— Adesso?
— Suppongo di sì.
— Devono esserci degli ordini, colonnello Graff. Un esercito non si muove solo perché un comandante dice di supporre che sia il momento di attaccare.
— Io non sono un comandante. Mi occupo di ragazzini, sono un insegnante.
— Colonnello, ammetto di esserle stato addosso, ammetto d’esser stato la spina nel suo fianco, ma è servito. Tutto ha funzionato come lei voleva. Nelle ultime settimane Ender è stato… è stato…
— Felice.
— Soddisfatto. Sta andando bene. Ha la mente lucida, il suo gioco è eccellente. Pur giovane com’è, non abbiamo mai avuto un ragazzo meglio preparato per il comando. In genere lo meritano a undici, ma a nove e mezzo lui è già all’optimum.
— Già, certo. Sa una cosa? Poco fa mi stavo chiedendo che genere d’uomo vorrebbe prendere un ragazzino ferito, curarlo alla meglio, e rispedirlo sul campo di battaglia. Un piccolo dilemma morale del tutto privato. Non ci faccia caso. Devo essere stanco.
— Salvare il mondo, ricorda?
— Lo chiami dentro.
— Stiamo facendo quel che dobbiamo fare, colonnello Graff.
— Andiamo, Anderson, lei sta morendo dalla voglia di vedere come se la caverà con tutti i nuovi stratagemmi del regolamento su cui le chiesi di lavorare. Scommetto che ci si è diabolicamente divertito.
— Questa è una bassa insinuazione di cui non la credevo…
— Sicuro, sono un basso individuo. E poiché fra una bassezza e l’altra a volte ci incontriamo, non nego d’essere ansioso di vedere come se la caverà. Dopotutto, le nostre vite dipendono dal fatto che sia veramente abile. Mi sintonizza?
— Lei sta cominciando a usare i modi verbali dei ragazzi, eh?
— Lo faccia entrare, maggiore. Io registrerò i turni nel suo programma di lavoro, e gli fornirò un nuovo sistema di sicurezza. Quel che gli stiamo facendo non è tutto un peso per lui; avrà di nuovo la sua intimità.
— Isolamento, vuol dire.
— La solitudine del potere. Coraggio, lo chiami.
— Sì, signore. Quando avrò finito con lui, fra una ventina di minuti, lo condurrò nel suo ufficio.
Ender aveva capito cosa c’era in ballo fin dall’istante in cui era stato convocato da Anderson. Tutti ormai si aspettavano che avrebbe avuto il grado di comandante. Forse non così presto, ma da tre anni capeggiava la classifica dell’efficienza individuale, con molti punti di distacco sul secondo, e quello che faceva gli allenamenti extra con lui ogni sera era diventato il più prestigioso gruppo di soldati della Scuola. Alcuni si chiedevano perché gli insegnanti non si fossero ancora decisi.
Si domandò quale orda gli avrebbero dato. Tre comandanti, compresa Petra, avrebbero presto finito il corso, ma non poteva certo sperare che gli dessero l’orda delle Fenici: nessuno passava mai al comando della stessa orda in cui era stato un soldato fra i soldati.
Per prima cosa Anderson lo condusse nel suo nuovo alloggio. Questa era già una dichiarazione ufficiale: solo i comandanti avevano stanze private. Poi gli mostrò pile di uniformi nuove di zecca, accessori vari e tute da battaglia. Ender aprì il cellofan per scoprire il nome della sua orda.
Draghi, diceva l’etichetta su una delle tute. Non esisteva nessuna orda dei Draghi.
— Non ho mai sentito parlare dell’orda dei Draghi, signore — disse.
— Perché da quattro anni è stata sciolta. Usiamo questo nome solo a intervalli, dato che c’è una… uh, superstizione su di esso. Da quando è stata fondata la Scuola di Guerra, l’orda dei Draghi non ha mai vinto neppure un terzo delle battaglie. Era diventata oggetto di scherzi e di battute.
— Be’, perché adesso la rimettete in tabellone?
— Abbiamo pile di uniformi. Dobbiamo pur usarle, no?
Seduto dietro la scrivania, Graff sembrava più grassoccio e stanco dell’ultima volta che Ender l’aveva visto. Consegnò a Ender il radiogancio, l’apparecchietto che i comandanti usavano per spostarsi a loro piacimento in sala di battaglia. Durante gli allenamenti serali Ender aveva spesso sospirato il possesso di un radiogancio, invece di dover rimbalzare sulle pareti prima di poter arrivare dove voleva. E ora che aveva imparato a farne a meno abbastanza bene, gliene davano uno.
— Funzionerà soltanto durante le ore di addestramento programmate nel tuo orario di lavoro — lo avvertì Anderson.
Visto che Ender contava di proseguire coi suoi allenamenti extra, questo significava che il radiogancio gli sarebbe servito solo per metà delle ore di lavoro. E la cosa spiegava anche perché pochi comandanti facessero pratica fuori orario, ovvero nei momenti in cui il radiogancio non era collegato alla sala di battaglia: se avevano l’impressione che esso fosse un simbolo di autorità, o di superiorità sui soldati, lavoravano meno volentieri allorché dovevano farne a meno. Perciò questo è un vantaggio che avrò su alcuni miei avversari, pensò Ender.
Il discorsetto con cui Graff gli conferì la nomina suonò trito e annoiato. Soltanto verso la fine l’ufficiale parve interessato a ciò che stava dicendo. — Con l’orda dei Draghi abbiamo seguito una procedura insolita. Spero che a te non importi. Per metterla insieme si è dovuto promuovere anticipatamente una certa quantità di novellini, e ritardare nello stesso tempo la promozione di pochi veterani. Credo che sarai compiaciuto dei soldati da noi scelti. O meglio, spero che lo sarai, perché ti è proibito trasferire chiunque di loro.
— Niente scambi? — domandò Ender. Quello era sempre stato il metodo dei comandanti per eliminare i punti deboli, e favoriva anche i soldati stessi.
— Nessuno. Vedi, sono ormai tre anni che porti avanti i tuoi addestramenti extra. Hai dei seguaci. Molti bravi soldati metterebbero in atto spiacevoli pressioni sui loro comandanti per farsi trasferire da te. Noi ti diamo un’orda che potrà, col tempo, diventare competitiva. Non abbiamo intenzione di lasciarti riunire il meglio delle altre. Questo non servirebbe a nessuno.
— E se avrò dei soldati incapaci di andare d’accordo con me?
— Prova ad andare d’accordo con loro. — Graff abbassò gli occhi su alcuni fascicoli, e Anderson si alzò. Il colloquio era terminato.
Ai Draghi era stato assegnato il colore grigio, arancione, grigio. Ender andò a mettersi la tuta da battaglia, poi seguì la traccia luminosa fino alla camerata in cui erano stati trasferiti i suoi uomini. Li trovò già lì, che oziavano intorno all’ingresso, e non perse tempo in chiacchiere. — Ordinatevi nelle cuccette secondo l’anzianità di servizio. I veterani in fondo alla camerata, i nuovi verso la porta.
Era una sistemazione diametralmente opposta alle usanze, e Ender lo sapeva benissimo. Sapeva anche che non intendeva agire come gli altri comandanti, i quali non vedevano neppure i novellini sempre un po’ isolati in fondo al locale.
Mentre i ragazzi si comunicavano l’un l’altro le rispettive date di arrivo per ordinare i posti, Ender andò su e giù lungo il passaggo centrale. Quasi trenta dei suoi soldati erano dei novellini appena tolti dal gruppo con cui erano giunti alla Scuola, completamente privi di qualsiasi esperienza. Alcuni perfino sotto il limite minimo di età: quello più vicino alla porta era un soldo di cacio quasi patetico. Ender ricordò a se stesso che così doveva esser apparso anche lui a Bonzo Madrid, il giorno del suo arrivo. Tuttavia Bonzo s’era trovato con un unico soldato tanto giovane, e aveva avuto la possibilità di scambiarlo.
Nessuno dei veterani aveva mai fatto parte del gruppo che si allenava privatamente con lui. Nessuno era mai stato capobranco. Nessuno, in realtà, era più anziano dello stesso Ender, e questo significava che perfino i suoi veterani non avevano più di diciotto mesi di esperienza. Ricordava appena due o tre dei loro nomi, tanto scarsa era l’impressione che avevano destato in lui.
Naturalmente loro lo conoscevano bene, dato che era ormai il soldato più discusso della Scuola. E alcuni, notò Ender, lo guardavano senza la minima simpatia. Se non altro un favore me l’hanno fatto… nessuno di questi ragazzi è più anziano di me.
Appena ciascuno ebbe scelto la branda, Ender ordinò che indossassero la tuta da battaglia! — Il nostro orario prevede l’addestramento al mattino, e ci metteremo al lavoro subito dopo colazione. Ufficialmente dovreste godere di un’ora di libertà, appena usciti dalla mensa. Ma di questa parleremo in seguito, quando avrò visto a che punto siete. — Tre minuti dopo, benché molti di loro non fossero ancora del tutto pronti, ordinò loro di uscire in fila per uno.
— Ma io sono nudo! — si lamentò un ragazzino.
— La prossima volta sarai più svelto. Tre minuti dal mio ordine al momento di uscire dalla porta, questa è la regola della settimana in corso. La settimana prossima la regola sarà di due minuti. Avanti, march! — C’era il rischio che ben presto nel resto della Scuola circolasse la battuta che i Draghi erano dei tali pivelli da aver bisogno di esercizi perfino per imparare a vestirsi.
Cinque ragazzini erano completamente nudi, e sfilavano a passo di marcia nei corridoi tenendo la tuta in mano. Quelli del tutto vestiti erano una minoranza, e nel passare davanti alle porte spalancate delle aule l’orda attirò prevedibilmente l’irrispettosa attenzione delle scolaresche. Pochi avrebbero osato sfidare quella pioggia di commenti due giorni di fila.
Più tardi, nei corridoi che portavano alla sala di battaglia, Ender li fece correre rapidamente avanti e indietro, in modo che sudassero un po’, mentre quelli nudi si vestivano. Poi li condusse alla porta superiore, quella che si apriva la centro della parete come nella sala dove si svolgevano le battaglie fra le orde. Ordinò a ciascuno di saltare in alto, aggrapparsi al corrimano superiore e usarlo per darsi la spinta in avanti. — Riunitevi alla parete opposta — disse. — Come se andaste a conquistare la porta del nemico.
Già al momento di balzare, quattro alla volta, fuori dal corridoio i ragazzi gli mostrarono a che punto fossero. Quasi nessuno sapeva come procedere in linea retta verso l’obiettivo, e una volta arrivati alla parete opposta erano pochi quelli che riuscivano ad ancorarsi o a controllare il loro rimbalzo.
L’ultimo della fila era il più piccolo dell’orda, e per lui la ringhiera superiore era così lontana da richiedere un balzo di precisione.
— Puoi usare il corrimano laterale, se vuoi — disse Ender.
— Un accidente! — ringhiò il ragazzino. Saltò in alto, toccò la ringhiera appena con un dito e sbatté malamente nello stipite della porta, roteando via senza più controllo. Ender non seppe se ammirare quel piccoletto per aver rifiutato una facilitazione o irritarsi per la sua attitudine alla disubbidienza.
Quando finalmente riuscirono ad allinearsi lungo la parete, Ender notò che senza eccezione s’erano orientati con la testa volta dalla parte che nel corridoio era stata l’alto. Poggiò allora le mani su quello che i ragazzi consideravano il pavimento e si capovolse. — Perché state tutti a testa in giù, soldati? — domandò.
Alcuni di loro cominciarono a girarsi con ubbidienza.
— Attenzione, voialtri! — li fermò lui. — Ho chiesto perché state a testa in giù.
Nessuno rispose. Non avevano capito il senso della sua domanda.
— Ho chiesto il motivo per cui ognuno di voi ha i piedi in aria e la testa verso il basso.
Dopo qualche istante uno si decise a rispondere: — Signore, questa è la direzione di… in cui siamo usciti dalla porta, cioè.
— E questo ha forse qualche significato? Che differenza fa l’orientamento gravitazionale del corridoio? Pensate per caso di battervi nel corridoio? Qui dove stiamo c’è forza di gravità?
— No, signore — risposero alcuni, perplessi.
— Da ora in poi dimenticherete l’esistenza della parola stessa ancor prima di saltar fuori da quella porta. La gravità scompare, non ha più senso. Mi capite? E in qualunque modo siate girati quando entrerete in sala, ricordate questo: la porta nemica è in basso. I vostri piedi staranno puntati da quella parte. L’alto sarà invece verso la vostra porta. Il nord davanti, il sud di dietro, l’est a destra, l’ovest… da che parte?
Le loro mani si alzarono a indicare.
— Bene, vedo che sapete ragionare per eliminazione. Ma non vi consiglio di orientarvi col processo di eliminazione quando dovete andare al gabinetto d’urgenza. Cos’era quella specie di circo equestre che ho visto poco fa? Qualcuno aveva forse l’impressione di volare davvero? Ora tutti quanti: lanciarsi e radunarsi in doppia fila sul soffitto. Scattare! Muoversi!
Come Ender s’era aspettato, un buon numero di loro si lanciò d’istinto non verso la parete della porta d’ingresso, bensì verso quella che lui aveva definito «nord», ovvero la direzione che aveva rappresentato l’alto quand’erano ancora nel corridoio. Naturalmente capirono quasi subito l’errore, ma era troppo tardi, e per porvi rimedio dovettero aspettare di poter rimbalzare sulla parete nord.
Nel frattempo Ender li stava suddividendo dentro di sé in due gruppi, in base alla loro rapidità nell’apprendere. Il ragazzino più piccolo, che aveva fatto la peggiore uscita dalla porta, fu il primo ad arrivare alla parete giusta e restò lì posizionandosi correttamente con la testa in alto. Non lo avevano dunque promosso per caso, e avrebbe fatto una buona riuscita. Era però un galletto e un ribelle, anche se forse non aveva mandato giù il fatto d’esser stato costretto a marciare nudo nei corridoi.
— Tu — disse Ender, indicando il piccoletto. — Da che parte è il basso?
— Verso la porta nemica. — La risposta era stata rapida. Ma anche un po’ seccata, come a dire: OK, OK, adesso passiamo alle cose importanti.
— Il tuo nome, ragazzo.
— Questo soldato si chiama Bean [fagiolo N.d.T.], signore.
— Riferito alle dimensioni del corpo o a quelle del cervello? — Gli altri ragazzi fecero udire qualche risatina, ma lui li azzittì subito. — Non farci caso, Bean. Ho visto che sei svelto. Ora aprite bene gli orecchi, perché non mi ripeterò spesso. Nessuno esce da quella porta senza rischiare d’essere all’istante colpito e congelato. Ai vecchi tempi avreste avuto dieci, venti secondi prima di cominciare le ostilità. Adesso, se non schizzate fuori già pronti a colpire e a ripararvi, siete congelati. E cosa succede quando uno è congelato?
— Non può muoversi — rispose uno dei ragazzi.
— Questo è ciò che la parola significa - disse Ender. — Ma al soldato cosa succede?
Fu Bean, per nulla intimidito dalla sua spiritosaggine di poco prima, che rispose correttamente: — Continua ad andare dritto in quella direzione. Alla velocità con cui è partito.
— Proprio così. Voi cinque, là in fondo alla fila, muovetevi!
Stupiti i ragazzi si guardarono l’un l’altro. Ender puntò la pistola e li colpì tutti. — I cinque successivi, muoversi!
Si mossero. Ender sparò anche a ciascuno di loro, ma continuarono a volare allontanandosi verso le pareti. I primi cinque, invece, erano rimasti a fluttuare dove il raggio di luce li aveva raggiunti.
— Guardate questi cosiddetti soldati — disse Ender. — Il loro comandante ha ordinato loro di muoversi e non l’hanno fatto. Primo errore. Adesso sono congelati ma, peggio ancora, sono congelati qui dove non possono servire a niente; mentre gli altri, visto che almeno si sono mossi, stanno andando a dar fastidio al nemico, ostacolandogli i movimenti e la visuale. Voglio sperare che almeno cinque di voi abbiano capito il punto. E non dubito che Bean sia uno di loro. Non è così, Bean?
Il ragazzo non gli rispose subito, ma Ender lo fissò finché si decise a dire: — È così, signore.
— Allora, qual è il punto?
— Quando lei ordina di muoversi, il soldato si deve muovere in fretta. Così, se lo colpiscono, va a rimbalzare fra le posizioni nemiche invece di stare fra i piedi ai compagni.
— Eccellente! Vedo che in quest’orda c’è almeno un soldato capace di usare l’immaginazione. — Ender poté vedere il risentimento crescere nelle occhiate che gli altri si scambiavano, evitando di guardare Bean. Perché sto facendo questo? Cos’ha a che fare coi doveri di un buon comandante il trasformare un ragazzino in un bersaglio per gli altri? Dovrei farlo a lui soltanto perché l’hanno fatto a me? Per un attimo fu tentato di far marcia indietro, di dire ai ragazzi che il piccoletto aveva bisogno del loro aiuto e della loro amicizia più di chiunque altro. Ma naturalmente non poteva farlo. Non il primo giorno. Quel giorno, perfino i suoi errori sarebbero stati visti come parte di un qualche brillante progetto di istruzione.
Col radiogancio Ender si trasse vicino alla parete; prese un ragazzo e lo fece scostare dagli altri. — Stai rigido sull’attenti — ordinò. Lo fece ruotare nell’aria finché i piedi di lui puntarono verso i compagni. Quando il ragazzo accennò a muoversi, Ender lo congelò. Gli altri risero. — Quali parti del suo corpo potresti colpire? — Domandò al soldato direttamente davanti ai piedi di quello congelato.
— Tutt’al più le suole delle scarpe.
Ender si volse al ragazzo accanto. — E tu?
— Io posso vedere il suo corpo.
— E tu, laggiù?
Un ragazzo a qualche distanza da lui rispose: — Tutto il corpo.
— I piedi non sono grandi. Non riparano molto, eh? — Ender scostò da sé il soldato congelato. Poi ripiegò le gambe, come se fosse inginocchiato a mezz’aria, e sparò a ognuna di esse. All’istante i pantaloni della tuta s’irrigidirono, tenendogliele ferme in quella posizione.
Si spinse in alto, presentando loro le ginocchia unite. — Adesso cosa vedete?
Molto di meno, fu la risposta.
Ender si piazzò la pistola fra i polpacci. — Ma io vi vedo benissimo — annunciò, e cominciò a sparare a quanti si trovava davanti. — Fermatemi! Colpitemi, se ci riuscite! — gridò.
Alla fine lo congelarono, ma non prima che lui avesse colpito un terzo almeno di loro. Il suo pollice sinistro annullò l’effetto sfiorando un pulsante del radiogancio, poi usò l’apparecchio per scongelare gli altri soldati. — Ora — disse, — dov’è la porta nemica?
— Giù!
— E qual è la vostra posizione di attacco?
Qualcuno fece per rispondergli a parole, ma Bean reagì spingendosi via dalla parete con le gambe ripiegate sotto di sé, dritto verso il lato opposto della sala e sparando con l’arma fra le ginocchia per tutta la strada.
Per un attimo Ender fu tentato di gridargli un rimprovero, di punirlo, poi scacciò quell’impulso abbastanza meschino. Perché dovrei essere così ingiusto con un bambino? - Bean è il solo che ha capito quello che dico? — sbottò.
Immediatamente l’intera orda balzò in direzione della parete di fondo, tutti inginocchiati nell’aria, sparando all’impazzata fra le gambe e gridando con feroce entusiasmo. Potrà venire il giorno, pensò Ender, che mi sarà utile proprio una tattica di questo genere: quaranta ragazzi che urlano a squarciagola nel più disordinato degli assalti.
Quando li vide fermi sull’altro lato gridò loro di attaccarlo, tutti insieme. Sì, rifletté, non c’è male. Mi hanno dato un’orda non addestrata, senza veterani di valore, ma almeno non è una torma di sciocchi. Potrò lavorare con loro.
Appena li ebbe rimessi in fila, ancora ridacchianti ed esilarati, cominciò a darsi da fare con impegno. Ordinò a tutti di congelarsi le gambe nella posizione che ormai conoscevano. — Ora sentiamo, a cosa vi servono le gambe in battaglia?
A niente, dissero alcuni.
— Bean non la pensa così, no? — suggerì Ender.
— Servono a rimbalzare meglio via dalle pareti. A spingersi.
— Giusto — disse Ender.
Gli altri ragazzi protestarono che spingersi via era movimento, non combattimento.
— Non c’è combattimento senza movimento — li corresse Ender. Loro tacquero, e detestarono Bean un po’ di più. — Adesso, con le gambe congelate in questo modo, sapreste spingervi via dalla parete?
Nessuno osò rispondere, per paura di sbagliare.
— Bean? — chiese Ender.
— Non ci ho mai provato, ma forse mettendosi fronte alla parete e piegandosi all’altezza della cintura…
— Giusto ma anche sbagliato. Guardate me. Ho la schiena al muro, le gambe congelate. Poiché sono in ginocchio ho i piedi contro la parete. Di solito, quando vi spingerete via dovrete spingervi in basso, lasciando il corpo dietro di voi, ovvero piegandovi all’indietro. Non in avanti, come ha detto Bean, altrimenti vi schiaccerestre il fagiolo. OK?
Tutti guardarono Bean e risero.
— Dunque la tecnica è questa: arrivare contro la parete a gambe ripiegate, ammortizzare l’urto con esse e rotolare con la schiena a contatto dell’ostacolo. Poi spingersi via usando le spalle. Guardate me.
Ender si staccò dalla parete con quel metodo, quindi assunse la posizione di attacco e a gambe avanti volò fino al lato opposto della sala. Atterrò sulle ginocchia, rotolò sulla schiena e con un colpo di reni balzò via in un’altra direzione, girando su se stesso come una trottola. — Sparatemi! — gridò. Il suo percorso era quasi parallelo alla fila dei ragazzi, che gli indirizzarono addosso gragnuole di colpi, ma poiché stava roteando nessuno poté tenere il raggio sul bersaglio per il minimo tempo necessario.
Lui riammorbidì la tuta e col radiogancio si portò di nuovo fra loro. — Adesso lavorerete una mezz’ora su questa tecnica. Metterà in funzione alcuni muscoli che non sapevate di avere. Imparate a usare costantemente le gambe come uno scudo, ed a controllare il rimbalzo per poter roteare. Contro i colpi a distanza ravvicinata girare su se stessi non serve a niente, ma quelli che vi arrivano addosso da lontano risulteranno innocui: a quella distanza il raggio deve star fermo sullo stesso punto per alcuni decimi di secondo, e se un corpo sta roteando questo non succede. Adesso ciascuno si congeli le gambe, e scattare via.
— Non ci assegni un percorso? — volle sapere un ragazzo.
— Nossignore. Voglio che sbattiate l’uno contro l’altro e impariate a cavarvela negli urti imprevisti. Salvo che quando manovreremo in formazione, perché allora dovrete sbattere su un compagno o spingervi via da lui per scopi ben precisi. E ora scattare, ho detto!
Quando diceva scattare, se non altro, l’orda scattava.
Ender fu l’ultimo a uscire al termine dell’orario, perché s’era attardato in fondo alla sala per aiutare un paio dei più lenti a capire certi movimenti. Per i veterani era stato un gioco, ma tutti i novellini avevano annaspato come pulcini nella stoppa quando s’era trattato di fare due o tre cose nello stesso tempo. Roteare con le gambe congelate era facile per chi non soffriva di vertigini, nessuno aveva difficoltà a stabilizzarsi in assetto di volo; ma lanciarsi in una direzione e sparare in un’altra, girare su se stessi, rimbalzare in una parete e uscirne sparando a un bersaglio, volando nella direzione voluta… questo era molto oltre le loro possibilità del momento. Esercizio fisico, rimbalzi e volo, questo era tutto ciò su cui Ender poteva farli sudare per i primi tempi. La strategia e le tattiche erano eccitanti, ma non se ne poteva neppure parlare finché l’orda non avesse imparato a muoversi in gravità zero.
A lui sarebbe servita un’orda pronta fin da quel momento. Come comandante era un novizio, inoltre gli insegnanti avevano cambiato non poche regole, non lo lasciavano fare scambi e gli avevano dato dei veterani che nessuno considerava delle cime. E nulla garantiva che gli avrebbero dato i soliti tre mesi di tempo per preparare l’orda, prima di metterla in cartellone per le battaglie con le altre.
Almeno, si disse, alla sera avrebbe avuto Alai e Shen per dargli una mano ad allenare i suoi nuovi ragazzi.
Era appena uscito dalla sala di battaglia quando, in corridoio, si trovò di fronte al piccolo Bean.
— Ehilà, Bean.
— Ehilà, Ender.
Una pausa.
— Signore - lo corresse lui dolcemente.
— Io lo so quello che stai facendo, Ender, signore, e voglio darti un avvertimento
— Un avvertimento a me?
— Io posso essere il miglior soldato che tu abbia, ma non fare giochetti con me.
— Altrimenti?
— Altrimenti sarò il peggiore. O l’uno o l’altro.
— E cos’è che vuoi, complimenti e bacetti? — Ender stava cominciando a irritarsi, adesso.
Bean lo fermò prendendolo per un gomito. — Voglio un branco.
Lui si volse di scatto e lo fissò negli occhi. — E cosa ti fa supporre che potresti mai averne uno in vita tua?
— Perché io so cosa deve fare un branco.
— Sapere cosa deve fare è una cosa — disse Ender, — farglielo fare è un’altra. Perché dei soldati dovrebbero seguire un poppante come te?
— Mi hanno detto che un tempo chiamavano te a questo modo. E ho sentito che Bonzo Madrid lo fa anche adesso.
— Ti ho fatto una domanda, soldato.
— Io mi guadagnerò il loro rispetto, se non mi fermerai.
Ender sogghignò. — Anzi, io ti sto aiutando.
— All’inferno! — disse Bean.
— Nessuno ti avrebbe notato, se non per compatire il povero bambinetto magrolino. E oggi ho fatto in modo che tutti ti notassero. D’ora in poi ti terranno sotto il loro microscopio. Tutto ciò che ti resta da fare per essere rispettato, adesso, è di essere perfetto.
— Così non avrò neppure una possibilità di imparare, prima d’essere giudicato.
— Povero piccino! Nessuno vuol essere buono con lui! — Ender lo prese per le spalle e lo tenne fermo contro il muro. — Te lo dirò io come puoi avere un branco. Provami che sai diventare un ottimo soldato. Provami che sai come tenere in pugno altri soldati. E poi provami che qualcuno vorrebbe affidarsi ai tuoi ordini in battaglia. Allora ti darò il tuo branco. Ma potresti sputar sangue per riuscirci, bada.
Bean sorrise. — Questo mi sta bene. Se tu lavori nel modo che hai detto, sarò capobranco entro un mese.
Ender lo afferrò per il petto e lo spinse contro il muro. — Quando io dico che lavoro in un modo, Bean, allora quello è il modo in cui lavoro. Chiaro?
Bean si limitò a sorridere. Ender lo lasciò e si allontanò a lunghi passi. Quando fu nel suo alloggio si gettò disteso sul letto e strinse i denti, scosso da un tremito. Cosa sto facendo? Il mio primo addestramento con l’orda, e sto già soggiogando i ragazzi come faceva Bonzo. E Peter. Li sbatto di qua e di là. Prendo di mira un povero bambino per dare a tutti gli altri qualcosa da odiare. Le cose che più disprezzavo in un comandante; e io le sto facendo.
È una legge della natura umana che uno debba diventare uguale al primo uomo che ha avuto autorità su di lui? Posso lasciar perdere tutto fin d’ora, se è così.
Nella sua mente ripassarono più volte le cose che aveva detto e fatto in quella prima mattinata con la nuova orda. Perché non aveva parlato e agito come sempre faceva con i ragazzi del gruppo di allenamento serale? Nessuna autorità se non la capacità di eccellere. Nessuno aveva bisogno di dare ordini, soltanto suggerimenti. Ma questo non avrebbe funzionato, non con un’orda. Gli amici che si allenavano con lui non dovevano imparare a lavorare insieme. Non dovevano sviluppare l’istinto di gruppo, non dovevano imparare a vivere situazioni che in battaglia li avrebbero portati a sostenersi a vicenda, a confidare l’uno nell’altro. Non c’era bisogno che loro scattassero ai suoi comandi.
Avrebbe anche potuto andare all’estremo opposto, se avesse voluto: esibire lassismo e incompetenza come Rose de Nose. Fare errori stupidi e affidarsi a capibranco capaci di porvi rimedio… ma no. No, lui voleva le capacità formative della disciplina, e questo significava pretendere — e riuscire a ottenere — ubbidienza rapida e incondizionata. Lui voleva un’orda ben addestrata, e questo voleva dire far allenare i soldati duramente, finché avessero padroneggiato una tecnica al punto di averla a noia, finché gli fosse penetrata nelle cellule del corpo tanto da divenire un riflesso condizionato.
Ma cos’era che lo aveva spinto ad agire così con Bean? Perché aveva messo gli occhi proprio sul più piccolo, più debole, e forse anche il più brillante di quei ragazzi? Perché aveva fatto a Bean ciò che era stato fatto a lui da comandanti che disprezzava?
Poi ricordò che la cosa non era cominciata con i suoi comandanti. Prima che Rose e Bonzo lo trattassero in modo sprezzante, era stato Bernard a creare quella situazione. Era stato Graff.
Sì, l’insegnante aveva fatto questo. E non certo per sbaglio. Ender ora lo capiva chiaramente. Era stata una strategia. Graff lo aveva deliberatamente isolato dagli altri ragazzi, rendendogli impossibile legare con loro. E adesso cominciava a sospettarne i motivi. Non era stato per unire il resto del gruppo, anzi la cosa li aveva divisi. Graff lo aveva isolato per vedere come reggeva sotto il torchio, per spingerlo a dimostrare non che era soltanto capace, ma che era migliore di tutti gli altri. Perché non gli era restato altro modo di ottenere rispetto e amicizia. E lo aveva reso un soldato migliore di quel che altrimenti lui sarebbe diventato. Aveva anche fatto di lui un ragazzo solo, spaventato, irritato, sfiduciato. E forse perfino queste caratteristiche s’erano sommate per renderlo un soldato migliore.
Questo è ciò che sto facendo a te, Bean. Ti ferirò perché tu diventi capace di sopportare le ferite. Ti costringerò a stare all’erta contro di me per svegliare il tuo ingegno. Ti insegnerò ad abituarti alla tensione. Ti terrò sempre sbilanciato, mai sicuro di quel che sta per succederti, in modo che tu sia pronto a ogni cosa, pronto a improvvisare, e deciso a vincere ad ogni costo. E ti farò anche sentire un misero reietto. Ecco il motivo per cui ti hanno messo con me, Bean: perché tu possa essere come me. Perché tu cresca camminando sulle mie stesse orme.
Ed io… si suppone che io debba crescere come Graff? Grassoccio e triste e indifferente, manipolando le vite di ragazzini per farli uscire perfetti da questa fabbrica, ufficiali e generali capaci di condurre le astronavi a difesa della patria. Tu devi aver gustato il piacevole senso di potere del burattinaio, nel costruirli. Finché non ti sei trovato ad avere un soldato migliore di qualsiasi altro. Ma non puoi avere anche questo. Distruggerebbe la simmetria della tua opera. Devi rimetterlo in riga allora; o schiacciarlo, isolarlo e colpirlo finché lui non si rimetterà in fila con tutti gli altri.
Be’, quel che oggi ti ho fatto, Bean, l’ho fatto. Ma ti terrò d’occhio con più comprensione di quel che credi, e quando verrà il momento giusto scoprirai che sono stato tuo amico, e che tu sei il soldato che volevi essere.
Ender non andò in classe quel pomeriggio. Rimase disteso sul letto e mise per iscritto le sue impressioni su ognuno dei ragazzi dell’orda, le loro caratteristiche psicofisiche e i dettagli su cui questo o quello avrebbe dovuto lavorare di più. Agli allenamenti di quella sera avrebbe parlato con Alai, e insieme avrebbero studiato il modo di insegnare a un gruppo eterogeneo fino a portare i singoli allo stesso livello. Almeno in questa difficoltà non avrebbe dovuto agire da solo.
Ma quando quella sera arrivò in sala da battaglia, mentre quasi tutti erano ancora a mensa, trovò sulla porta il maggiore Anderson che lo aspettava. — Ci sono state alcune modifiche al regolamento, Ender. Da ora in poi soltanto membri della stessa orda potranno lavorare insieme nelle ore libere, e di conseguenza le sale di battaglia dovranno essere frequentate secondo orari programmati. Da oggi il tuo turno è ogni quattro giorni.
— Nessun altro sta facendo allenamenti extra.
— Li hanno in progetto, Ender. Ora che tu comandi un’altra orda, i tuoi colleghi non vogliono che i loro ragazzi ti frequentino. E mi sembra comprensibile, no? Così ognuno condurrà i suoi programmi di allenamento.
— Fin’ora ho pur sempre fatto parte di orde loro avversarie. E mi hanno ugualmente mandato soldati da addestrare.
— Ma non eri un comandante.
— Voi mi avete dato un’orda completamente grezza, maggiore Anderson, signore…
— Hai un certo numero di veterani.
— Non sono certo eccezionali.
— Nessuno viene qui alla Scuola se non ha grosse doti, Ender. Impara a renderli migliori.
— Ho bisogno di Alai e Shen per…
— È tempo che tu cresca e faccia le tue cose da solo, Ender. Non hai bisogno che questi altri ragazzi ti tengano la manina. Adesso sei un comandante. Perciò fammi il favore di agire di conseguenza.
Ender oltrepassò Anderson e proseguì verso la sala di battaglia. Poi si fermò. — Dato che anche gli allenamenti serali sono ora regolarmente programmati, potrò usare il radiogancio come in quelli normali?
Era un sorriso quello di Anderson? No. Neppure una minima probabilità che lo fosse. — Vedremo — fu la risposta.
Ender si volse e andò in sala di battaglia. Da lì a poco arrivò la sua orda; ma nessun altro si fece vedere, sia perché Anderson fosse rimasto fuori a intercettare chi stava arrivando, sia che già nella Scuola si fosse sparsa la voce che le serate informali sotto la direzione di Ender erano un capitolo chiuso.
Fu un allenamento fruttuoso e i ragazzi fecero qualche passo avanti, ma al termine Ender era sfinito e si sentiva solo. C’erano ancora trenta minuti prima dell’ora di andare a letto. Non voleva accompagnare l’orda in camerata; aveva imparato da tempo che i migliori comandanti se ne stavano lontani, a meno che non avessero una buona ragione per addentrarsi fra le brande. I ragazzi dovevano avere la possibilità di starsene in pace, di rilassarsi, senza nessuno che fosse lì a farsi un’opinione di loro dal modo in cui parlavano o agivano fuori orario.
Così andò a bighellonare in sala giochi, dove qualche altro ragazzo stava sfruttando l’ultima mezz’ora prima della campanella per fare una scommessa o battere un punteggio fatto in precedenza. Nessuna delle macchine lo attirava, ma fece ugualmente una partita su una di quelle disegnate più che altro per i principianti. Annoiato, ignorò gli obiettivi del gioco e fece uso della figura mobile, un orso, per esplorare lo scenario animato che il programma conteneva.
— Non vincerai mai a quel modo.
Ender sorrise. — Ho sentito la tua mancanza stasera, Alai.
— Io ero in sala. Ma loro hanno fatto entrare la tua orda in qualche altro posto separato. Sembra che adesso tu sia diventato uno dei grandi, e che non potrai più giocare con noialtri piccoletti.
— Tu sei almeno un cubito più alto di me.
— Un cubito! Forse Dio ti ha ordinato di costruire una barca, o ti ha dato le misure per un tempio? O sei improvvisamente d’umore arcaico?
— Non arcaico, forse arcano. Segreto, tortuoso e incomprensibile. Sento già la tua mancanza, volpone circonciso.
— Non te l’hanno detto? Ora siamo nemici acerrimi. La prossima volta che ci incontreremo in battaglia dovrò darti una brutta strigliata.
Erano le solite battute, ma adesso c’era troppa verità dietro di esse. Sentendo Alai parlarne come se tutto fosse uno scherzo Ender si rese dolorosamente conto che quella nuova regola lo allontanava da un amico, e il suo malumore aumentò quando si chiese se Alai provava davvero la tristezza che aveva cercato di comunicargli con quella frase.
— Puoi sempre provarci — disse Ender. — Ti ho insegnato tutto quello che sai. Ma non ti ho insegnato tutto ciò che io so.
— Sapevo perfettamente che ti stavi tenendo da parte qualche trucchetto, Ender.
Una pausa. L’orso di Ender era nei guai, sullo schermo. Si arrampicò su un albero. — No, Alai. Non mi tenevo da parte niente con te.
— Lo so — disse l’altro. — Neppure io.
— Salaam, Alai.
— Non credo che ci sarà.
— Che non ci sarà cosa?
— La pace. È questo che salaam significa. La pace sia con te.
Quelle parole risvegliarono un’eco nella memoria di Ender. La voce di sua madre che gli leggeva una storia, da bambino. Non illuderti che io sia venuto a portare la pace sulla Terra. Io non vengo a portare la pace, ma una spada. E con la fantasia aveva visto Peter incedere sui cadaveri dei suoi nemici con uno spadone rosso di sangue fra le mani. Quelle parole e quell’immagine erano rimaste a lungo nella sua mente.
Senza un lamento l’orso morì. Fu una morte divertente, accompagnata da una musichetta allegra. Ender si volse e vide che Alai era già andato via. Ebbe l’impressione di aver perso una parte di se stesso, un sostegno interno che gli dava coraggio e sicurezza. Con Alai, assai più che con Shen, era giunto a provare un’affinità così forte che il noi gli saliva alle labbra molto più facilmente della parola io.
Ma Alai gli aveva lasciato qualcosa. Disteso a letto con gli occhi fissi nel buio Ender ci ripensò, e sentì ancora il bacio che Alai gli aveva dato sulla guancia mormorando la parola pace. Quel momento, quel bacio e quella pace erano sempre lì con lui. Io sono i miei ricordi, e i miei ricordi sono me. Alai è già un ricordo così legato a me che nessuno potrà mai togliermelo. Come Valentine, il ricordo più forte di ogni altro.
Il giorno dopo incrociò Alai in un corridoio, e si salutarono, si presero per mano, parlarono un poco; ma entrambi sapevano che adesso c’era un muro. Avrebbe potuto essere abbattuto, quel muro, in qualcuno degli anni a venire, ma per ora la sola vera comunicazione rimasta fra loro erano le radici già allargatesi profonde nel terreno, sotto il muro, dove chi l’aveva costruito non poteva tranciarle.
La cosa più raggelante, però, era la paura che quel muro fosse di un materiale indistruttibile, che Alai fosse lieto d’esser stato separato da lui e pronto per trasformarsi in un suo nemico. Perché ora che non potevano essere insieme erano infinitamente separati, e ciò che prima era stato certo e incrollabile adesso era fragile e impalpabile. Da ora in poi Alai diventerà uno sconosciuto ogni giorno di più, perché ha una vita che ormai si è staccata dalla mia. E questo significa che un bel momento ci incontreremo e scopriremo di non conoscerci l’un l’altro.
Questo lo rese triste, ma non al punto di piangere. I suoi occhi non erano più capaci di tanto. Quando avevano trasformato Valentine in una sconosciuta, quando l’avevano usata come un utensile per lavorare su di lui, da quel giorno in poi nulla di quel che potevano fare sarebbe riuscito a farlo piangere. Ender era certo di questo.
E con quella rabbia in corpo decise che era forte abbastanza da resistere loro e da sconfiggerli. I suoi insegnanti. I suoi nemici.