Prologo

Era il far della sera, quando la dea Shar soleva coprire il cielo col suo grande mantello di oscurità purpurea e di stelle scintillanti. Il giorno era stato fresco, e la notte prometteva d’essere serena e fredda. Le ultime luci rossastre baluginavano sui lunghi capelli di un cavaliere solitario proveniente da ovest, e la sua ombra lunga lo precedeva.

Si trattava di una donna e, mentre cavalcava, osservava il calar della notte. I suoi limpidi occhi neri erano grandi e incorniciati da sopracciglia arcuate – potere austero e intelligenza acuta contrapposti a una bellezza pudica. A causa del potere o della bellezza, la maggior parte degli uomini non guardava oltre le trecce color miele che incorniciavano il suo viso sveglio e diafano, e persino le regine bramavano la sua bellezza – di certo almeno una lo aveva fatto. Tuttavia, mentre cavalcava, i suoi grandi occhi non rivelavano orgoglio, ma solo tristezza. A primavera incendi selvaggi avevano devastato quelle terre, lasciando dietro di sé moltissimi alberi spogli e carbonizzati al posto del bosco lussureggiante che lei ricordava. Ora, quei vividi ricordi erano tutto ciò che rimaneva della Foresta di Halangorn.

Mentre calava la notte sulla strada polverosa, si udì l’ululato distante di un lupo provenire da nord, subito seguito da uno più vicino, ma il cavaliere solitario non dimostrò alcuna paura. La sua calma avrebbe stupito i temerari che osavano percorrere quella strada solo con grandi scorte armate – e la loro meraviglia non sarebbe finita lì. La donna cavalcava con disinvoltura e il lungo mantello svolazzava intorno a lei, ostacolando di tanto in tanto il braccio che, in caso di pericolo, avrebbe dovuto brandire la spada. Solo uno sciocco avrebbe permesso un fatto simile – ma la signora alta e snella percorreva quella via pericolosa senza nemmeno una spada al fianco. Qualsiasi gruppo di cavalieri l’avrebbe considerata una pazza o una strega e avrebbe impugnato la spada. Non certamente a torto.

Quella donna era Mirjala «Occhiscuri», come annunciava il sigillo argenteo del suo mantello. Mirjala era temuta per i suoi modi selvaggi, come pure per la potenza della sua magia; eppure, malgrado tutti ne avessero soggezione, erano molti gli abitanti di città e campagne che l’amavano. Ciò non valeva però per gli arroganti signori dei castelli: sapevano che si era scagliata contro baroni crudeli e cavalieri saccheggiatori come un turbine vendicatore, lasciando corpi ardenti nell’oscurità a mo’ di ammonimento per gli altri. In alcuni luoghi la sua presenza era addirittura molto sgradita. Quando l’oscurità della notte avvolse la strada, Myrjala fece rallentare il cavallo, si girò sulla sella, e si tolse il mantello. Pronunciò una parola a bassa voce e la stoffa si contorse tra le sue mani, e da verde scuro divenne rossastra, mentre il sigillo d’argento strisciò e si contorse come un serpente arrabbiato, mutandosi in un paio di trombe d’oro intrecciate.

La trasformazione però non era finita. I lunghi riccioli della donna si scurirono e si accorciarono fino alle spalle, spalle divenute improvvisamente vive, che si allargarono diventando muscolose. Le mani con cui Myrjala si riavvolse nel mantello erano diventate pelose e le dita tozze. Con esse estrasse una spada inguainata da un fardello dietro la sella, e se la mise alla cintola. Armato in tal modo, l’uomo a cavallo sistemò il mantello in modo che lo stemma da messaggero, appena formatosi, risultasse bene in vista. Udì nuovamente l’ululato del lupo, ora più vicino, e tranquillamente spronò il cavallo al trotto, oltre un’ultima collina. Più avanti si ergeva un castello dove quella notte avrebbe cenato una spia, una spia dei maghi malvagi che meditavano di impadronirsi della Corona del Cervo di Athalantar, un regno situato a est, non lontano da quella terra. Il messaggero si accarezzò la barba elegante e incitò il cavallo a procedere. Le streghe sarebbero state accolte con frecce e spade, ma un araldo era sempre il benvenuto. La magia rimaneva, in ogni caso, l’arma migliore contro una spia dei maghi.

Le guardie stavano accendendo le torce sopra i cancelli, quando videro il messaggero a cavallo sopra il ponte levatoio di legno. Riconobbero il sigillo del mantello e del tabarro e lo salutarono cortesemente. Si udì il rintocco di una campana e il cavaliere di guardia lo pregò di affrettarsi per il banchetto serale.

«Siate il benvenuto nel Castello di Morlin, se venite in pace».

L’araldo chinò il capo e assentì silenziosamente.

«La strada da Tavaray è molto lunga, Signore, sarete certo affamato», aggiunse il cavaliere in tono meno formale mentre lo aiutava a scendere da cavallo. L’araldo fece qualche passo lento, con le gambe irrigidite dalla lunga cavalcata, e sorrise lievemente.

Due occhi sorprendentemente scuri si alzarono a incontrare quelli del cavaliere. «Oh, vengo da molto più lontano», rispose il messaggero, poi accennò un saluto di congedo, ed entrò a grandi passi nel castello. Il suo incedere denotava una certa familiarità con l’edificio e con le procedure di benvenuto.

Il cavaliere lo osservò allontanarsi, un’espressione perplessa sul volto. Una delle guardie vicine si protese e mormorò: «Niente speroni… e nemmeno scudieri o guardie. Strano messaggero…»

Il cavaliere al cancello scrollò le spalle. «Se li ha persi per strada o se ha da raccontare storie interessanti, lo sapremo presto. Bada al suo cavallo». Si voltò e, con sua grande sorpresa, vide che il destriero era accanto a lui e lo stava guardando, proprio come se stesse ascoltando i loro discorsi. L’animale annuì e avanzò di mezzo passo per porgere delicatamente le redini al soldato. I due uomini si scambiarono occhiate interrogative, poi il soldato lo condusse via.

Il cavaliere li osservò per un momento, poi si strinse nelle spalle e tornò a grandi passi all’entrata del castello. Qualunque cosa fosse accaduta, più tardi ci sarebbe stato da ridire sulle sentinelle. Nell’oscurità vicina, un lupo ululò nuovamente. Uno dei cavalli sbuffò e scalpitò nervosamente.

In quel momento una finestra soprastante si illuminò improvvisamente, magicamente, e la battaglia ebbe inizio. Sembrò essersi scatenato il finimondo: piatti infranti e tavoli rovesciati, urla di cameriere e infuriare di fiamme. E un momento dopo, a quei rumori si unirono le grida dei cavalieri nel cortile sottostante.

Non esisteva nessun messaggero e, a giudicare dal rumore, nonché dall’odore, anche gli altri all’interno del castello non erano ciò che apparivano. Il cavaliere digrignò i denti e brandì la spada. Se Morlin fosse finito in mano a quei dannati maghi, la prossima a cadere sarebbe stata probabilmente la Corona del Cervo. E se tutto Athalantar fosse passato sotto il loro dominio, ci sarebbero stati molti anni di malvagità e di tirannia, e rovina e miseria sarebbero state il futuro del regno… Chi mai avrebbe potuto opporsi ai signori maghi?

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