a dire: «Rendi intere tutte le cose».

Rendi intere tutte le cose. Be’, la sua gamba non faceva forse parte di «tutte le cose»? Così Al l’aveva aggiustata, meglio che poteva. Erano accadute anche altre cose; restava tuttavia il fatto che in quell’occasione aveva usato i suoi poteri, con l’aiuto della sua famiglia, per guarire dal suo male. Ecco perché era ancora vivo.

Ma in quei giorni aveva visto la morte in faccia, e non ne era rimasto atterrito come avrebbe creduto. Disteso a letto con la morte che gli si insinuava lentamente nelle ossa, aveva cominciato a provare la sensazione che il suo corpo fosse soltanto una specie di capanna, un ricovero in cui proteggersi dal cattivo tempo mentre la sua vera casa era in costruzione. Come quelle rozze capanne che le famiglie dei nuovi coloni tiravano su in attesa di costruirsi una casa di tronchi. E se fosse morto, non sarebbe stato affatto terribile. Solo diverso, e forse meglio.

Perciò, mentre sua madre insisteva a parlare dei Rossi e dei pericoli e del fatto che avrebbero potuto entrambi morire ammazzati, Al non le aveva prestato il minimo ascolto. Non perché pensasse che sua madre si sbagliasse, ma perché per lui morire o non morire non aveva una grande importanza.

Be’, no, non era esattamente così. Aveva un sacco di cose da fare, anche se non sapeva ancora quali, e di conseguenza morire gli sarebbe scocciato. Sicuramente non si augurava di morire. Solo che la cosa non lo terrorizzava come invece succedeva a certa gente.

Measure, il fratello maggiore di Al, stava cercando di convincere la mamma a calmarsi e a non prendersela in quel modo. «Andrà tutto benissimo, mamma» disse Measure. «I disordini sono a sud, e noi viaggeremo sempre su strade sicure.»

«Su quelle che tu chiami strade sicure, ogni settimana sparisce qualcuno» obiettò Faith. «I francesi di Detroit sono sempre lì che comprano scalpi, sappiamo benissimo che non hanno mai smesso, e non ha la minima importanza quello che Ta-Kumsaw e i suoi selvaggi stanno facendo; per ammazzarvi basta una freccia…»

«Mamma» disse Measure «se hai paura che i Rossi ci ammazzino, dovresti insistere per mandarci via. Voglio dire che a Prophetstown, proprio dall’altra parte del fiume, vivono almeno diecimila Rossi. Ormai è la città più grande a ovest di Filadelfia, e tutti i suoi abitanti sono Rossi. Se andiamo a est, non facciamo che allontanarci dai Rossi…»

«Non è quel profeta orbo a preoccuparmi» chiarì Faith. «Non ha mai parlato di uccidere nessuno. Pensavo soltanto che voi non…»

«Quello che pensi non ha importanza» intervenne papà.

La mamma si voltò di scatto. Fino a quel momento Al Senior era stato sul retro della casa a dare il pastone ai maiali, ma adesso era venuto a salutare i ragazzi. «Non venire a dirmi che quello che penso non ha…»

«Nemmeno quello che penso io ha importanza» specificò papà. «Come non ne ha quello che può pensare chiunque altro, e tu lo sai.»

«Se le cose stanno così, Alvin Miller, allora non vedo perché il buon Dio ci abbia forniti di cervello!»

«Al deve andare a est per diventare apprendista di un fabbro che vive sul fiume Hatrack» disse papà. «Io sentirò la sua mancanza, tu sentirai la sua mancanza, tutti sentiranno la mancanza del ragazzo salvo forse il reverendo Thrower, ma le carte sono state firmate e lui deve partire. Perciò, invece di piagnucolare, dagli un bacio d’addio e salutali.»

Se papà fosse stato di latte, l’occhiata che la mamma gli diede l’avrebbe fatto cagliare all’istante. «Darò un bacio ai miei ragazzi e li saluterò» disse. «Non c’era bisogno che me lo venissi a dire tu. Non c’era bisogno che tu venissi a dirmi proprio niente.»

«Penso di no» convenne papà. «Ma te l’ho voluto dire lo stesso, e immagino che mi restituirai il favore, proprio come hai sempre fatto.» Tese la mano a Measure, che gliela strinse in un saluto da uomo a uomo. «Portalo fin laggiù sano e salvo, e torna subito indietro» disse a Measure.

«Sai bene che lo farò» rispose Measure.

«Tua madre ha ragione, la strada è piena di pericoli, perciò tieni gli occhi aperti. Hai la vista acuta, figliolo. Vedi di usarla.»

«Sì, papà.»

Mentre la mamma salutava a sua volta Measure, papà si avvicinò ad Al. Gli diede una robusta pacca sulla gamba e strinse la mano anche a lui, e questo ad Al fece un sacco di piacere, che papà lo trattasse da uomo come aveva fatto con Measure. Se Al non fosse stato a cavallo, forse papà gli avrebbe arruffato i capelli come si fa coi ragazzini, o forse no; comunque fosse, in quel momento Al si sentì adulto.

«A me i Rossi non fanno paura» disse Al, a voce bassissima, in modo che la mamma non potesse udirlo. «Ma se non dovessi partire sarei molto più contento.»

«Lo so, Al» sospirò papà. «Ma devi. Per il tuo bene.»

Poi il viso di papà assunse quell’espressione triste e distante che Al Junior aveva già notato più di una volta ma non era mai riuscito a capire. Papà era un tipo strano. Ad Al ci era voluto parecchio tempo per capirlo, dato che per la maggior parte della sua esistenza, quando lui era ancora piccolo, papà era stato semplicemente papà, e lui non si era mai posto il problema di capirlo.

Col crescere, Al aveva cominciato a confrontare suo padre con gli altri uomini che conosceva. Per esempio con Corazza-di-Dio Weaver, l’uomo più importante della cittadina, che parlava sempre di fare la pace con l’uomo rosso, di dividere le terre con lui, di tracciare un confine tra le proprietà dei Rossi e quelle dei Bianchi… E tutti lo ascoltavano con rispetto. Nessuno ascoltava suo padre nello stesso modo, nessuno considerava le sue parole con altrettanta serietà, magari mettendole in discussione, ma nella convinzione che ciò che lui diceva fosse importante. E il reverendo Thrower, con quella sua maniera lambiccata di parlare, che dal pulpito tuonava di morte e resurrezione, delle fiamme dell’inferno e delle ricompense del paradiso, anche lui era ascoltato da tutti. Anche se non nella stessa maniera in cui veniva ascoltato Armor, perché sì trattava pur sempre di religione, cioè di cose che c’entravano poco con l’agricoltura, le faccende domestiche e il modo in cui la gente viveva. Ma comunque con rispetto.

Quando era papà a parlare, gli altri lo ascoltavano, sicuro, ma poi certe volte lo prendevano in giro: «Ma va là, Alvin Miller, a chi vorresti raccontarla?» Al l’aveva notato, e all’inizio se la prendeva moltissimo. Ma poi si era accorto di un’altra cosa, e precisamente che quando la gente era nei guai e aveva bisogno d’aiuto, non andava dal reverendo Thrower, nossignori, né andava da Corazza-di-Dio, perché nessuno dei due sapeva gran che sul modo in cui si poteva risolvere il genere di problemi nel quale la gente ogni tanto andava a cacciarsi. Thrower poteva benissimo spiegare ai suoi fedeli come evitare le fiamme dell’inferno, ma la cosa non avrebbe avuto effetto finché non fossero finiti all’altro mondo; allo stesso modo, Corazza-di-Dio poteva benissimo spiegare ai suoi concittadini come restare in pace con i Rossi, ma quella era politica, tranne in caso di guerra. Quando gli abitanti di Vigor Church litigavano per una linea di confine, o non sapevano che pesci prendere con un ragazzo che rispondeva male a sua madre anche dopo essere stato riempito di botte, o quando il tonchio rovinava tutto il grano da seme e loro non avevano più nulla da piantare, tutti quanti andavano da Al Miller. E lui dava il suo contributo, in genere poche e semplici parole, e quelli se ne andavano scrollando la testa e dicendo: «Ma va là, Alvin Miller, a chi vuoi raccontarla?» Ma poi si rimboccavano le maniche, si mettevano d’accordo sulla linea di confine e per segnarla costruivano un muretto di sassi; oppure lasciavano che il figlio insolente andasse via di casa per lavorare come salariato nella fattoria di un vicino; oppure, giunta l’epoca della semina, una mezza dozzina di persone si facevano avanti con qualche sacco di grano «avanzato», perché Al Miller aveva fatto circolare la voce che forse i diretti interessati si sarebbero vergognati di fare la questua.

Quando Al Junior confrontava suo padre con gli altri, capiva che suo padre era strano, capiva che papà faceva certe cose per motivi che solo lui conosceva. Ma sapeva anche che di papà ci si poteva fidare. La gente poteva rispettare Corazza-di-Dio e il reverendo Thrower; ma di Al Miller si fidava.

Anche Al Junior. Anche lui si fidava del suo papà. Anche se avrebbe preferito non andarsene di casa, anche se dopo essere stato così vicino alla morte gli sembrava che l’apprendistato e cose del genere fossero solo una perdita di tempo — che gli importava di imparare un mestiere, forse che in cielo c’era bisogno di fabbri? -, sapeva che, se papà diceva che era giusto andarci, lui, Al, ci sarebbe andato. Anche lui come gli altri sapeva che se Al Miller diceva: «Fai questo, e vedrai che funzionerà», ebbene, era meglio fare come diceva, perché avrebbe sicuramente funzionato.

Aveva detto a papà che non voleva andarci; papà gli aveva detto: vacci lo stesso, è per il tuo bene. Alvin Junior non aveva bisogno di farsi dire altro. Annuì e fece ciò che papà gli aveva detto, non perché non avesse fegato, non perché avesse paura di suo padre come certuni dei suoi amici. Semplicemente, conosceva abbastanza suo padre da fidarsi delle sue capacità di giudizio. Tutto lì.

«Mi mancherai, papà.» Poi fece una cosa incredibile, pazzesca, che se si fosse fermato un attimo a pensarci non avrebbe mai osato fare. Chinatosi, allungò una mano e arruffò i capelli di suo padre. E mentre lo faceva pensò: papà mi farà nero di schiaffi per averlo trattato come un ragazzino! Le sopracciglia di papà effettivamente si sollevarono, e lui alzò la mano e agguantò Al Junior per il polso. Ma poi una curiosa luce gli scintillò negli occhi, e lui rise forte e disse: «Se vuoi continuare a vivere, figliolo, sarà meglio che questa resti la prima e ultima volta».

Papà rideva ancora quando fece un passo indietro per consentire alla mamma di salutare Alvin a sua volta. La mamma aveva il viso bagnato di lacrime, ma con lui non si dilungò con i suoi «fai questo» e «non fare quest’altro», come aveva fatto con Measure. Si limitò a baciargli la mano trattenendola tra le sue, e poi lo guardò fisso negli occhi e disse: «Se ti lascio andare adesso, non ti rivedrò con questi occhi terreni sino alla fine dei miei giorni».

«No, mamma, non dire questo» replicò Al. «Non mi succederà niente di male.»

«Ricorda soltanto queste mie parole» disse sua madre. «E bada di non perdere l’amuleto che ti ho dato. Devi tenerlo sempre addosso.»

«A che cosa serve?» le chiese Al, tirandolo di nuovo fuori di tasca. «Di questo genere non ne ho mai visti.»

«Non importa, basta che tu lo tenga sempre addosso.»

«Va bene, mamma.»

Measure accostò il suo cavallo a quello di Al Junior.

«Sarà meglio andare, adesso» disse. «Prima di coricarci stasera, dobbiamo essere fuori del territorio che vediamo tutti i giorni.»

«Ti ho già detto di no» ribatté severamente papà. «Ci siamo già messi d’accordo con i Peachee che stanotte dormirete da loro. Il primo giorno non è necessario che andiate più lontano. Non voglio che trascorriate la notte all’addiaccio se proprio non è necessario.»

«D’accordo, d’accordo» disse Measure «ma per lo meno vediamo di arrivare laggiù prima di cena.»

«Andate allora» li sollecitò la mamma.

Non avevano ancora fatto una pertica di strada, che papà li raggiunse di corsa afferrando per la briglia il cavallo di Measure, e subito dopo quello di Al Junior. «Ragazzi, ricordatevelo bene! Per attraversare i fiumi dovete usare i ponti. Intesi? Solo i ponti! Ogni corso d’acqua sulla strada che va da qui al fiume Hatrack è attraversato da un ponte.»

«Lo so, papà» disse Measure. «Quando li abbiamo costruiti c’ero anch’io, non ricordi?»

«Usateli! Avete capito? E se piove dovete fermarvi, trovare una casa e fermarvi, siamo intesi? Non voglio che restiate fuori sotto l’acqua!»

Entrambi giurarono con la massima solennità che sarebbero rimasti alla larga da tutto ciò che era bagnato. «E quando i cavalli avranno bisogno di pisciare, ci guarderemo bene dal metterci a valle» disse Measure.

«C’è poco da scherzare» lo redarguì papà.

Finalmente si misero in cammino, senza guardarsi alle spalle perché questo avrebbe attirato su di loro le più tremende disgrazie. Sapevano che papà e mamma sarebbero rientrati in casa molto prima di vederli scomparire in lontananza, perché restare a guardare uno che partiva era come augurarsi una lunga separazione, e restare a guardarlo finché non scompariva avrebbe comportato buone probabilità che qualcuno morisse prima che i partenti facessero ritorno. La mamma queste cose le prendeva molto sul serio. Rientrare in fretta e furia fu l’ultima cosa che poté fare per proteggere i suoi ragazzi da ogni pericolo.


Al e Measure si fermarono nella striscia boscosa che segnava il confine tra le fattorie degli Hatch e dei Bjornson, là dove l’ultimo temporale aveva fatto crollare un albero proprio sulla strada. A cavallo avrebbero potuto benissimo passare, ma quando si trovava una cosa del genere non la si lasciava lì nel mezzo in modo che a sbrigarsela fosse qualcun altro. Magari qualcuno che viaggiava su un carro, e che voleva essere a casa prima di buio in una serata di burrasca; o magari semplicemente coloro che sarebbero venuti dopo di loro e si sarebbero trovati la strada bloccata. Così si fermarono a consumare il pranzo al sacco preparato dalla mamma, e poi si misero al lavoro con le accette, liberando il tronco dagli ultimi scheggioni di legno che ancora lo tenevano attaccato al ceppo schiantato. Molto prima di avere finito rimpiangevano di non possedere una sega, ma non era il genere di attrezzo che uno si portava dietro per fare trecento miglia a cavallo. Un cambio di vestiti, un’accetta, un coltello, un moschetto per la caccia, una scorta di polvere e piombo, un rotolo di corda, una coperta e il consueto assortimento di cianfrusaglie e amuleti protettivi e difensivi. Se si fossero portati dietro qualcos’altro, avrebbero avuto bisogno di un carro o di un cavallo da soma.

Quando il tronco fu libero, vi attaccarono ambedue i cavalli e lo trascinarono via. Fu un lavoro duro e ingrato, perché i cavalli non erano abituati a lavorare in coppia, e si davano noia a vicenda. Anche l’albero s’incastrava in continuazione, e ogni volta dovevano girarlo e ripulirlo dai rami che erano di troppo. Al sapeva bene che avrebbe potuto usare il suo dono per trasformare il legno in modo che si spaccasse nei punti giusti. Ma sapeva anche che non sarebbe stato giusto. L’Uomo Luminoso vi avrebbe trovato parecchio da ridire… Sarebbe stato un atto di puro egoismo, di pura pigrizia, dal quale nessun altro avrebbe potuto ricavare alcun vantaggio. Così tirò, sudò e menò accettate a fianco di Measure. E come lavoro non era poi così male. Quando ebbero finito, non era trascorsa più di un’ora. Era stato tempo bene impiegato.

Lavorando, ogni tanto si mettevano a chiacchierare, si capisce. Qualche volta la conversazione andava a toccare quello che si raccontava dei massacri compiuti dai Rossi nel meridione. Measure era abbastanza scettico. «Sì, quelle storie le ho sentite anch’io, ma quelle più truci sono tutte cose che qualcuno ha sentito raccontare da altri a proposito di altre persone ancora. Coloro ai quali è veramente successo qualcosa sanno raccontare soltanto che Ta-Kumsaw è arrivato e gli ha fatto scappare polli e maiali, punto e basta. Nessuno parla mai di grandinate di frecce o di gente morta ammazzata.»

Al, avendo solo dieci anni, era più propenso a credere a quelle storie, e più erano truci, più ci credeva. «Forse quando ammazzano qualcuno, ammazzano l’intera famiglia, così che poi non resta più nessuno che possa raccontarlo.»

«Cerca di ragionare, Al. Non avrebbe alcun senso. Ta-Kumsaw vuole mandare via i Bianchi di qui, non è vero? Perciò vuole spaventarli a morte, perché facciano i bagagli e se ne vadano, non è vero? Se cominciasse a compiere massacri, non pensi che dovrebbe lasciar vivo almeno un membro della famiglia in modo che possa andare a raccontarlo? Se non altro, non credi che si sarebbe almeno trovato qualche cadavere?»

«E allora tutte quelle storie da dove vengono fuori?»

«Corazza-di-Dio dice che è Harrison a metterle in giro, per aizzare la gente contro i Rossi.»

«Ma che a Carthage City gli hanno bruciato la casa e la palizzata dev’essere vero, no? La gente l’avrà pur visto se sono bruciate o no. E nemmeno può aver raccontato storie sul fatto che gli abbiano ammazzato la moglie e il figlio, no?»

«Be’, che ci sia stato un incendio è certamente vero, Al. Ma forse non sono state le frecce incendiarie di Ta-Kumsaw ad appiccare il fuoco. Non ci hai mai pensato?»

«Ma non può nemmeno essere stato il governatore Harrison a dar fuoco a casa sua facendo morire la moglie e il figlio solo per aizzare la gente contro i Rossi» disse Al. «Sarebbe pura idiozia.»

E continuarono a discutere delle scorrerie compiute dai Rossi nella parte meridionale del territorio del Wobbish, perché in quel periodo era l’argomento di conversazione più frequente, e siccome nessuno sapeva niente di preciso, l’opinione dell’uno valeva quanto quella dell’altro.

Visto che non si trovavano a più di mezzo miglio di distanza da due fattorie, in una zona che avevano visitato cinque o sei volte all’anno negli ultimi dieci anni, a nessuno dei due venne da pensare di trovarsi in pericolo e che sarebbe stato meglio tenere gli occhi aperti. Così vicino a casa uno tende a non stare sempre sul chi vive, nemmeno quando la conversazione verte su violenze, massacri e torture. Bisogna anche dire che le precauzioni non sarebbero servite a molto. Al stava arrotolando le corde e Measure stava sistemando le selle, quando all’improvviso si trovarono circondati dai Rossi. Un istante prima non c’era nessuno, solo grilli e topolini e qualche uccello qua e là; un istante dopo, una dozzina di Rossi dipinti da capo a piedi.

Anche dopo averli visti, trascorse qualche istante prima che Al e Measure cominciassero a spaventarsi sul serio. A Prophetstown vivevano migliaia di Rossi, che venivano regolarmente a fare acquisti al magazzino di Corazza-di-Dio. Fu così che Alvin rivolse loro la parola prima ancora di averli osservati accuratamente. «Ehilà» esclamò Alvin.

I Rossi non ricambiarono il saluto. Avevano il viso completamente dipinto.

«Questi non sono Rossi che salutano» disse Measure a bassa voce. «Non vedi che sono armati di moschetto?»

Questo eliminava la possibilità che venissero da Prophetstown. Il Profeta aveva insegnato ai suoi seguaci a non usare mai le armi dell’uomo bianco. Per andare a caccia, a un vero Rosso non serviva un fucile, perché la terra conosceva le sue necessità, e la selvaggina gli si avvicinava da sola a portata di freccia. L’unico motivo per cui un Rosso poteva aver bisogno di un fucile — diceva il Profeta — era per assassinare qualcuno, e l’assassinio era cosa da uomo bianco. Questo diceva. Perciò era evidente che quei Rossi non davano troppo peso alle parole del Profeta.

Alvin ne aveva uno proprio davanti, che lo guardava fisso. La sua paura doveva essere evidente, perché lo sguardo del Rosso scintillò, e le sue labbra si schiusero in un sorrisetto beffardo. Il Rosso tese la mano.

«Dagli la corda» disse Measure.

«È nostra» protestò Al. Ma subito si rese conto di aver detto un’assurdità, e gli porse entrambi i rotoli di corda.

Il Rosso li prese con la massima cortesia. Poi ne lanciò uno a un suo compagno sopra la testa dei ragazzi bianchi, e tutta la banda si mise al lavoro, spogliando i ragazzi degli indumenti esterni e poi legando loro le mani dietro la schiena così strettamente da forzare dolorosamente all’indietro le articolazioni delle spalle.

«Perché ci avranno preso i vestiti?» chiese Al.

Per tutta risposta, uno dei Rossi lo schiaffeggiò violentemente in pieno viso. Il rumore dello schiaffo doveva essergli piaciuto, perché lo schiaffeggiò una seconda volta. Dal bruciore, ad Al vennero le lacrime agli occhi, ma non si lasciò sfuggire un lamento, in parte perché era stato preso del tutto alla sprovvista, in parte perché la cosa l’aveva reso assolutamente furioso, e non voleva dar loro la minima soddisfazione. Quell’idea di schiaffeggiarli doveva avere incontrato il favore generale, perché tutti insieme si misero a schiaffeggiare anche Measure, e poi di nuovo Alvin, finché ambedue i ragazzi non furono mezzi istupiditi, e le loro guance non cominciarono a sanguinare di dentro e di fuori.

Uno dei Rossi bofonchiò qualcosa, e gli altri gli passarono la camicia di Al. Il Rosso la lacerò con il coltello, poi la strofinò sul viso sanguinante di Al. Ma il sangue non dovette parergli sufficiente, perché impugnò di nuovo il coltello e lo passò sulla fronte di Al, squarciandola. Il sangue ne sprizzò a fiotti, seguito un istante dopo da un dolore lancinante, e Al per la prima volta si lasciò sfuggire un grido. Aveva la sensazione che la lama gli fosse arrivata fino all’osso, mentre il sangue gli scendeva negli occhi, accecandolo. Measure urlò di lasciarlo stare, già sapendo che non sarebbe servito a nulla. Tutti sapevano che quando i Rossi cominciavano a lavorare di coltello, la morte era sicura.

Non appena Alvin gridò e il sangue cominciò a colare, i Rossi si misero a ridere e a lanciare grida di dileggio. Quella banda andava proprio in cerca di guai, e Al ripensò a tutte le storie che aveva udito. La più famosa era probabilmente quella di Dan Boone, un pioniere originario della Pennsylvania che era andato a stabilirsi nelle Colonie della Corona. In quegli anni i Cherriky erano in guerra contro l’uomo bianco, e un giorno avevano rapito il figlioletto di Dan Boone. Il padre si era lanciato all’inseguimento dei Rossi. Questi, che non avevano più di mezz’ora di vantaggio, si erano messi a giocare con lui. Ogni tanto si fermavano e tagliavano al ragazzo un brandello di pelle, gli cavarono persino gli occhi, qualcosa insomma che gli facesse molto male, in modo da costringerlo a urlare. Boone udiva il figlio urlare e si dirigeva in quella direzione assieme ai suoi vicini, tutti armati di moschetto e quasi impazziti dalla rabbia. Quando giungevano nel luogo in cui il ragazzo era stato torturato, i Rossi erano scomparsi nella foresta senza lasciare la minima traccia. Poi si udiva un altro grido. Dopo aver percorso venti miglia, al crepuscolo finalmente avevano trovato il corpo del ragazzo, appeso a tre alberi diversi. Si diceva che Boone non se ne fosse più dimenticato, e che da quel giorno non avesse più potuto guardare negli occhi un Rosso senza ripensare a quelle venti miglia nella foresta.

Anche Al pensava a quell’inseguimento di venti miglia, udendo ridere quei Rossi, avvertendo quel dolore che era solo l’inizio di tutto il dolore che avrebbe provato, ben consapevole che qualunque cosa quei Rossi avessero in mente, avevano intenzione di cominciare ammazzando due ragazzi bianchi, e un po’ di baccano non avrebbe fatto loro altro che piacere. Sta’ fermo, si disse. Sta’ fermo.

Gli strofinarono sul viso la camicia ridotta a brandelli e i vestiti di Measure, anch’essi a brandelli. Nel frattempo Al cercò di pensare ad altro. L’unica volta che aveva provato a curare se stesso era stata quando si era rotto la gamba, e allora si era trovato in un letto, con la possibilità di riposare, con tutto il tempo che gli era necessario per guardarsi dentro, trovare il modo di arrivare in quei minuscoli anfratti dove le vene erano interrotte e curarle, e poi saldare insieme la pelle e l’osso. Stavolta era spaventato, sballottato da tutte le parti, senza un attimo di pace, senza la possibilità di riposare. Ciò nonostante riuscì a trovare le vene e le arterie più grosse e a sigillarle. Quando per l’ultima volta gli strofinarono sul viso una camicia, il sangue non gli si riversò a fiotti sugli occhi, accecandolo. La ferita sanguinava ancora, ma molto meno di prima, e Al inclinò la testa all’indietro in modo che il sangue gli colasse sulle tempie permettendogli di vedere.

Su Measure non avevano ancora cominciato a lavorare di coltello. Measure guardava Al, pallidissimo in viso, e Al conosceva abbastanza suo fratello per immaginare che cosa stesse pensando: che papà e mamma gli avevano affidato Al, e lui non aveva saputo essere all’altezza. Ma era assurdo, Measure non ne aveva alcuna colpa. Quei Rossi avrebbero potuto sorprenderli in qualsiasi casa o capanna della regione, e nessuno avrebbe potuto impedirglielo. Se Al e Measure non fossero stati all’inizio di un lungo viaggio, avrebbero potuto benissimo trovarsi in quello stesso luogo per un altro motivo. Ma Al non poteva dire niente di tutto questo a Measure, non poteva fare molto di più che sorridere.

Sorridere e nel frattempo fare del suo meglio per guarire la ferita. Far sì che tutto nella sua fronte tornasse a essere come doveva essere. E più ci lavorava, più gli veniva facile, e intanto osservava i movimenti dei Rossi.

Questi non parlavano gran che. A quanto pareva, avevano le idee ben chiare sul da farsi. Presi i vestiti imbrattati di sangue, li legarono alle selle. Poi con un coltello uno di loro incise su una delle selle «Ta-Kumsaw», sull’altra «Profeta». Per un istante Alvin restò meravigliato dal fatto che conoscesse l’alfabeto, ma poi lo vide confrontare le lettere che aveva tracciato con quelle scritte su un foglio di carta che aveva estratto dalla fascia che gli cingeva i fianchi. Un foglio di carta.

Poi, mentre due Rossi reggevano i cavalli per le briglie, altri due cominciarono a tagliuzzare con un coltello i fianchi delle bestie, praticando piccole incisioni, poco profonde, ma sufficienti a farli impazzire dal dolore. I cavalli presero a impennarsi e a scalciare; infine, gettati a terra i Rossi che li trattenevano, partirono al galoppo verso casa, esattamente come i Rossi avevano previsto.

Un messaggio, ecco che cos’era. Quei Rossi volevano essere inseguiti. Volevano che i Bianchi saltassero a cavallo armati di moschetto e partissero in massa all’inseguimento. Proprio come Daniel Boone. E come lui, seguissero le urla, e impazzissero nell’udir morire i loro figli un poco alla volta.

In quell’occasione Alvin prese la ferma decisione che, vivi o morti, lui e Measure non avrebbero lasciato che i loro genitori udissero ciò che aveva udito Daniel Boone. Scappare era fuor di questione. Anche se Al avesse sciolto i nodi della corda — cosa che avrebbe potuto fare con facilità -, due ragazzi bianchi non avevano alcuna possibilità di distanziare una banda di Rossi nella foresta. No, quei Rossi li avrebbero tenuti prigionieri per tutto il tempo che avessero voluto. Ma Al sapeva come impedir loro di fare troppo male a lui e a Measure. In questo caso infatti non avrebbe fatto niente di sbagliato, perché non avrebbe usato il suo dono solo per se stesso. L’avrebbe usato per suo fratello, per la sua famiglia, e in un certo senso anche per i Rossi, perché se fosse accaduto qualcosa di veramente grave, se qualche ragazzo bianco fosse stato veramente torturato a morte, sarebbe scoppiata la guerra, quella vera, un lungo e spietato conflitto tra Rossi e Bianchi, e sarebbe morta un sacco di gente da entrambe le parti. Al avrebbe dunque potuto ricorrere al suo dono, purché naturalmente non l’avesse usato per ammazzare qualcuno.

Messi in fuga i cavalli, i Rossi legarono al collo di Al e di Measure delle cinghie di cuoio a mo’ di guinzaglio. Measure era più alto di chiunque dei Rossi, e per non restare soffocato fu costretto a chinarsi. Correre gli risultava perciò faticosissimo. Al, che si trovava dietro di lui, poteva vedere come lo trattavano, poteva udirlo quasi rantolare per via della cinghia stretta al collo. Per Al fu una cosa semplicissima entrare nella cinghia e stirarla, allungandola un po’ alla volta finché il cappio non si allentò e Measure non poté correre in posizione praticamente eretta. La cosa avvenne così lentamente che i Rossi non ci fecero caso. Ma Al sapeva che si sarebbero ben presto accorti di ciò che stava avvenendo.

Tutti sapevano che i Rossi non lasciavano impronte, e che, quando prendevano prigioniero un Bianco, di solito se lo caricavano sulle spalle tenendolo per le mani e per i piedi come una carcassa di cervo, in modo che goffo com’era non lasciasse traccia del proprio passaggio. Da questo si doveva dedurre che quei Rossi volevano essere seguiti, visto che permettevano ad Al e Measure di lasciare le loro impronte sul terreno.

Allo stesso tempo, però, facevano in modo che seguirli non fosse troppo facile. Dopo quella che ad Al e a Measure parve un’eternità — un paio d’ore almeno — giunsero a un ruscello e lo risalirono camminando nell’acqua per un certo tratto; quindi ripresero a correre per un altro mezzo miglio o forse un miglio intero, prima di giungere a una radura dove finalmente si fermarono per accendere il fuoco.

Nei pressi non c’erano fattorie, ma la cosa non significava molto. Ormai i cavalli erano sicuramente arrivati a destinazione, con i fianchi tutti tagliuzzati, i vestiti insanguinati dei due fratelli e i nomi incisi sulla sella. Sicuramente in quello stesso momento tutti i capifamiglia bianchi della regione stavano conducendo i loro cari a Vigor Church, dove un piccolo gruppo di uomini avrebbe potuto difenderli, mentre gli altri partivano alla ricerca dei ragazzi dispersi. E mentre la mamma era pallida per il terrore, papà ruggiva agli altri uomini di far presto, presto, non c’era un minuto da perdere, bisognava trovare i ragazzi: se non venite subito ci andrò da solo! E gli altri dicevano: calma, calma, da solo non potresti fare nulla di buono, li prenderemo, puoi scommetterci. Nessuno tuttavia avrebbe ammesso ciò che tutti sapevano… che Al e Measure erano praticamente già morti.

Ma Al non aveva la minima intenzione di morire. Nossignori. Era fermamente deciso a restare assolutamente vivo, insieme con Measure.

I Rossi alimentarono il fuoco sino a farlo divampare. Sicuramente non avevano intenzione di mettersi a cucinare. E col sole già caldo e dardeggiale, Al e Measure sudavano a profusione, anche con indosso solo le leggere mutande estive. Ancora di più sudarono quando i Rossi tolsero loro anche quelle, sbottonandole sul davanti e tagliandole di dietro, così che i due si ritrovarono seduti per terra completamente nudi. Fu più o meno in quel momento che uno dei Rossi notò la fronte di Al. Improvvisando una specie di tampone con la stoffa delle mutande, glielo passò sulla faccia, strofinando forte per togliere il sangue secco. Poi cominciò a farfugliare qualcosa in tono concitato. Gli altri si raccolsero a guardare. Poi controllarono anche la fronte di Measure. Be’, Al sapeva che cosa stavano cercando. E sapeva che non l’avrebbero trovato. Perché la ferita era guarita senza lasciare nemmeno una cicatrice. E naturalmente non ne era rimasta traccia neanche sul viso di Measure, visto che a lui non avevano fatto niente. Questo avrebbe senz’altro dato loro da pensare.

Ma non era sulle proprie capacità di guaritore che Al poteva fare affidamento per salvare se stesso e il fratello. Era un procedimento troppo lento e complicato… quelli là avrebbero sempre potuto tagliare più in fretta di quanto Al fosse in grado di rimediare, e questa era la verità. Molto più rapido sarebbe stato usare il suo dono su materiali come la pietra e il metallo, che dentro erano tutti fatti della stessa sostanza; la carne viva, invece, era complicata da ogni sorta di minuscoli dettagli che lui era costretto a riordinare nella propria testa prima di poterli trasformare e rendere nuovamente interi.

Così quando uno dei Rossi si accovacciò di fronte a Measure brandendo un coltello, Al non attese che cominciasse a tagliare, ma si concentrò su quel coltello, sull’acciaio di cui era fatto. Era un coltello da Bianco. Anche i moschetti che avevano a tracolla erano armi da Bianchi. Alvin ne trovò il filo, la punta, e li appiattì, li arrotondò, li lisciò.

Il Rosso posò il coltello sul torace nudo di Measure e fece il gesto di tagliare. Measure si irrigidì, raccogliendo tutto il suo coraggio in attesa del dolore. Ma quel coltello non segnò la carne di Measure più di quanto non avrebbe fatto un cucchiaio.

Ad Al quasi venne da ridere, vedendo il Rosso ritirare il coltello e alzarselo davanti agli occhi, nel tentativo di capire che cosa non funzionasse. Per provarne il filo, se lo passò su un polpastrello; Al per un attimo fu tentato di renderlo di nuovo tagliente come un rasoio, ma no, no, la regola era che poteva usare il suo dono per far diventare le cose come dovevano essere, non per fare del male agli altri. Gli altri Rossi si raccolsero intorno al primo per osservare il coltello. Alcuni ne canzonarono il proprietario, probabilmente ritenendo che si fosse dimenticato di affilarlo. Al intanto andava in cerca di tutte le lame d’acciaio che quei Rossi avevano addosso, e via via che le trovava le lisciava e le arrotondava. Quando ebbe finito, con quei coltelli non sarebbero riusciti a tagliare in due neanche una foglia di lattuga.

Come c’era da aspettarsi, tutti quanti tirarono fuori i loro coltelli per provarne la lama, prima passandola sul corpo di Al o di Measure, e poi mettendosi a urlare e ad accusarsi a vicenda, probabilmente nel tentativo di stabilire di chi fosse la colpa.

Poco dopo tuttavia si ricordarono di avere una missione da compiere. Dovevano torturare quei ragazzi bianchi e farli urlare, o per lo meno sfregiarli e mutilarli in modo che di fronte ai loro corpi i Bianchi giurassero vendetta.

Perciò uno dei Rossi prese il suo tommy-hawk, un’arma all’antica con la lama di pietra, e lo brandì davanti alla faccia di Al, agitandolo in modo da incutergli più paura possibile. Al utilizzò quel tempo per ammorbidire la pietra, indebolire il legno, allentare le cinghie di pelle che tenevano insieme il tutto. Quando il Rosso lo sollevò per cominciare a fare sul serio, per esempio centrando Al in pieno viso, il tommy-hawk gli si sfasciò tra le mani. Il legno era completamente marcito, la lama di pietra si sbriciolò, e persino la cinghia finì in pezzi, come logorata da un lungo uso. Il Rosso urlò facendo un salto all’indietro, come se fosse stato morsicato da un serpente a sonagli.

Un altro guerriero che aveva un’accetta dalla lama d’acciaio non perse tempo ad agitarla in aria, ma afferrata una mano di Measure l’appoggiò su un grosso sasso e abbassò l’arma con forza, deciso a spiccargli le dita di netto. Per Al fu un gioco da ragazzi. In caso di bisogno, non era forse stato capace di tagliare intere macine da mulino? L’accetta colpì, rimbalzando sulla pietra con un suono metallico, e Measure trattenne il fiato, sicuro di avere ormai perso le dita; ma quando il Rosso sollevò l’accetta, la mano di Measure era illesa, senza neanche un segno, mentre la lama dell’accetta aveva una serie di depressioni a forma di dita, come se fosse stata fatta di burro o di sapone bagnato.

I Rossi ulularono e si scambiarono sguardi pieni di paura, di paura e di rabbia per le strane cose che stavano accadendo. Essendo bianco, Alvin non poteva saperlo, ma ciò che per loro rendeva la cosa particolarmente inquietante era che, mentre in genere riuscivano a sentire le fatture, gli incantesimi e le magie dei Bianchi, stavolta non riuscivano a sentire nulla. Quando un Bianco collocava da qualche parte un talismano, i Rossi lo avvertivano come un’escrescenza del loro senso della terra; un incantesimo difensivo era come una puzza disgustosa; un incantesimo protettivo come un ronzio che ad avvicinarsi diventava sempre più forte. Ma ciò che faceva Alvin non causava la minima interruzione nella continuità della terra; il loro senso di come le cose avrebbero dovuto essere non rivelava niente di insolito. Era come se le leggi della natura fossero cambiate a loro insaputa, e all’improvviso l’acciaio fosse diventato morbido e la carne dura, la pietra friabile, il cuoio tenero come l’erba. Nel cercare una causa di ciò che stava accadendo, non pensarono certo ad Al o a Measure. Per quanto ne potevano capire, doveva trattarsi di qualche forza della natura.

Di tutto questo Alvin percepì soltanto la paura, la rabbia e la confusione, cose di cui non poteva che rallegrarsi. Ma non si montò la testa. Sapeva che esistevano ostacoli che ancora non avrebbe saputo affrontare. Il principale era l’acqua; se a quelli là fosse saltato in mente di annegarli, Al non avrebbe saputo come impedirglielo, né come salvare se stesso o il fratello. Aveva solo dieci anni, ed essendo vincolato da leggi che non riusciva a capire, non aveva ancora compreso sino in fondo a che cosa il suo dono potesse servirgli, o come funzionasse. Forse ricorrendo ai suoi poteri avrebbe potuto compiere azioni assolutamente spettacolari, se solo avesse saputo come, ma il punto era precisamente che non lo sapeva, e poteva fare solo le cose che erano alla sua portata.

Se non altro, comunque, fortunatamente i loro rapitori non pensarono ad annegarli. Ma pensarono al fuoco. Molto probabilmente l’avevano avuto in mente fin dall’inizio. Si raccontava che nella Nuova Inghilterra, ai tempi delle guerre con i Rossi, erano stati trovati i cadaveri di vittime della tortura con le estremità carbonizzate nelle ceneri ormai fredde di un falò. Quei poveretti erano stati costretti a guardarsi bruciare lentamente le dita dei piedi finché il dolore, il sangue perduto e la follia non li avevano uccisi. Alvin vide i Rossi gettare sul fuoco rami di alberi resinosi, in modo da farlo divampare. Prima d’allora non aveva mai provato a raffreddare un fuoco, e non sapeva bene come fare. Allora si spremette le meningi, e trovò una soluzione. Mentre i Rossi agguantavano Measure per le ascelle e lo trascinavano verso il fuoco, Al entrò nei pezzi di legno e li frantumò, li sbriciolò riducendoli in polvere, così che bruciarono in fretta, in un solo istante, con una fiammata tanto improvvisa da produrre un forte schiocco e una vampata di luce abbagliante che si innalzò rapidamente verso l’alto. Lo spostamento d’aria fu così violento da provocare un turbine di vento che durò per qualche secondo, frustando cose e persone, risucchiando la cenere verso l’alto in un rapido sbuffo, e poi lasciandola ricadere lentamente a terra come pulviscolo.

Proprio così: del fuoco non rimase più nulla tranne quella polvere che si depositava pian piano, sottile come una nebbia, in tutta la radura.

Allora sì che i Rossi ulularono, saltarono e ballarono e si sferrarono colpi sulle spalle e sul torace. E mentre si comportavano come i partecipanti a un funerale irlandese, Al allentò i suoi legami e quelli di Measure, sperando contro ogni speranza di riuscire in qualche modo a scappare prima che i loro familiari e i loro vicini li trovassero e cominciassero a sparare, a uccidere e a morire.

Measure naturalmente sentì i legami allentarsi, e lanciò ad Alvin un’occhiata penetrante; fino a quel momento ciò che stava accadendo lo aveva sconvolto quasi quanto i Rossi. Certo, aveva capito fin dal primo momento che sotto c’era lo zampino di Alvin, ma quest’ultimo non gli aveva certo potuto spiegare quel che stava facendo, e Measure era stato colto di sorpresa non meno degli altri. Adesso, tuttavia, guardò Alvin e annuì, cominciando a torcere le braccia per liberarle dai legami. Fino a quel momento i Rossi non si erano accorti di niente, e forse i due fratelli avrebbero potuto acquistare un certo vantaggio; poteva anche darsi — ma non c’era da farci conto — che i Rossi fossero talmente sconvolti da rinunciare in partenza all’inseguimento.

Ma in quel preciso istante tutto cambiò. Dalla foresta si levò un grido, che immediatamente venne raccolto da quelli che parevano due o trecento gufi disposti in cerchio. Da come Measure guardò Alvin, doveva aver pensato per un istante che anche lì ci fosse lo zampino del fratello; ma i Rossi capirono subito di che cosa si trattava, e smisero all’istante di dare in escandescenze. Dalla paura che lesse sulle loro facce, Al pensò che doveva certamente trattarsi di qualcosa di buono, forse addirittura la salvezza, o roba che ci andava vicina.

Dalla foresta che circondava la radura sbucarono altri Rossi, inizialmente qualche decina, alla fine forse un centinaio, tutti armati di arco e frecce. Nessuno di loro portava armi da fuoco. Dai vestiti e dalla capigliatura Al pensò che fossero Shaw-Nee, probabilmente seguaci del Profeta. Per dire la verità, era quasi l’ultima cosa che Al si sarebbe aspettato. Erano facce di Bianchi, quelle che avrebbe voluto vedere, non di Rossi.

Uno dei nuovi venuti si fece avanti. Era un uomo alto e forte, con una faccia dura e spigolosa che sembrava intagliata nella pietra. Questi latrò un paio di parole dal suono aspro e inquisitorio, e immediatamente i rapitori di Al e Measure cominciarono a balbettare, farfugliare, implorare. Sembravano un gruppo di bambini, pensò Al, sorpresi dal padre a fare qualche marachella. Essendo stato lui stesso sorpreso più di una volta in simili circostanze, la cosa lo mosse quasi a compassione; ma subito dopo gli tornò in mente la morte spaventosa che potendo avrebbero riservato a lui e a suo fratello. Anche se ne fossero usciti senza un graffio, ciò non significava che quei Rossi fossero esenti da ogni colpa.

Poi in quel guazzabuglio di parole Alvin ne colse una, un nome: Ta-Kumsaw. Al guardò Measure per capire se l’aveva sentito anche lui, e Measure gli restituì lo sguardo aggrottando la fronte, non meno perplesso di lui. Entrambi pronunciarono quel nome contemporaneamente: Ta-Kumsaw.

Questo forse significava che era stato Ta-Kumsaw a volere tutto ciò? E adesso perché ce l’aveva con i loro rapitori? Perché avevano catturato i due ragazzi, o perché non erano riusciti a torturarli? I Rossi non fornirono alcuna spiegazione. L’unica cosa di cui Al poté essere certo fu ciò che fecero. I nuovi venuti tolsero agli altri i loro moschetti, quindi li scortarono nel bosco. Con Al e Measure restarono solo una decina di Rossi, tra i quali Ta-Kumsaw.

«Dicono che tu abbia dita d’acciaio» disse Ta-Kumsaw.

Measure guardò Al come a pregarlo di rispondere, ma Al non sapeva che dire. Sicuramente non sarebbe andato a spiattellare a quel Rosso quello che aveva fatto. Così alla fine fu Measure a rispondere, alzando le mani e agitando le dita. «Per quanto ne so, sono dita normalissime» disse.

Ta-Kumsaw allungò il braccio e afferrò il giovane per la mano; la sua doveva essere una presa ben salda, se quando Measure cercò di sottrarvisi non ci riuscì. «Pelle di ferro» disse Ta-Kumsaw. «Non si può tagliare con coltello. Non brucia. Ragazzi di pietra.»

Il Rosso costrinse Measure ad alzarsi in piedi, e con la mano libera lo schiaffeggiò sul braccio. «Ragazzo di pietra, buttami nella polvere!»

«Non voglio lottare con te» disse Measure. «Non voglio battermi con nessuno.»

«Buttami giù!» ordinò Ta-Kumsaw. Così dicendo, aggiustò la presa, mise avanti un piede e attese che Measure facesse altrettanto. Così si affrontarono, uomo contro uomo, come facevano i Rossi nei loro giochi. Solo che quello non era un gioco, non per i due ragazzi che avevano visto la morte in faccia e non avevano alcuna sicurezza che non si trovasse subito dietro l’angolo.

Al non sapeva bene che cosa fare, ma sull’onda dell’entusiasmo delle prodezze appena compiute si trovava nello stato d’animo giusto per fare qualcosa. Così fu quasi senza pensare alle possibili conseguenze che nello stesso istante in cui Measure e Ta-Kumsaw cominciarono a spingersi e a strattonarsi, Al fece cedere il terreno sotto i piedi di Ta-Kumsaw, così che la sua stessa spinta lo fece ruzzolare scompostamente nella polvere.

Gli altri Rossi fino a quel momento erano stati lì a ridere e a schernire bonariamente i contendenti; ma quando videro il più grande capo di tutte le tribù, un uomo il cui nome era noto da Boston a New Orleans, piombare a terra come un sacco di patate persero subito la voglia di ridere. Anzi, se vogliamo dire la verità, in quella radura non si udiva più volare una mosca. Ta-Kumsaw si tirò lentamente in piedi e guardò il terreno, strofinandovi sopra il piede. Adesso, si capisce, era tornato solido come prima. Il Rosso tuttavia fece qualche passo indietro finché non si trovò sull’erba, quindi tese nuovamente la mano.

Stavolta Measure si sentiva un po’ più tranquillo, e tese a sua volta la mano; ma all’ultimo momento Ta-Kumsaw ritrasse la sua. Quindi restò immobile, senza guardare Measure o Al o chiunque altro dei presenti, limitandosi a fissare nel vuoto, il viso serio e contratto. Poi si girò verso gli altri Rossi e indirizzò loro una raffica di parole intercalate con tutte le «s», le «k» e le «x» della lingua shawnee. Al e gli altri bambini di Vigor Church imitavano spesso per gioco la lingua dei Rossi pronunciando a turno sfilze di parole senza senso del tipo «baxi taxi skakki waxi» per poi scompisciarsi dalle risate. Ma il modo in cui Ta-Kumsaw pronunciò quelle parole non aveva nulla di umoristico. Quando il Rosso ebbe finito di parlare, Al e Measure si ritrovarono di nuovo costretti a correre con una corda legata al collo. E quando i resti delle mutande cominciarono a calar loro sulle ginocchia facendoli inciampare, Ta-Kumsaw tornò indietro e strappò loro di dosso quegli ultimi brandelli facendo a pezzi il tessuto con le mani, l’espressione irata. Né Al né Measure se la sentirono di spiegargli che a quel punto erano quasi nudi, considerando che l’unico capo d’abbigliamento loro rimasto era la corda che avevano intorno al collo; ma quello non pareva il momento adatto a far rimostranze. Non avevano la minima idea di dove Ta-Kumsaw li stesse portando; ma siccome non avevano possibilità di scelta, non avevano neanche grandi motivi per chiederglielo.

Al e Measure non avevano mai corso tanto lontano e tanto a lungo in tutta la loro vita. Un’ora dopo l’altra, un miglio dopo l’altro, senza mai andare troppo in fretta, ma al tempo stesso senza fermarsi mai. Di quel passo, un Rosso a piedi poteva lasciarsi indietro un Bianco a cavallo, a meno che il Bianco non costringesse la bestia a galoppare in continuazione. Cosa che al cavallo non faceva certo bene. E il cavallo aveva bisogno di spazi aperti o di strade battute, mentre i Rossi… i Rossi non avevano neanche bisogno di sentieri.

Al non perse tempo a capire che per i Rossi correre nella foresta significava qualcosa di molto diverso che per lui e Measure. L’unico rumore che udiva erano i passi suoi e del fratello. Trovandosi quasi in fondo alla fila, Al poteva vedere quello che succedeva a Measure. Quando il Rosso che teneva Measure spingeva un ramo con il corpo, il ramo si piegava docilmente per lasciarlo passare. Ma un istante dopo, quando era Measure che cercava di passare, il ramo gli artigliava la pelle e poi si spezzava. I Rossi mettevano il piede su radici o ramoscelli senza inciampare e senza che si udisse il minimo rumore; quando Al metteva il piede nello stesso punto, regolarmente incespicava e rischiava di cadere, con il laccio che gli si stringeva intorno al collo; o il ramoscello gli si spezzava sotto il piede, o la ruvida scorza della radice gli lacerava la pelle. Al, essendo ancora un ragazzo, andava ancora parecchio in giro a piedi nudi, e aveva le piante dei piedi abbastanza indurite. Ma Measure portava ormai da qualche anno scarpe da adulto, e dopo non più di mezzo miglio Al vide che i piedi avevano cominciato a sanguinare.

Al pensò che intanto almeno una cosa poteva farla: aiutare i piedi di suo fratello a rimettersi in sesto. Provò dunque a entrargli dentro, a cercare la strada nel corpo di suo fratello come aveva fatto con la pietra, il legno e l’acciaio. Ma, correndo, concentrarsi gli era difficile. E la carne viva era decisamente troppo complicata.

Al, però, non era tipo da rinunciare troppo facilmente. E di conseguenza tentò una strada diversa. Poiché era la corsa a distrarlo, smise semplicemente di pensare a correre. Non guardò più il terreno. Non cercò di posare i piedi dove li posavano i Rossi davanti a lui, insomma non ci pensò proprio più. Come quando si vuole smorzare la luce di una lampada a olio, Al abbassò per così dire il suo stoppino, senza mettere a fuoco lo sguardo su nulla, senza pensare a nulla, lasciando che il suo corpo funzionasse come un piccolo animale domestico che lui poteva lasciar libero di andarsene come e quando voleva.

Al non si rendeva conto di fare esattamente ciò che fanno i rabdomanti, quando lasciano che la «cimice» esca dalla loro testa andandosene a zonzo a suo piacere. Bisogna anche riconoscere che proprio la stessa cosa non era, perché nessun rabdomante al mondo ha mai provato a cercar l’acqua correndo a perdifiato con un laccio stretto intorno al collo.

Adesso tuttavia Al non ebbe la minima difficoltà a entrare nel corpo di Measure, a trovare i punti che gli dolevano, le ferite sanguinanti sotto i piedi, il dolore ai muscoli delle gambe, la fitta al fianco. Guarire le ferite, rafforzare la pianta dei piedi, renderla dura e callosa fu abbastanza facile. Per quanto riguardava il resto, Al sentì che il corpo di Measure aveva un tremendo bisogno di respirare meglio, più a fondo, più in fretta; così Al gli entrò nei polmoni e li liberò, li aprì nei più profondi recessi. Ora, quando Measure inspirava, il suo corpo riusciva a usare l’aria molto meglio, strizzandola per così dire come un panno bagnato in modo da ricavarne il massimo vantaggio. Al capiva ben poco di quel che stava facendo… ma seppe che funzionava, perché il dolore nel corpo di Measure cominciò a diminuire, e il fratello non era più così stanco, non rantolava più cercando di prender fiato.

Quando ritornò in sé, Al si accorse che per tutto il tempo impiegato per aiutare Measure non gli era mai capitato di inciampare in un ramo o di spezzarlo, o di prendersi in faccia le frasche piegate dal passaggio del Rosso davanti a lui. Adesso invece aveva ripreso a inciampare, a prendersi rami in faccia, a spezzare ramoscelli. Sulle prime pensò: tutto questo succedeva ugualmente, solo che io neanche me ne accorgevo perché non facevo veramente attenzione alla mia pelle. Ma proprio mentre arrivava alla conclusione che dovesse proprio essere così e forse addirittura ci credeva, si rese conto che il rumore del mondo era cambiato. In quel momento era fatto solo di respiri e di piedi dalla pelle chiara che percuotevano il terreno duro o frusciavano in mezzo alle foglie morte e rinsecchite. Ogni tanto, il canto di un uccello o il ronzio di una mosca. Niente di speciale, se non fosse stato che adesso Al ricordava con estrema chiarezza che da quando era rientrato nel proprio corpo da quello di Measure dopo averlo sistemato, aveva cominciato a udire qualcos’altro, una specie di musica, una specie di… musica verde. La cosa gli parve del tutto assurda. Non era assolutamente possibile che la musica avesse un colore, la sua era soltanto un’idea balzana. E Al la scacciò dalla mente, semplicemente non ci pensò più. Ma anche senza pensarci, desiderava ardentemente udirla di nuovo. Udirla o vederla o fiutarla: comunque fosse arrivata a lui, voleva che tornasse.

Un altro piccolo particolare. Finché non era uscito dal proprio corpo per entrare in quello di Measure, non si era sentito affatto bene; a dire il vero, era praticamente sfinito. Ma ora stava benissimo, il suo corpo andava a meraviglia, respirava profondamente, le gambe e le braccia gli davano la sensazione di poter andare avanti per sempre, salde nel movimento come gli alberi nell’immobilità. Forse questo era successo perché, guarendo Measure, Alvin aveva in qualche modo guarito se stesso… Ma già mentre lo pensava questo non gli sembrò plausibile, perché lui sapeva sempre che cosa stava facendo e che cosa no. No, a parere di Al Junior se il suo corpo stava funzionando meglio il motivo doveva essere un altro. E quest’altro motivo o era parte della musica verde, o ne era la causa, o derivava dalla medesima causa. Questo almeno era quanto Al riusciva a capirne.

Costretti a correre in fila senza mai fermarsi, Al e Measure non ebbero la possibilità di parlarsi fino al crepuscolo, quando giunsero a un villaggio di Rossi situato sulla curva di un grande fiume dalle acque lente e profonde. Ta-Kumsaw li condusse fino al centro del villaggio, poi se ne andò lasciandoli soli. In fondo a una scarpata erbosa, a non più di cento braccia di distanza, scorrevano le acque del fiume.

«Pensi che ce la faremmo ad arrivare al fiume senza farci prendere?» sussurrò Measure.

«No» disse Al. «E poi non so nuotare. Papà non ha mai voluto che mi avvicinassi all’acqua.»

Poi le donne e i bambini uscirono dalle capanne di rami e di fango in cui vivevano e indicandosi a vicenda i due Bianchi nudi, l’uomo e il ragazzo, cominciarono a schernirli e a bersagliarli di zolle di terra. All’inizio Al e Measure cercarono di scansarle, con l’unico risultato che quelli risero ancora di più e cominciarono a correre in cerchio in modo da lanciare i proiettili di fango da diverse angolazioni, cercando di colpirli in faccia o all’inguine. Alla fine Measure si mise a sedere sull’erba, nascose la faccia tra le ginocchia e lasciò che lanciassero tutto quello che volevano. Al lo imitò. Dopo un po’ qualcuno latrò un ordine, e il bombardamento cessò. Quando Al alzò lo sguardo vide Ta-Kumsaw allontanarsi e due guerrieri mettersi di guardia per accertarsi che i prigionieri non dovessero subire altri spregi.

«Non ho mai corso tanto in vita mia» osservò Measure.

«Nemmeno io» gli fece eco Al.

«All’inizio, da quanto ero stanco credevo quasi di morire» disse Measure. «Poi ho ripreso fiato. Non avrei mai creduto di farcela.»

Al tacque.

«O in qualche modo c’entri anche tu. Eh?»

«Può darsi» disse Al.

«Riesci sempre a stupirmi, Alvin.»

«Anch’io» gli confidò Al, ed era la pura verità.

«Quando quell’accetta mi è calata sulle dita, ho pensato che fosse giunta la fine della mia camera lavorativa.»

«Ringrazia soltanto che non gli sia saltato in mente di affogarci.»

«Tu e quella benedetta acqua» esclamò Measure. «Be’, sono proprio contento che tu abbia fatto quello che hai fatto, Al. Anche se debbo dire che quando il capo mi ha sfidato alla lotta, avresti fatto meglio a non fargli fare quello scivolone.»

«Perché no?» chiese Alvin. «Non volevo che ti facesse del male…»

«Non potevi saperlo, Al, perciò non prendertela con te stesso. Ma quel tipo di lotta non ha lo scopo di far del male a qualcuno. È una specie di prova. Di virilità, di prontezza e cose del genere. Se mi avesse battuto, ma io gli avessi dato del filo da torcere, mi sarei guadagnato il suo rispetto; e se l’avessi battuto in leale combattimento, ebbene, proprio per questo mi avrebbe rispettato. Me l’ha raccontato Armor. I Rossi lo fanno in continuazione.»

Alvin ci meditò su. «Allora quando l’ho fatto cadere ho combinato un pasticcio?»

«Non lo so. Dipende da quello che secondo loro ne è stato il motivo. Magari hanno pensato che Dio fosse dalla mia parte, o roba del genere.»

«Allora secondo te credono in Dio?»

«Hanno un Profeta, no? Proprio come nella Bibbia. A ogni modo spero soltanto che non mi prendano per un codardo o un imbroglione. Per me allora le cose non si metterebbero troppo bene.»

«Bene, allora gli dirò che sono stato io» disse Al.

«Non provartici nemmeno» ribatté Measure. «Se ci siamo salvati, è stato soltanto perché non sapevano che eri tu a combinare quelle cose con i coltelli, le accette e via dicendo. Se avessero capito che eri tu, Al, ti avrebbero spaccato la testa, ridotto in polpette, e poi avrebbero fatto di me quel che volevano. A salvarti è stato soltanto il fatto che non capivano che cosa stesse succedendo.»

Poi cominciarono a parlare di quanto papà e mamma si stavano certamente preoccupando, chiedendosi se la mamma era soltanto infuriata, o se magari era così in pensiero da non riuscire ad arrabbiarsi con papà, e a quel punto sicuramente qualcuno era partito per venire a cercarli, anche se i cavalli non fossero mai arrivati a casa, perché quando non si erano fatti vedere per cena dai Peachee questi ultimi non avevano certamente perso un istante a dare l’allarme.

«A quest’ora parleranno senz’altro di guerra ai Rossi» fece Measure. «Di questo sono sicuro… dalle parti di Carthage c’è già un sacco di gente che ce l’ha a morte con Ta-Kumsaw, dopo che all’inizio di quest’anno lui gli ha fatto scappare tutto il bestiame.»

«Eppure è stato Ta-Kumsaw a salvarci» disse AL.

«O almeno così pare. Ma non posso fare a meno di notare che non ci ha riportati a casa nostra, né si è sognato di chiederci dove fosse. E com’è possibile che sia arrivato proprio in quel momento, se in qualche modo non c’entrava anche lui? No, Al, non so che cosa stia succedendo, ma Ta-Kumsaw non ci ha salvato, o se ci ha salvato l’ha fatto per motivi suoi, e non certo per il nostro bene. Tanto per cominciare, non è che mi diverta molto a starmene nudo come un verme nel bel mezzo di un villaggio di Rossi.»

«Nemmeno a me. E ho fame.»

Non era passato molto tempo, tuttavia, che Ta-Kumsaw in persona fece la sua comparsa reggendo una pentola di farinata di mais. Era quasi buffo, vedere quel Rosso di alta statura e dal portamento regale andarsene in giro con una pentola come una brava madre di famiglia. Ma dopo il primo istante di sorpresa, Al si rese conto che quand’era Ta-Kumsaw a farlo, andarsene in giro con una pentola pareva quanto di più nobile vi potesse essere al mondo.

Ta-Kumsaw depose la pentola di fronte ad Al e a Measure, quindi si sfilò da dietro il collo due strisce di tessuto. «Vestito» disse, porgendo una striscia a ciascuno. Né Al né Measure avevano la minima idea di come indossare un perizoma, anche perché Ta-Kumsaw aveva ancora in mano le cinture di daino che avrebbero dovuto sorreggerlo. Di fronte alla loro perplessità Ta-Kumsaw rise, quindi fece cenno ad Al di mettersi in piedi e gli fece indossare lui stesso il perizoma, mostrando a Measure come doveva fare per coprirsi a sua volta. Non era l’abbigliamento a cui i due fratelli erano abituati, ma era sempre meglio che starsene nudi come vermi.

Poi Ta-Kumsaw si mise a sedere sull’erba, mettendo la pentola tra sé e loro, e mostrò loro come mangiare la farinata: si infilava la mano nella pentola, si estraeva una manata di quella poltiglia tiepida e gelatinosa, e la si cacciava nella bocca spalancata. Quella roba era così insipida che Alvin al primo boccone quasi si strozzò. Measure lo vide e disse: «Mangia». Così Alvin mangiò, e dopo qualche boccone cominciò a sentire che la sua pancia ne desiderava dell’altra, anche se doveva ancora esercitare una certa violenza per convincere la gola a svolgere le sue funzioni.

Quando la pentola fu ben ripulita, Ta-Kumsaw la mise da parte. Quindi fissò Measure per qualche istante. «Come hai fatto a farmi cadere, vigliacco d’un Bianco?» chiese.

Al avrebbe voluto prendere la parola, ma Measure lo anticipò, parlando troppo forte e troppo in fretta. «Non sono un vigliacco, capo Ta-Kumsaw, e se tu volessi batterti ancora con me, ti affronterei lealmente.»

Ta-Kumsaw sorrise con severità. «Perché tu mi faccia cadere a terra sotto gli occhi delle donne e dei bambini?»

«Sono stato io» si intromise Alvin.

Ta-Kumsaw girò la testa, lentamente, senza che il sorriso abbandonasse il suo viso… ma la sua espressione non era più così severa. «Tu, miserabile marmocchio? E tu saresti capace di farmi mancare il terreno sotto i piedi?»

«Ho questo dono» disse Alvin. «Non sapevo che non volevi fargli del male.»

«Ho visto un’accetta» rifletté Ta-Kumsaw. «Con dei segni fatti così.» Agitò il dito come a tracciare il contorno delle cavità che le dita di Measure avevano lasciato nella lama dell’accetta. «Sei stato tu?»

«Non è giusto tagliare le dita degli altri.»

Ta-Kumsaw rise fragorosamente. «Molto bene!» Poi si chinò avvicinando il viso a quello di Alvin. «I doni degli uomini bianchi fanno rumore, molto rumore. Ma tu agisci silenziosamente, così silenziosamente che nessuno se ne accorge.»

Al non aveva la minima idea di quello di cui Ta-Kumsaw stava parlando.

Dopo una pausa di silenzio, Measure si azzardò a fare una domanda. «Che cosa intendi fare di noi, capo Ta-Kumsaw?»

«Domani coniamo ancora» li informò il Rosso.

«Be’, perché allora non consideri la possibilità di lasciarci correre verso casa? In questo momento ci staranno cercando almeno un centinaio di uomini, infuriati come calabroni. Se non ci lasci tornare a casa, saranno guai.»

Ta-Kumsaw scosse la testa. «Mio fratello vi vuole.»

Measure guardò Alvin, poi di nuovo Ta-Kumsaw. «Ti riferisci al Profeta?»

«A Tenska-Tawa» disse Ta-Kumsaw.

Measure assunse un’espressione sofferente. «Vuoi dire che dopo che lui ha costruito la sua Prophetstown e per quattro anni nessuno gli ha dato il minimo fastidio e Bianchi e Rossi sono andati d’amore e d’accordo, adesso se ne va in giro a catturare Bianchi e a torturarli e…»

Ta-Kumsaw batté forte le mani. Measure ammutolì. «Sono stati i Chok-Taw a catturarvi! Sono stati i Chok-Taw a cercare di uccidervi! La mia gente non uccide, se non per difendere la propria terra e le proprie famiglie dai ladri e dagli assassini bianchi. E i seguaci di Tenska-Tawa non uccidono neanche ladri e assassini.»

Era la prima volta che Al sentiva accennare a una distinzione tra la gente di Ta-Kumsaw e quella del Profeta.

«E allora come hai fatto a sapere dov’eravamo?» chiese Measure. «Come hai fatto a sapere dove ci trovavamo?»

«È stato Tenska-Tawa a vedervi» disse Ta-Kumsaw. «Mi ha detto di trovarvi il prima possibile, liberarvi dai Chok-Taw e portarvi al lago Mizogan.»

Measure, che conosceva meglio di Alvin le carte di Corazza-di-Dio, riconobbe quel nome. «È il grande lago dove si trova Fort Chicago.»

«Noi non andiamo a Fort Chicago» disse Ta-Kumsaw. «Andiamo nel luogo sacro.»

«Una chiesa?» chiese Alvin.

Ta-Kumsaw rise. «Voi Bianchi quando fate sacro un luogo costruite delle mura in modo che niente di ciò che fa parte della terra possa entrarvi. Il vostro dio non è niente e non sta da alcuna parte, perciò voi costruite chiese in cui non c’è niente di vivo, chiese che potrebbero stare ovunque, non importa dove… niente e da nessuna parte.»

«E allora che cos’è a rendere sacro un posto?» chiese Alvin.

«È dove l’uomo rosso parla alla terra, e la terra gli risponde.» Ta-Kumsaw sorrise. «Dormite, ora. Domani partiremo prima dell’alba.»

«Stanotte ha l’aria di volere far freddo» disse Measure.

«Le donne vi porteranno delle coperte. I guerrieri non ne hanno bisogno. Siamo d’estate.» Ta-Kumsaw si allontanò di qualche passo, quindi si voltò per rivolgersi nuovamente a Alvin. «Weaw-Moxiky correva dietro di te, ragazzo bianco. Ha visto che cosa facevi. Quando sarai di fronte a Tenska-Tawa, non nascondere nulla. Se tu mentissi, se ne accorgerebbe subito.» Un istante dopo il capo era scomparso.

«Di che diavolo sta parlando?» chiese Measure.

«Mi piacerebbe saperlo» disse Al. «Mi sa proprio che avrò dei problemi a dire la verità, se non ho la minima idea di quel che vogliono sapere.»

Poco dopo arrivarono le coperte. Al si accoccolò contro il fratello maggiore, più per farsi coraggio che per scaldarsi. Lui e Measure continuarono a bisbigliare per qualche tempo, cercando di risolvere i numerosi enigmi della giornata. Se inizialmente Ta-Kumsaw non aveva avuto niente a che fare con quella storia, per quale motivo i Chok-Taw avevano inciso sulle selle il suo nome e quello del Profeta? Anche ammettendo che quella fosse solo una messinscena, alla fine i prigionieri se li era presi lui e ora li stava portando al lago Mizogan, invece di lasciarli semplicemente andare a casa. E questo avrebbe fatto una pessima impressione. Per evitare una guerra, qualcuno avrebbe dovuto dar fondo a tutte le sue risorse dialettiche.

Ma alla fine tacquero, sfiniti dopo tanto correre, per non parlare della fatica fatta per spostare l’albero, e della paura che si erano presi quando i Chok-Taw si erano messi in mente di torturarli. Measure cominciò a russare piano. Alvin si sentì a poco a poco invadere dalla sonnolenza. Negli ultimi istanti prima di addormentarsi, udì di nuovo quella musica verde, o la vide, o comunque ne avvertì la presenza. Ma prima di poterla veramente ascoltare, si assopì. Si assopì e dormì tranquillamente, con la brezza notturna che portava fino a loro la frescura del fiume; con la coperta e il tepore del corpo di Measure a tenergli caldo, i versi degli animali notturni, il pianto di un lattante affamato da una capanna, chissà dove; tutto questo faceva parte della musica verde che gli fluiva nella testa.

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