CAPITOLO TREDICESIMO

Ci si poteva avvicinare alla velocità della luce, ma nessun corpo che possedesse una massa a riposo poteva realmente raggiungerla. Gli incrementi di velocità con cui la Leonora Christine si avvicinava a quel limite impossibile erano sempre più piccoli. Così sarebbe potuto sembrare che l’universo che il suo equipaggio osservava non potesse essere ulteriormente distorto. L’aberrazione poteva, al massimo, spostare una stella di un angolo di 45°; l’effetto Doppler poteva spostare sul rosso i fotoni alle spalle dell’astronave all’infinito, ma soltanto raddoppiare le frequenze che arrivavano dal davanti.

Ma non c’era limite al valore inverso di tau e questa era la misura dei cambiamenti nello spazio percepito e nel tempo sperimentato. Ugualmente, non c’era neanche limite ai mutamenti ottici, e il cosmo davanti e dietro all’astronave poteva contrarsi a uno spessore zero dove erano comprese tutte le galassie.

Così, mentre l’astronave compiva la sua grande oscillazione con un semicerchio attorno alla Via Lattea, e si accingeva a tuffarsi nel suo cuore, il periscopio della Leonora Christine rivelò un fantastico agglomerato. Le stelle più vicine sfrecciavano via di lato sempre più velocemente, finché l’occhio le vide muoversi attraverso il campo visivo: perché in quel momento all’esterno trascorrevano anni mentre all’interno scattavano minuti. Il cielo non era più nero; era di un porpora luccicante, che si faceva più profondo e più brillante man mano che i mesi interni trascorrevano: perché l’interazione dei campi di forza e del corpuscolo interstellare — alla fine, il magnetismo interstellare — stava liberando particelle quantiche. Le stelle più avanti si stavano unendo in due globi, di un azzurro fiammeggiante davanti, di un profondo cremisi dietro. Ma gradatamente quei globi si contrassero fino a diventare punti, affievolendosi sempre più: perché quasi tutta la loro radiazione era stata rimossa dallo spettro visibile, verso i raggi gamma e le onde radio.

Il videoscopio era stato riparato ma riusciva sempre meno a compensare. I circuiti non erano semplicemente più in grado di distinguere i soli individuali a un grado superiore ad alcuni parsec. I tecnici presero lo strumento e lo ricostruirono con accresciute capacità, per paura di dover viaggiare completamente alla cieca.

Questo progetto, e svariate altre modifiche, erano probabilmente più utili a coloro che erano in grado di fare un simile lavoro di quanto lo fossero in sé. Quelle persone, infatti, non si ritiravano nel loro guscio come facevano troppi dei loro compagni di viaggio.


Boris Fedoroff trovò Luis Pereira al piano dove erano situati i laboratori idroponici. Si stava raccogliendo un’intera vasca di alghe. Il capo dei biosistemi lavorava con i suoi uomini, seminudo come loro, gocciolante della stessa acqua e della stessa melma verdastra, per riempire i vasi che stavano su un carrello. — Che schifo! — esclamò l’ingegnere.

I denti di Pereira scintillavano sotto i folti baffi. — Non disprezzare il mio raccolto con tanta enfasi — replicò. — Al momento opportuno lo dovrai mangiare.

— Mi chiedo come potesse riuscire così realistica l’imitazione del formaggio Limburger — disse Fedoroff. — Puoi assentarti un attimo per scambiare quattro parole con me?

— Non potremmo vederci più tardi? Non possiamo smettere finché siamo in ballo. Se il raccolto va a male, ti troveresti a stringere la cinghia per un po’.

— Neanch’io ho tempo da perdere — replicò Fedoroff, con un tono divenuto di colpo pressante. — Penso che sia meglio avere fame che andare in rovina.

— Allora, continuate voi — disse Pereira ai suoi collaboratori. Saltò fuori dalla vasca e si recò a una doccia dove si lavò in fretta. Senza preoccuparsi di asciugarsi o di rivestirsi, su quel piano dell’astronave dove la temperatura era mantenuta sempre a un grado ottimale di calore, condusse Fedoroff al suo ufficio. — In confidenza — ammise, — sono ben contento di avere una scusa per sospendere quel lavoro.

— Sarai meno contento quando sentirai la ragione che mi ha spinto qua. Vuol dire affrontare un duro lavoro.

— Ancora meglio. Mi stavo giusto chiedendo come avrei fatto a tenere insieme la mia équipe ancora per qualche tempo. La nostra attuale occupazione non è certo la più adatta a ingenerare spontaneamente l’esprit de corps. I ragazzi brontoleranno, ma saranno più felici con qualcosa da fare oltre la normale routine.

Attraversarono un reparto dove crescevano piante verdi. Le foglie si allineavano ai lati di ogni passaggio interno, riempiendo l’aria di un gradevole profumo, frusciando allorché venivano sfiorate. I frutti pendevano tra loro come lanterne. Si poteva capire perché in coloro che lavoravano in quel reparto ci fosse ancora un certo grado di serenità.

— Sono stato messo sull’avviso da Foxe-Jameson — spiegò Fedoroff. — Siamo abbastanza vicini alla nebulosa galattica centrale da potergli permettere di utilizzare i nuovi strumenti che sono stati preparati per ottenere dati precisi sulle densità di massa che si trovano laggiù.

— Lui? Credevo che l’uomo addetto alle osservazioni fosse Nilsson.

— E cosi dovrebbe essere. — La bocca di Fedoroff assunse pieghe amare e dure. — Ma Nilsson non combina più nulla. Ultimamente non ha fatto altro che cavillare e litigare. Il rimanente della sua équipe, anche un paio di uomini del laboratorio che prepara il loro materiale, come Lenkei… costoro devono fare tutto il lavoro che spetterebbe a lui, cavarsela come meglio possono.

— È un brutt’affare — disse Pereira, non più allegro e noncurante come prima. — Facevamo affidamento su Nilsson perché ci disegnasse gli strumenti per la navigazione intergalattica a un valore ultraridotto di tau, non è così?

Fedoroff annuì. — Nilsson farebbe meglio a tentare di superare la sua paura. Ma oggi il problema non è tanto questo. Stiamo per affrontare una massima concentrazione e tensione, non appena colpiremo quelle nuvole, sia a causa della relatività sia perché queste nuvole sono effettivamente dense. Sono ragionevolmente convinto che riusciremo a passarci attraverso, senza inconvenienti. Eppure, vorrei rinforzare alcuni settori dello scafo per sentirmi più sicuro. — Rifletté sul paradosso: — Sentirmi sicuro… in un viaggio come questo! Ad ogni modo, dobbiamo addestrare una squadra per le costruzioni e dovremo spostare le varie installazioni da dove ora si trovano. Voglio discutere con te le esigenze di ordine generale e studiare la situazione, in modo che tu possa pianificare le operazioni e ridurre al minimo gli inconvenienti che potrebbero derivare per il tuo lavoro.

— Certo, certo. Eccoci arrivati. — Pereira fece segno a Fedoroff di entrare in una stanzetta con una scrivania e un mobile-schedario. — Ti mostrerò una pianta dei nostri laboratori.

Parlarono di affari per oltre mezz’ora (al di fuori dell’astronave trascorsero secoli). Da Fedoroff era scomparsa qualsiasi traccia di quella giovialità di cui aveva dato prova all’inizio del colloquio e che una volta aveva costituito per lui la maschera abituale con cui si rivolgeva al mondo. Ora era diventato un uomo di poche parole, fin quasi al limite della villania.

Dopo che ebbe messo via disegni e annotazioni, Pereira disse con voce calma: — Non dormi bene la notte, non è così?

— Troppo occupato — grugnì l’ingegnere.

— Mio caro amico, il lavoro ti fa bene. Ma non è il lavoro ad averti fatto venire queste occhiaie. Si tratta di Margarita, è vero?

Fedoroff fece un balzo sulla sedia. — Che vuoi dire di lei? — Lui e Margarita Jimenes vivevano insieme da alcuni mesi, senza interruzione.

— Nella nostra piccola comunità, nessuno può fare a meno di notare che è afflitta da qualcosa.

Fedoroff teneva lo sguardo fisso verso la porta della stanza, verso la verzura che si intravedeva al di là. — Avrei voluto poterla lasciare senza sentirmi un disertore — esclamò poi.

— Mmm… se ricordi, sono stato con lei spesso prima che si mettesse definitivamente con te. Forse ho capito qualcosa che a te è sfuggito. Tu non sei privo di sensibilità, Boris, ma raramente entri in sintonia con la mente femminile. Vorrei che le cose tra voi due andassero bene. Ti posso aiutare?

— Il fatto è che Margarita rifiuta di sottoporsi alla cura antisenescenza. Né Urho Latvala né io riusciamo a farle cambiare idea. Senza dubbio io ho insistito troppo violentemente e le ho dato l’impressione di volerla intimidire. Non mi rivolge quasi più la parola. — Il tono di Fedoroff si fece più aspro. Continuava a fissare le foglie fuori dalla stanza. — Non sono mai stato innamorato… di lei. Né lei di me. Ma tra noi si era stabilito un certo affetto. Voglio fare tutto ciò che posso per Margarita. Ma che cosa?

— È una giovane donna — disse Pereira. — Se le circostanze di questo viaggio l’hanno resa, come potrei dire?, sovraeccitata, può reagire in modo irrazionale a qualsiasi cosa che le ricordi l’età della morte.

Fedoroff si scosse. — Non è ignorante! È perfettamente consapevole del fatto che il trattamento antisenescenza deve essere seguito periodicamente in tutto l’arco della vita adulta — altrimenti la menopausa la colpirà cinquant’anni prima di quanto sia necessario. Margarita dice che è appunto ciò che vuole!

— Perché?

— Vuole essere morta prima che i sistemi chimici ed ecologici si rompano. Hai previsto cinque decadi perché ciò accada, non è così?

— Sì. Un modo di morire lento e sgradevole. Se per allora non avremo trovato un pianeta…

— Margarita rimane cristiana. Nutre pregiudizi nei confronti del suicidio. — Fedoroff trasalì. — Neanche a me piace una simile prospettiva. E a chi piace? Lei non riesce a credere che non sia inevitabile.

— Io sospetto — esclamò Pereira, — che l’idea di morire senza aver avuto figli sia per lei il vero orrore. Era solita fare una specie di gioco per decidere i nomi che avrebbe dato ai numerosi figli che voleva.

— Vuoi dire… aspetta, lasciami pensare. Che il diavolo se lo porti, Nilsson aveva ragione l’altro giorno, a proposito della improbabilità che noi si riesca mai a trovare un posto dove stabilirci. Devo ammetterlo, la vita in tal caso sembra bellamente inutile.

— Specialmente a lei. Costretta a fronteggiare il vuoto, ella si ritira — inconsciamente, senza dubbio — verso una forma di suicidio permessa.

— Che cosa possiamo fare, Luis? — chiese Fedoroff con voce angosciata.

— Se il capitano venisse convinto a rendere obbligatoria la cura antisenescenza… Potrebbe trovare una giustificazione valida. Ammettiamo di riuscire a raggiungere un pianeta, a dispetto di tutto, in tal caso la comunità avrebbe bisogno che le possibilità procreative di ogni donna fossero al loro massimo.

L’ingegnere si infiammò di collera. — Un’altra norma da far applicare? Reymont che la trascina con la forza dal dottore? No!

— Non dovresti odiare Reymont — lo rimproverò Pereira. — Tu e lui siete simili. Nessuno di voi due è un vigliacco.

— Un giorno lo ucciderò.

— Ora manifesti la tua vena romantica — esclamò Pereira, cercando di calmare le acque. — Reymont è la personificazione del pragmatismo.

— Che cosa farebbe lui a proposito di Margarita, allora? — lo schernì Fedoroff.

— Oh… non so. Comunque, qualcosa di non sentimentale. Per esempio, potrebbe organizzare una squadra di ricerca e sviluppo per migliorare i biosistemi e gli organocicli… per rendere l’astronave indefinitamente abitabile… cosicché Margarita potrebbe essere autorizzata ad avere almeno due figli…

La sua voce si spense. I due uomini si fissarono a bocca aperta, mentre tra di loro sembrava fiammeggiare una domanda:

Perché no?


Maria Toomajian entrò correndo nella palestra e vi trovò Johann Freiwald che si allenava al trapezio. — Agente! — gridò. Lo sgomento faceva tremare la sua voce. — Nella sala di ricreazione, una rissa!

L’uomo balzò al suolo e si lanciò nel corridoio. Dapprima fu raggiunto dal rumore, un parlottio concitato. Una dozzina di persone, in quel momento fuori servizio, erano riunite in circolo. Freiwald si aprì un varco tra loro. In mezzo, il secondo pilota Pedro Barrios e l’aiutante cuoco Michael O’Donnell si erano fatti poco male, ma era comunque un brutto spettacolo.

— Smettetela! — ruggì Freiwald.

I due si fermarono, con aria torva. In altre precedenti occasioni la gente aveva avuto modo di sperimentare i trucchi che Reymont aveva insegnato alle sue reclute. — Che cos’è questa farsa? — domandò Freiwald. Poi si rivolse agli spettatori presenti, con voce altrettanto piena di disprezzo: — Perché nessuno di voi è intervenuto? Siete troppo stupidi per capire dove può portarci un comportamento del genere?

— Nessuno può accusarmi di barare alle carte — esclamò O’Donnell.

— L’hai fatto — ritorse Barrios.

Si lanciarono di nuovo l’uno contro l’altro, ma le mani di Freiwald scattarono in avanti. Afferrò i litiganti per il colletto della loro tunica e impresse alle mani un movimento circolare, così da far pressione sul pomo d’Adamo di entrambi. Gli uomini si contorsero e scalciarono, ma Freiwald assestò loro un paio di fumikomi facendoli ansimare per il dolore e gridare.

— Avreste potuto usare i guantoni o i bastoni kendo sul ring — disse Freiwald. — Adesso sarete portati davanti al primo ufficiale.

— Ehm, scusatemi. — Un nuovo arrivato, un uomo magro, dall’aria azzimata, si fece largo tra gli imbarazzati testimoni e batté leggermente la mano sulla spalla di Freiwald: era il cartografo Phra Takh.

— Non credo che sia necessario.

— Fatti gli affari tuoi — grugnì Freiwald.

— Sono affari miei — rispose Takh. — La nostra unità è un fattore essenziale per le nostre vite. Non sarà certo incoraggiata da punizioni ufficiali. Sono amico di entrambi questi uomini e credo di poterli riappacificare.

— Dobbiamo avere rispetto per la legge, o siamo finiti — replicò Freiwald. — Li porto dal primo ufficiale.

Takh prese una decisione. — Posso prima parlarti un attimo in privato? Un minuto solo? — Il suo tono rivelava una certa urgenza.

— Be’… d’accordo — acconsentì Freiwald. — Voi due aspettate qui.

Entrò nella sala da gioco con Takh e chiuse la porta. — Non posso permettermi di lasciarli andare impuniti dopo avermi opposto resistenza — disse. — Da quando il capitano Telander ci ha concesso ufficialmente il grado di agenti, noi operiamo in nome dell’astronave. — Poiché indossava soltanto un paio di calzoncini corti, abbassò una calza per far vedere la contusione sulla caviglia.

— Potresti ignorare questo fatto — suggerì Takh, — far finta di non essertene accorto. Non sono cattivi ragazzi. Sono semplicemente resi furiosi da questa esistenza monotona e priva di scopo, dall’ossessionante domanda se riusciremo a superare ciò che ci aspetta o se finiremo per schiantarci su una stella.

— Se permettiamo che chiunque si sottragga alle conseguenze di un personale atto di violenza…

— Supponiamo che li prenda da un lato e riesca a smussare la loro reciproca ostilità e a convincerli a chiederti scusa. Ciò non servirebbe alla causa più di un arresto e di una punizione sommaria?

— Potrebbe — replicò Freiwald in tono scettico. — Ma chi mi garantisce che tu sia in grado di farlo?

— Anch’io sono un agente speciale — disse Takh.

— Cosa? — Freiwald strabuzzò gli occhi.

— Chiedilo a Reymont, quando riesci a trovarlo solo. Io non dovrei rivelare a nessuno di essere stato reclutato, tranne a un agente regolare in una situazione di emergenza. E io ritengo che questa lo sia.

Alber… perché?

— Reymont incontra personalmente molto risentimento, resistenze e scappatelle — gli spiegò Takh. — I suoi agenti a mezzo servizio regolarmente riconosciuti, come è il tuo caso, hanno meno inconvenienti di questo tipo. Raramente vi tocca qualche sporco lavoro. Eppure, una certa opposizione nei vostri riguardi esiste e certamente nessuno vi confiderebbe qualcosa sapendo che Reymont potrebbe obiettare. Io non sono… una spia. Non dobbiamo fronteggiare alcun reale problema criminale. Devo fare piuttosto da elemento moderatore, sfruttando il meglio delle mie possibilità. Come nel caso di oggi.

— Pensavo che a te Reymont non piacesse — disse debolmente Freiwald.

— Non posso dire che mi piaccia — rispose Takh. — Ma, anche se le cose stanno così, egli mi ha preso da parte e mi ha convinto che potevo rendere un servizio all’astronave. Mi auguro che non lascerai trapelare questo segreto.

— Oh, no, certamente no. Non lo confiderò neanche a Jane. Che sorpresa!

— Mi lascerai trattare con Pedro e Michael?

— Sì, certo. — Freiwald parlava in tono assente. — Quanti altri agenti del tuo tipo ci sono in giro?

— Non ne ho la più pallida idea — disse Takh, — ma ho il sospetto che Reymont speri alla fine di reclutarci tutti. — Se ne andò.

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