CAPITOLO SETTIMO

Il luogo era una stazione di pompaggio del sistema di riciclaggio della Megalopoli di Seatac; si trovava a più di quattrocento metri di profondità e pompava nella Grande Colata acqua destinata all’irrigazione: un sottoprodotto del processo di riciclaggio. Era un edificio di quattro piani, un intrico di tubi, console di computer, passerelle d’accesso illuminate da fotoglobi sospesi su campi di forza, e pulsava al ritmo delle gigantesche turbine che controllava.

I Durant erano scesi laggiù durante l’ora di punta serale, servendosi dei condotti riservati al personale, muovendosi con calma, assicurandosi che nessuno li stesse seguendo e che non avessero su di sé alcun dispositivo-spia. Fino a quel momento, avevano superato senza difficoltà cinque punti di controllo.

Tuttavia erano stati attentissimi a "leggere" le espressioni e il comportamento delle persone che incontravano. La maggior parte di esse erano semplici, frettolosi cittadini, impegnati nei loro affari. Occasionalmente scambiavano uno sguardo di riconoscimento con un altro corriere, oppure identificavano qualche preoccupato funzionario di basso rango, in giro per eseguire un incarico per conto degli Optimati.

Nessuno si accorse di una coppia, vestita in abiti marroni come tutti i lavoratori, che emerse con le mani intrecciate sulla Passerella Nove della stazione di pompaggio.

I Durant si fermarono e si guardarono intorno. Erano stanchi, esaltati e anche un po’ timorosi: infatti erano stati convocati nel quartier generale dell’Associazione dei Genitori Clandestini. L’atmosfera era satura dell’odore di idrocarburi. Lizbeth annusò l’aria.

Ciò che disse al marito mediante il loro codice privo di parole fu leggermente venato di tensione. Harvey si sforzò di rassicurarla.

«Probabilmente incontreremo il nostro Glisson,» le disse.

«Potrebbero esistere altri Cyborg che hanno lo stesso nome,» replicò lei.

«È altamente improbabile.»

Harvey la spinse dolcemente verso la passerella, superarono una delle luci sospese, e due lavoratori che osservavano dei contatori Picot, con volti a cui l’illuminazione proveniente dal basso conferiva un aspetto bizzarro.

Lizbeth percepiva quanto fosse pericolosa la loro posizione e chiese, «Come facciamo ad essere sicuri che loro non ci stanno osservando?»

«Sai bene che questo è uno dei posti sotto il nostro controllo,» replicò Harvey.

«Ma come è possibile?»

«Basta filtrare i dispositivi spia attraverso un computer ottico. Di conseguenza, gli Optimati vedono soltanto ciò che noi vogliamo che vedano.»

«Comunque è pericoloso fidarsi di un simile espediente,» commentò Lizbeth. «Perché ci hanno convocato?»

«Lo sapremo tra pochi minuti,» rispose lui.

I Durant superarono un portello a tenuta stagna, che serviva a escludere la polvere, ed entrarono in un deposito di attrezzi, sulle cui pareti grigie si aprivano i fori dei tubi di trasmissione, oltre l’inevitabile computer che ticchettava, ronzava e lampeggiava. L’atmosfera di quel luogo era satura di un odore dolciastro di olio.

Quando il portello si richiuse alle spalle dei Durant, una figura apparve alla loro sinistra e si sedette su di una panca imbottita di fronte alla coppia.

I Durant la fissarono in silenzio. Avendola poi riconosciuta, provarono nei suoi confronti un moto istintivo di repulsione. La figura che stava loro di fronte non era né quella di un uomo né tantomeno quella di una donna. Mentre li osservava, sembrò formare un tutt’uno con la panca su cui sedeva. Poi quell’essere estrasse da una delle tasche della sua tuta grigia dei cavi e iniziò a inserirli nel computer montato nella parete.

Harvey concentrò la propria attenzione sul volto squadrato, profondamente segnato, dello sconosciuto, sui suoi occhi color grigio chiaro, vuoti, freddi, con lo sguardo carico di quell’attenzione priva di qualunque sfumatura emotiva che era tipica dei Cyborg.

«Glisson,» chiese Harvey, «è stato lei a convocarci?»

«Sono stato io,» rispose il Cyborg. «Sono passati molti anni, Durant. Ha ancora paura di noi? Vedo che è così. Siete in ritardo.»

«Non conosciamo bene questa zona,» si difese Harvey.

«E abbiamo fatto molta attenzione a non farci scoprire,» aggiunse Lizbeth.

«Allora vi ho insegnato bene,» commentò Glisson. «Eravate due alunni ragionevolmente bravi.»

Mediante il codice segreto, Lizbeth comunicò al marito: «Sono così difficili da leggere, ma c’è qualcosa che non va.» Distolse lo sguardo da quello del Cyborg, agghiacciata da quegli occhi calcolatori. A dispetto dei suoi sforzi per considerarli creature fatte di carne e sangue, la mente di Lizbeth non riusciva a dimenticare che i corpi dei Cyborg contenevano computer miniaturizzati collegati direttamente al loro cervello, mentre gli arti erano strumenti oppure armi. E la loro voce, poi: monocorde, con un tono che non ammetteva repliche.

«Lei non dovrebbe temerci, signora,» disse Glisson. «A meno che lei non sia la vera Lizbeth Durant.»

Harvey, incapace di reprimere un moto di rabbia, esclamò, «Non si rivolga a mia moglie in questo modo! Noi non siamo di sua proprietà.»

«Qual è la prima lezione che vi ho impartito, dopo avervi reclutati?» chiese Glisson.

Harvey riacquistò il proprio auto-controllo, si sforzò di sorridere. «Non perdere mai la calma,» rispose. La mano di Lizbeth continuava a tremare nella sua.

«Allora è evidente che lei non l’ha imparata alla perfezione,» commentò Glisson. «Avevo sopravvalutato la sua capacità di auto-controllo.»

Lizbeth segnalò a suo marito, «Era pronto ad usare la violenza contro di noi.»

Harvey le segnalò di essersene accorto anche lui.

«Per prima cosa,» continuò Glisson, «voglio il vostro rapporto completo sull’operazione.» Vi fu una pausa, mentre il Cyborg cambiava la connessione dei cavi al computer. «Non fatevi distrarre da ciò che sto facendo. Creo false immagini di strumenti — in modo che,» e indicò il deposito, «questo ambiente, che sui loro schermi appare pieno di attrezzi, non venga controllato.»

Una panca scaturì dalla parete alla destra dei Durant. «Sedetevi, se siete stanchi,» li invitò Glisson. Il Cyborg indicò i cavi che lo collegavano al computer. «Io mi sono seduto solo per controllare quest’ambiente mentre parliamo.» Sorrise rigidamente, come a voler sottolineare che i Durant dovevano rendersi conto che i Cyborg erano immuni alla stanchezza.

Harvey fece sedere sulla panca la moglie, mentre Lizbeth gli segnalava con le dita, «Fai attenzione. Glisson ci sta nascondendo qualcosa.»

Glisson si voltò leggermente per guardarli bene in faccia. «Voglio un rapporto verbale completo. Non omettete alcun particolare, per quanto esso vi possa sembrare trascurabile. La mia capacità di assorbire dati è illimitata.»

I due iniziarono a raccontare quello di cui erano stati testimoni durante l’operazione, alternandosi continuamente, come tutti i bravi Corrieri avevano imparato a fare. Durante il loro racconto, Harvey provò la strana sensazione che lui e Lizbeth si fossero trasformati in parti dei meccanismi del Cyborg. Glisson rivolgeva le domande in maniera così meccanica, e loro rispondevano in modo così spassionato, oggettivo. Harvey doveva continuare a ripetere a se stesso, È di nostro figlio che stiamo parlando.

Infine Glisson disse, «Sembra non esserci alcun dubbio che ci troviamo di fronte ad un embrione fertile immune al gas. Il vostro rapporto non fa altro che completare il quadro. Abbiamo altri dati, capite.»

«Non sapevo che lo specialista fosse uno dei nostri,» disse Lizbeth.

Ci fu una pausa, mentre gli occhi di Glisson divenivano ancora più vacui del solito. I Durant ebbero quasi l’impressione di vedere formule matematiche incomprensibili lampeggiare nei circuiti cerebrali del Cyborg. Correva voce che i Cyborg pensassero quasi esclusivamente in termini matematici dei più astrusi, che all’occorrenza traducevano in linguaggio comune.

«Lo specialista non era uno dei nostri,» stabilì Glisson. «Ma lo diventerà presto.»

Quale algoritmo ha generato questa conclusione? si chiese Harvey. «E il nastro dell’operazione?», chiese subito dopo.

«È stato distrutto,» rispose Glisson. «Proprio in questo momento, il vostro embrione viene trasferito in un luogo sicuro. Lo raggiungerete. Presto.» Dalla labbra meccaniche del Cyborg sfuggì un risolino.

Lizbeth rabbrividì. Harvey percepì il nervosismo della moglie dalla mano che le stringeva. «Nostro figlio è al sicuro?»

«Sì,» replicò Glisson. «I nostri piani prevedono che la sua sicurezza sia fuori questione.»

«In che modo?» volle sapere Lizbeth.

«Lo capirete presto,» disse Glisson. «Si tratta di un metodo antico e affidabile. Ma siate certi di questo: gli embrioni fertili sono armi di grande valore. E noi non mettiamo mai a rischio le nostre armi migliori.»

Lizbeth segnalò al marito, «L’operazione — chiediglielo adesso.»

Harvey si inumidì le labbra con la lingua, disse, «Ci sono… quando viene chiamato uno specialista della Centrale… di solito significa che l’embrione verrà trasformato in un Optimate. Loro hanno… nostro figlio è…»

Le narici di Glisson si allargarono. Il volto assunse un’espressione di superiorità: per un Cyborg quell’ignoranza era un vero e proprio insulto. Con voce fredda spiegò, «Anche volendo limitarci ad azzardare delle ipotesi, avremmo bisogno della registrazione completa, inclusi i dati sugli enzimi somministrati. Ma il nastro è andato distrutto. Soltanto lo specialista conosce con certezza l’esito dell’operazione. Dobbiamo interrogarlo.»

Lizbeth disse, «Svengaard o l’infermiera addetta al computer avrebbero potuto dire qualcosa che…»

«Svengaard è uno sciocco,» la interruppe Glisson. «L’infermiera è morta.»

«L’hanno uccisa loro?» bisbigliò Lizbeth.

«Il modo in cui è morta non ha alcuna importanza,» ribatté Glisson. «Essa ha svolto la sua funzione.»

Con la mano, Harvey segnalò, «I Cyborg hanno qualcosa a che fare con la sua morte!»

«Me ne sono accorta!»

Harvey chiese, «Lei ci… Potremo parlare con Potter?»

«A Potter verrà offerta la possibilità di diventare un Cyborg,» rispose Glisson. «Dopodiché, la decisione di parlare sarà soltanto sua.»

«Ma noi vogliamo sapere cosa è accaduto a nostro figlio!» esclamò con rabbia Lizbeth.

Harvey le segnalò freneticamente, «Scusati, e in fretta!»

«Signora,» replicò Glisson, «mi permetta di ricordarle che il cosiddetto status di Optimate non è un qualcosa a cui aspiriamo. Si ricordi del giuramento che ha prestato.»

Lizbeth strinse la mano di Harvey per interrompere i suoi segnali, disse, «Mi dispiace. Per noi è stato un vero choc venire a conoscenza della… possibilità che…»

«Considero la vostra tipica instabilità emotiva come una circostanza attenuante,» disse Glisson. «Però è bene che vi avverta di una cosa: su vostro figlio udrete delle cose che non dovranno turbarvi.»

«Quali cose?» sussurrò Lizbeth.

«Qualche volta una forza di provenienza sconosciuta interferisce con un’operazione genetica,» spiegò loro Glisson. «Abbiamo ragione di credere che questo sia successo anche con vostro figlio.»

«Cosa vuole dire?» chiese Harvey.

«Ah!» esclamò con ironia Glisson. «Lei mi pone una domanda a cui non c’è risposta.»

«Ma come agisce… questa cosa?» lo supplicò Lizbeth.

Glisson la fissò. «Si comporta più o meno come una particella carica: penetra il nucleo genetico e ne altera la struttura. Se è davvero successo questo a vostro figlio, potreste anche considerarla una fortuna, visto che apparentemente impedisce agli embrioni di diventare Optimati.»

I Durant rifletterono su quell’informazione.

Poi Harvey disse, «Ha ancora bisogno di noi? Adesso possiamo andare?»

«Voi rimarrete qui,» li informò Glisson.

I Durant lo fissarono.

«In attesa di ulteriori ordini,» continuò Glisson.

«Ma si accorgeranno della nostra scomparsa,» obiettò Lizbeth. «Il nostro appartamento… lo frugheranno da cima a…»

«Abbiamo creato due cloni che vi sostituiranno per un periodo di tempo sufficiente a farvi fuggire da Seatac,» disse Glisson. «Non tornerete mai più. Ma questo dovevate saperlo.»

Le labbra di Harvey si mossero, poi formularono, «Fuggire? Cosa… perché dobbiamo…»

«Ci saranno dei combattimenti,» spiegò Glisson. «Stanno avvenendo già adesso. I culti animati dal desiderio di morte avranno il sopravvento.» Il Cyborg alzò lo sguardo verso il soffitto. «Guerra… sangue… uccisioni. Sarà come prima, quando il cielo fiammeggiava e la terra scorreva come lava fusa.»

Harvey si schiarì la gola. Guerre precedenti. Glisson dava l’impressione che quelle guerre fossero scoppiate poco tempo prima, addirittura il giorno prima. E proprio per quello il tono di Cyborg era assai convincente. Si diceva che un antenato di Glisson avesse combattuto nella guerra Optimati-Cyborg. Nessuno tra i membri dell’Associazione Clandestina dei Genitori sapeva quante identità avesse assunto Glisson durante la propria vita.

«Dove andremo?» chiese Harvey. Segnalò a Lizbeth di non interromperlo.

«Per voi è stato preparato un luogo adatto,» disse Glisson.

Il Cyborg si alzò, scollegò i cavi dal computer, disse, «Voi aspetterete qui. Non tentate di andarvene. Ovviamente provvederemo ai vostri bisogni.»

Glisson superò il portello, che si richiuse con un pesante tonfo.

«Sono tanto malvagi quanto gli Optimati,» segnalò Lizbeth.

«Verrà il giorno in cui ci libereremo sia di loro che degli Optimati,» rispose Harvey.

«Non accadrà mai,» ribatté Lizbeth.

«Non dire una cosa del genere!» le ordinò il marito.

«Se solo conoscessimo un dottore che è d’accordo con noi,» si rammaricò lei. «Potremmo prendere nostro figlio e fuggire via.»

«Che assurdità! Come potremmo tenerlo in vita senza la vasca e il macchinario per…»

«Quel macchinario è dentro di me,» ribatté Lizbeth. «Sono… nata con esso.»

Harvey la fissò, sconvolto da quelle parole.

«Non voglio che gli Optimati o i Cyborg controllino la vita di nostro figlio,» segnalò Lizbeth, «e influenzino la sua mente con gas ipnotico, ne ricavino cloni da usare per i loro scopi, lo dominino, lo costringano a…»

«Non perdere la calma,» la blandì Harvey.

«L’hai sentito anche tu,» disse Lizbeth. «Cloni! Possono controllare tutto, perfino la nostra esistenza. Possono condizionarci a… a fare… qualsiasi cosa! Per quel che ne sappiamo, potremmo essere stati condizionati a rimanere qui, proprio in questo momento!»

«Liz, stai diventando irragionevole.»

«Irragionevole? Guardami! Possono prendere un frammento della mia pelle e da esso far crescere una copia identica a me. Identica! Come sai che sono io? Come fai a essere sicuro che sono io quella originale? Eh, come fai?»

Harvey le afferrò il braccio con cui non stava comunicando e per un istante non trovò le parole. Poi si costrinse a calmarsi e scosse la testa. «Tu sei tu, Liz. Non sei semplicemente carne prodotta da una sola cellula… Tu sei… tutte le esperienze che abbiamo condiviso… tutto quello che abbiamo fatto… e vissuto insieme. Non possono duplicare anche i ricordi… anche usando un clone è impossibile.»

Lizbeth premette la guancia contro il ruvido tessuto della giacca di Harvey, bramando la sensazione tattile che suo marito fosse davvero lì con lei, che fosse reale.

«Creeranno dei cloni da nostro figlio,» gli disse. «È questo che stanno progettando, e tu lo sai.»

«Allora avremo molti figli.»

«Perché è successo?» Lizbeth sollevò lo sguardo sul marito, con le ciglia rese pesanti dalle lacrime. «Hai sentito quello che ha detto Glisson. Qualcosa di esterno ha modificato il nostro embrione. Cos’era?»

«Come posso saperlo?»

«Ma qualcuno dovrà pure saperlo.»

«Ti conosco,» segnalò Harvey. «Vuoi credere che si tratti di Dio.»

«E di cos’altro potrebbe trattarsi?»

«Potremmo essere di fronte al caso, oppure ad una manipolazione più sottile. Oppure qualcuno ha scoperto qualcosa che non vuole dirci.»

«Uno di noi? Non lo farebbe mai!»

«Allora si tratta della Natura,» disse Harvey. «La Natura che desidera imporre nuovamente se stessa, nell’interesse dell’Uomo.»

«Qualche volta parli come una cultista.»

«Non sono stati i Cyborg,» le segnalò Harvey. «Adesso questo lo sappiamo.»

«Glisson ha detto che si è trattato di una fortuna.»

«Ma stiamo pur sempre parlando di alterazione genetica. Per i Cyborg, questa è una bestemmia. Loro preferiscono alterare fisicamente il bioschema.»

«Come Glisson,» gli fece notare Lizbeth. «Quel robot rivestito di carne.» Ancora una volta premette la guancia contro il corpo del marito. «Ecco, questo è il mio timore più grande: che trasformino così nostro figlio… i nostri figli.»

«Per numero, noi Corrieri superiamo i Cyborg cento a uno,» la tranquillizzò Harvey. «Fino a quando rimarremo uniti, saremo sicuri di vincere.»

«Ma noi siamo fatti di carne e di sangue,» obiettò lei. «Siamo così deboli.»

«Tuttavia noi possiamo fare qualcosa che tutti questi Steri messi insieme non possono fare: perpetuare la nostra specie.»

«Ma cosa importa?» gli chiese Lizbeth. «Gli Optimati non muoiono mai.»

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