CAPITOLO DICIOTTESIMO

La portata del concetto di spazio-tempo è tale da non poter essere espressa mediante i numeri finiti che sono familiari agli uomini. Onestamente, non può neanche essere compresa ricorrendo agli ordini di grandezza. Per capire questo fatto, ricapitoliamo:

la Leonora Christine trascorse quasi un anno viaggiando a una velocità che era l’uno per cento circa di quella della luce. Il tempo a bordo era sempre pressappoco lo stesso, soltanto quando la velocità dell’astronave tendeva il più possibile a c. In questo periodo iniziale, la Leonora Christine percorse metà anno-luce di spazio, approssimativamente cinquemila miliardi di chilometri.

In seguito l’aumento divenne costantemente più rapido. Con l’aiuto della più alta accelerazione ora possibile, l’astronave impiegò un po’ meno di due anni, secondo il suo sistema di misura del tempo, per allontanarsi dalla Terra di dieci anni-luce. Fu allora che si verificò la drammatica collisione.

Essendo stata presa la decisione di esplorare l’ammasso delle galassie della Vergine, l’astronave dovette raggiungere tali valori di tau da superare la distanza intermedia in un tempo tollerabile. Alla massima accelerazione — un massimo che aumentava via via che il viaggio proseguiva — la Leonora Christine descrisse un semicerchio attorno alla Via Lattea e dentro il suo centro in poco più di un anno. Riferendosi al cosmo, ci vollero più di cento millenni.

Nelle nuvole del Sagittario, portò il tau a valori tali da uscire dalla natia galassia in pochi giorni. Poi gli astronauti scoprirono che lo spazio vuoto compreso tra la famiglia di raggruppamenti di stelle in cui si trovavano e l’assembramento della Vergine verso cui erano diretti secondo i piani stabiliti non era adatto alle loro esigenze. Dovevano andare al di là dell’intero clan.

Nello spazio intergalattico, la Leonora Christine non perse la possibilità di far aumentare la velocità. Impiegò due delle sue settimane per percorrere un paio di milioni di anni-luce fino a una data galassia che si trovava nelle vicinanze. Dopo aver attraversato questa galassia nel giro di poche ore, l’astronave si trovò così carica di energia cinetica da percorrere una distanza pari a quella di prima non più in settimane ma in giorni… e in quell’ultimo periodo aveva bisogno di una settimana o poco più per passare da un ammasso stellare a un altro… attraversando quest’ultimo molto rapidamente…

Con gli schermi spenti attraversò il quasi totale vuoto dello spazio compreso tra clan; nel frattempo gli ingegneri riparavano i danni prodotti dalla precedente collisione. Sebbene priva di accelerazione, ebbe bisogno di soltanto un paio dei suoi mesi per lasciarsi alle spalle due o trecento milioni di anni-luce.

La massa accessibile di tutto il clan galattico che era il suo obiettivo si rivelò inadeguata a frenare la velocità dell’astronave.

Perciò gli astronauti non tentarono di fermarsi, ma sfruttarono tutto ciò che i motori riuscivano a inghiottire per continuare la loro corsa in avanti, sempre più in fretta. La Leonora Christine attraversò la regione occupata da questo secondo clan — senza tentare di ricorrere al controllo manuale, ma semplicemente lanciandosi come una freccia attraverso un certo numero delle galassie che lo componevano — in due giorni.

Dall’altro lato, di nuovo nello spazio vuoto, l’astronave andò in caduta libera. La distanza che la separava dal prossimo clan raggiungibile era dell’ordine di altri cento milioni di anni-luce. La Leonora Christine compì la traversata in circa una settimana.

Quando arrivò laggiù, naturalmente, utilizzò la materia stellare che vi trovò per cercare di raggiungere quanto più possibile la velocità assoluta.


— No… non… sta’ attenta!

Margarita Jimenes perse l’appiglio che avrebbe frenato il suo volo. Annaspando per riuscire a recuperarlo, colpì la parete, carambolò e fluttuò in aria.

Ad i chawrti! - sbuffò Boris Fedoroff.

Valutò in un secondo le spinte vettoriali e si lanciò in avanti per intercettarla. Non era un calcolo fatto consciamente; sarebbe stata un’impresa impossibile. Come un cacciatore che punta verso un bersaglio mobile, si servì della sua abilità e dei molteplici sensi del suo corpo: diametri angolari e rotazioni, pressioni e tensioni muscolari, cinestesia, la invisibile ma perfettamente nota configurazione di ogni giuntura, i diversi derivati di ognuno di questi fattori e altri ancora; si servì del suo organismo, in breve, una macchina creata in modo incomprensibilmente complesso e preciso e, nell’azione, splendido.

Fedoroff aveva spazio per volare.

Si trovavano nel ponte Numero Due, in una zona a poppa vicina ai locali dove erano situati i motori. Era una parte dell’astronave adibita a stiva; ma una grandissima percentuale dei materiali che un tempo vi erano custoditi era stata ormai utilizzata per costruire strumenti o altri oggetti. Dove si trovava il carico c’era uno spazio libero, cavernoso ed echeggiante, illuminato da una luce fredda, praticamente quasi sempre deserto. Fedoroff vi aveva portato la sua donna per impartirle alcune lezioni private di comportamento in caduta libera. La donna si era rivelata un’allieva meno che mediocre nelle classi di «pedoni» che, secondo l’ordine di Lindgren, venivano istruiti nelle tecniche di volo in caduta libera.

Jimenes arrivò roteando davanti a Fedoroff, il volto nascosto dai riccioli scomposti, con le braccia e le gambe e il petto che si muovevano pesantemente e disordinatamente. Il sudore le imperlava la pelle nuda e si divideva in piccoli globi che scintillavano intorno a lei come moscerini. — Rilassati, ti dico — le suggerì Fedoroff. — La prima cosa che devi imparare è rilassarti.

Riuscì a portarsi accanto a lei e l’afferrò per la vita. Legati insieme, i due formarono un nuovo sistema che roteò su un asse pazzesco mentre si dirigevano verso la paratia sul lato opposto. I processi vestibolari registrarono questo oltraggio sotto forma di vertigini e nausea. L’ingegnere sapeva come eliminare questa reazione; e, prima di incominciare la lezione, aveva dato a Jimenes una pillola contro il mal dello spazio, proprio in previsione di un caso simile.

Eppure, la donna vomitò.

L’uomo non poté fare altro che sostenerla mentre il loro volo continuava secondo la sua traiettoria. Il primo conato lo colse di sorpresa e il vomito lo colpì in faccia. Dopo di ciò strinse a sé la donna in modo che la schiena di lei fosse contro il proprio ventre. Con la mano libera colpi il nauseante liquido giallastro e i grumi di cibo per allontanare da sé quella roba, che, se ingerita in simili condizioni, poteva soffocare una persona.

Quando arrivarono a colpire la paratia di metallo, Fedoroff si afferrò al supporto più vicino, una rastrelliera vuota. Agganciandosi con un gomito ad essa, poteva servirsi di entrambe le braccia per sorreggere la donna e cercare di calmarla. Alla fine anche gli urti di vomito passarono.

— Stai meglio? — le chiese.

La donna rabbrividì e mormorò: — Voglio ripulirmi.

— Sì, sì, troveremo qualcosa per lavarti. Aspetta qui. Sta’ attaccata, non lasciarti andare. Tornerò tra pochi minuti. — Fedoroff si liberò dalla stretta.

Doveva chiudere i ventilatori prima che quella porcheria semiliquida venisse attirata nel sistema generale d’areazione dell’astronave. Poi doveva fare in modo di risucchiarla in un aspirapolvere. L’avrebbe fatto lui personalmente. Se avesse incaricato un altro di occuparsi di quel pasticcio, costui non si sarebbe forse soltanto irritato, ma avrebbe potuto diffondere la notizia…

I denti di Fedoroff si serrarono strettamente. Finì di prendere le sue misure precauzionali e nuotò di nuovo verso Jimenes.

Sebbene il volto fosse ancora pallidissimo, la donna sembrava capace di controllare i propri movimenti. — Sono mortalmente dispiaciuta, Boris. — Le parole uscivano rauche da una laringe bruciata dall’acido dello stomaco. — Non avrei mai dovuto acconsentire… a venire così lontano… da un gabinetto a suzione.

Fedoroff volteggiò davanti a lei e chiese con voce severa: — Da quanto tempo hai cominciato a vomitare?

La donna si tirò indietro. Fedoroff l’afferrò prima che ella perdesse la presa e tornasse a fluttuare libera in aria. La sua stretta sul polso di lei era brutale. — Quando hai avuto le ultime mestruazioni? — chiese.

— Hai visto…

— Ho visto una cosa che poteva essere stata facilmente falsificata. Specialmente considerando quanto io sia stato impegnato nel mio lavoro. Dimmi la verità!

La scosse. Privo di un qualsiasi ancoraggio, il corpo della donna si torse facendo perno sulla spalla. Jimenes gridò. Fedoroff la lasciò andare come se fosse improvvisamente diventata incandescente. — Non volevo farti male — esclamò affannosamente. La donna ballonzolò lontano da lui. Egli la riprese appena in tempo, la tirò di nuovo a sé e la strinse con fermezza contro il suo torace imbrattato di vomito.

— T-t-tre mesi fa — balbettò Jimenes tra le lacrime.

Fedoroff la lasciò piangere mentre le accarezzava i capelli diventati opachi. Quando si fu ripresa, l’aiutò a raggiungere una stanza da bagno, dove si ripulirono completamente usando delle spugne. Il liquido organico di cui si servirono aveva un odore forte e pungente che sovrastava il puzzo del vomito che avevano addosso, ma si volatilizzava così rapidamente e completamente che Jimenes rabbrividiva dal freddo. Fedoroff infilò le spugne in un convogliatore collegato alla lavanderia e accese l’apparecchio che emetteva aria calda. Per alcuni minuti rimasero a crogiolarsi in quel tepore.

— Sai — disse Fedoroff dopo un po’, — se abbiamo risolto il problema idroponico a gravità zero, dovremmo poter escogitare qualcosa che ci permetta di fare un vero bagno o, almeno, una doccia.

La donna non sorrise, si limitò a raggomitolarsi vicino alla grata. I suoi capelli fluttuarono all’indietro.

Fedoroff si irrigidì. — Va bene — disse, — com’è accaduto? Il dottor Latvala non dovrebbe registrare e controllare la tabella contraccettiva di ogni donna?

Jimenes annuì, senza guardarlo. La sua risposta fu così a bassa voce da poter essere udita a malapena. — Sì. Un controllo all’anno, però, per venticinque di noi… e aveva, ha molte cose a cui pensare che non sono quelle di normale amministrazione…

— Non ve ne sarete dimenticati tutti e due?

— No. Alla mia solita data mi sono recata nel suo ufficio. È imbarazzante che tocchi a lui ricordarlo a una ragazza. Non c’era. Forse si stava occupando di qualcuno che era nei guai. Ma la cartella che ci riguarda giaceva sulla sua scrivania. L’ho guardata. Jane era stata da lui per la stessa ragione, ho visto, quello stesso giorno, forse un’ora o due prima di me. Di colpo ho afferrato la sua penna e ho scritto «OK» dopo il mio nome, nello spazio apposito. Ho scarabocchiato la sigla imitando la sua scrittura. È successo prima che mi rendessi chiaramente conto di ciò che stavo facendo. Sono uscita correndo.

— Perché non gliel’hai confessato, in seguito? Da quando l’astronave è uscita dalla prima rotta prefissata, ha avuto a che fare con gesti impulsivi ben più strani di questo.

— Avrebbe dovuto ricordarsene — disse Jimenes con voce più alta. — Se ha deciso che doveva essersi dimenticato della mia visita… perché dovrei fare il lavoro per lui?

Fedoroff imprecò e fece per afferrarla. La sua mano si fermò a pochi centimetri dal polso dolorante della donna. — In nome del buonsenso! — protestò. — Latvala ha lavorato come un dannato, per cercare di mantenerci in buona salute. E tu ti chiedi perché avresti dovuto aiutarlo?

Il tono di Jimenes si fece ancora più di sfida. Fissò apertamente il compagno e disse: — Avevate promesso che avremmo potuto avere figli.

— Come… be’, sì, è vero, ne vogliamo tanti quanti potremo averne, non appena troveremo un pianeta…

— E se non troviamo un pianeta? Cosa succederà, allora? Non potete migliorare i biosistemi come vi siete vantati di fare?

— Abbiamo accantonato questo progetto per dedicare tutti i nostri sforzi al settore strumentazione. Potrebbe richiedere anni di lavoro.

— Nel frattempo alcuni bambini non faranno molta differenza… per la nave, questa dannata nave… ma la differenza per noi…

Fedoroff si mosse verso di lei. Gli occhi della donna si dilatarono ed ella si allontanò strisciando da lui, passando da una maniglia all’altra. — No! — urlò. — So che cosa vuoi fare! Non mi prenderai il mio bambino… ti ucciderò! Ucciderò tutti a bordo!

— Silenzio! — sbraitò Fedoroff, indietreggiando leggermente. La donna rimase avvinghiata al sostegno presso il quale si trovava, singhiozzando e mostrando i denti. — Io personalmente non farò niente — esclamò l’ingegnere. — Parleremo con il commissario. — Si avviò verso l’uscita. — Resta qui. Cerca di calmarti. Pensa alla linea di difesa da adottare. Procurerò gli abiti per entrambi.

Nel suo vagare da una parte all’altra dell’astronave le sole parole che pronunciò furono quelle con cui, attraverso il telefono interno, chiese a Reymont di concedergli un colloquio privato. Non aprì bocca neppure con Jimenes, né la donna con lui, mentre si avviavano verso la loro cabina.

Quando furono all’interno della stanza, la donna l’afferrò per le braccia. — Boris, è tuo figlio, non puoi… e sta arrivando la Pasqua…

Egli l’assicurò al cavo che le impediva di fluttuare nel vuoto. — Calmati — le consigliò. — Qui. — Le porse una bottiglia da spremere in bocca, che conteneva tequila. — Questo può aiutarti, ma non berne troppo. Avrai bisogno di tutta la tua prontezza di spirito.

Il campanello della porta suonò. Fedoroff fece entrare Reymont e richiuse la porta alle sue spalle. — Vuoi bere qualcosa, Charles? — chiese poi l’ingegnere.

Il volto dell’uomo che aveva davanti era così freddo e inespressivo come fosse nascosto dalla visiera di un elmetto da guerra. — Sarà meglio discutere prima il problema — disse il poliziotto.

— Margarita è incinta — gli disse Fedoroff.

Reymont fluttuò in silenzio, sostenendosi appena a una sbarra.

— Per favore… — cominciò Jimenes.

Reymont la zittì con un cenno. — Com’è accaduto? — chiese, a voce bassa come il respiro dell’astronave che giungeva dai ventilatori.

La donna cercò di spiegare, e non ci riuscì. Fedoroff allora espose l’accaduto in poche parole.

— Capisco. — Reymont annuì con il capo. — Ancora quasi sette mesi, ehm? Ma perché mi avete consultato? Avreste potuto rivolgervi direttamente al primo ufficiale. In ogni occasione è lei l’unica a prendere le decisioni del caso. Io non ho alcun potere, se non arrestarvi per aver gravemente infranto il regolamento.

— Tu… Siamo amici, mi sembra, Charles — disse Fedoroff.

— Devo fare il mio dovere nei confronti di tutta l’astronave — rispose Reymont con la stessa voce priva di inflessioni. — Non posso appoggiare l’egoistico comportamento di qualcuno che minacci le esistenze degli altri.

— Un solo minuscolo bambino? — gridò Jimenes.

— E quanti altri desiderati dal resto dei passeggeri?

— Dobbiamo aspettare per sempre?

— Sembrerebbe più opportuno aspettare finché sapremo quale sarà probabilmente il nostro futuro. Un bambino nato qui potrebbe avere vita breve e una morte terribile.

Jimenes serrò le mani sul suo addome. — Non lo ucciderete! Non lo farete!

— Stia ferma — proruppe Reymont. La donna parve sconvolta, ma obbedì. Il poliziotto si volse a guardare Fedoroff. — Qual è la tua opinione, Boris?

Lentamente, il russo arretrò fino a trovarsi a fianco della sua donna. La trasse a sé e disse: — L’aborto è un omicidio. Questo concepimento non avrebbe dovuto verificarsi, forse, ma non posso credere che i miei compagni di viaggio siano assassini. Morirò prima di permettere una cosa simile.

— Ci troveremmo a mal partito senza di te.

— Esattamente.

— Bene… — Reymont distolse lo sguardo. — Non mi hai ancora detto che cosa pensi che io possa fare — esclamò.

— So che cosa puoi fare — rispose Fedoroff. — Ingrid vorrà salvare questa vita. Ma potrebbe non riuscirci senza il tuo consiglio e il tuo appoggio.

— M-m-m. È così. — Reymont tamburellò le dita sulla parete. — Non è questa la cosa peggiore che ci possa capitare — disse alla fine, in tono meditabondo. — Potrebbero esserci anche alcuni intrinseci vantaggi. Se possiamo farlo passare per un incidente, una distrazione, qualunque cosa invece che una deliberata infrazione… E lo è stato, in un certo senso. Margarita ha agito da folle; d’altronde, tra noi quanti sono gli individui che hanno mantenuto una piena salute mentale?… Mmm. Supponiamo di annunciare un conseguente rilassamento delle regole. Un numero molto limitato di nascite potrebbe essere autorizzato. Calcoleremo quanti bambini può sopportare l’ecosistema e lasceremo che le donne che ne vogliono vengano estratte a sorte. Dubito che saranno in molte a volerne… date le attuali circostanze. La rivalità non dovrebbe essere eccessiva. Avere bambini da vezzeggiare e da aiutare a crescere potrebbe essere una cosa che allevierebbe certe tensioni.

Rapidamente il suo tono di voce si fece più alto. — Inoltre, perdio, i bambini sono un pegno di fiducia. E una fresca ragione per sopravvivere. Sì!

Jimenes cercò di avvicinarsi a lui e di abbracciarlo, ma egli si sottrasse alla sua presa. Sovrastando i singulti di gioia e di pianto della donna, Reymont ordinò all’ingegnere: — Fa’ in modo che si calmi. Discuterò di questa faccenda con il primo ufficiale. Al momento opportuno, ne parleremo tutti insieme. Nel frattempo, non dite parola né fate il minimo accenno a chiunque.

— Tu… prendi questa storia… con freddezza — disse Fedoroff.

— E che altro dovrei fare? — La risposta di Reymont fu tagliente. — È troppo estenuante dover sopportare troppe emozioni. — Per un attimo il distacco dell’uomo svanì, lasciando trapelare un’angoscia che non gli era abituale. — Troppo estenuante continuare a dilaniarsi! — gridò. Poi Reymont imboccò la porta e guizzò nel corridoio.


Boudreau guardava attraverso il videoscopio. La galassia verso cui la Leonora Christine si stava precipitando sembrava una foschia azzurro-biancastra su un campo visivo che si stesse oscurando. Quando ebbe finito, aveva la fronte aggrottata. Si avvicinò alla consolle principale. I suoi passi rimbombavano sordamente sotto il peso ritrovato per il passaggio dell’astronave in mezzo a quel nuovo clan di famiglie stellari.

— Non è esatto — disse. — Ne ho viste molte e ormai lo so.

— Vuoi dire il colore? — chiese Foxe-Jameson. L’ufficiale di rotta aveva chiesto all’astrofisico di andare con lui sul ponte di comando. — La frequenza sembra troppo bassa rispetto alla nostra velocità? Ciò è dovuto semplicemente all’espansione spaziale, Auguste. La costante di Hubble. Stiamo sorpassando gruppi galattici la cui velocità diventa sempre più alta rispetto al nostro punto di partenza, quanto più avanti andiamo. È anche un bene. Altrimenti l’effetto Doppler potrebbe far convergere su di noi troppe radiazioni gamma che i nostri schermi materiali non riuscirebbero a bloccare. E, per essere sicuri, come sai molto bene, noi contiamo proprio sull’espansione dell’universo per aiutarci a trovare una situazione favorevole alla nostra fermata. Alla fine i cambiamenti stessi di velocità dovrebbero bilanciare la loro riduzione dell’efficienza Bussard.

— Questo fatto è ovvio. — Boudreau si chinò sul tavolo, con le spalle curve, rimuginando sugli appunti che aveva preso. — Ti dico, però, che ho osservato ogni singola galassia attraverso cui siamo passati o che si trovava a una distanza che permetteva di studiarla, in tutti questi mesi. I loro vari tipi mi sono diventati familiari. E, a poco a poco, questi tipi sono cambiati. — Girò bruscamente la testa verso il videoscopio. — Quella lassù, davanti a noi, per esempio, è di un genere irregolare, come sono pressappoco le Nubi di Magellano per i terrestri…

— Direi che, da queste parti, le Nubi di Magellano sarebbero per noi come la Terra — mormorò Foxe-Jameson.

Boudreau preferì ignorare quel commento. — Dovrebbe esserci un’alta percentuale di stelle di popolazione II — continuò. — Da qui dovremmo riuscire a vedere molte giganti azzurre individuali. Invece, non se ne vede neanche una.

«Tutti gli spettri che ricevo, fin dove posso interpretarli, stanno diventando diversi da ciò che è normale per i loro tipi. Nessun tipo di galassia sembra più regolare.

Alzò gli occhi. — Malcolm, che cosa sta accadendo?

Foxe-Jameson sembrò sorpreso. — Perché hai scelto me per fare questa domanda? — controbatté.

— Dapprima avevo soltanto una vaga impressione — esclamò Boudreau. — Non sono un vero astronomo. Inoltre, non riuscivo a ottenere dati di navigazione accurati. Conoscere il valore di tau, per esempio, richiede una tale quantità di supposizioni che… Bien, quando finalmente ho avuto la certezza che la natura del cosmo si stesse modificando, ho interpellato Charles Reymont. Sai come riesca a controllare tutti coloro che si lasciano prendere dal panico, e come abbia ragione di farlo. Egli mi ha consigliato di convocare uno della vostra squadra, senza far tanto chiasso, e di riferirgli in seguito la risposta ottenuta. Foxe-Jameson ridacchiò. — Poveri patetici accattoni! Non avete altro da far bollire in pentola? Veramente pensavo che una cosa del genere rientrasse nelle nozioni comuni. Così comuni che nessuno di noi professionisti ha pensato di spiegarle, nonostante che tutti aspirino a nuovi argomenti di conversazione. Questo ti fa pensare quante cose ci si lasci sfuggire, eh?

Qu’est-ce que c’est?

— Sta’ attento — disse Foxe-Jameson. Si sedette sull’orlo del tavolo, con soltanto una natica e una coscia appoggiate. — Le stelle si evolvono. Producono elementi più pesanti dell’idrogeno nelle reazioni termonucleari. Se una è così grande da esplodere — è il caso delle supernove — alla fine della sua esistenza, proietta alcuni di questi atomi nuovamente nello spazio interstellare. Però un processo più importante, anche se meno spettacolare, è la diffusione di massa da parte delle stelle più piccole, la maggioranza, nel loro stadio di giganti rosse in via di estinzione. Nuove generazioni di stelle e pianeti si condensano fuori da questo spazio arricchito e a loro volta contribuiscono a tale arricchimento. Nel corso delle varie ere si ha una proporzione crescente di soli ricchi di metallo. Ciò influenza lo spettro. Ma naturalmente nessuna stella restituisce più di una piccola percentuale del materiale che l’ha formata. La maggior parte della materia resta bloccata in corpi densi, che si raffreddano verso lo zero assoluto. Perciò il pulviscolo interstellare a poco a poco si svuota, si depaupera. Lo spazio tra le galassie diventa sempre più pulito. Il ritmo di formazione delle stelle diminuisce.

Fece un gesto in direzione della prua. — Alla fine si arriva a un punto in cui è possibile solo una piccola condensazione o neppure questa. Le stelle giganti azzurre, piene di energia e dalla breve esistenza, si bruciano e non hanno successori. I membri luminosi della galassia sono soltanto stelle nane — e alla fine non resta nulla tranne quelle fredde, rosse, povere del tipo M. Queste sopravvivono per almeno un centinaio di giga-anni.

«Ritengo che la galassia verso cui siamo diretti non sia ancora arrivata a questo stadio. Ma ci sta arrivando, ci sta arrivando.

Boudreau meditò sulle sue parole. — Allora non guadagneremo tanta velocità per galassia come abbiamo fatto in precedenza — disse. — No, se il gas e il pulviscolo interstellari sono già sfruttati e impoveriti.

— È vero — replicò Foxe-Jameson. — Non inquietarti. Sono sicuro che, per soddisfare le nostre esigenze, ne è rimasto in abbondanza. Non tutto si è raggruppato in stelle. Inoltre, abbiamo il pulviscolo intergalattico, quello compreso tra gli ammassi stellari, tra le famiglie — rarefatto, d’accordo, ma sempre utilizzabile ai nostri attuali valori di tau — e alla fine potremmo ricorrere allo stesso gas dello spazio compreso tra i clan.

Vibrò una manata amichevole sulla schiena dell’ufficiale di rotta. — Abbiamo ormai raggiunto trecento megaparsec, ricorda — gli disse. — Il che significa all’incirca mille milioni di anni di tempo. Dobbiamo aspettarci qualche cambiamento.

Boudreau era meno abituato di lui a questi concetti astronomici. — Vuoi dire — sussurrò, — che l’intero universo sta invecchiando tanto da permetterci di notarlo? — Per la prima volta da quando era bambino si fece il segno della croce.


La porta della saletta destinata alle conversazioni private era chiusa. Chi-Yuen esitò prima di premere il pulsante del campanello. Quando Lindgren la fece entrare, la piccola cinese disse timidamente: — Mi hanno detto che eri qui, sola.

— Stavo scrivendo. — Il primo ufficiale se ne stava dritta in piedi, ma con un atteggiamento un po’ curvo; ciò nonostante, superava di tutta la testa in altezza la planetologa. — Cose private.

— Mi dispiace molto disturbarti.

— Sono qui per questo, Ai-Ling. Siediti. — Lidgren tornò dietro alla sua scrivania, che era coperta di fogli scarabocchiati. La cabina ronzava e tremava per l’accelerazione irregolare. Rimaneva loro un giorno di gravità normale. La Leonora Christine stava attraversando un clan di dimensioni e ricchezza senza precedenti.

Per un po’, avevano nutrito la speranza che questo potesse finalmente essere il raggruppamento stellare dove riuscire a fermarsi, in qualche galassia che lo componeva. Osservazioni più attente avevano dimostrato il contrario. L’inverso di tau era diventato troppo elevato.

Un gruppo di passeggeri, nel corso di un’assemblea generale, aveva sostenuto che in ogni caso ci dovesse essere una decelerazione limitata, in modo che i requisiti per potersi fermare nel clan seguente fossero meno rigorosi. Non si poteva provare che tale richiesta fosse sbagliata; non si conosceva abbastanza il cosmo. Ci si poteva soltanto servire delle statistiche, come facevano Nilsson e Chidambaram, per provare che la verosimiglianza di trovare un posto dove fermarsi sembrava maggiore se continuava l’accelerazione. Il teorema era troppo complesso perché la maggior parte delle persone riuscisse a capirlo. Gli ufficiali dell’astronave decisero di fidarsi ciecamente della sua esattezza e di mantenere perciò la massima spinta in avanti. Reymont aveva dovuto domare alcuni individui le cui obiezioni rasentavano l’ammutinamento.

Chi-Yuen si sedette sull’orlo di una sedia destinata ai visitatori. Era piccola e linda nella sua tunica rossa dal colletto alto, larghi pantaloni bianchi, i capelli ravviati indietro con insolita severità e adorni di un pettine d’avorio. Lindgren creava un notevole contrasto non soltanto per la statura. La sua camicia era aperta sul collo, le maniche arrotolate, con qualche macchia qui e lì; aveva i capelli arruffati, gli occhi spiritati.

— Che cosa stavi scrivendo, se posso chiederlo? — si arrischiò a dire Chi-Yuen.

— Un sermone — rispose Lindgren. — Ma non è facile. Non sono una scrittrice.

— Tu, un sermone?

L’angolo sinistro della bocca di Lindgren si torse leggermente verso l’alto. — In realtà è la predica che terrà il capitano nelle festività del nostro ferragosto. Può ancora dir messa, in un certo modo. Ma mi ha chiesto di… animare le truppe in suo nome.

— Non sta più bene, non è così? — chiese Chi-Yuen, a bassa voce.

L’umorismo che brillava negli occhi di Lindgren scomparve. — No. Penso di potermi fidare di te, che non andrai a spifferarlo in giro. Anche se ormai tutti lo sospettano. — Aveva un gomito appoggiato al piano della scrivania e la fronte nascosta nella mano. — Le sue responsabilità lo stanno distruggendo.

— Come può biasimare se stesso? Quale scelta gli resta se non lasciare che i robot ci spingano sempre più avanti?

— Si preoccupa. — Lindgren sospirò. — Inoltre, quest’ultima disputa: nelle sue condizioni, è stato più di quanto potesse sopportare. Non è prostrato dal punto di vista nervoso, capisci; non del tutto, almeno. Ma non è più capace di affrontare la gente.

— È saggio fare una cerimonia? — si chiese Chi-Yuen.

— Non so — rispose Lindgren con voce esausta. — Semplicemente, non so. Ora che — non lo annunceremo, ma non possiamo impedire che la gente calcoli e parli — ora che siamo quasi oltre la boa del quinto o sesto miliardo di anni… — Rialzò la testa, lasciando ricadere la mano sul tavolo. — Celebrare qualcosa di strettamente terrestre come il ferragosto, ora che dobbiamo cominciare a pensare alla Terra come scomparsa…

Afferrò entrambi i braccioli della sedia. Per un attimo gli occhi azzurri sembrarono folli e ciechi. Poi il corpo contratto si rilassò, muscolo dopo muscolo; la donna si distese nel sedile finché il perno girevole si inclinò con un cigolio; infine disse con voce piatta: — Il commissario mi ha persuaso a proseguire i nostri soliti rituali. Per sfida. Per riunire i passeggeri, dopo l’ultima disputa. Per un rinnovato impegno religioso, soprattutto verso quel bambino non nato. La Nuova Terra: noi la strapperemo dalla stretta di Dio. Sempre che Dio significhi ancora qualcosa, almeno emotivamente. Forse potrei lasciare da parte la religione. Carl non mi ha dato alcuna indicazione particolare. Soltanto un’idea generale. Io dovrei essere il miglior portavoce. Io. Questo può dirti molto sulle nostre condizioni, non credi?

Batté le palpebre, tornando in sé. — Scusa — disse. — Non avrei dovuto riversare su di te i miei problemi.

— Sono i problemi di tutti, primo ufficiale — replicò Chi-Yuen.

— Ti prego. Chiamami Ingrid. Comunque, grazie. Se non te l’ho mai detto prima, lascia che te lo dica ora: in questo tuo silenzioso modo di essere, sei una persona-chiave a bordo. Un’oasi di serenità… Be’ — Lindgren unì le dita, — che cosa posso fare per te?

Lo sguardo di Chi-Yuen si posò rapidamente sul tavolo. — Si tratta di Charles.

Le punte delle unghie di Lindgren divennero improvvisamente bianche.

— Ha bisogno di aiuto — continuò Chi-Yuen.

— Ha i suoi agenti — osservò Lindgren con voce priva di inflessioni.

— Chi li fa andare se non lui? Chi sostiene tutti noi? Anche tu, Ingrid, anche tu dipendi da lui.

— Certo. — Lindgren incrociò le dita e le torse. — Devi capire… forse non te l’ha mai detto esplicitamente, non più di quanto abbia fatto con me e io con lui; ma è ovvio… tra lui e me non è rimasto alcun rancore. L’abbiamo cancellato, lavorando insieme. Gli auguro ogni bene.

— Allora, puoi dargli un po’ d’aiuto?

Lo sguardo di Lindgren si fece più acuto. — Che cosa vuoi dire?

— È stanco. Più stanco di quanto tu possa immaginare, Ingrid. E più solo.

— È la sua natura.

— Forse. Però, non è mai stato nella sua natura essere quelle cose inumane che è stato costretto a impersonare: un fuoco, una frusta, un’arma, un motore. Sono riuscita a conoscerlo un po’. Ultimamente l’ho osservato mentre dorme, le poche volte che gli è possibile. Le sue difese sono logorate. Talvolta lo sento parlare, in sogno, quando non è semplicemente in preda agli incubi.

Lindgren serrò le mani sul vuoto. — Che cosa possiamo fare per lui?

— Ridargli una parte della sua forza. Tu puoi farlo. — Chi-Yuen alzò gli occhi. — Vedi, ti ama.

Lindgren si alzò, si mise a camminare nel ristretto spazio dietro alla scrivania, percuotendo con una mano chiusa a pugno il palmo dell’altra. — Io mi sono assunta alcuni obblighi — disse infine. Quelle parole parvero torcere l’esofago.

— Lo so…

— Non posso distruggere un uomo, specialmente uno di cui abbiamo estremo bisogno. E non posso… tornare al libertinaggio. Devo essere un ufficiale, in tutto ciò che faccio. Questo vale anche per Carl. — Con voce rauca, aggiunse: — Rifiuterebbe!

Anche Chi-Yuen si alzò in piedi. — Non potresti dedicargli questa notte? — chiese.

— Cosa? Cosa? No. È impossibile, te l’ho detto. Oh, ne avrei il tempo, ma è comunque impossibile. È meglio che tu vada.

— Vieni con me. — Chi-Yuen prese Lindgren per mano. — Che cosa vuoi che ci sia di scandaloso nel fatto che vieni a fare visita a noi due nella nostra cabina?

L’alta donna la seguì con passo esitante. Salirono per le scale pulsanti fino al livello dei passeggeri. Chi-Yuen aprì la porta della sua cabina, fece entrare Lindgren e richiuse la porta alle sue spalle. Rimasero ferme in piedi, sole in mezzo agli ornamenti e ai ricordi di un paese che era morto molti giga-anni prima, e si guardarono l’un l’altra. Lindgren respirava pesantemente, rapidamente. Un rossore si sostituiva al pallore di prima sul suo volto, sul collo e sul petto.

— Dovrebbe essere qui tra poco — disse Chi-Yuen. — Non sa nulla. È il mio regalo per lui. Una notte, almeno: per dirgli e dimostrargli come non hai mai cessato di amarlo.

I letti erano separati. Ora Chi-Yuen abbassò la paratia di divisione. Non cercò nemmeno di trattenere le lacrime.

Lindgren la tenne vicina a sé per un attimo, la baciò, poi l’aiutò a chiudere definitivamente la paratia mobile. Infine Lindgren attese.

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