C’era sempre il modo di arrangiarsi. Gonle Fong aveva vissuto tutta una vita in base a questo principio. La missione alla stella OnOff era il genere di progetto a lunga durata che interessa gli studiosi più che i commercianti. Ma Gonle aveva visto il modo di arrangiarsi. Poi c’era stato l’attacco a tradimento degli Emergenti, e quella che era stata una lunga missione era diventata un lungo periodo di esilio e di prigionia. Una servitù agli ordini di gente spietata. Ma anche così c’era stato il modo di tirare avanti alla meglio. Per vent’anni della sua vita soggettiva lei c’era riuscita, aveva vissuto, se l’era perfino cavata bene… almeno, dal punto di vista di chi aveva toccato il fondo.
Ora le cose stavano cambiando. Jau Xin non si faceva vedere da quattro giorni, ovvero dall’inizio dell’attuale Turno di Gonle. Dapprima lei aveva sentito dire che Xin e Rita Liao erano stati spostati al Turno C, e che ora si trovavano in sonno freddo. Questo mandava all’aria tutti i progetti che lei e Rita avevano pensato di sviluppare insieme, ed era anche dannatamente insolito. Poi Trinli aveva riferito che dall’attico di Hammerfest mancavano due piloti, due testerapide. In tal caso, forse Rita era ancora nel congelatore, ma Jau Xin e le due testerapide erano… da qualche parte. A questo punto erano nate altre voci: Jau era partito per una spedizione alla stella spenta, oppure era atterrato sul mondo dei Ragni. Trud Silipan appariva al bar di Benny solo per brevi visite e con l’aria di conoscere dati che stavolta non intendeva condividere con nessuno. Questo, ancor più che il resto, dimostrava che qualcosa di molto strano stava accadendo.
Gonle aveva organizzato delle scommesse sulle varie ipotesi, ma lei stessa si stava tormentando l’anima con gli interrogativi, così non fu per nulla delusa quando i grossi calibri decisero di metterli tutti a parte del segreto.
Tomas Nau invitò un manipolo di semplici membri dell’equipaggio nella sua residenza privata, per metterli al corrente. Per Gonle fu la prima visita al Lago-Parco dopo l’apertura. In quell’occasione il caponave aveva voluto fare le cose in grande, ma in seguito il posto era stato chiuso a tutti… anche se, per essere onesti, la cosa poteva essere giustificata da ciò che era accaduto ad Anne Reynolt durante il trattenimento.
Mentre Gonle e gli altri tre membri dell’equipaggio si avviavano sul sentiero autoaderente verso la dimora di Nau, lei valutò i dintorni con sguardo critico. — E così sono riusciti a far piovere, qui dentro… se lo sapevo, mi sarei portata un ombrello. — In realtà un ombrello sarebbe servito a poco; la pioggia che li stava bagnando era fine come una nebbia, e in assenza di gravità si muoveva solo nella direzione della brezza.
Pham Trinli ebbe una risatina sardonica. — Scommetto che questi sono i nostri rifiuti riciclati, e non preziosa acqua. Di questi parchi a imitazione di gravità ne ho visti altri, solitamente fatti fare da Clienti con più denaro che buonsenso. Se uno vuole avere un vero terreno e un vero cielo deve andarseli a cercare su un pianeta. Altrimenti finisce col ritrovarsi un sacco di porcheria appiccicata al suo bel cielo azzurro.
Camminando accanto a lui Trud Silipan disse: — Il cielo mi sembra molto pulito, qui.
Trinli alzò lo sguardo nella pioggia-nebbia. Le nuvole, grigie e pesanti, si spostavano veloci verso il lago, ed erano più false delle colline, che se non altro erano state fatte con uno strato di vera roccia. Non era uno spettacolo particolarmente affascinante per Gonle Fong, che era nata nello spazio, ma se non altro sembravano nuvole pulite. — Già — annuì, dopo un momento. — Sono d’accordo con te, Trud. Bisogna dire che Ali Lin è un genio.
Silipan non apprezzò il complimento, non essendo diretto a lui. — Non è solo Ali Lin. Quel che conta è la coordinazione, lo ho una squadra di testerapide che se ne occupano. Una volta all’anno fanno un controllo completo. Un giorno o l’altro riusciremo a studiare un modo per realizzare onde che sembrino vere.
Gonle gettò un’occhiata a Ezr Vinh e scosse il capo. Nessuno di quei due buffoni avrebbe mai ammesso che il lavoro — tirarsi su le maniche e saper collaborare — era la fonte di ogni cosa, lì dentro. Anche se l’equipaggio non era più invitato al Lago-Parco esso forniva un continuo apporto di sostanze chimiche e alimentari, e di sistemi tenuti in funzione, e inoltre lavorava il legname e altre cose prodotte da quella boscaglia.
La nebbia-pioggia li accompagnò fino alla veranda, rovinando con le sue evoluzioni l’impressione di gravità che davano le piante radicate al suolo. Poi furono dentro, e poterono riscaldarsi al camino a legna del caponave, dove il fuoco era orientato a bruciare verso l’alto grazie a un espediente. Tomas Nau li invitò con un gesto a prendere posto intorno a un largo tavolo. A esso sedevano già Ritser Brughel e Anne Reynolt, mentre altre tre figure erano in piedi stagliate contro la luce di una vetrata. Una era Qiwi.
— Oh, salve Jau, Rita — li salutò Ezr. — Ben… tornati.
Che fossero “tornati” ancora nessuno lo sapeva per certo, comunque anche Jau Xin e Rita Liao erano lì. Nau accese le luci della stanza. Il calore e l’illuminazione non erano diversi da ogni altra casa civile, ma il caminetto e gli alberi visibili fuori dalle finestre davano qualcosa di intimo e protetto all’atmosfera.
— Prendete una poltroncina — li invitò il caponave, e andò a sedersi. Come al solito il suo atteggiamento era quello di un comandante generoso e di mente aperta. Ma non mi inganna neppure per un momento, pensò Gonle. Prima di quella missione lei ne aveva fatto altre, e alle sue spalle c’era un’esperienza con tre culture umane diverse, in altrettanti sistemi lontani. Aveva conosciuto Clienti di ogni mentalità e ogni tendenza politica: tirannie, democrazie, oligarchie religiose, tecnocrazie e demarchie. C’era sempre il modo di fare affari con tutti. Il grande capo Nau era un bastardo, ma un bastardo intelligente che capiva di dover venire a patti, Qiwi lo aveva capito, molti anni prima. Era un peccato che fosse lui a tenere il coltello per il manico… questo non era parte del modo in cui ai Qeng Ho piaceva fare affari. Le cose diventavano spiacevoli quando non si riusciva a tenere alla larga i figli di puttana. Ma alla lunga anche con loro si poteva trattare.
Il caponave salutò ognuno di loro con un cenno del capo. — Grazie per essere intervenuti, signori. Come già sapete, questa riunione è trasmessa in diretta sulla rete locale, ma spero che apprezzerete di essere qui di persona. — Sorrise. — Sono certo che le notizie che sto per darvi faranno discutere molto i vostri amici, al bar di Benny. Si tratta di notizie incredibilmente buone, ma con esse ci viene anche proposta una grande sfida. Il direttore dei piloti, il signor Xin, è appena tornato dall’orbita inferiore di Arachna. — Fece una pausa, e Gonle pensò: Scommetto che nel bar di Benny non si sente volare ima mosca. — E ciò che ha scoperto laggiù è… molto interessante. Jau, la prego… descriva lei la missione.
Jau Xin si alzò, coi piedi a contatto del suolo. Seduta accanto a lui la sua compagna lo teneva per mano. Gonle notò che l’attenzione della donna era tutta per lui. Scommetto che l’hanno lasciata in ghiaccio mentre lui era fuori; questo era l’unico modo per farle tenere la bocca chiusa fino a missione compiuta. Rita sembrava sollevata, dunque qualunque fossero le notizie non dovevano essere cattive.
— Sì, signore. Su sue istruzioni io sono stato tolto dal sonno freddo in anticipo, per un approccio ravvicinato ad Arachna. — Mentre l’uomo parlava, Qiwi distribuì dei visori di modello Qeng Ho. Gonle le mormorò di passaggio un’offerta d’acquisto; l’altra sorrise e sussurrò: — Più presto di quello che credi! — Il grande capo ancora non permetteva che l’equipaggio avesse quella roba. Chissà, magari le cose stavano per cambiare. I visori furono sintonizzati su quello di Jau. Lo spazio sopra il tavolo si arricchì di una vista tridimensionale dell’ammasso di L1. Lontano, sotto il pavimento, c’era il disco luminoso del mondo dei Ragni.
— I miei piloti e io abbiamo preso l’unica scialuppa in grado di funzionare. — Una striscia d’oro si allungò verso il pianeta, accelerò fino a metà della distanza e cominciò a rallentare. La visuale si trasferì a bordo della scialuppa. Il disco di Arachna era più grande. Sembrava congelato e morto come quando gli umani lo avevano visto per la prima volta. Ma una differenza c’era: le vaghe chiazze luminose nella parte in ombra dell’emisfero settentrionale. Le maggiori città avevano le luci accese.
La voce di Pham Trinli uscì dalla penombra, incredula, protestando: — Ehi, ma in questo modo vi sarete fatti vedere!
— No — rispose la Reynolt. — Siamo stati inquadrati dai radar del loro sistema difensivo antimissile, ma la navetta ha affiancato uno dei satelliti Kindred e il suo segnale si è mescolato a quello.
— I loro progressi in questo campo sono stati eccezionali. Dovremo tenerne conto in futuro… — Trinli controllò i dati che arrivavano sul suo display, e il suo tono si fece indignato. — L’altitudine del satellite è dodicimila chilometri! Dev’esserci un errore!
Il sogghigno di Jau si allargò. — Nessun errore. Questo è anzi il motivo per cui ho dato uno sguardo da vicino. Ora, come potete vedere dalle immagini…. dopo un primo esame del satellite si è deciso di prenderlo a bordo. Per non essere avvistato dai suoi apparati di rilevamento ho dovuto distruggere la sua telecamera con un laser.
Fra i commenti stupiti che si levarono dai presenti Gonle alzò una mano. — Questo satellite, vuoi dire che ora lo abbiamo noi? Come sono riusciti a costruirlo, i Ragni?
Nau le elargì un sorrisetto. — Penso che la signora Fong abbia individuato il nocciolo della situazione. Ricordate quelle storie sulle supposte anomalie gravitazionali scoperte dai Ragni su un loro altipiano? In breve, sembra che nella faccenda ci sia qualcosa di vero. I militari Kindred hanno scoperto una specie di… possiamo chiamarla antigravità. Evidentemente ci hanno studiato sopra in segreto per una decina d’anni. Noi non ne abbiamo mai avuto alcun cenno, perché il servizio informazioni dell’Alleanza se l’è lasciato sfuggire e la nostra penetrazione nelle organizzazioni Kindred è scarsa. Questo satellite ha una massa di otto tonnellate, ma almeno due sono composte da uno speciale rivestimento di ceramica. I Kindred usano questo singolare materiale per aumentare la capacità di spinta dei loro razzi. Ne ho qui un frammento con cui posso darvi una dimostrazione…
Nau si rivolse all’aria: — Spegnere il fuoco nel camino. Spegnere la luce centrale e la ventilazione. — Gonle sapeva che non stava parlando a degli automatismi, ma alle testerapide in ascolto. Il caponave tolse di tasca una piastra scintillante e la mostrò a tutti. Era larga un palmo, quadrata, e sul lato esterno rifletteva la luce in tutti i colori dell’arcobaleno. — Questo è il materiale di rivestimento del satellite. Sotto c’era uno strato di conduttori rozzo ma efficace, che abbiamo staccato. Chimicamente ciò che vedete è un miscuglio di molecole di diamante incorporate in una specie di ceramica. Ora osservate. — Depose la piastra sul tavolo e ordinò di accendere la luce. Tutti guardarono in silenzio… e dopo un momento il quadrato iridescente si sollevò nell’aria. Dapprima il movimento parve dovuto a una corrente d’aria nella micro-gravità, ma l’aria della stanza era ferma. Il movimento stava inoltre accelerando. La piastra girò su se stessa, accelerò ancora e andò a sbattere con un tonfo sul soffitto, restandovi appiccicata.
Nessuno disse nulla, per parecchi secondi.
— Signore e signori, noi siamo venuti alla stella OnOff sperando di trovare qualcosa di prezioso che ripagasse del viaggio. Finora avevamo una nuova teoria astrofisica, che consente nuovi sviluppi della propulsione ram. La biologia del mondo dei Ragni è anch’essa un capitale, scientificamente, e questo basterebbe a ricompensare i nostri sforzi. Ma non possiamo negare che ci eravamo aspettati di più. Avevamo sperato di trovare i discendenti, e la scienza, di una razza capace di viaggiare nello spazio. Ebbene, dopo quarant’anni sembra che abbiamo avuto successo. Un pieno successo.
Forse Nau aveva fatto bene a non indire una riunione generale. Le sue parole scatenarono subito un diluvio di commenti. Dio solo sapeva cosa stava succedendo nel bar di Benny. Alla fine Ezr Vinh mise sul tappeto la domanda più importante: — Lei sta dicendo che sono stati i Ragni a costruire questa roba?
Nau scosse il capo. — Non ho detto questo. I Kindred hanno dovuto raffinare molte tonnellate di roccia estratti dalla loro miniera prima di ottenere una sola piastra come quella che avete visto.
Trinli disse: — Da molti anni abbiamo le prove che i Ragni si sono evoluti qui, e che non hanno mai avuto una tecnologia superiore.
— È vero. E neppure i loro archeologi hanno motivo di supporre che ci siano state visite dallo spazio. Ma… questa roba è artificiale, anche se soltanto noi possiamo riconoscerla per tale. Le testerapide di Anne hanno analizzato il materiale per diversi giorni. È una matrice, processata e coordinata.
— Lei ha detto che i nativi l’hanno raffinata da una miniera.
— Sì. Questo mi conduce a una conclusione ancora più fantastica. Per quarant’anni noi abbiamo pensato che questa polvere di diamante, contenuta nelle rocce sedimentarie di Arachna, sia di origine naturale o prodotta dal precipitare di detriti organici su antichi fondali marini. Ora sembra che siano resti fossili di micro-apparati artificiali. Alcuni di loro evidentemente riassumono le primitive funzioni quando vengono concentrati. Sono come i localizzatori, ma molto più piccoli e con uno scopo particolare… quello di manipolare le leggi fisiche, in modi che ancora siamo lontani dal capire.
Trinli sembrava stordito come se avesse appena incassato un ceffone, e quando parlò parve che quel colpo avesse spazzato via tutta la sua tracotanza. — Nanotecnologia. Il sogno.
— Cosa? Sì, sembra un sogno. Ma è realtà. — Il caponave guardò la piastra incollata al soffitto e sorrise. — Chiunque abbia visitato questo mondo, la cosa è successa milioni o miliardi di anni fa. Non troveremo i segni del loro atterraggio, né la loro spazzatura, ma i resti della loro tecnologia sono dappertutto.
Vinh disse: — Noi stavamo cercando dei viaggiatori interstellari, ma piccoli come siamo vedevamo solo le loro caviglie. Forse anche questi… — Si volse a indicare fuori da una finestra, e Gonle capì che si riferiva ai diamanti di L1. — Forse anche questi sono oggetti artificiali.
Brughel si piegò in avanti. — Sciocchezze. Questo è semplice diamante, cristallo. — Ma c’era un’ombra di incertezza nello sguardo aggressivo che girò intorno al tavolo.
Nau esitò un istante a quel pensiero, poi ebbe una risatina e accennò al suo scagnozzo di calmarsi. — Stiamo parlando come se anche noi fossimo preda di fantasie da Era dell’Alba. I fatti nudi e crudi sono già fin troppo straordinari senza bisogno di arricchirli con altre teorie. Con ciò che abbiamo attenuto, questa spedizione può essere la più importante di tutta la storia umana.
E anche la più remunerativa. Gonle si appoggiò indietro e cercò di elencare ciò che avrebbero potuto fare con la piastra scintillante appiccicata al soffitto. Qual è il modo migliore per vendere una cosa simile? Quanti secoli di monopolio possiamo tirarci fuori?
Ma il caponave era tornato ad argomenti più attuali. — Dunque la notizia è di estrema importanza. Alla lunga ci renderà più che nei nostri sogni più azzardati. A breve termine… be’, incide molto sui nostri programmi. Qiwi?
— Sì. Come sapete, ai Ragni mancano ancora almeno cinque anni per avere una rete di computer planetaria entro la quale noi si possa agire con efficacia.
E manovrarli con efficacia, se dipenderanno da essa. Fino ad allora la società industrializzata dei Ragni era stata l’unica cosa buona che Gonle Fong vedeva come ricompensa per quegli anni di esilio. Gli aspetti scientifici o biologici non le dicevano molto. Laggiù c’era un mondo alieno, con una economia mai toccata dagli altri mercati. Se loro avessero controllato gli scambi commerciali con lo Spazio Umano si sarebbero riempiti le tasche come pochi Qeng Ho in passato. Sicuramente anche Nau capiva quel semplice fatto. Qiwi recitava la parte dell’idealista ma lo sapeva benissimo anche lei.
— In quanto alla situazione militare, finora pensavamo che ci fossero ancora cinque o sei anni prima di un nostro intervento di consulenza bellica a favore di una delle parti, visto come si sviluppava la politica fra l’Alleanza e Kindred. Be’, sbagliavamo. I Kindred sono arretrati in quanto a computer, ma hanno la miniera di roccia antigrav. I loro satelliti antigrav sono rozzi barattoli, ma dobbiamo aspettarci un rapido incremento di qualità anche per quanto riguarda i loro missili. La loro opera di sovversione politica basata sul terrorismo ha già fatto salire al potere in numerose piccole nazioni governi ostili all’Alleanza. Il risultato è che non possiamo aspettare con le mani in mano per cinque anni. La guerra scoppierà prima.
Jau disse: — Ci sono altre ragioni per anticipare i tempi. Con la loro roccia antigrav, non riusciremo a mantenere segrete le nostre operazioni ancora per molto. I Ragni saranno presto nello spazio orbitale. E se avranno abbastanza di quel materiale… — Indicò la piastra luccicante: — Potranno costruire un gran numero di veicoli spaziali, probabilmente più manovrabili dei nostri.
Seduta accanto a lui Rita era preoccupata. — Vuoi dire che c’è la possibilità che Pedure e la sua gente ci sconfiggano? Se dobbiamo anticipare, allora è meglio smetterla di fare tante chiacchiere. Dobbiamo agire con tutta la nostra forza militare, e affiancare subito l’Alleanza.
Il caponave annuì con enfasi. — Prendo alto della sua opinione, Rita. Ci sono delle creature, laggiù, che tutti noi abbiamo imparato a rispettare, perfino a… — Agitò una mano come a sorvolare sui sentimenti, per concentrarsi sulla nuda realtà. — Ma come vostro caponave io ho il dovere di considerare le priorità. Davanti a tutto c’è la sopravvivenza degli esseri umani di questo piccolo habitat. Non fate lo sbaglio di giudicare eterna la bellezza che avete creato qui. La verità è che abbiamo scarse possibilità militari, e siamo in una posizione molto delicata. — Le lampade sul lago erano passate al “tramonto”, e nella stanza entrava una calda luminosità dorata. — Economicamente siamo sul filo del rasoio, più lontani che mai dal resto dell’umanità. La nostra seconda priorità, inestricabilmente legata alla prima, è la sopravvivenza della società industriale dei Ragni. Non possiamo permetterci il rischio di un loro ritorno alla barbarie in seguito a una guerra nucleare. Dobbiamo agire con cautela. Non possiamo cedere ai sentimentalismi nel nostro approccio con loro… e voi sapete di cosa parlo. Avete ascoltato le ultime traduzioni. Credo che “persone” da voi stimate come Victreia Smait e Sherkaner Underhill capirebbero la nostra posizione, se fossero nei nostri panni,
— Ma loro possono aiutarci!
— Forse. Non esiterei a mettermi in contatto con loro, se fossi certo di questo. Ma non abbiamo informazioni sufficienti, e loro non hanno una rete di computer che ci consenta di assumere una posizione più garantita. Se ci rivelassimo senza necessità potremmo renderli ostili a noi… e senza dubbio provocheremmo Pedure a un attacco preventivo contro l’Alleanza. Dobbiamo tutelare i loro interessi, e nello stesso tempo i nostri.
Rita tacque, ma non era per niente d’accordo. Alla destra di Nau, nella sua ombra, Ritser Brughel la fulminò con lo sguardo. Il giovane Dirigente non aveva mai capito il fatto che le vecchie regole degli Emergenti dovevano cambiare. La vista di una donna della classe dei Seguaci che osava discutere le opinioni del capo gli faceva digrignare i denti. Grazie al cielo non è lui quello che comanda. Nau era un duro figlio di puttana, una carogna senza scrupoli nonostante le sue paroline mielate, ma almeno con lui si poteva trattare.
Nessun altro aprì bocca per sostenere l’opinione di Rita, tuttavia lei fece un altro tentativo. — Noi sappiamo che Sherkaner Underhill è un genio. Lui capirebbe. Lui ci aiuterebbe.
Tomas Nau sospirò. — Sì. Underhill. Gli dobbiamo molto. Se non fosse per lui i Ragni sarebbero arretrati di vent’anni e noi vedremmo assai più lontano il nostro successo. Ma temo che… — Si volse a guardare Ezr Vinh. — Lei ne sa più di ogni altro su Underhill e sull’età dell’Alba. Ezr. Qual è la sua opinione?
Gonle represse un sogghigno. Vinh aveva seguito la conversazione come lo spettatore di una partita di racquet: ora che la palla veniva passata a lui aveva l’aria di chiedersi dove avesse dimenticato la racchetta. — Uh, sì, Underhill è un tipo notevole. Fa pensare a un Minsky, a uno Zhang, forse perfino a un Leonardo da Vinci dati gli aspetti multiformi e instancabili della sua creatività. Inoltre ha il genio abbastanza unico di saper riunire e organizzare individui di alte capacità scientifiche. — Ebbe un sorriso triste. — Scusami, Rita. Per noi l’Esilio è durato solo dieci o quindici anni, ma Underhill lo ha vissuto tutto ed era già adulto all’epoca del nostro arrivo. Per gli standard dei Ragni, e anche per i nostri, è ormai un vecchio. Temo che manifesti sintomi di senilità. Ha partecipato allo sviluppo dell’era della tecnica, e anche la sua parabola discendente si è conclusa. Quella che un tempo era flessibilità oggi in lui è diventata superstizione scientifica. Se dovessimo rinunciare al segreto della nostra presenza con un grave anticipo, io sono del parere che converrebbe rivolgerci al governo dell’Alleanza e giocare a carte scoperte.
Vinh avrebbe forse approfondito quell’ultimo concetto, ma Nau lo interruppe. — Rita, a noi interessa la linea di condotta più sicura per tutti. Se questo significasse metterci nelle mani dei Ragni, le assicuro che sceglierò questa soluzione senza esitare. Ma finché non ci saremo obbligati… — Gettò un’occhiata alla sua destra, e Gonle intuì che il messaggio era diretto soprattutto a Brughel. Nella pausa che seguì fu chiaro che nessuno aveva altro da dire. — Dunque il nostro programma sarà molto accelerato. Ci siamo stati costretti, comunque non mi dispiace affrontare la sfida. — Il suo sorriso sembrò più caldo, in quel falso tramonto. — Possiamo permetterci di usare le risorse che abbiamo… e lo faremo. Da oggi fino al giorno in cui avremo salvato il mondo dei Ragni, tutti saranno di Turno.
Uhau.
— Cominceremo a usare l’impianto per l’estrazione dei gas alle sue massime capacità. — I presenti si fecero ancora più attenti. — Se fra un anno avremo ancora bisogno di quell’impianto, significherà che abbiamo perduto. Dovremo progettare molte iniziative, gente. Ci occorre tutto il nostro potenziale. Intendo modificare alcune norme di sicurezza della nostra comunità. L’economia sotterranea avrà accesso a tutte le risorse, salvo i sistemi di automazione più vitali.
Sì! Gonle sorrise a Qiwi Lisolet, dall’altra parte del tavolo, e lei le restituì il sorriso. Dunque era questo che intendeva con «Più presto di quello che credi». Nau proseguì per qualche secondo, non tanto per riassumere i futuri progetti quanto per abolire questa o quella delle stupide regole che li avevano irritati tutti per anni. Lei poté sentire l’entusiasmo che saliva a ogni frase. Forse potrò organizzare il futuro commercio con la superficie.
La riunione si chiuse in un’atmosfera incredibilmente serena. Mentre usciva, Gonle mise un braccio intorno alle spalle di Qiwi e la strinse a sé affettuosamente. — È merito tuo, piccola! — le disse sottovoce.
Qiwi le sorrise, ed era il sorriso più largo che Gonle le avesse mai visto da anni.
I quattro modesti visitatori lasciarono la dimora del capo e si avviarono nel parco verso l’uscita, con gli ultimi raggi del finto sole al tramonto che gettavano lunghe ombre dietro di loro. Prima di entrare nella boscaglia Gonle si volse a guardare il lago. Fra le nuvole lontane faceva capolino uno spicchio di sole. Era soltanto una delle casuali manipolazioni degli automatismi del parco, ma le parve ugualmente di buon auspicio. Tomas Nau era convinto di poter manipolare tutto. Gonle sentiva che quell’imprevisto allungamento del loro guinzaglio era un tipo di libertà che Nau non offriva volentieri, e che in seguito, col timore che la propensione al commercio e l’immaginazione dei Qeng Ho gli prendessero la mano, avrebbe cercato di fare marcia indietro. Ma Gonle era nata libera, e in quegli anni lei e Benny e Qiwi e molti altri avevano minato la tirannia degli Emergenti fino a corromperli quasi tutti, col loro commercio sotterraneo. Nau aveva già capito che si poteva vincere anche facendo affari. Una volta aperto il mercato coi Ragni, si sarebbe accorto che non c’era niente da guadagnare accorciando di nuovo il guinzaglio.
La seconda riunione che Nau ebbe quel giorno si svolse più tardi, a bordo della Mano Invisibile. Qui si poteva finalmente parlare, lontano dagli orecchi di quegli ingenui. Brughel indicò la finestra dove stava ricevendo dati. — Questo è il rapporto di Kal Omo, signore. L’analisi dei miei annusatori conferma che lei ha ingannato quasi tutti.
— Quasi?
— Be’, lei conosce Vinh. Ma quel fesso si limita a sospettare per partito preso. Non ha capito niente di quel che c’era dietro il suo discorso. Piuttosto è Jau Xin che mi preoccupa, anche se lui risulta soltanto… uh, dubbioso.
Nau gettò uno sguardo interrogativo ad Anne Reynolt. La risposta di lei fu immediata. — Xin è insostituibile, caponave. È l’unico in grado di far lavorare a dovere i nostri piloti. Avremmo perso anche quella scialuppa, se non fosse stato per lui. Le due testerapide ai comandi non sapevano cosa fare quando si sono accorte degli strani movimenti antigrav del satellite. Le regole che loro conoscevano erano cambiate, e stavano per avere una crisi.
— D’accordo, allora lui ha dei dubbi. — Non c’era niente da fare per cambiare la cosa. Xin era stato vicino al centro decisionale troppe volte. Probabilmente sapeva cosa c’era stato in realtà dietro il “massacro di Diem”. — Non possiamo metterlo in ibernazione, non possiamo ingannarlo, e a questo punto del gioco abbiamo un dannato bisogno di lui. Comunque… Rita Liao è una leva sufficiente. Ritser. si accerti che Xin sappia che dalla qualità dei suoi servizi dipende il benessere della Liao.
Brughel annuì con un sorrisetto compiaciuto, e prese nota.
Nau esaminò il rapporto di Omo. — Sì, le loro reazioni sono state quelle che volevo. Ma dire alla gente quello che vuole sentirsi dire è fin troppo facile. Nessuno ha capito quali conseguenze ci saranno anticipando l’intervento di cinque anni. Non c’è modo di impadronirsi di una rete di computer ancora quasi inesistente, e a noi serve una società industriale intatta sul pianeta… però non c’è bisogno che tutto il pianeta vi partecipi, in questo momento… — Nau passò al rapporto delle testerapide della Reynolt, — sette nazioni dei Ragni hanno armi nucleari. Quattro dispongono di un grosso arsenale, tre hanno vettori capaci di trasportarle.
La Reynolt domandò: — È conveniente provocare una guerra?
— Una limitata, sì. Una che lasci intatto il sistema finanziario e industriale del pianeta, affinché noi ne prendiamo il controllo. — Secondo le più accreditate teorie dell’intervento dopo il disastro.
— E i Kindred?
— Ci fa comodo che sopravvivano, naturalmente. Ma molto indeboliti, in modo da poterli tenere sotto controllo. In seguito gli daremo i mezzi per rendersi di nuovo pericolosi, se ci farà comodo.
La Reynolt stava annuendo. — Sì, è una situazione che possiamo programmare. La Terra Meridionale ha missili a lunga gittata, ma è rimasta indietro rispetto a nazioni più progredite. Oltre il novanta per cento della sua popolazione dovrà ibernarsi nelle profondità, durante la Tenebra, Hanno una paura dannata di quello che gli altri riusciranno a fargli approfittando di questo. E l’Onorevole Pedure ha già piani precisi per approfittarne al massimo. Possiamo star certi che avrà successo… — La donna proseguì, dettagliando quali piani dei Kindred potevano essere incrementati e quali bloccati, quali città potevano andare distrutte senza conseguenze, e quali località dell’Alleanza avevano risorse da salvare perché non ce n’erano di analoghe in altre nazioni. Una grossa fetta della razza dei Ragni sarebbe stata cancellata dalla faccia del pianeta, anche dalle radiazioni, ma il problema più interessante era quello di limitare i danni all’ecologia. Calma e spassionata come sempre, riusciva a dare un brivido perfino a chi quelle prospettive se le gustava, come Ritser Brughel.
Anne Reynolt era molto giovane quando gli Emergenti avevano dato inizio alla campagna di conquista di Frenk. Se la storia fosse stata scritta dai perdenti, il suo nome sarebbe entrato nella leggenda. Dopo che le forze armate di Frenk s’erano arrese per evitare danni alla popolazione civile, la Reynolt e la sua banda di scalcinati avevano continuato a combattere per molti anni e — grazie al fatto che lei ne aveva preso il comando quasi subito — non erano stati una seccatura dappoco. Nau aveva visto i rapporti dei militari; l’organizzazione di partigiani e guerriglieri messa in piedi da lei aveva triplicato il costo dell’invasione. Pur fra continue sconfitte e durissime perdite di vite umane, la bionda aveva incessantemente allargato il suo raggio d’azione, incrementando le sue capacità offensive, e in un certo periodo era stata addirittura vicina a causare il tracollo della forza di spedizione degli Emergenti. Dopo la sua sconfitta finale e la cattura, la cosa migliore sarebbe stato eliminarla. Ma Alan Nau aveva le sue mire politiche. Ai molti episodi di genocidio s’era ben provveduto: altri ribelli, una volta opportunamente focalizzati, avevano dato testimonianza degli orrendi massacri compiuti dalla Macellaia di Frenk. Perché dunque non lasciarla in vita e utilizzarne le doti, più uniche che rare? Di solito focalizzare chi aveva una forte propensione verso la gente era impossibile. La stessa natura del Focus tendeva a isolare l’individuo, a tarpare la sua propensione a socializzare. E tuttavia la Reynolt era giovane, brillante, animata da una fanatica volontà di resistenza molto simile alla dedizione totale delle testerapide. Cosa si poteva ottenere da lei, focalizzata nel giusto modo?
La capacità previsionale di Zio Alan aveva fruttato bene. La Reynolt aveva studiato soltanto letteratura all’università, ma in seguito era diventata un’esperta in guerriglia, sovversione, tecnica di comando. Alan Nau l’aveva tenuta nascosta per qualche anno, usandone le doti per rafforzare il suo regime in patria. Poi, quando non aveva più saputo cosa farsene, gli era parso una buona idea regalarla al nipote, che stava cominciando a organizzare la spedizione alla stella OnOff.
Anche se Nau non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, né soprattutto con Ritser Brughel, l’unico altro Dirigente oltre a lui, negli occhi azzurri della Reynolt c’era qualcosa che lo metteva a disagio. Questo era strano, perché per molti anni la bionda aveva lavorato indefessamente alla distruzione di ideali e di cose che un tempo erano la sua ragione di vita. Se avesse voluto vendicarsi o fargli del male avrebbe potuto riuscirci. Ma quella era la bellezza del Focus, quella era la ragione per cui gli Emergenti avrebbero prevalso: con il Focus si ottenevano le capacità di un soggetto senza la sua umanità. E con un’attenta opera di modifica e sintonia, la lealtà delle testerapide restava rigidamente sottomessa ai compiti che il padrone ordinava di eseguire.
— D’accordo, metta il suo gruppo al lavoro su questa guerra, Anne. Ha un anno di tempo. Probabilmente negli ultimi Ksec avremo bisogno di una delle nostre astronavi in orbita bassa attorno al pianeta.
— Sapete una cosa? — disse Brughel, — Credo che giù sul pianeta le cose si stiano evolvendo bene per noi. Quei Kindred hanno un paio di Ragni nelle alte sfere che non devono rendere conto a nessuno di ciò che fanno, e i loro ordini noi li possiamo falsificare. Con quei dannati Ragni dell’Alleanza, invece…
— Vero. L’Alleanza, essendo un’alleanza, ha troppi centri di potere che si controllano a vicenda. C’è ancora più confusione che in una democrazia. — Nau scosse il capo. — Non abbiamo scelta. Dobbiamo prendere quelli che sappiamo di poter controllare. Senza questa roccia antigrav le cose sarebbero andate lisce per altri cinque anni. E per quell’epoca l’Alleanza avrebbe avuto una rete in cui saremmo riusciti a infiltrarci, prendendo il potere senza sparare un colpo… quasi la stessa cosa che io dissi in pubblico.
Brughel corrugò le sopracciglia. — Questo potrebbe essere un problema, signore. Quando la gente qui si accorgerà dell’olocausto di Ragni che si prepara, e coi loro amici in cima alla lista delle perdite…
— Naturalmente. Ma orchestrato nel modo giusto il risultato finale dovrà apparire come una tragedia inevitabile, che senza i nostri sforzi sarebbe stata ancora peggiore.
— Potrebbe essere più difficile da manovrare dell’affare di Diem, signore. Vorrei che lei non avesse dato ai Mercanti l’accesso a tanti dati.
— Non potevo far altro, Ritser. Ci occorrono le loro capacità di lavoro. Ma non avranno mai accesso ai dati riservati. E lei terrà le sue testerapide a monitorare la fedeltà di tutti. Se necessario, ci saranno alcuni incidenti fatali.
Nau guardò la Reynolt. — E a proposito di incidenti… la sua idea del sabotaggio si è arricchita di qualche prova? — Era trascorso quasi un anno dal supposto incidente di cui la bionda era stata vittima nella clinica MRI. Un anno senza nessun accenno di attività sospette. Del resto anche in precedenza non c’erano vere prove di manovre sovversive in corso.
Ma Anne Reynolt fu adamantina nel mantenere la sua posizione: — Qualcuno sta manipolando i nostri sistemi, caponave. Ci sono interferenze sia coi localizzatori che con le testerapide. Le prove sono troppo a livello statistico perché io possa metterle in parole, ma questa azione subdola si va intensificando. Appena avrò degli elementi solidi inchioderò il responsabile, così come lui ha quasi fatto con me un anno fa.
La Reynolt non aveva mai ammesso che a spazzarle via una fetta di memoria era stato uno stupido incidente. Ma non era mai riuscita a spiegare perché, se si trattava di un attacco alla sua persona, non era stata uccisa. Perché diavolo dovrei essere paranoico? La stessa Reynolt aveva chiarito che Brughel non c’entrava per niente. — Lui? E perché si tratterebbe di un uomo?
— Lei conosce la lista dei sospetti. Secondo me quel Pham Trinli è ancora al primo posto. Da anni risucchia informazioni dai miei tecnici, anche se loro rifiutano di ammetterlo. Ed è stato lui a darci il segreto dei localizzatori Qeng Ho.
— Ma lei ha avuto vent’anni per studiarli.
La Reynolt corrugò le sopracciglia. — I localizzatori hanno un comportamento di gruppo troppo complesso. Nel loro interno ci sono strati che sfuggono all’analisi. Mi dia altri tre o quattro anni.
Nau guardò Brughel. — La sua opinione, Ritser?
Il vice caponave sorrise. — Ne abbiamo già parlato, signore. Trinli è utile, e le analisi delle sue reazioni dimostrano che sta dalla nostra parte. È un bastardo astuto, ma è il nostro bastardo.
Vero. Trinli stava sempre dalla parte del più forte, e avrebbe avuto tutto da perdere se i Qeng Ho avessero saputo che reggeva il sacco a Diem all’epoca del massacro. Il vecchio trombone aveva superato i test della Sicurezza un Turno dopo l’altro, e cercava di rendersi utile a chi comandava. In retrospettiva, Brughel aveva ragione a definirlo astuto, anche se questo a lui non piaceva affatto.Che Dio li maledica tutti, questi Qeng Ho. — E va bene, Anne. Ritser, voglio che lei e Anne vi teniate pronti a intervenire contro Trinli e Vinh con brevissimo preavviso. Jau Xin dovremo tenerlo vivo in ogni caso… ma facciamo in modo di avere Rita Liao sempre a nostra disposizione, per farlo rigare dritto.
— E Qiwi Lisolet, signore? — La faccia di Brughel era tranquilla, ma Nau sapeva che in fondo ai suoi occhi ardeva una brace cupa.
— Sì. Sono sicuro che Qiwi sta cominciando a ricordare qualcosa. Comunque possiamo farle altri due o tre lavaggi di memoria, prima che vada in crisi, — Ma con un po’ di fortuna Qiwi sarebbe stata utilizzabile fino alla fine. — Bene. Questi sono tre casi che già conosciamo bene. Ma anche molti altri potrebbero arrivare alla verità, se non stiamo attenti. Sorveglianza ed efficienza, queste dovranno essere le nostre parole d’ordine. È un anno di duro lavoro quello che ci aspetta. I Mercanti sono competenti, sanno vivere nello spazio. Abbiamo bisogno che continuino a lavorare bene fino al momento dell’azione, e di molti di loro avremo bisogno anche dopo. Vedremo come reagiranno quando prenderemo il potere sul pianeta. E probabile che, come semplici osservatori, non ne capiranno molto.
— Al momento opportuno gli rifileremo la storiella dei nostri sforzi per evitare il genocidio — sogghignò Brughel, divertito dalla prospettiva. — È un’idea che mi piace.
Delinearono il piano generale. La Reynolt e le sue testerapide si sarebbero occupate di studiare i dettagli. Brughel aveva ragione; il rischio era maggiore che durante la manovra con Diem. A ogni modo, se loro riuscivano a tenere in piedi l’imbroglio fino alla presa di Arachna… sarebbe bastato. Una volta in possesso del pianeta Nau avrebbe potuto scegliere chi voleva fra i Ragni e i Qeng Ho, i migliori di loro. E scartare il resto. La prospettiva era come immaginare la frescura di un’oasi al termine di un lungo viaggio nel deserto.
La Tenebra era tornata su di loro. Hrunkner Unnerbai poteva sentire il peso delle antiche usanze sulle sue spalle. Per i tradizionalisti — e nel profondo del suo spirito lui sarebbe sempre rimasto tale — c’era un tempo per nascere e un tempo per morire. La realtà aveva i suoi cicli. E il ciclo più grande era quello del sole.
Lui aveva già visto due volte quel ciclo. Era un vecchio artropode. L’ultima volta che la Tenebra aveva sommerso il mondo nel gelo lui era stato giovane. A quell’epoca c’era una guerra in corso, e lui temeva che la sua patria non ce l’avrebbe fatta. E stavolta? C’erano guerricciole locali in molti posti del mondo, ma quella grossa non era scoppiata. Se questo fosse accaduto lui sarebbe stato uno dei responsabili. Ma poiché non era scoppiata… be’, lui si riteneva parzialmente responsabile anche per questo.
A ogni modo, i cicli erano stati spezzati per sempre. Hrunkner ringraziò con un cenno il caporale che gli teneva la porta aperta e uscì sul selciato coperto di neve. Indossava stivali, una tuta imbottita e il copricapo. Il freddo mordeva l’estremità delle sue mani e bruciava nelle sue fessure respiratorie anche dietro i filtri riscaldatori dell’aria. L’altezza delle colline di Principalia teneva lontane le nevicate peggiori; questo vantaggio e la profondità del letto del fiume era il motivo per cui la città veniva ricostruita in quella posizione un ciclo dopo l’altro. Ma quel pomeriggio, benché fosse estate, uno doveva scrutare il cielo a lungo per scorgere il disco che era stato il sole. Il mondo s’era lasciato alle spalle il tepore degli Anni Calanti, e perfino i primi freddi mesi della Tenebra. Era sull’orlo del collasso termico, e le tempeste che cominciavano a circolare avrebbero privato l’aria di tutta la sua umidità, aprendo la strada ad anni molto più freddi e all’immobilità finale.
Nelle generazioni passate tutti quanti, salvo i soldati, sarebbero già stati nelle loro profondità. Anche nella sua generazione, durante la Grande Guerra, soltanto le truppe di volontari che combattevano nei tunnel erano rimaste sveglie oltre l’inizio della Tenebra. Adesso invece… tutti i militari, probabilmente, erano ancora in attività. Hrunkner aveva con sé una scorta di soldati. Perfino il personale di servizio intorno alla casa di Underhill era gente in uniforme. Ma non si trattava di semplici sorveglianti col compito di tenere lontani i razziatori dalle case abbandonate. Non c’erano case abbandonate. Principalia era gremita di gente. Le case di nuovo genere costruite per la Tenebra erano calde e illuminate. La città era più attiva di quanto Hrunkner l’avesse mai vista.
E il morale? Paura che sfiorava il panico e folle entusiasmo, non di rado nella stessa persona. C’era il boom degli acquisti e degli affari. La Corporazione Software Prosperità aveva acquistato il maggiore pacchetto azionario della Banca di Principalia. Senza dubbio la scalata alla banca aveva inciso molto sui fondi della Software Prosperità, mettendola in una posizione di cui il personale che si occupava di programmazione non sapeva niente. Era una situazione insana… ma conforme allo spirito dei tempi.
La scorta di Hrunkner dovette aprirsi la strada fra la folla assiepata all’ingresso della casa sulla collina. Anche all’interno del confine della proprietà privata c’erano giornalisti, con le loro piccole telecamere a quattro colori appese ai palloni ad elio. Non potevano sapere chi fosse lui, ma avevano visto le sue guardie, del corpo e la direzione in cui stava andando.
— Signore, può dirci…
— La Terra Meridionale ha minacciato un’azione militare preventiva? — disse un altro, tirando giù il suo pallone finché la telecamera ballò sopra gli occhi di Hrunkner.
Lui alzò le braccia anteriori in un elaborato gesto di indifferenza. — Come potrei saperlo? Io sono soltanto un vecchio sergente. — In effetti era un sergente, ma il suo grado non significava niente. Lui era uno di quegli artropodi che potevano far ballare la burocrazia militare alla loro musica. Da giovane ne aveva conosciuto alcuni. Gli erano parsi lontani come lo stesso Re. Oggi, invece… oggi era così occupato che anche per far visita a un amico doveva contare i minuti, lottando contro un programma giornaliero pieno di faccende che erano questione di vita o di morte.
La sua risposta fermò i giornalisti abbastanza per dare tempo alla sua squadra di salire la scalinata di ingresso. Ma avrebbe potuto dire qualcosa di più intelligente, rifletté, notando che dietro di lui i giornalisti si consultavano intensamente. Il giorno dopo sulla loro lista ci sarebbe stato anche il suo nome. Ah, come rimpiangeva i giorni in cui la casa sulla collina era considerata una specie di succursale dell’università. Con gli anni quella mascheratura era crollata. La stampa sapeva tutto di Sherkaner Underhill, ormai.
Oltre le porte di vetro corazzato non c’erano estranei. E faceva troppo caldo per gli abiti imbottiti. Mentre Hrunkner si toglieva la blusa e i gambali vide Underhill e il suo insetto-guida giusto dietro l’angolo dell’atrio, fuori dalla vista dei giornalisti. Ai vecchi tempi sarebbe uscito di persona ad accoglierlo. Anche all’apice della notorietà di quel suo programma radiofonico non avrebbe esitato ad affrontare la stampa. Ma ora regnavano sovrane le misure di sicurezza imposte da Victreia Smait.
— Salve, Sherk. Come vedi, sono qui. — Io vengo sempre, quando tu chiami. Per decenni ogni nuova idea gli era parsa più folle della precedente… e ogni nuova idea aveva cambiato il mondo. Ma poco o nulla era cambiato in Underhill, almeno fino al giorno in cui il generale gli aveva dato il primo avvertimento, a Calorica, cinque anni addietro. In seguito gli erano giunte delle voci. Underhill aveva del tutto abbandonato la ricerca attiva. Evidentemente il suo lavoro sull’antigravità non lo aveva portato a niente, e ora i Kindred stavano lanciando satelliti con quel materiale, per l’amor di Dio!
— Grazie, Hrunk. –Il sorriso di lui fu rapido, nervoso. — Viki mi ha detto che tu dovevi passare dalla capitale, e così…
— Victreia Seconda? È qui?
— Sì, è di sopra da qualche parte. Più tardi la vedrai. — Underhill precedette Hrunkner e le guardie attraverso l’atrio, parlando di Viki e degli altri, delle ricerche di Jirlib e dell’addestramento che stavano avendo i due figli più giovani. Hrunkner cercò di immaginare il loro aspetto. Erano trascorsi diciassette anni dal rapimento, e da allora non aveva più visto quei giovani ragni.
Il loro passaggio nell’atrio era una vera e propria carovana, con alla testa l’insetto-guida che si tirava dietro Underhill e alle sue spalle Hrunkner e la fila degli altri fino all’ultimo agente di servizio. L’andatura lenta di Underhill deviava a destra, ed era incessantemente corretta da Mobiy che tirava il guinzaglio. Come il suo tremito alla testa, lo sbandamento non era una malattia mentale ma solo un disordine dei nervi a livello muscolare. Quell’avventura nella Tenebra Profonda durante la Grande Guerra aveva richiesto il suo prezzo, e ora Underhill parlava e si muoveva come un vecchio rudere.
Entrò in un ascensore che Hrunkner non ricordava di aver visto nelle precedenti visite. — Ora guarda, Hrunk… spingi il nove, Mobiy. — L’insetto alzò una delle sue pelose zampe anteriori. L’estremità ondeggiò incerta per un momento, poi s’infilò nella fessura 9 della cabina.
— Dicono che gli insetti non possono imparare i numeri. Ma Mobiy e io ci stiamo lavorando.
Underhill aveva accennato alla scorta di non entrare nell’ascensore. Quando la cabina partì parve rilassarsi e il suo tremito diminuì. Diede una pacca sul guscio di Mobiy. — Voglio parlarti in privato, sergente.
Unnerbai lo scrutò incuriosito. — Le mie guardie del corpo hanno accesso ai massimi livelli di sicurezza, Sherk. Hanno già visto tutto quello che…
Underhill alzò una mano. Nei suoi occhi brillava una scintilla del vecchio genio. — Questo è diverso. Si tratta di qualcosa che volevo mostrarti da tempo, e ora che la situazione si sta facendo così grave…
La cabina si fermò e la porta scivolò di lato. Hrunkner vide che l’amico lo aveva portato verso la cima della costruzione. — Il mio ufficio è qui, adesso. Una volta qui ci stava Viki, ma ormai ha altro da fare e ha ceduto la stanza a me. — Era un locale molto vasto. Hrunkner ricordava che un tempo era aperto su due lati e sovrastava come una terrazza il piccolo parco meridionale. Adesso era stato chiuso da pareti di vetro, così robuste da reggere all’assenza di pressione quando l’atmosfera si sarebbe congelata.
Ci fu il ronzio di un motore elettrico e un divisorio si aprì, lasciandoli passare nell’angolo della sala dove una larga finestra dava sulla città. Sulla destra c’era un trespolo per Mobiy, ma il resto dello spazio era occupato da apparecchi elettronici e schermi ad alta definizione. Uno era acceso, e mostrava il panorama di Monte Reale con colori più vivaci di quanto Hrunkner li avesse mai visti dal vero. Le radure e le foreste erano blu e viola, e gli iceberg che galleggiavano nella baia avevano tonalità rosse… A suo giudizio era una grafica fasulla, vani esercizi di videomanzia. Indicò i colori con aria perplessa. — Tecnicamente sembra roba molto evoluta, Sherk, ma non è ben calibrata. Fa male agli occhi.
— Oh, è perfettamente calibrata, te lo assicuro. Il significato dei colori va interpretato. — Underhill sedette su un trespolo e guardò lo schermo acceso. — Sì, i colori non hanno sfumature. Ma dopo un po’ non ci fai più caso. Hrunkner… hai mai riflettuto che i nostri attuali problemi sono più gravi di quel che dovrebbero?
— Cosa ne so di quel che dovrebbero essere? Tutto succede per la prima volta, qui. — Hrunkner sedette. — Sì, le cose precipitano in modo infernale. Mai avrei immaginato che nella Terra Meridionale ci sarebbe stato il caos di oggi. Quei bastardi hanno almeno duecento testate nucleari, e i vettori per spedircele addosso. Hanno mandato in rovina la loro economia per acquistare armi e mettersi alla pari delle nazioni più ricche.
— Sono andati in rovina solo perché vogliono cancellarci dalla faccia del mondo?
Trentacinque anni addietro Underhill aveva previsto le conseguenze del nucleare e situazioni del genere. — No. O almeno, non è per questo che la cosa è cominciata — rispose, come se gli stesse facendo lezione. — Loro hanno cercato di costruire un’economia agricola e industriale che potesse restare attiva durante la Tenebra. E hanno fallito. Possono mantenere attive solo due città, e un paio di divisioni del loro esercito. Data la sua latitudine, oggi la Terra Meridionale è cinque anni più avanti nella Tenebra del resto del mondo. Intorno al polo sud si scatenano terribili tempeste di ghiaccio. — La Terra Meridionale era un posto a malapena abitabile anche nei tempi migliori della Luce, e c’era poca terra fertile. In compenso esistevano giacimenti minerari d’ogni sorta sfruttabili a basso costo. Nell’ultima generazione era andato al potere un governo sospettoso verso le mire economiche delle nazioni settentrionali e molto timoroso di quel che esse avrebbero fatto nella prossima Tenebra. — Hanno speso troppo per la loro centrale nucleare, e ora hanno energia elettrica per il riscaldamento, ma scorte di cibo del tutto insufficienti per le loro profondità.
— E i Kindred hanno avvelenato i loro campi prima dell’ultimo raccolto… facendo ricadere la colpa su di noi.
— Come c’era da aspettarsi. — L’onorevole Pedure era un genio nelle tattiche del terrore e della sovversione. Qualunque attività volta al male trovava in lei un’esperta. Il governo della Terra Meridionale aveva le prove certe che l’Alleanza progettava di piombare su di loro approfittando della Tenebra. — I notiziari dicono il vero, Sherk. La Terra Meridionale potrebbe attaccarci con le armi nucleari.
Hrunkner si girò verso la finestra. Da lì si vedeva tutta la città. Alcuni degli edifici, come la casa sulla collina, sarebbero rimasti abitabili anche dopo la scomparsa dell’atmosfera. Erano isolati e ben riscaldati. Il resto della città era per la maggior parte nel sottosuolo. Erano occorsi quindici anni di frenesia edilizia per spostare sotto la superficie del suolo tutte le città dell’Alleanza, ma ora un’intera società civile poteva sopravvivere sveglia e attiva attraverso la Tenebra. Sfortunatamente i sotterranei erano troppo vicini alla superficie per resistere a un attacco nucleare.
Le industrie che Hrunkner aveva aiutato a costruire avevano fatto miracoli, ma… il risultato è che siamo più in pericolo qui che nelle vecchie profondità. Occorrevano altri miracoli. Lui e milioni di altri aracnidi stavano lottando e lavorando per raggiungere obiettivi tragicamente impossibili. Negli ultimi trenta giorni Hrunkner aveva dormito una media di tre ore al giorno. Per venire lì a fare due chiacchiere con Underhill aveva dovuto cancellare una riunione e un’ispezione a uno stabilimento. Sono venuto qui per lealtà verso Sherkaner… o perché spero che possa salvarci ancora una volta?
Underhill unì le mani sopra la testa e si sfregò gli occhi superiori. — Non hai mai pensato che forse qualcun altro è responsabile dei nostri problemi?
— Dannazione, Sherk. Qualcun altro chi?
Underhill si mise più comodo sul trespolo, e abbassò la voce. — Sto parlando degli alieni venuti dallo spazio esterno. Loro sono qui, fin da prima del Nuovo Sole. Tu e io li abbiamo visti durante la Tenebra, Hrunk. Le luci nel cielo, ricordi?
Aveva la voce rauca e un tono molto diverso dallo Sherkaner di quegli anni lontani. A quel tempo buttava lì le sue speculazioni con sorridente impudenza, quasi per sfida, Ora parlava in fretta, come se fosse ansioso di esprimersi prima che lui potesse contraddirlo o farlo tacere. Questo Underhill parlava come… un disperato, capace solo di aggrapparsi alle sue fantasie.
Il vecchio artropode si accorse di aver perduto il suo pubblico. — Tu non mi credi, Hrunk. È così?
Lui si appoggiò indietro, sul trespolo. Quanto denaro era già stato gettato via in quelle orride sciocchezze? Alieni che li spiavano… esseri venuti da altri mondi… questo era il più grottesco sviluppo delle vecchie idee di Underhill sullo spazio cosmico. E ora che non aveva altro da fare il povero vecchio si baloccava con questo. Hrunkner conosceva il generale; la sua reazione non doveva essere stata diversa. Il mondo era sull’orlo della guerra nucleare, di una catastrofe senza precedenti, e non c’era posto per chi si scostava dalla realtà. Sicuramente il generale non aveva permesso al marito di distrarla con le sue fantasie. — È come la videomanzia, eh, Sherk? — In vita tua hai fatto non pochi miracoli per noi, ma ora te ne serve uno più disperatamente che mai, e tutto ciò che ti resta è la superstizione.
— No, no, Hrunk. Gli studi sulla videomanzia erano una copertura, solo un espediente perché gli alieni non potessero vedere. Aspetta, ora ti mostro una cosa! — Le mani di Underhill sfiorarono i fori dei comandi. L’immagine palpitò, i colori cambiarono, il panorama verde si trasformò in una bianca veduta invernale. — Occorre qualche momento. Questo computer ha poca memoria, purtroppo, ma una grossa capacità di elaborazione dati. — Controllò qualcosa su due piccoli display che Hrunkner non poteva vedere bene. — Tu meriti di essere informato su questa cosa più di ogni altro, Hrunk. Hai già fatto molto per noi, e potresti fare ancor di più se partecipassi. Devo dire che il generale purtroppo non è molto…
Sullo schermo i colori continuavano a cambiare. La risoluzione dell’immagine era molto scadente. Trascorsero alcuni lenti secondi.
A un tratto Underhill mandò un’esclamazione di disappunto.
Qualcuno s’era inserito in rete con una chiamata video. Ciò che apparve fu un’inquadratura a otto colori dell’ufficio di Victreia Smait a Comando Territoriale. Non era una buona immagine paragonata a quella dell’occhio di un aracnide, ma pur sempre migliore dei bislacchi colori della videomanzia di Underhill.
E inoltre questa era un’immagine reale: il generale Smait li guardava, seduta dietro la sua scrivania. Davanti a lei erano ammucchiati fascicoli e documenti. Accennò a un aiutante di uscire dal suo ufficio e appena fu sola accese anche l’audio.
— Sherkaner, vedo che hai approfittato della visita di Unnerbai in città per invitarlo nel tuo ufficio. — Il tono di lei era irritato.
— Sì, pensavo di…
— Credevo che ne avessimo già discusso, Sherkaner. Tu puoi giocare coi tuoi giocattoli finché vuoi, ma non devi far perdere tempo a gente che ha del vero lavoro da fare.
Hrunkner non aveva mai sentito il generale usare un tono così duro e sarcastico con suo marito. Forse era giustificato, ma in ogni caso lui avrebbe preferito non essere presente alla scena.
Underhill parve sul punto di protestare. Si agitò sul trespolo, alzò una mano come in gesto di scusa e infine disse: — Sì, mia cara.
Il generale Smait annuì, quindi salutò Hrunkner con un cenno. — Scusami per questo inconveniente, sergente. Se hai bisogno di aiuto per rimetterti in pari col tuo programma di lavoro…
— Grazie, signora. Potrei averne bisogno, sì. Parlerò con l’aeroporto, poi la richiamerò.
— Bene. — L’immagine da Comando Territoriale scomparve.
Underhill aveva abbassato la testa a contatto della consolle. Era immobile, con le braccia e le gambe girate verso l’interno. L’insetto-guida lo toccò con fare interrogativo.
Hrunkner si mosse verso l’amico. — Sherk… — disse sottovoce. –Ti senti bene?
Dopo qualche momento l’altro rialzò la testa. — Sì, sto bene. Scusa, Hrunk.
— Io… uh, ora devo andarmene, Sherk. Ho una riunione. — Questo non era del tutto vero. Alla riunione aveva già rinunciato per venire lì. Ma c’erano altre cose non meno importanti da fare. Con l’aiuto di Victreia Smait avrebbe potuto lasciare Principalia con un certo anticipo, comunque.
Underhill scese goffamente dal trespolo e lasciò che Mobiy se lo tirasse dietro verso la massiccia porta. Sulla soglia allungò una mano e si aggrappò a una manica di Hrunkner. Sta perdendo l’equilibrio? Che gli succede?
— Non rinunciare mai, Hrunk. C’è sempre il modo di farcela, proprio come in passato. Vedrai.
Hrunkner annuì, mormorò un saluto e si allontanò in corridoio verso l’ascensore, mentre Underhill lo osservava dalla porta del suo ufficio. Un tempo sarebbe sceso con lui fino al pianterreno, ma ora sembrava aver capito che qualcosa era cambiato fra loro. E tuttavia, intanto che la porta dell’ascensore si chiudeva, Hrunkner vide che l’amico gli rivolgeva un timido gesto di saluto.
Questo gli fece male. Durante la veloce discesa della cabina in lui dilagarono la rabbia e la tristezza. Strano come le due emozioni potessero mescolarsi. Come Sherkaner Underhill, anche lui aveva disperatamente desiderato che certe cose fossero vere, al punto da non accorgersi subito dei sintomi che provavano il contrario. Ma a differenza di lui, Hrunkner non poteva ignorare la dura realtà della loro situazione. E così quell’ultima crisi avrebbe dovuto essere superata senza Sherkaner Underhill.
Hrunkner si sforzò di scacciare l’amico dai suoi pensieri. Più tardi, forse, ci sarebbe stato il tempo di ripensare ai momenti belli e dimenticare quel pomeriggio. Per il momento… se avesse potuto ottenere un jet militare per andarsene da Principalia forse sarebbe giunto a Comando Territoriale in tempo per trovare i suoi vice direttori ancora là.
Al primo piano dell’edificio la cabina rallentò e si fermò. Lui aveva pensato che fosse l’ascensore privato di Underhill. Chi poteva averlo chiamato? La porta scivolò di lato.
— Salve, sergente Unnerbai. Posso scendere con lei?
Era una giovane tenente, vestita con l’uniforme da lavoro del quartier generale. Victreia Smait aveva avuto lo stesso aspetto, molti anni prima: snella, flessuosa e nello stesso tempo energica e precisa nei movimenti. Per un istante lui restò paralizzato da quell’apparizione.
La giovane aracnide entrò nell’ascensore, e lui ebbe a stento la presenza di spirito di farle posto, stupito. Poi l’atteggiamento militaresco della tenente si rilassò. — Zio Hrunkner, non mi riconosci? Sono Viki.
Naturalmente, era lei. Hrunkner rise, annuendo. — Viki! Santo cielo, sei cresciuta, piccola… cioè, immagino di non poterti più chiamare così, ormai.
Viki gli passò un paio di braccia sulle spalle, affettuosamente. — No, tu puoi farlo sempre. Non credo che il mio grado mi consenta di darti degli ordini. Papà mi ha detto che saresti venuto oggi. Lo hai visto?… Bene. Hai un momento per parlare con me?
L’ascensore si stava fermando nell’atrio. — Sicuro, io… uh, però sto andando di fretta. Vorrei essere a Comando Territoriale entro stasera. — Dopo quel che era successo di sopra, non sapeva proprio cos’avrebbe potuto dire a Viki.
— Non preoccuparti. Anch’io vado di fretta. Ci facciamo insieme la strada da qui all’aeroporto, va bene? — Alzò le mani nutritive in un sorriso. — Doppia scorta di sicurezza.
I tenenti potevano comandare una scorta, ma di rado erano loro a essere scortati. Le guardie del corpo della giovane Victreia erano la metà di quelle di Hrunkner, ma forse ancora più competenti. Due di loro erano veterani; quello seduto sul trespolo più alto dietro il guidatore era il soldato più grosso e robusto che Hrunkner avesse mai visto, e quando i due erano saliti in macchina gli aveva rivolto un saluto stranamente confidenziale. Per tutte le profondità! — Non mi dire che… — ansimò Hrunkner. — Brent! Sei proprio tu?
L’altro rise. — Così pare.
Viki sedette accanto a lui. — Allora, cosa ti ha detto di bello Papà? — Il suo tono era leggero, ma Hrunkner percepì una sfumatura d’ansia. Viki non era rigida e distaccata come sarebbe convenuto a un ufficiale. Questo poteva essere un difetto, ma del resto lui la conosceva sin da quando aveva ancora gli occhi da neonata.
E questo gli rese ancora più difficile essere franco. — Dovresti immaginarlo, Viki. Tuo padre… non è più quello di una volta. Ora parla di spie aliene e videomanzia. Il generale ha dovuto tappargli la bocca prima che mi parlasse di questa roba.
Victreia Seconda era calma, ma le sue mani nutritive si contrassero in un’espressione accigliata. Per un momento Hrunkner pensò che ce l’avesse con lui. Poi la sentì mugolare: — Quel vecchio sciocco. — Fece un sospiro, e per un poco viaggiarono in silenzio.
Il traffico di superficie era scarso, per lo più formato da veicoli in spostamento fra tunnel non ancora collegati. I lampioni spargevano luce azzurra e ultravioletta sulla neve che copriva i marciapiedi. Vermi di cristallo pendevano a milioni dai muri, appesi a radici che annaspavano in cerca del calore. Lì a Principalia una vestigia di normalità sarebbe sopravvissuta fin nel cuore della Tenebra. La città sotterranea intorno a loro era una cosa calda.
Dietro quei muri e sotto la superficie la vita proseguiva più che mai vibrante e affaccendata. Gli edifici nuovi nel quartiere degli affari, pieni di finestre illuminate, spandevano luce sulle case più vecchie… e tutto questo poteva essere annientato da un attacco nucleare.
Lei gli toccò una spalla. — Immagino che parlare con Papà ti abbia addolorato. Mi dispiace.
Viki conosceva molto meglio di lui le condizioni di suo padre. — Da quanto tempo è così? lo ricordo che anche da giovane speculava sui mostri spaziali, ma non diceva sul serio.
Lei si strinse nelle spalle, a disagio. — Ha cominciato a giocare con la videomanzia dopo il rapimento.
Già da allora? Poi Hrunkner ricordò quant’era stato sconvolto quel povero aracnide nell’accorgersi che tutta la sua scienza non serviva a riportargli i suoi figli. E questo aveva piantato in lui il seme della follia. — Va bene, Viki. Tua madre ha ragione. La cosa importante è non permettergli di andare troppo avanti con queste farneticazioni, per il suo bene. Tuo padre è amato e ammirato da molta gente — compreso io, ancora oggi. — Nessuno crederà a quelle sciocchezze, ma temo che qualcuno si sentirà in dovere di aiutarlo, sprecando così tempo e risorse. E questa è una cosa che non possiamo permetterci. Non in questo momento.
— È vero. — Viki irrigidì le mani nutritive intorno alla bocca. Se Hrunkner non l’avesse conosciuta fin da piccola non si sarebbe accorto che lei non gli stava dicendo tutto, e che questo la imbarazzava. La piccola Victreia era cresciuta e diventata molto padrona delle sue reazioni, fuorché quando si sentiva in colpa.
— Il generale lo tiene tranquillo come si fa coi matti, è così?
— Non… niente di importante. Gli lascia usare i computer.
Quali computer? Quelli del suo laboratorio, o quelli del Servizio Informazioni con accesso alla rete? Ma non importava. Hrunkner capiva ora che se il nome di Sherkaner Underhill non compariva più nei notiziari si doveva al fatto che il generale teneva suo marito fuori dai progetti che contavano. E certo ne ha sofferto più lei. Per Victreia Smait, perdere suo marito in quel modo doveva essere peggio che se fosse morto.
— Ho capito. — Qualunque fosse lo spreco che Sherk si permetteva, non c’era niente che lui potesse fare. Forse l’unica cosa era lasciarlo nel suo laboratorio, come un vecchio soldato a cui si riconosceva il diritto di morire in trincea. Guardò l’uniforme di Victreia Seconda. La targhetta col nome era dall’altra parte del colletto, fuori vista. Era Victreia Smait (questa sarebbe stata una scelta eccessiva!) o Victreia Underhill, o quale altro?
— E così, tenente, che ne pensi della vita militare?
Viki sorrise, lieta di poter cambiare argomento. — È una grande sfida, sergente. — Poi si fece meno formale. — In realtà, non ho avuto molto tempo per spassarmela. Il corso d’addestramento e il corso ufficiali sono stati… mmh, tu lo sai meglio di me. Forse non ci sono più sergenti del tuo stampo, ma ti assicuro che anche quelli di oggi sanno come rendere dura la vita alle reclute. A proposito. — Indicò verso la scorta. — Brent è sergente anziano. Lavora con me. Rhapsa e il piccolo Hrunk faranno il corso ufficiali, ma per ora sono semplici caporali. Dovremmo trovarli all’aeroporto.
— Lavorano con te anche loro? — Hrunkner era sorpreso.
— Sì. Siamo una squadra. Quando il generale ha bisogno di far ispezionare qualcosa e vuole un rapporto veritiero, manda noi. — Tutti i suoi figli, dunque, salvo Jirlib. Quella rivelazione lo lasciò poco soddisfatto. Si chiese cosa pensassero quelli dello staff del generale e gli altri ufficiali nel vedere una truppa di Smait mettere il naso nei segreti militari. Ma… anche Hrunkner aveva fatto parte del Servizio Informazioni, e sapeva come andavano le cose. Il vecchio Strut Grionval s’era sempre fatto da solo le sue regole. Il Re lasciava mano libera al capo del Servizio. Molti pensavano che questa fosse soltanto una tradizione, e che le regole valessero per tutti. Ma se Victreia Smait pensava di servirsi della sua famiglia per compiti delicati… be’, forse ne aveva il motivo.
L’aeroporto di Principalia era un caos. C’erano più aerei, più merci in transito, più operai addetti alla manutenzione che mai. Ma a onta di quella confusione, il jet militare di cui il generale Smait aveva anticipato la partenza era già sulla pista. L’auto di Viki ebbe il permesso di entrare direttamente sul campo, e si avviò sulla corsia riservata ai veicoli ubbidendo alle segnalazioni dei tecnici. Dappertutto si aprivano i grandi pozzi degli elevatori, ancora in via di completamento. Entro la fine dell’anno ogni attività si sarebbe svolta nel sottosuolo, e quelle piattaforme avrebbero portato alla superficie un nuovo tipo di aerei adatti a operare nel vuoto.
Viki lo condusse fino al suo jet. Non gli disse dove sarebbe andata lei quella sera, né a che reparto appartenesse e con quali compiti. Evidentemente aveva l’ordine di tenere la bocca chiusa. Scese con lui sulla neve a lato della pista. Non c’era vento, così Hrunkner non si mise la maschera, ma faceva un tale freddo che ogni respiro gli bruciava le mucose. L’aria che scaturiva dalle sue fessure bronchiali era così densa e bianca che precipitava al suolo come brina.
Viki era troppo giovane e piena di vita per far caso al freddo. Lo affiancò per quei pochi passi fino al jet continuando a parlare di questo e di quello. Se non fosse stato per il buio e il gelo della Tenebra che gli incombevano addosso, Hrunkner l’avrebbe ascoltata senza stancarsi mai tant’era felice di averla rivista. Forse era una fuori-fase, ma decisamente bella — una reincarnazione di sua madre con qualcosa di più dolce — e aveva negli occhi una luce che ricordava l’entusiasmo e la creatività di suo padre da giovane. Diavolo, forse parte del suo fascino si doveva al fatto che era fuori-fase! Quel pensiero sorprese Hrunkner, che si meravigliò di se stesso. Ma non poteva negare che Viki avesse vissuto l’intera vita scostata dalla normalità, guardando ogni cosa da un nuovo punto di vista. In un certo senso, il vedere cos’era diventata rasserenava Hrunkner sulle insidie di un futuro che non si appoggiava più al passato.
Viki si spostò sulla sua destra quando giunsero alla tettoia mobile che riparava la scaletta del jet. La giovane aracnide alzò le braccia anteriori in un saluto militare troppo impeccabile per non essere scherzoso. Hrunkner rise. Fu in quel momento che vide la targhetta sulla blusa termica di lei.
— Che nome interessante hai scelto, tenente, quando sei diventata maggiorenne. Non quello di una professione, non quello di una profondità di famiglia. Cosa…?
— Be’, nessuno dei miei genitori ha una professione da cui si possa trarre un nome. Il padre di mia madre era un meccanico, così volle onorarlo scegliendo “Smait”, e mio padre si sentiva legato alla Profondità Underhill della sua gente. Io invece… guarda dietro di te. Zio Hrunkner.
Lui si girò. Oltre le lunghe piste ripulite dalla neve e gli edifici del terminal, le luci di Principalia si stendevano fino alle colline e alle spianate dei campi. Su di esse troneggiavano quelle della collina dove sorgeva l’alto palazzo degli Underhill.
— Un tempo quello era l’osservatorio dei Laigtil, le truppe reali di stanza qui in città. La torre che loro avevano costruito non durò molto, ma mio padre ha voluto edificarne una che il Nuovo Sole non potrà bruciare o distruggere. Un osservatorio da cui guardare il futuro. È là che sono cresciuta, ed è quello lo scopo di cui mi sento investita.
Con una mano nutritiva girò la targhetta, che scintillò nelle luci del jet. TENENTE VICTREIA LAIGTIL. — Non preoccuparti, sergente. Quello che tu e i miei genitori avete fatto è destinato a durare a lungo.
Il colonnello Belga Vilunder cominciava a essere stanca di Comando Territoriale. Aveva l’impressione di non fare altro che andare avanti e indietro fra lì e Principalia, dov’era la sua sede, e sarebbe stato anche peggio se non avesse avuto a disposizione una linea di videotelefono riservata. Belga lavorava per il Servizio di Controspionaggio dal 60/15, da prima della metà dell’ultima Luce. E coi tempi che correvano era quasi un assioma che la fine della Luce corrispondesse con l’inizio di una nuova e più sanguinosa fase della guerra, qualunque fosse la guerra in corso in quel momento. Lei s’era aspettata che fosse un periodo molto difficile, ma non a quel punto.
Quando uscì dal suo alloggio per andare alla riunione dello staff, Belga era un po’ innervosita da ciò che si proponeva di fare. Non aveva alcun desiderio di scavalcare il suo capo, ma questo era il modo in cui la sua petizione sarebbe stata interpretata. Rachner Thract era già in sala e stava preparando la sua presentazione. Un ingranditore proiettava sul muro foto granulose a dieci colori. Sembrava che il collega avesse scoperto altre basi di lancio nella Terra Meridionale, altre attività delle “potenziali vittime del criminoso imperialismo guerrafondaio dell’Alleanza”.
Thract la salutò con un cenno, mentre lei e i suoi assistenti si mettevano a sedere. C’era sempre un po’ di attrito fra il Servizio Informazioni e il Controspionaggio, benché facessero in pratica lo stesso lavoro, i primi all’estero e i secondi in patria. Ma non perché gli agenti di servizio all’estero si sentissero considerati “spie” dai colleghi il cui compito era di reprimere lo spionaggio straniero. Il problema basilare stava nel fatto di aver diviso il servizio in due separati compartimenti, e fra Thract e Belga aveva finito per nascere una certa rivalità. Da quando Thract aveva dovuto confessare d’essere stato colto impreparato dalle attività militari nella Terra Meridionale, le azioni di Belga erano salite di qualche punto. Anche in vista della fine del mondo lavoriamo per avvantaggiarci sugli altri, pensò amaramente lei.
Consultò l’ordine del giorno e un paio di argomenti le strapparono borbottii scontenti. — Lei che ne pensa di quegli affari in orbita a grande altezza, Rachner? — Non era una domanda a trabocchetto. Thract non poteva essere in difficoltà su un argomento che riguardava soprattutto la Difesa Aerea.
Il collega agitò una mano come a dire che certuni stavano facendo delle grosse scempiaggini. — Dopo tutto il parlare che ne abbiamo fatto, la Difesa Aerea viene a dire di avere solo tre possibili avvistamenti. Possibili un accidente! Perfino oggi, con quello che sappiamo sui vettori antigravità dei Kindred, quelli non riescono a identificare un satellite neanche se gli cade in testa. Ora poi il direttore della D.A. salta fuori a dire che i Kindred hanno una base di lancio di cui io non sapevo niente. Lei sa bene che il capo mi tiene acceso il fuoco sotto il guscio fin da quando… dannazione! — Belga non capì se quella fosse la conclusione del discorso, o se l’altro avesse appena scoperto qualcosa di sbagliato nelle sue note. A ogni modo, Thract non aveva certo intenzione di confidarsi con lei.
Qualcun altro stava entrando, alla spicciolata: il direttore della Difesa Aerea Dugvai (che andò a sedersi sul trespolo più lontano da Rachner Thract), il direttore dell’Ufficio Vettori da Offesa, e il direttore delle Relazioni Pubbliche. Poi arrivò il capo, seguita dal ministro delle Finanze del Re.
Il generale Smait dichiarò aperta la riunione e diede un formale benvenuto al ministro. Nella scala gerarchica il ministro Nizhnimor era un gradino superiore a lei; più in alto c’era soltanto il Re. In realtà Amberdon Nizhnimor era una vecchia collega della Smait, con la quale aveva fatto il servizio militare nella Grande Guerra.
I satelliti erano il primo argomento all’ordine del giorno, e la cosa si svolse come Thract aveva accennato. La Difesa Aerea aveva altri dati sui tre avvistamenti; l’ultima analisi computerizzata di Dugvai confermava che si trattava di satelliti Kindred, o forniti di macchine fotografiche per lo spionaggio aereo oppure lanciati solo come test per qualche vettore di testate nucleari ad antigravità. In ogni caso nessuno di essi era stato avvistato una seconda volta. E nessuno risultava lanciato da basi sul territorio Kindred. Il direttore della Difesa Aerea fu tassativo nel puntualizzare che occorrevano affidabili indagini al suolo in territorio straniero. Se il nemico disponeva di basi di lancio mobili, era vitale saperlo. Belga s’era aspettata che Thract prendesse fuoco all’insinuazione che i suoi agenti avessero fallito di nuovo, ma lui accolse il sarcasmo di Dugvai e gli ordini del generale Smait con impassibile cortesia. Belga capì che, secondo Thract, quello era il minore dei suoi problemi. A preoccuparlo sul serio doveva essere l’ultimo argomento all’ordine del giorno.
Il successivo fu Pubbliche Relazioni. — È con rammarico che devo dirlo, ma non c’è alcun modo di fare un referendum popolare sulla guerra, il cui esito sarebbe comunque contrario al conflitto. Questo è il risultato inequivocabile dei nostri sondaggi. — Belga annuì. Non aveva bisogno dei sondaggi di quel dipartimento per sapere che la gente era contraria alla guerra. Il governo era nominato dal Re, ed era quindi un organismo autocratico, ma da quando era stato costituito il Parlamento dell’Alleanza i poteri della Corona erano stati molto ridotti, e in tempo di pace non potevano giungere a decretare l’esistenza di uno stato di guerra, fuorché in caso di attacco. In altre parole, per istituire lo stato di guerra e mettere le basi di una guerra preventiva occorreva il referendum. Purtroppo in un mondo dove le informazioni circolavano nello spazio di pochi secondi, non c’era modo di indire un referendum di quel genere senza notificare immediatamente al nemico le proprie intenzioni, e se il nemico disponeva di missili intercontinentali c’era il caso che il popolo non avesse il tempo materiale di recarsi alle urne. Una guerra nucleare poteva cominciare e finire nello spazio di mezza giornata.
Il generale Smait si lasciò ricordare l’ovvio con notevole pazienza. Poi fu la volta di Belga. In poche frasi sbrigò il solito catalogo di minacce interne. Le cose erano sotto controllo, più o meno. C’erano minoranze di tutto rispetto che rifiutavano fanaticamente tutte le modernità. Alcune erano già fuori scena, ibernate nelle loro profondità. Altre s’erano scavate profondità meglio attrezzate e queste avrebbero creato dei problemi se la situazione internazionale fosse precipitata. Hrunkner Unnerbai aveva fatto miracoli di ingegneria. Anche le città più arretrate del nord-est avevano reattori nucleari che fornivano elettricità e riscaldamento, e disponevano di vasti quartieri abitabili in parte sotterranei. — Ma sia chiaro che quasi niente di questo è stato progettato per resistere a un attacco atomico. Una piccola testata su una città, o su un reattore, sarebbe fatale. Pochi dei superstiti riuscirebbero a trasferirsi nelle vecchie profondità, che comunque sono prive di scorte per il prossimo Nuovo Sole. — Tutte le risorse del Regno erano state usate per costruire città funzionanti e coltivazioni nel sottosuolo.
Il generale Smait guardò gli altri. — Qualche commento? — Ce n’erano parecchi. Pubbliche Relazioni suggerì di affidare a qualche impresa la costruzione di rifugi antiatomici, e di rafforzare con gettate di cemento la volta delle più importanti città sotterranee. Il generale annuì e affidò a Pubbliche Relazioni e a Belga Vilunder il compito di formare una commissione che studiasse la possibilità. Poi evidenziò sullo schermo l’argomento successivo all’ordine del giorno.
— Signora? — la precedette Belga. — Avrei un’ultima questione. Vorrei che mi consentisse di esporla.
— Naturalmente,
Belga si passò nervosamente le mani nutritive sulla bocca. Ora doveva andare avanti. Dannazione. Se solo il ministro delle Finanze non fosse stato lì. — Signora… in passato lei è stata, mmh, di larghe vedute circa l’assegnazione di fondi a operazioni di importanza non primaria. Lei ci ha dato l’incarico, e ha lasciato che ci occupassimo noi dei particolari. Io le sono molto grata di questo. Negli ultimi tempi tuttavia, e probabilmente senza che lei ne sia stata messa a conoscenza, alcuni membri del suo staff hanno eseguito ispezioni senza preavviso… diciamo pure raid notturni, in zone all’interno del confine e perciò di mia competenza.
Il generale Smait annuì. — Lei sta parlando della Squadra Laigtil.
— Infatti, signora. — I tuoi figli, che scorrazzano dappertutto come se fossero Ispettori Plenipotenziari del Re. Facevano domande strane e ingiustificate, chiudevano progetti che stavano andando avanti senza problemi, rimuovevano dirigenti di provate capacità. Questo induceva Belga a sospettare che quel pazzoide del marito del generale avesse ancora grande influenza nella politica interna. Restò immobile sul suo trespolo. Non c’era bisogno che lei dicesse altro. Victreia Smait la conosceva abbastanza da accorgersi che era molto preoccupata.
— Durante queste ispezioni senza preavviso il tenente Laigtil ha scoperto qualcosa di significativo?
— In un caso, signora. — Un problema abbastanza serio, che Belga era sicura le sarebbe rimbalzato addosso entro una decina di giorni. Notò che gli altri, intorno al tavolo, erano sorpresi dalla sua lamentela. Due di loro annuirono per segnalarle il loro sostegno quando li guardò. Thract tamburellava irosamente sul tavolo e sembrava sul punto di dire la sua contro la Squadra Laigtil, da cui era stato preso di mira (e non senza motivo, pensava Belga), ma Dio, dagli almeno l’intelligenza di tenere la bocca chiusa. La reputazione di Thract era già così precaria che per Belga avere il suo appoggio sarebbe stato più un danno che altro.
Il generale attese qualche secondo per assicurarsi educatamente che nessuno avesse altri commenti. Poi: — Colonnello Vilunder, io capisco che questo può urtare i sentimenti del personale del suo dipartimento, ma stiamo entrando in un periodo critico, più pericoloso di una guerra apertamente dichiarata. Io ho bisogno di alcuni assistenti particolari, capaci di agire in fretta e che sappiano ciò che mi occorre. La Squadra Laigtil agisce su mio incarico. La prego di farmi rapporto se il loro comportamento fosse irregolare… ma le chiedo di rispettare l’autorità che io ho delegato a loro. — Il suo tono sembrava sinceramente conscio della legittimità della lamentela di Belga, ma le parole confermavano che Victreia Smait stava cambiando una politica interna immutabile da decenni. Belga ebbe l’oscura sensazione che sapesse tutto sui raid polizieschi dei suoi figli.
Il ministro delle Finanze aveva esibito finallora un’espressione annoiata. Amberdon Nizhnimor era un’eroina di guerra; aveva camminato nella Tenebra insieme a Sherkaner Underhill, ma era difficile crederlo nel vedere cos’era diventata. La vecchia politicante si muoveva con lentezza, come se fosse di cartone, e parlava di qualsiasi argomento nel tono ponderato di chi ne considera prima di tutto gli aspetti burocratici. — Benché questo non rientri nelle mie competenze, signori, è necessario che vi dica che è opinione di Sua Maestà il Re che esista uno stato di guerra di nuovo genere, non dichiarata ma non perciò meno feroce, e che già si combatte a livello dei rapporti internazionali con la sovversione, l’intimidazione, il finanziamento della guerriglia, la vendita di armi, l’assistenza militare nel reprimere fazioni avverse e minoranze pericolose. Non è necessario un referendum popolare. Sua Maestà il Re ha completa fiducia nel giudizio del generale Smait, le cui iniziative sono in accordo con la saggia e ponderata politica della Corona.
Era un discorso che i presenti si sarebbero aspettati piuttosto dal ministro degli Interni. Ma in quel momento alle Reali Forze Armate interessava di più il parere di chi teneva i cordoni della borsa. Intorno al tavolo ci furono sobri cenni di assenso e nessuno ebbe niente da aggiungere, tantomeno Belga Vilunder. Stranamente, anzi, veder messe da parte le sue obiezioni la tranquillizzò. S’erano messi in cammino su una strada che portava all’inferno, ma lei poteva smettere di sentirsi responsabile; sul trespolo di guida c’era qualcun altro.
Dopo un momento il generale Smait continuò: — Abbiamo ancora un altro argomento… è il più critico che dobbiamo affrontare oggi. Colonnello Thract, vuole riassumerci la situazione nella Terra Meridionale? — Nel tono di lei c’era la cortesia di chi sta facendo un ultimo favore a chi è caduto in disgrazia, prima di sostituirlo. Thract parve intuirlo, perché esitò un istante.
Ma subito dopo Thract mostrò di avere un guscio duro. Balzò giù dal suo trespolo e accese il proiettore. — Signor ministro, generale. — Annuì verso Nizhnimor. — Abbiamo elementi per supporre che nelle ultime quindici ore la situazione si sia stabilizzata. — Indicò con una bacchetta una delle foto che Belga gli aveva visto studiare prima della riunione. La maggior parte della Terra Meridionale era coperta da nuvole, ma le basi di lancio erano tutte sulle Montagne della Sete e perfettamente visibili dal satellite. Thract confermò che tutte le basi avevano problemi coi rifornimenti e i materiali. I Kindred vendevano armi, ma non pezzi di ricambio. — I missili a lunga gittata delle Terre Meridionali sono del vecchio tipo a carburante liquido, e non hanno carburante a sufficienza per tutti. Il loro parlamento è stato follemente bellicoso negli ultimi tempi. L’ultimatum che ci hanno appena dato, con scadenza fra tre giorni, ne è un esempio. Ma in realtà solo uno su dieci di quei missili è pronto al lancio. E nessuno degli altri può ricevere il carburante nei prossimi quattro o cinque giorni.
Belga disse: — Allora si deve pensare che un ultimatum di questo genere sia stupido, da parte loro. Lei lo crede possibile?
— Si, lo credo possibile. — Thract annuì. — Dovete considerare che il loro sistema parlamentare è molto più contorto del nostro. Questa gente è stata trascinata dai Kindred a pensare che devono combattere adesso oppure essere assassinati nel sonno. La data dell’ultimatum mi fa pensare che sia una manovra politica interna, ovvero il tentativo di mettere altri parlamentari faccia a faccia con una realtà che loro non possono affrontare… per farli retrocedere su posizioni meno estreme.
Il direttore della Difesa Aerea disse: — Così lei pensa che non faranno niente finché non avranno tutto il carburante che gli serve?
— Questo è certo. D’altra parte gli sviluppi della manovra interna di cui ho parlato sono imprevedibili per noi. Il momento cruciale lo avremo fra quattro giorni, a Meridionalia, quando il parlamento si riunirà per valutare la nostra risposta all’ultimatum… se gliene daremo una.
Pubbliche Relazioni domandò: — Perché non accettiamo le loro richieste? Loro pretendono solo che le nostre basi missilistiche meridionali siano disattivate. È da quelle che si sentono minacciati. Il nostro prestigio non ne soffrirebbe se facessimo una dichiarazione ufficiale in questo senso. Dei resto, le basi che per noi contano sono altre.
Intorno al tavolo ci fu un borbottio di indignazione. Il generale Smait rispose in tono molto più mite di quel che avrebbe fatto chiunque altro. — Sfortunatamente non è una questione di prestigio. Accogliendo l’ultimatum della Terra Meridionale ci priveremmo di un quarto della nostra difesa territoriale. Dubito molto che ciò li farebbe sentire più sicuri nelle loro profondità… ma certo questo ci renderebbe più vulnerabili a un attacco Kindred.
Chezny Neudep, direttore dell’Ufficio Vettori da Offesa, disse: — È così. La realtà è che i meridionali sono dei burattini in mano ai Kindred. La Pedure e i suoi scagnozzi stanno gongolando di gioia. Quali che siano le conseguenze di questo ultimatum, loro avranno vinto.
— Forse no — disse il ministro Nizhnimor. — Io conosco molti dei parlamentari meridionali. Non sono pazzi né maligni o idioti. Sono stati spinti sull’orlo del panico, perciò una nostra dichiarazione ufficiale significherebbe molto per loro. Sua Maestà il Re intende recarsi a Meridionalia in occasione della prossima seduta del loro parlamento. È difficile immaginare una mossa più conciliante da parte nostra… ne convenite? Io penso che questo farà abbassare il piatto della bilancia dalla nostra parte, qualunque cosa Pedure stia meditando.
Naturalmente era per quello che servivano i Re, ma la notizia del ministro li lasciò sbalorditi. Anche il vecchio “Megamorti” Neudep ebbe un gesto di stupore. — Signora… so che simili iniziative rientrano nei poteri del Re, ma non posso essere d’accordo sul fatto che questo sia un problema di fiducia. Certo, nel parlamenti dei Meridionali ci sono persone onorevoli. Fino a un anno fa erano quasi nostri alleati. Abbiamo simpatizzanti a tutti i livelli del governo. Il colonnello Thract ci ha detto che abbiamo molte spi… molti collaboratori fra loro. Se non fosse per questo non avremmo mai incoraggiato le nostre industrie a comprare materie prime laggiù. Ma in meno di un anno il nostro vantaggio politico si è capovolto, e quella nazione è stata completamente infiltrata da agenti Kindred. Comprata dal denaro Kindred. Anche se la maggior parte dei loro parlamentari fosse onesta, al potere ci sono i corrotti. — Neudep alzò due braccia verso Thract. — La sua opinione, colonnello?
Le analisi di Thract non trovavano d’accordo molti. Questo era il motivo per cui Neudep lo tirava di nuovo in ballo. Nelle ultime riunioni il capo delle operazioni segrete all’estero era sempre stato sul banco degli imputati.
Thract rivolse un mezzo inchino a Megamorti Neudep. — Signore, le sue affermazioni sono genericamente corrette. Ma le infiltrazioni Kindred nella Terra Meridionale esistono a livello delle forze armate. Il governo è ancora sostanzialmente dalla nostra parte, e questo grazie all’opera di convincimento dei funzionari del mio ufficio. Purtroppo i Kindred sono stati più attivi di noi in un settore drammatico… quello delle eliminazioni fisiche. Abbiamo perduto intere catene di agenti, e i Kindred hanno scatenato la stampa di quella nazione ai nostri danni. Sono molto astuti.
— E così l’Onorevole Pedure è un genio superiore alle nostre capacità? — disse il direttore della Difesa Aerea. Il sarcasmo ammorbò l’aria.
Per qualche momento Thract tacque, muovendo nervosamente le mani nutritive. Nelle riunioni precedenti era solito contrattaccare con statistiche e nuovi progetti. Ora… qualcosa sembrava essersi rotto dentro di lui. Belga lo aveva visto come un burocrate a lei ostile fin da quando i figli del generale erano stati rapiti, ma adesso si sentiva a disagio per lui. Quando finalmente Thract parlò, la sua voce fu uno squittio rauco. — No, non è un genio. Voi non sapete che io… avevo degli amici, laggiù. Li ho mandati alla morte. E altri li ho perduti perché qualcuno li tradiva. Per molto tempo ho pensato che nel Servizio Informazioni ci fosse qualcuno al soldo del nemico. Ho dovuto tenere nascosti certi fatti perfino ai miei superiori… — Ebbe un cenno verso il generale Smait. — Negli ultimi anni sono filtrate al nemico informazioni che io avevo tenuto per me, o comunicato ai miei agenti solo in codice.
Ci fu silenzio, mentre le implicazioni di quelle parole penetravano nella mente dei presenti. Con voce più calma Thract continuò: — Ho cominciato a comportarmi con una cautela che in altri tempi avrei definito paranoica. Ho usato diversi sistemi di comunicazione, altri codici, altri espedienti… e vi dico che il nostro nemico sta oltre l’Onorevole Pedure. È qualcun altro. È come se la nostra evoluta tecnologia lavorasse contro di noi.
— Controsensi! — sbottò Difesa Aerea. — Il mio dipartimento usa la tecnologia più di chiunque altro, e siamo più che soddisfatti dei risultati. In mani competenti, le reti di computer e i satelliti da osservazione sono strumenti formidabili. Guardate le nostre analisi sui segnali radar non identificali. Certo, le reti di computer sono sottoposte ad abusi. Ma noi siamo all’avanguardia nei mondo con queste tecnologie, e disponiamo di sistemi anti-decifrazione a prova di bomba… o lei sta affermando che il nemico decifra le nostre comunicazioni criptografate?
Accanto al podio del proiettore Thract parve vacillare. — No, questo è stato il mio primo sospetto ma noi eravamo in grado di decifrare tutte le comunicazioni Kindred, almeno fino a qualche tempo fa. Perciò sappiamo che loro non potevano fare altrettanto con noi. — Allargò le braccia verso i presenti. — Ancora non capite? Vi sto dicendo che c’è una forza attiva all’interno delle nostre reti di computer, una forza che lavora ai nostri danni. Qualunque cosa facciamo essa se ne accorge, e porta aiuto ai nostri nemici…
Era una scena patetica, una specie di abbietto collasso psichico. A Thract non restava altro che incolpare i fantasmi per spiegare i suoi fallimenti. Forse la Onorevole Pedure era davvero troppo intelligente… o forse era Thract il traditore, lui stesso.
Belga scrutò il collega con attenzione. Il generale Smait godeva della completa fiducia del Re. Senza dubbio avrebbe superato senza danni il fallimento di Thract, se si fosse affrettata a mandarlo in congedo per i rituali “motivi di salute”.
Il generale Smait fece un cenno al piantone di guardia alla porta. — Sergente, accompagna il colonnello Thract nell’ufficio dello staff. Colonnello, io la raggiungerò là fra qualche minuto. Si consideri tuttora in servizio.
Occorse qualche secondo prima che quelle parole raggiungessero la mente di Thract. Il piantone si preparò a scortarlo fuori, ma con ogni evidenza quella non era una destituzione né un interrogatorio preliminare in vista di un’eventuale incriminazione. — Sì, signora. — Thract si raddrizzò dignitosamente e uscì, seguito dal sergente.
Dopo l’uscita del colonnello, nella stanza ci fu una pausa di silenzio. Belga ebbe l’impressione che tutti guardassero tutti gli altri, e con pensieri alquanto funesti. Alla fine il generale Smait disse: — Signori, il colonnello Thract ha toccato un punto dolente. Non c’è dubbio che siamo infiltrati da agenti Kindred con un’ottima copertura. E la loro attività si espande oltre le nostre competenze. Ci sono falle nello stesso Servizio Informazioni… e non abbiamo ancora un’idea di dove cercarle. Ora capite perché ho istituito la Squadra Laigtil.
Erano trascorsi quarant’anni da quando la stella OnOff s’era accesa. Ritser Brughel non era stato di Turno tutto quel tempo, ma l’Esilio aveva portato via i migliori anni della sua vita. L’Esilio, che ora si avvicinava alla fine. Quella che era stata un’attesa di anni si era ridotta a giorni. Da lì a meno di quattro giorni lui sarebbe stato il vice presidente di un mondo intero.
Ritser fluttuò dietro le spalle della testarapida che manovrava a distanza la sonda, e guardò in silenzio ciò che il piccolo oggetto stava trasmettendo. Pochi secondi prima la sonda aveva frenato, allargando le sue ali larghe un metro, e da quaranta chilometri d’altezza sorvolava un interminabile tappeto di luci, riunite a grappoli e collegate da lunghe collane di lampioni. Grande Città Reale del Sud era il nome stupidamente lungo che le testerapide le avevano dato. Ma cosa c’era da aspettarsi da loro? Comunque era una vera megalopoli. Quel pianeta era immerso nel buio e nel gelo, ma pullulava di Ragni in frenetica attività. Le loro città erano così vaste a popolate da lasciare sbalorditi. Si trattava di una civiltà industriale, poco da dubitarne, e in quei quattro decenni aveva fatto progressi enormi. La sua tecnologia era rozza dal punto di vista umano, ma con le testerapide a dirigere i cambiamenti in pochi anni avrebbero fatto un balzo in avanti. Per quarant’anni sono stato il Dirigente di un manipolo di Seguaci. Presto sarò il Dirigente di milioni, anzi di miliardi. E in futuro… appena il mondo dei Ragni avesse sviluppato una tecnologia evoluta, lui e Tomas Nau sarebbero tornati su Balacrea e su Frenk, per prendere il potere anche là.
L’immagine che aveva appena preso forma sullo schermo si frammentò in una dozzina di copie più piccole, e poi in dodici dozzine di copie ancora più piccole. — Ma cosa diavolo,..
— La sonda si è appena frazionata in microsonde, vice caponave — spiegò la Reynolt con voce fredda, quasi derisoria. — Sono oltre duecento. Le disperderemo su varie orbite. — Girò un momento la testa a guardarlo. — Strano che lei sia così interessato ai dettagli preliminari, vice caponave.
Lui provò un impeto di rabbia a quell’impudenza, ma ormai sapeva controllarsi e il suo respiro non si accelerò, né vide rosso per l’afflusso di sangue alla retina. Le rispose con una scrollala di spalle. Oggi riesco ad andare d’accordo perfino con questa cagna. Forse Nau aveva ragione; forse lui stava crescendo. — Voglio vedere il vero aspetto di quegli esseri. — Conosci i tuoi schiavi. Presto avrebbero arrostito centinaia di milioni di Ragni, ma lui doveva imparare a sopportare la vista dei sopravvissuti. Le Microspie piovvero in basso attraverso la gelida atmosfera, e Ritser vide avvicinarsi uno strato di nuvole, la parte superiore di un uragano o qualcosa del genere. Duecento pallottole lunghe un dito. Nei successivi mille secondi tutte finirono in qualche parte della Terra Meridionale, alcune in mare, altre sprofondate nella neve, altre in zone deserte. Ma molte in luoghi interessanti.
Alcune finirono su una specie di autostrada, illuminata da lampioni azzurri. Una delle microcamere mostrava rovine di antichi edifici su un’altura. I veicoli erano larghi e bassi, robusti come autoblinde. La testarapida agli ordini della Reynolt spedì le sue microspie lungo quella strada. Stava cercando un passaggio. Tre o quattro cessarono di trasmettere, schiacciate da una ruota o danneggiate da un urto. Ritser guardò l’inventario, su una finestra. — Ottimo lavoro, Anne. Ci resta solo un’altra di queste multi-sonde, in magazzino — ironizzò.
Lei non si prese la briga di replicare. Ritser batté un colpetto su una spalla della testarapida. Era un certo Melin, un anziano dall’aria sporca e malsana. — Allora, pensi che riuscirai a portarne una da qualche parte?
Era poco probabile che l’altro rispondesse, ma dopo qualche momento l’uomo annuì. — La Sonda 132 sta andando bene. — Gli indicò una delle immagini: era riuscito a fissare la sonda sopra un veicolo. L’inquadratura ballò mentre le ruote sobbalzavano su una rampa, poi una porta si aprì davanti a loro e il veicolo entrò. Trascorsero trenta secondi. Il muro sembrava muoversi verso l’alto. Una specie di ascensore? Ma se i dati erano esatti, la stanza era più larga di un campo di racquet.
Trascorsero altri secondi, e Ritser scoprì di essere interessato alla scena. Fino a quel giorno tutto ciò che aveva saputo dei Ragni erano cose di seconda mano, riferite dalle testerapide della Reynolt. Buona parte di ciò che costoro traducevano era insensato dal punto di vista di un essere umano. Per capirci qualcosa lui aveva bisogno di immagini. I satelliti riprendevano scene a forte ingrandimento, ma senza sufficiente definizione. Per anni Ritser aveva pensato che quando i ragni avrebbero inventato la televisione lui avrebbe visto finalmente delle immagini decenti. Ma la psicologia visuale dei Ragni era troppo diversa. Attualmente tutte le emittenti televisive del pianeta trasmettevano secondo una tecnica che Trixia Bonsol chiamava “videomanzia”, e che senza una decodificazione era solo un caos di forme e di colori per il sistema occhio-cervello umano. L’audio confermava che si trattava di trasmissioni normali, non codificate e quindi perfettamente visibili… per un Ragno.
Ma ora, entro pochi secondi, Ritser avrebbe visto quei mostri da vicino e ripresi da un apparecchio umano.
Ancora nessun movimento. Se era un ascensore stava scendendo un bel pezzo nel sottosuolo. Comprensibile, se uno considerava che razza di condizioni c’erano in superficie lì al polo sud. — Rischiamo di perdere il segnale?
La Reynolt non rispose subito. — Non lo so. Melin sta cercando dei relè nel pozzo dell’ascensore. Mi preoccupa la possibilità che la sonda sia scoperta. Anche se fondendosi diventa un grumo di metallo, la sua presenza…
Ritser rise. — Che ti importa? Non capisci che fra quattro giorni ci impadroniremo di tutto quanto, laggiù?
— Il governo dell’Alleanza sta cominciando a capire qualcosa. Hanno appena chiuso dei canali da cui assorbivamo notizie militari. Ho dei resoconti di riunioni ad alto livello da cui risulta che Victreia Smait sospetta un’infiltrazione nella loro rete.
— Il capo del servizio segreto? — Ritser si accigliò. La cosa doveva essere accaduta molto di recente. — A ogni modo gli restano meno di quattro giorni. Cosa possono fare?
Lo sguardo della Reynolt era di pietra, come al solito. — Possono spezzettare la rete, o addirittura smettere di usarla. Questo ci bloccherebbe.
— E li condannerebbe a perdere la guerra contro i Kindred.
— Sì. Salvo che non fornissero anche ai Kindred solide prove dell’esistenza di alieni che li spiano dallo spazio.
Era una cosa dannatamente improbabile. Quella donna era paranoica. Ritser sorrise della sua espressione vagamente preoccupata. Si capisce. È così che ti abbiamo fatta.
La porta dell’ascensore si aprì, ma Ritser non riuscì a vedere niente. La telecamera trasmetteva con un sacco di disturbi da quella profondità. Dannazione.
— Ci siamo. — Melin era soddisfatto per qualche motivo suo.
— Ha trovato un relè — spiegò la Reynolt.
A un tratto l’immagine tornò chiara e ben definita, il veicolo uscì dall’ascensore e Ritser poté vedere delle lunghe scale… se così si potevano chiamare; sembravano più che altro scale a pioli. Chissà cosa diavolo era quel sotterraneo. Un garage? Poi la telecamera girò un angolo e inquadrò dei Ragni. Dalla scala graduata lui ebbe la conferma che erano delle dimensioni che già si sapevano. Quelli adulti arrivavano alla coscia di un uomo. Erano più simili a granchi che a ragni, come nelle foto prelevate dal pianeta prima della Riaccensione, ed era impossibile immaginarli capaci di comportarsi come uno avrebbe pensato ascoltando le traduzioni delle testerapide. Indossavano degli abiti? Niente di umano. Quei mostri avevano addosso roba che faceva pensare a delle bandierine abbottonate. Molti di loro portavano a tracolla dei grossi panieri. Si muovevano con scatti rapidi, agitando quelle sinistre zampe acuminate da una parte e dall’altra. Il loro guscio chitinoso era nero, ma se ne vedeva poco sotto quegli indumenti multicolori. Sulle loro teste scintillavano occhi simili a gemme sfaccettate. Occhi di insetto. In quanto alla bocca dei Ragni… i traduttori avrebbero dovuto usare il termine esatto: fauci artigliate, un’orrida fessura circondata da zampette o chele (quelle che Trixia Bonsol chiamava “mani nutritive?”) in continuo movimento.
Riuniti in gruppi brulicanti quei Ragni erano la cosa più simile a un incubo che Ritser potesse immaginare, proprio la sorta di insetti ripugnanti che uno sogna di schiacciare e calpestare urlando mentre lo assalgono e gli si arrampicano addosso. Si consolò col pensiero che, se tutto andava bene, da lì a quattro giorni i mostri che stava guardando sarebbero stati poltiglia.
Per la prima volta da cinquant’anni a quella parte una nave spaziale avrebbe volato nel sistema di OnOff. Sarebbe stato un viaggio breve, inferiore ai due milioni di chilometri, appena uno spostamento da un ormeggio all’altro per gli standard umani. Ma era quasi il massimo che la maggior parte delle loro navi superstiti potesse affrontare.
Jau Xin aveva supervisionato i preparativi della Mano Invisibile. La nave era stata finallora il quartier generale di Ritser Brughel, e grazie a questo l’unica da cui nessuno fosse andato a togliere pezzi per riparare le attrezzature che si guastavano negli habitat.
Prima che i “passeggeri” della Mano Invisibile si trasferissero altrove Jau aveva caricato nei serbatoi tutto l’idrogeno prodotto dalla distilleria di L1. Erano solo poche migliaia di tonnellate, una goccia negli immensi serbatoi vuoti della naveram, ma bastanti a farle superare il varco fra L1 e il mondo dei Ragni. Jau e Pham Trinli fecero un’ultima ispezione nelle condutture del motore dell’astronave. Era sempre strano fluttuare in quei tunnel larghi un paio di metri. Lì dentro l’inferno aveva ululato rovente per decenni spingendo la nave Qeng Ho attraverso il cosmo al trenta per cento della velocità della luce.
— C’è un’incavatura di zero nove micron su un lato dell’ugello — riferì Trinli doverosamente, via radio. Poi borbottò: — Al diavolo, che ti aspettavi da una nave? E qui potresti incidere il tuo nome sulla parete con la fiamma ossidrica, per la differenza che farebbe. Quel che hai programmato tu è un paio di migliaia di secondi a una frazione di G, no?
— In partenza, sì. Ma all’arrivo freneremo per un centinaio di secondi a circa 1 G. — Avrebbero dovuto frenare con cautela e a quota molto bassa, sul maggiore oceano di Arachna. In caso contrario avrebbero brillato come il sole nel cielo, e sarebbero stati visti dai Ragni anche sul lato opposto del pianeta.
Trinli agitò una mano con fare indifferente. — Non preoccuparti, amico. Io ho corso rischi peggiori in balzi azzardati fra satelliti e asteroidi. — Uscirono da un ugello, a poppa, e girarono sulla svasatura a forma di tromba fra i proiettori di campo. Per tutta l’ispezione Trinli aveva continuato a raccontare balle su episodi accaduti a lui in circostanze analoghe. O magari non erano balle, ma cose che aveva sentito narrare da altri o visto in qualche video. Trinli sapeva senza dubbio un sacco di cose sulle viscere delle naviram. Il guaio era che poteva sbolognare qualsiasi fandonia a un Emergente, che quei video di avventure non poteva averli visti. E non c’era altri che lui in grado di eseguire l’ispezione. Tutti gli ingegneri Qeng Ho erano morti durante la battaglia. E le ultime testerapide che si intendevano di ingegneria erano morte per episodi di regressione del virus mentale, nel corso degli anni.
Si lasciarono alle spalle i larghi ugelli di poppa e raggiunsero il taxi. Trinli si volse a indicare lo scafo con un largo gesto. — Ti invidio, Jau, ragazzo mio. Guarda la tua nave! Quasi un miliardo di tonnellate di stazza. Può darsi che tu non vada lontano con questa signora, ma la stai portando verso il tesoro che lei ha sognato per tutti i cinquanta anni-luce del suo viaggio.
Jau fu costretto a sorridere di quelle parole. Nel corso degli anni aveva capito che le chiacchiere di Trinli erano una maschera… ma talvolta quel vecchio trombone riusciva a dire qualcosa che ti toccava l’anima. La Mano invisibile era davvero una signora degli spazi interstellari, migliaia di metri di scafo ricurvo che in lontananza sparivano, fatta per raggiungere velocità al limite della comprensione umana e sfidare le leggi della fisica. E stagliato sullo sfondo stellato campeggiava appena visibile il pallido disco di Arachna, a un milione e mezzo di chilometri da lì. Un Primo Contatto storico, e io sarò il direttore dei pilotaggi. Jau avrebbe dovuto esserne fiero…
L’ultimo giorno di Jau prima della partenza fu una continua serie di controlli alle apparecchiature e ai rifornimenti. A bordo ci sarebbe stato un centinaio di operatori fra testerapide e specialisti. Jau non sapeva quali settori tecnici rappresentassero, ma era chiaro che il caponave voleva manipolare profondamente le reti di comunicazione dei Ragni, e senza il mezzo secondo di ritardo che comportavano gli interventi da L1. Questo era ragionevole. Salvare i Ragni da loro stessi richiedeva una complicatissima serie di manipolazioni, e forse la necessità di prendere sotto controllo i loro sistemi di difesa strategica.
Jau aveva quasi finito l’orario di lavoro quando Kal Omo entrò nel suo piccolo ufficio, accanto alla plancia della Mano.
— Ho un altro po’ di lavoro per lei, direttore dei piloti. — Sulla faccia magra di Kal Omo apparve un sorrisetto ironico. — Lo chiami lavoro straordinario. — Presero un taxi per tornare all’ammasso di rocce, ma non verso Hammerfest. Sull’altro lato di Diamante Uno c’era l’ingresso di L1-A, l’arsenale. Due taxi erano già ormeggiati presso il portello.
— Lei ha studiato i sistemi d’arma della Mano, Xin?
— Sì. — Jau aveva studiato tutto dell’astronave, salvo l’alloggio privato di Brughel. — Tuttavia fra i Qeng Ho lei può trovare chi conosce meglio di me…
Kal Omo scosse il capo. — Questo non è lavoro per un Mercante, neppure Trinli. — Occorsero trecento secondi per oltrepassare il portello stagno, ma una volta dentro non c’erano altri ostacoli verso l’arsenale. Qui furono accolti dal rumore di macchine utensili al lavoro. Gli ovoidi fissati sulle rastrelliere lungo le pareti erano segnati col simbolo delle armi, l’antico triangolo giallo che i Qeng Ho usavano per le armi nucleari e a energia. Per anni tutti avevano speculato su ciò che era rimasto, nell’arsenale di L1. Ora Jau poteva vederlo coi suoi occhi.
Kal Omo lo precedette oltre varie porte prive di contrassegni. Non c’era tappezzeria-video a L1-A, e quello era uno dei pochi posti in cui non erano ammessi i localizzatori Qeng Ho, Gli automatismi erano semplici, e a prova d’errore. Passarono in un locale dove Rei Circi controllava una squadra di testerapide occupate nella costruzione di una rampa di lancio. — Ora trasporteremo la maggior parte di queste armi sulla Mano Invisibile, signor Xin. Negli ultimi anni abbiamo assemblato tutto in modo da rendere utilizzabili queste armi. — Gli indicò dei vettori Qeng Ho a cui erano applicate testate nucleari Emergenti. — Li conti. Diciotto missili atomici a corta gittata. Nei depositi piccoli abbiamo i proiettori di una dozzina di laser da combattimento.
— Io… io non capisco, sergente. Lei è un armiere. Lei ha i suoi specialisti. Che bisogno c’è di caricare a bordo armi…e di informarne il direttore dei piloti? — Ancora quel sorriso freddo. — Per salvare la civiltà dei Ragni è possibile che si debbano usare queste armi, dalla Mano Invisibile in orbita bassa. E le manovre di avvicinamento e attacco riguardano i piloti.
Jau annuì. Questo era ovvio. Sapeva tutto in materia. Il punto più caldo dell’attuale crisi dei Ragni era il continente meridionale. Dopo l’arrivo della nave su quel continente ci sarebbero state alcune migliaia di secondi di stazionamento durante i quali loro avrebbero dovuto coprirsi contro eventuali attacchi aerei. Tomas Nau aveva già parlato di un eventuale uso dei laser. In quanto alle bombe nucleari… forse sarebbero state utili per un bluff.
Il sergente proseguì il giro, specificandogli i difetti e le caratteristiche di ogni arma resuscitata. Molti dei missili che vide avevano avuto testate convenzionali, ma le testerapide li avevano convertiti in torpedini capaci di penetrare nel terreno con esplosioni successive. — Come lei sa avremo a bordo della Mano anche molte testerapide specializzate nel contattare le loro reti. Loro ci forniranno informazioni che lei userà nella manovra. Dovremo effettuare continui cambiamenti di orbita, a seconda dei bersagli.
Kal Omo ne parlava con l’entusiasmo di un militare, e Jau avrebbe voluto sprofondare nel suolo e sparire. Già da un anno sapeva di quei preparativi; c’erano particolari che non gli potevano essere tenuti nascosti. Ne era stato spaventato. Ma aveva continuato a dirsi che per ogni cosa c’erano delle ragionevoli spiegazioni. E si era aggrappato con tutte le sue forze a quel “ragionevoli spiegazioni’’. Questo gli consentiva di sentirsi una persona decente; gli consentiva di ridere con Rita mentre cercavano di immaginare il futuro che avrebbero vissuto insieme ai Ragni, mentre allevavano i figli che entrambi desideravano avere.
L’orrore che s’era impadronito di Jau doveva essere evidente, perché Kal Omo tagliò corto alla lista di azioni militari già programmate e lo guardò con aria seccata. Jau chiese: — Ma perché mi… mi ha…
— Perché ne parlo con lei? — Kal Omo gli batté un dito sul petto, con tale energia da farlo fluttuare indietro contro la parete. Sul suo volto aspro c’era una severa indignazione, la giusta ira delle autorità Emergenti contro i Seguaci troppo tiepidi, che Jau aveva visto sulla faccia di centinaia di poliziotti su Balacrea. — Non dovrebbe essere necessario spiegare queste cose, no? Ma la realtà è che lei si è ammosciato, come molti altri qui. Siete diventati piccoli vigliacchi senza spina dorsale come questi Mercanti, Gli altri li raddrizzeremo in seguito. Ma quando la Mano sarà in orbita ci occorrerà tutta la sua personale abilità e dedizione, in caso contrario… — Di nuovo il dito contro il petto. — Lei sa chi ne soffrirà le conseguenze, vero?
— S-sì. — Jau lo sapeva. Oh, Rita! Il regime dei Dirigenti non allenterà mai il guinzaglio.
Più di cento testerapide stavano lasciando l’attico di Hammerfest. Con la solita discutibile competenza Trud Silipan aveva programmato il trasferimento in un sol colpo. Nel dirigersi alla cella di Trixia, dunque, Ezr nuotava in una corrente di esseri umani che fluttuavano verso di lui. I focalizzati venivano mandati fuori in gruppetti di quattro o cinque, sempre accompagnati da qualcuno; fluttuavano negli stretti budelli interni, sfociavano nei tributari più larghi e poi galleggiavano via nel pozzo centrale. Fissati alle pareti c’erano lunghi passamano, ma urtarsi era fin troppo facile e mai divertente.
Ezr trovò un portello e si spostò dentro di esso per lasciar passare un altro gruppo. Stava incrociando gente che non vedeva da molti anni. C’erano tecnici Qeng Ho e Trilandesi, focalizzati subito dopo l’attacco a tradimento come Trixia. Talvolta ad accompagnarli erano i loro vecchi amici o colleghi, che Turno dopo Turno non avevano mai smesso di visitarli e preoccuparsi di loro. Dapprima erano stati in molti, ma poi gli anni erano passati e la speranza s’era stancata. Altri continuavano a dirsi che un giorno la promessa di Nau sarebbe stata mantenuta. Nel frattempo alle testerapide non importava nulla delle cure altrui; una visita era una seccatura per loro. Così soltanto pochi sciocchi come Ezr avevano persistito.
Non s’era mai trovato insieme a tante testerapide. Nei corridoi la ventilazione era peggiore che nei cubicoli-alloggio, e si respirava un intenso odore di corpi non lavati. La Reynolt pensava alle cure mediche del suo gruppo, ma l’igiene e la forma fisica non erano per le testerapide.
Aggrappato a una maniglia, a un incrocio, Bil Phuong dava istruzioni ad alcuni assistenti. Le testerapide erano divise in squadre di lavoro, i cui membri avevano dunque interessi in comune, e di passaggio Ezr coglieva brandelli delle loro agitate conversazioni. Possibile che si preoccupassero di ciò che era stato programmato per il pianeta dei Ragni? No… no, decise: erano irritati per essere stati distolti dal lavoro, e il loro era il solito gergo tecnico. Una donna anziana, una hacker addetta alle manipolazioni di rete, stava cercando di liberarsi dalla mano di un uomo che la spingeva avanti. — Quando, allora? — esclamò, irosa e petulante. — Quando posso tornare al lavoro?
Una testarapida del suo stesso gruppo, una donna, urlò qualcosa come: — Sì, questa faccia di merda puzza! — E si spostò su una maniglia dalla parte opposta. Staccati dai loro input quei poveri disgraziati rischiavano la follia. A un tratto l’intera squadra cominciò a gridare contro gli accompagnatori. Ezr si accorse che la cosa stava diventando una specie di rivolta degli schiavi al contrario… con gli schiavi furibondi per essere stati distolti dal lavoro. Quello era però un genere di pericolo che il capo degli accompagnatori conosceva, perché estrasse un bastone elettrico e toccò abilmente due delle testerapide più agitate. I disgraziati ebbero uno spasimo e persero conoscenza. Privata del suo centro la rivolta si smorzò in un miscuglio di comportamenti nervosi.
Bil Phuong venne a calmare le ultime testerapide combattive e poi guardò il capo degli accompagnatori, accigliato. — Questi due dovrò farli sintonizzare daccapo.
L’altro si asciugò il sangue da una guancia e scrollò le spalle. — Lo dica a Silipan. — Intascò il bastone elettrico e spinse le due testerapide svenute dietro ai compagni. Il traffico riprese, e da lì a poco Ezr poté proseguire lungo il corridoio.
I traduttori non dovevano trasferirsi sulla Mano invisibile. La loro sezione dell’attico avrebbe dovuto essere tranquilla. Ma Ezr vide con sorpresa che i cubicoli erano aperti e i traduttori affollavano i corridoi-capillari. Il giovanotto si apri la strada a gomitate fra testerapide che sbraitavano e si agitavano. Non c’era segno di Trixia. Pochi metri più avanti incrociò invece Rita Liao, che arrivava dalla direzione opposta.
— Rita! Non ci sono accompagnatori, qui?
L’altra scosse il capo, irritata. — Perché dovrebbero? Hanno da fare altrove. Ma qualche idiota ha aperto le porte dei traduttori.
Trud Silipan doveva aver dato qualche ordine errato. I traduttori, che non avrebbero dovuto lasciare le loro celle, sembravano convinti di dover andare altrove. — Voglio andare su Arachna! — gli disse un uomo. — Dobbiamo scendere su un’orbita ravvicinata! — esclamò un altro, forse più al corrente della situazione. — Calma! — cercò vanamente di esortarli Rita.
Trixia Bonsai dov’era? Ezr sentì voci femminili oltre l’incrocio. Girò l’angolo e la vide, fra una decina di altri traduttori. Sembrava disorientata; non era abituata al mondo fuori dalla sua cella. Ma parve riconoscerlo. — Silenzio! Silenzio! — gridò, e i colleghi tacquero, ubbidienti. Gettò uno sguardo distratto verso Ezr. — Numero Quattro, quando andremo su Arachna?
Numero Quattro? — Uh, presto, Trixia. Ma non oggi. Non sulla Mano invisibile.
— Perché no? Non mi piace perdere tempo!
— Per il momento il caponave ha bisogno che restiate al lavoro qui. — E questa era infatti la versione ufficiale. Soltanto gli addetti alla rete occorrevano in quell’operazione di avvicinamento. Pham ed Ezr erano al corrente della ragione più oscura, quella vera. Nau voleva meno testimoni possibile a bordo della Mano. — Tu andrai quando non ci sarà più pericolo, Trixia, te lo prometto. — La prese per una spalla. Lei non si mosse. Era aggrappata a un corrimano e resisté tenacemente a tutti i suoi sforzi per riportarla nel cubicolo.
Ezr cercò con lo sguardo Rita Liao. — Cosa possiamo fare?
— Aspetta. — Si toccò un orecchio e ascoltò quel che succedeva altrove. — Phuong e Silipan verranno a riportare i traduttori nei loro alloggi solo quando avranno finito di sistemare gli altri sulla Mano Invisibile.
Signore Iddio, questo significava qualche migliaio di secondi. Nel frattempo venti traduttori avrebbero continuato a far chiasso nei labirinti dell’attico, Ezr prese Trixia per un braccio. — Devi tornare al lavoro nella tua stanza, Trixia. Non puoi restare qui a perdere tempo quando il lavoro aspetta. Uh… scommetto che hai lasciato il visore là, vero? Potrai usarlo per chiedere al caponave quando andrete su Arachna. — Probabilmente Trixia aveva lasciato là l’interfaccia perché glielo avevano spento. Ma a quel punto l’unica cosa era produrre suoni rassicuranti.
Trixia si spostò alla ringhiera opposta, indecisa. A un tratto gli voltò le spalle e si spinse verso l’incrocio che portava al suo alloggio. Ezr la seguì.
L’impianto del cubicolo reagì alla presenza di Trixia, e gli schermi si accesero. Trixia raccolse l’interfaccia e lo mise davanti agli occhi. Ezr sincronizzò i suoi localizzatori con l’apparecchio di lei e vide che non era disattivato. C’era in arrivo il solito input dalla banca dati dei traduttori; nulla in diretta dal pianeta, ma faceva lo stesso. Trixia sedette alla scrivania e guardò i display. Le sue dita corsero alla tastiera, ma sembrava aver dimenticato l’idea di chiedere spiegazioni al caponave. La sola vista del suo posto di lavoro l’aveva trascinata di nuovo giù nelle profondità del Focus. Una finestra apparve nell’aria. Le complicazioni linguistiche che sfilarono rapidamente dovevano essere la versione scritta dell’audio di qualche trasmissione dei Ragni, un filmato, o più probabilmente (data la situazione attuale) l’intercettazione di una stazione militare. — Io non sopporto le perdite di tempo. Non è giusto. — Di nuovo un lungo silenzio, poi aprì un’altra finestra. Colori e forme spezzettate balenarono nell’inquadratura. Ezr riconobbe di cosa si trattava solo perché aveva già visto quello schema altre volte lì con lei. Era il notiziario commerciale dei Ragni che Trixia traduceva tutti i giorni. — Questa notizia è sbagliata. Sarà il generale Smait ad andare nella Terra Meridionale, non il Re — disse. Era ancora tesa, ma si trattava della sua solita normale concentrazione da focalizzata.
Pochi secondi dopo Rita Liao mise la testa nella stanzetta. Ezr si accorse che sembrava perplessa. — Tu sei un mago, amico. Come sei riuscito a calmarli tutti quanti?
— Io… non ho fatto altro che parlare con Trixia. Credo che lei si fidi di me. — O così sperava. Non ne era affatto certo.
Rita controllò il corridoio con uno sguardo e annuì. — Sì. Ma dopo che l’hai riportata al lavoro tutti gli altri sono rientrati nelle loro celle, dritti filati. Sai, questi traduttori sono più stabili e trattabili delle altre testerapide. Sono focalizzati su parametri diversi. Basta far scattare l’interruttore del membro alfa, e tutti gli altri si sintonizzano con lei. — Ebbe un sorrisetto. — Suppongo che tu l’abbia visto altre volte. I traduttori sono i componenti chiave del circuito.
— Trixia è una persona! — Tutti i focalizzati sono persone, dannati Emergenti schiavisti!
— Lo so, Ezr. Scusa. Volevo solo dire che… Trixia e gli altri traduttori sono diversi. Bisogna mantenere molte funzioni cognitive per impadronirsi di una cultura straniera. Fra i focalizzati loro sono i più vicini alla gente normale. Senti… ora mi prendo cura io del reparto, in attesa che tornino Phuong e gli altri.
— D’accordo — annuì Ezr, rigidamente.
Rita chiuse e si allontanò in corridoio. Poco dopo Ezr sentì anche altre porte chiudersi, e nell’attico tornò il silenzio.
Trixia sedeva davanti alla tastiera, incurante delle opinioni espresse in sua presenza. Ezr la guardò con un sospiro, pensando al futuro che la aspettava e a come avrebbe potuto salvarla. Dopo quarant’anni di quel lavoro i traduttori sembravano più che mai appassionatamente legati ad Arachna. Tuttavia Nau non programmava di farli scendere sul pianeta… non ancora. Ma quando Arachna fosse stato conquistato Trixia e i suoi colleghi sarebbero diventati la voce dei conquistatori.
Solo che questo non accadrà mai. Il piano di Pham Nuwen procedeva con lo stesso ritmo di quello di Nau. A parte pochi sistemi di tipo semplice, solo elettromeccanico, i localizzatori Qeng Ho avevano il controllo di tutto. Pham ed Ezr stavano apprestando il sabotaggio più efficace che si potesse concepire ad Hammerfest, a parte un blackout energetico completo. L’interruttore era puramente meccanico, immune a ogni manipolazione sottile. Ma Nuwen aveva anche un altro uso per i localizzatori. Un uso fisico. Negli ultimi Msec essi s’erano riuniti in uno spesso e solido strato intorno a quell’interruttore e avevano preparato un sabotaggio analogo nell’interno dei sistemi soltanto elettromeccanici, anche a bordo della Mano Invisibile. Negli ultimi cento secondi ci sarebbe stato un forte rischio. Era un trucco che poteva essere usato una sola volta, mentre Nau e i suoi scherani sarebbero stati occupati con la loro presa di potere.
Se il sabotaggio avesse funzionato — quando avrebbe funzionato — il potere sarebbe stato preso dai localizzatori Qeng Ho. E allora verrà il nostro momento.
Hrunkner Unnerbai trascorreva la maggior parte del tempo a Comando Territoriale; quella era diventata la base delle sue operazioni edilizie. E ogni giorno gli capitava di doversi recare più volte alla sede del Servizio Informazioni dell’Alleanza. Ogni volta parlava col generale Smait con qualcun altro, e la incontrava inoltre a tutte le riunioni dello staff. Il loro colloquio faccia a faccia avvenuto a Calorica — ormai cinque anni addietro — non era stato cordiale e tuttavia si erano in qualche modo riappacificati. Ma da diciassette anni — tanto era trascorso dalla morte di Gokna — lui non metteva piede nell’ufficio privato del generale.
Victreia Smait aveva un nuovo segretario, giovane e sicuramente molto fuori-fase. Hrunkner lo notò appena. In silenzio entrò nel sancta sanctorum del generale. Era ancora come lo ricordava, con gli scaffali aperti e i trespoli davanti alle finestre lunghe e strette. Per un momento il tempo scivolò via. Quello era stato l’ufficio del generale Strut Grionval, quando Victreia Smait aveva ancora i gradi di tenente sulla blusa. Il vecchio Grionval sarebbe rimasto stupito da certi cambiamenti; c’erano più computer ed elettronica che nell’ufficio di Sherkaner Underhill a Principalia. Una parete era occupata per intero da un grosso schermo di videomanzia. L’immagine che riceveva in quel momento proveniva da una telecamera sul tetto. Le Cascate Reali erano congelate da oltre due anni. Da lì si vedeva tutta la vallata. Le colline erano buie e spoglie; sulle cime si notava già dell’anidride carbonica congelata. Ma più vicino… luci in tutte le tonalità sopra l’infrarosso uscivano dagli edifici, illuminavano le strade, vivacizzavano il traffico. Per un momento Hrunkner pensò alla scena com’era stata una generazione addietro, durante l’ultima Tenebra. Diavolo, l’edificio in cui si trovava non era più praticabile, e il Quartier Generale aveva sede nelle piccole caverne del sottosuolo. Gli ufficiali si affollavano nel gelo di quegli scomodi locali in attesa degli ultimi messaggi radio dal fronte, chiedendosi se la squadra di Hrunkner e di Sherkaner Underhill sarebbe sopravvissuta nella sua profondità subacquea. Poi Strut Grionval aveva chiuso le caverne e la Grande Guerra s’era anch’essa congelata nel lungo sonno da cui era destinata a non svegliarsi più. Ma in questa generazione noi tiriamo avanti… dritti verso la più terribile guerra di tutti i tempi.
Con la coda dell’occhio vide il generale Smait entrare nell’ufficio, dietro di lui. — Si sieda, sergente, per favore. — Victreia Smait gli indicò il trespolo davanti alla scrivania.
Hrunkner dimenticò il grande schermo e sedette. Il piano della scrivania, a forma di U, era ingombro di fascicoli e alcuni dei display erano accesi. Due mostravano disegni astratti, simili a quelli in cui si perdeva Sherkaner. E così lei continua a lasciarlo fare.
Il generale Smait sembrava rigida, a disagio, e ciò significava che intendeva parlargli francamente. — Mi rivolgo a te chiamandoti sergente, ma questo è un grado di fantasia… comunque, grazie per essere venuto.
— È mio dovere, signora. — Ma perché mi ha chiamato qui? Forse il suo piano alquanto rischioso per il Nord Est era stato approvato. O forse… — Lei ha visto le mie proposte di scavo, generale? Gli esplosivi nucleari possono consentirci di ottenere in fretta delle vaste caverne. Le piane del Nord Est sarebbero l’ideale. Datemi le bombe, e in un centinaio di giorni realizzeremo habitat e campi ben protetti. — Le sue parole suonarono troppo affrettate perfino a lui. La spesa sarebbe stata enorme, superiore alle possibilità delle casse della Corona. Il generale avrebbe dovuto farsi dare poteri speciali, mettere alla frusta un’intera nazione, e anche così il risultato sarebbe rimasto incerto. Ma se, e quando, la guerra fosse scoppiata, quelle caverne avrebbero salvato qualche milione di aracnidi in più.
Victreia Smait alzò dolcemente una mano. — Hrunkner, non abbiamo cento giorni, io prevedo che fra meno di tre la situazione sarà risolta, o per il bene o per il male. Tre giorni. — Gli indicò uno degli schermi. — Sono appena stata informata che l’Onorevole Pedure si trova nelle Terre Meridionali, per convincere gli ultimi membri incerti del loro governo.
— Be’, che Dio la maledica. Se ci riesce, spero solo che resti là abbastanza da schiattare sotto la nostra rappresaglia.
— Possiamo escluderlo. Il loro attacco non avverrà prima che lei sia tornata al sicuro in un rifugio antiatomico della sua terra.
— Ho sentito delle voci, signora. Possibile che la branca estera del nostro Servizio Informazioni sia infiltrata? Thract è stato incriminato? –Le notizie si alimentavano da sole. Si diceva che il Servizio Informazioni fosse allo sbando e pieno di spie Kindred. Le più innocenti trasmissioni di routine venivano criptografate. Dove il nemico non avrebbe mai potuto arrivare con le minacce e la corruzione, ora aveva successo semplicemente con quel caos che sfiorava il panico.
Il generale ebbe un moto d’ira. — Questo è vero. Nella Terra Meridionale siamo stati giocati, sconfitti da impensabili fughe di informazioni. Ma abbiamo ancora del personale là, agenti che si aspettano di essere tirati fuori… e per i quali io non posso fare niente. — L’ultima frase fu quasi inudibile, e Hrunkner dubitò che stesse parlando con lui. Per un momento lei tacque, poi rialzò la testa. — Sergente, tu conosci bene le città e le industrie della Terra Meridionale, no?
— La mia ditta di costruzioni ha realizzato impianti industriali e dighe laggiù, trent’anni fa. — Quando l’Alleanza e la Terra Meridionale erano ancora amiche come possono esserlo due nazioni con fitti scambi economici.
Il generale non riusciva a star ferma sul trespolo. Le sue braccia stavano tremando. — Sergente… ancora oggi mi riesce difficile parlare faccia a faccia con te. Credo che tu lo sappia, questo.
Hrunkner abbassò la testa. Lo so. Oh, sì.
— Ma in quanto a competenza, mi fido di te. E… per tutte le profondità, in questo momento ho bisogno di te! Non posso darti ordini su questo, ma… sei disposto a venire con me nella Terra Meridionale? — Quelle parole sembrarono uscirle a stento.
Hai bisogno di chiederlo? Hrunkner alzò le mani. — Naturalmente.
La risposta di lui, così rapida e spontanea, la sorprese. Il generale parve incredula per un secondo. — Capisci cosa ti sto chiedendo? Metterai a rischio la tua vita, e questo al mio servizio personale.
— Sì, sì. Ciò che voglio è essere d’aiuto. — Fra il tuo servizio personale e il servizio per la patria non vedo differenza.
Il generale lo guardò ancora un momento, poi: — Grazie, sergente. — Batté qualcosa su una tastiera. — Mit Daunin, il mio segretario, ti darà le analisi dettagliate, più tardi. Ma in breve: può esserci una sola ragione per cui Pedure si trova nella Terra Meridionale, ed è che sa con certezza che quella nazione non è convinta. I membri più importanti del parlamento non sono ancora dalla sua parte. La conferma l’abbiamo dal fatto che alcuni parlamentari mi hanno invitata là, per parlare.
— Ma… questo dovrebbe essere compito del Re.
— Sì. Sembra che in questa Tenebra molte tradizioni stiano finendo a gambe all’aria.
— Lei non può andare, signora. — Dentro di lui una vocina ridacchiò; anche quella frase era un’infrazione all’etichetta.
— Non sei l’unico a darmi questo consiglio… L’ultima cosa che Strut Grionval mi disse, a non più di duecento passi da questa stanza, fu qualcosa di molto simile. — Sospirò un momento, a quei ricordi. — Strano. Strut Grionval aveva immaginato molte cose. Sapeva che io sarei finita sul suo trespolo. Sapeva che sarei stata tentata di tornare sul campo. Nel primo decennio di questa luce, ci sono state molte occasioni in cui sapevo che avrei potuto aggiustare le cose, o salvare delle vite, se fossi andata a fare il lavoro di persona. Ma quel consiglio di Grionval mi era parso una regola doverosa, e così l’ho sempre seguito. E sono rimasta viva per combattere la battaglia successiva. — D’un tratto rise, e la sua attenzione tornò al presente. — Così oggi sono una vecchia signora avvolta in un bozzolo di segreti e di inganni e manovre poco pulite. Perciò credo che sia l’ora di infrangere la regola di Grionval.
— Signora, è proprio per un’occasione come questa che il generale Grionval le diede quel consiglio. Il suo posto è qui.
— Io non sono riuscita a impedire questo caos di oggi. Ho preso delle decisioni non sempre sufficienti. Ma se ora vado nella Terra Meridionale… avrò la possibilità di salvare delle vite.
— Se però fallisce morirà, e noi saremo più vicini a una sconfitta!
— No. Se io dovessi essere sostituita ci saranno delle difficoltà in più, ma l’Alleanza prevarrà lo stesso. — Il generale spense tutti gli schermi della scrivania. — Il mio aereo partirà fra tre ore, dalla Pista Corrieri Veloci. Fatti trovare là.
— Un solo aereo? — Hrunkner sbuffò, frustrato. — Almeno porti con sé una buona scorta. Sua figlia Victreia Seconda…
— La Squadra Laigtil? — Un lieve sorriso. — La loro reputazione si è sparsa, eh?
Lui non poté evitare di restituirle il sorriso. — Be’, sì. Nessuno sa cosa stiano facendo, ma… sembra che agiscano in fretta e con decisione. — Questo era un eufemismo, se le voci erano vere.
— Tu non li hai mai odiati davvero, eh, Hrunkner? — Il tono di lei era pensoso. — No, loro hanno altre cose da fare nei prossimi tre giorni. La situazione odierna l’abbiamo costruita Sherkaner e io con una serie di scelte consapevoli, nel corso di molti anni. Conoscevamo i rischi. Ora dobbiamo pagare il conto.
Era la prima volta che Hrunkner le sentiva menzionare il marito in quegli ultimi tempi. La collaborazione che li aveva portati fin lì non era durata più del loro matrimonio, e da anni il generale viveva da sola.
La domanda era una pura formalità, ma lui dovette farla. — Sherkaner come sta? Cosa fa in questo periodo?
Il generale non rispose subito. Poi ebbe un gesto vago. — Mio marito fa quello che può, sergente. Fa quello che può.
Le notti di Paradiso non erano mai state così chiare e limpide. Obret Neterain s’incamminò intorno alla torre, sulla collina più alta dell’isola, e controllò l’equipaggiamento che gli sarebbe servito nelle prossime ore. La sua tuta integrale isolante non era particolarmente spessa, e così, se il riscaldatore dell’aria si fosse guastato, o se il cavo che si tirava dietro si fosse spezzato… be’, non esagerava quando avvisava i suoi assistenti che un incidente del genere significava congelarsi un paio di braccia o un polmone in pochi minuti. La Tenebra regnava sul mondo da ormai cinque anni. Si chiese se durante la Grande Guerra ci fosse stata gente ancora sveglia in quel periodo, nei tunnel.
Neterain si fermò a riposare un momento. Poteva permetterselo, visto che era in anticipo sul programma. E alzò lo sguardo all’oggetto del suo lavoro: il cielo. Vent’anni addietro, quando andava a scuola a Principalia, vagheggiava di diventare un geologo. La geologia era la madre di tutte le scienze, e in quella generazione sarebbe stata più importante del solito con tutte le grandi opere edili e minerarie in corso nel sottosuolo. L’astronomia era sempre stata giudicata poco adatta alle persone pratiche. L’orientamento naturale della gente era verso il basso, vista la necessità di sopravvivere alla Tenebra in profondità efficienti e sicure. Cosa c’era da vedere nel cielo? Il sole, certo, la sorgente della vita e di tutti i loro problemi. Ma nient’altro cambiava mai a parte quello. Le stelle erano puntini di luce che a differenza del sole restavano sempre accese, perciò erano qualche altra cosa, diversa e insignificante.
Poi, il primo anno della scuola superiore, Neterain aveva conosciuto Sherkaner Underhill. Gli studenti in città erano oltre dieci milioni, ma Underhill riusciva sempre a pescare quelli che gli interessavano di più. O forse era il contrario: quel tipo era una tale sorgente di idee folli che gli studenti bizzarri quanto lui ne erano attratti come fate di bosco dalla fiamma. Underhill dichiarava che la fisica e la matematica non s’erano sviluppate, a causa del fatto che nessuno misurava e studiava il moto delle stelle e quello del mondo intorno al sole. Se ci fosse stato un altro pianeta con cui divertirsi a far calcoli, anche altre discipline scientifiche ne avrebbero infine tratto giovamento.
Ovviamente quei discorsi di Underhill sulla scienza non erano nuovi. Già cinque generazioni addietro, con l’invenzione del cannocchiale, l’astronomia aveva cominciato a fare i primi passi e qualcosa di importante era stato appreso sul cosmo. Ma Underhill metteva insieme le vecchie idee in modo così eccitante da farle diventare nuove. Il giovane Neterain aveva alzato gli occhi al cielo ed era stato amore a prima vista. Più uno capiva cos’erano le stelle, più capiva cos’era realmente l’universo. E l’occhio vi distingueva dei colori che solo allora assumevano significati strani e meravigliosi. Lì sull’Isola Paradiso, l’ultrarosso delle stelle più lontane si vedeva meglio che da altri luoghi del mondo. Coi grandi telescopi che ora si costruivano, e grazie all’aria sottile di quella quota, a volte lui aveva l’impressione di vedere i confini dell’universo.
Guarda, guarda. Bassa sull’orizzonte settentrionale, una piuma di aurora boreale si allungava verso sud. C’erano forti campi magnetici sul Mare Nordico, ma a cinque anni dall’inizio della Tenebra le aurore boreali erano rare. Giù a Porto Paradiso i turisti stavano certo meravigliandosi di quella vista… i pochi che non avevano di meglio da fare. Per Obret Neterain quello era però un inconveniente inatteso. Si chiese a cosa fosse dovuto il fenomeno. Era una scia di luce molto sottile e densa, notò stupito, appuntita all’estremità nord come una lama di coltello. Strano. Comunque, se gli avesse rovinato quella notte di lavoro, forse valeva la pena di prendere il telescopio e dare un’occhiata, coi filtri per l’infravioletto.
Neterain attraversò la balconata verso le scale. Sugli scalini si sentiva un crepitio infernale, come se stesse salendo una mandria di osprech. Ma probabilmente era soltanto Shepry Triper coi suoi nuovi stivali da roccia. Dopo un momento il suo assistente apparve sulla balconata.
— Dottor Neterain! Signore! — La voce del giovane era ansante, attraverso il riscaldatore dell’aria. — Ci sono dei guai! Ho perso il contatto radio con Punta Nord. — Era il promontorio distante appena cinque chilometri da lì, all’altro capo dell’interferometro. — Ci sono disturbi su tutte le lunghezze d’onda.
E così lui poteva scordarsi dei suoi progetti per la nottata. — Hai telefonato a Shem? Digli di controllare l’antenna… — Neterain tacque, mentre il significato di quelle parole penetrava in lui. Disturbi su tutte le lunghezze d’onda. Nel cielo, la strana piuma di aurora boreale si muoveva lenta verso sud. La sua irritazione lasciò il posto alla paura. Obret Neterain sapeva che il mondo era sull’orlo di una guerra. Tutti sapevano che la civiltà poteva essere distrutta in poche ore, se le bombe atomiche avessero cominciato a cadere. Anche località fuori mano come Paradiso non erano al sicuro. Cosa può essere questa luce? La punta acuminata era scomparsa. Una bomba atomica esplosa sull’altro emisfero poteva spargere effetti elettromagnetici simili a un’aurora, ma non così delineati e densi. Mmh. Forse qualcuno aveva inventato qualcosa di più sottile delle testate nucleari. La curiosità si mescolò all’orrore in lui.
Si volse e spinse Shepry verso le scale. Piano, bada di non spaccarti la testa. Quante volte aveva dato al giovane quel consiglio? — Torna subito giù… attento a non strappare il cavo, il radar funziona, almeno?
— Uh, sì, signore. — I pesanti stivali di Shepry tonfarono sugli scalini davanti a lui. — Ma lo schermo sarà pieno di statiche.
— Vedremo cosa si può fare. — Le osservazioni astronomiche col radar erano uno dei progetti minori affidati a loro. Le uniche cose in movimento nel cielo erano i satelliti artificiali, ma ogni anno o due capitava di vedere qualcosa di inspiegabile, segnali misteriosi del misterioso cosmo. Quella notte lui avrebbe provato l’apparecchio sulla strana piuma di luce… la sua estremità appuntita era un oggetto solido?
— Shepry, siamo ancora collegati alla rete? — Per l’energia e le comunicazioni l’isola disponeva di un cavo in fibra ottica steso sul fondale oceanico. L’osservazione di quella notte avrebbe richiesto la collaborazione dei computer che c’erano sul continente.
— Controllerò. — Neterain rise. — Potremmo avere qualcosa di interessante da mostrare a quella gente, a Principalia! — Accese il radar e cominciò a studiare lo schermo. Era la Natura o la Guerra a parlare con loro quella notte? Comunque fosse, lui sapeva che quel messaggio era molto importante.
Era soprattutto quando volava che Hrunkner Unnerbai sentiva la lontananza della sua giovinezza. A quel tempo gli aerei venivano portati in aria da motori a pistoni, su ali fatte di legno e tela.
Inoltre, quello del generale Smait non era uno dei comuni jet usati dai dirigenti. Stavano volando verso sud a trentamila metri di quota, a una velocità tripla di quella del suono, e i due motori emettevano soltanto una vibrazione che si sentiva nelle viscere più che negli orecchi. All’esterno la luce delle stelle e quella ormai scarsissima del sole consentivano appena di vedere i colori delle nuvole, più in basso. L’ufficiale alle comunicazioni aveva detto che intorno a loro c’era uno squadrone di aerei da caccia dell’Alleanza, da cui sarebbero stati scortati fino all’aeroporto dell’ambasciata, a Meridionalia, ma l’unica traccia che Unnerbai vedeva di loro era un effimero e non identificabile scintillio nel cielo, ogni tanto. Fece un sospiro. Come tutto ciò che contava, in quel mondo moderno, anche loro si muovevano troppo veloci per l’occhio dei semplici mortali.
L’aereo privato del generale Smait era in realtà un bombardiere supersonico, il genere di apparecchio che l’avvento dei satelliti stava mandando in disuso. — La Difesa Aerea me l’ha praticamente regalato — aveva detto il generale mentre s’imbarcavano. — Roba del genere sarà messa da parte quando l’aria comincerà a nevicare al suolo. — Allora avrebbe preso inizio un’industria dei trasporti di nuovo genere. Velivoli balistici? Dirigibili antigravità? Inutile pensarci. Se la loro missione fosse fallita non ci sarebbero state nuove industrie di nessun genere, solo combattimenti fra le rovine del mondo.
Il centro della fusoliera ospitava una quantità di computer e di equipaggiamento elettronico. Unnerbai aveva visto le antenne laser e a microonde sulla coda dell’aereo. I tecnici mantenevano i contatti con l’Alleanza come se fossero ancora a Comando Territoriale. Non c’erano camerieri a bordo. Hrunkner e il generale sedevano su trespoli che dopo tre ore di volo sembravano strumenti di tortura. E c’era da scommettere che gli addetti alle armi di bordo erano ancora più scomodi di loro. Dieci militari; questo era tutto il personale che il generale si portava dietro per la sua sicurezza personale.
Victreia Smait era stata molto occupata e molto silenziosa. Il suo segretario Mit Daunin aveva portato a bordo numerosi computer, tutta roba ingombrante che doveva essere piena di sistemi protettivi. Nelle ultime tre ore il generale non aveva fatto che consultare una dozzina di schermi, girati verso di lei. Hrunkner s’era domandato cosa stesse guardando. Le reti militari, sommate a quelle pubbliche, le davano una visione del mondo completa come quella di Dio.
Stavano sorvolando gli stretti, coperti di iceberg, quando uno dei tecnici di bordo richiamò la loro attenzione sullo schermo comune dei passeggeri. — È successo qualcosa di strano, signora. Si direbbe una specie di esplosione nucleare, ma molto lontana, forse sull’altro emisfero.
— Mmh — disse Victreia Smait. Unnerbai guardò lo schermo ma non gli parve di vedere proprio niente.
— Dev’essere accaduto sul Mare Nordico, oltre la curvatura del pianeta, signora. Fra poco avremo altri dati. Le mando a schermo una carta geografica.
Nell’inquadratura che Hrunkner stava scrutando apparve una carta della Costa Settentrionale. C’erano dei cerchi colorati concentrici in una zona milleduecento chilometri a nord di Isola Paradiso, una vecchia base navale Tiefer convertita in stazione turistica. Era praticamente dalla parte opposta del pianeta rispetto a loro.
— Soltanto un’esplosione? — domandò il generale.
— Sì, ma a quota molto elevata. Un attacco elettromagnetico, si direbbe, con potenza esplosiva inferiore a un megatone. Stiamo assemblando questa carta con tutto ciò che ci arriva dai satelliti e dalle stazioni al suolo, e da Principalia. — Cifre e dati presero a scorrere su un lato della mappa. Uh. Hrunkner vide che c’era perfino il resoconto di un testimone oculare da Isola Paradiso, un astronomo dell’osservatorio.
— Quali sono le nostre perdite?
— Nessuna perdita militare, signora. Due satelliti non trasmettono, ma forse sono stati accecati solo temporaneamente. Non si può dire che sia stata un’esplosione termonucleare, signora.
E allora cos’era stato? Un test? Un avvertimento? Hrunkner continuò a guardare lo schermo.
Jau Xin s’era già avvicinato al pianeta un anno addietro, ma a bordo di una scialuppa a sei posti e per una missione di poca importanza. Ora stava dirigendo la manovra della Mano Invisibile, un’astronave interstellare di un milione di tonnellate.
Questo era il vero arrivo dei conquistatori, anche se la maggior parte di quei conquistatori vedevano se stessi come dei benemeriti salvatori. Seduto accanto a Jau, Ritser Brughel occupava quella che un tempo era stata la poltroncina del comandante Qeng Ho della nave. Il Dirigente snocciolava ordini in tono saccente, come se presumesse di essere all’altezza di governare quella nave. A ogni modo erano scesi fino a sfiorare l’atmosfera sul polo nord di Arachna, per poi decelerare a circa 1 G. L’accensione dei propulsori era avvenuta su una zona d’oceano poco abitata, ma senza dubbio era stata vista in buona parte di quell’emisfero come qualcosa di simile alla coda di una cometa.
Brughel osservava la distesa di iceberg che scivolava via sotto di loro, con espressione dura. Provava disgusto davanti a quel mare di ghiaccio immerso nel buio? Oppure trionfo, nel vedere il mondo di cui sarebbe stato il vice governatore? Probabilmente entrambe le cose. E lì in plancia ogni sua parola esprimeva una soddisfazione truculenta e desiderio di violenza. Tomas Nau aveva mascherato i suoi sentimenti mentre tornava su L1, ma lasciato a se stesso Ritser Brughel stava scatenando i suoi. Jau aveva visto di sfuggita i corridoi che portavano agli alloggi privati del vice caponave: pareti dipinte di vortici rosa stranamente sensuali, spiacevoli, malsani. Al personale era proibito entrare là. Mentre si allontanavano da L1, Jau aveva sentito Brughel parlare col caporale Anlang del regalo speciale che avrebbe scongelato per festeggiare la vittoria. No, non pensare a questo. Sai già troppe cose che non dovresti sapere.
Le voci dei piloti erano un mormorio continuo negli auricolari di Jau, e gli confermavano quel che vedeva sugli schermi. Si volse a Brughel col tono rispettoso che l’altro pretendeva. — La frenata è finita, signore. Siamo in orbita polare, a centocinquanta chilometri di quota. — Un po’ più in basso e la Mano avrebbe dovuto mettersi le ruote.
— Siamo visibili da migliaia di chilometri a occhio nudo, signore — disse ancora Jau, con aria preoccupata. Stava recitando la parte dello sciocco fin da quand’erano partiti. Era un gioco pericoloso, ma lui non aveva abbastanza pelo sullo stomaco da recitare l’altra, quella del complice, come Anlang. Eppure sto per rendermi complice di uno sterminio di massa.
Brughel gli elargì un sorrisetto sprezzante. — E con ciò, signor Xin? Il trucco sta appunto in questo: farci vedere ben bene… e poi intervenire per manipolare il modo in cui loro interpretano ogni informazione. — Apri il canale audio col reparto delle testerapide di bordo. — Signor Phuong! Avete mimetizzato il nostro arrivo?
Dalla stiva dov’erano alloggiati i suoi, Bil Phuong rispose; — Abbiamo il pieno controllo della situazione, vice caponave. Ho tre squadre al lavoro sui rapporti dei satelliti. L1 mi conferma che stanno facendo un buon lavoro. — Quella che parlava con Phuong era la squadra di Rita. Da lì a poco Rita sarebbe smontata, su ordine di Nau, per “un turno di riposo in attesa del lavoro più impegnativo”. Jau sapeva già che quella scusa sarebbe stata usata per allontanare chi non era autorizzato ad assistere al vero piano di Nau.
Phuong continuò: — Devo avvertirla, signore, che alla fine i Ragni superstiti capiranno cos’è successo. La nostra mascheratura durerà per un centinaio di Ksec, o anche meno, se quelli sono intelligenti come sembra.
— Grazie, signor Phuong. Cento Ksec sono più che abbastanza per i nostri scopi, no? — Brughel inarcò un sopracciglio verso Jau.
Metà dell’inquadratura dello schermo più grande fu sostituita da un’immagine trasmessa da L1. Il caponave Tomas Nau sedeva sulla veranda della sua abitazione nel Lago-Parco, e accanto a lui c’erano due ospiti, Ezr Vinh e Pham Trinli. Il tutto veniva ritrasmesso in diretta, a uso dei Seguaci Emergenti e dei Qeng Ho. Nau guardò la plancia della Mano Invisibile e i suoi occhi si fissarono direttamente in quelli di Brughel.
— Congratulazioni, Ritser. Lei gode di un posto di osservazione migliore del nostro. Rita Liao mi conferma che avete già un contatto approfondito con le reti di comunicazione di superficie. Anche noi abbiamo qualche buona notizia da darvi. Il capo del Servizio Informazioni dell’Alleanza è in visita a Meridionalia. La sua controparte Kindred si trova già là. La situazione dovrebbe dunque rimanere stabile e tranquilla per qualche tempo, salvo incidenti.
Nau sembrava sincero da far piangere d’emozione. Jau fu sorpreso quando Brughel fu altrettanto garbato nella sua risposta: — Sì, signore. Mi preparo al nostro annuncio ufficiale e all’inserimento nella rete. Mancano ora… — Fece una pausa, come se controllasse i dati. — … Cinquantuno Ksec.
Nau non rispose immediatamente. Il segnale trasmesso dalla Mano doveva aggirare il pianeta su un satellite relè e attraversare i cinque secondi-luce fino a L1. Poi occorrevano altri cinque secondi in direzione opposta.
E al termine di quei dieci secondi Nau sorrise, puntuale. — Ottimo. Noi qui restiamo in attesa di immagini e dati. Buona fortuna a tutti voi, Ritser. Ora questo storico Primo Contatto dipende da lei.
Ci fu un altro paio di giri di danza fra i due commedianti, quindi Nau chiuse la comunicazione. Brughel si fece confermare che tutte le comunicazioni di bordo fossero ricevute soltanto a bordo, poi disse: — I codici di avvio possono partire in qualsiasi momento da ora, signor Phuong. — Il suo sogghigno si allargò. — Fra una ventina di Ksec faremo la più grande frittura di Ragni della storia.
Shepry Triper restò senza fiato alla vista del segnale sullo schermo radar. — È… è proprio come lei aveva detto, signore. Ottantadue minuti esatti ed ecco che riappare a novanta gradi di longitudine nord!
Shepry conosceva bene la matematica e aveva fatto calcoli ben più complicati per Neterain, da quando era con lui. Sapeva praticamente tutto sulle caratteristiche orbitali dei satelliti. Ma come molti aracnidi faticava ad assimilare il concetto di una cosa tirata in alto che non torna in basso mai più. E quindi sorrideva soddisfatto e meravigliato ogni volta che un satellite sbucava dall’orizzonte nel preciso istante che il suo calcolo matematico aveva previsto.
Ma ciò che Neterain aveva fatto quella notte era una previsione di diverso genere, e si sentiva più stupito — e spaventato — del suo assistente. Avevano fatto in tempo a registrare solo un paio di segnali chiari dalla cosa che volava all’estremità appuntita della “aurora boreale”. La cosa aveva cominciato a decelerare fin da quando era fuori dall’atmosfera. La Difesa Aerea di Principalia non era stata molto colpita da quel particolare. Conoscevano bene la serietà di Neterain, ma quella notte lo avevano trattato come un estraneo sospetto, ringraziandolo cortesemente per la segnalazione e assicurandogli che la cosa sarebbe stata esaminata con cura. La rete di computer continentale era piena di interventi che fornivano dati locali e chiedevano notizie di una “esplosione nucleare” avvenuta ad alta quota. Ma quella non era stata un’esplosione. La cosa che era scomparsa muovendosi verso sud era su un’orbita molto bassa, e ora stava ritornando da nord a velocità costante.
— Pensa che stavolta potremo vederla meglio, signore? Passerà quasi sulla nostra verticale.
— Non lo so. La nostra antenna ruota orizzontalmente, e non consente una definizione chiara in verticale. — Neterain si avviò verso le scale. — Forse possiamo usare il telescopio piccolo.
— Sì! Basta posizionarlo. — Shepry lo sorpassò di corsa.
— Allacciati il respiratore! E smettila di inciampare sul cavo, fammi il favore.
L’assistente spari alla vista facendo risuonare gli stivali sugli scalini. Ma non aveva torto ad andare di fretta. L’oggetto sarebbe passato sulla loro verticale molto velocemente, forse troppo per avere a schermo un segnale decente. Uhu. Non c’era tempo neppure per regolare il telescopio. Neterain tornò alla scrivania a prese un cannocchiale quadri-oculare a visione notturna. Poi salì le scale dietro l’assistente.
C’era circa un minuto prima che il mistero passasse sulla loro testa, diretto verso sud. Neterain girò sull’altro lato della cupola e guardò il cielo. A pochi passi da lui Shepry stava lavorando sul piccolo telescopio che usavano per i turisti in visita. Inutile andare a dargli una mano; ormai non c’era più tempo.
Neterain scrutò il firmamento con il quadri-oculare. Le lenti erano piene di stelle, ma non riusciva a vedere altro e in quella posizione scomoda gli tremavano le mani. Dovette usarne quattro per tener fermo quel dannato strumento. E a un tratto vide qualcosa… di grosso.
Dimenticando tutta la dignità Neterain si gettò al suolo su un fianco, premendo tutti e quattro gli occhi sulle lenti. Possibile che non riuscisse a… Dannazione, lo aveva perso. Si contorse e mosse lo strumento con lentezza, nel tentativo di inquadrarlo di nuovo.
— Signore, che cos’è?
— Shepry, guarda in alto… alza gli occhi e basta.
L’assistente rimase zitto per alcuni secondi. — Dio! — mormorò.
Obret Neterain non lo ascoltava. Aveva inquadrato la cosa col quadri-oculare, e tutta la sua attenzione era inchiodata su di essa, per vedere e ricordare. E ciò che vedeva era una forma che oscurava le stelle, lunga a dir poco un quarto di grado. Per quanto fosse difficile distinguerne i contorni, per qualche momento ci riuscì: un cilindro appiattito, con una quantità di sporgenze massicce a metà dello scafo e a poppa.
Una nave dello spazio.
Pochi secondi dopo sfrecciava via rimpicciolendo verso l’orizzonte meridionale. Se non fosse stato per lo sfondo della Nebula del Ladro non sarebbe riuscito neppure a inquadrarla.
Abbassò il quadri-oculare. — Starò di guardia io, Shepry. Tu vai al computer e guarda se abbiamo il contatto con la rete.
L’assistente scomparve giù per le scale. Trascorsero alcuni minuti senza che accadesse nulla, poi un puntino di luce si mosse lento nel cielo, probabilmente un satellite delle comunicazioni. Neterain depose il quadri-oculare e scese. Stavolta la Difesa Aerea avrebbe dovuto ascoltarlo. Questa non è roba nostra, e non è dei Kindred. Tutte le nostre guerre diventano ridicoli battibecchi davanti al suo arrivo.
Shepry gli venne incontro in fondo alle scale. — Non riesco a inserirmi sulla rete, signore. Ci sono troppi disturbi…
— Il cavo telefonico col continente funziona?
— Credo di sì, signore. Ma non dimentichi che i Kindred possono intercettare tutto ciò che non è codificato. Sono molto attivi. Oggi molti siti della rete erano chiusi, e si dice che qualcuno sia riuscito a superare tutti i blocchi per risucchiare dati riservati.
Mmh. Neterain attraversò la stanza e sedette sul suo vecchio trespolo davanti all’analizzatore di lastre. Shepry andava avanti e indietro in attesa di una sua decisione. Quando lui era venuto in quell’osservatorio c’erano solo apparecchiature elettriche e meccaniche. Ora quasi tutto l’equipaggiamento era elettronico, digitale, preciso. A volte scherzava con Shepry, chiedendogli come faceva a fidarsi di apparecchiature che uno non poteva neanche aprire per guardarci dentro e capire come funzionassero. Il giovane non aveva mai capito la sua diffidenza per i computer. Fino a stanotte.
— Sai una cosa, Shepry? Credo che adesso faremo qualche telefonata.
Dieci anni prima, in tempi più tranquilli, Hrunkner Unnerbai aveva concluso molti contratti edili coi meridionali, e un paio delle sue ditte avevano partecipato alla costruzione di Nuova Meridionalia Sotterranea. Così, anche se non c’era mai stato di persona, molte cose gli apparvero per qualche verso familiari quando lasciarono l’ambasciata dell’Alleanza per passare nel territorio cittadino. C’erano ascensori dappertutto. I meridionali avevano voluto un Parlamento capace di resistere a un attacco nucleare.
L’elevatore principale era così largo che ci fu posto anche per i giornalisti che li avevano seguiti. Il generale Smait li affrontò educatamente, rispondendo alle domande più innocue davanti alle telecamere e ignorando le altre; poi lasciò che fosse la polizia della Terra Meridionale a tenerli a distanza.
Trecento metri sotto la superficie del suolo l’ascensore cominciò a spostarsi in orizzontale su una rotaia magnetica. Dai finestrini si videro sfilare via grandi caverne occupate da impianti industriali. I meridionali avevano fatto molto, lì lungo la costa, ma non avevano una sola fattoria idroponica sotterranea e per i generi alimentari dipendevano ancora dalle importazioni.
I due parlamentari che avevano accolto il generale all’aeroporto erano stati personaggi importanti, anni addietro. Ma i tempi erano cambiati; altra gente era andata al potere con l’appoggio dei Kindred, ovvero con la corruzione e l’assassinio… questi erano i semplici ed efficaci mezzi dell’Onorevole Pedure, finché i suoi agenti non avevano mostrato una sorprendente abilità nel manipolare le reti informatiche. Ora i due politicanti erano, almeno ufficialmente, gli unici sostenitori di rilievo dell’Alleanza. La stampa nazionalista li accusava di essere al soldo di un Re straniero. Si tenevano accanto al generale, e sembravano alquanto a disagio.
A un tratto uno disse: — Non è per mancarle di rispetto, signora, ma le confesso che speravamo che il vostro Re venisse di persona, — Il parlamentare indossava una blusa all’ultima moda e gambali non riscaldati. L’aria era calda, quasi afosa, a quella profondità.
Il generale gli rivolse un gesto rassicurante. — La capisco, signore. Io sono qui per assicurarvi che l’Alleanza manterrà una linea politica accettabile per voi, senza farsi influenzare da terzi. Potrò parlare dinanzi all’intero Parlamento? — Data la situazione Hrunkner aveva temuto che sarebbero stati ricevuti da una commissione o da un gruppo di rappresentanti dei partiti, fra i quali c’era una maggioranza controllata da Pedure. Ma rivolgersi al Parlamento al completo comportava una differenza determinante, perché le forze armate erano fedeli a quell’istituzione e ne avrebbero subito raccolto gli umori.
— Ecco… sì, naturalmente. Ma se fosse venuto il vostro Re non saremmo costretti a temere un… incidente, diciamo, che contro di lui nessuno avrebbe osato organizzare. Mentre lei, signora…
— Mi hanno lasciata arrivare fin qui, no? Se potrò rivolgermi al Parlamento, credo che la strada verso un accordo sarà spianata. — Il generale Smait sorrise al meridionale, con aria di complicità.
Quindici minuti dopo la cabina li depositò nella piazza principale, una vasta caverna dalle mura scolpite. I giornalisti scesero e corsero a prendere posizione, ancor più veloci dei poliziotti locali che già stazionavano dappertutto. Il gruppo scese e si avviò su per la scalinata che portava all’ingresso marmoreo.
La sala del Parlamento era un enorme anfiteatro tappezzato in legno multicolore col soffitto a cupola, pieno di quadri e sculture in acciaio e in alabastro. Sulle gradinate semicircolari dov’erano allineati i seggi abbondavano le tastiere e gli schermi, le ultime novità dell’elettronica e i computer collegati alla rete. Quando i due battenti si chiusero alle loro spalle il rumore echeggiò nel silenzio. Lì entravano soltanto gli eletti dal popolo della Terra Meridionale, i visitatori e — alzando lo sguardo Hrunkner poté vedere file di lenti — le telecamere automatiche della stampa. Tutti i posti erano occupati da aracnidi elegantemente vestiti. Hrunkner poté sentire su di lui l’attenzione, cauta quando non addirittura sospettosa, dei cinquecento parlamentari.
Il generale e il suo segretario Mit Daunin furono indirizzati da un valletto su per la scala che portava al podio, e Hrunkner li seguì. I presenti mantenevano un silenzio che lui non seppe interpretare. C’era rispetto in loro, c’era ostilità, e sicuramente c’era la speranza che le cose non precipitassero. Forse Victreia Smait avrebbe potuto sfruttare al meglio quella possibilità di mantenere la pace.
Per il giorno del suo trionfo, Tomas Nau aveva aumentato l’umidità e la temperatura del Braccio Nord, regolando la luce per ottenere l’effetto di un lungo e placido pomeriggio d’estate. Ali Lin aveva borbottato che questo sconvolgeva il ciclo stagionale delle piante, ma aveva apportato i cambiamenti. Ora Ali Lin sarchiava e potava nell’orto dietro la residenza di Nau, già dimentico della cosa che l’aveva fatto irritare. A lui non importava nulla che le piante vivessero o morissero; quel che gli importava era avere un problema tecnico da risolvere.
E il mio problema è far combaciare i pezzi del nostro spettacolo, pensò Nau. Dall’altra parte del tavolo del suo studio sedevano Ezr Vinh e Pham Trinli, occupati col monitoraggio dei siti di rete da cui sarebbero partiti i fotomontaggi. Trinli era essenziale per la storia di copertura; era l’unico Mercante di cui Nau poteva dirsi certo che avrebbe appoggiato le sue menzogne. Vinh… be’, lui no, e una scusa lo avrebbe fatto uscire di scena al momento opportuno; ma per il momento la sua presenza li era utile. C’era un margine di rischio, se certe cose fossero accadute in anticipo, ma in tal caso Kal Omo e i suoi sarebbero subito intervenuti.
La presenza di Brughel era soltanto bidimensionale: un’immagine che lo mostrava seduto sulla sedia del comandante a bordo della Mano. Nessuna delle sue parole sarebbe stata udita da orecchi innocenti. — Sì, caponave — disse l’uomo, — riceveremo la trasmissione in diretta fra un momento. Abbiamo le nostre microcamere nella sala del Parlamento. Ehi Reynolt, il tuo Melin sta facendo un buon lavoro.
Anne Reynolt si trovava nell’attico di Hammerfest. Era presente solo come immagine sul visore privato di Nau e come voce nel suo auricolare. In quel momento l’attenzione della bionda era divisa almeno in tre parti. Stava dirigendo una analisi delle testerapide, guardava la traduzione di Trixia Bonsol proiettata sulla parete, e teneva d’occhio i dati telemetrici inviati dalla Mano. Il lavoro delle testerapide era più complicato che mai. Non rispose neppure al commento di Brughel.
— Anne? Quando le microspie di Melin invieranno le immagini, le faccia trasmettere anche nel bar di Benny. Io aspetto la traduzione della Bonsol, ma mi piacerebbe avere in parallelo anche un audio reale. — Nau aveva già visto le riprese al suolo delle microspie; sapeva che la vista dei Ragni in attività avrebbe avuto un buon effetto sui clienti di Benny. Questo lo avrebbe sottilmente aiutato con le menzogne post-conquista.
La Reynolt non distolse lo sguardo dal lavoro. — Sì, signore. Vedo che Vinh e Trinli sono lì ad ascoltare ciò che lei dice.
— È così.
— Va bene. Volevo solo farle sapere che i nostri nemici interni hanno aumentato l’attività. Registro interventi in tutta la nostra automazione. Tenga d’occhio Trinli. Scommetto che mentre siede lì è in contatto abusivo con molti localizzatori. — La donna scrollò le spalle come se prevedesse la domanda di Nau. — No, non sono sicura che sia lui. Ma si tenga pronto a bloccarlo.
Dopo un poco la voce della Reynolt si udì ancora, ma stavolta sulla linea collegata al provvisorio Qeng Ho. — Signore e signori, abbiamo il contatto video col Parlamento della Terra Meridionale. Questa ripresa è in diretta, con una microcamera di nostra fattura, adatta ai nostri occhi e ai nostri orecchi.
Nau girò gli occhi a sinistra, sul lato del visore che gli mostrava Qiwi nel locale di Benny. Le numerose inquadrature sulla tappezzeria-video del bar palpitarono all’unisono. Per un momento non fu chiaro cosa mostrassero. C’erano molti rossi e verdi, e un azzurro quasi ultravioletto. Stavano guardando una specie di caverna. Nei muri erano intagliate scale di pietra. Sul pavimento cresceva un muschio umido. I Ragni erano accovacciati in lunghe file come granchi neri su una scogliera.
Ritser Brughel distolse lo sguardo con una smorfia da quella scena e si accigliò, preoccupato. — Sembra un girone dell’inferno disegnato da un artista di Frenk.
Nau non gli rispose, ma annuì fra sé. Con quell’intervallo temporale di dieci secondi era meglio evitare le chiacchiere, ma ora intuiva che le traduzioni gli avevano dato una visione troppo antropomorfica dei Ragni. Mi chiedo cosa ci sia davvero, dentro quelle loro teste.
Tre ragni si stavano arrampicando lungo una scala che un essere umano avrebbe trovato pericolosamente ripida. Brughel ridacchiò. — Quella di mezzo, meno tozza, dev’essere una femmina. Credo che sia il capo delle spie dell’Alleanza, Victreia Smait. — Un dettaglio delle traduzioni delle testerapide era esatto. L’abito della creatura era nero. Ma sembrava più un insieme di pezzi e pezzetti che un’uniforme completa. — Il Ragno peloso dietro Smait è l’ingegnere, Hrunkner Unnerbai. Strano che questi mostri abbiano nomi e cognomi.
I tre s’inerpicarono su una sporgenza di pietra rossa. Sopra di essa li aspettava un altro Ragno, presso dei terminali elettronici che dovevano essere microfoni.
Nau girò gli occhi a controllare il locale di Benny. Era pieno come un uovo ma tutti tacevano, come storditi. Anche i due camerieri di Benny guardavano gli schermi con espressioni tese, affascinati dall’alienità del mondo dei ragni.
— Presentazione del portavoce dell’aula — disse una testarapida, e subito cambiò voce: — Onorevoli colleghi, diamo inizio alla seduta odierna. Ho il privilegio di presentarvi l’ospite che come già sapete è oggi… — Intorno al nocciolo intelligente e comprensibile di quelle parole, la microcamera mandava immagini non altrettanto facili da interpretare: c’erano sibili, clicchettii, gesti rapidi che apparivano insensati o minacciosi. Quegli esseri non sembravano molto simili alle statue che i Qeng Ho avevano visto a Comando Territoriale. Non era facile localizzare i loro occhi superiori, fra i peli che avevano sopra la testa e le bulbosità che dovevano essere i loro organi per la visione termica nell’infrarosso. Il muso dei ragni era una macchina per mangiare da incubo, con fauci e chele in continuo movimento. La loro testa appariva invece immobile come fosse saldata al torace.
Il portavoce lasciò l’estremità della sottile piattaforma e il generale Smait si fece avanti, aggirando l’altro Ragno con un movimento che per un attimo li fece penzolare entrambi nel vuoto. Le sue zampe — o braccia che fossero — più anteriori ebbero un gesto come per attirare i presenti verso le sue fauci. Dall’altoparlante uscirono sibili e clicchettii. Su un lato dell’inquadratura apparve una scritta: SORRIDE CORTESEMENTE AL PUBBLICO.
— Signore e signori di questo onorevole Parlamento. — La voce della traduttrice in contemporanea era quella di Trixia Bonsol. Nau notò che Ezr Vinh alzava la testa nel sentirla. I diagrammi emotivi del giovanotto mostravano la solita conflittualità. Vinh può essere ancora manovrabile, è docile, pensò Nau.
— Sono stata inviata qui fra voi dal mio Re, per parlarvi a suo nome e col pieno appoggio della sua autorità. Vengo con la speranza di potervi offrire abbastanza garanzie da ottenere la vostra fiducia.
Seduti sui loro trespoli, fila su fila, gli eletti dal popolo della Terra Meridionale guardavano Victreia Smait. Le stavano prestando tutta la loro attenzione, e Hrunkner notò che la personalità del generale e la sua sicurezza nell’esprimersi avevano buona presa sul pubblico.
— Ci troviamo oggi a un punto cruciale della nostra storia, nel quale abbiamo la possibilità di distruggere con le nostre mani l’intera società da noi faticosamente costruita… oppure trarre il meglio dai nostri sforzi passati e costruire un futuro di progresso civile. Queste sono le due vie d’uscita dalla situazione odierna. Scegliere l’unica buona e giusta dipende solo dalla nostra capacità di fidarci uno dell’altro.
Ci furono grida derisorie e commenti ostili dai seggi dei partigiani dei Kindred. Hrunkner si chiese se costoro avessero già il biglietto d’aereo per fuggire da Terra Meridionale. Senza dubbio sapevano che se fosse scoppiata la guerra conveniva loro allontanarsi in fretta da quel continente, prima che cominciassero a cadere le bombe.
Il generale gli aveva detto che Pedure si trovava in città. Hrunkner si stava già guardando attorno. Mi chiedo se… sì, è proprio lei! L’Onorevole Pedure sedeva nella piccola galleria riservata agli ospiti, a una trentina di metri dal palco centrale. Era invecchiata anche lei, ma sembrava più rigida e sicura che mai. Divertiti pure, egregia signora. Forse il mio generale ti farà una sorpresa.
— Io vengo qui con una proposta. È una proposta semplice, ma di grande contenuto, e può essere messa in atto fin d’ora. — Victreia Smait fece cenno a Mit Daunin di passare un documento al portavoce del Parlamento. — Credo che voi tutti sappiate quale posizione io ricopro nell’organizzazione dell’Alleanza. Anche i più sospettosi di voi saranno d’accordo che, finché io sono qui, l’Alleanza dovrà mantenere lo stato di tregua che ha pubblicamente promesso. Io sono autorizzata a offrirvi il proseguimento di questa tregua. Voi del Parlamento di Terra Meridionale avete la facoltà di scegliere tre cittadini dell’Alleanza, compresa me, compreso lo stesso Re, perché risiedano a tempo indefinito nella nostra ambasciata a Meridionalia.
Era una proposta che affondava le radici nelle tradizioni belliche del passato, ma di una generosità senza precedenti perché offriva alla controparte la scelta degli ostaggi. E mai come in quel momento storico risultava compatibile con le esigenze di tutti. L’ambasciata dell’Alleanza era spaziosa come una piccola città, con comodità e attrezzature che consentivano agli ostaggi di rango lo svolgimento delle loro normali attività. Se il Parlamento non era già corrotto oltre ogni limite, quello poteva essere il freno d’emergenza per scongiurare il disastro.
I parlamentari restarono in silenzio, anche i sostenitori di Pedure. Stupefatti? Consci di essere davanti all’unica opzione realistica anche per loro? In attesa di istruzioni dal loro capo? Qualcosa stava succedendo. Hrunkner vide che nell’ombra della galleria l’Onorevole Pedure confabulava fittamente con un aiutante.
Quando il breve discorso di Victreia Smait finì, nel bar di Benny scoppiò un applauso. C’era stato stupore all’inizio, allorché tutti avevano visto i Ragni com’erano in realtà, e non come se li erano immaginati. Ma le parole del discorso corrispondevano con la ben nota personalità di Victreia Smait, e alla fine i presenti erano riusciti a vedere qualcosa di lei anche in quell’aracnide avvolta in strani indumenti neri. Certo sarebbe occorso tempo per abituarsi al brulicare di quei movimenti di gruppo, ma…
Rita Liao intercettò Benny per una manica mentre fluttuava verso il soffitto con le mani piene di bulbi di birra. — Non dovremmo lasciare Qiwi tutta sola laggiù, Benny. Può rispondere alle domande di tutti anche se siede qui con noi, no?
— Uh, sicuro. — Era stato il caponave a suggerire di piazzarla da sola davanti a tutti, ma ormai poco importava visto che le cose stavano andando bene. L’uomo consegnò le birre e ascoltò i commenti con metà della sua attenzione.
— … dopo quel discorso e le nostre manovre sulla rete, quei Ragni dovrebbero essere più al sicuro di noialtri quassù.
— Ehi, se tutto continua così metteremo piede in superficie fra meno di quattro Msec! E dopo tutti questi anni, credetemi se…
— Nello spazio o in superficie, che m’importa? Potremo finalmente abolire la regola che proibisce le nascite…
Sì, la regola che proibisce le nascite, pensò Benny. La nostra versione umana del tabù dei fuori-fase. E così potrò chiedere a Gonle se… L’idea lo attirava e lo spaventava al tempo stesso. Forse non ne avrebbe fatto niente, ma per qualche motivo si sentiva più felice. Fluttuò via fra i tavoli e girò verso Qiwi.
Lei annuì, al suggerimento di Rita. — Sì, anch’io preferisco così — sorrise, senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Il generale Smait stava scendendo dalla piattaforma degli oratori.
— Qiwi, le cose stanno andando proprio come il caponave ha progettato. Tutti vogliono congratularsi con te.
Qiwi accarezzò la gattina che aveva in braccio, e quando alzò la testa a guardare Benny aveva un’espressione stranamente confusa. — Sì, le cose stanno andando nel modo giusto. Si scostò dalla sedia e seguì il gestore fino al tavolo di Rita Liao.
— Io devo assolutamente parlare con lui, caporale. Subito! — esclamò Rachner Thract, ergendosi in tutta la sua statura non tanto di aracnide quanto di colonnello, con tanto di uniforme nera del Servizio.
Il giovane caporale fremette sotto il suo sguardo, ma non si mosse e non abbassò il fucile. Aveva notato la peluria scarmigliata della sua schiena, il disordine dell’uniforme, la luce pericolosa del suo sguardo. — Mi dispiace, signore. Lei non è sulla lista.
Rachner curvò le spalle. — Caporale, lo chiami col suo portatile. Gli dica che c’è il colonnello Thract, e che … è questione di vita o di morte. — Appena ebbe detto quelle parole se ne pentì, perché quella era la verità e non avrebbe voluto doverla dire. L’aracnide lo guardò per un momento, forse chiedendosi qual era il modo più sicuro per sbatterlo fuori. Poi una specie di pietà sembrò nascere in lui. Estrasse il portatile e parlò a un sergente, da qualche parte nella casa.
Trascorse un minuto. Due. Rachner andava avanti e indietro nell’astanteria del corpo di guardia. Almeno lì era al riparo dal vento. S’era congelato due mani solo per attraversare lo spazio dalla pista degli elicotteri all’ingresso. Ma… una guardia armata che puntava il fucile anche contro i militari? Non s’era aspettato quelle misure di sicurezza. Forse aver perso il lavoro lo aveva lasciato in uno stato di stordimento che…
— Rachner, è lei? — La voce che usciva dal telefono della guardia era anziana e querula. Underhill.
— Sì, signore. La prego, ho bisogno di parlarle.
— Lei mi sembra molto nervoso colonnello. Senta, mi dispiace ma in questo momento… — L’aracnide tacque. C’erano dei mormorii in sottofondo. Poi qualcuno disse: — Il discorso è andato bene. Ora avremo più tempo. — Underhill si schiarì la voce e sembrò alquanto più sicuro. — Colonnello, salirò io da lei. Mi dia qualche minuto.
— Un ottimo discorso. Io stesso non avrei saputo scriverne uno più adatto alle nostre necessità. — Nell’inquadratura bidimensionale trasmessa dalla Mano, Ritser Brughel irradiava soddisfazione. Nau si limitò ad annuire, con un sorriso. La proposta di pace di Smait era abbastanza convincente da prolungare la tregua militare fra i Ragni. Questo avrebbe dato tempo agli umani di annunciare il loro arrivo e proporre i grandi obiettivi della collaborazione interstellare. Questo era il piano ufficiale, che se fosse stato messo in atto avrebbe lasciato i Dirigenti in una posizione secondaria. E invece, da 11 a 7 Ksec, le testerapide di Anne Reynolt avrebbero interferito nelle comunicazioni e nei sistemi missilistici dell’Alleanza con risultati drammatici. Il successivo “contrattacco Kindred” avrebbe completato la distruzione. E noi ci faremo avanti per raccogliere i cocci.
Nau lasciò vagare lo sguardo nella luce pomeridiana del Braccio Nord, ma sul suo visore c’erano le immagini di Vinh e di Trinli, seduti in carne e ossa a un paio di metri da lui. Trinli aveva un’aria vagamente divertita, ma le sue dita non cessavano di lavorare sulla tastiera del display dove monitorava le difese in territorio Kindred, come gli era stato ordinato. Vinh? Vinh appariva nervoso, e i dati diagnostici sovrapposti alla sua faccia indicavano che s’era accorto che stava accadendo qualcosa ma non sapeva cosa. Era l’ora di spedirlo fuori dai piedi con un incarico fasullo. Quando fosse tornato le cose sarebbero già successe… e Trinli gli avrebbe confermato la versione ufficiale.
Nell’auricolare la voce di Anne Reynolt disse: — Signore, abbiamo un’emergenza.
— Sì, di che si tratta? — domandò Nau. senza distogliere Io sguardo dal lago. Il suo stomaco s’era irrigidito un attimo; non ricordava di aver mai sentito un tono così preoccupato nella fredda voce della bionda.
— Il nostro amico sovversivo ha fatto un altro passo avanti. Dedica assai meno attenzione alla mascheratura, e ciò significa che sta allargando tutti i suoi tentacoli verso altri scopi. Se lo lasciamo fare, prevedo che fra un migliaio di secondi bloccherà l’attività di tutte le nostre testerapide… e si tratta di Trinli, signore, ne sono certa al novanta per cento.
Ma Trinli è seduto qui, davanti ai miei occhi, occupato con le difese antimissile Kindred che ha sul monitor! E io ho bisogno di lui perché confermi a tutti il mio comportamento, dopo l’attacco. — Non saprei proprio, Anne — disse ad alta voce. La bionda stava prendendo fischi per fiaschi. Era possibile, anche se dopo l’incidente con l’unità MRI lui stesso aveva controllato che fosse sintonizzata di nuovo alla perfezione.
La Reynolt scrollò le spalle e tacque. Era la tipica indifferenza delle testerapide: lei aveva fatto il suo lavoro, e lui poteva ignorare il suo consiglio e andare all’inferno.
Non era il genere di contrattempo che ci voleva adesso, proprio mentre quarant’anni di lavoro giungevano al termine. Anche se è esattamente questo il momento che un sovversivo sceglierebbe per agire.
Kal Omo era in piedi dietro Nau, anche lui in contatto audio e video con la Reynolt. Delle altre tre guardie di Hammerfest, solo Rei Ciret si trovava nella stanza. Nau sospirò. — D’accordo, Anne. — Indirizzò a Kal Omo un segnale in codice, per far chiamare lì anche le altre guardie. Questi due li metteremo in ghiaccio, e con loro me la vedrò più tardi.
Nau non aveva compiuto alcun gesto sospetto per i due Qeng Ho, tuttavia con la coda dell’occhio vide Trinli alzare un braccio di scatto. Kal Omo mandò un gorgoglio strozzato.
Nau si tuffò sotto il tavolo. Qualcosa colpi violentemente il legno sopra di lui. Ci fu una raffica di colpi d’arma da fuoco e un altro grido.
— Sta scappando!
Nau strisciò fuori dal suo riparo e balzò verso il soffitto. Rei Ciret stava lottando a mezz’aria avvinghiato a Ezr Vinh, che perdeva sangue. — Scusi, signore. Questo bastardo mi è saltato addosso. — Spinse via il Qeng Ho, che mandò un gemito. Vinh aveva dato a Trinli il tempo di fuggire all’esterno. — Marli e Tung lo prenderanno.
Guardando fuori Nau vide che i due ci stavano provando. Sparavano verso il versante della collina, fra gli alberi. Ma Trinli aveva già un buon vantaggio ed era sparito nella boscaglia. Tung e Marli si spinsero furiosamente al suo inseguimento.
Nau aprì la finestra. — Aspettate! — ruggì. I due riuscirono a fermarsi solo fra i rami degli alberi, continuando a sparare qua e là. Poi fluttuarono di nuovo verso la casa, rossi in faccia e imprecando.
A voce più bassa Nau ordinò: — Venite dentro. State di guardia agli ingressi. — Solo allora gli tornò in mente Kal Omo, e si voltò. Sul tavolo, davanti alla sedia che lui aveva occupato, era conficcato qualcosa di metallico. Una lama dello stesso genere aveva squarciato la gola di Kal Omo, il cui corpo era scosso da deboli sussulti. C’erano gocce di sangue che galleggiavano dappertutto. Il sergente era quasi riuscito a estrarre la pistola dal fodero.
Kal Omo era un utile servo. C’è il tempo di metterlo in ghiaccio? Nau pensò qualche secondo a cosa conveniva fare… poi si accorse che il sergente era morto. Le guardie erano alla porta e alla finestra, ma gettavano sguardi accigliati al cadavere del collega. Nau cercò di calcolare le conseguenze. — Ciret, tira giù Vinh e legalo. Marli, trovami Ali Lin.
Vinh gemette ancora mentre lo legavano a una sedia. Nau si avvicinò a esaminarlo. Era stato ferito a una spalla dalla pistola di Ciret e perdeva parecchio sangue, ma non sembrava grave. Vinh sarebbe vissuto… abbastanza da dire quello che sapeva.
— Merda, quel Trinli è stato veloce — disse Tung, a denti stretti. — Io credevo che fosse un vecchio rimbecillito, e quello ha fatto fuori il sergente prima che lui si muovesse, e se l’è squagliata.
— Non gli sarebbe andata liscia se questo figlio d’un cane non si fosse messo fra i piedi — disse Ciret, sferrando un colpo in testa a Vinh col calcio della pistola. — Sono stati veloci.
Troppo veloci. Nau si tolse il visore davanti agli occhi e lo guardò. Era un visore Qeng Ho, alimentato dai dati della rete di localizzatori. Lo gettò in un cestino e prese un interfaccia del tipo che la Reynolt aveva insistito per tenere di riserva, — Anne, mi riceve? Ha visto quel che è successo qui?
— Sì. Trinli si è mosso prima che lei facesse segno a Kal Omo.
— Allora sapeva. Aveva sentito l’avvertimento che lei mi ha dato. — Morte e maledizione! Possibile che la Reynolt si fosse accorta che Trinli manometteva i dati, ma non che intercettava tutte le loro conversazioni riservate?
— Sì. signore. Io posso immaginare solo una parte di quello che sta facendo. — E così i localizzatori erano la trappola che Trinli aveva usato. Una trappola costruita secoli, millenni addietro. Contro chi sto combattendo ?
— Anne, tagli l’alimentazione a tutti i localizzatori. — Ma i localizzatori erano l’ossatura di la Pestilenza sapeva quanti sistemi vitali. La stessa stabilità del lago davanti a lui era mantenuta da loro. — Qui nel Braccio Nord lasciamo in funzione i localizzatori. Le sue testerapide dovranno agire via cavo.
— Ho già provveduto. Le cose saranno difficili, ma possiamo farcela. Ma per le operazioni sul pianeta?
— Si metta in contatto con Brughel. La cosa è troppo complessa e ormai non possiamo andare per il sottile. Dobbiamo anticipare tutte le manovre su Arachna.
Nau sentì che la Reynolt cominciava a dare istruzioni ai suoi. Ma non gli arrivavano più le immagini e analisi delle testerapide assegnate ai vari settori del piano. Era come combattere alla cieca. Rischiavano di perdere già mentre si guardavano attorno a quel modo, colti di sorpresa.
Un centinaio di secondi dopo la Reynolt lo chiamò: — Brughel ha capito la situazione. Le mie testerapide lo stanno aiutando a montare un attacco più semplificato. Più tardi potremo intervenire sui particolari non riusciti. — La sua voce era secca e impaziente. Aveva combattuto battaglie molto più dure di quella, e in situazioni sempre alquanto disperate. I suoi nemici non erano mai stati inermi e primitivi come quei Ragni.
— Molto bene. Ha localizzato Trinli? Scommetto che si trova ancora nei tunnel. — Se non sta tornando indietro per tirarci un altro colpo a tradimento.
— Sì, credo di sì. Captiamo movimenti coi vecchi geofoni. — Era equipaggiamento degli Emergenti.
— Bene. Nel frattempo metta al lavoro una voce sintetica, per tenere buoni i clienti di Benny.
— Fatto — rispose quasi subito lei. Era in gamba.
Nau tornò verso le guardie ed Ezr Vinh. La situazione era in parte sotto controllo e c’era un po’ di tempo. Abbastanza per dare nuovi ordini a Brughel. Abbastanza per cominciare a scoprire qualcosa sul suo avversario.
Vinh era rinvenuto. Nei suoi occhi c’era sofferenza, e una scintilla d’odio. Nau gli sorrise. — Ho bisogno di alcune risposte, Vinh. — Accennò a Ciret di torcergli la spalla ferita.
Il Mercante gridò.
Pham si stava spingendo avanti nei tunnel di diamante più in fretta che poteva, guidato da immagini vacillanti e non molto precise che a volte si spegnevano nel buio. Per alcuni secondi fu cieco, ma non rallentò. Si diede un colpetto su una tempia e cercò di resettare i localizzatori. Erano tutti al loro posto, e lui sapeva che ce n’erano migliaia d’altri per tutta la lunghezza di quel tunnel. La Reynolt doveva aver spento la loro alimentazione a microonde, almeno in quella zona.
Quella femmina è incredibile! Lui aveva sempre evitato di manipolare direttamente le testerapide, eppure la Reynolt s’era accorta che qualcuno interferiva con le analisi. Quel lavaggio cerebrale l’aveva rimandata indietro di oltre un anno, ma ultimamente aveva fatto progressi finché… Eravamo così vicini a disabilitare i loro sistemi, e adesso stiamo perdendo tutto. Quasi tutto. Ezr Vinh era morto per dargli un’ultima possibilità.
Una svolta improvvisa nel buio lo colse di sorpresa, mandandolo a rotolare e ad ammaccarsi i gomiti contro la parete. Appena fu fermo sentì, a tentoni, che da lì partivano quattro corridoi. Prese il secondo imbocco a destra e si spinse avanti, con maggior cautela. A ogni modo la Reynolt non ha saputo niente di certo fino a ora. Le apparecchiature che lui aveva nascosto un po’ dappertutto erano ancora al loro posto. Pochi metri più avanti aprì un pannello della manutenzione e vi infilò dentro un braccio. Ne tirò fuori una scatola di attrezzi e una telecamera automatica, di cui accese solo il motore prima di mandarla a rimbalzare via in una direzione a caso. Un po’ di rumore per le testerapide in ascolto, pensò mentre controllava il contenuto della scatola: una torcia elettrica ad anello che s’infilò a un dito, un respiratore, un kit medico, un ricevitore, e una pistola a dardi.
Nau e i suoi scagnozzi avevano più di un’opzione. Potevano riempire di gas i tunnel o aprirli al vuoto, oppure venire a dargli la caccia lì sotto. Questo sarebbe stato divertente; si sarebbero accorti a loro spese di quanto erano diventati pericolosi quei tunnel. Con un sorrisetto si ficcò la roba nelle tasche e cercò di improvvisare un piano. Vinceremo, Ezr, non sei morto invano. Vinceremo a dispetto della Reynolt… e anche per lei.
Silenzioso come un refolo di fumo l’uomo si allontanò lungo un tunnel, senza accendere la torcia. Era tempo di fare una visita ad Anne Reynolt.
La Mano Invisibile orbitava a centocinquanta chilometri di altezza. Era una quota così bassa che i radar dei Ragni in quattro quinti del pianeta non potevano mai vederla apparire sopra l’orizzonte, ma quella rotta l’avrebbe portata in prossimità di tutti i bersagli programmati. E qualsiasi storiella si stessero bevendo Rita e gli altri a L1, a bordo dell’astronave le città dei Ragni venivano definite “bersagli”.
Seduto alla consolle dei direttore di pilotaggio Jau Xin osservava la grigia curva dell’orizzonte. Aveva tre piloti in plancia, ma uno solo si stava occupando della manovra. Gli altri due e Bil Phuong esaminavano le possibilità dei sistemi d’arma per risparmiare energia e carburante. Jau cercava di ignorare la voce di Brughel che mezzo sdraiato sulla poltroncina del comandante riferiva al suo capo su Hammerfest ciò che stava per accadere alla superficie.
Poi Brughel interruppe le sue perverse analisi e tacque per alcuni secondi. A un tratto imprecò. — Merda! Ma signore, cosa diavolo… — La sua voce si alzò in un grido. — Phuong! Al Braccio Nord stanno sparando! Kal Omo è stato colpito e… all’inferno, ho perso il contatto con loro. Phuong!
Jau si volse e vide Brughel che tempestava sui comandi della sua consolle. La faccia del biondo era arrossata. Ascoltò qualcosa nel suo auricolare e sbraitò: — Sì, sì, ma il caponave è vivo?… Ah, bene. Fammi parlare con la Reynolt. Mettimi in linea, ho detto!
Evidentemente la Reynolt non era disponibile. Trascorsero cento secondi, duecento, trecento. Brughel stava fumando, e perfino i suoi fedelissimi preferivano tenersi a distanza. Jau guardò i suoi schermi, ma in quel momento non si vedevano che scariche. Questo non fa parte del copione di Nau.
— Dove diavolo eri? Cosa… — Brughel tacque, quindi grugnì un paio di assensi mentre ascoltava il lungo resoconto di qualcuno. Quando parlò di nuovo sembrava più pensoso che irritato. — Ho capito. Conferma al caponave che può contare su di me.
La conversazione a lunga distanza proseguì, e dopo un poco Jau cominciò a capire cos’era successo. Infine non poté fare a meno di voltarsi verso il vice caponave. L’uomo lo stava guardando. — Direttore Xin. La nostra attuale posizione?
— Signore, stiamo sorvolando l’oceano diretti a sud. La costa di Terra Meridionale è milleseicento chilometri più avanti.
Brughel guardò qualcosa sul suo visore facciale. — Proseguendo su questa rotta, dunque, torneremo a nord sorvolando le principali basi missilistiche dell’Alleanza.
Jau sentì un groppo duro in gola. Sapeva che quel momento sarebbe venuto. Ma speravo di avere più tempo per… per cosa? — Passeremo qualche centinaio di chilometri a est delle basi, signore.
Brughel agitò una mano. — Una breve accensione del propulsore basterà per correggere la rotta. Phuong, lei è pronto? Sì, abbiamo anticipato tutto di parecchi Ksec. Sì… e con questo? Forse ci vedranno, ma non avranno il tempo di comunicare con altri. Le sue testerapide dovranno darmi un’intera nuova sequenza di manovre tattiche. Sì… è ovvio, questo significa che saremo coinvolti molto più direttamente. La Reynolt sta mettendo alcune testerapide a sua disposizione. Lei le sincronizzi con le sue… va bene.
Brughel si rilassò sulla sedia del comandante della nave, e sorrise. — Il solo inconveniente di tutte queste novità è che non ci sarà il tempo di lasciar partire Pedure da Meridionalia. È un vero peccato; avevamo progettato di farne la massima autorità indigena su Arachna. Credo che con lei sarei andato d’accordo… ma se vuole sapere come la penso, io li farei fuori tutti. — Si accorse dell’espressione inorridita di Jau e inarcò un sopracciglio. — Badi a lei, direttore di pilotaggio. Lei ha frequentato troppo quei decadenti Qeng Ho. Loro hanno la mentalità perdente, e infatti qualunque cosa abbiano tentato poco fa hanno stupidamente perso. Lo capisce, questo? Il caponave è sopravvissuto, e ha ancora tutto il suo potere. — Il suo sguardo andò fuori fuoco mentre osservava il visore. — Si accerti che i suoi piloti siano ben sincronizzati con le testerapide di Phuong. Fra pochi secondi avrete i dati operativi. Una volta sopra Terra Meridionale non useremo alcuna delle nostre armi. Dovrete far scattare l’azione di rappresaglia Kindred, usando i missili a breve raggio delle basi costiere. Questo sarà “l’attacco a tradimento dell’Alleanza” che già abbiamo pianificato. Il suo vero lavoro sarà qualche centinaio di secondi dopo. Le sue testerapide colpiranno le basi e le postazioni della difesa antimissile dell’Alleanza. Questo ci costerà tutti i missili e le cariche dei laser da guerra che abbiamo, ma basterà a spazzare via il ciarpame primitivo dei Ragni. Dopo di che… migliaia di missili Kindred porteranno altrettante testate atomiche su ogni centro abitato di questo pianeta.
— Io… — Jau deglutì saliva, stordito dall’orrore. Se non avesse ubbidito, loro avrebbero ucciso Rita. E dopo averlo fatto assistere alla morte di Rita, sarebbe toccala a lui. Se invece eseguiva gli ordini… Quando non gli servirò più, io sarò soltanto uno che sa troppe cose.
Brughel lo scrutava con attenzione. Era uno sguardo che Jau non gli aveva mai visto, freddo, sicuro, simile a quello di Nau. il biondo inclinò la testa e disse con calma: — Finché lei eseguirà gli ordini non avrà niente da temere. Oh, certo, un piccolo lavaggio di memoria; non perderà molto. Noi abbiamo bisogno di lei, Xin. Lei e Rita potrete servirci per molti anni e vivere una buona vita. Se lei eseguirà gli ordini. Ora.
Prima che la situazione precipitasse, Anne Reynolt si trovava nell’attico. Pham era abbastanza sicuro che fosse ancora là, accampata nella sala di gruppo con Trud Silipan e tutti gli interfaccia vecchio modello che era riuscita a mettere insieme, al lavoro per tutelare i suoi dipendenti… e con la stessa distaccata competenza, gli interessi di Tomas Nau.
Pham veleggiò verso l’alto per passaggi immersi nel buio che in breve si ridussero a budelli larghi ottanta centimetri. C’era una singolarità in quel dedalo di cunicoli: nel terzo decennio dell’Esilio, Pham s’era occupato dei lavori di scavo e rinnovamento di Hammerfest, in Diamante Uno, e alcuni di quei passaggi erano andati persi. Le mappe non li riportavano; altri collegamenti erano stati aggiunti con particolari alquanto imprecisi. Era pronto a scommettere che la Reynolt non ne avesse mai saputo niente.
A ogni svolta rallentava usando le mani e accendeva per brevi attimi la torcia elettrica infilata al dito. Anche senza alimentazione esterna i localizzatori potevano computare ed eseguire qualche funzione, e grazie all’amplificatore lui riusciva a ricevere immagini e dati. Sapeva di essere nella torre di Hammerfest, a pochi passi dalla sala di gruppo delle testerapide. A un tratto vide un circolo leggermente illuminato. Ecco il portello! Sfiorò i tasti della serratura, il circolo si spense e il portello si aprì nella penombra di un magazzino. Pham scivolò dentro, fluttuando fra scatole di generi alimentari e oggetti da toeletta.
Stava aggirando l’ultimo scaffale, sull’altro lato della stanza, quando qualcuno aprì la porta. Nascondersi era inutile e non ci provò neppure. L’uomo era Trud Silipan.
— Uh… Pham! — L’uomo sbatté la palpebre, perplesso. — Cosa diavolo… ehi, la Reynolt se la sta prendendo con te, lo sapevi? Dev’essere uscita di testa. Dice che hai ammazzato Kal Omo e fatto uno sconquasso giù nel Braccio Nord. Io… — Tacque, rendendosi conto che la sua presenza lì aveva qualcosa di poco chiaro.
Pham sorrise e allungò un piede a chiudere la porta. — Oh, la Reynolt non dice una bugia, Trud. In effetti io sto per riprendermi la mia flotta.
— La… tua flotta? — Paura e incredulità si susseguivano sulla faccia di Silipan. — Merda, Pham, cosa ti sei messo in testa? Hai un’aria strana. — Un po’ di adrenalina, un po’ di libertà, è sorprendente quanto possono ringiovanirti. — Tu sei pazzo, uomo. Sai benissimo che non puoi vincere. Sei intrappolato qui. Arrenditi. Forse puoi cavartela… puoi dire che eri ubriaco.
Pham scosse il capo. — lo sono qui per vincere, Trud. — Alzò la pistola a dardi per fargliela vedere meglio. — E tu mi aiuterai. Ora andremo nella sala di gruppo, e tu metterai fuori uso tutti gli interfaccia delle testerapide.
Silipan allungò un colpetto irritato all’arma di Pham, senza riuscire a toccarla, — Non dire sciocchezze. Il loro lavoro è vitale, per far funzionare le operazioni in corso sul pianeta.
— Per far funzionare il programma di sterminio dei Ragni ideato da Nau? Una ragione in più per tagliarli fuori. Questo dovrebbe avere un interessante effetto anche sul lago del caponave.
Pham poté vedere la mente dell’Emergente che soppesava il rischio: Pham Trinli, il vecchio trombone buono solo a chiacchiere, armato con una semplice pistola a dardi… e dall’altra parte tutti gli uomini e le armi dei caponave. — Niente da fare, Pham. Tu hai voluto metterti in questo affare, e ora te la vedi tu, da solo.
Prima che Pham potesse colpirlo come aveva idea di fare per mostrargli che non stava scherzando, ci fu un cigolio e la porta si aprì di nuovo. — Insomma, Silipan, si può sapere cosa aspetti a trovarmi un… — Anne Reynolt fluttuò nel magazzino. All’istante parve rendersi conto della situazione, ma non aveva nessun appiglio da usare per fermarsi.
E Pham fu rapido quanto lei. La piccola pistola a dardi si spostò, fece fuoco, e la donna ebbe un sussulto. La forza d’inerzia portò il suo corpo a urtare in uno scaffale e lì rimase, agitandosi appena. Pham si rivolse a Silipan e il suo sorriso si allargò. — Dardi esplosivi, purtroppo non ne avevo altri. Ti entrano nelle budella e lì scoppiano, con effetti poco visibili dall’esterno ma sgradevoli.
La faccia di Silipan era cinerea. — Tu hai… uh. — Guardò il corpo della sua ex direttrice e mandò un ansito.
Pham gli diede un colpetto sullo sterno con la pistola, e l’uomo abbassò Io sguardo inorridito. — Trud, amico mio, perché quella faccia? La Reynolt era solo una focalizzata, un oggetto. — Gli indicò il corpo che ormai non si muoveva quasi più. — Lasciamo qui questa spazzatura, adesso, e andiamo a mettere a riposo i suoi colleghi. — Prese la bionda per una caviglia e la tirò di lato. Silipan tremava mentre si muoveva verso la porta.
Nel momento in cui Silipan gli diede le spalle, la presa di Pham sulla gamba della donna si fece più dolce, quasi carezzevole. Dio, forse avrei dovuto mettere più vernice rossa nel dardo, insieme al sonnifero. Erano secoli che non faceva più trucchetti del genere, comunque era certo che il dardo aveva appena graffiato la carne sull’addome. E cosa sarebbe successo se l’avesse mancata? Il suo ingresso non lo aveva colto di sorpresa solo per un caso. Per la prima volta dall’inizio dell’azione un filo di paura s’insinuò nella sua adrenalina. Le appoggiò una mano sulla gola ed ebbe la conferma che le pulsazioni c’erano. Anne Reynolt era solo profondamente drogata e niente più.
Pham si rimise sulla faccia il sorrisetto da predatore e seguì Trud Silipan nella sala di gruppo delle testerapide.
Il discorso era stato molto breve ma buono. Aveva bloccato almeno temporaneamente la minaccia dal sud.
E adesso cosa succederà? Sugli schermi della sala mensa Viki aveva visto il generale accennare al suo segretario di consegnare l’offerta scritta al rappresentante del Parlamento. Forse la situazione nella Terra Meridionale si sarebbe appianata. Forse quel viaggio era stato una buona idea. Trascorsero alcuni minuti. Le telecamere nella sala del Parlamento stavano inquadrando uno scenario ora abbastanza agitato, dove tutti avevano da fare i loro commenti. Mamma aveva lasciato la piattaforma degli oratori, seguita da Zio Hrunkner. Un aracnide anziana e vestita di scuro li avvicinò, presso il trespolo degli uscieri. Pedure. Viki vide che stavano discutendo…
Ma all’improvviso niente di quanto vedeva sul teleschermo ebbe più importanza. Brent arrivò di corsa accanto a lei, con un minicomputer allacciato alla testa e lo schermo sollevato sugli occhi superiori. — Brutte notizie! — esclamò. — Li ho perduti, non li ricevo più. Neppure il nostro vecchio amico.
Viki Laigtil saltò giù dal trespolo e fece un cenno alla squadra. Il richiamo avrebbe potuto essere uno sparo, per l’effetto che ebbe: un attimo dopo la squadra aveva già raccolto i panieri e stava già correndo alla porta. Brent si tolse l’apparecchio dalla testa e precedette fuori la sorella. Gettando uno sguardo alle sue spalle Viki notò che i frequentatori della mensa militare erano troppo presi dalla televisione per badare a loro.
La squadra non era ancora scesa al pianterreno che l’allarme aereo cominciò a ululare sulla città.
— Cosa significa che abbiamo perso il supporto delle testerapide? Stai dicendo che il cavo è stato interrotto? Trinli ha tagliato tutte le fibre ottiche dell’edificio?
— Uh, no, signore. Almeno, non credo. — Il caporale Marli sapeva fare il suo mestiere, ma non era Kal Omo. — Possiamo ancora metterci in linea, ma il controllo di canale non risponde. Signore… è come se qualcuno avesse chiuso i terminali delle testerapide.
— Mmh, capisco. — Quella poteva essere un’altra sorpresa di Trinli, o forse nell’attico c’era un traditore. In ogni caso… Nau si voltò a guardare Ezr Vinh. In quella testa c’erano segreti che gli servivano, ma Vinh aveva una specie di blocco mentale che sotto interrogatorio gli faceva perdere conoscenza. Per farlo parlare sarebbe occorsa qualche leva particolare. Il tempo stringeva. — Marli, possiamo parlare con Brughel?
— Abbiamo in audio la Mano Invisibile, signore. Il suo microfono è collegato all’antenna laser dell’edificio. Per il video c’è qualche problema.
— Va bene… Ritser, mi sente? Ascolti, non so fino a che punto lei abbia capito cosa sta succedendo… — Nau aggiornò il suo vice sulla situazione e concluse: — lo sarò irraggiungibile per qualche centinaio di secondi. Sto abbandonando l’habitat di L1. Un’ultima domanda: senza le testerapide, lei può continuarele operazioni di superficie?
Occorrevano dieci secondi per l’arrivo della risposta. Nau fece un cenno all’altra guardia. — Ciret, prendi Tung e la testarapida. Ci trasferiamo a L1-A.
Dal sotterraneo dell’arsenale, loro avrebbero avuto potere di vita e di morte su tutti gli esseri umani nello spazio circostante, senza bisogno di elettronica sofisticata. Nau sollevò un pannello nascosto e sfiorò un interruttore. Una sezione del parquet del pavimento scivolò di lato, rivelando un tunnel. Il passaggio comunicava con l’arsenale, e non era mai stato automatizzato coi localizzatori o messo in contatto con altri tunnel. Le serrature alle due estremità erano regolate sulle sue impronte digitali. Appoggiò un dito sul lettore. Il display rimase rosso. Possibile che Trinli abbia sabotato anche questo? Nau cercò di reprimere la paura e poggiò ancora il pollice sulla piastra. Il display sembrò esitare, palpitò, e dopo un tempo stranamente prolungato divenne verde. Il software doveva aver controllato la sua pressione del sangue e concluso che si trovava sotto coercizione.
Ciret e Tung arrivarono tirandosi dietro Ali Lin. — Tutto questo è molto irregolare — stava protestando l’anziano ingegnere. — Noi dovremmo camminare poggiando i piedi su questo pavimento speciale. — Il suo sguardo era sconvolto. Ai focalizzati non piaceva essere distolti dal lavoro, e zappare l’orto del caponave era importante per lui come creare specie geneticamente modificate. Ora veniva portato via a metà di un lavoro, e come se non bastasse tutti infrangevano l’etichetta pseudo-gravitazionale del suo parco.
— Stai calmo e tieni la bocca chiusa. Ciret, slega Vinh. Ci portiamo dietro anche lui.
All’improvviso la voce di Ritser Brughel riempì la stanza: — Signore, qui la situazione è sotto controllo. Le testerapide della Mano sono in linea. Non avremo bisogno di altro fin dopo che i missili atomici saranno esplosi sui bersagli. Phuong dice che a breve termine possiamo cavarcela meglio senza contattare L1. Prima di uscire di linea certe testerapide della Reynolt erano alquanto scoordinate. Qui l’attacco procede secondo il programma. Terra Meridionale sarà pesantemente colpita fra settecento secondi. Subito dopo la Mano potrà colpire la difesa antimissile dell’Alleanza. Li spazzeremo via…
Nau grugnì un assenso. Lin s’era finalmente azzittito. Mentre si girava, il caponave notò che la luce diminuiva. Una nuvola. Guardò l’ingegnere focalizzato e vide che la sua espressione era stranita, pensosa. Tung passò accanto a loro e andò a guardare fuori dalla finestra, verso il lago. — Oh, merda — disse sottovoce.
— Ritser, ora qui abbiamo dei problemi. Ci sentiamo più tardi.
La voce dalla Mano Invisibile chiese spiegazioni, ma nessuno la stava più ascoltando.
Come incantata da una delle ondine dei miti balacreani, l’acqua del Braccio Nord s’era gonfiata e stava uscendo dalle rive del lago. La luce solare artificiale era offuscata da milioni di tonnellate di liquido. mentre l’enorme tsunami si allargava sul soffitto della caverna. Per qualche secondo ci furono avvertimenti e grida di terrore, poi Nau fu investito e sommerso dall’onda e tutto diventò silenzio. O meglio, notò dopo un tempo incommensurabile, c’erano dei rumori: quello della sua residenza che andava in macerie e degli alberi tutto intorno ad essa sradicati dal fondale.
Dopo una serie di sforzi disperati Nau riuscì a emergere per riprendere fiato, e in quello sconquasso fu sorpreso di vedere la gattina alata di Qiwi che sembrava capace di cavarsela meglio di loro, svolazzando qua e là. Finì di nuovo sotto, riemerse ancora in una grande bolla d’aria e scorse delle figure umane in quel caos di spruzzi senza gravità. Marli stava nuotando nell’aria, gli altri scalciavano e annaspavano alla ricerca di appigli. Tung riuscì a portarsi verso la parete, dove stava aggrappato anche Ciret che teneva Ali Lin per la collottola.
C’era un’altra figura, una decina di metri più in là: Ezr Vinh. Il Mercante appariva stordito e mezzo affogato, ma più sveglio di quel che era stato durante l’interrogatorio, e nel vederli emise una risata rauca. — Siete in trappola, bastardi. Pham Nuwen è stato più furbo di voi.
— Pham chi?
Il Mercante lo guardò e parve capire di essersi lasciato sfuggire un’informazione importante. Nau agitò un braccio verso Marli. — Prendi quel figlio di puttana e portamelo qui!
Marli in quel momento non riusciva a trovare appigli. Per spostarsi fu costretto a usare la pistola e sparare in direzione opposta, nel groviglio di rami della foresta. L’impulso lo fece finire accanto a Nau. — Dobbiamo uscire di qui, signore. Non riesco a…
— Allora ammazzalo. Sparagli. — Nau s’era aggrappato alla cima di un albero. Sopra di lui, nell’aria, Marli sparò alcuni colpi. La pistola a dardi non aveva molta portata nell’acqua, e quasi tutti i proiettili fecero appena qualche metro prima di fermarsi. Ma d’un tratto l’uomo ebbe fortuna, e l’acqua intorno alla figura indistinta di Ezr Vinh si colorò di rosso. Poi non ci fu tempo di fare altro.
Marli roteò davanti a lui nella grande bolla d’aria, e ansimò: — C’è troppa acqua fra noi e l’ingresso principale, signore.
Una fottuta trappola, proprio come aveva detto il Mercante.
I quattro uomini si mossero lungo la parete del parco, tirandosi dietro Ali Lin. C’erano vaste sacche d’aria, ma tutte piuttosto instabili e in continuo movimento. Ali Lin sembrava affascinato dallo sconquasso creato dall’onda, e inconsapevole del pericolo.
— Ali, razza d’idiota! — Io chiamò Nau, vedendo che si fermava fra le fronde di un albero.
Ali Lin si girò a guardarlo. Incredibilmente, stava sorridendo. — Il mio parco è rovinato. Ma ora vedo il modo di migliorarne l’ecologia in modo singolare. Gli insetti acquatici si stanno adattando a questo miscuglio di bolle d’acqua e d’aria a microgravità, e se…
Nau lo afferrò per una spalla. — Sicuro, va bene, ti farò costruire un parco migliore. Ma ora ascoltami. C’è il modo di uscire da questo dannato posto senza affogare?
Grazie al cielo le testerapide erano troppo concentrate sui dettagli per aver paura della morte. Ali Lin aveva mantenuto una lucidità innaturale. — Naturalmente — rispose. — C’è una fessura dietro quel macigno. Il pannello non è stato saldato.
Marli si tuffò alla sua ricerca. Nau non aveva mai visto niente in quel punto, ma sapeva che le fessure attraverso cui avevano portato il ghiaccio dalla superficie dell’asteroide erano molte. Da lì a poco l’uomo riapparve fra le bolle d’acqua. — È vero, signore. C’è un pannello staccabile, che comunica con un tunnel. Non so dove porti quel passaggio, ma non è ancora stato invaso dall’acqua.
Da lì a poco i cinque uomini erano all’asciutto in un corridoio di servizio in cui fluttuavano appena pochi litri d’acqua. Sfinito e inzuppato Nau si passò una mano sulla faccia. — Andiamo avanti, caporale — disse a Marli. — E non perdiamoci il nostro Ali Lin. Dovrà aiutarmi a fare una telefonata.
Pham Nuwen, pensò, stupito. A ogni modo lui aveva studiato la vita di quell’uomo. Conosceva il suo modo di pensare, conosceva le sue capacità… sapeva bene quali erano i suoi difetti. E so come sfruttarli. Pham Nuwen era andato vicino alla vittoria, ma non quanto credeva. E Nau sapeva di avere ancora un grosso vantaggio nella sua capacità di convincere e manipolare gli altri. Mentre si spingevano avanti in fila nello stretto cunicolo pensò a quello che avrebbe potuto dire a Qiwi Lin Lisolet.
Il generale Smait era scesa dalla piattaforma degli oratori. Le copie del suo discorso erano state distribuite ai presenti, e ora cinquecento teste stavano ponderando sulla proposta. In piedi dietro il trespolo dell’usciere, Hrunkner Unnerbai era ancora stupito. Victreia Smait aveva fatto un passo inatteso. In un mondo normale avrebbe senza dubbio funzionato. In un ambiente avvelenato dalle manovre di Pedure c’era qualche dubbio.
— Vieni con me, sergente. Vedo che sta scendendo una persona con cui voglio parlare da molto tempo — disse lei. Più tardi era in programma la votazione. Nel frattempo i rappresentanti di alcuni gruppi parlamentari avrebbero chiesto precisazioni al generale, in una saletta riservata. Daunin e Hrunkner la seguirono attraverso il palco inferiore verso l’uscita, dov’era rimasta la scorta armata. Fu sul bordo del palco che la figura in nero li incontrò. Pedure. Gli anni non erano stati gentili con lei… o forse erano vere le storie sugli attentati a cui era scampata.
Il generale le sorrise rigidamente. — Non posso dire che sia un piacere incontrarla di persona.
— Per me è lo stesso — sibilò l’altra. — Ma tenga alla larga i suoi scagnozzi. Non mi fanno paura.
Sorpreso, Hrunkner notò che Pedure era armata: aveva estratto un coltello e lo teneva basso, in modo che soltanto loro potessero vederlo.
— Davanti a tutta questa gente, Onorevole Pedure? Lei non ha propria alcuna decenza, e non mi stupisce che…
Il generale s’interruppe e si portò un paio di mani alla testa con l’aria di ascoltare l’auricolare del suo telefono. L’ambasciata stava chiamando?
Pedure la guardò insospettita, poi si girò alla ricerca della sua scorta. In quel momento qualcosa ronzò nella sua blusa. La aracnide intascò il coltello ed estrasse un telefono. — Cosa? — ansimò, afferrando l’apparecchio con le mani nutritive come se volesse mangiarlo. — Fate uscire l’aereo sulla pista, subito! Sarò in superficie fra due minuti! — gridò. Centinaia di parlamentari si voltarono a guardarla, ma lei non parve neppure accorgersene.
Il generale Smait afferrò Hrunkner per un braccio. — Tutti i nostri progetti sono andati all’aria, sergente. Tre missili lanciati dalla banchisa sono diretti qui. Abbiamo sette minuti per raggiungere l’aeroporto. — Per un attimo lo sguardo di Hrunkner si alzò alla cupola del soffitto. Si trovavano a trecento metri nel sottosuolo, al sicuro da un’esplosione atomica. Ma lui sapeva che i Kindred avevano realizzato ordigni molto potenti. Tre esplosioni successive sulla città avrebbero annientato qualsiasi cosa. Eppure… Le mie imprese hanno aiutato a costruire questo posto. Sapeva che c’erano scale, accessi a rifugi molto più profondi, — Generale, mi segua all’uscita — disse. — Daunin, raduni la scorta.
Bastardi e persone per bene, in guerra Hrunkner aveva visto gli effetti della tensione e della paura su gente di ogni tipo. La reazione di Pedure era isterica; si stava muovendo a scatti in una direzione e nell’altra come combattuta da istinti opposti, mentre continuava a gridare in lingua tiefer nel suo telefono. A un tratto bloccò la strada a Victreia Smait, con un balzo. Era sinceramente sorpresa, sbalordita, incredula. — I missili. Sono vostri! Tu, bugiarda traditrice… — Con un grido furibondo estrasse di nuovo il coltello e si gettò addosso all’avversaria.
Hrunkner scivolò fra di loro prima che il generale potesse reagire. Con una dura spallata intercettò l’Onorevole Pedure, mandandola a rotolare giù dal palco fra i trespoli degli assistenti d’aula. Intorno a loro stava dilagando la confusione. La scorta Kindred che stava accorrendo in soccorso di Pedure si scontrò con quella non meno decisa e violenta dell’Alleanza, e i parlamentari restarono sbigottiti nel vedere che stavano combattendo.
Ma in quello stesso momento già si levavano grida inorridite. — Gli schermi! Guardate il notiziario! L’Alleanza ha lanciato i missili contro di noi!
Hrunkner precedette il generale e la scorta a una piccola uscita di sicurezza. Qui il gruppo si lanciò verso le scale che portavano ai rifugi più in basso. Sette minuti di vita? Forse. Ma all’improvviso il cuore di Hrunkner era più leggero. Ciò che restava era semplice, proprio com’era stato molti anni addietro in un’altra guerra. La vita, la morte, dei buoni compagni di lotta, e pochi minuti per decidere tutto.
Belga Vilunder era la più anziana al Centro di Comando e Controllo. Questo importava poco, visto che lei dirigeva il Controspionaggio e lì era fuori posto, anche se quanto stava accadendo avrebbe potuto cambiare il suo lavoro per sempre. Seduto a una consolle della sala operativa c’era il generale Elno Codaven, il nuovo direttore della branca estera del Servizio Informazioni e ufficiale in comando del Centro. Codaven sapeva della grandine di fallimenti culminati con la messa a riposo del suo predecessore. Sapeva che Rachner Thract non era un traditore né un incompetente, e ora si trovava alle prese con un nuovo lavoro mentre il suo diretto superiore era all’estero, come un acrobata che lavorasse senza rete. In quei giorni aveva più di una volta preso da parte Belga Vilunder per chiedere il suo consiglio. Lei sospettava che quella fosse la ragione per cui le era stato chiesto di restare lì invece di tornare a Principalia.
Il CCC si trovava sotto un chilometro di roccia nelle colline di Comando Territoriale, nei pressi dell’antica Profondità Reale. Su uno dei suoi schermi stava andando in onda la ripresa diretta dal Parlamento di Meridionalia, e il portavoce stava presentando il generale Smait all’aula. Era la stessa trasmissione diramata nel resto del mondo. Uno dei tecnici stava cercando di migliorare l’immagine. Accanto a Belga, il generale Codaven commentò sottovoce: — Bene, bene. La vecchia Pedure in persona è là. Questa è l’unica cosa che ci garantisce che i Kindred non faranno scherzi… finché è in gioco la sua pelle.
Poco dopo, mentre Victreia Smait scendeva dal podio, il direttore della Difesa Aerea generale Dugvai si girò stupito verso di loro. — Il generale Smait sta parlando con Pedure!
Codaven scosse il capo. — Mi piacerebbe sapere cos’hanno da dirsi.
Una barra rossa comparve su tutti gli schermi. Il tecnico sibilò parole concitate a qualcun altro, poi alzò la voce: — Signore, non capisco cosa sta succedendo, ma…
Dugvai indicò i puntini rossi apparsi sullo schermo con la mappa strategica di Terra Meridionale. — Quelli sono missili!
Anche Belga ne conosceva il significato. Croci bianche indicavano i luoghi stimati di lancio. — Tre vettori. Non vengono dalla Terra Meridionale. Vengono dalla calotta antartica. Devono essere… — Non potevano essere altro che Kindred.
Codaven si voltò verso un ufficiale. — Condizione di Massimo Allarme! — gridò. Sullo schermo televisivo andavano ancora in onda le reazioni dell’aula al discorso del generale Smait.
Uno degli assistenti si alzò. — Signore! Questi missili sono nostri! I lanci sono stati effettuati da due nostre navi, la Artica e la Aprighiaccio, e dalla Base Costiera Sene.
— Ma che diavolo dici! — sbottò Codaven, precedendo il suo vecchio capo.
— La Base Sette ha lanciato in risposta a un… un attacco, credo. Cosi dicono anche i codici delle due navi. Sto cercando di avere in linea i comandanti. Mi occorre qualche minuto perché tutto va criptografato.
Dugvai alzò le braccia. — Finché non potrò parlare direttamente con loro non crederò a una parola di questo. Io conosco i comandanti di quelle due navi. Laggiù sta succedendo qualcosa di molto strano.
— Questi missili sono reali, signore, e così anche i loro bersagli — replicò il tecnico, indicando le crocette bianche e i circoli.
— Queste sono soltanto delle luci! — sbottò Dugvai.
— La situazione ci arriva dai satelliti spia, signore, attraverso la rete dei computer anti-intercettazioni.
Codaven accennò a entrambi di calmarsi. — Questo sembra un po’ come i problemi che aveva il mio predecessore. I satelliti ci danno delle indicazioni che contrastano con la logica. La rete di computer rivela fatti che sembrano esistere nella realtà solo dopo aver preso realtà dalla rete stessa. Non che io ci creda, ma…
Belga era senza fiato. La paranoia di Thract… era lui a essere nel giusto? — Lei sta dicendo che questi lanci sono falsi? Che i rapporti in arrivo dai satelliti…
— Non tutto, ma molto di ciò che vediamo sulla rete.
— … Sono bugie? — Era l’incubo di un tecnofobo stravagante. Il senso di quelle frasi era giunto anche a Dugvai. Sentirne parlare da un suo pari grado ebbe l’effetto di scuoterlo. — Ma i controlli incrociati… mmh. Diavolo, e allora cosa possiamofare, Elno?
— Possiamo dissociare il comando dalla rete. Anche se non so come potremmo riuscirci, data la nostra dipendenza dai computer.
Belga gli mise una mano su una spalla. — Io dico di farlo. Possiamo tirare fuori dai musei e dai magazzini i vecchi apparati radio, i telefoni a cavo, e usare corrieri. Sarà lento, ma… — Almeno avrebbero scoperto contro chi stavano combattendo davvero.
Prima però che potessero rifletterci la porta si aprì. Belga si irrigidì. Nessuno avrebbe dovuto entrare lì, prima che Codaven dichiarasse chiusa la seduta. Fuori c’era una guardia dei CCC che stava camminando all’indietro e teneva sollevato il fucile. — Ho visto il suo permesso, signora, ma nessuno è autorizzato a…
Una voce familiare lo interruppe: — Sciocchezze. Come ha visto il nostro telecomando apre anche questa porta. Si scosti, per favore. — Una giovane tenente entrò in sala, seguita da un massiccio caporale e da una squadra di combattenti forniti di grossi fucili da assalto.
Il generale Dugvai arringò la giovane tenente con parole infuocate. Dugvai era un imprudente. Chiunque al suo posto si sarebbe gettato al riparo; quello sembrava un raid nemico per decapitare il comando dell’Alleanza… ma perché non avevano cominciato a sparare? Elno Codaven girò intorno alla scrivania e allungò una mano verso un cassetto nascosto. Belga si spostò fra lui e gli intrusi per coprirlo, e disse: — Lei è la figlia di Smait.
La tenente la salutò. — Sì, signora. Victreia Laigtil, e questa è la mia squadra. Su ordine del generale eseguiamo ispezioni a nostra discrezione, senza limiti di accesso. Vi chiedo scusa, signori, ma è per questo che siamo qui.
La Tenente Laigtil passò davanti al generale Dugvai, muto per la rabbia. Alle spalle di Belga e riparato dal suo corpo, Elno Codaven stava battendo codici d’emergenza su una consolle.
La Tenente intuì quel che l’altro stava facendo. — La prego di scostarsi da quella tastiera, generale Codaven. — Il grosso caporale puntò minacciosamente il fucile da assalto, e Belga riconobbe anche lui. Il figlio ritardato della Smait. Dannazione.
Elno Codaven si allontanò dalla consolle e alzò le mani, riconoscendo che quella era tutt’altro che una semplice ispezione. I due tecnici più vicini all’uscita ne approfittarono per scivolare verso la porta, ma gli intrusi erano molto veloci. Tre di loro bloccarono i tecnici e li spinsero di nuovo ai loro posti. I battenti della porta corazzata si chiusero lentamente.
Codaven fece un ultimo fragile tentativo. — Tenente, voi arrivate proprio mentre è in atto una massiccia infiltrazione di dati falsi via satellite. Per la nostra stessa sicurezza dobbiamo staccarci subito dalla rete.
Victreia Laigtil si avvicinò agli schermi. Su quello televisivo giungevano ancora immagini dal Parlamento di Meridionalia, ma dietro la telecamera non c’era nessuno. L’inquadratura s’era fermata di traverso, sul soffitto. Sugli altri schermi c’erano richieste urgentissime di dati al CCC, in risposta allo stato di Massimo Allarme, e annunci di altri missili lanciati da basi delle Forze Missilistiche Reali di Attacco. La fine del mondo era cominciata.
— Lo so, signore — rispose Victreia Laigtil. — Noi siamo qui appunto per impedirvi di fare ciò che lei ha appena detto. — La sua squadra s’era sparsa per la sala operativa, e tutti i tecnici e gli ufficiali erano tenuti sotto mira. Il grosso caporale apri un paniere e ne tirò fuori delle apparecchiature e una specie di casco video.
Finalmente Dugvai ritrovò la voce: — Noi sospettavamo una talpa, e abbiamo pensato a Rachner Thract. Che ingenui… mai avremo supposto che fossero proprio Victreia Smait e la sua famiglia a lavorare per la Pedure e i Kindred.
Una traditrice al vertice dell’Alleanza. Questo avrebbe spiegato molte cose, ma… ma non tutto. Belga guardò gli schermi strategici su cui fioccavano segnalazioni di missili in volo in tutte le direzioni. — Cosa è vero e cosa è falso, tenente? È tutto una simulazione, a cominciare dall’attacco alla Terra Meridionale?
Per un momento Belga pensò che Laigtil non avrebbe risposto. I puntini luminosi diretti a Meridionalia raggiunsero il bersaglio. La telecamera puntata verso il soffitto dell’aula del Parlamento durò un secondo di più, poi lei ebbe l’impressione che un polverone scaturisse verso il basso, seguito da una grande luce… e lo schermo si riempì di scariche. Victreia Laigtil vacillò a quella vista, e quando aprì bocca la sua voce era rauca. — No. Questo attacco è fin troppo reale.
— Sei sicuro che possa vedermi?
Marli alzò lo sguardo dai suoi strumenti. — Sì, signore. Ho appena avuto la risposta dal suo visore.
Sei in onda, caponave. La migliore commedia della tua vita. — Qiwi! Ci sei?
— Sì, ti vedo. Io… — Nau sentì la ragazza ansimare. Forte. Non la riceveva in video, e che la situazione fosse grave non era una bugia. — Padre!
Nau teneva fra le braccia Ali Lin, che aveva il volto tumefatto e gli occhi chiusi. Le ferite del focalizzato stavano perdendo molto sangue, attraverso le bende improvvisate. Diavolo, spero che l’idiota non sia morto. Ma la scena doveva risultare realistica, perciò Marli aveva fatto del suo meglio.
Quel dannato Vinh, Qiwi. Lui e Trinli ci sono saltati addosso. Hanno tagliato la gola a Kal Omo. Avrebbero ucciso anche Ali, se… se io non li avessi lasciati andare via. — Le parole gli fiottavano di bocca distorte dalla paura e dalla rabbia per necessità tattica, ma non era difficile fingere mentre raccontava il selvaggio attacco di quei traditori, calcolato proprio nel momento critico in cui l’intera nobile civiltà dei Ragni era in pericolo. La distrazione del Braccio Nord. — Ho visto la tua povera gattina affogare, Qiwi. Mi spiace. Non eravamo abbastanza vicini per salvarla… — La sua voce s’indebolì ad arte.
Dall’altro capo della linea sentiva gemiti soffocati, quelli che Qiwi emetteva nei momenti di orrore assoluto. Dannazione, questo poteva provocarle un ritorno di ricordi cancellati. Nau controllò la paura e disse: — Qiwi, abbiamo ancora una possibilità. I traditori si sono fatti vedere lì al bar di Benny? — Sapete qualcosa di Pham Nuwen?
— No, ma abbiamo capito che sono successe cose terribili. Abbiamo perso il contatto col Braccio Nord, e ora sembra che su Arachna sia scoppiata una guerra atomica. Io sono su una linea ottica, ma tutti mi hanno visto uscire da Benny.
— D’accordo, ho capito. È meglio così, Qiwi. Chiunque siano i complici di Vinh e di Trinli, forse sono ancora tagliati fuori. Noi due abbiamo una possibilità, solo tu e io…
— Ma certo possiamo fidarci di… — cominciò a protestare Qiwi, poi tacque. Bene. Come ogni volta, a così breve distanza da uno dei soliti lavaggi di memoria, Qiwi era un po’ confusa. — D’accordo, Tomas. Io posso aiutarvi. Dove siete nascosti? In un corridoio di servizio?
— Sì, giusto dietro il portello esterno. Siamo bloccati qui. Ma se potessimo uscire, avrei ancora il modo di salvare la situazione. L1 ha…
— Quale corridoio?
— Uh, — Nau guardò il portello. La lampada di Marli illuminava un numero. — Sette… quattro, cinque. Credo che sia…
— So dov’è. Sarò lì fra duecento secondi. Non preoccuparti, Tomas.
Perdio. Qiwi aveva fatto presto a ritrovare la calma. Nau diede uno sguardo interrogativo a Marli.
— La fibra ottica è libera, signore.
— Bene. Cerca un contatto. Vedi se puoi mettermi in linea con Ritser Brughel. — Quella poteva essere l’ultima possibilità di controllare come andavano le operazioni sul pianeta prima che la guerra si concludesse.
La Mano Invisibile era già passata oltre l’orizzonte della Terra Meridionale quando i missili arrivarono là. Tuttavia sullo schermo di Jau si videro i lampi, riflessi nell’alta atmosfera. E il loro satellite più vicino sgranò i dati dell’analisi della distruzione. Tutte e tre le testate atomiche erano esplose sul bersaglio.
Ma questo non bastò a soddisfare Brughel — Il tempo di lancio non è stato ben sincronizzato. Non abbiamo avuto la penetrazione ottimale.
Sul canale comune di plancia giunse la risposta di Phuong. — Questo non dipende da noi. signore. Il calcolo avrebbe dovuto pervenirci da L1, e poiché là hanno…
— D’accordo, d’accordo. Faremo da soli. Signor Xin.
— Sì, signore?
— I suoi sono pronti a colpire le difese antimissile?
— Sì, signore. La deviazione appena effettuata ci porterà vicino ai bersagli. Potremo eliminare i tre quarti delle difese dell’Alleanza.
— Direttore di pilotaggio, voglio che lei personalmente… — Una nota musicale della sua consolle lo interruppe. Non c’era video, ma il vice caponave ascoltò qualcosa nell’auricolare. Poi disse: — Sì, signore. Possiamo effettuare l’attacco senza difficoltà. Qual è la vostra situazione?
Cosa sta succedendo lassù? Cosa sta succedendo a Rita? Jau cercò di non pensarci e concentrò la sua attenzione sugli schermi. In realtà stava spingendo al limite le testerapide. Avevano dovuto gettare la maschera. Non c’era più modo di nascondere la loro attività alla rete dei Ragni. Le basi antimissile dell’Alleanza erano per lo più dislocate in una fascia che la Mano invisibile avrebbe sorvolato nella sua rotta verso nord. I piloti di Jau coordinavano un’altra dozzina di testerapide. I laser da battaglia dell’astronave potevano fondere tutte le strutture di lancio in superficie, ma solo a patto di poter indugiare su ogni bersaglio per un minimo di cinquanta millisecondi, passare da un obiettivo all’altro era un balletto fatto di rapidità così miracolosa da sfiorare l’arte. I silos di lancio interrati avrebbero invece richiesto l’uso di bombe, che erano già state lanciate e stavano scendendo in lunghe curve dietro di loro.
Jau aveva fatto tutto ciò che poteva perché il lavoro fosse come gli era stato ordinato. Non avevo altra scelta. Ogni pochi secondi quel mantra gli attraversava la mente, seguito da un disperato Io non sono un macellaio.
Ma ora… ora poteva esserci un modo sicuro per aggirare gli ordini di Brughel. Sii onesto, sarai sempre un macellaio. Ma di centinaia, non di milioni.
Senza le dettagliate istruzioni di puntamento di L1, era possibile fare una quantità di piccoli errori. L’attacco contro Terra Meridionale ne era stato un esempio. Le dita di Jau corsero su una tastiera per mandare ordini dell’ultimo momento alle sue testerapide. L’errore di base era molto sottile, ma introduceva una serie di variazioni casuali nel loro attacco alle postazioni antimissile. La maggior parte di quei colpi sarebbero andati fuori bersaglio. L’Alleanza avrebbe avuto la possibilità di lanciare quasi tutto ciò che aveva contro i missili atomici Kindred.
Rachner Thract andava avanti e indietro nell’astanteria. Perché Underhill tardava tanto? Forse quel vecchio ragno aveva cambiato idea, o dimenticato che lui lo stava aspettando. La guardia sembrava nervosa. Stava parlando sottovoce al telefono con qualcuno.
Finalmente ci fu il ronzio di un ascensore. La porta interna di legno massiccio si aprì e ne venne fuori un insetto-guida, seguito da Sherkaner Underhill. La guardia si affrettò da quella parte. — Signore, devo parlarle. Sono appena stato informato che…
— Sì, ma prima lasci che io faccia due chiacchiere col colonnello.
— Mi dispiace, signore, ma è una cosa urgente.
Underhill stava alzando un braccio per protestare, quando il mondo intorno a loro esplose. Colore su colore. Sconvolgimento oltre il più abominevole incubo di Rachner. Per un momento gli parve di svenire mentre qualcosa lo scaraventava al suolo, troppo sbigottito per provare spavento.
Poi i colori cominciarono a smorzarsi e lui s’accorse di essere disteso sulla neve, in mezzo alle macerie. Aveva dolore in tutti e quattro gli occhi, e continuava a vedere forme scure sopra le forme concrete che aveva davanti, deformi sia le une che le altre.
Underhill! Rachner si tirò in piedi, scostando il lungo pezzo di tettoia che gli era caduto addosso. In quel movimento si accorse di avere dolori in tutto il corpo. Essere scaraventato attraverso una parete di mattoni fa questo effetto. Fece qualche passo, ma gli parve di non avere niente di rotto.
— Signore! Professor Underhill! — La sua voce sembrava venire da grande distanza. Si guardò attorno, come se avesse ancora soltanto i suoi occhi di bambino, e il caos di sovrapposizioni ed effetti ottici lo stordì. A oriente, lungo il versante della vallata, c’era una fila di grandi fosse fumanti. Ma la distruzione era enormemente più vasta. Nessuno degli edifici di superficie era ancora in piedi, e il fuoco stava divorando tutti i materiali infiammabili. Rachner fece un passo verso il punto dove c’era stata l’astanteria, ma adesso quello era il bordo di un cratere fumante. Il fianco della collina, poco più indietro, stava ancora franando. Rachner aveva già visto un cataclisma simile in passato, un deposito di munizioni colpito in pieno da un proiettile d’artiglieria. Ma cosa è esploso? Cosa teneva Underhill in magazzino, qui sotto?
Un animale sibilava, poco distante. Era l’insetto-guida di Underhill, imprigionato fra le macerie. Le sue braccia da combattimento si agitavano con energia, ma il guscio della povera bestia sembrava spaccato. Quando Rachner cercò di tirarlo fuori, l’insetto sibilò ancora e unì i suoi sforzi a quelli di lui.
— Mobiy! Va tutto bene, Mobiy, tutto bene! — Era Underhill. La sua voce gli giungeva attutita, come ogni altro rumore. Mentre Rachner aggirava le macerie, l’insetto-guida riuscì a liberarsi e lo seguì annaspando verso la voce del padrone; poi cominciò a scavare freneticamente. Il terreno era caldo, come fra le fumarole vulcaniche di Calorica. C’era qualcosa di orribile nell’essere sepolto nella terra calda. Rachner si mise a scavare accanto all’insetto.
Underhill era lì, sepolto nei calcinacci ma con la testa di fuori, e in poco tempo lo estrassero del tutto. Vacillava e si teneva in piedi a stento; c’era una bruciatura sulla parte superiore della sua testa, e aveva piccole vesciche nella superficie cristallina degli occhi superiori. Appena fu in grado di fare qualche passo andò sul bordo del cratere.
— Jaiber! Nizhnimor! — chiamò con voce rauca, incredulo. Sia Rachner che l’insetto lo trattennero. Dapprima Underhill si lasciò allontanare dalla scarpata fumante. Era difficile dirlo con quei vestiti pesanti, ma almeno due delle sue gambe sembravano rotte.
Poi: — Viki? Brent? Mi sentite? Mio Dio, ho perduto… — Si girò e tornò verso il cratere. Stavolta Rachner dovette lottare per trattenerlo. Il povero aracnide stava delirando. Pensa! Rachner guardò il fondovalle. La pista d’atterraggio era piena di detriti, ma l’elicottero stava ancora là, apparentemente intatto. — Ah, professore! C’è un telefono nel mio elicottero. Venga, di là possiamo chiamare il generale Smait. — L’idea era precaria, ma Underhill entrava e usciva dai delirio e lo colse in un momento di lucidità.
— Un elicottero? Sì… può esserci utile.
— Va bene. Venga con me. — Rachner si avviò giù per la scalinata, ma vide che l’altro esitava.
— Non possiamo lasciare qui Mobiy. Nizhnimor e gli alti sono morti, ma lui…
Anche lui è morto. Ma Rachner non lo disse a voce. Trovò una lastra di plastica fra le macerie, vi caricò sopra il corpo dell’insetto e prese a scendere verso il fondovalle. Sherkaner Underhill lo seguì senza lamentarsi, anche se ogni pochi passi doveva fermarsi a riposare. In fondo alle scale Rachner riuscì finalmente a spaziare con lo sguardo nella distruzione fumante che era la vallata. Probabilmente anche sull’altipiano, dove c’erano le postazioni antimissile, lo spettacolo era lo stesso. Non si poteva dubitare di quel fatto: Comando Territoriale era stato colpito da un ordigno nucleare. E qualunque cosa io sia venuto a fare qui, ora è troppo tardi.
Il taxi fluttuava a pochi metri dalla superficie di Diamante Uno. Sotto di loro l’imboccatura aperta di S745 emetteva ancora nel vuoto residui d’aria e cristalli di ghiaccio. Se non fosse stato per Qiwi non avrebbero mai potuto uscirne. Esperta nei lavori all’esterno, la ragazza non aveva avuto difficoltà nel collegare il portello del taxi a quello del cunicolo.
Nau assicurò Ali Lin al sedile sulla destra di Qiwi con la cintura di sicurezza. Lei allungò una mano a toccarlo, pallida e scossa. — Papà… papà, mi senti? — Gli controllò le pulsazioni su un polso e si morse un labbro, angosciata.
— Credo che ce la farà, Qiwi — disse Nau. — Senti, nell’arsenale di L1 c’è un automedico, e…
Qiwi appoggiò le mani sui comandi. — L’arsenale — mormorò, senza distogliere lo sguardo dal volto del padre. Poi annuì. — Va bene.
I jet del taxi si accesero, costringendo gli uomini a cercare in fretta qualche maniglia. La ragazza aveva tolto il pilota automatico e stava dando il massimo della potenza. — Cos’è successo, Tomas? Abbiamo ancora qualche possibilità?
— Credo di sì. Se possiamo scendere in L1-A. — Poi le riferì quel che era successo dopo la fuga dal Braccio Nord, tutto vero fuorché ciò che riguardava Ali Lin.
Qiwi guidava con mano esperta, ma la sua voce era rotta. — È di nuovo un massacro come quello di Diem, vero? E se non li fermiamo, stavolta moriremo tutti. Anche i Ragni.
Brava, piccola. Se il suo lavaggio di memoria non fosse stato così recente, quella catena di pensieri avrebbe potuto rimettere insieme gli echi dei ricordi perduti e ricostruirli. Ma ora l’analogia con il massacro di Diem giocava in suo favore. Nau annuì mestamente. — Sì. Ma stavolta abbiamo una possibilità di fermarli, mia cara.
Il taxi scese su Diamante Uno. La debole luce rossa del sole illuminava i resti del ghiaccio rubato al pianeta. Hammerfest era scomparso dietro la curva dell’asteroide. Probabilmente Pham Nuwen era là, intrappolato nell’attico. Quell’uomo aveva del genio, ma era riuscito a ottenere solo una mezza vittoria. Aveva tagliato fuori le testerapide, ma senza ostacolare le operazioni su Arachna, e non aveva raggiunto i suoi possibili alleati.
E in quella partita, una mezza vittoria era una sconfitta. Fra poche centinaia di secondi io avrò tutta la potenza di fuoco di L1. Pham Nuwen era un vecchio con molte illusioni e poca lucidità, e avrebbe ceduto tutta la posta in gioco a chi aveva saputo meritarsela.
Ezr non aveva perso conoscenza. Se fosse svenuto sarebbe affogato, lì in quel miscuglio caotico di acqua e aria. Invece aveva ignorato il dolore alla spalla e scalciando s’era portato in basso, verso il vecchio letto dei lago. L’intuito gli aveva detto che con tutta quell’acqua sparsa sul soffitto della caverna di cristallo, laggiù doveva essercene rimasta poca. E infatti era così.
Il fondale era coperto di fango, e fra le alghe radicate in quel limo c’erano gli stabilizzatori, gli stessi servomeccanismi intelligenti che alla fine avevano sabotato il lago. Usando il braccio buono Ezr risalì verso il molo, ora scomparso insieme alla barca a vela, e si trascinò in direzione della casa di Tomas Nau. C’era rimasto poco delle parti costruite in prezioso legno. L’acqua, vide, sembrava essersi stabilizzata quasi tutta a contatto del soffitto della caverna, dove formava uno strato alto una decina di metri. Il capolavoro ambientale di Ali Lin era distrutto.
C’era poca luce e tutto appariva confuso, ma la ferita non gli faceva più tanto male. Da qualche parte in quella boscaglia piena d’acqua c’era Nau, intrappolato coi suoi scagnozzi. Ezr poteva consolarsi col ricordo di quando li aveva visti affogare. Pham, abbiamo vinto. Ma quello non era il piano originale. Per qualche motivo Nau s’era accorto di quel che loro stavano facendo, e avevano sfiorato il disastro. In effetti Nau poteva anche non essere più lì, visto che non si sentivano voci. Forse aveva seguito Pham, o stava andando all’arsenale in cerca di armi.
Ezr si costrinse a non svenire. Se solo avesse potuto fermare il sangue… ma non sarebbe riuscito a togliersi la blusa. La sua mente cercò di restare nei limiti della realtà. Cosa posso fare, nei secondi che mi restano da vivere? Fluttuò avanti fra i resti della residenza, con la faccia così vicina al suolo da sfiorarlo col naso.
Poco più avanti bevve da una bolla d’acqua, e fu allora che vide la gattina alata di Qiwi. Era bagnata, ma sembrava in buone condizioni e volò subito verso di lui, desiderosa di qualche carezza. Ezr si uncinò a un ramo con un piede e accontentò il bisogno di compagnia del felino, che gli spinse la testa contro il mento e fece le fusa.
Quello era il punto più alto delle rovine della casa… e nella parete di diamante c’era l’imbocco di un tunnel largo un paio di metri, chiuso da un portello. Era la principale via d’accesso alla residenza di Nau… e probabilmente la via più diretta per l’arsenale di L1. Il display della serratura era verde.
Ezr accarezzò la gattina sotto il mento. — Sai che davanti a noi c’è la chiave di tutto, piccola? L’orologio di quella serratura dice che è stata aperta per l’ultima volta più di tremila secondi fa. I nostri amici non sono usciti da questa parte.
Si strappò delicatamente dalla blusa gli artigli del felino, e andò ad aprire il portello. Prima di entrare dovette di nuovo allontanare la gatta, che evidentemente avrebbe preferito restare con lui, e la consolò con una carezza. — Per ora il posto migliore per te è questo, bella mia. Le pistole a dardi fanno male.
Nella sala di gruppo dell’attico erano stati montali dei sedili extra. C’era appena lo spazio per muoversi lungo le pareti. Pham si volse a guardare Silipan. — Dovevo farlo. Questo è il cuore del potere di Nau. e ora gliel’ho strappato. Non c’era altro modo per impadronirsi di L1, Trud.
Lo sguardo dell’altro era vitreo. Quel giorno c’erano stati troppi shock. — Prendere il potere? Tu non sai quello che dici… tu ci hai condannati a morte. Tu mi hai rovinato. — Stava ansimando. Probabilmente immaginava ciò che Nau e Brughel gli avrebbero fatto. — Si può sapere chi sei tu, Pham?
Lui dovette alzare la voce per farsi udire sopra le incalzanti domande delle testerapide. — Diciamo che in questo momento sono la tua sola speranza. — Gli riconsegnò il visore che poco prima gli aveva confiscato, e attese che l’uomo se lo mettesse. — Ora voglio che tu rimetta al lavoro questa gente. Nau è tagliato fuori, ma da qui si possono ancora governare i sistemi interni. Pensi di poterlo fare?
— Non lo so. Immagino che non resti altra soluzione — grugnì l’altro, senza guardarlo.
— Così mi piaci. Calma questa gente, e se vuoi aiutare davvero i tuoi compagni mettili al lavoro. — Pham scivolò via lungo il soffitto, ignorando i lamenti queruli delle testerapide. Alcuni avevano vomitato, altri avevano avuto una crisi, e questi non si sarebbero adattati ad altri compiti se non fossero stati di nuovo sintonizzati. Ma Anne Reynolt e i tecnici che avrebbero potuto farlo fluttuavano immobili presso una parete. Stai combattendo la tua ultima battaglia un paio di secoli dopo il tempo in cui pensavi di aver già perduto tutto.
La visione di ciò che accadeva alle sue spalle non era stabile. Era riuscito a rimettere in funzione l’alimentazione a microonde, ma non dappertutto. Aveva a sua disposizione forse centomila localizzatori sparsi nei luoghi più diversi, che trasmettevano catene di dati e di immagini fino a lui. Da quelli situati all’esterno, nel vuoto, gli arrivò qualcosa di imprevisto: due o tre immagini riprese da lontano e quasi prive di colore, ma che mostravano un taxi in atterraggio sulla superficie nuda accanto ad Hammerfest. Dannazione, il portello S745. Se Nau fosse riuscito a farsi portare via di là, non c’era dubbio su dove sarebbe immediatamente andato.
Per un momento Pham si sentì vecchio e stanco, incapace di fermare un avversario che continuava a uscire inarrestabilmente da ogni trappola. No, anzi è come tornare di nuovo giovane, cercò di dirsi. Gli restavano almeno trecento secondi prima che Nau mettesse piede nell’arsenale. Inutile lesinare sui mezzi. Pham emanò l’ordine di mettere in linea tutti i localizzatori disponibili, anche quelli ancora privi di alimentazione. Le loro piccole batterie contenevano ancora un po’ di carica, e usati saggiamente potevano dargli un input.
Dietro le sue palpebre si formarono lentamente immagini, un bit dopo l’altro.
La sezione in cui erano stati raggruppati i traduttori era la più calma, per effetto dei dati che continuavano ad arrivare. Pham fluttuò accanto a Trixia Bonsol. Con le mani sulla tastiera, la donna scrutava il suo schermo con intensità quasi feroce. Pham si inserì nella corrente di dati che arrivava dalla Mano Invisibile. Da lì avrebbe dovuto pervenire qualche buona notizia, visto che Brughel e compagni erano rimasti con le brache in mano proprio quando si apprestavano a commettere un genocidio…
Gli occorse un istante per ordinare quei dati. C’era materiale per i traduttori, mappe strategiche, codici di lancio… Codici di lancio? Brughel stava andando avanti col piano di Nau! Lo stava eseguendo in modo goffo, certo, e l’Alleanza sarebbe rimasta con un bel po’ della sua difesa antimissile, ma le bombe erano state lanciate e stavano scendendo su quei territorio, dozzine di bombe.
Per un momento Pham fu sommerso dall’orrore. Nau aveva pianificato la morte di milioni di creature intelligenti, e nonostante ogni difficoltà Brughel stava facendo del suo meglio per eseguire quel delitto. Pham scartabellò fra i dati che la Bonsol aveva registrato nelle ultime poche migliaia di secondi, in cerca di qualcosa di utilizzabile…
— È la fine! — lo distrasse una voce.
— Cosa? — Pham si girò verso le testerapide, che continuavano a lamentarsi irosamente, e capì che a parlare era stata proprio Trixia Bonsol. Il suo sguardo era lontano, e le sue dita tremanti sfioravano la tastiera.
— Sì. dici bene — sospirò Pham. Con chiunque la donna avesse parlato, quello era il commento più adatto alla situazione.
La sua sintesi della rete di localizzatori era completa: ora aveva immagini e contatti da L1-A. Se fosse riuscito a connettere meglio tutte le microscopiche unità forse sarebbe riuscito a raggiungere gli eiettori presso l’arsenale… e magari, con un po’ di fortuna, anche i jet elettrici. Se avesse potuto puntare un certo numero di jet stabilizzatori contro il caponave… Pham si volse: — Ehi, Trud, sei riuscito a rimettere al lavoro quelli dei calcoli matematici?
L’elicottero di Rachner Thract decollò senza problemi dalla pista ingombra di detriti, alzando una nuvola che offuscò ancora di più l’atmosfera polverosa della valle. Rachner era un esperto pilota, e appena ebbe esaminato i dintorni si diresse a est lungo le colline.
Dappertutto c’erano dei crateri. Nella cittadina della valle si vedevano le luci dei veicoli di soccorso, già all’opera anche se non c’era rimasto molto da soccorrere.
Sul trespolo accanto a lui Underhill si contorceva debolmente nel tentativo di aprire il paniere sul dorso del suo insetto-guida. L’animale sembrava moribondo ma rispondeva ancora agli sforzi del padrone. — Colonnello Thract, ho bisogno di vedere come stanno le cose. Può aiutarmi col paniere di Mobiy?
— Solo un minuto, signore. Voglio salire di quota per vedere se le postazioni sull’altipiano…
— La capisco, colonnello. — Underhill tossì raucamente. — Ma mi aiuti, per favore. Devo vedere cosa succede.
Sta delirando. Ma al diavolo, ormai cosa importavano le postazioni difensive? Rachner inserì il pilota automatico e sganciò il paniere dal guscio fratturato dell’animale. Underhill lo aprì come se contenesse i gioielli della corona. Rachner non represse un moto di stupore nel vedere che ne tirava fuori un casco col visore. Cosa diavolo… un dannato videogioco!
— Ah, sembra a posto — disse Underhill. Indossò il casco, lo accese e sul visore balenò un caos di colori e immagini indecifrabili che confusero la vista di Rachner. Qualunque cosa fosse, invece di mesmerizzare l’anziano professore quegli effetti ottici parvero soddisfarlo molto. — Ah… ora vedo — disse.
Rachner preferì dedicarsi di nuovo alla manovra. Ormai erano in quota, e l’elicottero era investito dal vento che soffiava dall’altipiano. Da lì si poteva vedere a grande distanza, e ciò che lui vedeva erano colonne di fumo che si alzavano da dozzine di posti fino all’orizzonte. Le postazioni antimissili. Ma… santo cielo, quei bastardi le hanno mancate tutte, o quasi tutte! Quello che vedeva alzarsi dal suolo era solo il fumo di vegetazione bruciata e nient’altro, perché da tutto il grande altopiano si sollevavano anche ondate su ondate di tozze frecce nere spinte da code di fiamma. Gli intercettori schizzavano fuori a dozzine, a centinaia, dai loro silos sotterranei, simili a furiose raffiche di proiettili traccianti della contraerea… sciami di razzi automatici diretti verso l’orizzonte nero dove in quel momento, distanti ancora molte centinaia di chilometri, i missili atomici Kindred stavano viaggiando verso di loro. Per Rachner era emozionante più di quanto le simulazioni della Difesa Aerea avessero mai fatto pensare, ed era spaventoso… perché la vastità di quel fuoco di sbarramento significava che i Kindred s’erano scatenati lanciando tutto ciò che avevano.
Sherkaner Underhill sembrava non essersene accorto. Muoveva la testa avanti e indietro, nell’arcobaleno di luci del suo casco. — Deve esserci qualcuno in rete. Deve esserci. — Le sue mani lottavano coi comandi del videogioco o quel che era. Trascorsero alcuni minuti. — Niente. Ormai è tutto nel caos — sospirò infine.
Trud Silipan lasciò le testerapide addette ai calcoli e raggiunse Pham Trinli nel gruppo dei traduttori. — La maggior parte di loro stanno lavorando, Pham. Voglio dire, eseguono gli ordini. In quanto al controllo qualitativo dei risultati, non posso garantire…
Pham si passò una mano sulla faccia. — Sì, capisco cosa vuoi dire. Bene, qual è la situazione qui da noi e nel provvisorio Qeng Ho?
— La telecamera che abbiamo nel bar di Benny ci mostra una quantità di facce perplesse. Quelli non hanno capito niente di cosa sta succedendo, e perciò non fanno niente.
Una delle testerapide, la Bonsol, li interruppe dando la stura a pensieri suoi. — Su Arachna ci sono miliardi di esseri viventi. Fra poco cominceranno a morire.
Quel commento da parte di una focalizzata sorprese Pham, che annuì distrattamente. — Già — disse. — Ma almeno i Ragni hanno una possibilità. Senza le nostre testerapide Brughel può solo ottenere risultati minimi e sperare che siano i Ragni stessi a rovinarsi con le loro mani.
La Bonsol lo interruppe di nuovo: — Brughel non può calibrare il suo attacco, ma se avesse il nostro aiuto noi avremmo un vantaggio.
Silipan si spinse verso il soffitto. — Non li sopporto più questi loro discorsi a caso. Dannate testerapide. Se li lasci girare a vuoto in questo modo ti fanno impazzire — borbottò.
Pham stava invece scrutando la focalizzata con attenzione nuova. — Cosa vuoi dire, parlando di un vantaggio? — domandò a bassa voce.
La donna continuò a guardare il suo schermo come se non avesse sentito la domanda, e il silenzio si prolungò per una ventina di secondi. Poi, quando ormai Pham pensava che non lo avrebbe fatto, si girò a guardarlo negli occhi. — Voglio dire che voi bloccate noi, e noi blocchiamo voi — rispose, con vivacità nevrotica. — La mia vittoria, anche se voi siete dei mostri e non possiamo fidarci di nessuno di voi. E ora tutti stiamo pagando quell’errore.
Erano controsensi da testerapide, non più strani del solito, ma Pham accostò la sedia a quella di lei e la guardò a bocca aperta. Quando infine parlò, le sue parole non erano più sensate di quelle di lei. — Io… molti di noi non sono mostri. Se voi non foste più bloccati, potreste sfruttare il vostro vantaggio. Ma dopo noi saremo nelle vostre mani. Come possiamo fidarci di voi?
Lo sguardo della Bonsol saettò qua e là, le sue mani si mossero sulla tastiera, e nel guardarla Trud Silipan ebbe uno sgradevole presagio. A un tratto, dopo una decina di secondi, la donna parlò ancora: — Se voi ci restituite l’accesso completo, noi potremo controllare tutte le cose importanti. Questo era il piano originale, in quanto alla fiducia… — Sulla faccia di lei ci fu un sogghigno ingenuo e astuto allo stesso tempo. — Be’, tu ci conosci bene, noi e loro. Scegli tu i mostri che preferisci.
— Sì — disse Pham. Si grattò una tempia e parve guardare qualcosa che per Silipan era invisibile. Girandosi verso l’Emergente sorrise dello stesso sorriso ferino di quando lo aveva sorpreso nel magazzino, il sorriso di uno che sta rischiando tutto… e che si aspetta di vincere. — Allaccia di nuovo tutti i collegamenti con l’esterno, Trud. È l’ora di restituire a Nau e a Brughel tutto l’aiuto delle testerapide che gli serve… e anche qualcosa di più.
Nau lasciò che Qiwi pilotasse il taxi verso il mucchio di ghiaccio che s’era accumulato intorno al portello dell’arsenale di L1. Gli sarebbe piaciuto che andasse più in fretta. La ragazza era riuscita a trovare quel vecchio passaggio di servizio in disuso e a tirarli fuori salvi in poco tempo. Se solo avesse continuato così per un’altra manciata di secondi, lui avrebbe potuto afferrare la vittoria per la collottola.
Sì, bastava che la ragazza resistesse per pochi secondi ancora… d’un tratto notò come Qiwi osservava suo padre, e quell’espressione non gli piacque. La vista di Ali Lin in quelle condizioni sembrava spingerla verso la comprensione. Che Dio ti maledica! Portaci giù. questo è tutto ciò che voglio! Poi avrebbe potuto ammazzarla.
Marli era allo schermo delle comunicazioni. Sulla sua faccia apparve la sorpresa. — Signore! Sto ricevendo di nuovo il canale delle testerapide. Dovremmo riavere l’automazione in pieno funzionamento entro pochi momenti.
— Ah! — Nau sorrise. Finalmente anche una buona notizia. Prendere il controllo della situazione ora sarebbe stato più facile. Non sei poi l’avversario che credevo, Pham Nuwen. — Molto bene, caporale. Ma per il momento non usiamo l’automazione. Lasciamo credere al nostro amico che siamo in difficoltà.
— Sì, signore — approvò Marli.
Nau tornò a guardare fuori. Il portello di L1-A distava settanta metri circa, ma c’era una luce strana sul metallo. Stava assumendo un tono rossastro.
— Qiwi, il portello…
— Lo vedo. Qualcuno sta cercando di fondere…
Ci fu un rumore schioccante. Marli urlò. I suoi capelli erano in fiamme. Lo scafo accanto al suo sedile brillava di luce rossa.
— Merda! — Qiwi gettò il taxi sulla sinistra. — Stanno usando i miei jet elettrici! — Cominciò a deviare bruscamente da una parte e dall’altra. Nau si sentì lo stomaco in bocca. Dannazione, così andremo a sbattere da qualche parte.
Il bagliore sul portello dell’arsenale di L1, il surriscaldamento dello scafo dietro di lui… quel bastardo stava usando tutti i jet elettrici delle vicinanze. Un solo jet poteva fare un danno relativo, ma in qualche modo Pham Nuwen era riuscito a concentrarne una dozzina o più, e tutti stavano centrando con micidiale precisione i due bersagli che contavano, uno dei quali in movimento.
Marli stava ancora urlando, ma era riuscito a spegnersi i capelli. L’altra guardia aveva gli occhi sbarrati.
Guardando fuori dal finestrino Nau vide avvicinarsi la superficie di Diamante Uno e gli sfuggì un ansito rauco. Ma Qiwi aveva ancora il controllo del velivolo. Con un miracolo di destrezza riuscì ad atterrare sul portello di L1-A, e il tonfo violento del metallo contro il metallo spedì Marli e Ali Lin a rotolare al suolo.
Qiwi batté freneticamente sui comandi di apertura del portello. — È bloccato! Tomas, è bloccato, aiutami! — gridò.
Nell’urto Nau aveva rischiato di tranciarsi la lingua con un morso. Sputò una boccata di sangue e si rese conto che erano inchiodati lì, in trappola come bersagli di gesso in un tiro a segno. Balzò via dal sedile e afferrò Qiwi, facendola scostare dal portello. Sembrava davvero bloccato.
Quasi bloccato. Unendo i loro sforzi riuscirono ad aprirlo in parte. Nau allungò un braccio fuori, nell’intercapedine fra il taxi e il portello dell’arsenale, e sprecò preziosi secondi per battere un codice sulla serratura senza ustionarsi la mano.
Fatto!
Si girò a guardare lo scafo alle spalle di Qiwi. Il disco rosso era largo quanto la testa di un uomo, e nel mezzo fiammeggiava di un bianco abbagliante. Era come stare davanti allo sportello di un forno spalancato.
Il centro al calor bianco si gonfiò verso l’esterno ed esplose. Intorno a loro ruggì il vortice dell’aria che usciva dallo scafo.
Da quando Victreia Laigtil aveva preso in pugno la situazione, nel Centro di Comando e di Controllo regnava la calma. I tecnici e gli ufficiali erano stati fatti alzare dai loro trespoli e riuniti dietro Belga Vilunder, Codaven e Dugvai.
Come farfalle nella tela di tarantole assassine, pensò Belga. Ma poco importava, ormai. La mappa strategica mostrava che il mondo intero stava per essere assassinato.
Le tracce di migliaia di missili Kindred si curvavano attraverso il grande schermo, e altri ancora venivano lanciati ogni secondo. C’erano circoli rossi di “bersaglio colpito” su ogni base militare dell’Alleanza, ogni città, perfino sulle antiche profondità.
E gli strani lanci missilistici “dell’Alleanza” apparsi subito dopo l’arrivo della Squadra Laigtil erano stati cancellati dalla mappa. Bugie, delle quali non c’era più bisogno.
Victreia Laigtil andava su e giù davanti alle consolle, gettando occhiale agli schermi. Sembrava dimentica del personale del CCC, e con sorpresa di Belga appariva inorridita. Si volse a suo fratello, che con la testa chiusa nel casco da videogiochi aveva l’aria di non essere lì che col corpo. — Brent?
— Scusa — grugnì il grosso caporale. — Scusa, ma non ricevo niente da Calorica. E… sorellina, credo che abbiano colpito Comando Territoriale.
— Mio Dio! Papà era lassù! Allora lui…
Il caporale alzò una mano. — Aspetta, sto ricevendo qualcosa da Trespolo Alto… credo sia lui. — Tacque. Comunicava col suo stesso videogioco? Belga vide delle luci scaturire dal visore del casco. Poi: — È in linea! Ti sta chiamando!
Laigtil estrasse un telefono e se lo portò all’orecchio. — Papà! — Era giuliva come una scolaretta. — Ma dove ti… — Si azzittì, muovendo le mani nutritive davanti alla bocca, e per qualche minuto non fece altro che ascoltare e mormorare assensi. Ma era eccitata al punto di non riuscire a star ferma, e i suoi rinnegati s’erano messi freneticamente al lavoro sulle consolle.
Infine: — Abbiamo registrato tutto, papà. Noi… — Si voltò a controllare i suoi con un’occhiata. — Sì, abbiamo il controllo della situazione, qui. Credo che possiamo farlo, ma per l’amor del cielo resta in contatto. Abbiamo bisogno di te più che mai. — Poi si rivolse agli altri: — Rhapsa, dedicati solo a quelli che non possiamo colpire dall’alto. Birbop, tieni aperta questa linea.
Gli occhi di Belga furono attratti da un movimento sulla mappa strategica. Le postazioni difensive sull’altipiano di Alta Equatoria erano tornate in vita. Lo schermo mostrava le tracce colorate di centinaia e centinaia di antimissili, i veloci intercettori a lunga gittata dell’Alleanza che partivano a sciami per andare incontro al nemico. Altre bugie? Belga scrutò la reazione trionfante di Laigtil e degli altri intrusi, e un filo di speranza le si arrampicò nel cuore.
Il contatto distava ancora mezzo minuto. Belga aveva visto le simulazioni. Almeno il cinque per cento dei missili nemici sarebbero riusciti a passare, il che significava decine di obiettivi colpiti da testate atomiche. L’Alleanza avrebbe avuto perdite cento volte superiori a quelle della Grande Guerra, però non sarebbe stata annientata… ma sulla mappa stavano accadendo anche altre cose. Dietro l’ondata degli attaccanti in volo sull’oceano. qua e là, i contrassegni dei missili nemici sparivano.
Laigtil indicò lo schermo principale, e stavolta si rivolse a Belga Vilunder e agli altri. — Stiamo usando tutto ciò che abbiamo. Per fortuna siamo in buona posizione per attaccarli anche dall’alto.
Attaccarli dall’alto? Belga ebbe l’impressione che un’invisibile scopa passasse sopra l’oceano, spazzando via i contrassegni dei missili Kindred. Victreia Laigtil fronteggiò le loro espressioni sbalordite. — Signori, i vostri tecnici sono certo più qualificati di noi per occuparsi degli antimissili. Se potessimo coordinare…
— Dannazione, sì! — ruggirono Codaven e Dugvai. I tecnici del CCC corsero ai loro posti. Ci furono alcuni momenti perduti, liste di bersagli da rifare daccapo, quindi i primi intercettori delle postazioni difensive interne cominciarono a partire.
— Vettore nemico distrutto! — esclamò un tecnico della Difesa Aerea. Per qualche minuto Belga ebbe l’impressione che questo fosse più reale di tutto il resto. Il generale Codaven ebbe un gesto di ringraziamento verso Laigtil, che ne prese atto. — Mi spiace. Non è esattamente questo che il generale Smait aveva ordinato, ma… ci sono stati molti imprevisti. Brent, vedi se puoi far corrispondere alla realtà la situazione di quella mappa strategica.
Da lì a poco, centinaia di nuovi indicatori si accesero a schermo. Ma non erano missili. Belga conosceva la simbologia abbastanza da sapere che si trattava di satelliti, anche se di un tipo mai visto. Mancavano molti dati e altri erano incomprensibili. Sull’angolo destro della mappa strategica era entrato un oggetto rettangolare che si muoveva lento. Il generale Dugvai sibilò: — Questo non può essere un velivolo reale. Se fosse vero sarebbe lungo trecento metri e più.
— Sì, signore — disse il tenente Laigtil. — Il programma di questa mappa non può simularne le dimensioni reali, infatti. Il velivolo è lungo circa settecento metri. — Non parve notare lo sguardo vacuo di Dugvai. Per un poco contemplò l’apparizione. — E credo che abbia già esaurito lo scopo della sua esistenza.
Ritser Brughel era compiaciuto di se stesso. — Abbiamo avuto un grosso risultato anche senza le testerapide della Reynolt — disse, fluttuando via dalla sua poltroncina di capitano per avvicinarsi ai direttore di pilotaggio. — Forse abbiamo lanciato più ordigni nucleari di quel che sarebbe stato necessario, ma questo ha posto rimedio al vostro pessimo lavoro con le postazioni antimissile, no? — E gli lasciò andare una pacca sulle spalle. Jau Xin ebbe la deprimente certezza che il suo precario atto di tradimento era stato scoperto.
— Sì, signore — fu tutto ciò che riuscì a dire. Davanti alla prua la curva del pianeta pullulava di luci: le città che gli umani conoscevano come Principalia, Valprofonda, Monte Reale. Nomi un po’ troppo antropomorfi… forse i Ragni non erano le persone che Rita immaginava, forse tutto l’equivoco nasceva da traduzioni manipolate eccessivamente. Ma qualunque fosse la verità, quelle città vivevano gli ultimi secondi della loro vita.
— Signore — disse da un intercom la voce di Bil Phuong. — Ricevo di nuovo le testerapide di Anne Reynolt. Fra pochi secondi L1 ci restituirà la piena automazione dei sistemi.
— Ah. Era tempo. — Ritser Brughel annuì, accigliato.
Vrrrm. Jau sentì una vibrazione nello scafo della Mano Invisibile. Un’altra e poi un’altra. Guardò un display. — Questi sembrano i nostri laser da battaglia, signore. Stiamo sparando. Ma…
Jau si volse a un altro schermo e non vide niente. — Non contro obiettivi al suolo. I miei piloti non confermano colpi al suolo.
Vrrrm. Vrrrm. Erano passati oltre le grandi città e si stavano dirigendo verso l’artico, un’immensa distesa di terre nere e gelide. Ma in superficie dietro di loro non si vedeva niente. Poi d’un tratto: vrrrm, vrrrm, vrrrm, tre pallidi raggi che divergevano verso l’orizzonte e sparivano, il tipico lucore dei grossi laser da battaglia nell’alta atmosfera.
— Phuong! — sbottò Brughel. — Cosa diavolo c’è da colpire laggiù?
— Niente, signore. Cioè… — Alcuni rumori, mentre Phuong si spostava fra le sue testerapide. — Uh, il mio reparto sta sparando sulla lista di bersagli inviata da L1.
— Be’, quella lista è del tutto diversa dalla mia. Guarda fuori dal finestrino, uomo! — Brughel seguì il suo stesso consiglio e andò a uno degli oblò a visione diretta. Quando tornò verso Jau era rosso in faccia per la rabbia. — Signor Phuong, se quelle testerapide non sparano ai miei bersagli io sparerò a loro! — Poi fulminò Jau con lo sguardo, come se la colpa fosse anche sua. — Allora, c’è qualche problema qui?
— Io… forse niente, comunque ci stanno inquadrando dei radar.
— Mmh. — Brughel controllò il display dei segnali. — Radar di superficie. E con questo? Siamo bersagliati da onde radar fin da quando… uh. Maledizione.
Jau annuì. — L’ultimo contatto è durato quindici secondi filati. Stavolta sembra che ci stiano vedendo coi radar.
— Questo è impossibile. La rete dei Ragni è in mano nostra. — Brughel si mordicchiò un labbro. — A meno che Phuong non abbia applicato al contrario i dati di L1.
Il display dei segnali si spense, ma subito dopo si riaccese e cominciarono a scorrere le cifre. L’ultima fu rossa. — Signore, questi che ci hanno inquadrato sono i radar dei loro missili antiaerei!
Brughel trasalì come se sul display fosse apparso un serpente velenoso. — Signor Xin, alla manovra. Ci porti fuori da questa rotta. Massima potenza al propulsore, se necessario.
— Sì, signore. — Non c’erano molti missili nelle terre nordiche dei Ragni, ma anche quelli avevano testate atomiche. Uno solo sarebbe bastato a danneggiare gravemente la Mano. Jau cominciò a dare istruzioni ai piloti, e d’un tratto…
Il rombo dei motori ausiliari riempì la plancia.
— Non siamo stati noi ad accenderli, signore!
Brughel s’era girato verso di lui nel sentire il rumore. Annuì.
— Metta i suoi piloti al lavoro. Prenda il controllo. — Si spinse via e fece un gesto alle guardie al portello di prua. — Signor Phuong, mi sente?
Jau batté freneticamente codici e gridò comandi a voce. Vide sfilare a schermo alcune diagnostiche di routine, ma non ebbe risposta dai piloti. Sugli schermi di rotta l’orizzonte s’era alzato; sembrava che la nave stesse abbassando la prua.
— Il motore principale si è acceso, signore! Non posso fermarlo…
Brughel e le guardie cercarono maniglie a cui aggrapparsi, mentre l’accelerazione improvvisa spingeva Jau contro la poltroncina. Poi il propulsore tacque. Brughel stava gridando qualcosa alle guardie, e aveva perso il visore. — La situazione, signor Xin!
— Signore, stiamo scendendo. Saremo nella zona più densa dell’atmosfera fra pochi secondi.
Per un momento sul volto di Brughel ci fu un’espressione d’orrore. — Ci riporti su. Immediatamente!
— Sì, signore. — Cos’altro poteva dirgli?
Brughel vide che il portello di prua non si apriva e attraversò la plancia tenendosi al corrimano del soffitto, seguito dalle guardie. Dall’altoparlante Phuong disse: — Signore, ho una trasmissione solo audio da L1.
— La metta in linea.
Era la voce di una donna, quella di Trixia Bonsol. — A tutti gli umani a bordo della Mano Invisibile, attenzione: qui parla il tenente Victreia Laigtil, del Servizio Informazioni dell’Alleanza. Ho preso il controllo della vostra astronave. Fra poco arriverete al suolo. Potrà occorrere qualche tempo prima che le forze dell’Alleanza giungano sul posto. Non opponete resistenza a tali forze. Ripeto: non opponete resistenza.
— Cosa diavolo sta dicendo? — Brughel era rimasto a bocca aperta. — Phuong!
Non ci fu risposta. Il vice caponave raggiunse il portello di poppa e cercò di azionare la serratura. Non ottenne nulla e cominciò a colpirla, ringhiando. Fu come se prendesse a pugni una roccia. Quando si girò, Jau vide che la sua faccia era mortalmente pallida; aveva i denti scoperti come un animale feroce. Estrasse la pistola a raggi dalla fondina e si guardò attorno nella plancia come se cercasse un bersaglio. I suoi occhi si fissarono su Jau. La pistola si alzò.
— Signore, sono in contatto coi piloti. La manovra è possibile — disse Jau. Era una menzogna completa, ma senza il visore Brughel non poteva saperlo.
— Ah. — La pistola si riabbassò. — Va bene. Faccia tutto il necessario, Xin. C’è in gioco anche la sua pelle.
E soprattutto quella di Rita, se l’uomo fosse riuscito a mettersi in contatto col suo capo su L1. Jau annuì volonterosamente e mosse le mani sulla consolle, premendo pulsanti inutili e morti.
Dietro di lui la ricerca dei comandi manuali del portello era frenetica, di un’incompetenza oscena, e terminò con alcuni colpi d’arma da fuoco sparati sulla serratura. Alcuni dardi rimbalzarono per la plancia. — All’interno. Questo schifo non funziona — ringhiò Brughel. Ci fu il rumore dello scomparto delle armi che veniva aperto, ma Jau tenne la testa china e si mostrò disperatamente affaccendato. — Ecco, questo dovrebbe servire. — Una pausa, poi una serie di detonazioni violentissime.
Mio Dio! Brughel stava usando un’arma da guerra nella plancia di una nave.
Ci furono esclamazioni soddisfatte e un puzzo di bruciato si sparse nell’aria. Poi Brughel gridò: — Fuori! Fuori! Fuori!
Jau si volse a mezzo e vide che il portello era semiaperto. C’erano tre grossi fori sulla paratia e alcuni cavi stavano bruciando. Gli altri se n’erano andati, lasciandolo solo nella plancia della Mano. Trasse un lungo respiro e tornò a guardare gli schermi, per capire qualcosa. Brughel aveva ragione su un punto. C’era in gioco anche la sua pelle.
Adesso si udiva un altro rumore nell’aria. Non quello dei motori. Era come un ansito che cresceva di tono. Da prua a poppa l’astronave vibrava come una canna d’organo al contatto con lo strato superiore dell’atmosfera. La forza che teneva Jau contro la poltroncina era all’incirca 1 G standard, ma ora la sentiva angolata non tanto in senso prua-poppa quanto verso il basso. Quella era la gravità del pianeta. La Mano era una specie di aereo, adesso, un velivolo che attraversava l’atmosfera a velocità disastrosamente alta. Era a quarantamila metri di quota, ma scendeva di qualche centinaio di metri al secondo. Jau guardò l’orizzonte oscuro, punteggiato da masse di ghiaccio. Alcuni di quegli iceberg erano alti come montagne, già inchiodati al fondale di un oceano che si stava congelando. Lui batté su una tastiera e riuscì a contattare uno dei piloti; ebbe a schermo alcuni dati sparsi. Stavano per oltrepassare la costa. Nel lungo corridoio fuori dalla plancia ci furono altre detonazioni dell’arma di Brughel. Qualcuno gridò. Una pausa di silenzio e poi altre due detonazioni, più lontane.
Misure d’emergenza. Tutti i portelli si sono chiusi. E Ritser Brughel si stava aprendo la strada attraverso ognuno di essi.
Trentamila metri. Il lucore rosso del sole spento si rifletteva sul ghiaccio, ma lì non c’erano luci artificiali né città. Stavano scendendo verso il più vasto oceano di Arachna. La Mano aveva ancora una velocità sui cinquemila chilometri all’ora e le strutture esterne si surriscaldavano. Se solo lui fosse riuscito ad accendere il motore principale e rallentare a sufficienza, l’immensa mole dell’astronave avrebbe potuto proteggere la plancia, pur andando a pezzi fra gli iceberg come su una grattugia lunga decine di chilometri. Fra le storie fasulle di Pham Trinli c’era un’avventura del genere.
Una cosa era certa. Anche se lui avesse avuto il pieno controllo della nave ed effettuato quella manovra nel modo raccontato da Trinli, non ci sarebbe stato niente da fare.
Sotto di loro passò via l’ultima catena di alture dirupate. I motori ausiliari rombavano sempre, dando l’illusione di guidare la nave con una qualche loro speciale conoscenza verso un ormeggio sicuro.
Ritser Brughel aveva ancora una manciata di secondi per vendicarsi di lui, ma difficilmente li avrebbe usati per questo. Rita era salva. Jau guardò la superficie nera salire incontro alla nave, e in lui dilagò una strana sensazione di trionfo, di terrore, di libertà. — Sì, è troppo tardi per te, Ritser. Troppo tardi.
Belga Vilunder non ricordava di aver mai visto tanta paura e tanta gioia, né gente così intensamente partecipe degli stessi eventi. I tecnici di Codaven avrebbero dovuto ridere e complimentarsi mentre i loro intercettori a lungo raggio colpivano i missili balistici Kindred e centinaia di essi esplodevano o finivano fuori rotta. La percentuale di successi era già del novantanove per cento. Il che lasciava una trentina di testate atomiche ancora in volo verso il territorio dell’Alleanza. Era la differenza fra l’annientamento totale e un disastro superabile… ma i tecnici si mordevano le mani nutritive mentre lottavano per fermare anche quell’ultima minaccia.
Codaven camminava lungo le consolle dei tecnici. Lo affiancava uno dei caporali di Laigtil, un fuori-fase anche lui. Il generale si accertava che i tecnici sfruttassero al massimo ogni dato, ogni notizia che arrivava sugli schermi. Belga si teneva in disparte. Non c’era niente che lei potesse fare. Victreia Laigtil era occupata in una sua strana conversazione con gli alieni, o così aveva detto, e ogni poche frasi s’interrompeva per consultarsi con suo fratello o con Codaven. Durante una di quelle pause trovò il tempo di inviare a Belga un debole sorriso.
Belga le rispose con un cenno. La giovane aracnide era alquanto diversa da sua madre, ma non meno efficiente.
Il telefono di Victreia Laigtil suonò ancora. Lei se lo portò all’orecchio. — Sì… bene. Porteremo delle truppe sul posto. Cinque ore, forse… papà, qui siamo molto occupati. La Piattaforma Cinque sta lavorando bene. Su questo avevi ragione. Papà… mi senti? Brent, ho di nuovo perso la linea. Non è il momento migliore per questi inconvenienti… papà?
Col pilota automatico, l’elicottero di Rachner Thract volava basso e veloce attraverso l’altipiano come se temesse un attacco ostile dall’alto. I lanci antimissili erano finiti, ma sull’orizzonte meridionale il cielo era illuminato dai loro effetti. Lui stava perdendo la vista da un occhio.
Se non altro ci siamo difesi.
Poi il rumore della turbina cambiò, e poco dopo l’elicottero rallentò e prese terra in una zona pianeggiante. L’insetto-guida si agitò e premette con forza lo sportello accanto a Underhill.
— Non lo lasci uscire, signore. Se lo perdiamo di vista qui, non lo ritroviamo più.
Underhill annuì, incerto. Si tolse il suo elmetto da videogiochi e ne spense le luci palpitanti. Poi diede una pacca al suo insetto e cercò di sorridere.
— Non si preoccupi, colonnello. Ormai è tutto finito, e come può vedere, abbiamo vinto noi.
Il povero aracnide sembrava ridotto male, ma Thract cominciava a capire che quello non era il delirio di un folle. In qualche modo Underhill aveva interferito con qualcuno o qualcosa, e come risultato l’attacco dei Kindred era stato contrastato efficacemente. — Cos’è successo, signore? — domandò, scosso. — I mostri alieni avevano preso il controllo dei nostri computer… e lei ha sventato i loro complotti?
Underhill ebbe una risata secca. — Più o meno, colonnello. Il problema è che non tutti questi alieni sono mostri. Alcuni di loro agivano ai nostri danni, altri hanno voluto aiutarci… e noi, per soprammercato, avevamo i nostri piani per mandare all’inferno questo mondo. Questo è costato un prezzo terribile. — Per qualche momento tacque, con la testa scossa da un tremito. — Andrà meglio, ora. Però… io non riesco a vedere quasi niente. — Il poveretto era stato colpito alla testa dalle radiazioni e i suoi occhi erano coperti di vesciche. — Forse può dirmi lei quello che vede. — E agitò una mano verso il cielo.
Rachner si spostò più accanto al finestrino. L’orizzonte a sud era uno sfavillare di luci. — Vedo ancora decine di esplosioni ad alta quota, signore. Credo che siano i nostri intercettori.
— Ah. La povera Nizhnimor e Hrunkner… quando camminammo insieme nella Tenebra vedemmo qualcosa di simile. Allora faceva molto più freddo, e non c’era aria. — L’insetto-guida riuscì a premere la maniglia dello sportello che si aprì di una fessura, e un refolo d’aria gelida entrò nell’abitacolo.
— Signore, la consiglio di chiudere o c’è il rischio di…
— D’accordo, ma non si preoccupi. Non staremo qui a lungo. Cos’altro vede?
— Un lucore diffuso, come un effetto della ionosfera, e… — Rachner si sentì mozzare il fiato. C’era anche qualcos’altro, e lui se ne accorgeva solo adesso. — Vedo scie di vettori in rientro, signore. Una decina. Stanno passando sopra di noi, diretti a sud e a oriente. — Non poteva sbagliarsi, purtroppo. E continuavano ad apparirne altri. Migliaia di missili erano stati fermati, ma quelli che erano riusciti a passare potevano distruggere numerose città.
— Non si preoccupi — disse Underhill, sul lato cieco di Rachner. — Di quelli se ne sono già occupati gli alieni nostri amici. Quelle testate nucleari sono soltanto carcasse, relitti radioattivi. Non molto divertenti se gliene cade uno sulla testa, ma ormai non rappresentano più una minaccia.
Rachner si girò a guardare ancora il cielo. Gli alieni nostri amici. — Questi mostri cosa sono in realtà, professor Underhill? Possiamo fidarci di loro?
— Uh, fidarci di loro? Che domanda, da parte di un funzionario del Servizio Informazioni. Mia moglie, il generale, non si è mai fidata di loro. Io studio questi alieni, questi umani, da quasi vent’anni, colonnello. Loro viaggiano fra le stelle da migliaia di anni. Hanno visto e fatto molte cose… ma mi creda, la loro immaginazione è chiusa in una gabbia che non possono vedere.
Le scie luminose erano passate via verso nord; alcune s’erano già spente. Due scesero in picchiata verso un punto lontano, probabilmente una base missilistica di Alta Equatoria. Rachner trattenne il respiro e attese.
Dietro di lui Underhill disse qualcosa come: — Ah, cara Victreia. — E poi tacque.
Rachner teneva lo sguardo sull’orizzonte, pronto a distoglierlo per non restare accecato. Trascorsero dieci secondi, poi trenta. Tutto restava silenzio e buio. — Lei ha ragione, signore. Quei missili non erano altro che rottami. Mi chiedo come… — Si voltò di scatto, accorgendosi all’improvviso di quanto fosse fredda la cabina dell’elicottero.
Sherkaner Underhill non c’era più.
Rachner aprì lo sportello e guardò fuori. — Signore!
Professor Underhill! Fece per scendere, ma si fermò. L’aria era così fredda che gli congelava le mani. A un tratto li vide, due ombre in movimento fra i macigni a una cinquantina di metri da lì. Underhill zoppicava alle spalle di Mobiy. L’insetto-guida se lo tirava dietro per il guinzaglio e tastava ansiosamente le rocce con le mani, nel comportamento istintivo di un animale che cerca una profondità di qualche genere dove ricoverarsi durante la Tenebra. Fra quei massi incrostati di ghiaccio non aveva speranza di trovarne una. Entro meno di un’ora lui e il suo padrone sarebbero stati morti, rigidi come pezzi di granito.
All’improvviso il pilota automatico decise che la pausa gli era bastata, e le pale cominciarono a girare. Rachner tornò dentro, chiuse il portello e cercò di rimettere i comandi sul pilotaggio manuale, ma non aveva più forza nelle braccia. Poté soltanto lasciarsi cadere su una poltroncina, paralizzato dal freddo.
La turbina ritrovò la piena efficienza e l’elicottero si alzò dal suolo. Rachner vide un’ultima volta Sherkaner Underhill e il suo Mobiy che si allontanavano in quella desolazione. Poi il velivolo prese quota e le loro ombre scomparvero nel buio.
La decompressione esplosiva in un ambiente piccolo era solitamente fatale. Fu una delle guardie a salvare Tomas Nau, senza volerlo. Proprio mentre appariva la falla, Tung si stava slacciando la cintura e il risucchio lo attirò da quella parte. Lo stesso stava accadendo agli altri, ma Tung era il più vicino. Lo sventurato entrò nel foro rovente a testa in avanti e ci restò incastrato.
Qiwi era riuscita a restare aggrappata al portello dell’arsenale di L1 e mentre il taxi pompava aria per sostituire quella perduta, lo aprì del tutto. Si girò, prese suo padre e lo scaraventò dentro, con un solo movimento rapido ed efficiente. Nau cominciò a reagire solo mentre lei si voltava una seconda volta; era sfinito e gli girava la testa, ma con l’aiuto della ragazza poté passare in salvo anche lui.
Ce l’ho fatta. E appena cinque secondi fa mi vedevo morto. La corrente d’aria che usciva era forte. Il collare di collegamento del taxi stava per cedere del tutto.
Qiwi mise la testa nel corridoio ma non fluttuò dentro. — Devo prendere Marli e Ciret.
–Ti aiuto io! — Nau imprecò contro quell’impulso generoso, ma s’era accorto di aver perduto la pistola a raggi e tanto valeva cercarla. Rientrò a mezzo nel taxi e si guardò attorno. Tung era sicuramente morto, e meglio per lui. Marli doveva essere più di là che di qua, e Ciret sembrava svenuto. In assenza di peso la ragazza era singolarmente svelta e abile nel manovrarli come aveva fatto con suo padre. Nau decise che adesso era pericolosa, e che quella era la sua ultima opportunità di toglierla di mezzo. Non poteva permetterle di uscire dal taxi. Rinunciò a cercare la pistola; retrocesse in fretta nell’arsenale, e mentre chiudeva il portello gli dispiacque di non poter assistere agli ultimi momenti di vita della ragazza.
Addio, Qiwi. Dopo aver chiuso il portello con un solido tonfo bloccò la serratura, e dall’esterno gli giunse il rumore di metallo che cedeva. Evidentemente il taxi s’era staccato del tutto dalle flange danneggiate. Appena in tempo. Oggi è il mio giorno fortunato. La pressione nel corridoio stava tornando normale. Nau spinse davanti a sé Ali Lin, che parve rinvenire un momento e mugolò qualcosa. Almeno aveva smesso di sanguinare. Non morire fra le mie mani, Dio ti maledica. Non gli sarebbe dispiaciuto disfarsene. D’altra parte doveva riconoscere che le sue capacità lo rendevano prezioso.
Spinse Ali fino al termine del lungo corridoio. Le pareti erano in ceramica verde. Quella era stata la paratia di sicurezza della Tesoro Lontano. Il suo valore stava negli strati sovrapposti di materiale schermante, con un altissimo punto di fusione. Tutta la potenza di fuoco che Pham Nuwen poteva essersi procurato non gli avrebbe permesso di entrare lì.
Fino a pochi giorni prima nel deposito c’era quanto restava delle armi che avevano portato alla stella OnOff. Adesso, coi rifornimenti trasferiti sulla Mano Invisibile, era quasi vuoto. Non importava. Lui aveva tenuto prudentemente lì alcune testate nucleari. Se necessario avrebbe giocato il solito gioco del ricatto.
Spero di non esserci costretto. Nau non aveva idea di quali carte Nuwen avesse in mano, e per un momento quel pensiero gli diede un vuoto allo stomaco. Per tutta la vita aveva studiato gli uomini forti del passato, e adesso si ritrovava contro uno di loro. Ma quando lo avrò tolto di mezzo, sarò più forte e più famoso di lui.
C’erano decine di cose a cui pensare, e una manciata di secondi per farle. Lasciò fluttuare via Ali Lin e prese un visore da una consolle. Quando se lo fu messo davanti agli occhi e lo ebbe acceso annuì soddisfatto. Ora poteva vedere anche fuori dall’arsenale. Il provvisorio Qeng Ho era dietro l’orizzonte dell’asteroide, e in giro non si vedevano navette né figure in tuta a pressione. Il taxi era già scomparso chissà dove. Nau attraversò il vasto locale e tirò fuori dal contenitore una piccola torpedine. Gli indicatori su un lato del visore gli dissero che la sua chiamata ad Hammerfest era in linea. L’anello palpitò e nel suo auricolare ci fu la voce di Nuwen.
— Caponave Nau?
In persona, signore. — Nau spinse la torpedine nucleare nel tubo di lancio che Kal Omo aveva installato una trentina di giorni prima. Allora era parsa una precauzione eccessiva. Adesso era la sua ultima possibilità.
— Le consiglio di arrendersi subito, caponave. Io controllo tutto lo spazio intorno a L1, e non le resta altra scelta. Ne conviene?
Nella voce di Nuwen c’era una pacata certezza, ben diversa dai modi superficiali del vecchio Trinli. Nau poteva immaginare che la gente comune potesse sentirsi sconfitta da una voce del genere, ma anche lui era un professionista. Gli fu facile replicare nello stesso tono. — Al contrario, signore. L’unico potere che oggi conta è qui, in mano mia. — Accese il tubo di lancio e sentì l’aria uscire dallo sbocco esterno. — Ho un’arma nucleare tattica già programmata. Il bersaglio è il provvisorio Qeng Ho. Vogliamo collaudarla?
Questo non può farlo, caponave. Ci sono anche trecento Emergenti in quell’habitat.
Nau rise dolcemente. — Oh, stia certo che posso farlo. Perderò molto personale, ma ne ho altro in sonno freddo. Io… mi dica una cosa, lei è davvero Pham Nuwen?
La risposta dell’altro gli sembrò seccata. — Sì. — E sei abituato a essere creduto quando parli, vero? Ma non poteva dubitarne. Un cospiratore qualsiasi sarebbe stato individuato da anni. — Be’, è un piacere conoscerla, signore. Ma credo che lei non abbia capito l’etica dei Dirigenti. Vede, la nostra classe sociale è cresciuta in un’epoca di tragedie. Questa è la forza che ci spinge. Se ora io distruggerò il provvisorio sarà un grosso passo indietro per le operazioni su L1, ma la mia situazione personale migliorerà. Avrò sempre il materiale che mi serve e molte testerapide per far funzionare le cose. E avrò ancora laMano Invisibile. — Un rumore improvviso dietro un angolo lo fece voltare accigliato.
Nuwen sbuffò, sprezzante. — Lei si sbaglia, caponave. Non ha più la… — Nau interruppe la comunicazione e fluttuò in silenzio verso l’angolo del locale dietro cui aveva sentito il rumore. In quel momento l’uomo si spostò e lui poté vederlo.
— Ah, guarda guarda. Il signor Vinh. Pensavo che lei fosse affogato. — Nati inarcò un sopracciglio. — Com’è arrivato fin qui?
In effetti Ezr Vinh sembrava sul punto di svenire. Bagnato, ferito, pallido come un morto. Teneva la mano destra in tasca e il braccio insanguinato era del tutto inerte. Con l’altra mano Vinh fermò Ali Lin, che fluttuava lento verso di lui. Guardò Nau e l’odio parve dargli nuova forza.
Con un’occhiata Nau s’era accertato che quell’angolo dell’arsenale non celasse altri intrusi. Sorrise. Vinh non aveva avuto il tempo di arrivare all’armadietto dove c’erano le pistole a raggi. Nau gli bloccò la strada in quella direzione e appoggiò una mano sullo sportello. — Lei è stato abile, signor Vinh, ma non altrettanto fortunato. — Pochi secondi di differenza gli avrebbero permesso di guardarsi attorno e trovare le pistole. Invece lo sciocco era disarmato, inerme come un pulcino. — Temo di non aver tempo di parlare con lei. Si scosti da Ali Lin, per favore. — Aveva parlato con calma, ma senza distogliere gli occhi da lui. Afferrò la maniglia dell’armadietto e si augurò che Vinh avesse il buongusto di farsi ammazzare senza troppe scenate.
— Tomas!
Qiwi era più indietro, presso il soffitto a volta dell’arsenale. Per qualche momento Nau non riuscì a far altro che guardarla. La ragazza aveva perso sangue dal naso e gli occhi gonfi e arrossati per la decompressione. Ma era viva. Per qualche motivo il taxi non s’era staccato dalle flange, e lei era riuscita a sbloccare per la seconda volta la serratura del portello interno.
— Siamo rimasti intrappolati nel taxi, Tomas. Quel dannato portello doveva essere guasto
— Dio, che sollievo vederti! — L’emozione nella voce di Nau era sincera. — Il portello si è chiuso da solo prima che potessi entrare, e… oh, mia cara, credevo che tu fossi morta!
Qiwi scese dal soffitto tirandosi dietro il corpo di Rei Circi, e lo aiutò ad aggrapparsi a un corrimano. La guardia sembrava più morta che viva, e chiaramente non avrebbe potuto essergli utile. — Mi spiace, Tomas, io… n-non sono riuscita a salvare Marli. — Si spinse verso di lui per abbracciarlo, ma cambiò atteggiamento quando vide Vinh, oltre l’angolo. — Ezr? Che stai facendo qui?
Sporco di sangue e con una mano poggiata su una spalla di Ali Lin, il giovanotto era perfetto. Non c’era neanche bisogno di dargli la corda per impiccarsi da solo. — Nuwen e io abbiamo preso il comando di L1. Qiwi. A parte alcuni scagnozzi di Nau, non abbiamo fatto del male a nessuno. — Questo mentre aveva il padre di lei mezzo morto fra le mani. — Nau ti sta usando, come ha sempre fatto. Solo che stavolta ci ammazzerà tutti. Guardati intorno. Sta per sparare una torpedine atomica sul provvisorio.
— Io… — Qiwi guardò il tubo di lancio, e la sua espressione non piacque a Nau. Capì che aveva notato le luci accese del pannello.
— Qiwi, non dargli ascolto — le disse, accoratamente. — Abbiamo di fronte lo stesso gruppo che ha manovrato Jimmy Diem. Chi credi che ci fosse dietro di lui?
— Sei stato tu a uccidere Jimmy! — sbottò Vinh. Qiwi si asciugò il naso sanguinante con una manica bianca. Per un momento parve molto giovane e sperduta. La sua incertezza disse a Nau che l’aveva in pugno. — Non ascoltarlo. È un povero illuso capace soltanto di fare del male agli altri — disse, e infilò una mano nell’armadietto alla ricerca del calcio di una pistola a raggi.
Ezr aveva la vista confusa e si sentiva debole. La faccia con cui Qiwi ascoltava le parole ponderate di Nau gli fece pena. Dopo tutti quegli anni pendeva ancora dalle sue labbra. Vide un sorrisetto disegnarsi sulla bocca di Nau.
— Tu conosci Vinh — disse ancora il caponave. — Giù al Braccio Nord ha cercato di uccidere tuo padre. Se avesse ancora con sé il coltello gli avrebbe già tagliato la gola. È uno squilibrato. Ricordi quando ti picchiò senza motivo? Be’, il motivo lo aveva, ma esisteva solo nella sua povera testa di fanatico.
Quelle parole erano per Qiwi, ma colpirono Ezr come bastonate; c’era un’umiliante verità mescolata a quelle bugie.
Qiwi era immobile accanto a Nau, ma aveva i pugni stretti. Nelle sue spalle sembrava accumularsi una terribile tensione. Ezr pensò che Nau stava per vincere, e seppe che a dargli quella vittoria era stato lui.
Scacciò il grigiore che gli annebbiava la vista e fece un ultimo tentativo: — Non pensare a me, Qiwi. Pensa ai nostri amici che non si sono mai svegliati dal sonno freddo, Nau ha parlato di guasti tecnici, ma non è per caso che teneva i contenitori a bordo della Mano Invisibile, a disposizione di Brughel. Pensa a tua madre, morta su un tavolo da tortura su quella nave. Nau ti ha mentito per quarant’anni. Tu hai cercato la verità, ma quando la trovavi lui era lì, pronto a cancellarti un pezzo della memoria. Lo ha fatto più volte. E ogni volta tu hai dimenticato. — Qiwi aveva sbarrato gli occhi in un’improvvisa espressione d’orrore. Quello che vide nella sua mente, qualunque cosa fosse, la fece ansimare. — Stavolta non dimenticherò. — Si volse, mentre Nau estraeva qualcosa dall’armadietto, e lo colpì con una gomitata nelle costole. Privo di punti d’appoggio il caponave rimbalzò contro la parete e verso il soffitto a volta dell’arsenale. Dietro di lui fluttuava una pistola a raggi. Con un’imprecazione Nau si protese per afferrare l’arma, ma era qualche centimetro fuori portata e non riuscì ad arrivarci. Aggrappata all’armadietto con una mano Qiwi allungò l’altra e prese l’arma. La puntò alla testa del caponave.
Nau riuscì a colpire la parete con un calcio e si volse a mezzo, tornando verso la ragazza. Alzò le mani in gesto conciliante. — Qiwi, non puoi farlo. Pensa a… — Poi s’accorse dello sguardo negli occhi di lei. La sua arroganza, quella tranquilla sicurezza che Ezr aveva visto vincere per tanti anni, era scomparsa. — È stato Brughel! Io ho cercato di impedirglielo, ma era troppo tardi. No… no.
Qiwi tremava da capo a piedi, ma le sue parole furono ferme come la pietra. — Io ricordo. — Distolse la mira dalla faccia dell’uomo, puntò l’ama sotto la sua cintura e fece fuoco. L’urlo stridulo di Nau si smorzò molto prima che il lungo raggio ardente finisse di tagliarlo in due dal basso in alto, facendogli scoppiare la testa.
Per un’eternità lutto era stato grigio, poi in quel limbo apparve una luce chiara. Lei risalì alla superficie. Chi sono io? La risposta fu rapida come una raffica d’aria fredda.
Anne Reynolt.
Ricordi. Il rifugio sulle montagne. Gli ultimi giorni di quel sanguinoso colpisci-e-fuggi, coi balacreani che perlustravano una grotta dopo l’altra. Il traditore, smascherato troppo tardi. Gli ultimi compagni di lotta attaccati dall’aria. Lei che correva fuori in cerca di una via d’uscita, solo per trovarsi circondata. L’aria puzzava di carne bruciata, ma il nemico aveva smesso di sparare. Volevano catturarla viva.
— Anne? — La voce era premurosa. La voce di un torturatore. Ma lei non avrebbe detto altro nome che il suo. — Anne, mi senti?
Aprì gli occhi. Intorno a lei c’erano sofisticati strumenti di tortura balacreani, ma non riusciva a vederli bene. Era esattamente l’onore che s’era sempre aspettata, salvo per il fatto che si trovavano in caduta libera. Da quindici anni posseggono le nostre città. Perché mi hanno portata nello spazio?
L’uomo che la interrogava entrò nel suo campo visivo. Capelli neri, tipici lineamenti balacreani, una faccia segnata dall’età. Doveva essere un Dirigente anziano. Ma indossava una blusa strana, di un modello mai visto. Sulla faccia aveva un’espressione preoccupata, come se temesse di averla drogata troppo. Non temere, bastardo, sono viva. Lui annuì e le diede una pacca su una spalla. Dev’esserci un modo pulito di morire. Dev’esserci un modo qualsiasi per morire. I suoi polsi erano legati al letto, naturalmente. Ma se l’uomo fosse venuto più vicino, lei aveva ancora i denti.
Il vecchio fu così imprudente da darle qualche schiaffetto sulle guance. Per alcuni secondi questo la stordì, ma alla fine riuscì a girarsi e afferrargli un dito fra i denti. Questo fu tutto. Dio, non ho neppure la forza di morderlo. L’uomo ritrasse la mano con una smorfia e si rivolse a qualcuno fuori vista. — Trud, si può sapere cosa diavolo le hai fatto?
La voce che gli rispose le era familiare. — Senti, Pham, ti ho detto che è una procedura difficile. Lei me l’ha lasciata eseguire diverse volte, ma era sempre qui a controllarne ogni passo. — L’uomo che stava parlando venne a guardarla da vicino. Era un tipo alto e corpulento, con un’uniforme balacreana da tecnico. La scrutò con attenzione e si strinse nelle spalle. — AI e io ci siamo preparati per due giorni, e non possiamo fare di più. Se Bil fosse qui… uh, comunque non è insolito che gli ultimi ricordi, quelli non ancora fissati…
— Gli ultimi un corno. Lei mi conosce da quarant’anni — disse l’uomo anziano, irosamente. — Io volevo de-focalizzarla, non cancellarle la memoria.
L’uomo corpulento, Trud… Trud Silipan, si fece indietro. — Non ti preoccupare, si riprenderà. Mi sembra che i settori della memoria non siano stati toccati dal virus. Ovviamente in certi casi accade il contrario, oppure la de-focalizzazione si rivela fatale. — Le rivolse un gesto di saluto. — Salve, Reynolt. Si ricorda di me? Trud Silipan. Abbiamo lavorato insieme per buona parte del viaggio e anche prima, su Balacrea. Sotto Alan Nau. Ricorda Alan Nau?
Anne guardò la faccia rotonda, il sorriso incerto. Alan Nau. Tomas Nau. Oh, Dio… perdonami! Quella in cui s’era svegliata era una realtà peggiore di ogni incubo. L’interrogatorio dopo la cattura. Il Focus. E poi una vita in cui il nemico era stata lei.
Silipan sbatté le palpebre, poi ridacchiò. — Ehi, Pham, guarda. Sta piangendo. Questo significa che ricorda.
Sì. Tutto.
La voce del vecchio chiamato Pham suonò ancora più irosa di prima. — Adesso vai fuori, Trud, per favore. Vai fuori.
— È facile controllare, basta che…
— Ho detto esci.
Lei non fece caso alla scomparsa di Silipan. Il mondo era diventato un posto insopportabile. La sofferenza e la vergogna la stavano trascinando di nuovo nel limbo grigio da cui era emersa.
Sentì un panno umido sulla fronte, e stavolta sapeva di non essere su un tavolo di tortura. «Chi sono io?» era stata una domanda facile. «Chi sono diventata» era quella che lei aveva eluso finché c’era riuscita, ma ora i ricordi fiottavano, ora sapeva che razza di mostro era stata fin dal giorno in cui Alan Nau l’aveva infettata con quel virus demoniaco.
Si contorse, solo per incontrare le cinghie che la legavano al letto.
— Un momento — disse il vecchio. Lo sentì aprire le fibbie. Ma ormai questo non le importava niente. Chiuse gli occhi e rimase distesa, mentre l’altro le parlava ripetendole più o meno le stesse cose in dieci modi diversi. — Ora tutto andrà bene, Anne. Tomas Nau è morto quattro giorni fa. Lei è stata de-focalizzata. Spero che potrà rimettersi…
Dopo un po’ l’uomo tacque e si scostò dal letto, limitandosi a farle sentire la sua presenza con l’attività che stava svolgendo nel laboratorio. Lei smise di piangere. Non provava più niente. Il nemico aveva trionfato su tutti i fronti, a lei era accaduto il peggio e quell’orrore era continuato per decenni, e ora si sentiva completamente morta e vuota.
Trascorse il tempo.
Il suo corpo si rilassò pian piano, e quando aprì gli occhi vide che l’uomo le porgeva un bulbo d’acqua. Ne succhiò qualche sorso. — Avete fatto male a riportarmi indietro. Non capisce che per me l’unica libertà è la morte?
L’altro la guardò con calma e controllò le sue condizioni fisiche su un display. Pham Trinli, un vecchio trombone che comunque non era riuscito a ingannarla e che ora le mostrava la sua vera espressione, attenta e scrutatrice. Annuì, come se capisse la sua voglia di farla finita, ma disse: — Lei non può ignorare il suo dovere, Anne. Ci sono più di duemila focalizzati qui e in sonno freddo. Lei può liberarli. — Accennò all’apparato MRI dietro il lettino. — Poco fa avevo l’impressione che Silipan e Al Hom giocassero d’azzardo coi soldi di un altro, mentre lavoravano su di lei.
Io posso liberarli. Quel pensiero era l’unico che avesse un senso da molti anni. La sua espressione dovette rispecchiarlo, perché Pham sorrise e annuì. Ma lei strinse le palpebre, insospettita. — Signor Trinli, o comunque si chiami, sono anni che io la tengo d’occhio, da prima che intuissi che lei lavorava contro gli Emergenti. Ma quando ha cominciato a interessarsi al Focus era chiaro che amava questa tecnica. Lei lo considera uno strumento ideale di potere, non è così?
L’uomo smise di sorridere. Annuì lentamente. — Sì… sì, vedevo che il Focus poteva dare agli uomini ciò che ho lottato tutta la vita per ottenere. Ma alla fine mi sono accorto che il prezzo era troppo alto. — Scrollò le spalle e distolse lo sguardo, come imbarazzato da quell’errore di valutazione,
Anne continuò a osservarlo. Una volta nessuno, neppure Tomas Nau, poteva ingannarla. Quando era focalizzata nulla distraeva la sua mente dalle analisi più sottili, anche se essere a conoscenza delle ciniche predisposizioni di Tomas Nau per lei non significava niente. Adesso non aveva più quella sicurezza, quella comprensione. Trinli poteva farle bere le sue bugie. Ma ciò che le aveva chiesto di fare era l’unica cosa che le interessava al mondo. Solo dopo, una volta pagato il suo debito al mondo, avrebbe potuto permettersi di morire. Fece una smorfia. — Tomas Nau ha mentito dicendo che tutti possono essere de-focalizzati.
— Ha mentito su molte cose.
— Io posso fare meglio di Trud Silipan e Bil Phuong, ma ci sarà una percentuale di decessi. — Senza contare quelli che avrebbero preferito morire che vedere cos’erano stati per tutti quegli anni.
Lui le strinse una mano. — Faccia quello che può.
Anne si schiarì la voce. — È lei che comanda, ora?
Pham ridacchiò. — Qualcuno avrà da dire la sua su questo. E fra loro anche certi Ragni. La situazione è complicata, e sul pianeta c’è il caos. Quattrocento Ksec fa Tomas Nau ha cercato di mettere in atto il piano che lei conosce, e tutto quel che posso dire è che dopo aver toccato il fondo possiamo soltanto risalire. Dovremo riparare le nostre navi. Poi ci sarà da valutare la grossa opportunità commerciale e scientifica che abbiamo davanti.
Denaro e potere, tanto per cambiare. — E lei cosa si aspetta da me?
— Io… voglio solo che lei sia libera, Anne. — L’uomo distolse lo sguardo. — So cos’era lei un tempo. Conosco la storia della Guerra di Liberazione di Frenk, come la chiamano gli Emergenti, e degli ultimi anni di operazioni di polizia contro i ribelli. Ma da quando ho saputo che la Macellala di Frenk è lei, ho provato il desiderio di darle una seconda possibilità.
Era un bravo bugiardo. Peccato che gli uomini di potere come lui fossero troppo ambiziosi per riuscire a nasconderlo. Anne cedette all’impulso di provocarlo un poco. — E così lei dice che fra qualche anno avremo di nuovo astronavi in buona efficienza?
— Sì, e probabilmente meglio equipaggiate di quando siamo arrivati qui. Lei sa bene quale legge della fisica abbiamo scoperto, senza parlare di altre possibilità che…
— E lei avrà il controllo di queste navi?
— Di alcune — disse lui sempre annuendo, come se la invitasse a dirla tutta.
— E vuole dare una seconda possibilità a me, la Macellala di Frenk. Be’, signore, perché non dovrei accettare l’offerta? Mi affidi quelle astronavi. Venga con me su Balacrea, su Frenk e su Gaspr. Mi aiuti a liberare tutti i focalizzati.
Fu divertente vedere il sorriso di Pham diventare legnoso di fronte alla sua insistenza.
— Lei vuole abbattere un impero interplanetario, guerrafondaio e rafforzato dal Focus, con una manciata di astronavi? Questo è… — La parola giusta per quella follia faticava a venirgli, e la fissò un momento. Poi scoppiò a ridere. — Questo è meraviglioso! Anne, mi dia il tempo di fare i preparativi, di farmi delle alleanze qui. Mi dia una dozzina d’anni. Probabilmente non vinceremo, ma una cosa la giuro: ci proveremo.
Lei gli chiedeva una cosa dopo l’altra e lui era d’accordo con tutto. Le stava mentendo. Ma se le diceva il vero, quella era la sola promessa che poteva farla vivere. Guardò Pham negli occhi e cercò di vedere dietro le bugie. Forse l’inevitabile perdita di neuroni della de-focalizzazione le giocava strani scherzi, perché vide solo un sincero entusiasmo. Quest’uomo è un genio. Menzogna o verità, mi ha preso a servizio per i prossimi dodici anni. Per un momento si rilassò e cercò di crederci. Per un momento si cullò nel pensiero che non fosse un bugiardo. La Macellaia di Frenk ha ancora qualche amico, dalle parli di Arnham. Uno strano brivido le fece scorrere più veloce il sangue nelle vene. Ci mise un po’ per riconoscere ciò che da tanti anni aveva perduto: gioia.
Pham Nuwen incaricò Ezr Vinh di scendere sul pianeta per intavolare una trattativa.
— Perché io, Pham? — Quella era la più promettente situazione commerciale nella storia dei Qeng Ho, ma la minaccia di un conflitto era ancora nell’aria. — Sono certo che lei saprebbe…
Nuwen lo interruppe alzando una mano. — Ci sono dei motivi pratici. Lei conosce i Ragni meglio di altri, compresi i de-focalizzati.
— Potrei venire con lei in veste di assistente.
— No. Sarò io il tuo assistente. — Nuwen sospirò, e ad Ezr parve preoccupato. — Tu hai ragione, ragazzo, La situazione è pericolosa. I Ragni dispongono di un armamento da non sottovalutare, e hanno tutti i motivi per odiarci. Noi sappiamo che la fazione della Laigtil gode ancora il favore del Re, ma nell’Alleanza ce ne sono altre.
— Proprio per questo occorre una persona esperta come lei, Pham.
— Non è una scelta del tutto mia. Loro hanno richiesto la tua presenza, ragazzo.
— Cosa?
— Già. Suppongo che negli anni durante i quali sono stati in contatto con Trixia abbiano avuto notizie su di te. Vogliono vederti da vicino.
Questo era plausibile. — D’accordo. — Ezr rifletté un momento. — Ma non posso portare giù Trixia. Userò un altro traduttore.
— Non c’è problema. I Ragni stessi hanno fatto il nome di un altro traduttore, a loro conosciuto. Verrà Zimmin Broute. Abbiamo già l’autorizzazione del loro Re anche per lui. — Nuwen vide lo stupore sulla sua faccia. — C’è altro?
— Io… sì. Voglio che Trixia sia de-focalizzata al più presto.
— Naturalmente. Ti ho già dato la mia parola. Ne ho perfino parlato con la Reynolt. Ma tu sai quali sono le nostre precedenze.
Ezr lo guardò un momento. Sì, sa che sei cambiato e hai rinunciato al tuo sogno. Dopo quant’era accaduto non poteva dubitarne. Ma non aveva più voglia di mostrarsi ragionevole. — La metta in cima alla lista, Pham. Non m’interessa che ci sia bisogno urgente delle sue traduzioni. Questo lei me lo deve. La voglio de-focalizzata per quando tornerò qui.
Nuwen non fece una piega. — Si tratta di un ultimatum?
–No. Sì!
Il vecchio sospirò. — Va bene, sarai accontentato. Ma cerca di essere preparato anche al peggio, ragazzo. I traduttori sono fra i focalizzati più instabili e delicati, e la Reynolt non può garantire il risultato. Purtroppo Nau ci ha mentito su questo.
— Lo so, maledizione! — Alcuni de-focalizzati erano già morti, altri ridotti a dei vegetali. Il virus mentale non si lasciava eliminare senza conseguenze per il tessuto nervoso umano. — Ma prima o poi dovremo tentare. E prima o poi lei dovrà fare a meno dei traduttori. — Detto questo si spinse fuori dall’ufficio di Nuwen. Parlarne ancora avrebbe soltanto inasprito i loro rapporti.
Il trasferimento su Arachna avvenne su una scialuppa revisionata da Qiwi per l’occasione. Gli umani avevano dalla loro una tecnologia ancora molto superiore, ma scarsa e sul punto di andare in pezzi. Il software che doveva sostituire l’uso delle testerapide era difficile da applicare ai sistemi tecnici ibridi di L1. La spedizione era inchiodata in un sistema solare dove l’unica economia industriale era quella del pianeta. In caso di scontro gli umani avrebbero potuto fare poco, fuorché tenersi a distanza e precludere lo spazio ai Ragni. Ma questi si erano già impadroniti di vaste sezioni della Mano invisibile ancora intatte, e avevano comunicato che in una di esse era stato recuperato vivo un membro dell’equipaggio. Nuwen calcolava che sarebbe occorso un anno di sforzi per appianare le cose e stabilire una base di fiducia. Qiwi affermava che l’industria dei Ragni era in grado di raggiungere il volo spaziale in meno di un anno.
Il pozzo assiale del provvisorio era pieno di gente quando Ezr e Zimmin si recarono al portello dei taxi. Quasi tutti gli umani di L1 erano venuti a salutarlo.
C’erano anche Nuwen e la Reynolt. I due fluttuavano uno accanto all’altra con singolare affiatamento, formando una coppia che mai in passato Ezr avrebbe immaginato. — Ho cominciato i preparativi, Ezr — gli disse la Reynolt. Non ebbe bisogno di specificare quali. — Faremo del nostro meglio.
Qiwi gli augurò buona fortuna, solenne come sempre. Per un momento sembrò incerta, poi gli strinse la mano, cosa che non aveva mai fatto. — Abbi cura di te, Ezr.
Rita Liao era riuscita a farsi strada fin davanti al portello, e lo stava aspettando lì. Lui cercò di rassicurarla. — Lo riporterò da te, Rita. — Se sarà possibile, fu quel che pensò, senza il coraggio di dirlo.
Rita aveva gli occhi arrossati. — Lo so, Ezr, lo so. I Ragni sono brava gente. Sono certa che capiscono che Jau non voleva fare del male a nessuno. — Per metà della vita era stata innamorata di Arachna, ma in certe cose i Ragni erano fin troppo simili agli esseri umani. — A ogni modo, se non volessero riconsegnarcelo… chiedi loro che gli facciano avere questo… — Gli mise in mano un portagioie di cristallo, con la serratura presumibilmente regolata sull’impronta del pollice di Jau Xin. Dentro c’era una gemma-ricordo. Poi si allontanò fra la folla.
Occorsero 200 Ksec di viaggio per arrivare a Comando Territoriale. I Ragni li condussero là a bordo di un furgone pressurizzato largo come una chiatta, sulla strada che percorreva il lungo fondovalle immerso nel buio. Nella mente di Ezr aleggiavano ricordi lontani. Molti degli edifici che vedeva gli erano sconosciuti. Ma io sono stato qui quando nulla era ancora cominciato. Quando non avrebbe mai immaginato ciò che stava per cominciare. Zimmin Broute guardava fuori dai finestrini e leggeva tutte le scritte che vedeva, entusiasta di poter tradurre qualcosa, qualsiasi cosa. Oltrepassarono la biblioteca che lui aveva razziato con Benny Wen. Il Museo della Tenebra. Il gruppo di statue in fondo alla Via del Re, che rappresentava l’Accordo di Gokna da cui era nata l’Alleanza. Zimmin era in grado di raccontargli vita morte e miracoli di ciascuna di quelle figure.
Ma quel giorno lui non era lì per rubare nelle case vuote di inquilini addormentati. Quel giorno c’erano luci accese dappertutto, e quando infine scesero nel sottosuolo gli ambienti erano alieni quanto quei grossi crostacei a dieci zampe. Le scale erano ripide, spesso a pioli, e le stanze avevano porte così basse che Ezr e Zimmin dovevano camminare piegati in avanti. Nonostante le antiche droghe e i millenni di esperienza, la gravità planetaria significava peso da portarsi dietro su muscoli non abituati alla stazione eretta. Furono alloggiati in un appartamento che Zimmin definì principesco secondo gli standard dei Ragni, con pavimenti coperti di muschio e soffitti abbastanza alti da poter stare in piedi. I negoziati cominciarono il giorno dopo.
I Ragni che Ezr aveva imparato a conoscere nelle traduzioni passate erano assenti. Al colloquio partecipavano soprattutto Belga Vilunder e Elno Codaven, due militari dei quali in effetti Ezr aveva già sentito il nome ma che non facevano parte della cerchia di Sherkaner Underhill. Tuttavia i due si consultavano spesso con Victreia Laigtil. E durante i colloqui Belga Vilunder s’interrompeva per telefonare nella loro lingua sibilante a qualche suo consulente.
Dopo due giorni Ezr ebbe la sorpresa di scoprire che una di quei consulenti era Trixia Bonsol. Quella sera, appena rientrato nel suo appartamento, chiamò L1. Ovviamente la linea era sotto il controllo dei Ragni, ma a lui non importava niente. Fece a Pham Nuwen un riassunto dei colloqui del giorno e poi gli chiese spiegazioni. — Lei mi ha detto che Trixia stava per essere de-focalizzata.
La pausa sembrò più lunga dei dieci secondi necessari. D’un tratto Ezr non ne poté più delle scuse e delle chiacchiere. — Mi ascolti bene, dannato impostore! Lei ha preso l’impegno di farla uscire dal Focus. Prima o poi dovrà smettere di usarla, se lo ficchi in testa!
Nuwen rispose in tono conciliante: — Lo so, Ezr. Il problema è che i Ragni insistono perché Trixia sia disponibile. Perciò non dipende da me. Le trattative sarebbero compromesse se lei non partecipasse, e Trixia rifiuta di essere de-focalizzata. Dovremmo costringerla.
— Non m’importa, non m’importa! Lei non è il suo padrone, come Tomas Nau! — Ezr stava cominciando a gridare, inferocito. Al centro della stanza Zimmin Broute era più tranquillo e felice di quanto una testarapida potesse essere. Sedeva sul tappeto di muschio e stava sfogliando un libro illustrato dei Ragni. Stiamo usando anche lui, dannazione, lo sto usando, e dovrò continuare a farlo.
— Ezr, si tratta solo di un breve periodo. Trixia è uno dei pochi interlocutori a cui i Ragni danno credito. Inoltre questo darà più tempo alla Reynolt per studiarla meglio. Tutto ciò che tu discuti laggiù, i Ragni lo stanno ripassando parola per parola insieme alle nostre testerapide, i traduttori. Nau ha fatto troppi danni. Sono sospettosi, e noi vogliamo la loro fiducia. Non abbiamo alcuna possibilità di riavere i superstiti della Mano invisibile senza questa fiducia.
Rita e Jau. Il portagioie di cristallo era ancora lì. Strano, i Ragni non avevano insistito per frugare nelle sue cose. Ezr piegò le spalle. — E va bene. Ma dopo questi colloqui nessuno appartiene più a nessuno. E badi che parlo sul serio, altrimenti… — Chiuse la comunicazione prima di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito.
Ogni giorno dovevano scendere quella pericolosa scala ripida fino alla stanza dei colloqui. Zimmin aveva detto che era l’ufficio del capo del Servizio di Sicurezza, «una camera ariosa, con ampi separé e comode poltrone». Ezr si sentiva oppresso da quel soffitto basso, e le strane intelaiature dove i Ragni si sedevano potevano essere addirittura pericolose per un essere umano. Lui e Zimmin andavano a sedersi su un mucchio di pellicce di insetto presso il radiatore. Di solito i Ragni presenti non erano meno di cinque, fra cui Codaven e Belga Vilunder (quest’ultima era una femmina, anche se Ezr non aveva ancora capito come distinguere i due sessi).
Ma il negoziato procedeva bene. Coi focalizzati di L1 da usare come riscontro, i Ragni sembravano convinti della verità di ciò che Ezr raccontava e proponeva. Capivano i vantaggi della collaborazione. Avevano chiesto di poter tenere dei rappresentanti su L1, e di avere un graduale accesso alla tecnologia umana. A suo tempo si sarebbe trasferito L1 su un’orbita stazionaria intorno ad Arachna. e le due razze avrebbero avviato la costruzione di un cantiere spaziale.
Sedere a parlare coi Ragni per Ksec ogni giorno era un’esperienza faticosa. La mente umana non era fatta per comunicare con loro sul piano del linguaggio corporale. Sembrava che non avessero occhi, a parte superfici cristalline con cui vedevano cosa strane. Le loro mani nutritive eseguivano continui movimenti a cui Ezr non riusciva a dare un significato. E quando muovevano le braccia principali era con una rapidità scattante, minacciosa e aggressiva. Lui era stato immunizzato un po’ contro tutto, ma nell’aria c’era un odore greve prodotto da certe loro glandole. E in quanto ai servizi igienici, Ezr aveva preso nota di portarsene dietro uno smontabile, la prossima volta, oltre al cibo e all’acqua. Nel frattempo ringraziava il cielo di essere in buona forma fisica, o nei cessi indigeni avrebbe rischiato di procurarsi una frattura.
Zimmin era l’unico traduttore al lavoro per entrambe le parti, ma quelli di L1 erano sempre disponibili in linea, e talvolta Trixia interveniva per chiarire dei concetti particolarmente complicati. Dal punto di vista intellettuale Ezr non aveva difficoltà a stimare i suoi interlocutori, la fredda ed efficiente poliziotta Vilunder e il giovane generale Codaven con la sua lista di argomenti per i quali voleva risposte precise.
La notte Ezr sognava Trixia, ma sogni dolorosi, nei quali la donna restava per sempre focalizzata, irraggiungibile, perduta, come era stata in quei lunghi anni di sofferenza. A volte gli accadeva di sognare Qiwi, seria e pensosa. Qiwi, non più la Marmocchia di un tempo ma ormai più adulta e più saggia di lui.
Uno alla volta, gli argomenti furono discussi e chiariti. Erano passati dalle precauzioni militari alle condizioni commerciali in meno di un milione di secondi. Da L1 la voce di Pham Nuwen era compiaciuta dei progressi. — Questi Ragni contrattano come Mercanti, anche i loro militari.
— Stiamo facendo troppe concessioni, Pham. Da quando in qua i Clienti hanno una presenza attiva fuori dal loro mondo, come quella che noi gli abbiamo garantita?
— Anche questo ci porterà un vantaggio, ragazzo. Non puoi impedire ai clienti di mettersi in affari per conto loro, ma un vero Qeng Ho sa quali accordi stringere anche in questo caso.
— Un’altra cosa — disse Nuwen. — I prigionieri di guerra, l’unico argomento rimasto da discutere. Non sarà il più facile. Lo concluda, e subito dopo potremo fare a meno di Trixia Bonsol. Anche il gruppo della Laigtil conosce la sua situazione ed è d’accordo.
L’ultimo giorno dei negoziati cominciò come tutti gli altri. Ezr e Zimmin furono portati qualche piano più in basso lungo una “scala a spirale”, in realtà un pozzo verticale con gli scalini intagliati nella roccia. Nell’atrio, sul fondo, il soffitto era basso perfino per i Ragni, poco più di un metro. Chini a quattro zampe fra la loro scorta i due umani furono condotti nella penombra verso una larga porta. Più oltre c’era un locale immerso in una vaga luce azzurrina, buona per gli occhi dei ragni ma non altrettanto per quelli umani.
Davanti a loro una forma nera, poi ci fu un sibilo che Ezr conosceva.
— Venite.
— Buongiorno, signori. Venite a sedervi, prego — disse Zimmin Broute, traducendo l’invito. I due andarono a prendere posto sui trespoli modificati apposta per loro. Una femmina che emanava un odore umido mosse un braccio in segno di saluto. — Buongiorno, generale Vilunder– rispose Ezr.
La questione dei prigionieri di guerra avrebbe dovuto essere più semplice, visto che Nuwen l’aveva lasciata astutamente per ultima. Ezr notò tuttavia che stavolta erano soli con Belga Vilunder, e fin dalle prime frasi si rese conto che l’aracnide aveva intenzione di rendergli dura la vita. Fin dall’inizio dei colloqui i Ragni avevano confermato che tutti gli umani erano sopravvissuti al primo impatto. La Mano Invisibile era andata letteralmente a pezzi in una zona di mare larga cento chilometri; ma la sezione dell’equipaggio, dove in quel momento si trovavano tutte le testerapide e gli altri umani a bordo della nave, era andata ad arenarsi sulla banchisa dove gli elicotteri dell’Alleanza l’avevano trovata praticamente intatta. A questo punto c’era però stato uno scontro a fuoco, con numerose perdite. Brughel e le sue guardie avevano abbattuto una decina di elicotteri, prima di essere sopraffatti e costretti a ritirarsi nel relitto. Le sue guardie erano state uccise tutte. Brughel invece aveva cercato di mescolarsi alle testerapide e di passare per uno di loro. Non gli era andata liscia. Quel giorno stesso, dopo una lunga consultazione via radio fra Victreia Laigtil e Trixia Bonsol, Ritser Brughel era stato isolato dagli altri in un carcere speciale.
— Gli umani che voi chiamate testerapide potete riaverli — disse Vilunder attraverso Zimmin Broute. — Noi sappiamo che loro non sono responsabili. — Il tono di lei era iroso, e il traduttore ne dava una buona versione. — Gli altri sono criminali di guerra. Hanno ucciso migliaia di aracnidi, e meditavano di ucciderne milioni.
— No, solo una ridotta minoranza era al servizio di questo piano criminale. Gli altri non ne sapevano nulla, o hanno cercato di opporsi a quell’operazione.
Ezr tirò fuori la lista dei membri dell’equipaggio e spiegò il ruolo di ognuno a bordo della Mano Invisibile. Venti di loro erano tuttora in sonno freddo. Chiaramente costoro andavano considerati più vittime di Brughel che corresponsabili. Dapprima Belga Vilunder rifiutò di tirarli fuori dai contenitori, poi accettò di farlo e di giudicarli singolarmente. In cambio di un esame rapido e improntato alla generosità Ezr si disse disposto a consegnare manuali tecnici tradotti. Infine giunsero al caso più arduo. — Jau Xin, un animo nobile e amico di Arachna da sempre — lo presentò Ezr.
— Jau Xin, direttore dei piloti, pesantemente coinvolto nell’attacco — lo corresse Vilunder.
Ezr era stato costretto a mettersi un visore per amplificare la luminosità della stanza. Girato verso di lui Zimmin Broute, immedesimato nella parte, aveva un’espressione dura. — Jau Xin lavorava in plancia agli ordini diretti di Brughel.
— Generale, noi possiamo dimostrarlo con le registrazioni. E i vostri colloqui con le testerapide. i piloti di Jau Xin, sono certo altrettanto illuminanti. È chiaro che Jau Xin ha sabotato l’attacco alle postazioni difensive dell’Alleanza. Io conosco bene Jau, signora. Conosco sua moglie. Entrambi sono molto amici degli aracnidi.
Zimmin Broute batte sui tasti del suo sonorizzatore trasformando le parole di Ezr in una successione di sibili e squittii che nessuna gola umana avrebbe saputo produrre. Belga Vilunder replicò con un verso acuto che, come lui già sapeva, era una negazione sdegnata. Evidentemente c’era in gioco la politica interna dell’Alleanza, e i nazionalisti esigevano un comportamento più severo. Questo ricordò a Ezr che i colloqui venivano filmati per essere trasmessi in tutto il pianeta. Tirò fuori di tasca il portagioie datogli da Rita.
— E questo cos’è? — domandò Vilunder. Non c’era alcun accenno di curiosità nella voce di Zimmin.
— Un dono per Jau Xin, da parte della sua brava moglie. E una serie di fotografie, un ricordo del suo amore, nel caso che voi rifiutaste di lasciarlo libero.
Il generale Vilunder sedeva a due metri di distanza, ma un braccio nero si allungò fino a lui e s’impadronì del piccolo scrigno. Due dure mani a pinza cercarono di aprirlo con energia.
— La serratura è collegata alle impronte epidermiche di Jau Xin. Se lei cerca di forzarla, il contenuto sarà distrutto da un gas molecolare.
— Ah, sì? Non mi sembra una misura protettiva molto efficace nei confronti del contenuto — disse Vilunder, ma rinunciò a cercare di aprirlo e gettò il portagioie a Ezr, che lo prese al volo. — Sua Maestà il Re ha bisogno di fatti per scagionare un imputato, e le suppliche di una moglie non sono un fatto. Comunque vedrò cosa posso fare per questa persona a cui lei tiene tanto.
— Grazie, generale. Apprezzo la sua comprensione.
Per un po’ il Ragno non disse niente. Quando parlò, nella traduzione di Zimmin ci fu un sarcasmo aspro come un acido. — E suppongo che adesso lei cercherà di convincermi a consegnarvi con tutti gli onori anche Ritser Brughel, eh?
— Nel corso di questi decenni Brughel ha assassinato forse più gente dei nostri che dei vostri. Ha molti crimini di cui rispondere, e la nostra legge è severa.
— Le credo sulla parola. Ma non è alla vostra giustizia che noi consegneremo quell’individuo. — La voce di Zimmin era secca, ed Ezr capì che su quel punto i Ragni non avrebbero ceduto.
Il che probabilmente era meglio. Ezr scrollò le spalle. — Molto bene. Giustiziatelo pure. Ma per ragioni umanitarie devo insistere che gli sia data una morte indolore.
Il Ragno lo guardò senza muovere neppure le mani nutritive. — Giustiziarlo? Temo che sia impossibile. Questo negoziato lascia nelle nostre carceri un solo umano. I nostri studiosi sono molto interessati alla vostra anatomia, ma dai vostri libri non s’impara molto. Mi è stato detto che ci occorre almeno un soggetto umano per una lunga serie di test comportamentali. Temo che Brughel non ne sarà entusiasta… soprattutto fra qualche anno, quando lo offriremo agli studiosi Kindred per il loro programma di esperimenti.
Ritser Brughel non è precisamente l’umano tipico, se vi interessano i test comportamentali, pensò Ezr. Ma non era la cosa più saggia da dire in quell’occasione, cosi si limitò a dirsi d’accordo. E per la prima volta scoprì in sé un impulso di pietà per Brughel. La sua avversione istintiva per i Ragni era sempre stata patologica, come una fobia.
Ezr Vinh fu accolto come un eroe al suo ritorno su L1. Non aveva mai visto tanto entusiasmo fra quella gente. Era riuscito a ottenere di portare con sé alcuni prigionieri rilasciati, fra cui Jau Xin. E con lui c’erano i primi dei loro nuovi partner commerciali, i primi Ragni a viaggiare nello spazio.
Ezr aveva altro per la testa. Sorrise, parlò, e quando vide Rita e Jau andare via insieme provò una distaccata soddisfazione.
L’ultima a uscire dalla scialuppa fu Floria Peres. La ragazza, una delle prime vittime di Ritser Brughel, era stata tenuta in sonno freddo negli ultimi anni, ma nessuno s’era aspettato di rivederla viva. Aveva uno sguardo tale che quando Ezr la condusse in corridoio la gente tacque. Qiwi si fece avanti. Aveva chiesto lei di aiutare i superstiti, ma alla vista di Floria sbarrò gli occhi e impallidì, sconvolta. Le due si guardarono, incapaci di parlare. Poi Qiwi la prese per mano e la folla si aprì dietro di loro.
Ezr le guardò allontanarsi, ma la sua mente era altrove. Anne Reynolt aveva cominciato la de-focalizzazione di Trixia mentre lui ripartiva da Arachna. Durante il tragitto di ritorno Nuwen gli aveva fatto sapere che tutto procedeva bene, in un tono rassicurante che non lo aveva rassicurato affatto. Adesso la ragazza era stata messa in coma artificiale, il secondo stadio dell’operazione. A quel punto la sola difficoltà stava nell’indurre mutazioni nel virus mentale fino a ottenere una varietà di virus che, incapace di interferire col tessuto nervoso, fosse eliminata dall’organismo.
Due giorni dopo Anne Reynolt gli telefonò per dirgli che Trixia era uscita dal coma e stava bene.
Prima di andare alla clinica del Focus, Ezr andò a fare visita a Qiwi. La ragazza stava lavorando con suo padre alla ricostruzione del Lago-Parco. La maggior parte degli alberi erano ridotti a scheletri, ma Ali Lin pensava di recuperarli. Anche dopo essere stato de-focalizzato l’uomo aveva conservato il suo interesse per il parco. Ora però poteva amare anche sua figlia. Trixia sarà come lui, libera come prima di questo incubo.
Quando Ezr uscì dal tunnel sul sentiero fra la boscaglia in rovina, Qiwi stava parlando coi Ragni. La gattina usava le ali per tenersi il più possibile alla larga da quei grossi insetti.
— Stiamo pensando di costruire un ambiente di tipo nuovo intorno al lago, un’ecologia tipo Arachna — spiegò Qiwi. Nella microgravità di L1 i Ragni avevano un atteggiamento fisico diverso, con le gambe estese quasi verticalmente verso il basso. Sembravano più alti. La più giovane, una femmina — probabilmente Rhapsa Laigtil — disse qualcosa. Il suo sibilare era quasi musicale in confronto a quello secco e duro di Belga Vilunder.
— Vedremo cosa verrà fuori, ma dubito che molti di noi vorranno vivere qui. Credo che costruiremo un provvisorio nostro — tradusse Zimmin Broute in tono amabile e discorsivo. Doveva essere l’ultimo dei traduttori ancora focalizzati.
— Sì, sono curiosa di vedere cosa farete — le rispose Qiwi. Alzò lo sguardo e vide Ezr.
— Buongiorno. Qiwi. Posso parlarti?
La ragazza si mosse verso di lui. — Rhapsa. mi scusi un momento, per favore?
— Certo, — Il Ragno sibilò un paio di domande a Zimmin, che le tradusse ad Ali Un.
Ezr attese che la ragazza fluttuasse davanti a lui, qualche metro più in là. — Qiwi, Trixia è stata de-focalizzata stamattina. Sto andando da lei.
Qiwi sorrise con entusiasmo. C’era ancora qualcosa di fanciullesco in lei. Stranamente, dopo tutto ciò che aveva passato, era rimasta molto aperta e spontanea.
Adesso era lei a trattare coi Ragni, che apprezzavano il suo spirito pratico.
— Come sta? — gli chiese, senza mascherare la sua ansia.
— Bene, dice la Reynolt. Un po’ disorientata, ma la sua mente e la sua personalità sembrano intatte. Oggi potrò andare a vederla, più tardi.
— Mi fa piacere. Ezr. È bello che ci sia un… un lieto fine, per voi due. — D’impulso la ragazza lo baciò sulle guance.
Lui si sentì imbarazzato. — Volevo ringraziarti per ciò che hai fatto, nell’arsenale. Senza di te non saremmo qui, oggi, e io e Trixia… Bene, ti farò sapere come sta, questa sera. — E si spinse via in fretta, verso l’ingresso dei tunnel.
Anne Reynolt aveva convertito la sala di gruppo nell’attico in una corsia per i convalescenti. Le testerapide che avevano lavorato lì Turno dopo Turno al servizio del caponave ora facevano tappa in quel luogo, nel loro cammino verso la libertà.
Anne lo accompagnò fino alla porta e si fermò. — Prima che lei entri, Ezr, voglio raccomandarle di ricordare…
Aggrappato al corrimano Ezr corrugò le sopracciglia. — Lei ha detto che si è ripresa bene.
— Sì, certo. Le sue condizioni mentali sono soddisfacenti. Ha perfino mantenuto le conoscenze specialistiche assunte durante questi anni. Tuttavia… lei deve capire che qui abbiamo in lista circa tremila de-focalizzazioni, un caso senza precedenti nella storia degli Emergenti, e dal punto di vista tecnico la percentuale di successi è buona. — Anne ebbe una smorfia triste, espressione che lui non le aveva mai visto quand’era focalizzata. — Dal punto di vista umano, non altrettanto. Spero solo che l’esperienza fatta coi primi casi ci dia modo di migliorare la percentuale.
Gli stava dicendo che Trixia doveva considerarsi fortunata. Ezr non ne dubitava. Ma la de-focalizzazione era efficace, era una realtà; la stessa Anne Reynolt era uscita dal Focus in modo completo. A ogni modo le cose erano andate bene, e adesso oltre quella porta c’era la sua Trixia, la sua Bella Addormentata finalmente di nuovo sveglia. La ringraziò con un cenno e si spinse dentro.
Dietro di lui Anne disse: — Aspetti, Ezr… senta, Pham vuole parlarle, appena lei uscirà di qui.
— Va bene, va bene. — Ma ormai Ezr non la stava più ascoltando. La sala di gruppo era attraversata dagli stessi cavi di prima, ma le consolle di lavoro erano state sostituite da sedie riunite intorno a tavolini. Quasi tutte erano occupate da piccoli gruppi di persone dei due sessi che parlavano fra loro. Molti si voltarono a guardarlo con interesse o curiosità, emozioni che non vivevano da decenni. Alcuni avevano lo stesso sguardo sperduto di Hunte Wen dopo che era stato de-focalizzato. Gli Emergenti fra loro non avevano nessuno a cui tornare, lontani una vita e molti anni-luce da tutto ciò che avevano conosciuto.
Ezr rivolse loro un sorrisetto imbarazzato e passò oltre. Le cose sono andate bene per Trixia e me, ma questi poveretti hanno bisogno di essere aiutati.
La parete più lontana della stanza era stata divisa in cubicoli. Ezr oltrepassò le porte aperte ed esplorò con lo sguardo quelle chiuse, su cui era applicato un biglietto col nome. E finalmente… TRIXIA BONSOL. A un tratto ricordò che indossava una tuta da lavoro e non s’era neanche pettinato. Come le testerapide, quel giorno aveva ignorato perfino la sua pulizia personale.
Si passò una mano fra i capelli e bussò alla sottile porta di plastica bianca. — Trixia, sei sveglia?
— Entrate.
Lui spinse la porta. — Ehilà, Trixia. Sono io.
La donna fluttuava su un materassino non diverso da un comune letto di ospedale. Dietro la sua testa c’erano i soliti strumenti medici, collegati a lei con qualche elettrodo. Non importava, Ezr se l’era aspettato. Anne Reynolt teneva sotto stretta osservazione i suoi pazienti, usava i dati per guidare la de-focalizzazione e prevenire il ritorno di eventuali mutazioni dannose del virus mentale.
Questo rendeva difficile abbracciarla come Ezr avrebbe voluto. Fluttuò accanto a lei, perdendosi nel suo volto. Lei gli restituì lo sguardo, non l’occhiata spazientita di quando lui le bloccava la vista dei dati a schermo, ma guardandolo dritto negli occhi. Le sue labbra si curvarono in un tremulo sorriso.
— Ezr.
Lui non resistette più e la prese fra le braccia. Le labbra di lei erano morbide e calde. Ezr la tenne a sé per qualche momento, prima di deporla di nuovo a contatto col lettino. Poi si fece indietro, con cautela per non staccare qualche elettrodo. — Ah, Trixia, quante volte ho pensato che non ce l’avremmo mai fatta a tornare insieme. Ricordi tutte le volte… — Decenni di vita, alla lettera. — … Quando sedevo accanto a te, in quella tua dannata cella?
— Sì, tu hai sofferto molto più di me. Io ero come in una specie di sogno, e il tempo non significava nulla. Al di fuori del Focus tutto era nebbia. Io potevo sentire e vedere in quella nebbia. ma erano cose senza importanza. — Una mano di lei si alzò a carezzargli il collo, in un gesto che usciva dal loro vero passato.
Ezr sorrise. Stiamo parlando davvero. Finalmente. — Ma ora tu sei tornata, e possiamo vivere di nuovo. Ho tanti progetti, sai? Ho avuto anni per pensarci, a tutto ciò che avremmo potuto fare se Nau fosse stato sconfitto e tu di nuovo libera. Dopo tutte queste morti e disgrazie, la missione può ancora avere un successo maggiore di quanto avremmo mai immaginato. — Grandi rischi, grandi ricompense. Ma il rischio e i sacrifici erano alle loro spalle, e ora… Con la nostra parte dei guadagni potremo fare… tutto. Potremo mettere su la nostra Grande Famiglia, la Vinh-Bonsol.1 e… avere dei figli!
Trixia stava sorridendo, ma nei suoi occhi era apparsa un’ombra. Scosse il capo. — Ezr, io non credo…
Lui alzò le mani. — D’accordo, so quello che vuoi dire. Non importa. Se ancora non le la senti di avere una famiglia… va bene lo stesso. — Negli anni sotto Tomas Nau, Ezr aveva avuto modo di pensare a tutte le possibilità. Trasse un lungo respiro. — Se tu vuoi tornare su Triland, se la vita nello spazio ti ha stancato… io ti starò accanto. Lascerò i Qeng Ho. — Alla Famiglia non sarebbe piaciuto. Lui non era più un erede giovane. La spedizione avrebbe arricchito molto la Famiglia Vinh23, ma… lui sapeva di averne avuto ben poco merito. — Potrai fare ciò che vuoi. La sola cosa importante è stare insieme.
Si piegò ad abbracciarla di nuovo, ma stavolta lei lo spinse gentilmente indietro. — No, Ezr, non è così. Tu e io abbiamo molti anni più di prima. Non siamo più giovani. Io… è passato troppo tempo da quando eravamo insieme.
Ezr sbatté le palpebre. — Sono passati per me quegli anni. Ma non per te! Tu stessa dici che il Focus è stato come un sogno, dove il tempo non contava.
— Non esattamente. Per certe cose, per le cose al centro del mio Focus, probabilmente io ricordo il tempo meglio di te.
— Ma… — cominciò Ezr. Lei lo interruppe alzando una mano.
— Per me è stato più facile. Io ero focalizzata, e c’era anche qualcos’altro benché non lo capissi e… grazie a Dio non l’hanno mai capito neppure Brughel e Nau. Io avevo un mondo dentro cui fuggire. Un mondo che io potevo costruire con le mie traduzioni.
Lui annuì, accigliato. — Mi era parso di intuire qualcosa del genere, sì. Dunque questo mondo dei Ragni ti aiutava a vivere nella fantasia?
— Non nella fantasia. Arachna esiste, è una realtà, e io credo che tu debba capire come sia importante per me questa realtà. Era più che una fuga. Come traduttrice io potevo vivere nel mondo dei Ragni, e il Focus mi costringeva a non desiderare nient’altro. E dopo che abbiamo avuto la possibilità di comunicare… quando finalmente il caro Sherkaner ha capito, anche se all’inizio pensava che noi fossimo macchine… all’improvviso quel mondo mi ha accettato, ed è diventato mio.
La possibilità di comunicare. Era stato questo a sconfiggere Nau, e a salvarli tutti. Ma…
— Ma ora tu sei tornata, Trixia. Questo non è più l’incubo, ne sei fuori. Ora siamo insieme, ed è questo che vogliamo davvero!
Lei stava ancora scuotendo la testa. — Non capisci, Ezr? Entrambi siamo cambiati, e io sono cambiata più di te anche se ero… — Cercò la parola, anche se ero “sotto incantesimo” per anni. Vedi, ricordo anche le parole che tu usavi dirmi. Ma ora non è più come prima. Io e i Ragni abbiamo un futuro insieme.
— Ascolta… — Ezr cercò di avere una voce pacata, ragionevole, ma il panico gliela deformò. Caro Dio del Commercio, non posso perderla ora! — Lo capisco. Tu continui a identificarti coi Ragni. Gli alieni siamo noi, per te.
Lei gli toccò una spalla. — Un poco. Durante il primo stadio della de-focalizzazione mi sembrava di camminare verso un incubo. Io so come appaiono gli umani agli aracnidi: pallide larve molli. Gli animali che loro usano come cibo sono così, e grazie a questo non gli sembriamo ripugnanti e mostruosi… come molti umani vedono loro. — il suo sorriso si allargò. — il modo in cui voi umani girate la testa è mostruoso. Voi non ve ne rendete conto, ma gli aracnidi col pelo paterno sulla schiena e anche certe femmine hanno un brivido quando vi guardano da vicino.
Voi umani. Come nei suoi sogni delle ultime notti, in superficie. Nella sua mente Trixia era in parte un Ragno. — Ascolta, Trixia, io… verrò a farti visita ogni giorno. Presto starai meglio. Supererai queste fantasie.
— Oh, Ezr, Ezr. — Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, ma stava piangendo per lui, non per se stessa o per loro due. — Questo è ciò che voglio essere. Una traduttrice. Un ponte fra voi umani e la mia nuova famiglia.
La sua famiglia. Trixia non è uscita dal Focus. Per qualche motivo la Reynolt e Nuwen avevamo congelato il suo recupero a metà strada fra il Focus e la libertà. Capirlo fu come un pugno nello stomaco per Ezr… nausea, seguita da rabbia.
Affrontò Anne Reynolt nel suo nuovo ufficio. — Finisca il lavoro, Anne! Il virus mentale è ancora padrone di Trixia.
La bionda era ancora più pallida del solito. A un tratto Ezr capì che lo stava aspettando. — Lei sa che non c’è modo di distruggere il virus, Ezr. Farlo mutare, crearne una varietà dormiente o una varietà che l’organismo rigetta, questo sì, ma… — La sua voce era diversa da quella impaziente della Reynolt degli anni passati, che distribuiva sentenze più che opinioni.
— Lei sa cosa sto dicendo, Anne. Trixia ha ancora il Focus. È ancora fissata sui Ragni e sul lavoro che aveva da focalizzata.
Anne non replicò. Dunque lo sapeva.
— La riporti indietro, Anne.
La Reynolt ebbe una smorfia sofferente. — La varietà del virus mentale rimasta in lei ha presa sulle strutture profonde. Un intervento drastico per eliminarla le strapperebbe via tutte le conoscenze apprese. Sarebbe come Hunte Wen. E questo che vuole?
— Ma sarebbe libera! Potrebbe imparare cose nuove, proprio come ha fatto Hunte,
— Sì, certo. E fino a ieri io pensavo che fosse possibile tirarla fuori in questo modo. Ma fra lei e Hunte c’è una differenza che può essere determinante… Ezr, lei non vuole essere tirata fuori.
La Reynolt aveva gli occhi spalancati, e il volto le si arrossava nel parlare così. Era un’altra espressione che lui non le aveva mai visto, un’emotività che sfiorava la rabbia. Ezr restò a guardarla a bocca aperta.
Sulla parete esterna dell’ufficio ci fu il tonfo di qualcuno che era arrivato troppo in fretta. La porta si aprì e Pham Nuwen fluttuò dentro. — Anne, la prego. Lasci che mi occupi io di questa faccenda. — La sua voce era cortese, urbana. Anne Reynolt deglutì saliva e annuì. Poi girò intorno alla scrivania e si spinse verso la porta. Ezr notò che Nuwen le stringeva una spalla con fare rassicurante.
Quando furono soli nell’ufficio, Nuwen sedette su una sedia accanto alla scrivania. — Vedi di calmarti, mister.
Nella voce del vecchio c’era qualcosa che bloccò la rabbia di Ezr e lo costrinse a sedersi anch’egli.
Nuwen si spinse con un piede e roteò dietro la scrivania. Per qualche momento lo guardò in silenzio, conscio che a quel modo gli stava facendo pesare la sua presenza. Poi disse: — Un paio d’anni fa tu mi hai dato un buon consiglio. Il che è strano, perché di solito non sei capace di darne neppure a te stesso. Mi inducesti a capire che ero nel torto, e che dovevo cambiare.
Ezr lo fissò freddamente. — Peccato che lei non ci sia riuscito. — Sei ancora nel commercio degli schiavi, in un modo o nell’altro.
— Ti sbagli, ragazzo. Mi hai spinto a cambiare. Non molta gente può vantarsi di avermi fatto questo. Neppure Sura, la tua bisavola, ci riuscì. — Una strana tristezza lo fece sospirare un momento. — Tu hai offeso Anne, Ezr. L’hai ferita, stupidamente. Spero che un giorno tu lo capisca e le chieda scusa.
— Non ci conti! Voi due siete speciali per razionalizzare le cose. La realtà è che de-focalizzare tutti è antieconomico, no?
— È costoso, sicuro. In quanto ai costi, è una calamità. Sotto il regime degli Emergenti i focalizzati supportavano praticamente tutta l’automazione. Ci facevano il lavoro delle macchine. Programmavano tutta la manutenzione. Ora ci troviamo con dei sistemi tecnici che vanno a pezzi, e l’unica cosa che ci salva è che tutti quanti stiamo lavorando a turni forzati per far funzionare gli impianti. Ci vorrà tempo prima di riorganizzarci. A ogni modo… tu sai che Anne è la Macellaia di Frenk, il “mostro” che appare in alcuni bassorilievi ricavati nel diamante.
— Sì, ma cosa…
— Allora sai che lei è disposta a morire pur di liberare la gente dal Focus. Appena io la feci de-focalizzare, questa fu la sua prima e indiscutibile pretesa che dovetti accettare. E lo scopo della sua vita. — Nuwen fece una pausa e scosse il capo. — Sai qual è il vero aspetto diabolico del Focus? Non si tratta di schiavitù effettiva, più completa di qualsiasi altra forma mai studiata dall’uomo. No, il brutto è che trasforma in killer i medici che ti liberano da esso, perché le vittime del Focus vengono mutilate dai loro liberatori per la seconda volta. Neppure Anne lo capiva quando si è accollata questo lavoro, ma ora vede i risultati… e si sente spezzare il cuore.
— E questo significa che se loro vogliono restare focalizzati noi dobbiamo lasciarli così?
— No! Ma una persona focalizzata è sempre un essere umano, anche se si scosta dalla normalità. Se riesce a vivere una sua vita, se esprime i suoi desideri… be’, a questo punto devi ascoltarlo. Fino a ieri sera pensavamo che il recupero di Trixia Bonsol filasse via liscio. Anne aveva stabilizzato in lei una varietà di virus che garantiva contro la degenerazione dei tessuti, ovvero il problema che ci ha causato già diverse perdite. Nella prima fase del recupero Anne ha accertato che il fattore di fedeltà e applicazione al lavoro era scomparso da lei. Trixia aveva una libera volontà, autocoscienza e capacità di valutare. Ma ha rifiutato fermamente di passare a una fase più profonda. Ha detto che capire i Ragni era il centro della sua vita, e con molta lucidità ha deciso di restare così.
Per qualche momento Ezr rifletté su quelle parole. Per quanto fosse terribile, era possibile che Nuwen non mentisse.Dio, questa è dura. — E va bene, allora Trixia è una persona libera. Questo significa che è libera di cambiare idea, in futuro.
— Naturalmente, La natura umana va oltre le nostre analisi.
— Io ho aspettato di riaverla per metà della mia vita. Continuerò ad aspettarla, non importa per quanto tempo.
Nuwen sospirò. — Temevo che avresti detto questo.
–Ah, sì?
— Tu sei uno dei testardi più duri che io abbia mai incontrato. Forse è per questo che la gente si fida di te. Hai avuto il merito di tenere i Qeng Ho uniti nonostante le soperchierie di Nau.
— No, io non ho mai esortato nessuno a sopportare quel bastardo. Ho taciuto perché non ero capace di lottare, e per farmi perdonare ho cercato di far funzionare le cose anche in quella situazione. Come risultato, altri ancora sono stati uccisi. Io non ho spina dorsale, non ho capacità amministrative. Ero solo l’idiota che Nau usava per tenere gli altri in riga.
Nuwen stava scuotendo il capo. — Sei la sola persona di cui mi sono fidato, l’unico che ho messo a parte dei miei piani. — Ebbe un sogghigno. — Ovviamente, questo l’ho fatto perché sei stato l’unico a capire chi sono. E sapevo che avresti tenuto duro. D’altra parte questa tua testardaggine non è un pregio. Ora vieni a dirmi che aspetterai Trixia, non importa per quanto tempo dovrai farlo. E io credo che la aspetterai… per sempre. Ezr, non ti viene il sospetto che tu non hai bisogno del virus mentale per essere focalizzato? C’è gente che si focalizza da sola. Io stesso l’ho fatto. Hanno una volontà così forte che innanzitutto piega la loro stessa capacità di scelta. È stata una cosa buona, perché ti ha portato a sopravvivere a Brughel e a Nau, ti ha salvato. Ma trova la forza di guardare anche il suo aspetto maligno. Non gettare via la tua vita.
Ezr deglutì. Gli Emergenti dicevano che il funzionamento della società dipendeva dalla gente che non aveva una propria vita.
— Trixia Bonsol è uno scopo per cui vale la pena di soffrire, Pham.
— D’accordo. Ma se aspetterai per il resto della tua vita una cosa che non accadrà mai, avrai sofferto tu e fatto soffrire lei… senza uno scopo. — Nuwen scosse il capo. — È un peccato che tu non abbia il virus mentale. De-focalizzarti sarebbe allora possibile. Sei così fissato su Trixia che non riesci a vedere le altre persone, quelle che puoi far soffrire, quelle che possono amarti.
— Uh. E chi?
— Pensaci, Ezr. Chi ha sempre preso esempio da te per far andare avanti le cose lavorando e tacendo? Chi prendeva forza da te per sacrificarsi, nella convinzione che tutto sarebbe andato bene? Chi non ha dubitato un istante che fossi tu a dire la verità, quel giorno nell’arsenale, quando le parole cento volte più astute di Nau avrebbero persuaso chiunque altro?
— Ah. — Ezr si accorse di arrossire, imbarazzato. — Qiwi è… è una brava persona.
La faccia di Nuwen s’indurì per la rabbia. — Svegliati, razza di stupido!
— Voglio dire che è una cara ragazza, intelligente e capace…
— Sì, sì, sì. È una che riesce in tutto ciò che fa. Non ne ho trovate molte come lei, in vita mia.
— Io…
— Ezr, io non credo che tu sia un burattino di legno, altrimenti non perderei tempo a farti battere la testa contro il muro, e certo non starei a parlarti di Qiwi. Ma svegliati. Avresti dovuto capirlo da anni, ma eri troppo fissato su Trixia e sui tuoi sensi di colpa. Ora Qiwi per puro caso, o forse no, è ancora qui che ti aspetta, ma senza troppa speranza, poiché rispetta onorevolmente ciò che tu vuoi da Trixia. Pensa a ciò che sta facendo, da quando ci siamo liberati di Nau.
— Uh, si occupa di tutto… la vedo ogni giorno. — Ezr trasse un lungo respiro. Questo era come de-focalizzarsi… vedere quel che uno aveva sempre visto, ma in modo completamente nuovo. Era vero, lui aveva a che fare con Qiwi più che con gli altri. Ma la ragazza era sovraccarica di lavoro. Gli tornò a mente la sua espressione quando aveva rivisto Flora Peres. Ripensò al suo sorriso mentre diceva di essere contenta per il lieto fine fra lui e Trixia. Era strano provare vergogna per una cosa di cui era stato inconsapevole fino a un minuto prima. — Mi spiace… è che io… non ci ho mai pensato.
Nuwen si appoggiò allo schienale. — È quel che speravo di sentirti dire, Ezr. Vedi, tu e io abbiamo questo problema: siamo grandi nelle questioni di principio, e piccoli nella comprensione umana. È una cosa su cui dovremo lavorare. La realtà è che ci sono persone senza le quali noi non saremmo nessuno, e Qiwi è una di loro.
Per un momento Ezr non seppe cosa dire. Qualcuno stava spostando i mobili nelle stanze della sua anima. Trixia, il sogno di metà della sua vita, era uscita da quelle stanze. — Dovrò pensarci sopra.
— Fallo. Ma parlane con Qiwi, dammi retta.. Anche lei si è nascosta dietro un muro. Sarai sorpreso, scoprendo quante cose vengono fuori quando due decidono di parlare.
Un’altra idea, che era come l’aprirsi di una porta. Parlane con Qiwi. — Penso che io… sì, è quello che farò.
Il tempo passava, ma Arachna aveva ancora strada da fare sulla via del congelamento. Le ultime bufere di neve spazzavano le latitudini medie, sempre più vicine all’equatore.
L’aereo non aveva ali. né eliche, né razzi. Scese lungo un arco balistico e rallentò fino ad atterrare dolcemente sulla nuda roccia dell’altipiano.
Ne scesero due figure in tuta spaziale, una alta e bipede, l’altra bassa e con una quantità di zampe articolate.
Il maggiore Victreia Laigtil tastò il suolo con un paio di mani. — Niente neve in questo punto, lo sapevo che ci sarebbe andata male. Inutile cercare impronte fra i sassi. — Guardò il versante scosceso a qualche decina di metri da lì. Fra i macigni e le buche c’era un po’ di neve, al riparo dal vento. La debole luce del sole morente la tingeva di rosso. — Ti dà fastidio il vento?
Trixia Bonsol aveva inciampato un paio di volte. — No, ma su questo terreno non si sta in piedi facilmente con due gambe sole.
Si avviarono verso la salita. Trixia aveva abbassato il volume, per sentire i rumori del posto senza distrazioni. Tuttavia il brusio di una conversazione e le immagini sui lati del suo visore la tenevano in contatto con ciò che accadeva nello spazio e a Principalia. Nel mondo reale oltre il visore quella sembrava una notte senza luna nel gelido nord di Triland, e il solo movimento era la polvere che il vento spostava fra i sassi. — Questa è la nostra ipotesi migliore sul punto dove Sherkaner lasciò l’elicottero?
— Corrisponde alla registrazione del pilota automatico. Sappiamo che mio padre aveva un motivo per scendere qui. Forse cercava un posto particolare. Ma non si può escludere che il motivo fosse semplicemente quello che ha detto Thract.
La voce che Trixia sentiva non era quella di Viki, ma una versione tradotta da un processore nel suo stesso casco. Il risultato tecnico era scadente, ma poteva consolarsi col pensiero che l’amica riceveva nella lingua dei Ragni una traduzione ancora peggiore.
— Io ero in ascolto, quando Sherkaner è sceso — disse Trixia, indicando il territorio dirupato davanti a loro. — Secondo me era lucido e padrone di sé, in un momento in cui tutto gli crollava intorno.
— La “cerca della profondità” può sembrare una reazione lucida, finché qualcun altro non contrasta questo impulso ancestrale — rispose Viki. — Aveva appena perduto Mamma, senza contare Nizhnimor e tutti i suoi colleghi nei laboratori da cui era uscito per parlare con Thract.
Con la coda dell’occhio Trixia notò la contrazione nelle braccia anteriori dell’aracnide. Era l’equivalente di una smorfia di dolore, e benché fisicamente inumana il contesto emotivo da cui emergeva era molto simile a quello umano. — Sai, Viki, ci tenevo a venire qui di persona. Mi sono sempre sentita come una di voi, ed essere qui con te mi dà l’impressione di avere una famiglia.
Una delle mani libere di Viki le toccò un braccio. — Anch’io ti ho sempre sentita molto vicina da dopo la morte di Gokna, quando il generale ci parlò di voi. Mio padre ci fece sentire le registrazioni dei vostri colloqui. A quel tempo pensava ancora che tu fossi una specie di computer. Ma per me eri una persona già allora. E ti assicuro che mio padre era affezionato a te.
Trixia fece un gesto-sorriso. — Il caro Sherkaner era sicuro che la scienza potesse realizzare cose impossibili, come i viaggi spaziali e i computer intelligenti. In quanto a me, il Focus mi obbligava a conoscere voi Ragni alla perfezione, e il contatto con voi è stato un effetto collaterale che Tomas Nau non si aspettava di certo.
Il versante roccioso era pieno di spaccature colme di neve gelata. Victreia e Trixia continuarono a salire guardando in ogni cavità. Senza altri strumenti che i loro occhi, più che una ricerca vera e propria quello era una specie di pellegrinaggio.
— Credi che lo troveremo, Viki? — Negli ultimi anni del Focus, Sherkaner Underhill era stato il centro dell’universo di Trixia Bonsol. Non riusciva a ricordare che vagamente le centinaia di visite di Anne Reynolt e di Ezr Vinh; soltanto Sherkaner era reale. Ripensò al vecchio aracnide che aveva bisogno di un insetto-guida per non camminare in cerchio. Come poteva essersi arrampicato lì?
Victreia era entrata in una cavità e stava scalpellando via il ghiaccio con una piccozza.
— Sì, prima o poi. Sappiamo che non è in superficie. Probabilmente Mobiy è riuscito a trovare una tana profonda qualche metro. Ma questo non è bastato a salvare mio padre, come in una vera profondità. Dev’essere morto in pochi minuti. — Tornò fuori, all’aperto. — È strano, ma dopo l’attacco io ero convinta che forse avremmo potuto trovare vivo papà, mentre per mia madre non ci fosse più speranza. Ora invece, dopo i sonogrammi fatti sui resti del Parlamento di Terra Meridionale, sembra che nel sottosuolo siano state scoperte gallerie che comunicano con delle antiche profondità. Se mia madre e Zio Hrunkner fossero riusciti a rifugiarsi laggiù…
Trixia si accigliò. Anche lei aveva visto i notiziari. — Ma il resoconto dice che sarebbe pericoloso scavare in quei detriti, perché ogni scossa farebbe franare tutto. E quando verrà il Nuovo Sole sarà peggio, perché milioni di tonnellate di roccia crolleranno in quelle profondità.
— Sì, ma abbiamo il tempo di fare progetti. Ora possiamo appoggiarci alla tecnologia umana. Forse potremo scavare lunghi tunnel, usando la roccia antigrav per stabilizzare le pareti. Prima del Nuovo Sole faremo dei sondaggi preliminari per ritrovare quelle profondità. E se Mamma e Zio Hrunk sono laggiù, li salveremo.
Si avviarono a nord lungo la dorsale. Se quelle erano davvero le colline dove Thract aveva lasciato Sherkaner, nulla garantiva che l’elicottero fosse atterrato proprio lì. Ma Victreia guardava in ogni anfratto.
A un certo punto Trixia rinunciò, e si volse a guardare dalla parte opposta. Il cielo sull’orizzonte meridionale rifletteva luce come sopra una città, ed era quasi così. Le postazioni missilistiche non c’erano più, ma il mondo aveva trovato un uso migliore per l’altipiano. Miniere di roccia antigrav. Compagnie minerarie di ogni nazione erano discese su di esso. Dall’orbita si potevano vedere ragnatele di strade e grandi stabilimenti tutto intorno al primo sito minerario Kindred, nel deserto gelido. Milioni di Ragni ci lavoravano. Anche se pochi di loro immaginavano quanti usi avrebbe avuto quella magica sostanza, la roccia antigrav era destinata a rivoluzionare i voli spaziali, forse non a livello interstellare ma certo a quello interplanetario, in tutti i sistemi solari.
Victreia sembrò accorgersi che Trixia pensava ad altro. Cercò una roccia piatta, al riparo dal vento, e si mise a sedere. Trixia sedette accanto a lei, un po’ più in basso per avere la testa alla stessa altezza della sua. Da lì si vedevano migliaia di anfratti, ognuno dei quali poteva essere il luogo dell’ultimo riposo di Sherkaner. Ma nel cielo si spostavano dozzine di piccole luci, veicoli antigravità impegnati nel trasporto di materiali nello spazio. Durante la storia umana l’antigravità era stato uno dei Sogni Mai Avverati. E adesso era realtà.
Per un poco Viki tacque. A un umano che non conoscesse i Ragni sarebbe parsa addormentata. Ma Trixia notava i piccoli gesti delle mani nutritive ed era quasi in grado di seguire i suoi pensieri. Sul suo visore le chiamate per il maggiore Laigtil si accumulavano. Le responsabilità di Viki non le consentivano di allontanarsi per più di un paio d’ore, in quei giorni.
OnOff saliva nel cielo, appena visibile sullo sfondo nero. Per duecento anni Alta Equatori a avrebbe continuato a diventare sempre più gelida, ma il sole emanava ancora un calore avvertibile dal pianeta, e dal suolo si alzavano vapori di sublimazione.
— Io sono ottimista, Trixia. Il generale e mio padre erano capaci e intelligenti. Non possono essere morti tutti e due. Ma ciò che mi rattrista sono le cose che abbiamo dovuto fare per sopravvivere.
— C’è stata una guerra, Viki. Contro i Kindred, e contro gli Emergenti.
— Già. E chi è sopravvissuto ora se la cava bene. Anche Rachner Thract, che non ha più voluto tornare al servizio del Re. Si sentiva tradito… e non aveva torto. Ora è lassù, con Jirlib e Didi. — Mosse una mano in direzione di L1. — Sembra che siano intenzionati a diventare una versione aracnide dei Qeng Ho. — Per un poco tacque, poi batté rabbiosamente una mano contro la roccia. Trixia poté sentire una nota disperata nella sua voce. — Dannazione, mia madre era un bravo generale. Io non sarei mai riuscita a fare tutto ciò che fece lei; c’è troppo di mio padre in me. E nei primi anni la cosa funzionava bene, le sue capacità militari e il genio di lui si moltiplicavano insieme. Ma nascondere i nostri contatti con te stava diventando sempre più difficile. Realizzavano tecnologie troppo in fretta, e proprio sotto gli occhi degli altri umani, quelli che ci studiavano e complottavano contro di noi. Se loro avessero capito la verità, ci avrebbero sterminato senza pietà. Era questo a tormentare il cuore di mia madre.
Le mani nutritive di Victreia si mossero a scatti, e ci fu un suono rauco. Stava piangendo. — Spero solo che alla fine lo abbia detto a Zio Hrunkner. Era l’amico più fedele che avessimo mai avuto. Ci voleva bene, anche se pensava che fossimo una perversione. E mia madre questo non lo accettava. Voleva troppo da Zio Hrunkner, e quando lui non è riuscito a cambiare…
Trixia le appoggiò un braccio sul dorso. Era un gesto molto intimo, equivalente a un abbraccio umano.
— Sai, mio padre avrebbe voluto parlare a Zio Hrunkner dei nostri contatti con te –– continuò Viki. — L’ultima volta che lo vedemmo, a Principalia, mio padre e io eravamo tentati di farlo. Ma il generale si oppose. Mia madre non riusciva a dimenticare un torto. Alla fine, però… be’, volle che Hrunkner andasse con lei nella Terra Meridionale. Se si fidava di lui a questo punto, certo gli avrà detto anche il resto. Non credi? Deve averglielo detto, mentre il mondo gli crollava addosso, che i loro sacrifici non sarebbero stati inutili.