Il più sfortunato, disastrato e infelice tra i miei romanzi è senza dubbio quello che cominciai all’inizio del 1943 e completai circa dieci anni più tardi in due versioni alquanto diverse: la più lunga intitolata The Sinful Ones (Scacco al tempo) e la più breve You’re All Alone (Siamo tutti soli).
Immaginate il gennaio del ’43. Avevo appena celebrato Pearl Harbor — il subconscio si pasce di morte, terrore e distruzione — scrivendo i miei primi due romanzi, che erano stati pubblicati sulle riviste dirette da John W. Campbell: Conjure Wife (Ombre del male) era uscito su Unknown e Gather Darkness! (L’alba delle tenebre) su Astounding Stories. Si era in piena guerra, e nella mia qualità di scrittore e disoccupato temevo di essere chiamato alle armi nonostante avessi moglie e un figlio piccolo. Comunque, riuscivo a controllare la paura e anzi il mio subconscio si era rimesso in fermento.
Ero affascinato dall’idea di una o più persone che vivessero nei corridoi e tra gli scaffali di un’immensa biblioteca pubblica (proprio come i personaggi del bellissimo racconto di John Collier Evening Primrose, che però abitano un grande magazzino): una situazione di questo tipo prometteva un’atmosfera di deliziosa melanconia, spettralità, innumerevoli espedienti fantastici e un’infinita serie di allusioni letterarie. Pensai di combinare quest’idea con il vecchio interrogativo del solipsismo: “Gli altri sono vivi davvero? Anche dietro le loro facce si nasconde una mente come la mia?”. Questo problema conduceva elegantemente a un’altra domanda, e cioè se il behaviorismo fosse una soddisfacente teoria psicologica dell’uomo: si può descrivere la mente solo in base alle azioni dell’individuo, senza tener conto dei sentimenti e del pensiero?
Eccomi dunque lanciato, senza paura, nel mio terzo romanzo! Finii rapidamente i primi quattro capitoli e, come avevo fatto con i romanzi precedenti, li spedii a Campbell a New York (io vivevo in California, nel Santa Monica Canyon) aspettandomi un giudizio ed eventuali consigli.
Ma la sua risposta mi gelò: Unknown, da poco ribattezzata Unknown Worlds, stava per sospendere le pubblicazioni a causa delle restrizioni belliche sulla carta; Campbell non avrebbe più acquistato racconti e romanzi soprannaturali. Nel mondo editoriale dell’epoca questo significava una cosa soltanto: per il mio libro non c’era più mercato. Astounding Stories accettava solo fantascienza tecnologica, Weird Tales non prendeva in considerazione i romanzi a puntate e del resto non si era mostrata troppo sollecita nemmeno verso i miei racconti. Tentare il mercato librario? Uno scrittore abituato a vendere ai pulp magazines non ci pensava neppure, e a quell’epoca ben pochi editori erano in caccia di racconti fantastici. Quanto ai tascabili come li conosciamo adesso, non esistevano.
Quello fu il primo colpo di sfortuna, forse il peggiore. Se solo la notizia della chiusura di Unknown mi fosse arrivata due mesi più tardi! Avrei avuto il tempo di finire il libro e, qualunque ne fosse la sorte, il materiale sarebbe uscito dal mio inconscio liberando per sempre quella parte di me.
So che avrei dovuto finirlo comunque, ma ormai avevo esaurito tempo e coraggio: così lasciai perdere il romanzo e mi abbandonai al mio nuovo impiego, ispettore di precisione in una fabbrica della Douglas Aircraft a Santa Monica. Continuavo a scrivere racconti e poesie, ma in quantità di gran lunga inferiore.
Dopo la guerra, soffrendo acutamente per la sconfitta letteraria inflittami dagli eventi, ripescai i quattro capitoli e mi chiesi cosa avrei potuto farne.
Un amico, anche lui scrittore di cose fantastiche, li lesse con attenzione e convenne che la miglior via da tentare fosse il mercato dei libri rilegati: la situazione era un po’ migliorata. William Sloane, i cui ottimi romanzi soprannaturali To Walk the Night (Selena) e The Edge of Running Water avevano riscosso notevole successo, aveva fondato una nuova casa editrice per favorire il genere.
Così, durante i quattro anni successivi mentre lavoravo a tempo pieno come redattore della rivista Science Digest e pubblicavo ogni tanto un racconto di horror o fantascienza, ripresi in mano il mio romanzo e a poco a poco riuscii a dargli piena consistenza: circa 170 pagine.
Nel frattempo, però, la casa editrice William Sloane Associates era inciampata in Greener Than You Think di Ward Moore e in The Well of the Unicom (Il pozzo dell’unicorno) di Fletcher Pratt, due libri che nel tempo hanno acquistato un’invidiabile reputazione ma che allora provocarono il divorzio fra Sloane e il fantastico. Spedii il mio romanzo a tutti gli altri editori di libri rilegati e accumulai rifiuti dopo rifiuti.
Intanto, benché non stimolato da facili successi, il mio bisogno di scrivere si faceva sempre più intenso. Avevo molto materiale e assunsi il mio primo agente, Frederik Pohl, che mi consigliò di inviare il libro a Howard Brown e Bill Hamling, i responsabili della rivista Fantastic Adventures. Lo feci e mi risposero che avrebbero accettato il romanzo se l’avessi ridotto più o meno di un terzo.
Feci ancor meglio; tornai con l’immaginazione al 1943 e ai sentimenti che provavo allora, dimenticai la versione lunga e finii You’re All Alone proprio come avrei voluto fare dal primo momento per Campbell e Unknown (questa, almeno, era la mia impressione). E fui felice di vederlo finalmente pubblicato su una rivista.
Ma ciò non risolveva il problema della versione lunga, che circolava ancora, con lentezza, fra gli editori di libri rilegati. Sembrava un peccato che un lavoro tanto faticoso dovesse languire nell’oblio, e così quando Fred individuò un possibile editore io mi sentii incline a cederglielo fin dall’inizio. La casa editrice si chiamava Universal Publishers and Distributors e pubblicava una serie di Paperback doppi come quelli della Ace (due romanzi di autori diversi uniti nello stesso volume). Sentendo che avevo una versione più lunga di You’re All Alone avevano drizzato le orecchie, e quindi glielo inviai. Mi offrirono cinquecento dollari: la cosa mi fece molto piacere e mi indusse, incautamente, a firmare un contratto che non prevedeva la reversione dei diritti.
Quando il libro uscì, nel 1953, scoprii che avevano cambiato il titolo senza consultarmi e che adesso si chiamava The Sinful Ones (letteralmente: I peccatori); avevano titolato i vari capitoli in modo che il contenuto sembrasse un po’ sexy e il tutto era abbinato a un romanzo breve sulle avventure di una torera che si chiamava Sangue, tori e passione. Esaminando il libro più attentamente, notai che la redazione aveva “rinforzato” due o tre delle mie scene d’amore nel tipico stile soft porn degli anni Cinquanta, che oggi ci sembra del tutto innocente proprio a causa del linguaggio.
Non bisogna invidiare gli scrittori che lavorano in un periodo di graduale liberalizzazione e indebolimento della censura. È molto meglio, da un punto di vista artistico, scrivere quando la censura è forte e intransigente o quando è assente del tutto. Lo so per esperienza personale.
Nei periodi di transizione lo scrittore che decida di affrontare il tema del sesso sarà indotto inevitabilmente a spingersi un po’ più avanti di quanto lui stesso o i suoi colleghi abbiano fatto fino a quel punto, col risultato che ricorrerà a tutta una serie di espressioni e metafore “incomplete” che, nel giro di pochi anni, cominceranno a suonare bizzarre, grottesche o addirittura ridicole.
Uno dei romanzi più belli e commoventi che abbia mai letto è All Men Are Enemies di Richard Aldington, ma sfogliate le poche scene erotiche (soprattutto quella in cui gli amanti fanno il bagno) e vedrete come si trasforma il linguaggio… L’unico modo in cui possa descriverlo è “curioso, molto curioso”. (Un sistema per evitare tutto questo consiste nel manipolare le parole in modo da trasformarle in una burla nei confronti del censore, come faceva James Branch Cabell, ma la cosa ha degli svantaggi sotto altri punti di vista).
A volte la questione si trasforma in una battaglia all’ultima parola. Quando apparve la prima edizione dell’Uomo ombra di Dashiell Hammett, ricordo che la gente mormorava perché la parola “erezione” vi era usata nel suo significato sessuale. È molto strano, ma nelle edizioni più recenti (almeno in quelle tascabili) il termine in questione è scomparso. Forse a qualcuno sarà sembrato troppo letterale, addirittura clinico.
Nel contratto che io avevo firmato per The Sinful Ones, d’altra parte, non c’era una clausola che prevedesse l’approvazione dell’autore per eventuali cambiamenti e così non potei farci niente.
Cambiamo scena: passano quindici anni e un editore di tascabili, la Ace, decide di ristampare la versione breve You’re All Alone, rimpolpandola con due miei racconti (“Quattro spettri nell’Amieto” e “La creatura dagli abissi di Cleveland”) per arrivare al numero di pagine desiderato. In un eccesso di zelo pensai che dovessimo ottenere comunque il benestare della Universal Publishers, e quei signori trascinarono la cosa per anni (benché non avessero la minima intenzione di ristampare lo sciagurato Sangue, tori e passione). Per sbloccare la situazione dovetti ricomprare i diritti del mio romanzo pagandoli cinquecento dollari, cioè la stessa somma che mi avevano versato all’epoca dell’originaria pubblicazione.
E vi meravigliate se definisco “disastrato” il mio terzo romanzo, questa specie di mostro a due teste? È un aggettivo persino troppo elevato, troppo poetico rispetto alla sorte cui è andato incontro!
Oggi The Sinful Ones (in italiano Scacco al tempo) appare ancora una volta, e da solo. L’ho riesaminato con maggior attenzione; una volta possedevo una copia carbone del manoscritto originale, ma è andata persa circa sette anni fa e ho dovuto lavorare sul testo pubblicato. Non possedevo copie delle scene d’amore come le avevo scritte in origine e non le ricordavo più a memoria.
Ho deciso, d’accordo col mio editore, che il titolo del libro e quelli dei capitoli dovessero rimanere come nell’edizione Universal: dopotutto, erano stati così per ventisette anni e avrebbero potuto aiutare qualcuno a identificare il romanzo, ammesso che l’avesse visto nella sua prima incarnazione.
Nell’apportare le necessarie correzioni al testo, mi sono limitato a eliminare errori o confusioni introdotte dalla Universal all’epoca della redazione originaria e del suo “accoppiamento”. Alcuni, lo ammetto, possono essere errori o discrepanze che esistevano già nel mio manoscritto.
Tuttavia, non ho potuto lasciare inalterate le scene erotiche: erano troppo sciocche e datate, troppo soft porn stile 1953. Quindi le ho riscritte come farei oggi, lavorando senza l’ombra della censura ma cercando di non tradire lo spirito dei miei personaggi come li avevo inizialmente concepiti.
Fritz Leiber (1980)