CAPITOLO QUARTO LANCIO

Con Ender bisognerà fare un delicato gioco di equilibrio. Lo si dovrà isolare abbastanza da farlo restare creativo, altrimenti adotterà sistemi già in uso qui e lo avremo perduto. E nello stesso tempo dovremo assicurarci che sviluppi forti doti di comando.

Non è così semplice. Mazer Rackham poteva tenere in pugno la sua piccola flotta e portarla all’obiettivo. Ma quando scoppierà il prossimo conflitto le complicazioni saranno eccessive, anche per un piccolo genio. Troppe astronavi, troppi equipaggi. Dovrà avere il guanto di velluto coi subordinati.

Oh, Dio! Dovrà essere un genio e anche un simpaticone?

Niente affatto. Un simpaticone ci lascerebbe fare a pezzi dagli Scorpioni.

Così lei pensa di isolarlo.

Ne farò un paria rispetto agli altri ragazzi, ancor prima che arrivino alla Scuola.

Non ho dubbi che ci riuscirà. Anzi, ci conto. Ho esaminato il nastro di ciò che ha fatto al ragazzo Stilson. Quello che lei porterà qui non è precisamente un bambinetto sdolcinato.

È qui che lei sbaglia. È più dolce di quel che sembra. Ma non si preoccupi, a questo sapremo metter rimedio alla svelta.

Qualche volta penso che lei si diverta a spezzare la schiena a questi piccoli genii.

Si tratta di un’arte, nella quale sono ormai molto esperto. Ma in quanto a divertirmi? Be’, forse. In seguito, quando rimettono insieme i loro pezzi e si accorgono che tanto basta a farli star meglio.

Lei è un mostro.

Grazie. Significa che posso sperare in un aumento di paga?

Al massimo una medaglia. I nostri fondi non sono illimitati.


Li avevano avvertiti che l’assenza di peso poteva sfasare le percezioni fisiche, in specie nei bambini, il cui senso dell’orientamento non dispone ancora di parametri stabili. Ma Ender cominciò a sentirsi disorientato già prima di vedere la navetta che li avrebbe portati lontano dalla gravità della Terra.

Con lui c’erano altri diciannove ragazzini. Furono fatti scendere dal bus ed entrarono nell’ascensore, chiacchierando e ridendo, avidi di mostrarsi chi impavido e chi già esperto in materia. Ender mantenne un indifferente silenzio. Aveva notato che Graff e gli altri ufficiali li stavano osservando. Analizzando. Tutto ciò che facciamo significa qualcosa, si rese conto Ender. Loro ridono. Io non rido.

Si trastullò con l’idea di comportarsi come gli altri ragazzini, ma non riuscì a trovare nessuna battuta da dire. Nessuna che fosse divertente, almeno. Da qualunque cosa avessero origine le loro risate, Ender non avrebbe mai potuto associarsi a quella reazione. Aveva paura, e la paura lo rendeva serio e rigido.

Gli avevano fatto indossare un’uniforme, una tuta d’un solo pezzo, e l’assenza della cintura intorno alla vita lo metteva un po’ a disagio. In quell’indumento largo e rigonfio si sentiva nudo. C’erano delle telecamere puntate su di loro. Le portavano dei militari, tenendosele appollaiate su una spalla come animaletti attenti e curiosi. Gli uomini si spostavano con cautela felina per riprendere le immagini lentamente e senza sbalzi. Anche Ender si scoprì a muoversi lento e senza sbalzi.

Immaginò di apparire alla TV, in un’intervista. L’operatore puntava un microfono direzionale su di lui: come si sente, signor Wiggin? Abbastanza bene, grazie, appena un po’ affamato. Affamato? Eh, sì, per affrontare il lancio bisogna essere a stomaco vuoto da venti ore. Questo è interessante, scommetto che i nostri spettatori non lo sapevano. Be’ sì, siamo piuttosto affamati tutti quanti. E mentre si lasciava intervistare Ender, nell’immaginazione, camminava verso la navetta, con l’uomo della TV che al suo fianco procedeva di traverso per puntargli addosso la telecamera da spalla. Per la prima volta provò il bisogno di unirsi a quelle risatine. Sulle labbra gli comparve un sorriso. In quel momento i ragazzini che aveva accanto stavano ridendo anch’essi, per un’altra ragione. Penseranno che sorrido delle loro battute, rifletté Ender. Ma è per qualcosa di molto più divertente, invece.

— Avviatevi su per la scala uno alla volta — disse un ufficiale. — Appena sarete nel passaggio fra le poltroncine, sedete sulla più vicina che trovate vuota. Non ci sono posti a sedere accanto al finestrino.

Era una battuta. Gli altri ragazzini risero.

Ender era in fondo alla fila, ma non proprio l’ultimo, e le telecamere continuavano a riprenderli. Valentine mi potrà vedere mentre scompaio dentro la navetta? Pensò che forse avrebbe potuto voltarsi a salutarla con la mano, oppure correre da uno degli operatori e chiedere: — Posso dire addio a Valentine? — Non sapeva però che se l’avesse fatto il nastro sarebbe stato censurato, perché ufficialmente si supponeva che i giovani diretti alla Scuola di Guerra fossero eroici e dignitosi. Non era previsto che sentissero la nostalgia di qualcuno. Ender era all’oscuro di questo tipo di censura. Tuttavia sapeva che correre a una delle telecamere sarebbe stato uno sbaglio.

Attraversò il ponte metallico e il portello della navetta, e notò che la paratia alla sua destra aveva la moquette come un pavimento. Lì si cominciava a esser disorientati sul serio. Nello stesso momento in cui s’accorse che quella parete era un pavimento ebbe la strana sensazione di camminare di traverso su un muro. Appoggiò le mani alla scaletta e vide che la superficie verticale dietro di essa era coperta di moquette. Mi sto arrampicando su per il pavimento. Mano dopo mano, passo dopo passo.

Per gioco immaginò poi di arrampicarsi giù per la paratia. Subito le sue percezioni mentali si capovolsero, a dispetto di quel che diceva la forza di gravità. Appena seduto si aggrappò tenacemente ai braccioli per non scivolare in alto, mentre invece il suo peso lo teneva incollato allo schienale.

Gli altri ragazzini s’erano accalcati alla rinfusa sulle poltroncine e facevano baccano chiamandosi l’un l’altro. Ender esaminò con attenzione le cinghie di sicurezza e cercò di capire come si agganciavano alla cintura, alle cosce e intorno alle spalle. Per un attimo ebbe l’impressione d’essere salito su una giostra che li avrebbe fatti girare intorno alla Terra, con la forza centrifuga a inchiodarli saldamente sui sedili. Ma non ci sarà peso lassù, pensò. Cadremo via da questo pianeta.

Ancora non si rendeva pienamente conto di quella realtà. Soltanto più tardi, riesaminando quei momenti, si sarebbe accorto di aver pensato fin da allora alla Terra come a un pianeta, uno qualsiasi, non particolarmente il suo pianeta.

— Oh, hai già visto come si mettono le cinture — disse Graff. S’era fermato accanto a lui, sulla scaletta.

— Viene con noi? — domandò Ender.

— Di solito non torno a terra per i reclutamenti — disse Graff. — Io sono di servizio nello spazio, come amministratore della Scuola. Una specie di direttore. Ma stavolta mi hanno detto che avrei dovuto scendere, altrimenti mi avrebbero licenziato. — Curvò le labbra in un sorriso.

Ender gli sorrise di rimando. Graff lo faceva sentire a suo agio. Graff era buono. Ed era il direttore della Scuola di Guerra. Ender si rilassò un poco. Lassù avrebbe avuto un amico.

Agli altri ragazzini, quelli che non avevano fatto come Ender, venne agganciata la cintura di sicurezza. Poi attesero un’ora, mentre uno schermo TV sulla paratia anteriore dello scompartimento illustrava il funzionamento dell’astronave, la storia dei voli spaziali, e quello che avrebbe potuto essere il loro futuro sulle grandi navi della F.I. Una cosa abbastanza noiosa. Ender aveva già visto filmati di quel genere.

Ma non era mai stato legato a una poltroncina sagomata nell’interno di una navetta. Quasi a testa in giù mentre stavano per scaraventarlo via dalla Terra.

Il lancio non fu duro. Soltanto un po’ spiacevole. Ci furono degli scossoni, poi brevi momenti d’ansia al pensiero che quello avrebbe potuto essere il primo disastro aereo nella storia della F.I. Dai filmati non aveva mai capito esattamente quali sensazioni si potevano provare stando distesi sulla schiena, con la morbida imbottitura che cedeva sotto la pressione.

Poi essa parve invertirsi, e lui fu davvero appeso alle cinghie in una giostra, in totale assenza di gravità.

Ma dal momento che s’era già preparato a orientarsi su nuovi parametri non fu sorpreso nel vedere Graff tornare giù per la scaletta a testa in avanti, come se ora si arrampicasse verso il retro della navetta. Né si meravigliò quando l’uomo agganciò un piede a uno scalino e si diede una spinta con le mani, mettendosi in posizione eretta come se fosse in piedi fra i sedili di un normale aereoplano.

Per alcuni l’inversione del senso dell’equilibrio fu troppo. Un ragazzino rantolò, portandosi le mani alla bocca. Finalmente Ender capì perché avevano proibito loro di mangiare per venti ore prima del lancio. Vomitare a gravità zero sarebbe stato poco divertente per tutti.

Ma a Ender i movimenti di Graff in assenza di peso parvero divertenti. Si spinse più oltre con la fantasia, provando a immaginare che l’uomo camminasse a testa in giù sugli scalini e l’andatura che avrebbe potuto adottare procedendo sul soffitto e sulle paratie come una mosca. La gravità può attirare da qualsiasi parte, pensò. Dovunque io immagini di farla girare. Potrei far ruotare Graff a testa in giù e lui non si accorgerebbe neppure d’esser stato capovolto.

— Cos’è che ti sembra tanto divertente, Wiggin?

La voce di Graff era dura e seccata. Cos’ho fatto di sbagliato? Pensò Ender. Che mi sia sfuggita una risatina?

— Ti ho fatto una domanda, soldato! — abbaiò Graff.

Ah, sì. Quello era veramente l’inizio dell’addestramento alla vita militare. Ender aveva visto alla TV sceneggiati sull’arrivo delle reclute nei campi, e sapeva che i graduati le accoglievano latrando come cani rabbiosi prima che tutti, soldati e ufficiali, diventassero buoni compagni d’arme.

— Sissignore — rispose Ender.

— Allora rispondi alla domanda!

— Stavo pensando che lei potrebbe andare in giro capovolto. Questo mi è sembrato comico.

Ma sembrava soltanto stupido adesso, con Graff che lo squadrava freddamente. — Suppongo cha a te debba sembrare comico. C’è qualcun altro che trova la cosa comica, qui dentro?

Si levarono mormorii di diniego.

— Nessuno, eh? E perché? — Graff girò su di loro un’occhiata sprezzante. — Un’imbarcata di teste di rapa, ecco cosa ci hanno affibbiato in questo lancio. Piccoli ritardati mentali. Uno solo di voi ha avuto l’intelligenza di capire che a gravità zero si può stare dritti in qualunque senso uno si metta. Riuscite a farvelo entrare in testa, reclute?

I ragazzini annuirono.

— No che non ci riuscite, invece. È chiaro che non ci riuscite. Non solo stupidi, dunque, ma anche bugiardi. Di questa imbarcata c’è un unico ragazzo col cervello in grado di funzionare, ed è Ender Wiggin. Guardatelo bene, piccoli sciocchi. Lui avrà un posto di comando quando voi sarete ancora a ramazzare i pavimenti, lassù. E questo perché lui sa come bisogna pensare in gravità zero, mentre voialtri riuscite soltanto a vomitare l’anima.

Non era esattamente così che andava negli sceneggiati della TV. A regola, Graff avrebbe dovuto infierire su di lui, non metterlo su un piedistallo di fronte agli altri. A regola, lui e Graff avrebbero dovuto avere rapporti bruschi all’inizio, così più tardi fra loro avrebbe potuto istaurarsi quel rude e solido cameratismo.

— Molti di voi finiranno congelati nello spazio. Cominciate a considerare questo pensiero fin d’ora, bambocci. Molti di voi non faranno altro che spaccarsi la faccia in Sala di Battaglia, perché non sapranno adattare il cervello alle tecniche di pilotaggio spaziale. Molti di voi non valgono neppure la spesa di trasportarli alla Scuola di Guerra, perché non hanno i requisiti necessari. Alcuni di voi potrebbero averli. Pochi di voi potrebbero servire a qualcosa per la razza umana. Ma non ci scommetterei un soldo. Su uno soltanto sono disposto a puntare.

D’un tratto Graff fece una piroetta all’indietro e afferrò la scala con le mani, proiettando i piedi in direzione opposta. Fino a un attimo prima gli scalini erano stati il suo pavimento; con quella mossa parve dichiarare che pavimento e soffitto erano la stessa cosa, dando ragione a Ender.

— Sembra che tu sia ammanigliato bene, qui — disse il ragazzino seduto davanti a lui.

Ender scosse il capo.

— Ah, non vuoi abbassarti a parlare con me? — disse il ragazzino.

— Non gli ho chiesto io di dire quelle cose — mormorò Ender.

Qualcosa lo colpì dolorosamente alla nuca. Poi lo colpì di nuovo. Dietro di lui ci furono alcune risatine. Il ragazzo seduto alle sue spalle doveva aver sganciato le cinture della poltroncina. Una scoppola gli scompigliò i capelli. Smettetela, per favore, pensò Ender. Io non vi ho fatto niente.

Ancora un pugno nella nuca. I ragazzini ridacchiarono. Graff si stava accorgendo di questo? Non aveva intenzione di mettervi fine? Un altro pugno, più forte e stavolta davvero doloroso. Dov’era Graff?

Poi capì come stavano le cose. Graff aveva intenzionalmente provocato ciò che stava accadendo. Era ancor peggio delle soperchierie che si vedevano nei film. Quando un sergente percuote una recluta, gli altri solidarizzano col malcapitato. Ma quando la elogia, gli altri la odiano.

— Ehi, mangiamerda — sussurrò una voce dietro di lui. Gli arrivò una scoppola. — Che ne dici di questo? Ehi, super-cervello, questo lo trovi comico? — Ancora un pugno nella nuca, così violento che Ender mandò un gemito soffocato.

Se Graff lo aveva messo apposta in quella posizione, allora non poteva aspettarsi l’aiuto di nessuno. Aspettò finché fu sul punto di ricevere un altro pugno. Adesso, pensò. E infatti il pugno arrivò. Gli fece male, ma si costrinse a calcolare il ritmo dei colpi. Adesso. E in quel preciso momento fu colpito. Stavolta ti tengo, si disse Ender.

Un attimo prima del colpo successivo Ender si volse di scatto, afferrò il polso del ragazzino con entrambe le mani e gli abbassò violentemente il braccio.

In gravità normale la mossa avrebbe attirato l’altro contro lo schienale del suo sedile, facendogli urtare il petto sullo spigolo. In assenza di peso il braccio funse da leva, il ragazzino fu sollevato dal suo posto e proiettato verso il soffitto. Ender non se l’era aspettato. Non aveva ancora capito quanto fosse facile spostare una massa a gravità zero. Il ragazzino volò obliquamente contro il soffitto, rimbalzò in basso addosso a un altro seduto nella poltroncina, e la spinta lo mandò a roteare avanti lungo il passaggio centrale finché con un grido di dolore urtò pesantemente nella paratia anteriore. Il suo braccio era piegato in modo anomalo quando rimbalzò ancora in alto.

La cosa era durata appena pochi secondi, ma Graff era già sbucato dalla cabina di pilotaggio, in tempo per intercettare al volo il ragazzino. Con una smorfia lo spinse verso un altro degli ufficiali. — Braccio sinistro. Fratturato, direi — fu il suo commento. Pochi minuti dopo al ragazzo era già stato iniettato un antidolorifico, e tenendolo sospeso a mezz’aria l’ufficiale gli arrotolò un bendaggio rigido attorno al braccio.

Ender si sentiva sgomento. Tutto ciò che aveva voluto era stato di fermare il braccio del ragazzino… no, no, aveva voluto fargli male, e ci aveva messo tutta la sua forza. Non era stato nelle sue intenzioni dare il via a una scena di quel genere, e tuttavia il suo tormentatore si stava sorbendo esattamente quel che lui aveva voluto procurargli. L’assenza di gravità aveva giocato a suo sfavore, tutto qui. Io sono Peter. Sono proprio come lui, pensò Ender. E odiò se stesso.

Sulla soglia della cabina Graff si volse. — Mi domando se non siate dei bambocci lenti di comprendonio. I vostri cervellini non hanno ancora capito questo semplice fatto? Siete stati portati qui per diventare dei soldati. Forse nelle vostre famiglie o a scuola eravate considerati dei duri, magari perfino intelligenti. Ma noi scegliamo il meglio del meglio, e questo è il solo genere di compagni che incontrerete d’ora in avanti. Perciò, quando vi dico che Ender Wiggin è il migliore di questo lotto aprite gli orecchi, teste dure. Non prendetelo sottogamba. Alla Scuola di Guerra dei pivelli della vostra età ci hanno già lasciato la pelle in passato. Sono stato abbastanza chiaro?

Per il resto del volo nessuno aprì bocca. Il ragazzino seduto a fianco di Ender prestò scrupolosa attenzione a non sfiorarlo neppure.

Io non sono un killer, disse Ender a se stesso più volte. Non sono Peter. Qualunque cosa lui dica, io non lo sono e non voglio esserlo. Mi sono soltanto difeso. Avevo cercato di sopportare. E ho avuto pazienza. Non sono come lui ha detto.

Una voce dall’interfono li informò che la navetta era in fase di avvicinamento alla Scuola. Occorsero venti minuti per la decelerazione e l’attracco. Enders si tirò avanti per la scaletta in coda al gruppo, e arrampicandosi nella direzione che alla partenza era stata il basso ebbe l’impressione che gli altri fossero quasi ansiosi di lasciarselo alle spalle. Al termine del corridoio flessibile che collegava la navetta alle strutture della Scuola c’era in attesa Graff.

— Hai fatto buon viaggio, Ender? — gli domandò gentilmente.

— Credevo che lei fosse mio amico. — A dispetto dei suoi sforzi Ender sentì che gli tremava la voce.

Graff parve sorpreso. — E dove hai preso questa idea, Ender?

— Perché lei… — Perché lei era stato buono con me, e onesto. - Lei non mi ha mai mentito.

— E non voglio mentirti neppure adesso — disse Graff. — Il mio compito non è di essere tuo amico. È di formare quelli che dovranno essere i migliori combattenti del mondo. I migliori della storia. A noi serve un Napoleone. Un Alessandro. Salvo che Napoleone alla fine fu sconfitto, e Alessandro morì giovane dopo aver fiammeggiato come una meteora. O avremmo bisogno di un Giulio Cesare, senonché egli divenne un dittatore e per questo fu ucciso. Il mio compito è di formare un individuo di questo tipo, e tutti gli uomini e le donne di cui avrà bisogno per agire. E nel regolamento non è scritto che per arrivarci io debba essere un amico per voialtri ragazzini.

— Lei li ha indotti a detestarmi.

— Sul serio? E tu che pensi di farci? Nasconderti in un angoletto? O baciare il sedere a tutti quanti perché ricomincino a volerti bene? Hai un solo modo perché smettano di odiarti: diventare così bravo che nessuno ti possa ignorare. Io ho detto loro che sei il migliore. Adesso farai dannatamente bene a dimostrare che lo sei davvero.

— E se non ci riuscissi?

— Peggio per te. Senti, Ender, non mi rende felice pensare che tu abbia paura o ti senta solo. Ma là fuori ci sono gli Scorpioni. Dieci miliardi, cento miliardi, o per quel che ne sappiamo un miliore di miliardi. Forse con altrettante astronavi. Con armi a noi del tutto sconosciute. E con la ferma volontà di usarle per spazzarci via. Non è in gioco la Terra, Ender. Soltanto noi, soltanto la razza umana. Per quel che riguarda il pianeta noi potremmo anche scomparire, e lui andrebbe avanti verso il prossimo passo nell’evoluzione della vita. Ma l’umanità non vuole estinguersi. Come specie, noi abbiamo il dovere e l’istinto della sopravvivenza. Un istinto che si crea nelle avversità e nel loro susseguirsi finché, come prodotto dallo sforzo di generazioni, la razza dà alla luce un genio. Quello che riesce a inventare la ruota, o la luce elettrica, o il volo. Quello che costruisce una città, una nazione, un impero. Capisci il senso di questo?

Ender rifletté che lo capiva, ma non era del tutto sicuro, così non disse niente.

— No, naturalmente no. Allora sarò più chiaro. Gli esseri umani hanno il diritto di essere liberi, salvo quando l’umanità ha bisogno di loro. Forse l’umanità ha bisogno di te. Perché tu faccia qualcosa. Io penso che comunque abbia bisogno di me… per scoprire se quelli come te possono servire. Tanto tu che io potremmo dover fare cose poco commendevoli, Ender, ma se grazie ad esse l’umanità riuscirà a sopravvivere noi saremo stati dei buoni strumenti.

— Soltanto questo? Nient’altro che strumenti?

— Individualmente gli esseri umani sono degli strumenti, che altri hanno il diritto di usare per la sopravvivenza della razza.

— Questa è una menzogna.

— No, è soltanto metà della verità. Dell’altra metà potrai preoccupartene dopo che avremo vinto questa guerra.

— Potremmo essere distrutti prima che io diventi grande — disse Ender.

— Spero che non accada — borbottò Graff. — Comunque, stando qui a parlare con me non fai i tuoi interessi. Gli altri penseranno che quel furbone di Ender Wiggin sta leccando le scarpe a Graff. E se corre voce che sei il pupillo del direttore, stai certo che ti succederà qualche incidente.

In altre parole, levati dai piedi e lasciami in pace. - Arrivederci — disse Ender. Una mano dopo l’altra si spinse lungo il corridoio nella direzione in cui gli altri erano scomparsi.

Graff lo seguì con lo sguardo.

Accanto a lui uno degli insegnanti disse: — È lui quello su cui contiamo?

— Lo sa Iddio — mormorò Graff. — Se non fosse lui, meglio che Ender ce lo faccia capire al più presto.

— Forse non è nessuno di loro — disse l’insegnante.

— Forse. Ma se le cose stanno così, Anderson, vuol dire che il solo Dio è quello degli Scorpioni. E puoi citare le mie parole.

— Lo farò.

Per un poco i due rimasero in silenzio.

— Anderson…

— Mmh?

— Il ragazzo sbaglia. Io sono suo amico.

— Lo so.

— È intelligente. Te lo dico col cuore, ha del carattere.

— Ho letto i rapporti.

— Pensa a quel che gli stiamo facendo, Anderson.

L’altro lo fissò con aria di sfida. — Stiamo cercando di farne il miglior comandante in campo della storia.

— Per poi gettare sulle sue spalle il destino del mondo. Dovrei sperare che quello che cerchiamo non sia lui, per il suo bene. E lo spero.

— Consolati, magari gli Scorpioni ci faranno fuori tutti prima ancora che dia gli esami.

Graff sorrise. — Hai ragione. Sai una cosa? Le tue profezie sono ottime per tirare un uomo su di morale.

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