X IL GATLOPP

Measure ebbe poche occasioni di stare con Alvin… troppo poche. Dopo l’episodio della tromba d’aria, Measure era convinto che Alvin si sarebbe reso conto del pericolo, e non avrebbe visto l’ora di andarsene. Sembrava invece che Alvin desiderasse soltanto ascoltare il Profeta, rapito dalle storie e dalla perversa saggezza poetica che questi dispensava.

Una volta che Alvin si era finalmente degnato di concedergli il tempo necessario a mettersi a sedere e scambiare due parole, Measure gli chiese che mai ci trovasse di tanto affascinante. «Anche quando parlano inglese, quei Rossi io proprio non li capisco. Parlano di questa terra come se fosse una persona, dicono che bisogna uccidere solo gli esseri viventi che si offrono spontaneamente, che a est del Mizzipy la terra sta morendo… mentre qui anche un cieco può vedere che non sta morendo proprio nulla. E anche se si fosse beccata il vaiolo, la peste bubbonica e diecimila unghie incarnite, non ci sarebbe dottore capace di curarla.»

«Non un dottore, ma Tenska-Tawa sì» disse Alvin.

«E allora che la curi, e intanto noi andiamocene a casa.»

«Un altro giorno, Measure.»

«Mamma e papà saranno distrutti, penseranno che siamo morti!»

«Tenska-Tawa dice che la terra sta provvedendo da sola a trovare una soluzione.»

«Eccoci di nuovo! La terra è solo terra, e non ha niente a che vedere col fatto che per trovarci papà sta facendo setacciare la foresta a palmo a palmo!»

«Vacci senza di me, allora.»

Ma a quel punto Measure non era ancora arrivato. La prospettiva di dover affrontare sua madre e spiegarle come mai fosse tornato a casa senza Alvin non lo allettava affatto. «Ecco, quando l’ho lasciato stava benissimo. Giocava con le trombe d’aria e camminava sull’acqua assieme a un Rosso con un occhio solo. Ancora non aveva voglia di tornare a casa, lo sai come sono i ragazzi.» No, Measure non si sentiva ancora pronto a tornare a casa senza Alvin a rimorchio. E portarlo via contro la sua volontà era fuori questione. Quando gli proponeva di scappare, Alvin neanche lo ascoltava.

L’aspetto peggiore di tutta la faccenda era che mentre tutti trovavano Alvin simpaticissimo e chiacchieravano con lui in inglese e in shawnee, a Measure nessuno si degnava di rivolgere la parola, tranne lo stesso Ta-Kumsaw o il Profeta; ma quest’ultimo parlava in continuazione, che ci fosse qualcuno ad ascoltarlo o no. Così Measure bighellonava tutto il giorno, soffrendo tremendamente la solitudine. Né gli era concesso di allontanarsi troppo. Nessuno gli rivolgeva la parola, ma non appena si allontanava troppo dalle dune andando verso la foresta, qualcuno si premurava immediatamente di scoccare una freccia che si conficcava con un tonfo sordo nella sabbia davanti ai suoi piedi. Se quelli evidentemente nutrivano una cieca fiducia nella propria mira, Measure non ne aveva affatto, e l’idea che la freccia potesse deviare anche solo di un capello non lo divertiva affatto.

Quando ci pensava seriamente, Measure capiva benissimo che fuggire era un’idea assolutamente cretina, perché lo avrebbero riacchiappato in quattro e quattr’otto. Ma quello che non riusciva proprio a capire era perché non volessero lasciarlo andare. Non avevano niente da fargli fare. La sua presenza era del tutto inutile. Allo stesso tempo, giuravano che non avevano la minima intenzione di ammazzarlo, o anche solo di torturarlo un pochino.

Al quarto giorno in mezzo a quelle dune, tuttavia, decise di affrontare la faccenda di petto. Andò da Ta-Kumsaw e chiese esplicitamente di essere lasciato andare. Ta-Kumsaw parve scocciato, ma questo per lui era perfettamente normale. Stavolta, tuttavia, Measure non aveva intenzione di recedere.

«Non lo capisci che tenerci qui per voi è pura e semplice idiozia? Non è che siamo spariti senza lasciar traccia. A questo punto avranno sicuramente ritrovato i cavalli, col tuo nome scritto sopra per dritto e per rovescio.»

E per la prima volta Measure si rese conto che Ta-Kumsaw di quei cavalli non sapeva assolutamente nulla. «Il mio nome non è scritto su alcun cavallo.»

«Sulle selle, capo. Non lo sapevi? Quei Chok-Taw che ci avevano rapiti — ammesso che non fossero anche loro gente tua, cosa di cui non sono ancora del tutto sicuro — sulla sella del mio cavallo hanno inciso il tuo nome, e sulla sella del cavallo di Alvin quello del Profeta. Poi li hanno punzecchiati ben bene per farli correre. Quelle bestie saranno filate a casa come il vento.»

Il volto di Ta-Kumsaw parve offuscarsi, mentre i suoi occhi mandavano lampi. Volendo immaginare un dio del tuono, pensò Measure, ecco a chi potrebbe somigliare. «I Bianchi sicuramente penseranno che sono stato io a rapirli» disse Ta-Kumsaw.

«Non lo sapevi?» chiese Measure. «Ma guarda un po’. Da come vi comportate, mi ero fatto l’idea che voialtri Rossi sapeste tutto. Ho addirittura cercato di parlarne con qualcuno dei tuoi ragazzi, ma quelli mi girano subito le spalle. E nel frattempo nessuno di voi sapeva nulla.»

«Io no» disse Ta-Kumsaw. «Ma qualcun altro sì.» Si allontanò a lunghi passi, per quanto glielo permetteva la cedevole superficie della sabbia; poi all’improvviso si fermò, voltandosi. «Vieni anche tu, ho bisogno di te!»

Così Measure lo seguì fino al wigwam rivestito di corteccia d’albero in cui il Profeta teneva da mattina a sera lezione di catechismo, o quel che era. Ta-Kumsaw non esitò certo a fargli capire quanto fosse infuriato. Senza dire una parola, fece il giro del wigwam allontanando a calci le pietre che lo tenevano ancorato al terreno. Poi lo agguantò a un’estremità e cominciò a sollevarlo. «Per far questo bisogna essere in due» disse.

Measure si accovacciò accanto a lui, afferrò saldamente il bordo del wigwam e contò a voce alta fino a tre. Poi cercò di sollevarlo. Ta-Kumsaw però non si mosse, così che il wigwam si alzò di due o tre palmi e ricadde pesantemente a terra.

Measure grugnì per lo sforzo lanciando a Ta-Kumsaw un’occhiata incendiaria. «Perché non hai tirato?»

«Sei arrivato solo fino a tre» disse Ta-Kumsaw.

«Ma è così che si fa, capo. Uno, due, tre.»

«Voi Bianchi siete così stupidi. Lo sanno tutti che il numero potente è il quattro.»

Ta-Kumsaw contò fino a quattro. Stavolta coordinarono gli sforzi e il wigwam si alzò ribaltandosi dall’altra parte. A questo punto, si capisce, chiunque fosse all’interno aveva capito che cosa stava succedendo, ma nessuno gridò o ebbe particolari reazioni. E quando il wigwam giacque a terra capovolto come una tartaruga rovesciata, videro il Profeta, Alvin e alcuni Rossi seduti a gambe incrociate su una coperta distesa sulla sabbia, mentre il Rosso orbo da un occhio continuava a discorrere come se niente fosse accaduto.

Ta-Kumsaw cominciò a urlare in shawnee, e il Profeta gli rispose, prima mitemente, poi sempre più forte. Ne venne fuori un litigio coi fiocchi, in cui entrambi urlavano in una maniera che secondo l’esperienza di Measure poteva finire solo a botte. Ma non nel caso di quei due Rossi. Dopo aver urlato a squarciagola per una mezz’ora buona, alla fine rimasero lì uno di fronte all’altro, ansimanti, senza scambiarsi una sola parola. Quel silenzio durò solo qualche istante, ma parve più lungo delle urla.

«Ci capisci qualcosa?» chiese Measure.

«So soltanto che il Profeta aveva detto che oggi sarebbe venuto qui Ta-Kumsaw, e che sarebbe stato molto arrabbiato.»

«Be’, se lo sapeva, perché non ha fatto qualcosa per impedirlo?»

«Oh, a queste cose sta sempre molto attento. Ha fatto in modo che tutto andasse come doveva andare perché questa terra fosse divisa equamente tra Bianchi e Rossi. E se si mette a cambiare qualcosa solo perché sa già come andrà a finire, potrebbe disfare tutto quanto, mandare tutto a monte. Insomma, sa che cosa succederà, ma non si sogna nemmeno di rivelarlo a chiunque possa cambiare qualcosa.»

«E allora a che gli serve conoscere il futuro, se non può fare niente per cambiarlo?»

«Qualcosa fa» disse Alvin. «Ma non è detto che debba raccontare ai quattro venti quello che sta facendo. Ecco perché quando è arrivata la tromba d’aria ha creato la torre di cristallo. Per essere sicuro che la visione fosse ancora come doveva essere, che niente fosse andato storto.»

«E ora che cosa succede? Perché litigano?»

«Forse sei tu quello che può spiegarmelo, Measure. Sei tu quello che l’ha aiutato a rovesciare il wigwam.»

«Non ci capisco nulla. Gli ho solo raccontato del suo nome e di quello di Ta-Kumsaw incisi sulle nostre selle.»

«Questo lo sapeva già» disse Alvin.

«Be’, sicuramente si è comportato come se fosse la prima volta che ne sentiva parlare.»

«L’ho detto io stesso al Profeta, la notte dopo che mi aveva portato con sé nella torre.»

«Non ti viene il sospetto che il Profeta non l’abbia detto a Ta-Kumsaw?»

«E perché no?» chiese Alvin. «Che motivo aveva per non dirglielo?»

Measure annuì pensosamente. «Ho la sensazione che sia la stessa domanda che Ta-Kumsaw sta rivolgendo a suo fratello in questo preciso istante.»

«Se non gliel’ha detto, è stata una pazzia» commentò Alvin. «Pensavo che Ta-Kumsaw avesse mandato qualcuno ad avvertire i nostri genitori che eravamo sani e salvi.»

«Lo sai che cosa penso, Al? Penso che il tuo Profeta ci abbia presi bellamente per il naso. Anche senza fare grandi voli di fantasia, ho idea che abbia un suo piano, e che parte di questo piano consista nell’impedirci di tornare a casa. E siccome questo vuol dire che amici, vicini e tutti quanti prenderanno sicuramente le armi, alla conclusione puoi arrivarci anche da solo. Mi sa proprio che il tuo Profeta abbia in mente una guerra coi fiocchi.»

«No!» disse Alvin. «Il Profeta dice che nessuno può uccidere un altro uomo che non voglia morire, che uccidere un uomo bianco non è meno sbagliato che uccidere un lupo o un orso senza averne bisogno per sfamarsi.»

«Può anche darsi che nemmeno noi gli serviamo per sfamarsi. Ma a una guerra andrà incontro di sicuro, se non torniamo a casa e non spieghiamo ai nostri che siamo sani e salvi.»

Proprio in quel momento Ta-Kumsaw e il Profeta smisero di parlare. E a rompere il silenzio fu Measure. «Non è che a voialtri adesso andrebbe di lasciarci tornare a casa?»

Il Profeta si lasciò immediatamente cadere su una coperta in posizione a gambe incrociate di fronte ai due Bianchi. «Torna a casa, Measure» disse il Profeta.

«Non senza Alvin.»

«Sì, senza Alvin» disse il Profeta. «Se resta in questa parte del paese, morirà.»

«Di che diavolo stai parlando?»

«Di quello che ho visto con i miei stessi occhi!» disse il Profeta. «Delle cose che verranno. Se Alvin tornasse a casa adesso, nel giro di tre giorni sarebbe morto. Ma tu vacci, Measure. Domani pomeriggio è il momento ideale per la tua partenza.»

«E di Alvin che ne farai? Pensi che con te sia più al sicuro?»

«Non con me» disse il Profeta. «Con mio fratello.»

«Che razza di stupida idea sarebbe questa?» urlò Ta-Kumsaw.

«Mio fratello farà molte visite. Andrà dai francesi di Detroit, dagli Irrakwa, negli Appalachi, dai Chok-Taw e dai Cree-Ek, da tutti i Rossi e tutti i Bianchi che possano impedire lo scoppio di una guerra spaventosa.»

«Se dovessi parlare ai Rossi, Tenska-Tawa, direi loro di scendere in guerra assieme a me, per ricacciare i Bianchi oltre le montagne, per costringerli a risalire sulle loro navi e a lasciare questa terra per sempre!»

«Di’ loro tutto quello che vuoi» disse Tenska-Tawa. «Ma parti questo pomeriggio, portando con te il ragazzo bianco che cammina come un uomo rosso.»

«No» ribatté Ta-Kumsaw.

Una smorfia di sofferenza attraversò il viso di Tenska-Tawa, che gemette forte. «Allora tutta la terra morirà, non solo una parte. Se non fai quello che ti dico, l’uomo bianco ucciderà tutta la terra, e da un oceano all’altro, da nord a sud, tutta la terra sarà morta! E tutti gli uomini rossi moriranno, tranne pochissimi, costretti a vivere in minuscoli appezzamenti desertici simili a prigioni, e lì trascorreranno tutta la loro esistenza perché non avrai dato ascolto a ciò che ho visto nella mia visione!»

«Ta-Kumsaw non obbedisce alle visioni di un pazzo! Ta-Kumsaw è il volto della terra, la voce della terra. È stato il pettirosso a dirmelo, e tu stesso lo sai bene, Lolla-Wossiky!»

La voce del Profeta adesso era solo un sussurro. «Lolla-Wossiky è morto.»

«La voce della terra non obbedisce a un Rosso ubriacone orbo da un occhio.»

Il Profeta era stato ferito nell’intimo, ma si mantenne impassibile. «Tu sei la voce della rabbia della terra. E affronterai in battaglia un potente esercito di Bianchi. Questo succederà avanti che cada la prima neve. E ti dico che se il ragazzo bianco, Alvin, non sarà con te, morirai sconfitto.»

«E se sarà con me?»

«Allora vivrai» disse il Profeta.

«Verrò» decise Alvin. Quando Measure fece per protestare, Alvin gli toccò il braccio. «Puoi dire a papà e mamma che sto bene. Ma io voglio andare con lui. Il Profeta mi ha detto che da Ta-Kumsaw posso imparare di più che da qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra.»

«Allora verrò con te» disse Measure. «Ho dato la mia parola ai nostri genitori.»

Il Profeta lo squadrò gelidamente. «Tu tornerai dalla tua gente.»

«Allora Alvin verrà con me.»

«Non sei tu che puoi dirlo» ribatté il Profeta.

«E tu, allora? Solo perché i tuoi ragazzi sono armati di arco e frecce, e io no?»

Ta-Kumsaw stese la mano toccando Measure sulla spalla. «Non sei uno stupido, Measure. Qualcuno deve pur tornare dalla vostra gente a dire che tu e Alvin non siete morti.»

«Se lo lascio, come faccio a sapere che non è morto, eh?»

«Lo saprai» disse Ta-Kumsaw «perché io ti dico che finché vivrò nessun uomo rosso alzerà una mano su questo ragazzo.»

«E finché lui resta con te, nessuno potrà alzare la mano su di te, non è vero? Il mio fratellino dunque non sarebbe né più né meno che un ostaggio…»

Measure capiva che Ta-Kumsaw e Tenska-Tawa erano talmente infuriati che in quel momento la sua vita era appesa a un filo; ma a sua volta sapeva di essere talmente infuriato da esser disposto a fracassarsi un pugno sul viso di qualcuno. Ed era proprio ciò che sarebbe potuto succedere se Alvin non avesse preso in mano la situazione, facendosi avanti con tutta l’imponenza dei suoi dieci anni e del suo metro e mezzo di altezza.

«Measure, sai meglio di chiunque altro che sono in grado di badare a me stesso. Basta che tu racconti a papà e mamma quello che ho fatto a quei Chok-Taw, e capiranno che sono all’altezza. Tanto mi avrebbero mandato via ugualmente, no? Già, a fare l’apprendista fabbro. Be’, per un po’ farò da apprendista a Ta-Kumsaw, ecco tutto. E tutti sanno che a parte forse Tom Jefferson, Ta-Kumsaw è l’uomo più importante che ci sia oggi in America. Se in qualche modo posso contribuire a salvargli la vita, ebbene, è mio dovere farlo. E se tornando a casa puoi impedire che scoppi una guerra, è tuo dovere farlo. Non capisci?»

Measure lo capiva, eccome, e sarebbe anche stato d’accordo. Ma sapeva anche che ciò significava affrontare i suoi genitori. «Nella Bibbia si racconta di Giuseppe, figlio di Giacobbe, preferito dal padre a tutti gli altri figli. I suoi fratelli lo odiavano e lo vendettero come schiavo, poi presero la sua veste, l’inzupparono nel sangue di una capra, la ridussero in brandelli, quindi tornarono dal padre dicendo: ‘Guarda, Giuseppe è stato divorato dai leoni’. E il padre si strappò gli abiti e non la smetteva più di piangere e disperarsi.»

«Ma tu gli dirai che non sono morto.»

«Sì, andrò a raccontargli che ti ho visto ammorbidire lame d’acciaio, camminare sull’acqua, prendere il volo in una tromba d’aria… Sapendo che trascorri una vita così monotona e priva di rischi insieme con questi Rossi, dormiranno sicuramente sonni tranquilli.»

Ta-Kumsaw lo interruppe: «Non sei che un vigliacco» disse. «Hai paura di dire la verità a tuo padre e a tua madre.»

«Ho dato loro la mia parola» si ostinò Measure.

«Non sei che un vigliacco. Non vuoi correre il rischio. Hai paura dei pericoli. Vuoi che Alvin resti con te per proteggerti!»

Per Measure questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Sferrò un pugno col braccio destro, fermamente intenzionato a entrare in contatto col sorriso di Ta-Kumsaw. Quando Ta-Kumsaw parò il colpo, Measure non ne rimase sorpreso; ciò che lo turbò fu la facilità con cui il Rosso gli aveva afferrato il polso, torcendolo da una parte. Measure si infuriò ancora di più e cercò di piazzare un sinistro al ventre di Ta-Kumsaw. Stavolta il contatto ci fu, ma il ventre del capo non era più cedevole di un ceppo di legno, e un istante dopo Ta-Kumsaw gli aveva immobilizzato anche l’altra mano.

Così Measure fece ciò che al suo posto avrebbe fatto qualsiasi buon lottatore. Alzò di scatto il ginocchio, centrando in pieno Ta-Kumsaw in mezzo alle gambe.

Ora, Measure fino a quel momento aveva fatto ricorso a quella mossa solo due volte, e in entrambi i casi il suo avversario era rovinato a terra senza opporre resistenza, contorcendosi come un lombrico calpestato. Ta-Kumsaw invece restò lì dritto impalato, come intento ad assorbire il dolore, sempre più infuriato a ogni istante che passava. Siccome stringeva sempre Measure per i polsi, il ragazzo cominciò a temere che dalla rabbia il Rosso gli strappasse in un colpo solo entrambe le braccia.

Ma Ta-Kumsaw lo lasciò andare.

Measure ritrasse le braccia e si strofinò i polsi indolenziti dove le dita del capo avevano lasciato una serie di segni bianchi. Ta-Kumsaw sembrava infuriato, certo, ma non con Measure. Era con Alvin che ce l’aveva. Si voltò abbassando sul ragazzo uno sguardo fiammeggiante, come se fosse stato sul punto di scuoiarlo vivo e fargli mangiare la sua stessa pelle.

«Hai osato giocarmi i tuoi sporchi trucchetti da Bianco» disse.

«Non volevo che nessuno dei due si facesse male» si giustificò Alvin.

«Mi ritieni un vigliacco come tuo fratello? Pensi che abbia paura del dolore?»

«Measure non è un vigliacco!»

«Già una volta mi ha buttato a terra con uno dei suoi trucchi!»

A Measure non piacque udire per la seconda volta la stessa accusa. «Sai benissimo che non gli avevo chiesto nulla! Battiamoci ora, se vuoi, e combatterò lealmente!»

«Prendendomi a ginocchiate?» disse Ta-Kumsaw. «Tu non sai che cosa voglia dire battersi da uomo.»

«Mi batterò con te in qualsiasi modo tu voglia» lo sfidò Measure.

Ta-Kumsaw sorrise. «Al gatlopp, allora.»

Ormai intorno a loro si era raccolta una piccola folla di Rossi, che alla parola gatlopp cominciarono a ridere e a lanciare urla di spregio.

Non c’era un solo Bianco in America che non avesse sentito narrare come Daniel Boone fosse riuscito a sfuggire ai Rossi la prima volta che lo avevano catturato, quando l’avevano fatto passare sotto il gatlopp, e lui era partito di corsa e non si era più fermato; ma circolavano anche storie di Bianchi che erano stati bastonati a morte. Scambiastorie aveva raccontato loro qualcosa a questo proposito, l’ultima volta che era stato da loro, l’anno precedente. Il gatlopp era come un processo, in cui i Rossi ti colpivano con maggiore o minor forza a seconda di quanto ti ritenessero meritevole di morte. Se ti ritenevano un coraggioso, ti picchiavano forte per metterti alla prova. Ma se ti consideravano un vigliacco, ti fracassavano le ossa in modo che tu non potessi uscirne vivo. Il capo non poteva ordinare al gatlopp con quanta forza colpire, o dove. Era il sistema di far giustizia più democratico e spietato che esistesse sulla faccia della terra.

«Vedo che hai paura» disse Ta-Kumsaw.

«Certo che ho paura» disse di rimando Measure. «Sarei un idiota a non averne, soprattutto visto che i tuoi ragazzi già mi considerano un vigliacco.»

«Mi sottoporrò anch’io alla prova, camminando davanti a te» decise Ta-Kumsaw. «E dirò loro di colpirmi con la stessa forza con cui colpiranno te.»

«Non lo faranno» borbottò Measure.

«Se glielo dico, lo faranno» disse Ta-Kumsaw. Doveva aver visto l’incredulità sul viso di Measure, perché subito dopo aggiunse: «Se così non fosse, passerò sotto il gatlopp una seconda volta».

«E se mi uccideranno, morirai anche tu?»

Ta-Kumsaw studiò per qualche istante il corpo di Measure. Magro e forte Measure sapeva di esserlo, a forza di abbattere alberi e spaccar legna, portare secchi d’acqua, sollevare balle di fieno e issare sacchi di grano nel mulino. Ma non era duro. La sua pelle era malamente scottata a causa del sole preso sulle dune, anche se aveva cercato di proteggersi con una coperta. Forte ma morbido, così lo giudicò Ta-Kumsaw dopo averlo studiato.

«Il colpo capace di ucciderti» disse Ta-Kumsaw «a me non procurerebbe che qualche livido.»

«Allora ammetti che non è leale.»

«Lealtà è quando due uomini affrontano lo stesso dolore. Coraggio è quando due uomini affrontano lo stesso dolore. Tu non vuoi una prova leale, vuoi una prova facile. Vuoi esser sicuro. Sei un vigliacco. Sapevo che non l’avresti fatto.»

«Lo farò» disse Measure.

«E tu!» esclamò Ta-Kumsaw, puntando il dito verso Alvin. «Non toccherai nulla, non curerai nulla, non guarirai nulla, non allevierai il dolore di nessuno!»

Alvin non proferì verbo, limitandosi a fissarlo. Era l’espressione che Alvin assumeva quando non aveva la minima intenzione di fare quello che gli dicevi.

«Al» intervenne Measure. «Devi promettermi che non ti immischierai.»

Al strinse più forte le labbra e non rispose.

«È meglio che tu mi prometta di non immischiarti, Alvin Junior, o io a casa non ci andrò proprio.»

Alvin promise. Ta-Kumsaw annuì e si avvicinò ai suoi ragazzi, rivolgendosi a loro in shawnee. A Measure dalla paura veniva voglia di vomitare.

«Perché hai paura, uomo bianco?» chiese il Profeta.

«Perché non sono uno stupido» disse Measure. «Solo uno stupido non avrebbe paura di passare sotto il gatlopp.»

Il Profeta rise e se ne andò.

Alvin era di nuovo seduto sulla sabbia, intento a disegnare col dito, o a scrivere, o quel che era.

«Non sei arrabbiato con me, vero, Alvin? Perché devo proprio dirtelo, non puoi essere arrabbiato con me più di quanto io non sia arrabbiato con te. Verso questi Rossi non hai alcun debito, ma verso papà e mamma ce l’hai, eccome. Così come stanno le cose, non posso costringerti a far nulla, ma posso dirti che mi vergogno di vederti dalla loro parte, contro di me e il resto della tua famiglia.»

Al sollevò lo sguardo, e i suoi occhi erano pieni di lacrime. «Forse in realtà sono dalla parte della mia famiglia, non ci hai pensato?»

«Mi pare un modo ben strano, visto che in questo modo sicuramente farai star male tuo padre e tua madre per mesi e mesi.»

«Non ti viene mai da pensare a qualcosa di più grande della nostra famiglia? Non ti viene da pensare che forse il Profeta stia preparando un piano per salvare la vita a migliaia e migliaia di Rossi e di Bianchi?»

«Ecco la differenza tra me e te» disse Measure. «Io non credo che esista qualcosa di più grande della famiglia.»

Quando Measure se ne andò, Alvin stava ancora scrivendo. Measure non aveva fatto caso a ciò che Alvin aveva scritto sulla sabbia. L’aveva visto, ma non l’aveva guardato, non l’aveva letto. Ora, tuttavia, quelle parole gli balzarono alla mente, SCAPPA SUBITO, ecco quello che Alvin stava scrivendo. Un messaggio per lui? E allora perché non gliel’aveva comunicato a voce? La cosa non aveva senso. Probabilmente quelle parole non erano dirette a lui. E sicuramente Measure non aveva la minima intenzione di scappare. Se l’avesse fatto, Ta-Kumsaw e tutti quei Rossi lo avrebbero considerato per sempre un vigliacco. E poi che differenza ci sarebbe stata? In quei boschi i Rossi l’avrebbero acchiappato in un batter d’occhio, e l’avrebbero comunque fatto passare sotto il gatlopp, solo che stavolta sarebbe stato molto peggio.

I guerrieri formarono una doppia fila sulla sabbia. Ciascuno aveva in mano un bastone o un grosso ramo. Measure guardò un vecchio togliere a Ta-Kumsaw la collana che questi portava al collo, quindi il perizoma. Ta-Kumsaw si girò verso Measure e sorrise: «L’uomo bianco quando non ha vestiti è nudo. L’uomo rosso nella sua terra non è mai nudo. I miei vestiti sono il vento, il calore del sole, la polvere della terra, l’acqua della pioggia. Sono questi i vestiti che indosso. Io sono la voce e il volto della terra!»

«Tagliamo corto» borbottò Measure.

«Conosco qualcuno che direbbe che un uomo come te non ha la poesia nell’anima» disse Ta-Kumsaw.

«E io conosco un sacco di gente che direbbe che un uomo come te l’anima non ce l’ha proprio.»

Ta-Kumsaw gli lanciò un’occhiata di fuoco, latrò qualche parola ai suoi uomini, quindi si avviò tra le due file di guerrieri.

Avanzò lentamente, alzando il mento con aria arrogante. Il primo Rosso lo colpì sulle cosce, usando la parte più sottile di un ramo. Ta-Kumsaw gli strappò il ramo dalle mani, lo girò, e gli fece cenno di colpirlo di nuovo, stavolta al petto, un colpo violento che gli vuotò i polmoni dell’aria che contenevano. Da dove si trovava, Measure lo udì grugnire.

I Rossi erano disposti sulla pendice di una duna, e il terreno in salita costringeva Ta-Kumsaw a procedere lentamente. Ma anche sotto i colpi che gli grandinavano addosso, non ebbe mai la minima esitazione. I suoi uomini avevano un’espressione dura, decisa. Lo stavano aiutando a dimostrarsi coraggioso, e di conseguenza gli facevano male… ma niente che potesse causare danni seri. Il peggio lo prese sulle cosce, sul ventre e sulle spalle. Niente sugli stinchi, niente sulla faccia. Ma questo non significava che gliela facessero passare liscia. Measure poteva vedere il sangue colargli sulle spalle, ferite dalla ruvida scorza dei rami. Si immaginò di ricevere ciascuno di quei colpi, e capì che lui sarebbe stato colpito con più forza. Sono un vero pollo, si disse. Ho voluto fare a gara di coraggio con l’uomo più nobile d’America.

Ta-Kumsaw arrivò alla fine, si voltò e guardò Measure dall’alto della duna. Sorrideva, col corpo lucido di sangue. «E adesso tocca a te, mio coraggioso uomo bianco» lo invitò.

Measure non esitò. S’incamminò verso il gatlopp. A fermarlo fu una voce alle sue spalle. Era il Profeta, che urlava qualcosa in shawnee. I Rossi lo guardarono. Quando ebbe finito, Ta-Kumsaw sputò. Measure, senza sapere che cosa fosse stato detto, riprese a camminare. Quando arrivò davanti al primo Rosso, si aspettava come minimo un colpo come quello che aveva ricevuto Ta-Kumsaw. Ma non accadde nulla. Fece un altro passo. Nulla. Forse, per mostrargli il loro disprezzo, volevano colpirlo alla schiena; ma mentre continuava a risalire il fianco della duna nessuno lo colpì, nessuno si mosse.

Avrebbe dovuto sentirsi sollevato, lo sapeva, e invece provava solo rabbia. Dopo aver aiutato Ta-Kumsaw a mostrare il proprio coraggio, adesso facevano in modo che la marcia di Measure attraverso il gatlopp non avvenisse sotto il segno dell’onore, ma sotto quello della vergogna. Measure si voltò di scatto a guardare il Profeta, ritto ai piedi della duna con il braccio intorno alle spalle di Alvin.

«Che cosa gli hai detto?» chiese Measure.

«Ho detto loro che, se ti avessero ucciso, tutti avrebbero detto che Ta-Kumsaw e il Profeta vi avevano rapito per uccidervi. Ho detto loro che se ti avessero lasciato il minimo segno, quando fossi tornato a casa tutti avrebbero detto che vi avevamo torturati.»

«E io dico che voglio una possibilità per dimostrarvi che non sono un vigliacco!»

«Il gatlopp è un’idea stupida per un uomo che ha dimenticato quale sia il proprio dovere.»

Measure stese la mano afferrando un bastone dalla mano di un Rosso. Quindi cominciò a colpirsi ripetutamente sulla coscia, cercando di farne uscire il sangue. Faceva male, ma non abbastanza, perché, per quanta volontà ci mettesse, al momento di ferirsi il suo braccio esitava. Allora restituì il bastone in malo modo al guerriero e gli ordinò: «Colpiscimi!»

«Più un uomo è grande, più numerosi sono coloro che egli deve servire» disse il Profeta. «Un piccolo uomo serve solo se stesso. Un uomo più grande serve la propria famiglia. Un uomo ancora più grande serve la propria tribù, il proprio popolo. L’uomo più grande di tutti serve l’umanità intera, il mondo intero. Per te stesso avresti voluto dimostrarti coraggioso. Ma per la tua famiglia, la tua tribù, il tuo popolo, il mio popolo… per la terra e per tutti coloro che la popolano, devi passare sotto questo gatlopp senza un graffio.»

Lentamente, Measure si voltò e risalì la duna tra le due ali di guerrieri immobili fino a trovarsi di fronte a Ta-Kumsaw. Di nuovo Ta-Kumsaw sputò, stavolta ai piedi di Measure.

«Non sono un vigliacco» disse Measure.

Ta-Kumsaw se ne andò. Camminando, scivolando, slittando, giunse ai piedi della duna. Anche i guerrieri del gatlopp se ne andarono. Measure rimase solo in cima alla duna, sentendosi umiliato, infuriato, sfruttato.

«Vattene!» gridò il Profeta. «Vai a sud!»

Porse ad Alvin una borsa. Il ragazzo si inerpicò in cima alla duna e la diede a Measure, che l’aprì. Conteneva pemmican e chicchi di mais da succhiare lungo il tragitto.

«Non vuoi venire con me?» chiese Measure.

«Io debbo andare con Ta-Kumsaw» spiegò Alvin.

«Sono sicuro che ce l’avrei fatta a passare sotto il gatlopp» disse Measure.

«Lo so» concordò Alvin.

«Se il Profeta non voleva che mi sottoponessi alla prova» disse Measure «com’è che ha permesso che le cose arrivassero fino a quel punto?»

«Non me l’ha voluto dire» rispose Alvin. «Ma sta per succedere qualcosa di terribile. E lui vuole che succeda. Se te ne fossi andato prima, quando ti ho detto di scappare…»

«Mi avrebbero ripreso, Al.»

«Valeva la pena di tentare. Adesso, se te ne vai, farai esattamente quello che lui vuole.»

«Pensi che abbia intenzione di farmi uccidere, o qualcosa del genere?»

«Mi ha promesso che sopravvivrai, Measure. E tutta la nostra famiglia. E anche lui, e Ta-Kumsaw.»

«E allora che cosa accadrà di così terribile?»

«Non lo so. Ma ho paura di quello che potrà succedere. Penso che voglia mandarmi con Ta-Kumsaw per proteggermi.»

Anche stavolta valeva la pena di tentare. «Alvin, se mi vuoi bene, vieni via con me.»

Alvin si mise a piangere. «Ti voglio bene, Measure, ma non posso venire.» Sempre piangendo, scese di corsa la duna. Non volendo vederlo sparire alla sua vista, Measure si incamminò nella direzione che gli era stata indicata: verso sud, deviando appena a est. Non avrebbe avuto difficoltà a trovare la strada. Ma si sentiva torcere lo stomaco dalla paura e soprattutto dalla vergogna di essersi lasciato convincere a partire senza suo fratello. Ho fallito in tutto e per tutto. Sono praticamente un buono a nulla.

Camminò per il resto della giornata trascorrendo la notte sotto un mucchio di foglie in una cunetta del terreno. Il giorno seguente camminò fino al tardo pomeriggio, quando s’imbatté in un torrente che scorreva verso sud. Prima o poi sarebbe giunto al Tippy-Canoe o al Wobbish, dei due l’uno. L’acqua del torrente era troppo fonda per poterlo scendere a guado, e la vegetazione sulle rive troppo fitta per poterlo costeggiare. Così si limitò a mantenersi a portata d’orecchio dal torrente, aprendosi la strada nella boscaglia. Non era un Rosso, questo era sicuro. Graffiato dai cespugli e dai rami degli alberi, morso dagli insetti, le scottature non gli rendevano certo la vita più facile. In più, si cacciava spesso in qualche macchia impenetrabile dalla quale poteva uscire solo tornando sui suoi passi. Come se la terra gli fosse stata nemica, rallentando il suo cammino. In quei momenti, non desiderava altro che un cavallo e buone strade battute.

Ma per quanto duro fosse camminare nei boschi, Measure non si diede mai per vinto. Un po’ perché Alvin gli aveva indurito i piedi; un po’ perché gli sembrava di respirare più profondamente di quanto gli fosse mai accaduto. Ma c’era dell’altro. Nei muscoli avvertiva una forza mai provata. Non si era mai sentito così vivo in vita sua. E Measure pensò che se in quel momento avesse avuto un cavallo, forse avrebbe preferito andare a piedi.

Nel tardo pomeriggio del secondo giorno, udì uno scalpiccio proveniente dal fiume. Non c’era modo di sbagliare: erano cavalli, condotti a mano nell’acqua bassa. E questo significava uomini bianchi, forse addirittura gente di Vigor Church, ancora in cerca di Measure e Alvin.

Corse precipitosamente in direzione del fiume, graffiandosi a sangue tra i cespugli. Poi vide quattro uomini a cavallo, che adesso si dirigevano verso valle, allontanandosi da lui. Fu solo dopo essere arrivato al torrente ed essersi messo a gridare a squarciagola che si accorse che indossavano l’uniforme verde dell’esercito degli Stati Uniti. Per quanto ne sapeva, era la prima volta che venivano da quelle parti. In quella regione di Bianchi se ne vedevano pochi, per non irritare inutilmente i francesi di Fort Chicago.

Quando udirono le sue grida, i soldati fecero fare dietro front ai cavalli per vedere di chi si trattasse. Non appena lo scorsero, tre di loro gli puntarono addosso i moschetti, pronti a sparare.

«Non sparate!» gridò Measure.

I soldati gli si avvicinarono lentamente, dato che i cavalli facevano fatica a risalire la corrente.

«Per amor del cielo, non sparate» disse Measure. «Vedete benissimo che non sono armato. Non ho neanche un coltello.»

«Parla l’inglese mica male, eh?» osservò un soldato rivolgendosi al compagno.

«Ma certo che lo parlo! Sono un Bianco!»

«Guarda un po’ che roba» disse un altro. «È la prima volta che sento uno di loro sostenere di essere bianco.»

Measure si guardò la pelle. Scottata com’era dal sole, era di un color rosso acceso, anche se molto più pallida di quella di un vero Rosso. In più, indossava un perizoma, e sporco e scarmigliato com’era aveva sicuramente l’aspetto di un selvaggio. Ma la barba un po’ gli era cresciuta, no? Per la prima volta Measure avrebbe voluto essere molto più villoso, con una folta barba e un sacco di pelo sul petto. Allora non ci sarebbe stata possibilità d’errore, dato che i Rossi erano notoriamente glabri. Per adesso, tuttavia, i soldati non avrebbero potuto vedere la lanugine sul labbro superiore né i radi peli che gli spuntavano sul mento finché non gli fossero stati molto più vicini.

E nemmeno avevano intenzione di correre rischi. Uno soltanto gli si avvicinò. Gli altri si mantennero a rispettosa distanza con i moschetti spianati, pronti a far fuoco nel caso che Measure avesse qualche amico in agguato sulla sponda del torrente. Measure si accorse che l’uomo che gli si stava avvicinando era spaventato a morte, e lanciava rapide occhiate a destra e a sinistra in attesa che qualche Rosso scoccasse la prima freccia. Measure pensò tra sé che il soldato era proprio un’idiota, perché se in quei boschi ci fossero stati davvero dei Rossi non avrebbe avuto modo di vederli prima di ritrovarsi una freccia piantata da qualche parte.

Prima di avvicinarsi a Measure il soldato gli girò intorno con cautela. Poi prese una corda, vi fece un nodo scorsoio e la lanciò a Measure. «Mettitela intorno al petto, sotto le braccia» ordinò il soldato.

«E perché?»

«In modo che io possa guidarti.»

«Col cavolo» rispose Measure. «Se avessi saputo che avevate intenzione di trascinarmi con una corda nel bel mezzo di un torrente, sarei restato sul terreno asciutto e me ne sarei andato a casa da solo.»

«Se entro cinque secondi non ti sei legato a quella corda, quei ragazzi ti faranno saltare la testa.»

«Che razza di storia sarebbe?» chiese Measure. «Sono Measure Miller. Quasi una settimana fa sono stato rapito assieme a mio fratello Alvin, e adesso me ne sto tornando a casa a Vigor Church.»

«Ma senti che cosa inventa questo!» sbottò il soldato. Ritirò la corda, bagnata fradicia, e la lanciò di nuovo a Measure. Stavolta lo prese in pieno viso. Measure l’afferrò e la tenne in mano. Il soldato estrasse la sciabola. «Pronti a sparare, ragazzi!» urlò. «È proprio il rinnegato che stavamo cercando!»

«Rinnegato! Io…» In quel momento, Measure finalmente sì rese conto che in quella storia c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Pur sapendo chi era, continuavano a volerlo prendere prigioniero. Di fronte a tre moschetti e una sciabola, se avesse cercato di scappare avrebbe avuto buone probabilità di lasciarci la pelle. Ma quello era l’esercito degli Stati Uniti, no? Una volta di fronte a un ufficiale, avrebbe potuto spiegarsi e tutto si sarebbe sistemato. Così si infilò il cappio sulla testa e se lo passò intorno al petto.

Finché restarono in acqua le cose non andarono poi troppo male. Dove l’acqua era più fonda, qualche volta Measure poteva addirittura andare a rimorchio. Ma ben presto uscirono dal torrente, e mentre si facevano strada nella foresta fu costretto a seguirli a piedi. Measure capì che stavano descrivendo un ampio cerchio verso est intorno a Vigor Church.

Measure cercò di parlare, ma i soldati gli ingiunsero di chiudere il becco. «Ti ho già detto che i rinnegati come te siamo autorizzati a portarli al campo vivi o morti. Un Bianco vestito da Rosso… sappiamo benissimo che razza d’uomo sei.»

Da quello che si dicevano, Measure riuscì a poco a poco a mettere insieme qualche informazione utile. Quegli uomini stavano compiendo un giro di esplorazione per conto del generale Harrison. Measure si sentì invadere dalla nausea all’idea che la situazione si fosse deteriorata al punto di indurre la sua gente a invocare l’aiuto di quel furfante, di quel trafficante di liquori. E quest’ultimo non aveva certamente posto tempo in mezzo.

La notte la trascorsero accampati in una radura. Facevano un tale baccano che Measure pensò che sarebbe stato un autentico miracolo se prima dell’alba non si fossero ritrovati addosso tutti i Rossi d’America.

Il giorno seguente si rifiutò categoricamente di farsi trascinare dietro a loro legato a una corda. «Sono qua si nudo e completamente disarmato: o mi ammazzate, o mi lasciate montare a cavallo.» Potevano anche raccontargli che riportarlo indietro vivo o morto fosse per loro la stessa cosa, ma Measure sapeva che erano solo chiacchiere. Saranno anche stati gente senza scrupoli, ma l’idea di uccidere un uomo bianco a sangue freddo non pareva entusiasmarli. Così gli permisero di montare a cavallo, aggrappandosi alla vita di uno di loro. Ben presto giunsero in un tratto di terreno aperto solcato da strade e sentieri, e poterono procedere di buon passo.

Subito dopo mezzogiorno giunsero a un accampamento militare. Come esercito non pareva granché, forse cento uomini in uniforme e altri duecento che marciavano e si addestravano su un terreno di parata una volta adibito a pascolo. Measure non ricordava il nome della famiglia che vi abitava. Erano gente nuova, appena arrivata dalla regione intorno a Carthage City. Ben presto, tuttavia, capì che la cosa non aveva alcuna importanza. Il generale Harrison aveva requisito la loro abitazione per farne il proprio quartier generale, e fu proprio da Harrison che i soldati lo condussero.

«Ah» disse Harrison. «Ecco il rinnegato.»

«Non sono un rinnegato» ribatté Measure. «E sono stufo di essere trattato come un criminale. Giuro che i Rossi mi hanno trattato meglio dei vostri soldati bianchi.»

«La cosa non mi sorprende» disse Harrison. «Sono certo che i Rossi ti hanno trattato coi guanti. E l’altro rinnegato dov’è?»

«L’altro rinnegato? Volete dire mio fratello Alvin? Sapete chi sono, e non mi lasciate andare a casa?»

«Prima rispondi alle mie domande, e poi vedrò se posso rispondere alle tue.»

«Mio fratello Alvin non è qui, e nemmeno verrà, e da quel che sento sono felicissimo che non sia venuto.»

«Alvin? Ah, sì, mi hanno detto che sostieni di essere Measure Miller. Be’, sappiamo tutti che Measure Miller è stato ucciso da Ta-Kumsaw e dal Profeta.»

Measure sputò per terra. «Lo sapete? Perché avete visto qualche straccio insanguinato? Be’, non mi imbrogliate. Credete che io non capisca quali sono le vostre intenzioni?»

«Chiudetelo in cantina» fu l’ordine di Harrison. «E trattatelo bene, mi raccomando.»

«Non volete che gli altri sappiano che sono vivo, perché allora capirebbero di non avere bisogno di voi!» urlò Measure. «Non sarei sorpreso se foste stato voi a incaricare quei Chok-Taw di rapirci!»

«Se le cose stessero così» replicò Harrison «allora se fossi in te starei molto attento a come parli e a quel che dici. E comincerei anche a dubitare di poter riportare a casa la pelle. Ma guardati, ragazzo. Rosso come un peperone, con indosso un perizoma, più spaventevole di un incubo. No, penso che se venisse fuori che ti abbiamo sparato per errore, nessuno potrebbe biasimarci, proprio nessuno.»

«Mio padre lo verrebbe a sapere» insisté Measure. «Non riuscireste a imbrogliarlo con una storia del genere, Harrison. E Corazza-di-Dio farebbe…»

«Corazza-di-Dio? Quel ridicolo pappamolla? Quello che continua a raccontare a tutti che Ta-Kumsaw e il Profeta sono innocenti, e che noi non dovremmo fare di tutto per spazzarli via? Nessuno lo ascolta più, Measure.»

«Ma lo ascolteranno. Alvin è vivo, e lui non lo prenderete mai.»

«Perché no?»

«Perché è con Ta-Kumsaw.»

«Ah, e dove?»

«Non da queste parti, potete scommetterci.»

«Tu l’hai visto? E hai visto il Profeta?»

L’espressione avida di Harrison indusse Measure a fare un passo indietro e a trattenere la lingua. «Ho visto quello che ho visto» disse Measure. «E dico quel che dico.»

«Di’ quel che ti chiedo, o sei morto» lo minacciò Harrison.

«Se mi ammazzate, non vi dirò più nulla. Ma questo ve lo dirò. Ho visto il Profeta evocare una tromba d’aria. L’ho visto camminare sull’acqua. Ho sentito le sue profezie, e le ho viste realizzarsi. Il Profeta conosce perfettamente le vostre intenzioni. Qualunque cosa facciate, favorirete soltanto i suoi piani. Aspettate e vedrete.»

«Che idea» disse Harrison ridacchiando. «Seguendo il tuo ragionamento, ragazzo, anche essere caduto nelle mie mani favorirebbe i suoi piani, eh?» Fece un cenno con la mano, e i soldati lo trascinarono fuori della stanza per rinchiuderlo in cantina. Lungo il tragitto lo trattarono con la massima delicatezza: pugni, calci, e tutto quello che riuscirono a inventare prima di scaraventarlo giù per i gradini e chiudere la porta alle sue spalle.

Dato che i padroni di casa provenivano da Carthage City, la porta della cantina usata per conservare gli ortaggi, oltre che di una sbarra, era provvista anche di un robusto lucchetto. Measure si trovò disteso in mezzo alle carote, alle patate e ai ragni. Rialzatosi, provò, per quanto glielo consentivano le forze, a saggiare la robustezza della porta. Era tutto un dolore. I graffi e le scottature non erano nulla in confronto alle scorticature all’interno delle cosce dovute al fatto di aver cavalcato a gambe nude. E tutto questo non era ancora nulla in confronto al male causato dai calci e dai cazzotti che gli avevano sferrato prima di rinchiuderlo.

Measure non sprecò altro tempo. Ormai ne sapeva abbastanza per capire che Harrison non lo avrebbe mai fatto uscire vivo da quella cantina. I soldati che l’avevano catturato erano stati mandati in esplorazione appositamente per cercare lui e Alvin. Se si fosse sparsa la voce che erano vivi, i suoi piani sarebbero andati a monte, e sarebbe stato un vero peccato perché per Harrison le cose si stavano mettendo veramente bene. Dopo tanti anni, si trovava finalmente a Vigor Church e addestrava gli uomini del posto in vista di una guerra imminente, mentre nessuno prestava più ascolto a Corazza-di-Dio. A Measure il Profeta non andava tanto a genio ma, in confronto a Harrison, Tenska-Tawa era un santo.

Un momento. Ne eravamo proprio sicuri? Il Profeta l’aveva costretto a restare per affrontare il gatlopp… e perché? Perché partisse di pomeriggio, anziché di mattina, col risultato che si era trovato sulle rive del Tippy-Canoe proprio mentre passavano di lì i soldati di Harrison. Altrimenti sarebbe arrivato a Prophetstown e di lì in due salti sarebbe giunto a Vigor Church senza incontrare un solo soldato. Se Measure non avesse udito i soldati di Harrison e non li avesse chiamati, non lo avrebbero mai trovato. Anche questo rientrava nei piani del Profeta?

E se così fosse stato? Forse il piano del Profeta era una buona cosa, e forse no… Per il momento Measure non ne era propriamente entusiasta. Ma sicuramente non se ne sarebbe rimasto seduto in quella cantina in attesa di vedere se quel piano funzionava davvero.

Facendosi strada tra le patate giunse fino alla parete di fondo. Le ragnatele che gli si appiccicavano al viso e ai capelli non gli piacevano affatto, ma non era certo il momento di badare al proprio aspetto. Poco dopo aveva sgombrato lo spazio che gli serviva in fondo alla cantina, spingendo la maggior parte delle patate verso la porta. Quando avessero aperto la porta, avrebbero visto soltanto una montagna di patate. Nessun indizio del fatto che stava scavando.

La cantina, scavata nel terreno per conservare tuberi e radici, era come tutte le altre che Measure aveva visto. Si scavava una grande fossa, la si copriva con un traliccio, e su questo si costruiva un tetto a sua volta coperto con la terra dello scavo. Measure avrebbe potuto scavare una galleria nella parete di fondo sino a riemergere dietro la collinetta di terra, senza che dalla casa nessuno potesse accorgersi di nulla. Avrebbe dovuto scavare a mani nude, ma quello era morbido terriccio alluvionale. Ne sarebbe uscito più somigliante a un Nero che a un Rosso, ma la cosa non aveva molta importanza.

Il problema era che la parete di fondo non era di terra battuta, ma di legno. I proprietari l’avevano ricoperta di legno fino al pavimento. Gente precisa. Certo, il pavimento era di terra battuta. Ma questo significava che prima di poter scavare verso l’alto Measure sarebbe dovuto passare sotto la parete. Invece di una notte, gli ci sarebbero voluti dei giorni. E in qualsiasi momento avrebbero potuto coglierlo sul fatto. Oppure, semplicemente, sarebbero venuti a prenderlo per fucilarlo. O magari restituirlo a quei Chok-Taw perché finissero quel che avevano cominciato… riducendolo in modo da convincere chiunque che Ta-Kumsaw e il Profeta l’avessero torturato. Tutto era possibile.

Casa sua era a non più di dieci miglia di distanza. Era questo a farlo impazzire dalla rabbia. Così vicino a casa senza che nessuno ne avesse il minimo sentore, senza che nessuno sapesse che doveva accorrere in suo aiuto. Gli tornò in mente la fiaccola, la ragazzina del fiume Hatrack, che anni prima si era accorta che stavano per essere travolti dalle acque del fiume e aveva mandato gente ad aiutarli. Ecco di che cosa avrei bisogno in questo momento. Avrei bisogno di una fiaccola, di qualcuno che mi vedesse e mandasse gente ad aiutarmi.

Ma la cosa non era affatto probabile. Almeno, non nel suo caso. Se si fosse trattato di Alvin, sarebbero già accaduti miracoli a ripetizione, e ben presto si sarebbe trovato in salvo. Ma Measure poteva sperare solo nelle proprie risorse.

Dopo dieci minuti che scavava, si era già spezzato un’unghia a metà. Il dolore era atroce, e sicuramente il dito stava sanguinando. Se fossero venuti a prenderlo in quel momento, avrebbero immediatamente capito che stava scavando una galleria. Ma era la sua unica possibilità. Perciò continuò a scavare, senza curarsi del dolore, fermandosi ogni tanto per gettar via qualche patata caduta dentro la buca.

Poco dopo si tolse il perizoma per aiutarsi nel suo lavoro. Dopo aver smosso la terra con le mani, l’ammucchiava nel perizoma e con questo la issava fuori della buca. Non era la stessa cosa che avere una vanga, ma sicuramente molto meglio che buttar fuori la terra una manciata alla volta. Quanto tempo gli restava? Giorni? Ore?

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