3

Lo spazio aveva vari modi per punire quelli che vi si avventuravano.

Il pericolo fisico era sempre presente, come una minaccia ripetuta continuamente, eppure non era l’ambiente a preoccupare maggiormente viaggiatori. Lo spazio era ostile alla vita umana, ma era molto più disposto a perdonare gli errori di altri ambienti, come per esempio le profondità dell’oceano, in cui gli uomini avevano imparato a lavorare e a vivere con tranquillità quasi assoluta. La sua arma più potente era, semplicemente, la grandezza.

Non bastava andare sulla cima di una collina, in una notte senza luna, a scrutare il cielo per essere preparati alla realtà di un viaggio spaziale: un osservatore terrestre vedeva solo le stelle, non quello che le separava. Esse risplendevano, riempiendogli gli occhi, e lui non aveva altra scelta che assegnare loro una posizione importante nello schema cosmico. Chi viaggiava nello spazio vedeva le cose in modo diverso. Si rendeva conto che l’universo consisteva soprattutto di vuoto, che i soli e le nebule erano cose quasi irrilevanti, che le stelle erano poco più di uno sbuffo di vapore che si spandeva nell’infinito. E prima o poi quella consapevolezza cominciava a essere dolorosa.

Si verificavano raramente casi di psicosi, fra i membri del Servizio Cartografico (a quello ci pensava la selezione preliminare), e non capitava spesso che i piloti dei moduli di esplorazione si lasciassero andare a considerazioni filosofiche sul significato della loro esistenza, ma la tensione imposta da quella vita pesava lo stesso su di loro. La solitudine e la nostalgia erano le loro malattie professionali. Il Servizio esplorava solo mondi disabitati, e ben presto gli equipaggi non ne potevano più di vedere deserti, distese rocciose e tundre, e giungevano al punto di pregare che succedesse qualcosa di imprevisto, anche se questo doveva comportare difficoltà e pericoli. Ma gli incidenti erano così rari che un semplice guasto meccanico offriva loro materiale di conversazione per parecchi mesi.

Non c’era quindi da stupirsi se gli uomini, finiti i due anni previsti dal contratto, restavano solo un altro anno per provare a se stessi e agli amici che avrebbero potuto continuare finché volevano, intascavano la liquidazione e si dedicavano a lavori che permettessero loro di restarsene a casa.

Alcuni, come Dave Surgenor, riuscivano a restare nel Servizio, malgrado i rischi emotivi e intellettuali. La Sarafand, come molte altre navi, aveva un gruppo di veterani il cui compito era quello di accompagnare i membri meno esperti sui moduli e di assisterli durante il loro tirocinio. Inoltre svolgevano un servizio preziosissimo, anche se privo di riconoscimento ufficiale: quello di creare una identità stabile di gruppo nella quale i nuovi membri potessero inserirsi. Surgenor aveva visto dozzine di uomini (e una volta anche una donna) andare e venire, e col passare degli anni aveva sviluppato un atteggiamento da zio burbero di fronte ai loro problemi di adattamento. Anche se qualche volta si lamentava per l’imprudenza dei novizi, doveva ammettere che la loro presenza aiutava ad alleviare la monotonia della vita di bordo.

Era passato un anno dall’incontro con l’Uomo Grigio su Prila I, un anno di monotone esplorazioni, e durante quel periodo c’erano stati due cambiamenti nell’equipaggio. Un uomo aveva lasciato il servizio, un altro si era trasferito su una nave più moderna, della Classe Otto, ed entrambi erano stati sostituiti da nuove reclute. Surgenor aveva osservato i nuovi arrivati con un certo interesse, ed era giunto alla conclusione che il più simpatico dei due era quello che probabilmente se ne sarebbe andato per primo. Bernie Hilliard era un giovane chiacchierone che amava stuzzicare con sue idee le convinzioni coriacee di Surgenor. L’ora di colazione, che lo vedeva fresco e riposato dopo una notte di sonno, era il suo momento preferito per le schermaglie verbali.

— Dave — disse una mattina — ti rendi conto che ieri sera io ero a casa? Con mia moglie? Proprio così!

Mentre parlava Hilliard chinò la testa sul tavolo, con un’espressione da bambino e gli occhi blu che imploravano Surgenor di accettare quanto gli diceva, di partecipare della gioia che gli veniva così generosamente offerta. Surgenor, che si sentiva sazio e riposato, era disposto a trovarsi d’accordo quasi su tutto… a certe condizioni. La sua mente restava ostinatamente attaccata al fatto che la Sarafand stava attraversando un denso ammasso stellare a parecchie migliaia di anni-luce dalla casa di Hilliard, a Saskatchewan. C’era poi un altro particolare: Hilliard non era sposato.

Surgenor scosse la testa. — Hai sognato di essere a casa.

— Tu non vuoi capire! — L’esasperazione e l’entusiasmo inducevano Hilliard, che normalmente era una persona di maniere tranquille, ad agitarsi sulla sedia. Gli uomini dall’altra parte del tavolo guardarono nella sua direzione. La giornata della nave era appena iniziata, e i pannelli luminosi nella sala semi-circolare, tipica dei quartieri abitabili di un’astronave, risplendevano maggiormente dalla parte designata come “Est”.

— L’esperienza di un Viaggio Trance assomiglia molto poco a un sogno ordinario — continuò Hilliard. — Un sogno è solo un sogno, e quando tu ti svegli sai che i ricordi del sogno sono privi di sostanza. Ma con un nastro VT sei “trasportato” (per questo si chiama “viaggio”), nel senso letterale del termine, in un’altra esistenza. I ricordi che hai il giorno dopo sono indistinguibili dagli altri ricordi. Ti assicuro, Dave, che sono completamente reali.

Surgenor si riempì nuovamente la tazza di caffè. — Ma ora come ora, questa mattina, tu sai che non eri in Canada qualche ora fa. E sai che eri disteso sulla cuccetta di questa nave, qui sopra. Solo.

— Sicuro che era solo — disse Tod Barrow, il secondo dei nuovi venuti, strizzando l’occhio agli altri. — Ho cercato di entrare in camera sua ieri sera, per dargli il bacio della buona notte, ma la porta era chiusa. O almeno, spero che fosse solo.

— L’incongruenza non rende i ricordi meno reali — disse Hilliard ignorando l’interruzione. — È come quando uno è sicuro di aver fatto qualcosa, per esempio aver messo in valigia lo spazzolino da denti, e poi non lo trova. Anche quando ha la prova di non averlo messo dentro, continua a “ricordare” di averlo fatto. È la stessa cosa.

— Davvero?

— Certo.

— A me sembra un po’ strano — disse Surgenor con aria dubbiosa, rifugiandosi nel suo ruolo di Membro Anziano, parte che gli riusciva sempre più facile recitare ad ogni nuovo viaggio. Gli equipaggi sembravano diventare più giovani ogni anno che passava, e richiedere una quantità di attenzioni che lui non se le sarebbe neanche sognate quando si era arruolato.

Ai vecchi tempi si accettavano senza discutere periodi occasionali di inattività e di noia, che capitavano di solito durante gli avvicinamenti ai pianeti nello spazio normale, o quando la nave si muoveva in zone così congestionate che la propulsione istantanea non poteva essere utilizzata pienamente. La terapia tradizionale, che consisteva soprattutto in partite di poker e razioni di liquore più abbondanti, per Surgenor andava benissimo, e aveva accolto con poco entusiasmo la recente introduzione in via sperimentale dei Viaggi Trance.

— La cosa più importante di questi nastri — continuò Hilliard — è che alleviano le solitudine. Il sistema nervoso dell’uomo può sopportare una vita del genere per un periodo di tempo limitato, poi qualcosa si rompe.

— È per questo che ho cercato di entrare nella sua camera — disse Barrow con un sorriso maligno. Era un ex-ingegnere cibernetico, un individuo irritante che ci teneva a darsi un’aria irsuta e mascolina. Fin da quando aveva messo piede sulla nave aveva cominciato a punzecchiare Hilliard per la sua carnagione rosea e i capelli biondi e ricci.

— Perché non vai a farti un giro? — disse Hilliard tranquillamente, senza voltare la testa. — È una cosa che non si può sopportare a lungo, Dave, te l’assicuro.

Surgenor fece un gesto di superiorità con la tazza. — Sono nel Servizio da diciassette anni… senza nastri per impedirmi di impazzire.

— Oh, Dave, mi spiace! Non volevo alludere. Ti assicuro. Il fervore delle scuse e il luccichio negli occhi di Hilliard destarono i sospetti di Surgenor. — Stai cercando di fare lo spiritoso, bello? Perché se è così…

— Calma, Dave — intervenne Victor Voysey, seduto due posti più in là. — Lo sappiamo tutti che sei incurabilmente sano. Bernie vorrebbe solo farti provare un nastro, per vedere com’è. Ne sto usando anch’io uno, questa volta… mi sono preso una mogliettina cinese col fuoco nelle vene. Torno a casa quasi ogni sera. È una bella vita, Dave. Surgenor lo guardò sorpreso. Voysey era un tipo dai capelli rossi, pieno di lentiggini, con occhi azzurri dallo sguardo serio e un atteggiamento pratico verso la vita, che lo stava aiutando a diventare un ottimo esploratore. Per più di un anno aveva diviso con Surgenor il Modulo Cinque, e pareva intenzionato a farsi un buon curriculum di servizio. Era la prima volta che faceva cenno all’uso dei nastri.

— Davvero lo fai? Ti metti uno di quei piatti di metallo sotto il cuscino prima di andare a letto? — Surgenor mise una nota di benevolo disprezzo nella voce, quel tanto necessario per non urtare troppo i sentimenti dell’altro.

— Non tutte le sere. — Voysey sembrava un po’ a disagio, mentre giocherellava con la pancetta e le uova. La perplessità di Surgenor aumentò. — Non me l’avevi detto.

— Be’, non è il genere di cose che uno va in giro a raccontare. — Un leggero rossore apparve sulle guance di Voysey. — I programmi VT offrono una relazione con una bella ragazza, e si tratta di una faccenda privata. Come nella vita reale.

— Meglio che nella vita reale… sai di fare centro ogni volta — disse Barrow, facendo un gesto allusivo con la mano. — Raccontaci un po’ della tua cinesina, Vic. Sono proprio come si dice?

— Non stavo parlando con te.

Barrow non si lasciò scoraggiare. — Avanti, Vic… io ti racconterò della mia. Voglio solo sapere se…

— Piantala! — Voysey, impallidendo, prese la forchetta e la mise sotto il mento grigiastro di Barrow. — Non voglio parlare con te, e non voglio che tu parli con me, e la prossima volta che mi interrompi, ti prometto che non la passerai liscia.

Nella sala scese un silenzio teso, poi Barrow si alzò in piedi, brontolando fra sé indignato, e si spostò dalla parte opposta del tavolo. — Che gli è preso? — mormorò a Surgenor. — Cosa ho detto?

Surgenor scosse la testa. Non aveva nessuna simpatia per Barrow, ma la reazione di Voysey gli sembrava eccessiva. Tutto quello che sapeva dei Viaggi Trance era che il meccanismo veniva attivato dalla pressione della testa sul cuscino, e funzionava soprattutto per mezzo della stimolazione corticale diretta di parole e immagini. Dapprima si produceva una leggera forma di ipnosi, che induceva al sonno, poi, quando il ritmo cervicale indicava che era stato raggiunto lo stato di sonno, e i movimenti delle palpebre mostravano che il soggetto era pronto a sognare, l’apparecchio forniva alla mente una scena programmata.

Per Surgenor il Viaggio Trance era poco più che uno spettacolo cinematografico perfezionato; fu molto sorpreso quindi constatando che poteva suscitare sentimenti così violenti. Si chinò verso Voysey, che aveva lo sguardo fisso sul piatto, ma Hilliard lo prese per un braccio.

— Victor ha ragione quando dice che è come la vita reale — disse accigliato, per indicare che era meglio lasciarlo solo. — Il Viaggio Trance è qualcosa di più di una macchina per fantasie erotiche. Gli psicologi che programmano i nastri sanno che non è di questo che si ha bisogno quando si è tanto lontani da casa. Una ragazza sexy è sempre la figura centrale, naturalmente, ma è molte altre cose, oltre che sexy: tenera, comprensiva, eccitante e devota. Ti da tutte le cose che mancano nella vita del Servizio.

— E non costa un centesimo — disse Barrow allegramente, apparentemente ripresosi dal diverbio con Voysey.

Hilliard continuò come se non l’avesse sentito. — Diventa molto importante per un uomo, Dave. Penso che sia per questo che quelli che usano il VT non ne parlano molto.

— Tu ne parli.

— È vero. — Hilliard sorrise, come un ragazzine che annunci il suo primo appuntamento. Abbassò la voce per non farsi sentire da Barrow. — Sarà perché sono così felice. Non ho mai avuto una relazione interamente soddisfacente con le ragazze che ho conosciuto a Saskatchewan. C’era sempre qualcosa che non andava.

— Qualcosa che non andava? — disse Barrow. — Nel tuo caso, è facile capire cosa. — Guardò gli altri, cercando di suscitare qualche sorriso, ma non si era fatto molti amici da quando era salito a bordo della Sarafand, e le facce degli altri rimasero impassibili.

Hilliard, cogliendo il momento psicologicamente favorevole, si alzò e parlò nel suo migliore stile declamatorio. — Barrow — disse solennemente — se la tua abilità nel ferire la gente fosse pari al tuo evidente desiderio di farlo, saresti davvero un avversario terribile. Così come stanno le cose sei solo patetico.

Vi fu uno scroscio di risate. Hilliard lo accolse con un modesto cenno del capo e si risedette, fingendo di ignorare l’occhiata feroce di Barrow. Surgenor era compiaciuto per il giovane, ma era un po’ preoccupato per quel litigio, un sintomo ulteriore della tensione a cui era sottoposto l’equipaggio della Sarafand.

Il viaggio durava già più del previsto, quando si era scoperto che l’ammasso di Martell conteneva quattro sistemi in più di quanto avessero rivelato gli esami a lunga distanza. Rientrava nei poteri discrezionali di Aesop rifiutarsi di eseguire le quattro esplorazioni, ma lui aveva deciso di proseguire il viaggio. Surgenor, che provava un insolito desiderio di raggiungere la Terra in tempo per passare il Natale coi suoi cugini e le loro famiglie, aveva sollevato qualche obiezione, col solo risultato di vedersele respingere. Ma adesso, vedendo la tensione crescere fra l’equipaggio, decise di avere un altro incontro con Aesop.

Hilliard, continuando da dove si era interrotto, disse: — Adesso che ho incontrato Julie è tutto cambiato.

— Julie? Vuoi dire che hanno dei nomi?

— Certo che hanno dei nomi! — Hilliard si coprì la faccia con le mani. — Proprio non volete capire, Dave. Le ragazze vere hanno dei nomi, e anche quelle dei VT li hanno. La mia si chiama Julie Cornwallis.

In quel momento avvennero due cose contemporaneamente. Una campana suonò e Aesop si rivolse all’equipaggio attraverso gli altoparlanti annunciando che aveva calcolato il valore di tutte le forze gravitazionali che agivano sulla nave e si preparava al balzo nello spazio-beta, verso il cuore dell’ammasso di Martell. Mentre la voce omni-direzionale del computer riempiva la sala, la faccia di Tod Barrow, prima atteggiata a un cupo risentimento, improvvisamente assunse un’espressione sorpresa e felice. L’espressione sparì subito, e in ogni caso poteva essere interpretata come una conseguenza dell’annuncio di Aesop.

L’incidente, comunque, era stato assolutamente banale, e Surgenor se ne dimenticò mentre l’equipaggio abbandonava la mensa e si assiepava nella sala di osservazione immersa nella penombra. Li seguì con l’indifferenza che si addiceva a un veterano che aveva visto un’infinità di balzi simili, ma riuscì a sistemarsi fra i primi. Vedere la propulsione Istant-Distant in azione, osservare le stelle cambiare improvvisamente posizione, e sapere di aver percorso una distanza di molti anni-luce alla velocità del pensiero, era un’esperienza che per Surgenor non sarebbe mai diventata abituale.

La sala di osservazione aveva dodici sedie girevoli, una per ciascun membro dell’equipaggio, sistemate fra due schermi semisferici. Su quello anteriore si poteva scorgere l’ammasso di Martell. Lo schermo curvo era simile a una coppa di champagne nero congelato, con mille bollicine argentee immobilizzate nel loro volo dalla brevità dell’esistenza umana. Surgenor si preparò al balzo, cercando di sentirlo, anche se sapeva che qualunque processo abbastanza lento da essere percepito sarebbe stato probabilmente fatale.

In un attimo, senza che si avvertisse un qualsiasi movimento, apparve il disco di un nuovo sole, che pareva aver scacciato tutte le altre stelle.

— Siamo arrivati — disse Pollen, constatando che Aesop li aveva portati esattamente al centro del sistema che costituiva la loro destinazione, segretamente felice per un altro passaggio conclusosi bene. Pollen, che stava ancora raccogliendo materiale per il suo libro, conosceva una quantità di leggende che parlavano di navi lanciatesi in balzi normali e che, nell’universo beta dove il flusso gravitazionale era simile alla furia scatenata di un uragano, erano state portate lontano da gorghi imprevedibili, ed erano emerse nello spazio normale in punti lontanissimi dalla loro destinazione. Surgenor sapeva che in alcune regioni i venti intergalattici penetravano nello scudo gravitazionale della Via Lattea, ma la loro dislocazione e il loro campo d’influenza erano stati accuratamente individuati. Non aveva ansietà nell’affidarsi alla propulsione Istant-Distant, e provava un malizioso piacere di fronte al nervosismo di Pollen.

Le settimane seguenti sarebbero state impiegate per le manovre di avvicinamento ai pianeti e, quando possibile, al loro esame diretto per mezzo dei moduli d’esplorazione. A seconda di come fossero andate le cose, la Sarafand avrebbe potuto trascorrere anche un mese in quel sistema, e ce n’erano altri tre da esplorare.

Surgenor guardò il sole straniero e pensò ai brevi, preziosi pomeriggi invernali sulla Terra, alle partite di calcio, ai negozi di sigari, alle donne sedute per la cena, e al calore delle famiglie che si riunivano per Natale. E seppe che Aesop aveva sbagliato, che non avrebbero dovuto proseguire nel viaggio. Si alzò senza una parola e si ritirò nell’oasi di intimità della sua cabina. Non si preoccupò di chiudere la porta: era una regola della vita di bordo che nessuno entrasse mai nella stanza di un compagno senza essere invitato. Si sedette e chiuse gli occhi.

— Ascolta queste parole — disse subito, usando la frase in codice che permetteva a qualunque membro dell’equipaggio di comunicare col computer.

— Ti ascolto, David — disse Aesop tranquillamente, con voce calma, indirizzata accuratamente verso l’orecchio di Surgenor.

— È stato un errore includere quattro sistemi in più in questo viaggio.

— È una tua opinione? O sei in possesso di dati che non mi sono stati forniti? — Una nota fredda era entrata nella voce di Aesop. Surgenor era quasi certo che le parole erano state scelte con intento sarcastico, ma non era mai stato capace di determinare esattamente di quale sottigliezza verbale fosse capace Aesop.

— Ti sto dando la mia valutazione della situazione — disse. — Si sta accumulando una grande tensione fra l’equipaggio.

— Questo era prevedibile. Ne ho tenuto conto.

— Non puoi prevedere come agiranno gli esseri umani.

— Non ho detto che posso prevedere le loro azioni — disse Aesop con pazienza. — Ti assicuro però che ho soppesato ogni fattore decisivo prima di fare la mia scelta.

— Quali fattori?

Vi fu una pausa appena percettibile, segno che Aesop considerava quella domanda stupida. — La zona di spazio esplorata dal Servizio Cartografico è grosso modo sferica. Con l’aumentare del raggio, la superficie di questa sfera…

— Questo lo so — lo interruppe Surgenor. — La Bolla si sta allargando, il lavoro da fare aumenta in continuazione, e ci sono pressioni economiche per estendere le missioni. Io parlavo dei fattori umani. Su che cosa ti basi per valutarli?

— A parte la massa di nozioni di psicologia generale che ho a disposizione, posso fare riferimento ai riassunti dei Rapporti Finali delle Missioni svoltesi negli ultimi secoli. Solo quelli del Servizio Cartografico constano di circa otto milioni di parole; quelli militari, per loro natura più estesi, arrivano a quindici milioni di parole; poi ci sono i rapporti dei vari enti civili, che…

— Lascia perdere. — Surgenor, rendendosi conto che il computer lo stava portando fuori strada, decise di cambiare tattica. — Aesop, è da molto che siamo insieme sulla Sarafand, e ormai comincio a pensare a te come ad un essere umano, e credo di poterti parlare da uomo a uomo.

— Prima di cominciare, David, vorresti rispondere a due domande?

— Certo.

— Primo: come ti è venuta la strana idea che io sia sensibile all’adulazione? Secondo: come sei giunto alla conclusione ancora più strana che l’attribuirmi caratteristiche umane potrebbe in qualche modo essere considerato come un’adulazione?

— Non ho le risposte — disse Surgenor stancamente, sconfitto.

— Peccato. Procedi.

— Procedere con cosa?

— Sono pronto a sentirti parlare da uomo a uomo.

Surgenor fece esattamente quello, per circa un minuto.

— Ora che hai scaricato la tua tensione mentale — disse Aesop alla fine del suo sfogo — ti prego di ricordare che la frase corretta per chiudere la comunicazione è: “Non ascoltarmi più”.

Surgenor cercò qualche imprecazione oscena, mentre l’audio veniva interrotto, ma l’immaginazione gli venne meno. Passeggiò su e giù per un po’, cercando di convincersi che non c’era nessun modo di tornare sulla Terra per Natale, poi scese nell’hangar e cominciò a controllare le apparecchiature del suo modulo di esplorazione. All’inizio trovò difficile concentrarsi, poi l’abitudine prese il sopravvento e le ore passarono rapide. Quando uscì dal veicolo e si recò a mangiare, i pannelli luminosi nella sezione “meridionale” del ponte semicircolare brillavano più vivamente, dando l’impressione che dietro ci fosse il sole alto. Si sedette vicino a Hilliard.

— Dove sei stato? — gli chiesi — Pollen.

— A controllare i miei i miei banchi sensori.

— Un’altra volta? — Pollen inarcò un sopracciglio, scoprendo i denti lievemente sporgenti in un abbozzo di sorriso.

— Serve a tenerlo lontano dai guai — disse Hilliard strizzando l’occhio agli altri.

— Io non ho mai dovuto rifarmi il giro di mezzo pianeta — rispose Surgenor, ricordando a Pollen un incidente che l’altro avrebbe preferito dimenticare, e si ordinò il pranzo sui pulsanti del menu. La sua minestra era appena emersa dalla torretta, quando Tod Barrow entrò nella mensa, e dopo aver dato un’occhiata al tavolo, si sedette di fronte a lui. L’uomo, che evidentemente aveva fatto esercizi in palestra, indossava una tuta da ginnastica e puzzava di sudore. Salutò Surgenor con cordialità eccessiva e inaspettata.

Surgenor gli rispose con un breve cenno del capo. — Non funziona la doccia?

— E che ne so io? — Barrow assunse un’aria di innocente sorpresa.

— La gente di solito ci va dopo essere stata in palestra.

— Diavolo, solo la gente sporca ha bisogno di lavarsi in continuazione. — I lineamenti grigiastri di Barrow si raggrinzirono in un sorriso, mentre i suoi occhi si fissavano su Hilliard. — E poi, ho fatto il bagno ieri sera. A casa. Con mia moglie.

— Oh no, un’altra volta — mormorò Surgenor.

Barrow lo ignorò, tenendo sempre gli occhi fissi su Hilliard. — È una vasca favolosa. D’oro. Si adatta proprio ai capelli di mia moglie.

Surgenor notò che Hilliard, al suo fianco, aveva posato la forchetta e stava fissando Barrow intensamente.

— Anche la sua pelle ha una tinta dorata — continuò Barrow. — E quando siamo insieme nella vasca si lega i capelli in alto con un nastro d’oro.

— Come si chiama? — chiese Hilliard, con sorpresa di Surgenor.

— Anche i rubinetti sono d’oro. A forma di delfini. — L’espressione di Barrow era estatica. — È stata una pazzia comprarla, ma quando l’abbiamo vista…

— Come si chiama? — Hilliard si era alzato di scatto, facendo cadere la sedia.

— Che ti succede, Ciccio?

— Per l’ultima volta, Barrow, dimmi come si chiama. — Le guance di Hilliard erano rosse per la collera.

— Julie — annunciò Barrow allegramente. — Julie Cornwallis.

Hilliard spalancò la bocca. — Sei un bugiardo.

— Ditemi voi se è questa la maniera di parlare a un collega — disse Barrow rivolto agli altri che avevano assistito alla scena. Hilliard si chinò su di lui attraverso il tavolo. — Sei un lurido bugiardo, Barrow.

— Ehi, Bernie! — Surgenor si alzò e prese Hilliard per un braccio. — Calmati.

— Tu non capisci, Dave. — Hilliard si liberò dalla stretta. — Sta dicendo di avere un nastro VT identico al mio, ma non è possibile. I,’ufficio rifornimenti controlla sempre che non ce ne siano due uguali sulla stessa nave.

— Si saranno sbagliati, questa volta — disse Barrow ridendo. — Tutti possono fare un errore.

— Allora potresti prenderne un altro.

Barrow scosse la testa con forza. — Niente da fare, Ciccio. Mi piace quello.

— Se non lo restituisci io…

— Sì, Ciccio?

— Io…

— La mia minestra si sta raffreddando — disse Surgenor ad alta voce. Aveva un torace imponente, capace di produrre un volume sonoro impressionante quando era necessario. — Non ho nessuna intenzione di mangiare freddo per voi… Perciò sedetevi e cercate di comportarvi da persone adulte. — Raccolse la sedia di Hilliard e costrinse il giovane a sedersi.

— Non capisci, Dave — mormorò Hilliard. — È come se la mia casa venisse violata. Per tutta risposta Surgenor prese il cucchiaio e cominciò a mangiare, in silenziosa concentrazione. Quel “pomeriggio” Surgenor finì di leggere un libro, passò un po’ di tempo nella sala di osservazione, poi andò in palestra a tirare di scherma con Al Gillespie. Non vide né Hilliard né Barrow, e anche se pensò all’incidente dei nastri fu solo per congratularsi con se stesso per essere riuscito a ficcare un po’ di buon senso nella testa di quei due. Una luce rosso-dorata, che dava un senso di pace, pioveva dalla parte “occidentale” della sala mensa quando vi entrò e si sedette al tavolo. La maggior parte delle sedie erano occupate, e la torretta distributrice correva ronzando da una parte all’altra del tavolo, lungo la scanalatura centrale.

Normalmente quell’atmosfera animata avrebbe messo di buon umore Surgenor, ma questa volta servì solo a ricordargli il Natale che non avrebbe passato sulla Terra, e il triste anno nuovo che sarebbe iniziato senza il calore di quello vecchio. Si lasciò cadere su una sedia, ordinò la solita cena e aveva appena cominciato a mangiare, senza appetito, quando si accorse che qualcuno gli si era seduto a fianco. Il suo umore diventò ancora più cupo quando vide che era Tod Barrow. — Scusate il ritardo, ragazzi — disse Barrow — ma vedo che avete cominciato lo stesso senza di me.

— Abbiamo fatto una votazione — grugnì Sig Carlen — e abbiamo deciso che anche tu avresti voluto così.

— Hai proprio ragione. — Barrow si stiracchiò, senza lasciarsi toccare dal sarcasmo. — Avevo sonno questo pomeriggio, così ho deciso di andare a casa. A trovare mia moglie.

Vi fu un mormorio di fastidio da parte dei commensali.

— Quella Julie è un gran pezzo di ragazza. — continuò Barrow facendo finta di niente e chiudendo gli occhi come per assaporare meglio i ricordi. — Da come si veste la prendereste per una maestra di scuola domenicale, o qualcosa del genere… ma se vedeste la biancheria intima!

Qualcuno, dall’altra parte del tavolo, fece una risata. Surgenor si guardò attorno, cercando Hilliard, e lo vide seduto con la testa abbassata. Sembrava teso e rigido, in una maniera che preoccupava Surgenor.

Surgenor si chinò verso Barrow, guardandolo fisso negli occhi. — Perché non la pianti?

Barrow fece un gesto con la mano. — Questa ve la devo raccontare. Un sacco di donne sposate si danno da fare solo a letto, ma la mia Julie ha l’abitudine… — si interruppe, e un sorriso gli si allargò sulla faccia vedendo Hilliard balzare in piedi e uscire di corsa dalla sala. — Ehi, guardate un po’: il nostro Ciccio ci ha lasciato mentre stavo arrivando al bello. Forse è andato da Julie a dirle di non tradirlo. — Altre risate accolsero la battuta, e Barrow sembrò soddisfatto.

— Stai andando sul pesante -disse Surgenor. — Lascia stare quel ragazzo.

— È solo uno scherzo. Dovrebbe essere capace di stare agli scherzi.

— E tu dovresti essere capace di farli.

Barrow si strinse nelle spalle e consultò il menu. Sembrava soddisfatto di sé per avere pareggiato il conto con Hilliard. Ordinò una zuppa di avena con granchi e la mangiò lentamente, interrompendosi di tanto in tanto per scuotere la testa e ridacchiare fra sé. Surgenor cercò di controllare la sua collera contro Barrow per la sua influenza disgregatrice, contro Hilliard per essersela presa tanto per una cosa di nessuna importanza come un nastro onirico, contro gli psicologi del Servizio per aver inventato il Viaggio Trance e contro Aesop per aver prolungato il viaggio oltre il periodo normale. Quello sforzo gli costò parecchio.

Stava giocherellando con i resti della sua polpetta, quando il mormorio della conversazione cessò. Surgenor alzò gli occhi e vide che Bernie Hilliard, pallidissimo, era rientrato nella sala. Il giovane si fermò vicino a Barrow, che si voltò sulla sedia per guardarlo.

— Cosa ti viene in mente, Ciccio? — Barrow sembrava sorpreso da quello sviluppo imprevisto. — Quella zuppa mi sembra un po’ brodosa — disse Hilliard rigidamente. — Non ti pare?

Barrow sembrò perplesso. — A me va bene così.

— No. È decisamente troppo brodosa. Che ne dici di un po’ di spaghetti?

Da dietro la schiena Hilliard tirò fuori una massa di nastro verde-argento e lo mise nel piatto dell’altro.

— Ehi! Che roba è? — Barrow guardò il groviglio nel suo piatto, e trovò da solo la risposta. — È un nastro VT!

— Esatto.

— Ma… — Spalancò gli occhi, giungendo all’inevitabile conclusione. — È il “mio” nastro!

— Giusto.

— Vuoi dire che sei entrato nella mia stanza. — Barrow guardò scandalizzato gli altri, come per renderli testimoni della confessione di Hilliard, poi gli si avventò alla gola. Hilliard cercò di liberarsi, e caddero a terra entrambi, Hilliard sotto e Barrow sopra.

— Non dovevi… entrare… nella mia stanza! — Sempre stringendogli la gola, Barrow sottolineò le parole sbattendo la testa del giovane sul pavimento.

Surgenor, che intanto si era alzato, sollevò un piede e lo abbatté con forza fra le scapole di Barrow. L’uomo si afflosciò come un sacco di patate, e giacque su un fianco, boccheggiando, mentre Surgenor e Voysey aiutavano Hilliard a rialzarsi.

— Per l’amor di Dio, Bernie — disse Surgenor. — Cerca di non fare l’imbecille.

— Scusa, Dave. — Hilliard sembrava scosso ma trionfante. — Non aveva nessun diritto…

— Tu non avevi nessun diritto di entrare nella sua stanza! È una cosa che non si fa, su una nave.

— Proprio così — disse Barrow rialzandosi a fatica. — Ha violato la mia intimità.

— Non tanto quanto tu hai violato la mia — disse Hilliard.

— Era il mio nastro. — Barrow si voltò e tirò fuori dal piatto la massa aggrovigliata e gocciolante. — Comunque, un po’ di zuppa non gli farà male. Lo pulirò e lo rimetterò nella cassetta.

— Fai pure. — Hilliard fece una pausa, sorridendo. — Ma non ti servirà a molto. L’ho cancellato.

Barrow imprecò e fece un passo verso Hilliard, ma venne spinto sulla sedia da parecchi uomini che intervenirono prontamente. Surgenor si accorse con sollievo che la maggioranza era contro Barrow; meglio così: sarebbe stato più difficile controllare la situazione se le opinioni si fossero bilanciate. Barrow scrutò per un attimo il cerchio di facce poco amichevoli, poi fece una risata incredula.

— Ma guardateli. Tanta agitazione per niente. Calmatevi, ragazzi, calmatevi!

— Rimise il nastro verde-argento nella zuppa e fece finta di assaggiarla col cucchiaio. — Ehi, è proprio buona. Ciccio, penso che tu abbia trovato l’uso migliore per questi maledetti nastri.

Alcuni risero, e la tensione si allentò subito. Barrow finì la cena fra una battuta e l’altra, dando l’impressione di non essere capace di portare rancore. Ma Surgenor, osservandolo attentamente, non poté fare a meno di pensare che era solo un’impressione. Si alzò da tavola con la convinzione che l’incidente fosse ben lungi dall’essere finito.

Загрузка...