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Il generale Daniel Foote, comandante a Fort Myer, li aspettava insieme a tre uomini nel suo ufficio.

— Non sareste dovuti venire soli — disse a Wilson. — L’ho detto al Presidente, ma non ha voluto darmi retta. Gli ho offerto di mandare una scorta, ma ha rifiutato, dicendo che non voleva attirare l’attenzione sulla vostra auto.

— Il traffico era molto scarso — disse Wilson.

— Viviamo in tempi molto incerti — commentò il generale.

— Generale Foote, posso presentarvi la signorina Alice Gale? È la figlia dell’uomo che si è messo in contatto con noi.

— Felice di fare la vostra conoscenza, signorina Gale — disse il generale. — Questi tre signori mi hanno detto di vostro padre. Signor Black, sono lieto di rivedervi.

— Grazie, generale.

— Signori, vorrei avere l’onore di presentarvi il dottor Hardwick, uno dei nostri più eminenti scienziati — disse Alice indicando uno dei tre uomini in piedi accanto al generale. — Il dottor Hardwick è l’Einstein del nostro tempo. Dottor Hardwick, il signor Wilson e il signor Black.

L’uomo alto e goffo come un grosso orso le sorrise. — Non mi dovete adulare, cara — disse. — Poi pretenderanno troppo da me. Signori, sono felice di essere qui con voi. È ora che cerchiamo di far fronte a una situazione che per voi è certo incresciosa. Sono lieto che abbiate saputo reagire con tanta prontezza e in modo positivo. Il vostro Presidente dev’essere un uomo fuori del comune.

— È quello che pensiamo anche noi — disse Wilson.

— Il dottor William Cummings — riprese Alice, continuando le presentazioni. — Il dottor Hardwick era un nostro concittadino, mentre il dottor Cummings viene dalla zona di Denver. Mio padre e altri hanno pensato che dovesse esser presente anche lui, quando il dottor Hardwick si incontrerà con i vostri scienziati.

Cummings pareva un ragnetto: piccolo, sottile, calvo, con una faccia grinzosa da gnomo.

— Sono felice di essere qui. Tutti siamo felici — dichiarò. — E non posso fare a meno di esprimervi il nostro dispiacere per quello che è successo al tunnel.

— E infine — proseguì Alice — il dottor Abner Osborne. È un vecchio amico di famiglia.

Osborne le circondò le spalle con un braccio e l’attirò a sé. — Questi signori — disse indicando i colleghi — sono due eminenti fisici. Io sono solo un povero geologo. Dimmi, cara, come sta tuo padre? L’ho cercato, appena arrivati, ma non sono riuscito a trovarlo.

Il generale fece cenno a Wilson di avvicinarsi e gli chiese a bassa voce se c’erano notizie del mostro.

— Non ne abbiamo più saputo niente. Pensiamo che si sia diretto verso le montagne.

— Credo che abbiate ragione — assentì il generale. — Abbiamo ricevuto dei rapporti… o meglio, delle voci da Harpers Ferry, Strasburg, Luray… ma è impossibile. Sono località troppo lontane. Non esistono animali capaci di muoversi così in fretta. Siete davvero sicuro che fosse uno di quei mostri?

— Dovreste saperlo meglio di me — asserì brusco Wilson. — C’erano dei vostri soldati, sul posto. Dal rapporto risulta che uno dei mostri è rimasto ucciso e che un altro è fuggito.

— Sì, lo so — ribatté il generale. — Stanno portando qui la carcassa di quello morto.

Wilson giudicò che il generale doveva essere sconvolto e nervoso. Che fosse al corrente di qualche particolare sconosciuto alla Casa Bianca?

— State cercando di dirmi qualcosa, generale? — domandò.

— Oh, no, vi pare?

Ma Wilson non era persuaso. Quel bastardo doveva tenersi per sé qualcosa di cui avrebbe poi fatto argomento di conversazione coi colleghi al club.

— Sarà meglio che partiamo — si limitò a dire.

Risalirono in auto, Black prese posto accanto all’autista, Wilson e Osborne sugli strapuntini.

— Vi parrà strano che un geologo faccia parte del gruppo — disse Osborne.

— Infatti me l’ero chiesto — ammise Wilson. — Non che non siate il benvenuto.

— Si pensava che avreste fatto delle domande sul Miocene.

— Cioè, volete dire, sul fatto che voi avete intenzione di andarci? E, soprattutto, perché ci avete esortato a tornare anche noi nella preistoria?

— Sarebbe un modo di risolvere il problema.

— Perché? Siete sicuri che molti mostri riusciranno a seguirvi qui? Che saremo costretti ad abbandonare la Terra anche noi?

— Oh, no di certo — rispose il geologo. — Speravamo che nessun mostro riuscisse a seguirci, con tutte le precauzioni che abbiamo preso. Anzi, non riesco a immaginare come sia potuto accadere, e non credo che la fuga di un mostro solo…

— Non credete, ma non ne avete la certezza.

— Infatti. Sono creature molto abili e intelligenti. I nostri biologi potrebbero spiegarvelo meglio.

— E allora perché ritenete che anche noi si debba tornare nel Miocene?

— Perché siete pericolosamente vicini a un punto di rottura — disse Osborne. — I nostri storici potrebbero spiegarvelo meglio di me, ma ci sono tutti i sintomi. Oh, so bene che ora vi trovate su un piano temporale diverso e che perciò seguirete una strada diversa dalla nostra, ma credo che il cambiamento sia sopravvenuto troppo tardi.

— State certo alludendo al nostro collasso economico e sociale. Alice ci ha detto che alla vostra epoca Washington non esiste. Immagino che siano scomparse anche New York, Chicago, e le altre città più importanti.

— Ormai avete rotto l’equilibrio e credo che sia troppo tardi per correre ai ripari — disse Osborne. — La vostra economia basata sullo sperpero sta per arrivare alla bancarotta e le differenze sociali si approfondiscono ogni giorno di più. Inoltre…

— E credete che tornare nel Miocene costituirebbe un rimedio?

— Sarebbe un nuovo punto di partenza.

— Io non ne sono tanto sicuro — osservò Wilson.

— Posso accendere la radio? — domandò Black dal sedile anteriore. — Dev’essere già cominciato il discorso del Presidente.

Senza aspettare risposta, accese la radio. Il Presidente stava parlando: — …poco che vi posso dire. Perciò non vi tratterrò a lungo. Stiamo ancora vagliando i fatti e vi renderei un cattivo servizio se vi dicessi qualcosa di più o di meno dei fatti stessi. Ma voglio prima di tutto assicurarvi che il governo vi terrà informati. Appena sapremo qualcosa di sicuro ve lo diremo.

“Per ora, quello che sappiamo è questo: nel futuro, a circa cinquecento anni dalla nostra epoca, i nostri discendenti sono stati assaliti da invasori provenienti dallo spazio. Sono riusciti a tenerli a bada per una ventina d’anni, ma poi purtroppo si sono resi conto che la partita era perduta. Dovevano abbandonare la Terra, Ma dove potevano andare? Per fortuna in quegli anni era stato scoperto il modo di viaggiare a ritroso attraverso il tempo, ed ecco perché sono venuti a rifugiarsi da noi. Ma non hanno intenzione di fermarsi. Appena possibile, ci lasceranno per andare ancora molto più indietro nel passato. Per riuscirci, però, hanno bisogno del nostro aiuto. Dovremo costruire i tunnel temporali, e rifornirli delle materie prime necessarie a iniziare la loro nuova vita. Per motivi economici che ognuno comprenderà, non possiamo rifiutarci di aiutarli. E non solo noi, ma anche il resto del mondo. Non dimentichiamoci che sono figli dei nostri figli, costretti ad abbandonare tutto quello che avevano sotto la spinta di tragici avvenimenti in cui loro non hanno la minima parte di colpa. Resta poi da vedere in che modo potremo aiutarli. Ci si presentano molti e gravi problemi, ma dovremo risolverli, per il loro, e per il nostro bene. E non si può indugiare, ma dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci subito e volonterosamente all’opera. Sono quindi costretto a chiedervi tutta la devozione e il senso di sacrificio di cui siete capaci. In seguito vi illustrerò i particolari dei problemi di cui vi ho accennato, ma ora me ne manca il tempo, non solo, ma gli avvenimenti sono ancora in corso e i progetti sono allo stadio di abbozzo.”

La voce era calma, fiduciosa, sicura, senza traccia di disperazione, sebbene Wilson fosse certo che il Presidente si trovava in uno stato d’animo ben diverso. Ma era un consumato uomo politico e sapeva dominarsi in modo da poter infondere fiducia nei suoi ascoltatori.

— Ormai — stava proseguendo il Presidente — voi tutti saprete che due di quegli esseri venuti dallo spazio sono riusciti a eludere la pur efficiente sorveglianza posta dai nostri discendenti all’ingresso dei tunnel, e ad arrivare in Virginia. Uno è stato subito ucciso, mentre l’altro è riuscito a fuggire. Vi confesso onestamente che al momento attuale ignoriamo dove si sia nascosto. Stiamo facendo di tutto per scovarlo e distruggerlo, ed è probabile che ci riusciremo in breve tempo. Intanto vi esorto a non lasciarvi prendere dal panico. Il fatto che uno degli invasori sia a piede libero sulla Terra non costituisce che uno dei nostri problemi, e non il maggiore. Ma, grazie alla vostra collaborazione, riusciremo a risolverli tutti.

Tacque, e Wilson si chiese se avesse finito, ma il Presidente continuò: — Devo aggiungere una cosa non piacevole, ma che, ne sono certo, voi vi renderete conto che deve essere fatta, che è il minimo che si possa fare. Vi renderete conto, spero, che è necessaria per il bene di tutti noi. Pochi minuti fa ho firmato un decreto che, tenendo conto dello stato di emergenza in cui ci troviamo, ordina la chiusura delle banche e delle borse a tempo indeterminato. Questo significa che fino a nuovo ordine tutte le operazioni finanziarie sono sospese. Tutti i prezzi, salari e paghe verranno congelati. Naturalmente è una situazione che non durerà a lungo, ve lo prometto. Il decreto verrà revocato non appena il Congresso e i diversi Ministeri avranno promulgato le leggi che regoleranno le restrizioni e le norme necessarie nella situazione in cui ci siamo venuti a trovare. Spero che vorrete sopportare di buon grado i sacrifici che vi sono imposti e condividerli con noi. Le decisioni che sono stato costretto a prendere sono gravi e penose, ma necessarie.

Wilson lasciò andare lentamente il respiro, rendendosi conto solo allora di averlo trattenuto a lungo.

Sapeva che si sarebbe scatenato un putiferio. La stampa e l’opinione pubblica avrebbero reagito con estrema violenza… Accidenti, pensò Wilson, perché non ci hai avvertito? Adesso quando dirò che non ne sapevo niente, non mi crederanno.

Ma si trattava di un passo talmente logico, che tutti — lui compreso — avrebbero dovuto pensarci. Si chiese se il Presidente si fosse consultato con qualcuno in proposito, ma era probabile di no. C’era stato pochissimo tempo, e aveva avuto molte altre cose da fare.

Intanto, il Presidente stava accomiatandosi dagli ascoltatori. — Buona notte, signor Presidente — disse Wilson, e si meravigliò che gli altri lo guardassero in modo strano.

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