CAPITOLO TERZO

Le infermiere addette al laboratorio posizionarono la vasca sotto la console degli enzimi, prepararono i tubi e l’analizzatore collegato al computer. Lavoravano in silenzio, con efficienza, mentre Potter e Svengaard esaminavano i quadranti. L’infermiera addetta al computer sistemò i nastri e controllò l’apparecchio, che emise una breve serie di ronzii e ticchettii.

Potter si sentiva invaso dall’ansia che l’assaliva prima di ogni intervento. Sapeva che ad essa sarebbe subentrata la nervosa sicurezza dell’azione, ma per il momento era pronto a scattare per un nonnulla. Diede un’occhiata agli indicatori della vasca. Il ciclo di Krebs si manteneva a 86,9: più di sessanta punti al di sopra della cifra che avrebbe indicato la morte dell’embrione. L’infermiera addetta alla vasca si avvicinò, controllò la sua maschera a respiratore. Potter provò il microfono. «Un bel cane arrabbiato… aveva trovato un grosso embrione malato.»

Udì distintamente il risolino dell’infermiera addetta al computer, le lanciò un’occhiata, ma la donna gli volgeva le spalle e aveva il volto nascosto dal cappuccio e dalla maschera.

«Il microfono funziona, Dottore,» lo informò l’infermiera addetta alla vasca.

Potter non riusciva a vedere le sue labbra, ma le guance, mentre parlava, si erano increspate.

Svengaard fletté le dita coperte dai guanti, respirò profondamente. Nell’aria era percepibile un lieve odore di ammoniaca. Si chiese perché mai Potter si prendesse sempre la briga di scherzare con le infermiere. In un certo senso, aveva l’impressione che, così facendo, sminuisse la sua posizione di bioingegnere.

Potter si avvicinò alla vasca. Mentre camminava, il suo camice sterile emise un fruscio familiare. Sollevò lo sguardo verso lo schermo applicato sulla parete, che mostrava più o meno cosa vedeva il chirurgo e che inviava le immagini alla sala in cui erano ospitati i Durant. Lo schermo gli mostrò l’immagine di se stesso, quando Potter rivolse verso di esso la lente applicata alla fronte.

Al diavolo i genitori, pensò. Mi fanno sentire colpevole… tutti quanti.

Concentrò nuovamente la propria attenzione sulla vasca, che adesso era piena di strumenti. Il gorgoglio della pompa lo irritò.

Svengaard si avvicinò all’altro lato della vasca, in attesa. La maschera gli copriva la metà inferiore del volto, ma gli occhi conservavano un’espressione tranquilla. L’uomo emanava fiducia, sicurezza.

Ma cosa prova veramente? si chiese Potter. Poi ricordò a se stesso che in un’emergenza non c’era un assistente migliore di Svengaard.

«Può iniziare ad aumentare il flusso di acido piruvico,» gli disse.

Svengaard annuì, premette il pulsante dell’apparecchio dispensatore.

L’infermiera addetta al computer iniziò a far girare le bobine.

Osservarono i quadranti mentre il ciclo di Krebs iniziava ad aumentare 87,0… 87,3… 87,8… 88,5… 89,4… 90,5… 91,9…

Ora, pensò Potter, è iniziato il processo irreversibile di crescita. Solo la morte potrà interromperlo. «Mi avverta quando il ciclo di Krebs raggiunge i centodieci,» disse.

Mise in posizione il microscopio e i micromanipolatori e li assicurò ai supporti. Vedrò anch’io quel che ha visto Sven? si chiese. Ma sapeva che era improbabile. Il fulmine proveniente dall’esterno non colpiva mai due volte nello stesso punto. Colpiva. Compiva ciò che nessuna mano umana avrebbe potuto fare. Spariva.

Ma dove?

Le lacune inter-ribosomali vennero messe a fuoco. Le osservò, aumentò l’ingrandimento e individuò le spirali del DNA. Sì — la situazione era quella descritta da Svengaard. L’embrione dei Durant era uno di quelli che potevano avere accesso al mondo super-umano della Centrale… se l’intervento fosse riuscito.

Stranamente, quella conferma scosse Potter. Rivolse la sua attenzione alle strutture del mitocondrio, notando le tracce, chiarissime, dell’intrusione. Corrispondeva perfettamente alla descrizione di Sven. Le spirali alfa avevano iniziato a rafforzarsi, ri velando le tipiche striature dei mutamenti intervenuti nella quantità di aneurina. Quell’embrione avrebbe resistito al chirurgo. L’intervento sarebbe stato tra i più difficili.

Potter si raddrizzò.

«Allora?» chiese Svengaard.

«È proprio come mi aveva detto,» rispose Potter. «Un lavoro molto semplice.» Quella frase fu pronunciata a beneficio dei genitori che li stavano osservando.

Poi si chiese cosa stesse scoprendo sui Durant la Sicurezza. Forse erano carichi di sonde e sensori mascherati da oggetti di uso comune? Era possibile. Ma correvano voci su nuove tecniche usate dai membri dell’Associazione dei Genitori Clandestini… e sui Cyborg, che stavano emergendo dalla fitta oscurità in cui avevano agito per secoli — ammesso che trattasse davvero di Cyborg. Potter non era troppo convinto.

Svengaard si rivolse all’infermiera addetta al computer, «Inizi a diminuire la somministrazione di acido piruvico.»

«Fatto,» annunciò la donna.

Potter concentrò la propria attenzione sulla console che ospitava le sostanze di importanza prioritaria: per prime le piramidine, gli acidi nucleici e le proteine, poi aneurina, riboflavina, piridossina, acido pantotenico, acido folico, colina, inositol, sulfidril…

Si schiarì la gola, mentre formulava un piano d’azione per superare le difese di cui disponeva la morula. «Tenterò di trovare una cellula pilota mascherando la cisteina in un singolo punto,» annunciò. «Stia pronto col sulfidril e prepari un nastro intermedio per la sintesi proteica.»

«Pronti,» annunciò Svengaard. Rivolse un cenno del capo all’infermiera addetta al computer, che inserì il nastro con gesti fluidi, sicuri.

«Ciclo di Krebs?» chiese Potter.

«Sta per arrivare a centodieci,» disse Svengaard.

Silenzio.

«Centodieci,» avvertì Svengaard.

Potter si piegò di nuovo sul microscopio. «Fate partire il nastro,» ordinò. «Due minimi di sulfidril.»

Aumentò lentamente l’ingrandimento, scelse una cellula per effettuare il mascheramento. Dopo che la visione confusa provocata dall’intrusione del microscopio si fu schiarita, osservò le cellule circostanti per assicurarsi che la mitosi procedesse secondo la tangente fissata da lui. Il processo era lento… lento. Aveva appena iniziato, e già, attraverso i guanti, si sentiva le mani madide di sudore.

«Pronti con il trifosfato di adenosina,» disse.

Svengaard inserì il tubo del dispensatore nei micromanipolatori, annuì in direzione dell’infermiera addetta alla vasca. Stavano già facendo ricorso all’ATP. L’intervento non sarebbe stato dei più facili.

«Cominciare con un minimo di ATP,» comunicò a Svengaard.

Quest’ultimo premette un pulsante del dispensatore. Il fruscio del nastro del computer parve aumentare d’intensità.

Potter sollevò momentaneamente la testa dal microscopio, la scosse. «Questa cellula non va bene,» annunciò. «Proveremo con un’altra. Stessa procedura.» Si chinò di nuovo sul microscopio, mosse i micromanipolatori, aumentando l’amplificazione di una tacca alla volta. Penetrò lentamente nella massa cellulare. Delicatamente… delicatamente… Anche la semplice presenza del microscopio poteva provocare danni irreparibili.

Ahh, pensò, individuando una cellula attiva all’interno della morula. In essa la stasi aveva prodotto un rallentamento delle funzioni vitali relativamente contenuto. Nella cellula era possibile osservare un’intensa attività chimica. Riconobbe, mentre passavano attraverso il campo di visione del microscopio, due coppie basiche legate a una spirale complessa di fosfato di zucchero.

L’ansietà che aveva provato all’inizio era svanita: ora era stata sostituita dall’abituale sicurezza e provava la sensazione, a lui ben nota, che la morula fosse un oceano in cui nuotava, che l’interno della cellula fosse il suo habitat naturale.

«Due minimi di sulfidril,» disse.

«Sulfidril, due minimi,» ripeté Svengaard. «Pronto con l’ATP.»

«Ora,» disse Potter, che poi spiegò, «Sto per inibire la reazione di scambio nei sistemi mitocondrici. Cominciare con oligomicina e azide.»

Svengaard dimostrò la sua abilità obbedendo a Potter senza la minima esitazione. L’unico segno che manifestò del suo essere a conoscenza dei pericoli che comportava quella procedura fu la domanda, «Devo tener pronto un agente scorporante?»

«Stia pronto con l’arsenato numero uno,» rispose Potter.

«Il ciclo di Krebs sta diminuendo,» li informò l’infermiera addetta al computer. «Ora è a 89,4.»

«Effetto d’intrusione,» annunciò Potter. «Somministri 0,6 minimi di azide.»

Svengaard premette il pulsante.

«Zero virgola quattro di oligomicina,» disse poi.

Potter ormai aveva l’impressione di vivere soltanto attraverso gli occhi incollati all’oculare del microscopio e le mani che guidavano i micromanipolatori. La sua stessa esistenza si era trasferita nella morula, si era fusa in essa.

Gli occhi gli dissero che la mitosi periferica era cessata… come avrebbe dovuto, dopo la somministrazione di quei particolari enzimi. «Penso che ci siamo,» disse. Lasciò un segnale per individuare la posizione del microscopio, ne modificò l’ingrandimento, e si occupò delle spirali del DNA, alla ricerca dello squilibrio idrossilico, che avrebbe prodotto una valvola cardiaca difettosa. Ora che aveva individuato la cellula pilota, si era trasformato nell’artista, nell’abilissimo bioingegnere. Iniziò a riplasmare il delicato equilibrio chimico della struttura interna.

«Attivare il generatore,» annunciò.

Svengaard obbedì, mettendo in funzione il generatore di mesoni. «Attivato,» confermò.

«Il ciclo di Krebs è a settantuno,» annunciò l’infermiera addetta al computer.

«Primo taglio,» disse Potter. Liberò una singola, accurata, scarica di mesoni, osservò il caos turbinante che seguì. L’appendice idrossilica svanì. I nucleotidi si riformarono.

«Emoproteina P-450,» disse Potter. «Pronto a ridurla con NADH.» Attese, studiando le proteine globulari che si formavano davanti ai suoi occhi, osservando le molecole biologicamente attive. Adesso! L’istinto e l’esperienza si unirono per suggerirgli il momento adatto. «Due minimi e mezzo di P-450,» ordinò.

Nel cuore della cella il caos parve inghiottire un gruppo di catene di polipeptidi.

«Ridurre la quantità,» avvertì.

Svengaard regolò il dispensatore di NADH. Non vedeva direttamente ciò che vedeva Potter, ma la lente sulla fronte dell’altro gli rimandava un’immagine leggermente distorta del campo di visione del microscopio. Questo, oltre le istruzioni di Potter, gli faceva comprendere che nella cellula era un atto un lento processo di mutamento.

«Ciclo di Krebs a cinquantotto,» comunicò l’infermiera addetta al computer.

«Secondo taglio,» annunciò Potter.

«Generatore pronto,» disse Svengaard.

Potter cercò l’isovaltina responsabile del mixedema latente, la trovò. «Mi dia un nastro sulla struttura,» disse. «S-isopropylcarbossimetilcisteina.»

Il nastro del computer sibilò sulle bobine, si fermò, riprese a scorrere con ritmo lento, regolare. Nel quadrante superiore destro del campo di visione del microscopio apparve l’immagine di riferimento dell’isovaltina. Potter paragonò i due tracciati punto per punto, ordinò, «Via il nastro.» L’immagine di riferimento scomparve.

«Ciclo di Krebs a quarantasette,» lo informò l’infermiera.

Potter tirò un respiro profondo, un po’ tremulo. Altri ventisette punti e l’embrione dei Durant avrebbe rischiato di morire.

Deglutì, puntò il fascio di mesoni.

L’isovaltina venne vaporizzata.

«Pronto con la cicloserina,» lo avvertì Svengaard.

Ah, il buon vecchio Sven, pensò Potter. Non c’è bisogno di spiegargli volta per volta ciò che deve fare.

«Confronto su D-4-aminoisoxazolidone-2,» disse Potter.

L’infermiera addetta al computer preparò il nastro, disse, «Confronto pronto.»

L’immagine di riferimento comparve nel campo di visione di Potter. «Fatto,» disse. L’immagine svanì. «Uno virgola otto minimi.» Osservò l’interazione tra i vari gruppi enzimici mentre Svengaard somministrava la cicloserina. Il gruppo amino mostrava un ottimo campo aperto di affinità. L’RNA messaggero si adattava perfettamente ai suoi opercoli.

«Ciclo di Krebs trentotto virgola sei,» riferì l’addetta al computer.

Dovremo rischiare, pensò Potter. Questo embrione non tollererà ulteriori modifiche.

«Riducete della metà la stasi,» ordinò. «Aumentare l’ATP. Dieci minimi di acido piruvico.»

«Stasi in diminuzione,» disse Svengaard. E pensò, Ci siamo vicini. Premette i pulsanti dell’ATP e dell’acido piruvico.

«Datemi il ciclo di Krebs a intervalli di mezzo punto,» disse Potter.

«Trentacinque,» lesse l’infermiera. «Trentaquattro virgola cinque. Trentaquattro. Trentatré virgola cinque.» La sua voce iniziò ad acquisire un tono incalzante, teso: «Trentatré… trentadue… trentuno… trenta… ventinove…»

«Interrompete la stasi,» disse Potter. «Mostratemi lo spettro completo di aminoacidi con istidina attivata. Incominciate a somministare pirodossina — quattro virgola due minimi.»

Le mani di Svengaard volarono sui pulsanti.

«Utilizzare di nuovo il nastro delle proteine,» ordinò Potter. «Registrare lo schema del DNA utilizzando i dispositivi automatici del computer.»

I nastri frusciarono sulle bobine.

«Sta rallentando,» commentò Svengaard.

«Ventidue,» stava annunciando l’addetta al computer. «Ventuno e nove… ventidue… ventuno e nove… ventidue e uno… ventidue e due… ventidue e uno… ventidue e due… ventidue e tre… ventidue e quattro… ventidue e cinque… ventidue e sei… ventidue e cinque.»

Potter assisteva con trepidazione a quella lotta dall’esito incerto. La morula era vicinissima alla morte. Nei minuti seguenti avrebbe potuto sopravvivere o soccombere. Oppure venire menomata. Cose del genere succedevano. Quando il danno subito era troppo grave, la vasca veniva spenta, e il suo contenuto gettato via. Ma Potter ormai si era identificato con quell’embrione. Sentiva di non poterlo perdere.

«Desensibilizzatore mutagene,» disse.

Svengaard esitò. Il ciclo di Krebs seguiva una lenta curva sinuosidale che tendeva pericolosamente a valori a cui l’embrione sarebbe morto. Sapeva perché Potter aveva preso quella decisione, ma bisognava anche tener conto che quella decisione avrebbe potuto generare nell’embrione una tendenza a contrarre tumori. Si chiese se avrebbe dovuto tentare di persuadere Potter a desistere. Meno di quattro punti dividevano l’embrione dalla dissoluzione finale, dal nulla della morte. La somministrazione di mutageni poteva provocare una crescita rapidissima oppure distruggerlo. E anche se i mutageni avessero funzionato, l’embrione sarebbe stato vulnerabile a processi cancerosi.

«Desensibilizzatore mutagene!» ripeté Potter.

«Dosaggio?» chiese Svengaard.

«Mezzo minimo in frazioni. Ci penserò io a somministrarlo.»

Svengaard premette i tasti dell’apparecchio dispensatore, gli occhi fissi sul monitor che gli forniva i dati sul ciclo di Krebs. Non aveva mai udito che un simile, drastico procedimento fosse stato applicato ad un embrione tanto vicino alla morte. Di solito i mutageni venivano usati per embrioni parzialmente difettosi di Steri, una mossa che talvolta produceva effetti drammatici. Era come scuotere un secchio pieno di sabbia per pareggiare i grani. Eppure, qualche volta, il plasma germinale, stimolato dal mutagene, realizzava da solo un equilibrio migliore. Di tanto in tanto veniva prodotto addirittura qualche embrione fertile… ma mai un Optimate.

Potter ridusse l’ingrandimento, studiò ì movimenti che avvenivano nell’embrione. Premette delicatamente i tasti del dispensatore, poi cercò i segni che rivelavano che l’embrione avrebbe generato un Optimate. L’attività cellulare rimaneva incerta, parzialmente confusa.

«Ciclo di Krebs: ventidue e otto,» disse l’addetta al computer.

È leggermente aumentato, pensò Potter.

«Molto lento,» commentò Svengaard.

Potter continuò ad osservare la morula. Stava crescendo, espandendosi in maniera irregolare, lottando con tutta la forza immagazzinata nel suo microscopico interno.

«Ciclo di Krebs: trenta virgola quattro,» disse Svengaard.

«Sto per cessare la somministrazione di mutageni,» annunciò Potter. Puntò il microscopio su di una cellula periferica, desensibilizzò le nucleoproteine, cercò le configurazioni difettose.

La cellula era perfetta.

Potter si dedicò alle spirali di DNA con un senso crescente di meraviglia.

«Ciclo di Krebs: trentasei e otto, in aumento,» disse Svengaard. «Inizio a somministrare colina e aneurina?»

Potter rispose automaticamente; la sua attenzione era concentrata esclusivamente sulla struttura genetica della cellula. «Sì, inizi.» Completò l’esame, passò ad un’altra cellula periferica.

Era identica.

Un’altra ancora — sempre la stessa cosa.

Lo schema genetico alterato si era mantenuto, ma Potter comprese che si trattava di uno schema quale non si era più visto in un essere umano a partire dal secondo secolo di manipolazione genetica. Pensò di chiedere un confronto, tanto per essere sicuro. Senza dubbio il computer sarebbe stato in grado di fornirglielo. Nessuna registrazione veniva persa o buttata via. Ma non osava… c’era troppo in gioco. E poi sapeva di non aver bisogno del confronto. Quella struttura genetica era un classico, un esempio da manuale che lui aveva fissato quasi quotidianamente, durante tutto il periodo di apprendistato medico.

Lo schema del super-uomo, che aveva spinto Sven a chiamare uno specialista della Centrale, era lì, rafforzato dalla propria opera. Era però strettamente accoppiato a quello di piena fertilità. Le strutture base della longevità erano inscritte nelle configurazioni della struttura genetica.

Se quell’embrione avesse raggiunto la maturità e avesse incontrato una compagna fertile, avrebbe potuto generare bambini vivi e in perfetta salute, senza l’interferenza di un ingegnere genetico. Non aveva bisogno di enzimi per sopravvivere. Senza di essi, avrebbe vissuto una vita dieci volte più lunga di quella media di un essere umano… e con alcune lievi modifiche enzimatiche avrebbe potuto entrare a far parte dei ranghi degli immortali.

L’embrione dei Durant avrebbe potuto dar origine ad un’altra razza — simile a quella degli Optimati, ma sotto alcuni aspetti drammaticamente diversa. La progenie di quell’embrione avrebbe potuto inserirsi nei ritmi della selezione naturale… totalmente al di fuori del controllo degli Optimati.

Era lo schema da cui nessun umano poteva scostarsi troppo e sperare di sopravvivere, e tuttavia era ciò che la Centrale temeva maggiormente.

Durante il corso di studi, ad ogni ingegnere genetico era stata ripetuta continuamente la teoria che la selezione naturale è un’assurdità che condanna le sue vittime a esistenze opache, vuote.

Solo le ragioni degli Optimati, e la loro logica, dovevano effettuare la selezione.

Come se avesse avuto la possibilità di scrutare il futuro, Potter provò la profonda certezza che l’embrione dei Durant, se fosse maturato, avrebbe davvero incontrato una compagna fertile. Quell’embrione aveva ricevuto un dono dall’esterno - una grossa quantità di spermo-arginina, che costituiva la chiave della sua fertilità. Durante il flusso di mutageni che aveva aperto i centri attivi del DNA, lo schema genetico dell’embrione era stato plasmato in una forma stabile che nessun umano avrebbe osato tentare di realizzare.

Perché ho somministrato i mutageni proprio in quel momento? si chiese Potter. Sapevo che era ciò che dovevo fare. Ma come facevo a saperlo? Forse sono stato usato come strumento da una forza esterna?

«Ciclo di Krebs: cinquantotto, in rapido aumento,» lo informò Svengaard.

Potter moriva dalla voglia di discutere quel problema con Svengaard… ma c’erano i dannati genitori e quelli della Sicurezza… che lo osservavano. È possibile che qualcun altro abbia visto o sappia abbastanza di questo schema da aver compreso cosa è successo qui dentro! si chiese.

Ma perché ho usato i mutageni!

«Riesce già a vedere lo schema?» chiese Svengaard.

Ormai l’embrione stava crescendo rapidamente. Potter studiò il ritmo di proliferazione delle cellule stabilizzate. Era meraviglioso.

«Ciclo di Krebs: sessantaquattro virgola sette,» annunciò Svengaard.

Ho aspettato troppo a lungo, pensò Potter. I pezzi grossi della Centrale si chiederanno perché ho aspettato tanto a lungo, prima di uccidere quest’embrione. Ma non posso farlo! È così meraviglioso.

La Centrale perpetuava il proprio potere mantenendo il mondo completamente ignaro del suo dominio, e concedendo ai suoi spenti schiavi dosi di enzimi che per loro rappresentavano l’unica possibilità di rimanere in vita.

Un detto della Gente recitava: «In questo mondo ci sono due mondi — uno che non lavora e vive sempre; uno che non vive e lavora sempre.»

Lì, in una vasca di cristallo, era ospitato un minuscolo agglomerato di cellule, una creatura vivente con un diametro minore di sei decimi di millimetro, e che possedeva la capacità di vivere la propria vita fuori del controllo della Centrale.

Quella morula doveva morire.

Mi ordineranno di ucciderla, pensò Potter. E io diventerò un uomo sospetto… finito. E cosa accadrebbe se quest’embrione riuscisse a sopravvivere? Cosa ne sarebbe dell’ingegneria genetica? Ritorneremmo a correggere difetti minori… come facevamo prima di iniziare a plasmare superuomini?

Superuomini!

Nella propria mente, Potter fece quel che non poteva fare apertamente: maledisse gli Optimati. Erano enormemente potenti, in grado di dare, in un solo istante, la vita o la morte. Molti di essi possedevano menti geniali. Ma dipendevano dagli enzimi quanto qualunque Steri o Fertile. E c’erano individui brillanti quanto loro tra gli Steri, i Fertili… e tra gli ingegneri genetici.

Ma nessuno di essi poteva vivere per sempre, reso sicuro dal possesso di un potere brutale, assoluto.

«Ciclo di Krebs: cento esatti,» disse Svengaard.

«Ci siamo riusciti,» replicò Potter. Si arrischiò a sbirciare l’addetta al computer, ma la donna gli volgeva le spalle, tutta presa dalle sue apparecchiature. Senza la registrazione effettuata dal computer, sarebbe stato possibile nascondere cosa era avvenuto nel laboratorio. Ma con la registrazione disponibile all’esame della Sicurezza e degli Optimati, ciò si sarebbe rivelato affatto impossibile. Svengaard non aveva visto abbastanza. Le lenti fissate alla fronte riflettevano in maniera approssimativa il campo di visione del microscopio. Le infermiere addette alla vasca non sarebbero state neppure in grado di sospettare ciò che era successo. Soltanto l’addetta al computer, con il suo piccolo monitor, avrebbe potuto sapere… e la registrazione completa era conservata nella macchina: uno schema di onde magnetiche incise su nastro.

«Questo è il livello più basso a cui abbia visto scendere il Ciclo di Krebs senza che l’embrione morisse,» rifletté Svengaard.

«A quanto era sceso?» chiese Potter.

«Ventuno e nove,» rispose Svengaard. «Venti è il valore minimo, ma non ho mai sentito di un embrione che sia sceso al di sotto di venticinque, e che poi sia sopravvissuto. E lei, Dottore?»

«No, neppure io.»

«Abbiamo ottenuto lo schema che volevamo?» volle sapere Svengaard.

«Per ora, non voglio interferire troppo,» rispose Potter.

«Ovviamente,» disse Svengaard. «Qualunque cosa succeda, si è trattato di un intervento magistrale!»

Intervento magistrale! pensò con sarcasmo Potter. Cosa direbbe questo sciocco se gli rivelassi cosa ho ottenuto? Un embrione fertile. Un Totale. Lo uccida, mi direbbe. Non avrà bisogno di enzimi e potrà generare. Non ha un difetto… neppure uno. Lo uccida, mi direbbe. È uno schiavo fedele. L’intera triste storia dell’ingegneria genetica potrebbe trovare la sua giustificazione in quest’unico embrione. Ma l’istante dopo che alla Centrale avranno terminato di visionare il nastro, l’embrione verrà distrutto.

Eliminatelo, diranno… poiché non amano usare parole come "uccidere" o "morte".

Potter si chinò sul microscopio. L’embrione era bellissimo, sia pure nella sua terribilità.

Potter arrischiò un’altra occhiata all’infermiera addetta al computer. La donna si girò, con la mascherina abbassata, incontrò il suo sguardo, sorrise. Era un sorriso d’intesa, furtivo, il sorriso di una cospiratrice. Poi sollevò un braccio per tergersi il sudore dalla fronte. La manica sfiorò un pulsante. Uno stridio acuto, metallico, provenne dalla console del computer. L’infermiera si voltò di scatto verso l’apparecchiatura, rantolò, «Oh, mio Dio!» Le sue mani volarono sulla tastiera, ma il nastro continuò a scorrere sibilando attraverso il meccanismo di trasporto. La donna si voltò, tentò di togliere la copertura trasparente della console di registrazione. Le grandi bobine giravano follemente.

«Si è guastato!» esclamò l’infermiera.

«È bloccato su CANCELLARE!» gridò Svengaard. Balzò accanto all’infermiera, tentò anche lui di rimuovere la copertura, che si incagliò nelle scanalature.

Come se fosse immerso in una trance, Potter rimase a guardare mentre l’ultimo tratto del nastro passava in un lampo sulle testine e iniziava a riavvolgersi sull’altra bobina.

«Oh, Dottore, abbiamo perso la registrazione!» gemé l’infermiera.

Potter concentrò la sua attenzione sul piccolo monitor dell’infermiera. Avrà seguito attentamente l’intervento? si chiese. Qualche volta osservano queste operazioni passo passo… e le infermiere addette ai computer la sanno lunga. Se ha osservato tutto, si farà fatta una buona idea di quel che è successo. O almeno avrà sospettato qualcosa. La cancellazione del nastro: ma si è davvero trattato di un incidente? Posso accettare una spiegazione del genere?

L’infermiera si voltò e affrontò il suo sguardo. «Oh, Dottore, sono così mortificata,» si scusò.

«Nessun problema, infermiera,» disse Potter. «Adesso in quell’embrione non c’è nulla di speciale, a parte il fatto che vivrà.»

«Non ci siamo riusciti, eh?» chiese Svengaard. «Devono essere stati i mutageni.»

«Sì,» disse Potter. «Ma senza di essi sarebbe morto.»

Poi fissò l’infermiera. Non ne era sicuro, ma pensò di aver scorto un’espressione di profondo sollievo apparire sul volto della donna.

«Preparerò una registrazione verbale dell’intervento,» disse Potter. «Per un embrione di questo tipo, dovrebbe essere più che sufficiente.»

E pensò, Quand’è che inizia una cospirazione? Forse ne sto iniziando una?

Be’, in caso affermativo c’era ancora tanto da fare. Nessun occhio esperto avrebbe più potuto guardare l’embrione attraverso l’oculare del microscopio, senza diventare un membro della congiura… o un traditore.

«Abbiamo ancora il nastro della sintesi proteica,» disse Svengaard. «Per comparazione, potremo ottenere i fattori chimici, e i tempi.»

Potter pensò a quel nastro. Poteva rivelarsi pericoloso? No: conservava i dati sulle sostanze usate durante l’intervento… ma non su come erano state usate.

«Andrà bene lo stesso,» disse. «Sì, andrà bene.» Indicò lo schermo. «L’intervento è terminato. Potete interrompere il circuito video diretto e far accompagnare i genitori in sala d’aspetto. Sono davvero spiacente di non aver potuto fare di più, ma l’embrione diverrà un essere umano in piena salute.»

«Uno Sterile?» gli chiese Svengaard.

«È troppo presto per azzardare conclusioni,» replicò Potter. Guardò l’infermiera addetta al computer. Era infine riuscita a rimuovere la copertura e a fermare i nastri. «Ha una qualche idea su ciò che ha causato il guasto?»

«Probabilmente la rottura di un solenoide,» ipotizzò Svengaard.

«Quest’equipaggiamento è molto vecchio,» disse l’infermiera. «Ho chiesto molte molte che venisse sostituito, ma sembra che non siamo molto in alto nella lista di priorità.»

E la Centrale ha una naturale ritrosia ad ammettere che qualsiasi cosa possa usurarsi, pensò Potter.

«Sì,» disse poi. «Bene, sono convinto che ora otterrà ciò che aveva chiesto.»

Qualcun altro l’ha vista mentre faceva scattare quell’interruttore? si chiese Potter. Tentò di ricordare dove stavano guardando tutti coloro che erano nella stanza al momento dell’incidente, timoroso che un monitor della Sicurezza avesse potuto tenere l’infermiera sotto sorveglianza. Se la Sicurezza si è accorta di quel che ha fatto, è spacciata. E anch’io sono finito.

«Il rapporto del tecnico sulle riparazioni effettuate dovrà essere accluso all’incartamento che riguarda questo caso,» disse Svengaard. «Presumo che lei…»

«Me ne occuperò io, Dottore,» lo tranquillizzò l’infermiera.

Voltandosi, Potter ebbe l’impressione che lui e la donna avessero appena finito di avere una conversazione silenziosa, sottintesa. Si accorse che il grande schermo era grigio e vuoto; i Durant non stavano più osservando. Se fanno parte dell’Associazione dei Genitori Clandestini, potrebbero rivelarsi utili. Bisogna fare qualcosa per quest’embrione. La cosa migliore sarebbe di portarlo fuori di qui… ma come?

«Mi occuperò io dei dettagli finali,» disse Svengaard. Iniziò a controllare i sigilli della vasca, i monitor delle funzioni vitali, poi cominciò a smontare il generatore di mesoni.

Qualcuno deve parlare con i genitori, rifletté Potter.

«I genitori saranno delusi,» commentò Svengaard. «Di solito conoscono il motivo per cui viene chiamato uno specialista… e probabilmente nutrivano grandi speranze.»

La porta che dava sulla stanza dei preparativi si aprì, e nel laboratorio entrò un uomo che Potter riconobbe come un agente della Sicurezza della Centrale. Era biondo, con un viso rotondo e lineamenti che si tendeva a dimenticare cinque minuti dopo averli visti. L’uomo attraversò la stanza e si fermò di fronte a Potter.

Per me è la fine, si chiese Potter. Poi si sforzò di chiedere con voce ferma, «Cosa mi dice dei genitori?»

«Sono puliti,» rispose l’agente. «Niente dispositivi camuffati, una conversazione normale… terribilmente banale, ma normale.»

«Neppure una minima traccia di altro?» chiese Potter. «Non potrebbero avervi giocato lo stesso senza far uso di strumenti?»

«Impossibile!» replicò brusco l’altro.

«Il Dottor Svengaard pensa che il padre abbia un istinto di protezione troppo accentuato, e che la madre possegga un istinto materno materno troppo sviluppato.»

«Le registrazioni d’archivio dicono che è stato lei a modellarli,» ribatté l’agente.

«È possibile,» concesse Potter. «Qualche volta bisogna concentrarsi sui difetti più grossi e trascurare quelli meno importanti, pur di salvare l’embrione.»

«E oggi, ha per caso trascurato qualcosa?» domandò l’agente. «Mi è parso di capire che il nastro è stato cancellato… un incidente.»

Sospetta qualcosa? si chiese Potter. L’entità del pericolo, il suo coinvolgimento personale in quella faccenda minacciarono di sopraffare la sua mente. Dovette compiere uno sforzo sovrumano per conservare un tono di voce calmo, quasi noncurante.

«Ovviamente tutto è possibile,» rispose. Si strinse nelle spalle. «Ma non credo che sia successo niente di strano. Salvando l’embrione, abbiamo perso lo schema genetico da Optimate, ma qualche volta succede. Non possiamo vincere sempre.»

«Dovremo controllare l’incartamento dell’embrione?» volle sapere l’agente.

Brancola ancora nel buio, si disse Potter. Rispose, «Come desidera. Molto presto preparerò un nastro con il resoconto verbale sull’intervento; probabilmente sarà tanto accurato quanto quello visivo. Può anche attendere che sia pronto per poi analizzarlo, prima di decidere.»

«Lo farò,» disse l’agente.

Svengaard aveva allontanato il microscopio dalla vasca. Potter si rilassò leggermente. Nessuno avrebbe potuto dare un’occhiata casuale, ma pericolosa, all’embrione.

«Immagino che tutte queste precauzioni non siano servite a nulla,» disse Potter. «Mi dispiace, ma i genitori hanno insistito per osservare.»

«Meglio precauzioni dieci volte più numerose, che una coppia di genitori che sa troppo,» replicò l’agente. «Come mai il nastro è stato cancellato?»

«Un incidente,» rispose Potter. «L’equipaggiamento era usurato. Tra breve, le forniremo il rapporto tecnico.»

«Eviti di citare nel rapporto l’incoveniente,» disse l’agente. «Mi basterà la comunicazione verbale. Ora Allgood deve mostrare ogni rapporto alla Tuyere.»

Potter si permise un cenno pieno di comprensione. «Non si preoccupi.» Gli uomini che lavoravano per la Centrale conoscevano bene quelle cose. Ciascuno tentava di celare agli Optimati particolari che avrebbero potuto turbarli.

L’agente si guardò intorno, commentò, «Qualche giorno non avremo più bisogno di tutta questa segretezza. E per me sarà sempre troppo presto.» Si voltò.

Potter lo guardò andar via, pensando a quanto superbamente quell’agente si adattasse allo svolgimento dei compiti che la sua professione richiedeva. Un esemplare perfetto, con un solo difetto: una mente troppo fredda, troppo incline alla logica, dotata di insufficiente immaginazione, impreparata ad esplorare le strade del caso.

Se mi avesse torchiato, sarei crollato, confessando tutto, rifletté Potter. Avrebbe dovuto essere più curioso sull’incidente. Ma noi tendiamo ad emulare i nostri padroni, perfino nei loro difetti.

Potter iniziò ad avere maggiore fiducia nel successo della sua inattesa avventura. Si voltò per aiutare Svengaard a sbrigare gli ultimi particolari, chiedendosi, Come faccio a sapere che l’agente ha creduto alla mia spiegazione? Quella domanda non fu accompagnata da alcuna sensazione di disagio. So che mi ha creduto, ma perché l’ha fatto?

Poi comprese che la propria mente aveva assorbito informazioni sui geni — il funzionamento interno delle cellule e le loro manifestazioni esteriori — per tanti di quegli anni che quella mole di dati si era fuso in un superiore livello di comprensione. Ormai era capace di intuire le reazioni condizionate dalla manipolazione genetica, anche in base ad indizi involontari.

Posso leggere nella mente delle persone!

Fu una rivelazione sconvolgente. Potter si guardò intorno, osservò le infermiere che stavano terminando di smontare le apparecchiature. Quando i suoi occhi si posarono sull’addetta al computer, lui seppe che la donna aveva cancellato deliberatamente il nastro. Non ebbe più alcun dubbio su quel particolare.

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