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Fu colpa del cane. Bentley Price non aveva toccato un goccio dal giorno prima. La strada era una stretta e tortuosa strada di montagna, e Bentley, esasperato fino ai limiti della sopportazione per quello che gli era successo, stava andando troppo veloce. Dopo ore di ricerca, aveva finalmente trovato il campo — non i soliti attendamenti ben curati dell’esercito, ma un semplice bivacco tirato su alla meglio — in un fitto bosco sul limitare di un torrente che scendeva impetuoso dai monti. Spinto dal senso del dovere e dalla perseveranza, si era appeso al collo un paio di macchine fotografiche e si era diretto faticosamente verso la tenda più grande, quando dalla tenda era uscito un colonnello che gli aveva intimato l’alt. Chi diavolo siete e dove pensate di poter andare, gli aveva domandato brusco il colonnello. Bentley gli aveva spiegato di far parte della Global News e di essere arrivato fin lì nella speranza di poter scattare qualche foto della caccia ai mostri, dietro ordine preciso del suo direttore. Al che, il colonnello aveva replicato che quella era zona vietata e che anzi si meravigliava che lui fosse potuto arrivare fin lì. Nessuno aveva cercato di fermarlo per impedirgli di procedere oltre? Certo, un paio di ragazzi lo avevano fermato per dirgli che doveva tornare indietro, ma lui non ci aveva fatto caso. Quando era di servizio, non badava mai a chi cercava di impedirgli di passare.

E allora il colonnello era passato alle maniere brusche. Con voce dura, tono militaresco e sguardo gelido, aveva detto che loro avevano già abbastanza rogne e non sentivano il bisogno di avere tra i piedi un cretino di fotografo in cerca di sensazioni. E se lui non avesse fatto subito dietrofront, lo avrebbe fatto scortare fuori dalla zona. Mentre il colonnello parlava, Price gli aveva scattato una foto, il che aveva — se possibile — peggiorato la situazione. Bentley, con la sua acuta sensibilità, se n’era subito reso conto e aveva dignitosamente battuto in ritirata. Quando aveva di nuovo incontrato i due soldati che avevano invano cercato di fermarlo, quelli si erano messi a ridere e gli avevano fatto marameo. Bentley aveva rallentato, incerto se scendere per cercare di farli ragionare, ma poi ci aveva ripensato. Non ne valeva la pena.

E, adesso, il cane.

La bestiola era schizzata fuori all’improvviso dai cespugli misti a canne che fiancheggiavano la strada. Aveva le orecchie basse, la coda fra le gambe e uggiolava in preda a un panico cieco. Gli si era parato davanti alla macchina a pochi metri, e lui stava andando troppo veloce. D’istinto, Bentley sterzò, la macchina uscì di strada finendo in un cespuglio. Bentley frenò e i pneumatici stridettero. Il muso della vettura sbatté violentemente contro il tronco di un vecchio noce e si fermò dopo un violento scossone. La portiera sinistra si spalancò, e Bentley, che si era sempre rifiutato di adoperare la cintura di sicurezza, venne lanciato fuori. La macchina fotografica che portava appesa al collo con una cinghia descrisse un arco e andò a sbattergli sull’orecchio sinistro con un colpo che gli fece rintronare la testa. Atterrò sulla schiena, rotolò su se stesso, e si mise carponi. Quando riuscì faticosamente ad alzarsi, vide che era finito sul bordo della strada.

E in mezzo alla strada c’era un mostro.

Bentley sapeva che era un mostro, perché il giorno prima ne aveva visti due. Questo era più piccolo, grande circa come un pony. Ma, nonostante le dimensioni ridotte, incuteva ugualmente un indicibile orrore.

Bentley Price, però, era fatto di una pasta diversa della maggioranza degli uomini. Non deglutì a vuoto, non gli si rivoltarono le budella. Le sue mani afferrarono con fermezza e precisione la macchina fotografica e la sollevarano fino agli occhi. Il mostro era inquadrato nel mirino, e lui scattò, ma, contemporaneamente allo scatto, il mostro sparì.

Bentley abbassò la macchina e la lasciò ciondolare sul petto. Aveva ancora la testa rintronata, gli abiti sporchi e strappati e da un sette sui calzoni sporgeva un ginocchio gonfio. Cadendo, aveva strisciato con la destra sulla ghiaia, e ora la mano era tutta un graffio. La macchina, alle sue spalle, mandava a tratti qualche cigolio quando il metallo contorto si assestava. Dal radiatore sfondato usciva l’acqua che sfrigolava a contatto col metallo surriscaldato.

In lontananza, si vedeva ancora il cane che correva con la coda fra le gambe. Uno scoiattolo, su un albero vicino, chiacchierava squittendo veloce come una mitragliatrice. La strada era deserta. Pure, fino a un istante prima c’era stato un mostro. Bentley ne poteva scorgere le impronte nella polvere. Ma era scomparso.

Bentley Price si avviò zoppicando. Arrivato al centro della carreggiata, si guardò intorno. Non c’era nessuno.

“Eppure c’era” disse tra sé Bentley, sicuro del fatto suo. “Quando ho scattato la foto, c’era. Poi è sparito di colpo. Ma c’era o no, quando ho scattato?” si domandò, preso da un improvviso dubbio. L’unico modo per accertarsene era sviluppare la foto.

Si avviò faticosamente, cercando di camminare in fretta nonostante il ginocchio dolorante. Doveva trovare un telefono, doveva procurarsi una macchina e tornare al più presto a Washington.

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