14

Breton si era dimenticato che esistessero i giorni della settimana. Aprendo gli occhi a un sole burroso, si stupì nel rendersi immediatamente conto che era sabato. Indugiò nel letto, tra la veglia e il sonno, pensando al significato recondito di quella sua conoscenza “a priori".

Fra le quattro principali suddivisioni del tempo, e cioè giorno, settimana, mese e anno, la settimana era la sola inventata dall’uomo. Tutte le altre si basavano su ricorrenti fenomeni astronomici, ma la settimana era una misura umana, la distanza fra i giorni di mercato. Un animale attento, svegliato bruscamente dal sonno, poteva conoscere la posizione del sole, la fase della luna, o la stagione… ma avrebbe intuito che era sabato? No, a meno che il suo subcosciente non possedesse un orologio che segnava i sette giorni, o che avesse captato la diversità, nei rumori del traffico che arrivavano attraverso la finestra socchiusa…

Breton si svegliò del tutto. Chissà come aveva passato la notte John… ma scacciò subito questo pensiero. La sera prima era stato costretto da Kate a recitare la parte del gentile e ragionevole amico di famiglia, ma era stato uno sbaglio non consumare subito il suo nuovo “matrimonio". Così Kate aveva modo di rimuginare sui suoi pensieri e di riflettere freddamente lontana dalla forza della passione. L’unione sessuale invece era molto importante perché l’avrebbe costretta a valutare le cose secondo un diverso metro di giudizio. Non avrebbe più potuto permettersi di percorrere col pensiero certe strade, che Breton voleva sbarrare al più presto possibile.

Jack si alzò e andò ad aprire la porta. Il ronzio disuguale dell’aspirapolvere gli rivelò che Kate si era già alzata. Si lavò, si rase e si vestì più in fretta che poteva e scese dabbasso. Il ronzio dell’aspirapolvere era cessato, ma si sentivano dei rumori in cucina. Dopo aver sostato un momento dietro la porta, per ripassare la tattica che intendeva seguire, Jack entrò in cucina.

— Oh, il signor Breton — lo salutò una donnina dai capelli azzurri. — Buongiorno, signor Breton.

Jack la guardò stupefatto. Quella strana donna stava bevendo il caffè insieme a Kate, seduta al tavolo. Era sulla sessantina, aveva le labbra cariche di rossetto e una lente degli occhiali incrinata.

— La signora Fitz è venuta a vedere come ce la caviamo senza di lei — spiegò Kate. — E quando ha visto il disordine che c’era in giro, ha insistito per dare una ripulita. Mi ha fatto la predica perché ti trascuro.

— Molto gentile da parte vostra, signora Fitz — borbottò Breton. La donna tuttofare! Accidenti a lei, se l’era completamente dimenticata. La signora Fitz lo guardava con aperta curiosità, mentre lui girava intorno al tavolo per andare a sedersi.

— Il signor Breton è dimagrito — osservò, rivolgendosi a Kate, come se lui non fosse presente. — È giù… E questo mi pare che tagli la testa al toro. Neanche più un giorno senza di me!

— Devo confessare che, senza di voi, le cose non sono andate molto bene — disse Kate. — John non apprezza la mia cucina.

— Quante stupidaggini! — disse lui, lanciandole uno sguardo disperato, e cercando di mascherare la sua collera. — Sai benissimo che apprezzo i tuoi manicaretti. Non mi pare il caso di privare per questo la signora Fitz della sua libertà!

— Ma sentitelo! — esclamò la signora Fitz, mettendo in mostra una dentatura incredibilmente bianca. — Come se avessi di meglio da fare!

— Come sta vostra nipote? — le chiese con calore Kate. — Ha avuto il bambino?

— Non ancora.

La signora Fitz si alzò per servire la colazione a Breton. Lui mangiò in silenzio, mentre l’anziana donna continuava a riversare un torrente di parole, interrotto di tanto in tanto da un commento di Kate. Si domandò se Kate faceva apposta a dar esca alla governante con il suo atteggiamento; lui comunque non ne poteva più, appena finito di mangiare si alzò e andò in soggiorno, a fingere di leggere qualche rivista.

Dopo aver rigovernato in cucina, la signora Fitz rimise in moto l’aspirapolvere e fece il giro di tutta la casa. Breton era talmente nervoso e irritato che, a volte, aveva l’impressione di vederla in due stanze contemporaneamente. Kate continuava a farla chiacchierare, ed entrò nel soggiorno solo una volta, per portare un vaso di fiori.

— Per l’amor del cielo, liberati da quella donna — disse lui. — Devo parlarti.

— Ho tentato… ma la signora Fitz è fatta a modo suo.

Kate pareva sincera, e Breton cercò di rilassarsi. La mattinata si trascinò lentamente, e, con grande disappunto di Jack, la signora Fitz rimase a preparare il pranzo. Dopo mangiato, impiegò un sacco di tempo a mettere in ordine la cucina, e poi ricominciò a girare con l’aspirapolvere. Breton stentava a credere alle proprie orecchie. Gettò via la rivista che aveva in mano e si precipitò di sopra, seguendo la direzione del ronzio. Kate stava sulla soglia della camera da letto, e fumava una sigaretta, parlando con la signora Fitz, che riordinava la camera.

— Cosa state facendo adesso? — domandò Breton. — I pavimenti non si saranno sporcati di nuovo, da stamattina!

Kate lasciò cadere il mozzicone in un portacenere di cristallo che teneva in mano. — Le tende. Alla signora Fitz piace spolverare le tende, il sabato.

Breton fece per allontanarsi, quando capì che Kate, ormai matura ed esperta nelle sue mosse, lo stava manipolando con tutta calma, sottoponendolo a una specie di “super-judo", che trasformava in debolezza la sua forza. E lui si lasciava soggiogare, benché l’unico asso di cui lei disponesse fosse quello che lui le aveva raccontato. Ma, per quel che ne sapeva lei, era un asso inutilizzabile. Non poteva andare dalla signora Fitz o da qualcun altro a dire che l’uomo con cui viveva non era il suo vero marito, ma un doppione emerso da un’altra corrente temporale. Non poteva farlo, se non voleva essere giudicata pazza.

— Signora Fitz — disse Jack scostando Kate ed entrando nella stanza. — Adesso potete andarvene a casa.

— Benedetto, ma io non ho nessuna premura!

Gli rivolse un ampio sorriso in cui era sottinteso che lei era una povera vedova e che faceva del suo meglio per tirare a campare. Breton staccò dalla presa di corrente il cavo dell’aspirapolvere, e glielo porse.

— Ma io insisto. — Sorrideva, scortandola verso la porta. — Voglio che vi riposiate per benino, e arriviate qui fresca lunedì mattina. Ed ecco qua dieci dollari come regalo, per essere stata tanto premurosa. Contenta?

Breton le diede una delle banconote prese a John, poi accompagnò la signora Fitz al pianterreno, l’aiutò a infilarsi il cappotto, la scortò fino alla porta. La donna continuava ad aprire e chiudere per la sorpresa le labbra rossissime e gettava di tanto in tanto un’occhiata a Kate; comunque non disse niente e si allontanò con aria sbalordita. Breton la salutò agitando la mano.

— Questo è il colmo! — esclamò Kate, che era scesa dietro di lui.

— La prossima volta sarò gentilissimo con lei — rispose Breton, attirandola a sé. Kate non fece resistenza, e lui la baciò. Il tocco delle labbra di lei era lieve, ma sufficiente a dargli ristoro, a spazzare le ragnatele del dubbio che avavano incominciato ad avvolgere i suoi pensieri dal giorno prima…

— Sono preoccupata per John — disse Kate.

— Non vedo perché. Se n’è andato di sua spontanea volontà. Ti ha piantato senza pensarci sopra due volte. Perché dovresti essere preoccupata per lui?

— Perché non è il tipo da agire così. Non ha reagito in modo normale.

— Era stanco del matrimonio, e ha dato un taglio netto. Tanti la troverebbero una reazione normalissima.

Kate lo fissò negli occhi. — No, non è da lui agire così.

— Come fai a esserne tanto sicura?

— John non sarebbe mai fuggito, lasciando tutto per aria… Avrebbe sistemato prima le cose… No, non è normale.

— Però l’ha fatto.

— Appunto per questo dico che la sua non è stata una reazione normale.

La ripetizione della frase infastidì Breton. Ebbe l’impressione che nella mente di Kate ci fosse qualcosa che non funzionava a dovere.

— Non continuare a ripetere le stesse cose, Kate. Non provano niente.

Lei si sciolse dall’abbraccio. — E i quattrini?

— Quattrini? Ah, vuoi dire se John… Be’, immagino che se ne sia portati via un bel po’.

— E come può averlo fatto? Non può certo averli presi dal nostro conto in comune, perché non mi ha chiesto di controfirmare nessun assegno. E non ha avuto il tempo necessario per ritirare nessuna grossa somma dal capitale dell’azienda.

— Non sapevo che tu fossi diventata un mago della finanza — cercò di scherzare Breton.

— Oh, quanto a questo ho anche imparato ad allacciarmi le scarpe da sola, non lo sapevi? — Kate parlava con un’asprezza che sgomentò Breton. “Nove anni” pensò, rendendosene improvvisamente conto “sono lunghi…”

— John può ritirare tutto quel che vuole, basta che entri in una banca. Vedrai che uno di questi giorni riceveremo una lettera da lui…

— Per chiederci di finanziarlo?


Breton non sapeva quando l’incubo avesse avuto inizio, ma sapeva di viverci in mezzo. “Kate” supplicò in silenzio. “Perché non puoi essere come ti vorrei?”

Lei si aggirava inquieta per la casa, prendendo un oggetto dopo l’altro, per rimetterlo poi subito a posto. Breton la seguì per un po’, con la speranza che potesse ricrearsi l’atmosfera di quell’unico pomeriggio dai colori veneziani, ma Kate rifiutò di parlare d’altro se non di John: dei motivi che potevano averlo indotto a lasciarla senza una parola, della sua probabile destinazione, dei suoi progetti per il futuro. Breton era disperato. Sentiva che avrebbe dovuto aver la forza di fronteggiare Kate e di dominarla con l’intensità del suo amore, come sembrava che fosse successo la sera del suo arrivo… Ma forse gli era riuscito soltanto perché aveva colto di sorpresa una donna stanca, sola e piena di fantasia.

Breton uscì in giardino. Rimase sorpreso nel constatare che il sole era appena tramontato. Ogni minuto di quella giornata era stato eterno, ma le ore erano passate in fretta. L’aria andava raffreddandosi, e i colori della notte stavano già lentamente tingendo il cielo a oriente, dove le stelle cadenti segnavano un rapido solco luminoso e sparivano. Come già gli era capitato la sera prima, guardandole provò un vago senso di allarme. Il pensiero di trascorrere un’altra notte, solo sotto quel cielo malato, era superiore alle sue forze.

Si affrettò a rientrare in casa e sbatté la porta. Kate era alla finestra del soggiorno, al buio, e guardava gli alberi colorati di ottobre.

Lui le si avvicinò, la strinse alle spalle, e affondò la faccia nei suoi capelli.

— Kate — disse, disperato. — Parliamo troppo. Abbiamo tanto bisogno l’uno dell’altra, e non facciamo che parlare.

Kate s’irrigidì. — Per piacere, lasciami in pace.

— Ma, Kate… — La costrinse a voltarsi verso di lui.

— Voglio che tu mi lasci in pace!

— Ma… non ricordi quel pomeriggio…?

— Adesso è diverso! — E si scostò bruscamente.

— Perché? Perché non c’è la probabilità che John ci sorprenda? È questo che ti fa sembrare meno piccante la…

Kate lo colpì sulla bocca. Quasi nello stesso momento lui restituì lo schiaffo e sentì i denti di lei contro le nocche.

— Questo sistema ogni cosa — disse Kate. — Vattene. Lascia subito questa casa.

— Non capisci — mormorò lui, sentendosi raggelare. — Questa è casa mia, e tu sei mia moglie.

— Ho capito.

Kate corse fuori dalla stanza. Breton rimase immobile, fissando incredulo la mano, finché, attraverso il soffitto, non sentì il rumore di cassetti che si aprivano e si chiudevano. Salì di corsa in camera, e trovò Kate intenta a riempire una valigia.

— Cosa fai?

— Me ne vado dalla “tua” casa.

— Non ce n’è bisogno.

— Credi?

— No… siamo tutti e due in preda a una forte tensione. Io non…

— Me ne vado! — Kate chiuse la valigia, facendo sbattere il coperchio. — E tu non cercare d’impedirmelo.

— No. — La mente di Breton cominciava a riprendersi dalla paralisi, ad analizzare i suoi errori. Il principale era stato quello di considerare Kate alla stregua di un frutto maturo, che gli sarebbe caduto in mano non appena lui avesse scosso l’albero maritale. — Non so come scusarmi per…

— Avermi picchiato? Non preoccuparti, dopo tutto ti ho picchiato io per prima.

— Non mi lasciare, Kate. Non succederà mai più.

— Vorrei ben vedere! — esclamò lei in tono di sfida. Poi si voltò a guardarlo, quasi sorridente. — Mi prometti una cosa?

— Qualunque cosa vuoi.

— Se John si fa vivo, digli che ho bisogno di parlargli. Sarò su, al lago Pasco.

Breton si sentì mancare. — Dove? Al capanno da pesca?

— Sì.

— Non puoi andarci.

— E perché?

— È… è troppo isolato in questa stagione.

— A volte, preferisco stare sola… È così ora.

— Ma… — Breton annaspava disperato senza riuscire a trovare una scusa valida. — Puoi restare in città. Andare in albergo.

— Mi piace il lago. Per piacere, scostati. — Kate prese la valigia.

— Kate!

Breton sollevò le mani, quasi a formare una barriera, continuando a scervellarsi per trovare qualcosa da dire. Kate avanzò fino quasi a sfiorare quelle mani, poi, improvvisamente, impallidì. Lui la fissava affascinato, leggendo nella sua faccia la conclusione a cui era giunta per intuito.

— Il capanno — mormorò Kate. — John è al capanno.

— Ma è ridicolo.

— Che cosa gli hai fatto? Perché non vuoi che ci vada?

— Kate, dammi retta… non sai quel che dici.

Lei annuì, calma, depose la valigia davanti a lui, e fece per sorpassarlo. Breton l’afferrò per un braccio, e la costrinse a sedere sul letto. Kate si mise a graffiarlo e a scalciare. Mentre cercava di ridurla alla ragione, Jack riuscì finalmente a formulare la menzogna con cui sarebbe forse riuscito a salvare la situazione.

— D’accordo, Kate, hai vinto — ansimò, mentre lei continuava a guizzare e a contorcersi sotto di lui. — Hai vinto. Ti dirò tutto.

— Cos’hai fatto a John?

— Niente. Gli ho dato il mio cronomotore, ecco tutto. È andato al capanno per imparare a usarlo, in modo da poter andare a prendere il mio posto nel Tempo A. L’idea è stata sua. Gli è parso il modo migliore per risolvere la situazione.

— Io ci vado lo stesso! — Kate non si dava per vinta, e per poco non lo fece cadere.

— Mi spiace, Kate… ma non puoi, finché non sarò sicuro che John sia partito.

Anche in quel momento critico, Breton si rendeva conto di quanto fosse debole la sua scusa, ma gli offriva la scappatoia di cui aveva bisogno. Una volta che John fosse morto e atomizzato, nessuno al mondo avrebbe prestato fede a Kate se lo avesse accusato di assassinio. E, intanto, lui avrebbe potuto sopire tutti i sospetti di lei. La certezza nel suo destino, covata per nove anni d’angoscia, si ridestò viva in lui, spazzando via i dubbi sorti in quegli ultimi giorni. Lui aveva creato l’universo del Tempo B, lui aveva creato Kate… e li stringeva ancora in pugno. Per raggiungere lo scopo, gli ci sarebbe voluto un po’ più di tempo del previsto, ecco tutto…

Sollevò la testa un momento dopo la lotta con Kate, e si guardò intorno. La porta di un armadio a muro era rimasta aperta, da quando lei aveva tirato fuori gli abiti. Breton trascinò Kate giù dal letto, la spinse nel vano e richiuse le ante scorrevoli. Dopo averci ripensato, tirò fuori di tasca la lenza e ne avvolse un tratto intorno alle maniglie, trasformando così l’armadio a muro in prigione.

Ansimando pesantemente, e tamponandosi col fazzoletto la faccia graffiata, scese poi di corsa in giardino e montò in macchina. Aveva ancora una cosa da fare, quel giorno.

Una cosa relativamente semplice: proiettare John Breton non nel Tempo A, ma nell’eternità.

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