CAPITOLO SECONDO PETER


Ebbene, gli è stato tolto. Come se la cava?

Vivendo nel corpo di qualcuno per qualche anno ci si abitua ad esso. Ma ora, guardando la sua faccia, non riesco a capire cosa gli succede. L’espressione dei lineamenti non mi dice molto. Io sono abituato a sentirla, più che a vederla.

Avanti, qui non stiamo parlando di psicanalisi. Noi siamo militari, non medici-stregoni. Lei lo ha appena visto battere come un materasso il capo di quella piccola banda.

Ha esagerato. Non si è limitato a vincerlo: lo ha schiacciato. Come Mazer Rackham fece agli…

Me lo risparmi. Così, i membri della commissione hanno dato parere favorevole.

Quasi tutti. Vediamo cosa succederà con suo fratello, ora che non ha più il monitor.

Suo fratello. Lei non ha paura di ciò che suo fratello potrebbe fargli?

È stato lei a dirmi che questa era una faccenda priva di rischi.

Ho riesaminato alcuni dei nastri, e non posso fare a meno di preoccuparmi. Quel ragazzino mi piace. Ho idea che lo stiamo spremendo troppo.

Questo è ovvio. È il nostro lavoro. Noi facciamo la parte della strega cattiva. Gli promettiamo il marzapane con le uvette, e poi ce li mangiamo vivi, quei piccoli bastardi.


— Mi spiace, Ender — mormorò Valentine, quando vide il cerotto che aveva sulla nuca.

Ender sfiorò il muro e la porta si chiuse dietro di lui. — Non m’importa. Sono contento di non averlo più.

— Cos’è che non hai più? — Peter entrò in salotto, con la bocca piena di pane e burro d’arachidi.

Ender non vedeva Peter come lo vedevano gli adulti: un bel ragazzo di dieci anni, con capelli corvini folti e scarmigliati ed un volto che avrebbe potuto appartenere ad Alessandro il Grande. Ender lo guardava soltanto per scoprire in lui la rabbia, o la noia, quegli umori pericolosi che quasi sempre significavano sofferenza per qualcuno. E quando Peter si accorse del cerotto, nei suoi occhi balenò un lampo di rabbioso disprezzo.

Anche Valentine lo notò. — Adesso è come noi — disse, cercando di placarlo prima che agisse in qualche modo violento.

Ma Peter non voleva esser placato. — Come noi? Ha tenuto quel maledetto coso fino a sei anni. Tu fino a quando? Ne avevi tre. E a me hanno tolto il mio che non avevo neppure cinque anni. Lui ce l’aveva fatta, lo stupido bastardo, piccolo scorpione.

Così va meglio, pensò Ender. Parla, Peter, continua pure. Parlare non fa male.

— Be’, adesso non hai più l’angelo custode che ti protegge, eh? — disse Peter. — Adesso non ti spiano più per sapere se soffri o ridi, per ascoltare quello che ti dico, per vedere quello che ti faccio. Che ne pensi, eh? Che ne pensi?

Ender scrollò le spalle.

D’improvviso Peter sorrise e batté le mani, in un’ironica imitazione di spensierata giovialità. — Facciamo una partita a Scorpioni e Astronauti — disse.

— Dov’è la mamma? — domandò Valentine.

— Fuori — rispose Peter. — Comando io, in casa.

— Credo che chiamerò papà.

— Lo sai che non è mai in casa — disse Peter. — Vai pure fuori a chiamarlo.

— Va bene, ci sto — annuì Ender.

Peter schioccò le dita. — Tu fai io Scorpione.

— Lascialo fare l’Astronauta, una volta tanto — disse Valentine.

— Tu non ficcare il naso, caccola — la rimbeccò Peter. — Andiamo di sopra a prendere le armi.

Come Ender sapeva, non sarebbe stata una partita facile. Non era questione di vincerla. Quando i ragazzi la giocavano all’aperto, a bande intere, gli Scorpioni non vincevano mai e qualche volta la gara finiva tutt’al più alla pari. Ma al chiuso la cosa cominciava già male, perché gli Scorpioni non potevano disimpegnarsi e manovrare come nella guerra vera. Erano costretti a restare, finché gli stessi Astronauti non decidevano che la partita era finita.

Peter aprì il primo cassetto del suo canterale e ne tolse la maschera da Scorpione. Sua madre non era stata affatto contenta quando il ragazzo l’aveva comprata, ma il padre aveva dichiarato che impedire ai bambini di indossare le maschere e di battersi con finte armi laser non avrebbe certo fatto cessare la guerra con gli Scorpioni. Meglio anzi lasciare che giocassero con le armi fin da piccoli, così avrebbero avuto qualche possibilità in più il giorno che gli Scorpioni fossero tornati.

Sempre che io sopravviva a queste partite, pensò Ender. Si mise la maschera. Gli aderiva come una mano stretta intorno alla faccia. Ma non è come sentirsi davvero uno Scorpione, si disse Ender. Loro non indossano questa faccia come una maschera: è la loro faccia. Chissà se sul loro pianeta si mettono maschere da uomini, e giocano? E che nome danno a noi? Cacchemoscie, dato che siamo così morbidi e carnosi confronto a loro?

— Fatti sotto, caccamoscia — disse Ender.

Attraverso i fori della maschera vedeva Peter a malapena. Il fratello gli sorrise. — Caccamoscia, eh? Bene, scorpio-puzzone, vediamo come riuscite a salvare la faccia stavolta, voialtri invasori.

Ender fu colto di sorpresa dall’inizio della partita, perché Peter s’era gettato di lato e la maschera gli troncava la visione periferica. Poi un dolore improvviso gli esplose su una tempia, e sbilanciato cadde al suolo.

— Sei anche mezzo orbo, eh, Scorpione? — ringhiò Peter.

Ender cominciò ad annaspare intorno alla maschera per toglierla, ma un piede dell’avversario gli si premette sull’addome. — Non provare a levartela, tu — fu avvertito.

Ender si rimise a posto la maschera e allontanò le mani dal viso.

Peter spinse forte col tacco. Il dolore si allargò nel ventre di Ender, che tentò di contorcersi.

— Fermo dove sei, Scorpione. Adesso ti vivisezioneremo, lurido insetto. E per tutto il resto della vita ci mostrerai come funzionano le tue budella fetenti.

— Smettila, Peter — ansimò Ender.

— Smettila, Peter. Molto bene. Così voialtri Scorpioni conoscete anche i nostri nomi, adesso. E riuscite anche a chiedere pietà con voce da bambino per sembrare patetici e indifesi, in modo da farci diventare buoni e gentili con voi. Ma non funziona con me. Io ti vedo per quello che sei veramente. Loro hanno cercato di darti forma umana, bastardo di un Terzo, ma in realtà sei un sudicio Scorpione, adesso posso finalmente riconoscerti.

Tolse il piede, fece un passo di lato e si chinò su di lui, poggiandogli un ginocchio proprio sotto lo sterno. Poi pesò con tutto il suo corpo sul plesso solare di Ender, che si sentì mozzare il fiato.

— Sarebbe facile ammazzarti — sussurrò Peter. — Mi basterebbe spingere così, spingere fino a vederti morto. E poi potrei dire che non so cosa ti è successo, che stavamo giocando, e loro mi crederebbero, e tutto andrebbe meglio. Perché tu saresti morto. Ogni cosa andrebbe meglio.

Ender non riusciva a parlare, aveva appena la forza di tirare un filo di fiato nei polmoni. Peter diceva sul serio, forse. E se anche non diceva sul serio avrebbe potuto ammazzarlo ugualmente.

— Non scherzo — sibilò Peter. — Qualunque cosa tu pensi, non sto scherzando. Ti hanno dato il permesso di nascere soltanto perché io ero molto promettente. Ma di me non sono stati contenti. E tu hai fatto meglio, eh? Loro credono che tu abbia fatto meglio. Però io non voglio un fratello migliore di me. Non voglio un Terzo.

— Lo dirò alla mamma! — esclamò Valentine. — Appena torna papà…

— Nessuno ti crederà.

— Mi crederanno, eccome.

— Allora sei già morta anche tu, piccola sorellina dolce.

— Ah, sì? — disse Valentine. — Pensi che ti crederanno quando dirai loro: senza volerlo ho ucciso Andrew, e poi, sempre senza volerlo, ho ucciso anche Valentine?

La pressione diminuì un poco.

— D’accordo. Non oggi. Ma un giorno o l’altro voi due non sarete insieme. E succederà un incidente.

— Tutte chiacchiere — replicò Valentine. — Tu stesso non credi a quello che dici.

— Ah, io non ci credo?

— E sai perché non dici sul serio? — domandò Valentine. — Perché da grande tu vuoi diventare Presidente. Vuoi essere eletto. E nessuno voterebbe per te, se i tuoi avversari scoprissero che tuo fratello e tua sorella sono morti in un incidente sospetto quando eri più giovane. E questo accadrà perché io ho nascosto in un posto sicuro una lettera che sarà aperta subito dopo la mia morte.

— Non raccontarmi balle di questo genere — disse Peter.

— Io non sono morta di morte naturale, dice la lettera: Peter mi ha uccisa, e se non lo ha già fatto ben presto ucciderà anche Andrew. Non basterà a farti condannare, ma t’impedirà di essere eletto.

— Adesso sei tu il suo monitor — disse Peter. — Ti consiglio di sorvegliarlo, giorno e notte. Non perderlo mai di vista.

— Ender e io non siamo stupidi. Sappiamo fare i nostri progetti come te. Meglio di te in certe cose. Siamo tutti bambini così meravigliosamente intelligenti, no? Tu non sei il più furbo, Peter, sei soltanto il più grosso.

— Oh, lo so. Ma verrà il giorno in cui dimenticherai, e non sarai accanto a lui. E all’improvviso ricorderai, e correrai a cercarlo, e lui sarà lì sano e tranquillo. E la volta dopo non ti affretterai tanto, e non lo cercherai così in fretta. E ogni volta lui sarà sano e tranquillo. E crederai che io abbia dimenticato tutto. Anche se ripenserai a quel che sto dicendo adesso, dirai a te stessa che io ho dimenticato. E passeranno gli anni. E poi accadrà un terribile incidente, e sarò io a trovare il suo cadavere, e piangerò e singhiozzerò su di lui, e tu ricorderai questa conversazione, Vally, ma nel ricordarla avrai vergogna dei tuoi sospetti perché saprai che io sono cambiato, che è stato davvero un incidente, che da parte tua è crudele ripensare alle parole che ho detto durante una lite da bambini. Salvo che sarà tutto vero. Io avrò mantenuto la promessa, e lui sarà morto, e tu non farai niente di niente. E continuerai a credere che io sono soltanto il più grosso di noi.

— Il più grosso pezzo di cacca — disse Valentine.

Peter balzò in piedi e si mosse verso di lei. Valentine lo evitò correndo di lato. Ender si strappò via la maschera. Ma Peter si gettò lungo disteso sul suo letto e cominciò a ridere, forte e con vero divertimento, finché ebbe gli occhi colmi di lacrime. — Oh, voialtri due siete proprio dei super-poppanti, davvero, i più grossi poppanti del sistema solare.

Ender si alzò in piedi, lo guardò ridere e pensò a Stilson, pensò a quel che aveva provato nel prendere a calci il suo corpo. Lui era quello che ne aveva bisogno. Lui era quello a cui avrei dovuto farlo.

Come se gli avesse letto nella mente, Valentine sussurrò: — No, Ender.

Con una rapida contorsione Peter si volse, balzò giù dal letto e si mise bellicosamente in posa. — Oh, sì, Ender — disse. — Quando vuoi, Ender.

Ender alzò il piede destro e si tolse la scarpa. Gliene mostrò la punta. — Vedi cosa c’è qui sulla suola? Questo è sangue, Peter.

— Oooh! Oooh, sto per morire, sto per morire! Ender ha massacrato a calci un pomodoro, e ora sta per uccidere anche me.

Non c’era niente da fare con lui. Peter aveva il cuore di un omicida, e soltanto Valentine e Ender sapevano fino a che punto questo fosse vero.

La loro madre tornò a casa e compatì dolcemente Ender per la perdita del monitor. Rientrò anche il padre, e il suo commento fu che quella era una piacevole sorpresa, erano fortunati ad avere tre figli così eccezionali, e ancor più per il fattto che il governo adesso non si sarebbe preso nessuno di loro, cosicché avrebbero potuto tenerli con loro, compreso il Terzo… finché Ender non lo interruppe gridando: — Io lo so che sono un Terzo, io lo so! E se volete me ne vado via, così non vi vergognerete più davanti a tutti. E mi dispiace che mi abbiano levato il monitor, e che non avrete più niente da dire quando vi chiederanno perché avete tre figli, e che vi metterò in imbarazzo. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…

Quella sera giacque a letto fissando il buio a occhi aperti. Nella cuccetta sopra la sua Peter tossiva e si rigirava incessantemente. Dopo un po’ il fratello scese e attraversò la camera. Ender sentì lo scroscio dell’acqua nel bagno, poi la silouette di Peter si stagliò sulla porta e i suoi passi si avvicinarono in silenzio.

Crede che io dorma. Sta per uccidermi.

Peter giunse accanto al letto, ma invece di arrampicarsi sulla cuccetta superiore si fermò. Ender lo sentì a un palmo dalla sua testa.

Non prese un cuscino per cercare di soffocarlo. In mano non aveva nulla che potesse sembrare un’arma.

Si chinò e sussurrò: — Ender, mi dispiace, scusami. So cos’hai provato, perdonami, io sono tuo fratello e ti voglio bene.

Molto tempo dopo Ender sentì il suo respiro lento e capì che s’era addormentato. Si strappò via il cerotto dalla nuca. E per la seconda volta in quel giorno pianse in silenzio.

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