CAPITOLO SESTO

Svengaard aveva visto quell’edificio alla olo-tv e nei documentati educativi. Aveva udito le descrizioni della Sala del Consiglio, ma trovarsi là di persona, davanti alla Barriera della Quarantena, con il sole che irradiava una luminosità bronzea sulle colline… era qualcosa che non aveva mai sognato che potesse accadere.

Sulla collinetta di fronte a lui, gli ingressi degli ascensori erano simili a verruche. Alle spalle di essa, c’erano altre basse colline, su cui sorgevano edifici che era facile scambiare per spuntoni di roccia.

Sulla spianata, incrociò una donna che spingeva un carrello a levitazione magnetica pieno di fagotti dalla forma strana. Svengaard si chiese quale potesse essere il contenuto di quei fagotti, ma sapeva che non aveva il coraggio di domandarlo alla donna, o perfino di mostrare un’indiscreta curiosità.

Il triangolo rosso di un Dispensatorio Farmaceutico brillò su un pilastro accanto a lui. Lo superò, poi si voltò a guardare la sua scorta.

Per giungere lì, aveva attraversato mezzo continente in sotterranea, con una carrozza a esclusiva disposizione sua e della guardia, un agente della Sicurezza. Ora si trovavano vicini al cuore della Centrale, e la guardia non l’aveva mai perso di vista, neppure per un istante.

Svengaard iniziò a salire i gradini.

L’atmosfera di quel luogo stava iniziando a pesare sul suo animo: sembrava pregna di malaugurio. E anche se sospettava cosa causasse quella sensazione, Svengaard sapeva che non sarebbe riuscito facilmente a liberarsene. Decise che era impossibile dimenticarsi di tutte le superstizioni che nutriva la Gente. I membri della Gente, nella maggior parte dei casi, non possedevano alcun corpus di miti o leggende, tranne quelli che riguardavano gli Optimati. Nella memoria storica della Gente, gli Optimati e la Centrale erano immersi in un aura frutto di sinistro timore e adorazione.

Perché mi hanno convocato? si chiese Svengaard. La guardia si era rifiutata di rivelarglielo.

Giunti alla barriera, furono fermati e attesero in un silenzio nervoso.

Svengaard si accorse che anche l’agente della Sicurezza era in preda al nervosismo.

Perché mi hanno convocato?

L’agente si schiarì la gola, disse, «Ha memorizzato alla perfezione il protocollo da seguire?»

«Penso di sì,» rispose Svengaard.

«Una volta introdotto nella Sala, segua gli accoliti che la scorteranno. Sarà interrogato dalla Tuyere: Nourse, Schruille e Calapine. Ricordi di usare i loro nomi, quando si rivolge a uno di loro. Eviti di usare parole quali "morte", "uccidere" o "morire". Se può, eviti perfino i concetti che esse esprimono. Lasci che siano loro a condurre la conversazione. È meglio che non dica nulla, se non è espressamente interrogato.»

Svengaard fece un respiro tremulo.

Mi hanno chiamato qui per darmi una promozione? si chiese. Deve trattarsi proprio di questo. Dopo tutto, ho compiuto il mio apprendistato sotto uomini quali Potter e Igan. Forse mi promuoveranno alla Centrale.

«E non usi la parola "dottore",» lo avvertì l’agente. «Qui i dottori vengono chiamati farmacisti o ingegneri genetici.»

«Ho capito,» gli assicurò Svengaard.

«Allgood vorrà un rapporto completo sul colloquio,» lo informò l’agente.

«Sì, certamente,» rispose Svengaard.

La Barriera di Quarantena si sollevò.

«Può entrare,» gli disse l’agente.

«Lei non viene con me?» chiese Svengaard all’agente.

«Non sono stato invitato,» disse l’agente. Girò sui tacchi e iniziò a discendere la scalinata.

Svengaard deglutì, entrò nella penombra dalle sfumature argentee del portico, lo attraversò e si trovò nella lunga sala, dove fu raggiunto da sei accoliti che, tre per parte, lo scortarono agitando turiboli da cui proveniva fumo rosato. Svengaard riconobbe l’odore di antisettico.

Il grande globo rosso ad un’estremità della sala dominava la scena. Da un’apertura, provenivano luci ammiccanti e lampeggianti. Svengaard fu affascinato dalle sagome che si muovevano all’interno del globo.

Gli accoliti lo fecero fermare a venti passi dall’apertura e Svengaard guardò in alto, verso la Tuyere, riconoscendo i tre membri attraverso gli schermi energetici; Nourse era al centro, mentre ai lati sedevano Schruille e Calapine.

«Sono venuto,» disse Svengaard, pronunciando la formula di saluto che l’agente gli aveva detto di usare. Si asciugò le palme sudate sulla sua tunica migliore, che aveva indossato per l’occasione.

Nourse parlò con voce imperiosa. «Tu sei l’ingegnere genetico, Svengaard.»

«Thei Svengaard, sì… Nourse.» Svengaard ispirò a fondo, chiedendosi se si fossero accorti dell’esitazione che lo aveva colto mentre tentava di ricordare il nome dell’Optimate che gli aveva rivolto la parola.

Nourse sorrise.

«Di recente hai partecipato all’alterazione genetica di un embrione generato da una coppia di genitori, i Durant,» disse Nourse. «Il responsabile dell’intervento era Potter.»

«Sì, io ero il suo assistente, Nourse.»

«Durante quell’intervento è accaduto un incidente,» disse Calapine.

La voce dell’Optimate possedeva uno strano tono musicale, e Svengaard si accorse che l’Optimate non gli aveva rivolto una domanda, ma gli aveva semplicemente ricordato un dettaglio su cui voleva che Svengaard facesse la massima attenzione. Il dottore iniziò a sentirsi profondamente turbato.

«Un incidente, sì… Calapine,» rispose.

«Hai seguito attentamente l’operazione?» gli chiese Nourse.

«Sì, Nourse.» Svengaard si accorse che la sua attenzione si era rivolta su Schruille, che sedeva in silenzio, con espressione meditabonda.

«Dunque,» proseguì Calapine, «sarai certamente in grado di dirci cos’è che Potter ha nascosto riguardo l’alterazione genetica dell’embrione.»

Sgomento, Svengaard comprese di aver perso la voce. Riuscì soltanto a scuotere la testa.

«Non ha nascosto nulla?» chiese Nourse. «È questo che vuoi dirci?»

Svengaard annuì.

«Non desideriamo farti alcun male, Thei Svengaard,» lo rassicurò Calapine. «Puoi parlare liberamente.»

Svengaard deglutì, si schiarì la gola, disse, «Io… la domanda… non ho visto… nascondere nulla.» Tacque, ma poi ricordò di non aver usato il nome dell’Optimate, e disse, «Calapine,» proprio mentre Nourse iniziava a parlare.

Nourse si interruppe e si accigliò.

Calapine ridacchiò.

Nourse ribatté, «Eppure ci hai detto di aver assistito all’alterazione genetica.»

«Io… non ero al microscopio ogni secondo, come Potter,» disse Svengaard. «Nourse. Io… uh… svolgevo le funzioni da assistente: dare istruzioni all’addetta al computer, azionare il dispensatore di enzimi, e così via.»

«Adesso dicci se avevi stabilito qualche rapporto d’amicizia con l’infermiera addetta al computer,» ordinò Calapine.

«Io… lei ha…» Svengaard si umettò le labbra con la lingua. Ma cosa vogliono da me? «Abbiamo lavorato insieme per molti anni, Calapine, ma non posso affermare che fossimo amici. Lavoravamo insieme, ecco tutto.»

«Hai esaminato l’embrione dopo l’intervento?» chiese Nourse.

Schruille si irrigidì sul suo trono e fissò attentamente Svengaard.

«No, Nourse,» disse il dottore. «I miei compiti erano quelli di assicurarmi che la vasca funzionasse alla perfezione e di controllare i sistemi di supporto vitale.» Respirò profondamente. Forse lo stavano mettendo alla prova… ma quelle domande erano così bizzarre!

«Ora dicci se Potter era tuo amico,» ordinò Calapine.

«È stato uno dei miei insegnanti, Calapine, qualcuno con cui ho lavorato su alcuni delicati problemi di genetica.»

«Ma non fa parte delle persone che frequenti abitualmente,» disse Nourse.

Svengaard scosse il capo. Ancora una volta ebbe l’impressione che l’atmosfera fosse carica di minaccia. Non sapeva cosa aspettarsi; magari il grande globo sarebbe rotolato su di lui, schiacciandolo e riducendo il suo corpo in una miriade di atomi sparsi. Ma no, gli Optimati non agivano in maniera così grossolana. Studiò i tre volti, adesso perfettamente distinguibili attraverso le mutevoli cortine d’energia. Lineamenti sterili, freddi. Svengaard riconosceva il genotipo: avrebbero potuto essere dei normali Steri, se da essi non fosse stata intuibile l’aura di mistero che contraddistingueva tutti gli Optimati. Tra la Gente si mormorava che fossero sterili per scelta, poiché consideravano la procreazione come l’inizio della morte, ma in base agli indizi sul codice genetico che trasparivano dai loro lineamenti, Svengaard poteva affermare con tutta sicurezza che le cose stavano in maniera affatto diversa.

«Perché hai chiamato Potter per risolvere quel particolare problema?» chiese Nourse.

Svengaard inspirò, provò un brivido, disse, «Lui… la configurazione genetica dell’embrione… ne faceva quasi un Optimate. Potter ha operato spesso nel nostro ospedale. Lui… ho piena fiducia in Potter; è un brillante dot… ingegnere genetico.»

«Dicci adesso se sei amico di qualche altro farmacista,» volle sapere Calapine.

«Essi… lavoro con loro quando vengono nel nostro ospedale,» disse Svengaard.

«Calapine,» finì per lui Nourse.

Calapine fu scossa da una risata squillante.

Il volto di Svengaard divenne paonazzo per l’ira. A che razza di prova lo stavano sottoponendo? Perché lo stavano interrogando, prendendosi gioco di lui?

La rabbia gli fece ritrovare l’uso della voce e così replicò, «Io sono soltanto il capo di un dipartimento di ingegneria genetica in un ospedale, Nourse, dunque non sono un tecnico che occupa una posizione elevata. Mi occupo soltanto di interventi che rientrano nella norma. Quando mi trovo di fronte a qualcosa che richiede l’opera di uno specialista, obbedisco alle direttive, e lo chiamo. In questo caso, Potter era lo specialista maggiormente indicato.»

«Era uno degli specialisti,» lo corresse Nourse.

«Uno degli specialisti che ammiro e rispetto,» ribatté Svengaard. Non si curò neppure di aggiungere il nome dell’Optimate.

«Ora di’ se sei arrabbiato,» ordinò Calapine, e ancora una volta Svengaard percepì quel tono musicale nella voce della donna.

«Lo sono.»

«Spiegaci il perché.»

«Per quale motivo sono qui?» chiese Svengaard. «Perché mi state sottoponendo a questo interrogatorio? Ho commesso qualche reato? Verrò punito?»

Nourse si sporse in avanti, puntando le mani sulle ginocchia. «Tu osi rivolgerci delle domande?»

Svengaard fissò l’Optimate. Nonostante il tono, il volto squadrato dell’uomo era atteggiato in un’espressione rassicurante. «Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarvi,» dichiarò Svengaard. «Qualsiasi cosa. Ma come posso aiutarvi o rispondervi, se non so cosa volete?»

Calapine fece per parlare, ma Nourse la bloccò sollevando una mano.

«Dirtelo rappresenta il nostro più profondo desiderio,» spiegò Nourse. «Ma sicuramente tu sai che noi non possiamo comprenderci veramente. Una ciotola di legno può contenere dell’acido solforico? Abbi fede in noi. Noi abbiamo a cuore il benessere dell’umanità intera.»

Un senso di calore e gratitudine invase Svengaard. Certo che si fidava di loro! Erano il vertice genetico dell’intera razza umana. Poi ricordò a se stesso: Loro sono i potenti che ci amano e si prendono cura di noi.

Svengaard sospirò. «Cosa volete che io faccia?»

«Hai risposto a tutte le nostre domande,» disse Nourse. «E perfino a ciò che non ti abbiamo chiesto.»

«Ora dimenticherai tutto quello che abbiamo detto,» ordinò Calapine. «Non riferirai la nostra conversazione a chicchessia.»

Svengaard si schiarì la gola. «A nessuno… Calapine?»

«A nessuno.»

«Max Allgoood mi ha chiesto di riferirgli…»

«Dovrai rifiutarti,» disse lei. «Non avere timore, Thei. Noi ti proteggeremo.»

«Se è questa la tua volontà, Calapine,» dichiarò Svengaard.

«Non desideriamo che tu ci consideri ingrati, o creda che noi non apprezziamo i tuoi servigi e la tua lealtà,» disse Nourse. «Ci teniamo alla tua buona opinione su di noi, e non vorremmo apparire freddi o insensibili ai tuoi occhi. Sappi che la nostra prima preoccupazione è sempre il benessere della razza umana.»

«Sì, Nourse,» disse Svengaard.

Si trattava di un discorso gratuito e il tono con cui fu pronunciato inquietò Svengaard, ma nondimeno lo aiutò a schiarirsi la mente. Cominciava a capire la loro curiosità, ad intuire i loro sospetti. Che adesso erano diventati anche i suoi. Potter aveva tradito la sua fiducia, non era così? Quel nastro non era stato cancellato per caso. Molto bene… i colpevoli avrebbero pagato.

«Adesso puoi andare,» gli disse Nourse.

«Con la nostra benedizione,» aggiunse Calapine.

Svengaard si inchinò. E si rese conto che Schruille non aveva detto una parola né si era mosso durante l’intero colloquio. Si chiese perché quel particolare all’improvviso lo spaventasse tanto. Quando si girò, gli tremavano le ginocchia; ancora una volta scortato dagli accoliti che agitavano i turiboli fumanti, uscì dalla sala.

La Tuyere rimase ad osservarlo finché la barriera non si abbassò alle spalle di Svengaard.

«Ecco un altro che non sa nulla su ciò che ha ottenuto Potter,» commentò Calapine.

«Sei sicura che Max non lo sappia?» chiese Schruille.

«Assolutamente,» dichiarò lei.

«Allora avremmo dovuto dirlo anche a lui.»

«E rivelargli il modo in cui l’abbiamo saputo?» ribatté Calapine.

«So cosa intendi dire,» disse Schruille. «Uno strumento spuntato è inutile.»

«Svengaard è uno di quelli di cui possiamo fidarci,» disse Nourse.

«Si dice "camminare sul filo del rasoio",» fece notare Schruille. «E quando si cammina sul filo di un rasoio, bisogna fare molta attenzione a dove si mettono i piedi.»

«Che idea disgustosa,» fu il commento di Calapine. Si girò verso Nourse. «Ti stai dedicando ancora a da Vinci, mio caro?»

«Sì, alla sua pennellata,» rispose Nourse. «Imitarla richiede molta applicazione. Ma dovrei riuscire a replicarla alla perfezione in quaranta o cinquanta anni. Molto presto, in ogni caso.»

«Purché tu compia tutti i passi in maniera appropriata,» commentò sardonico Schruille.

Nourse replicò, «Qualche volta, Schruille, il tuo cinismo raggiunge i limiti della buona educazione.» Si girò, studiò i quadranti, i sensori, le spie e gli schermi inseriti tra lui e Calapine nella parete interna del globo. «Oggi tutto è ragionevolmente tranquillo. Cal, lasciamo il controllo a Schruille, andiamo a fare una nuotata, e magari una puntatina in Farmacia.»

«Mantenersi in esercizio, mantenersi in esercizio,» si lamentò Schruille. «Hai mai pensato di fare venticinque vasce, invece di venti?»

«Ultimamente fai delle affermazioni tra le più sorprendenti,» si stupì Calapine. «Vorresti forse che Nourse metta a repentaglio il suo equilibrio chimico? Temo di non riuscire più a comprenderti.»

«Non ci provi neppure,» replicò Schruille.

«Possiamo fare qualcosa per te?» chiese Calapine.

«I miei bioritmi mi hanno sprofondato in una terribile monotonia,» ammise Schruille. «Voi non potete far nulla per rimediare a questa situazione?»

Nourse osservò Schruille attraverso il riflettore prismatico. Ultimamente la voce di Schruille, con il suo tono lagnoso, stava diventando così irritante! Nourse iniziava già a rimpiangere che la comunione di gusti e la necessità li avessero messi insieme. Ma forse, quando sarebbe terminato il mandato della Tuyere…

«Monotonia,» ripeté Calapine. Poi si strinse nelle spalle.

«C’è qualcosa di trionfale in una monotonia ben ponderata,» disse Nourse. «È una frase di Voltaire, se non mi sbaglio.»

«Strano, sembrava proprio una delle tue,» ironizzò Schruille.

«Qualche volta mi sembra utile invocare un benigno interessamento nei confronti della Gente,» disse Calapine.

«Anche quando siamo soli?» chiese Schruille.

«Pensa al fato dell’infermiera addetta al computer,» disse Calapine. «In astratto, naturalmente. Non provi un senso di rammarico o di pietà?»

«La pietà è un’emozione inutile,» ribatté Schruille. «E il rammarico è pericolosamente affine al cinismo.» Sorrise. «Ti passerà. Andate pure a nuotare. E quando vi sentirete in forma, pensate a me… che sono qui.»

Nourse e Calapine si alzarono, richiesero i raggi trasportatori.

«Efficienza,» disse Nourse. «Dobbiamo esigere maggiore efficienza da coloro che ci servono. Le cose devono funzionare meglio.»

Schruille sollevò lo sguardo su di loro, mentre attendevano i raggi. Desiderava soltanto non udire più il frastuono incoerente delle loro voci. Non capivano, non volevano capire.

«Efficienza?» rifletté Calapine. «Forse hai ragione.»

Schruille non riuscì a contenere le emozioni contrastanti che infuriavano nel suo animo. «L’efficienza è l’opposto dell’abilità!» esclamò. «Pensateci sopra!»

I raggi arrivarono. I due vennero trasportati via, senza rispondergli, e lasciarono che fosse Schruille a richiudere il segmento. Poi sedé, finalmente solo, all’interno del centro di controllo che ammiccava di luci verdi, azzurre e rosse… solo tranne gli occhi scintillanti dei sensori video montati lungo l’orlo superiore del globo. Ne contò ottantuno attivati, che fissavano lui e il funzionamento del globo. Ottantuno dei suoi pari… o gruppi di essi che osservavano lui e il suo lavoro, mentre Schruille osservava a sua volta la Gente e le attività che essa svolgeva.

I sensori misero Schruille leggermente a disagio. Prima di prestare servizio nella Tuyere, non aveva mai osservato il globo e i suoi occupanti. In quel luogo avvenivano troppe cose terribili, a cui era meglio non pensare. Forse la Triade precedente era curiosa del loro lavoro? Chi erano coloro che li stavano osservando?

Schruille rivolse la sua attenzione agli strumenti. Spesso, in momenti del genere, gli sembrava di essere il "Signore della Verità" di Chen Tzu-ang, che vedeva l’intero mondo in una bottiglietta di giada. Bene, quel luogo era la sua bottiglia di giada. Gli sarebbe bastato sfiorare un bracciolo del trono con il suo anello di controllo per osservare una coppia che faceva l’amore a Warsopolis, studiare l’embrione contenuto in una vasca nella Grande Londra o liberare gas ipnotico in qualche strada di Nuova Pechino. Doveva soltanto sfiorare un pulsante e avrebbe potuto analizzare i ritmi mutevoli di un intera forza lavoro nella Megalopoli di Roma.

Scrutando nel proprio animo, Schruille non trovò alcuna ragione che lo spingesse a farlo.

Tentò di ricordare quanti visori erano stati accesi durante i primi anni del mandato della Tuyere; era sicuro che non superassero la dozzina. Adesso, invece, erano ottantuno.

Avrei dovuto avvertirli di fare attenzione a Svengaard, pensò. Avrei dovuto dir loro che possono far affidamento su una Provvidenza di tipo speciale per gli stolti. E Svengaard è uno sciocco che mi preoccupa.

Ma sapeva che Nourse e Calapine avrebbero sicuramente difeso Svengaard. Avrebbero insistito che quell’uomo era fedele, leale, degno di fiducia. Avrebbero scommesso qualsiasi cosa sulla sua lealtà.

Qualunque cosa? si chiese Schruille. Ma c’è qualcosa che non scommetterebbero sulla lealtà di Svengaard?

A Schruille parve quasi di udire Nourse che con tono supponente affermava, «Il nostro giudizio su Svengaard è esatto.»

Ed è questo che mi preoccupa maggiormente. Svengaard ci adora… come Max. Ma l’adorazione, per nove decimi, si basa sulla paura.

E col passare del tempo, scaturisce esclusivamente da essa.

Schruille alzò lo sguardo verso i visori accesi, parlò ad alta voce, «Tempo-tempo-tempo…»

E adesso lasciamo che si rodano il fegato, pensò.

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