Max Allgood, il capo della Sicurezza, salì i gradini in plasmeld del palazzo dell’Amministrazione precedendo di poco i due bioingegneri che l’accompagnavano, come si addiceva a colui che dirigeva il rapido e terribile braccio esecutivo degli Optimati.
Il sole del mattino alle spalle del terzetto proiettò le loro ombre sugli angoli e le superfici del bianco edificio.
Furono inghiottiti dalla penombra argentea del portico d’ingresso, dove scese una barriera per l’inevitabile controllo. Sensori sensibilissimi li scrutarono, in cerca di microrganismi ostili.
Allgood sopportò l’esame con una pazienza scaturita dall’abitudine e studiò i suoi compagni — Boumour e Igan. Lo divertiva il pensiero che lì dentro tutti dovevano abbandonare i loro titoli. Nessun dottore era ammesso ad entrare in quell’edificio. Lì dovevano essere chiamati farmacisti. Il titolo di "dottore" suscitava negli Optimati una spiacevole inquietudine. Essi sapevano che i dottori esistevano, ma solo per prendersi cura dei semplici, della Gente. Nella Centrale si evitava di usare la parola "dottore", sostituita da un eufemismo, e del resto nessuno utilizzava parole come morte o uccidere, e neppure alludeva al fatto che una macchina o una qualsiasi struttura potessero usurarsi. Soltanto i nuovi Optimati nel loro periodo di apprendistato e i semplici di aspetto giovanile prestavano servizio in Centrale, sebbene alcuni semplici fossero stati mantenuti in servizio dai loro padroni per periodi considerevoli.
Boumour e Igan superarono entrambi l’esame, anche se il volto di Boumour, appuntito e simile a quello di un elfo, lo faceva sembrare più anziano di quanto fosse in realtà. Era un uomo massiccio, dalle spalle poderose. Al suo confronto, Igan appariva snello e fragile, con il mento lungo e una bocca piccola e stretta. Gli occhi di entrambi avevano il colore di quelli degli Optimati: un azzurro penetrante. Probabilmente erano quasi-Optimati. La maggior parte dei dottori-farmacisti della Centrale lo erano.
I due apparivano a disagio sotto gli occhi di Allgood, ed evitavano il suo sguardo. Boumour iniziò a parlare a bassa voce con Igan, con una delle sue mani, appoggiata sulla spalla dell’altro, che aveva iniziato a muoversi nervosamente. Il movimento della mano di Boumour sulla spalla di Igan parve familiare ad Allgood, che provò la sensazione di aver già visto in precedenza qualche cosa del genere, in qualche altro posto. Ma non riuscì a ricordare dove.
L’esame continuò, e Allgood ebbe l’impressione che durasse più a lungo del solito. Spostò la propria attenzione allo scenario che circondava l’edificio. Era stranamente pacifico, in pieno contrasto con l’atmosfera della Centrale, e Allgood lo sapeva.
Comprese che la possibilità che aveva avuto di accedere agli archivi segreti e perfino ai vecchi libri gli aveva fornito una conoscenza sulla Centrale fuori dal comune. Il feudo degli Optimati si stendeva per parecchi chilometri in un territorio che un tempo aveva costituito parte del Canada e degli Stati Uniti settentrionali. Occupava una zona approssimativamente circolare di settecento chilometri di diametro; contava duecento piani sotterranei. Era una regione in cui erano ubicati molteplici centri di controllo: controllo metereologico, controllo genetico, controllo dei batteri, controllo degli enzimi… controllo degli esseri umani.
In quel piccolo angolo del complesso, il cuore dell’intera Amministrazione, i dintorni erano stati trasformati in un giardino all’italiana, con tocchi di tinte pastello. Gli Optimati erano persone capaci di spianare una montagna per puro capriccio. Nel territorio della Centrale la natura era stata addomesticata, derubata della sua pericolosa selvatichezza. Anche quando gli Optimati modellavano un panorama, in esso mancava quell’elemento drammatico egualmente assente nelle loro vite.
Spesso Allgood rifletteva su quella caratteristica. Aveva visto dei film di epoche precedenti l’avvento degli Optimati e si era reso conto delle differenze. La meticolosa raffinatezza della Centrale gli sembrava in rapporto con gli onnipresenti triangoli rossi che indicavano i Dispensatorii Farmaceutici in cui gli Optimati conservavano le preziose scorte d’enzimi.
«Ci stanno mettendo troppo tempo o è solo una mia impressione?» chiese Boumour. Aveva una voce dal tono ricco, quasi baritonale.
«Pazienza,» rispose Igan. La sua era una voce da tenore.
«Sì,» disse Allgood. «La pazienza è la migliore alleata di un uomo.»
Boumour guardò il capo della Sicurezza, studiandolo, riflettendo. Allgood non era tipo da perdersi in chiacchiere; quando parlava, aveva sempre qualche scopo in mente. Era lui, e non gli Optimati, la minaccia maggiore per la Congiura. Era totalmente dalla parte dei suoi padroni: un burattino perfetto. Perché oggi ci ha ordinato di accompagnarlo qui? si chiese Boumour. Sa qualcosa? Ci denuncerà?
L’incredibile bruttezza di Allgood affascinava Boumour. Il capo della Sicurezza era un semplice basso e tarchiato, con un viso tondo e saettanti occhi a mandorla, un ciuffo di capelli scuri che gli ricadeva sulla fronte: un genotipo Shang, o almeno così si intuiva dal suo aspetto.
Allgood si voltò verso la Barriera di Quarantena, e con un sussulto provocato da un’intuizione improvvisa Boumour comprese che la bruttezza esterna di Allgood scaturiva da quella interiore. Era la bruttezza creata dalle paure, sue e di coloro che proteggeva. Quella comprensione provocò in Boumour un’improvvisa sensazione di sollievo, che egli segnalò a Igan attraverso pressioni esercitate dalle proprie dita sulla spalla dell’altro.
Igan si scostò improvvisamente da Boumour, per guardare la campagna. È ovvio che Max Allgood abbia paura, pensò. Vive immerso in un groviglio inestricabile di paure… proprio come gli Optimati… povere creature.
La vista che era possibile godere dalla Centrale iniziò a imprimersi sui sensi di Igan. Quella era una giornata di primavera tanto perfetta da sembrare irreale, ed era stato il Centro di Controllo Metereologico a stabilire che fosse così. La scalinata che conduceva all’edificio dell’Amministrazione guardava verso un lago, rotondo e perfetto come una lastra di smalto azzurro. Su di una bassa collina alle sue spalle, sorgevano alcuni plinti di plasmeld, simili a pietre bianche: erano gli ingressi degli ascensori che scendevano nella superprotetta e segreta fortezza degli Optimati, duecento piani più in basso.
Oltre la collina, il cielo diventava di un oleoso color azzurro cupo. Era attraversato di tanto in tanto da bagliori rossi, verdi e dorati, secondo uno schema piuttosto banale. Poi si udì un rombo smorzato: da qualche parte, nel territorio della Centrale, un Optimate aveva dato il via per divertimento a un temporale controllato.
Igan pensò che si trattava di una dimostrazione futile, priva di pericolo o di dramma… due parole, decise, che avevano lo stesso significato.
Quel giorno, la tempesta era la prima cosa vista da Allgood che si adattasse alla sua interpretazione dell’atmosfera che pervadeva la Centrale. Per lui, la Centrale era la sede di un potere supremo e oscuro. Le persone svanivano in essa e non erano mai più riviste, e solo lui, il capo della Sicurezza, e una manciata tra gli agenti più fedeli, erano a conoscenza del loro fato. Allgood aveva l’impressione che lo scoppio di tuono si adattasse alla perfezione ai suoi sentimenti; era un suono che simboleggiava un potere assoluto. In preda alla tempesta, adesso il cielo stava assumendo un acido colore giallastro, mentre le nubi disperdevano l’aria primaverile. I plinti, sulla collina che dominava il lago, erano divenuti cenotafi pagani profilati contro uno sfondo verde-porpora.
«Possiamo proseguire,» lo avvertì Boumour.
Allgood si voltò e scoprì che la Barriera di Quarantena si era sollevata. Entrò per primo nella Sala del Consiglio con le sue pareti di scintillante materiale adamantino e i suoi banchi di plasmeld vuoti. Il terzetto attraversò lingue ondeggianti di vapore profumato, che si aprirono al loro passaggio.
Accoliti Optimati, che indossavano cappe verdi fissate alle spalle da fibbie di diamanti, uscirono dall’oscurità che avvolgeva la maggior parte della sala per scortarli. Sulle loro cappe erano intessute zampogne di platino, ed essi agitavano turiboli d’oro che emanavano nuvole rosa di antisettico.
Allgood mantenne la sua attenzione sull’altra estremità della sala. Là, un globo gigantesco, rosso come una radice di mandragora, era sospeso tra una miriade di raggi luminosi. Aveva un diametro di circa quaranta metri, e una delle sue sezioni era ripiegata all’indietro, come se a un’arancia fosse stata tagliata via un pezzo di buccia. Quello era il Centro di Controllo della Tuyere, lo strumento dotato di bizzarri poteri, e di apparati sensori ancora più strani, mediante i quali essi dominavano i loro sudditi. All’interno lampeggiava una miriade di luci verdi fosforescenti, insieme all’azzurro intenso delle lampade ad arco. Grandi quadranti rotondi inviavano messaggi e luci rosse guizzavano ammiccanti. Cifre scorrevano apparentemente attraverso l’aria, mentre simboli esoterici danzavano su nastri di luce.
Al centro, simile al nocciolo del frutto, si ergeva una colonna bianca, che sosteneva una piattaforma triangolare. Ai vertici del triangolo, assisi su troni in plasmled dorato, sedevano i tre Optimati conosciuti come la Tuyere — amici, compagni, eletti come supremi dominatori di quel secolo, e con ancora settantotto anni di potere innanzi a loro. Per i tre, quel mandato era lungo quanto un battito di ciglia, e spesso rappresentava una seccatura, in quanto li costringeva ad affrontare realtà spiacevoli che gli altri Optimati mascheravano con l’uso di eufemismi.
Gli accoliti si fermarono a venti passi dal globo, ma continuarono ad agitare i loro turiboli. Allgood avanzò di un passo, fece segno a Igen e Boumour di fermarsi. Il capo della Sicurezza sapeva fin dove poteva spingersi, in quel luogo. Hanno bisogno di me, si disse. Ma non nutriva illusione alcuna sui pericoli che quel colloquio avrebbe potuto riservargli.
Allgood sollevò lo sguardo verso il centro del globo. Un sottile e danzante schermo d’energia formava come un velo ingannevolmente trasparente; attraverso di esso, si intravedevano forme, profili, ora chiari, ora confusi.
«Sono venuto,» annunciò Allgood.
Boumour e Igan ripeterono quella formula di saluto, ricordando a se stessi il protocollo che in quel luogo doveva essere rigidamente osservato: Chiamate sempre per nome l’Optimate a cui vi state rivolgendo. Se non conoscete il suo nome, chiedeteglielo umilmente.
Allgood attese che la Tuyere rispondesse. Qualche volta pensava che non possedessero alcuna percezione del passare del tempo, od almeno che con si accorgessero del trascorrere dei secondi, dei minuti, o perfino dei giorni. Poteva davvero essere così. Per individui dotati di vita eterna, l’alternarsi delle stagioni avrebbe potuto essere simile al rapido ticchettio di un orologio.
Il supporto dei troni girò, presentando uno ad uno i tre membri della Tuyere. Sedevano avvolti da abiti traslucidi e aderenti, che li facevano apparire seminudi, e sottolineavano la loro somiglianza con i semplici. Di fronte al segmento aperto adesso c’era Nourse, la cui figura ricordava quella di un dio greco, con il viso squadrato, folte sopracciglia, un torace gonfio di muscoli che si contraevano ad ogni respiro. E quanta regolarità c’era in quel respiro, quanta controllata lentezza!
La base ruotò, mostrando Schruille, minuto, imprevedibile, con grandi occhi rotondi, alti zigomi, un naso schiacciato, una bocca che sembrava perpetuamente atteggiata in una smorfia di disapprovazione. Era anche il più pericoloso dei tre. Alcuni dicevano che parlava di cose che gli altri Optimati consideravano tabù. Una volta, in presenza di Allgood, aveva pronunciato la parola "morte", anche se si stava riferendo a quella di una farfalla.
Ancora una volta la piattaforma girò e apparve Calapine, con la veste cinta da placche di cristallo. Era una donna snella, dai seni alti, aveva capelli castani dalla sfumatura dorata, occhi gelidi e insolenti, labbra piene e un lungo naso su un mento aguzzo. Allgood, in qualche occasione, l’aveva sorpresa a guardarlo stranamente. Da parte sua, aveva cercato di non pensare a quegli Optimati che sceglievano dei semplici come Compagni.
Nourse parlò a Calapine, guardandola attraverso il riflettore prismatico montato sulla spalliera di ogni trono. Lei gli rispose, ma le voci non riuscirono ad arrivare fino al pavimento della sala.
Allgood osservò attentamente quello scambio di battute, nel tentativo di intuire l’umore dei due. La Gente sapeva che Nourse e Calapine erano stati amanti per periodi equivalenti a molte centinaia di vite di semplici. Nourse godeva della fama di possedere una volontà forte ma prevedibile, mentre Calapine era dotata di una mente capricciosa e volubile. Bastava menzionare il suo nome, e molto probabilmente qualcuno avrebbe rivolto gli occhi al cielo, chiedendo, «Cosa ha combinato questa volta?» Di solito quelle parole venivano pronunciate con un misto di paura e ammirazione. Allgood conosceva quella paura. Aveva servito altre Triadi Supreme, ma nessuna di esse aveva messo così a dura prova la sua tempra come quest’ultima… e la peggiore dei tre era proprio Calapine.
La piattaforma si era fermata. Nourse era di fronte all’apertura nel globo. «Sei venuto,» disse con voce tonante. «È ovvio che tu l’abbia fatto. Il bue conosce il suo padrone, l’asino la greppia da cui si nutre.»
Questa è una quelle giornate in cui va tutto storto, comprese Allgood. Pazzesco! Ciò poteva soltanto significare che erano al corrente che lui aveva commesso un errore… ma del resto non era sempre così?
Calapine fece ruotare il trono per poter guardare i semplici. La Sala del Consiglio era stata costruita avendo come modello il senato romano, con false colonne e file di scranni sotto l’occhio dei sensori ottici. Tutto sembrava concentrare la sua attenzione sulle tre figure, leggermente in disparte dagli accoliti.
Sollevando lo sguardo, Igan ricordò che aveva temuto e odiato quelle creature per tutta la sua vita — anche se nei loro confronti provava un senso di pietà. Era stato davvero fortunato a non essere diventato uno di loro. Era stato sul punto di essere trasformato in Optimate, ma poi si era salvato. Ricordava ancora l’odio che aveva nutrito verso gli Optimati per tutta l’infanzia, odio che in seguito era stato temperato dalla pietà. Nei primi tempi, invece, si era trattato di un sentimento puro, tagliente, fiammeggiante contro i Donatori di Tempo.
«Siamo venuti come ordinato per riferire sul caso dei Durant,» disse Allgood. Tirò due profondi respiri per calmare i nervi troppo tesi. Quei colloqui erano stati sempre pericolosi, ma adesso lo erano doppiamente, da quando aveva deciso di fare il doppio gioco. E ormai non poteva tirarsi indietro, né ne aveva la minima voglia, non dopo aver scoperto i cloni di se stesso che venivano fatti crescere. Poteva esserci un solo motivo per cui gli Optimati aveva preso una decisione del genere. Benissimo, gliela avrebbe fatta vedere lui.
Calapine studiò Allgood, chiedendosi se fosse giunto il momento di procurarsi un diversivo dalla noia dividendo il letto con quel brutto semplice. Magari sarebbe stato divertente. Schruille e Nourse non avrebbero mosso obiezioni. Le sembrava di ricordare di aver già fatto una cosa del genere con un altro semplice di nome Max, ma non riusciva assolutamente a rammentare se quell’episodio fosse riuscito ad alleviare la sua noia.
«Di’ cosa ti diamo, piccolo Max ,» disse Calapine.
La voce dell’Optimate, morbida e con una traccia d’ironia, spaventò il capo della Sicurezza. Allgood deglutì. «Voi mi donate la vita, Calapine.»
«Di’ quanti piacevoli anni hai vissuto,» gli ordinò Calapine.
Allgood si accorse che la gola gli si era completamente seccata. «Quasi quattrocento anni, Calapine,» raspò.
Nourse ridacchiò. «E davanti a te hai ancora moltissimi anni meravigliosi, se ci servirai bene.»
Quella era la minaccia più diretta che Allgood avesse mai sentito pronunciare da un Optimate. Di solito facevano eseguire la loro volontà ricorrendo a sottili eufemismi; agivano attraverso semplici che erano in grado di affrontare concetti quali "morte" o "uccidere".
Chi hanno creato per distruggermi? si chiese Allgood.
«Molti anni, tic-tac,» intervenne Calapine.
«Basta così!» esclamò brusco Schruille. Detestava parlare con i membri delle classi inferiori, e non apprezzava il modo in cui Calapine tendeva trappole alla Gente. Fece ruotare il suo trono e così tutti e tre i membri della Tuyere ora furono rivolti verso l’apertura nel globo. Schruille si osservò pensieroso le dita ricoperte dalla pelle meravigliosamente giovane, chiedendosi perché mai fosse scattato in quel modo. Uno squilibrio enzimico? Di solito durante quei colloqui rimaneva in silenzio, come meccanismo di difesa, poiché gli capitava di essere incline alla pietà nei confronti dei miseri semplici… per poi disprezzarsi a causa di quello stesso sentimento.
Boumour si affiancò ad Allgood, disse, «Ora la Tuyere vuole avere la compiacenza di ascoltare il nostro rapporto sui Durant?»
Allgood soppresse un moto di rabbia per quell’interruzione. Quello sciocco non sapeva che doveva sembrare che fossero sempre gli Optimati a guidare la conversazione?
«Le parole e le immagini del vostro rapporto sono state viste, analizzate e archiviate,» disse Nourse. «Ora sono le informazioni non contenute nel rapporto ciò che vogliamo.»
Cosa? si stupì Allgood. Forse pensa che gli abbiamo nascosto qualcosa?
«Piccolo Max,» disse Calapine. «Ti sei piegato alle nostre necessità e hai interrogato l’infermiera addetta al computer, dopo averle somministrato dei narcotici?»
Ci siamo, si rese conto Allgood. Respirò profondamente, poi rispose, «L’infermiera è stata interrogata, Calapine.»
Igan si avvicinò a Boumour, disse, «Su questo vorrei dire qualcosa anch’io, se mi è per…»
«Tieni a freno la tua lingua, farmacista,» lo interruppe bruscamente Nourse. «Stiamo parlando con Max.»
Igan chinò il capo, pensò, Che situazione pericolosa! E tutto a causa di quella stupida infermiera. Non era neppure una di noi. Nessun Cyborg addetto agli archivi la conosce. Non faceva parte di nessuna cellula, né di alcuna organizzazione. Un’Accidentale, una Steri… e ci ha messo in un tale pericolo!
Allgood si accorse che a Igan tremavano le mani, si chiese, «Ma cos’hanno questi dottori, che li spinge ad agire in modo così sciocco?
«L’azione dell’infermiera è stata compiuta di proposito, non è forse così?» chiese Calapine.
«Sì, Calapine,» ammise Allgood.
«I tuoi agenti non se ne sono accorti; però noi sapevamo che il suo comportamento doveva essere intenzionale.» Si voltò per controllare gli strumenti del Centro di Controllo, poi rivolse nuovamente la sua attenzione su Allgood. «Spiegaci come questo sia stato possibile.»
Allgood sospirò. «Non ho scuse, Calapine. Gli agenti responsabili sono stati puniti.»
«Ora però dicci il perché quell’infermiera ha agito così,» ordinò Calapine.
Allgood si umettò le labbra con la lingua, e rivolse uno sguardo rapidissimo a Boumour e Igan. Avevano entrambi gli occhi rivolti verso il pavimento. Guardò nuovamente Calapine: il suo viso scintillava all’interno del globo. «Non siamo riusciti a scoprire i suoi moventi, Calapine.»
«Non siete riusciti?» domandò Nourse.
«La donna… ahh… ha cessato di esistere durante l’interrogatorio, Nourse,» ammise Allgood. Mentre i tre della Tuyere si irrigidivano sui loro troni, aggiunse, «Un difetto nel suo schema genetico, così mi dicono i farmacisti.»
«Un vero peccato,» disse Nourse, rilassandosi contro lo schienale del trono.
Igan sollevò lo sguardo, sbottò, «Potrebbe essersi trattato di un… annullamento volontario, Nourse.»
Che dannato stupido! imprecò mentalmente Allgood.
Ma adesso lo sguardo di Nourse era fisso su Igan. «Tu eri presente, Igan?»
«Siamo stati io e Boumour a iniettarle i narcotici,» replicò Igan.
E poi è morta, pensò. Ma non siamo stati noi a ucciderla. Lei è morta, e la colpa ricadrà su di noi. Dove può aver imparato la tecnica che la ha consentito di fermare il proprio cuore con un atto di volontà? Si pensava che solo i Cyborg la conoscessero, o potessero insegnarla.
«Annullamento… volontario?» ripeté Nourse. Anche usando quell’eufemismo, l’idea aveva implicazioni terrificanti.
«Max!» esclamò Calapine. «Ora di’ se avete usato una… eccessiva crudeltà.» Si sporse in avanti, chiedendosi perché voleva che Allgood ammettesse di aver fatto ricorso alla tortura.
«La donna non ha per nulla sofferto, Calapine,» replicò Allgood.
Calapine si appoggiò nuovamente alla spalliera del trono, visibilmente delusa. Sta forse mentendo? Controllò i suoi strumenti: indicavano che Allgood era calmo. Dunque stava dicendo la verità.
«Farmacista,» disse Nourse, «esprimi il tuo pensiero.»
«L’abbiamo esaminata accuratamente,» disse Igan. «Non può essere stato il narcotico. È assolutamente impossibile…»
«Alcuni tra noi pensano che si sia trattato di un difetto genetico,» intervenne Boumour.
«Su questo esiste un certo disaccordo,» ribatté Igan. Guardò Allgood, poiché aveva percepito la disapprovazione dell’altro. Ma, in tutti i casi, doveva continuare. Gli Optimati dovevano essere costretti a provare un senso di inquietudine. Quando si riusciva con l’inganno a farli reagire in maniera emotiva, anche loro potevano commettere degli errori. E il piano richiedeva che facessero qualche errore proprio in quel momento. Dovevano essere manovrati — con sottigliezza, con estrema abilità.
«Max, la tua opinione?» chiese Nourse. Osservò Allgood con attenzione. Ultimamente i cloni che avevano ottenuto si erano rivelati di qualità inferiore: un risultato della degenerazione cellulare.
«Abbiamo già prelevato campioni del materiale cellulare,» disse Allgood, «e stiamo sviluppando un clone. Se otterremo una copia davvero fedele, controlleremo la questione del difetto genetico.»
«È un peccato che quel clone non sarà in possesso dei ricordi dell’originale,» commentò Nourse.
«Davvero,» esclamò Calapine. Guardò Schruille. «Non è così?»
Costui la fissò senza rispondere. Forse Calapine pensava di prendersi gioco di lui come faceva con i semplici?
«Questa donna aveva un Compagno?» chiese Nourse.
«Sì, Nourse,» rispose Allgood.
«Era un’unione fertile?»
«No, Nourse,» disse Allgood. «Erano tutti e due Steri.»
«Alleviate la pena del Compagno,» ordinò Nourse. «Un’altra donna, qualche divertimento. Lasciamo che pensi che la sua Compagna ci fosse fedele.»
Allgood annuì, disse, «Nourse, gli daremo una donna che lo terrà sotto continua sorveglianza.»
A Calapine sfuggì una risatina trillante. «Perché nessuno ha citato Potter, l’ingegnere genetico?» chiese.
«Ci stavo arrivando, Calapine,» replicò Allgood.
«L’embrione è stato esaminato da qualcuno?» chiese Schruille, che aveva improvvisamente sollevato lo sguardo.
«No, Schruille,» rispose Allgood.
«Perché non è stato fatto?»
«Se ci troviamo di fronte a un’azione organizzata per violare le leggi genetiche, Schruille, sarebbe meglio se i membri di quest’organizzazione non sospettino di essere stati scoperti. Non ancora. Prima dobbiamo sapere tutto su questa gente — i Durant, i loro amici, Potter…»
«Ma l’embrione è la chiave dell’intera faccenda,» affermò Schruille. «A quale intervento è stato sottoposto? Cos’è?»
«È un’esca, Schruille,» disse Allgood.
«Un’esca?»
«Sì, Schruille; servirà a prendere in trappola chiunque altro sia coinvolto.»
«Bene, ma cosa gli è stato fatto?»
«Importa poco, Schruille, fintantoché… avremo il suo completo controllo.»
«Spero che l’embrione sia scrupolosamente sorvegliato,» disse Nourse.
«Assolutamente, Nourse,» lo tranquillizzò Allgood.
«Manda da noi il farmacista Svengaard,» ordinò Calapine.
«Svengaard… Calapine?» disse Allgood.
«Tu non hai bisogno di chiederti il perché,» replicò lei. «Mandalo e basta.»
«Sì, Calapine.»
L’Optimate si alzò, segno che il colloquio era terminato. Gli accoliti si girarono, sempre agitando i loro turiboli, e si prepararono ad accompagnare i semplici fuori della sala. Ma Calapine non aveva ancora finito. Fissò Allgood, poi disse, «Guardami, Max.»
Lui la guardò, riconoscendo quello strano sguardo indagatore negli occhi dell’Optimate.
«Non sono bella?» chiese Calapine.
Allgood fissò la snella figura addolcita dal vestito e dagli schermi d’energia all’interno del globo. Era bellissima, come molte delle Optimate. Ma quella bellezza gli ripugnava a causa della sua minacciosa perfezione. Lei avrebbe vissuto per sempre, del resto aveva già vissuto quarantamila o cinquantamila anni. Ma, un giorno, il corpo di Allgood avrebbe rifiutato gli enzimi e i ritrovati medici. Sarebbe morto mentre Calapine avrebbe continuato a vivere… a vivere.
La sua carne inferiore rifiutava Calapine.
«Sei bellissima, Calapine,» disse Allgood.
«Ma i tuoi occhi non l’ammetteranno mai,» ribatté lei.
«Cosa desideri, Cal?» chiese Nourse. «Vuoi questo… vuoi Max?»
«Voglio i suoi occhi,» replicò Calapine. «Soltanto i suoi occhi.»
Nourse guardò Allgood. «Le donne.» La sua voce aveva un falso tono di cameratismo.
Allgood rimase sbalordito. Non aveva mai sentito un Optimate usare un tono del genere.
«Ho rivolto una domanda molto chiara a Max,» disse Calapine. «Non interrompere le mie parole con queste battute tipicamente maschili. Nel profondo del tuo cuore, Max, quali sentimenti provi verso di me?»
«Ahhh,» commentò Nourse. Annuì.
«Lo dirò io per te,» si offrì Calapine quando Allgood rimase muto. «Tu mi adori. Non dimenticarlo mai, Max. Tu mi adori.» Guardò Boumour e Igan, poi li congedò con un gesto della mano.
Allgood abbassò gli occhi. Sapeva che Calapine aveva ragione. Si girò, e con gli accoliti che li scortavano, condusse Boumour e Igan fuori della sala.
Quando furono sulla scalinata, gli accoliti rimasero indietro, mentre la Barriera si abbassava. Igan e Boumour si girarono verso sinistra, poiché avevano notato un nuovo edificio, in fondo alla lunga spianata di fronte al palazzo dell’Amministrazione. Ne osservarono i muri, le aperture coperte da filtri colorati che proiettavano nell’aria lampi rossi, azzurri e verdi, e si resero conto che quell’edificio bloccava la strada che avevano avuto intenzione di percorrere per lasciare la Centrale. Era stato eretto in pochissimo tempo, rappresentava il nuovo giocattolo di un Optimate. Lo videro, e cambiarono il loro percorso con quella rassegnazione automatica che contraddistingueva i frequentatori abituali della Centrale. I semplici e gli abitanti della Centrale sapevano trovare la strada attraverso l’intrico delle sue strade quasi per istinto. Quel luogo sfidava ogni tentativo dei cartografi di tracciarne una mappa, poiché era soggetto ai continui capricci degli Optimati.
«Igan!»
Era Allgood che li stava chiamando.
Si girarono, attesero che li raggiungesse.
Allgood si fermò di fronte a loro, con le mani sui fianchi. «Anche voi l’adorate?»
«Non dica sciocchezze,» lo rimbeccò Boumour.
«No,» disse Allgood. Aveva gli occhi infossati. «Non pratico alcun culto diffuso tra la Gente, non appartengo a nessuna congregazione di Fertili. Come potrei mai adorarla?»
«Ma è così,» disse Igan.
«Sì!»
«Loro rappresentato l’unica vera religione del nostro mondo,» disse Igan. «Non ha bisogno di far parte di un culto o di possedere un talismano per saperlo. Quel che ha voluto dirle Calapine è che, se esiste davvero una cospirazione, ebbene i suoi membri sono puri e semplici eretici.»
«Era questo che voleva dire?»
«Sicuramente.»
«E Calapine sa bene quale trattamento si è soliti infliggere agli eretici,» rifletté Allgood.
«Senza alcun dubbio,» commentò Boumour.