PARTE PRIMA Centosessanta anni dopo

1

I Qeng Ho furono i primi ad arrivare alla stella OnOff. Questo non ebbe alcuna importanza, data l’esiguità del loro vantaggio, Negli ultimi cinquant’anni di viaggio avevano visto sempre più da vicino la scia della flotta degli Emergenti che decelerava verso la stessa destinazione.

Erano stranieri gli uni per gli altri, e s’incontravano lontano dai loro territori. Questa non era una novità per i Qeng Ho… anche se di norma i loro incontri non erano così poco graditi, e avvenivano quando c’era una possibilità di commerciare. Qui una cosa di valore, in effetti, c’era ma non apparteneva a nessuna delle due parti. Giaceva da qualche parte in attesa di essere scoperta, o depredata, o sviluppata e sfruttata, a seconda della sua natura e di chi se ne fosse impossessato. Lontano dagli alleati, lontano dalla società umana… lontano dai testimoni. Era una situazione in cui bisognava tenere gli occhi aperti contro la doppiezza e il tradimento, ed entrambe le parti lo sapevano. I Qeng Ho e gli Emergenti, le due spedizioni, si erano girati intorno per parecchi giorni, ciascuno sondando l’altro per capirne le intenzioni e la potenza di fuoco. Erano stati presi contatti, stese bozze di accordo, fatti piani per un atterraggio congiunto. Tuttavia i Mercanti avevano appreso assai poco sugli Emergenti. E così l’invito a cena degli Emergenti era stato accolto con sollievo da alcuni e con silenziosa ostilità da altri.


Trixia Bonsol si appoggiò alla spalla di Ezr, piegando la testa in modo che soltanto lui potesse udire. — Ebbene, Ezr. Il cibo sembra ottimo. Forse non hanno progettato di avvelenarci.

— A me sembra piuttosto insipido — mormorò lui, cercando di non lasciarsi distrarre dal suo contatto fisico. Trixia Bonsol era nata su un pianeta, una degli specialisti dell’equipaggio. Come la maggior parte dei Trilandesi aveva molta fiducia nelle sue capacità e nella sua personalità; le piaceva stuzzicare Ezr con la “paranoia dei Mercanti”.

Lo sguardo di Ezr si spostò sui tavoli. Il comandante di flotta Park aveva portato con sé un centinaio di persone al banchetto, ma pochi di loro erano armieri. Quasi tutti i Qeng Ho erano mescolati agli Emergenti, anche se c’erano alcuni gruppetti che stavano sulle loro. Ezr e Trixia sedevano lontani dal tavolo del comandante. Ezr Vinh, apprendista mercante, e Trixia Bonsol, specialista in linguistica. Ezr presumeva che gli Emergenti seduti ai tavoli vicini fossero anch’essi di grado piuttosto basso. L’idea che i Qeng Ho s’erano fatta di loro era che gli Emergenti fossero molto ligi all’ordine e all’autorità ma Ezr non vedeva gradi intorno a sé. Ad alcuni di loro piaceva conversare e il loro nese era facilmente comprensibile, poco diverso dalle trasmissioni standard. Il pallido e muscoloso individuo alla sua sinistra aveva chiacchierato senza interruzione per tutto il pasto. Ritser Brughel sembrava essere un programmatore d’armi, anche se non aveva riconosciuto quel termine quando Ezr ne aveva parlato. Era molto interessato ai piani che avrebbero potuto mettere in atto negli anni a venire.

— Questo è accaduto abbastanza spesso, non è così? Prenderli quando non conoscono la tecnologia… o non l’hanno ancora recuperata — disse Brughel, concentrando tutta la sua attenzione lontano da Ezr, sul vecchio Pham Trinli. Brughel sembrava pensare che un’età avanzata comportasse anche un’autorità maggiore, senza capire che i più anziani di una comitiva di giovani erano gente che non aveva saputo farsi strada. A Ezr non importava di essere ignorato; gli dava l’opportunità di osservare senza distrazioni. Pham Trinli sembrava invece apprezzare la conversazione di Brughel. Da programmatore d’armi a programmatore d’armi, Trinli parlava di lavoro con il pallido e biondo individuo spifferandogli dati tecnici con una fiducia che faceva accapponare la pelle a Ezr.

Una cosa doveva riconoscerla a questi Emergenti: la loro capacità scientifica era notevole. Avevano naviram (vascelli a fotoni, li chiamavano alcuni di loro) che viaggiavano veloci fra le stelle. Questo li poneva all’incirca al verace dell’élite tecnologica. E sembrava che fosse una competenza costruita su solide fondamenta. I loro apparati di trasmissione e i loro computer erano all’altezza di quelli Qeng Ho, il che, come Vinh sapeva, rendeva il comandante Park e quelli della Sicurezza più nervosi che la ferrea cautela degli Emergenti nel rivelare qualsiasi cosa di se stessi. I Qeng Ho avevano mietuto dalle epoche più creative di centinaia di società. In altre circostanze la capacità scientifica degli Emergenti sarebbe stata fonte di onesti scambi commerciali.

Capacità scientifica e duro lavoro. Ezr guardò oltre i tavoli, i “quartieri abitabili” di una naveram erano solitamente ridicoli. Navi di quel tipo richiedevano scudi spessi e una struttura robusta. Anche a una velocità quasi-luce i viaggi interstellari duravano anni, ed equipaggio e passeggeri trascorrevano la maggior parte del tempo nel sonno freddo. Tuttavia gli Emergenti avevano svegliato tecnici e maestranze un po’ in anticipo. Avevano montato e attrezzato quell’habitat in meno di otto giorni, intanto che le navi effettuavano le ultime correzioni di rotta per entrare in orbita. La struttura era larga più di duecento metri, costruita con materiali rimorchiati fin lì per molti anni-luce.

Nell’interno c’era perfino una certa opulenza. Gli effetti estetici andavano sul classico, così era chiamato lo stile adottato dagli habitat Solari prima che i sistemi di supporto-vita fossero meglio capiti e sviluppati. Gli Emergenti erano maestri nella realizzazione di tessuti e di ceramiche, benché Ezr sospettasse che le bio-arti fossero sconosciute fra loro. I mobili e i tappeti erano fatti per mascherare la lieve curvatura del pavimento. La ventilazione era silenziosissima e studiata per dare l’effetto di un ampio spazio aperto. Non c’erano finestre panoramiche, neppure oblò del tipo a rotazione. Le pareti, nei punti in cui erano visibili, erano ornate di complessi oggetti d’arte bidimensionali (quadri a olio?). I loro colori vivaci risaltavano anche in quella mezza luce. Ezr sapeva che Trixia desiderava guardarli più da vicino. La ragazza diceva che l’arte indigena, ancor più che il linguaggio, rivelava il cuore di una cultura.

Ezr si volse a Trixia e le indirizzò un sorriso. Lei avrebbe visto che era forzato, ma agli Emergenti sarebbe apparso spontaneo. Ezr avrebbe pagato per saper esibire franchezza e cordialità come il comandante Park, che al tavolo principale stava conversando in modo affabile con il capo degli Emergenti Tomas Nau. Uno avrebbe pensato che fossero compagni di scuola. Ezr Vinh si appoggiò allo schienale e ascoltò le chiacchiere altrui, cercando di capire qualcosa di quella gente.

Non tutti gli Emergenti erano sorridenti e ciarlieri. La ragazza dai capelli rossi seduta al suo stesso tavolo, sulla sinistra; qualcuno l’aveva presentata, ma Ezr non ne ricordava più il nome. Vestiva un abito nero liscio e semplice, con una catenina d’argento al collo come unico ornamento. Era snella, di età abbastanza imprecisabile. I suoi capelli rossi potevano essere una costruzione per la serata, ma una pelle così nivea era più difficile da realizzare e probabilmente vera. Poteva essere considerata molto bella, un tipo esotico, se non fosse stato per la strana goffaggine dei movimenti e la piega dura della bocca. Spostava lo sguardo qua e là sulla gente, ma si comportava come se fosse completamente sola. Ezr notò che i loro padroni di casa non le avevano messo al fianco uno degli invitati. Per stuzzicarlo, spesso Trixia accusava Ezr di essere un gran donnaiolo, almeno nella sua immaginazione. Be’, quella femmina dall’aspetto insolito avrebbe figurato più negli incubi di Ezr Vinh che nelle sue fantasie erotiche.

Al tavolo principale, Tomas Nau si alzò in piedi. I camerieri lasciarono i tavoli e si radunarono sui lati. Gli Emergenti e gli ospiti tacquero, salvo qualcuno più assorbito dalla conversazione.

— È il momento del brindisi all’amicizia interstellare — mugolò Ezr. Trixia Bonsol gli diede di gomito, gli occhi puntati sul tavolo principale. Lui dovette reprimere un sogghigno quando il capo degli Emergenti esordì con:

— Amici, tutti noi siamo molto lontani dalle nostre case. — Allargò le braccia in un gesto che comprendeva l’intera sala del banchetto e lo spazio circostante. — Entrambi abbiamo fatto errori potenzialmente gravi. Sapevamo che il sistema solare di questa stella è bizzarro. — Stava parlando di una stella così variabile che praticamente si spegneva per la durata di 215 anni standard ogni 250. — Nel corso dei millenni gli astrofisici di molte società hanno tentato di convincere i loro governanti a mandare qui una spedizione. — Fece una pausa, sorrise. — Ovviamente, fino a oggi, il costo di un’esplorazione puramente scientifica così lontana dal Reame Umano è stato ritenuto troppo elevato. E tuttavia ora sono qui due spedizioni, simultaneamente. — Intorno ai tavoli ci furono dei sorrisetti.

Sfortunatamente, avrebbe dovuto dire. — È ovvio però che non si tratta di una semplice coincidenza. Fino a qualche anno fa non esisteva alcuna urgenza per intraprendere un’impresa del genere. Oggi invece una ragione l’abbiamo: la razza che voi chiamate i Ragni, ovvero la terza specie intelligente non-umana finora conosciuta. — E in un sistema planetario come quello era molto improbabile che la vita si fosse evoluta spontaneamente. I Ragni dovevano essere i discendenti di una razza interstellare… cosa che l’umanità non aveva mai incontrato prima. Qui potevano esserci i più preziosi tesori mai capitati a portata di mano dei Qeng Ho, e il fatto che l’attuale società dei Ragni avesse appena riscoperto la radio non era uno svantaggio: questo significava che sarebbero stati poco pericolosi da avvicinare, o non più di una società umana regredita allo stadio pre-industriale.

Nau ebbe un sorrisetto auto-deprecatorio e guardò il comandante Park. — Fino a poco fa io non avevo capito quanto fossero complementari le nostre virtù e i nostri difetti, le nostre capacità e i nostri punti deboli. Voi venite da molto lontano, ma in navi molto veloci e ben collaudate. Noi da più vicino, con mezzi di più recente realizzazione. Entrambi abbiamo inquadrato la situazione in modo sostanzialmente esatto. — I telescopi e i radiotelescopi studiavano la stella OnOff da quando l’umanità era uscita nello spazio. Da secoli si sapeva che intorno ad essa orbitava un pianeta grosso quanto la Terra, con una chimica che significava presenza di vita. Se la stella OnOff fosse stata normale, il pianeta avrebbe avuto un aspetto gradevole, non quello di una palla di neve per la maggior parte del tempo. Nel sistema non c’erano altri oggetti di massa planetaria, e gli antichi astronomi avevano già osservato che il pianeta non possedeva satelliti, Nessun altro pianeta di piccola massa, dunque, né giganti gassosi, né cinture di asteroidi… e neppure la nube cometaria. Lo spazio intorno alla stella OnOff era libero e pulito. La cosa non era sorprendente nei pressi di una variabile dal comportamento catastrofico, e senza dubbio in passato la stella OnOff doveva aver conosciuto fasi esplosive… ma allora il suo pianeta com’era sopravvissuto? Quello era soltanto uno dei misteri della stella.

Si trattava di elementi noti e per i quali erano stati fatti dei progetti. Il comandante Park aveva occupato il suo breve tempo dopo il sonno freddo in una frenetica esplorazione del sistema, e aveva prelevato alcune kilotonnellate di sostanze volatili dal mondo congelato. In realtà avevano trovato quattro oggetti materiali in orbita nel sistema… asteroidi, potevano essere chiamati, per essere generosi. Erano corpi strani, il più voluminoso raggiungeva i due chilometri di lunghezza. Si trattava di grossi diamanti, solidi e compatti. Gli scienziati Trilandesi stavano facendo a pugni per spiegarne l’origine.

Ma i diamanti non si potevano mangiare; non senza averli tagliati e sfaccettati, comunque. Senza il solito rifornimento di minerali e gas prelevati in loco, la vita a bordo della flotta sarebbe stata molto scomoda. Quei dannati Emergenti erano in ritardo su parecchie cose ma anche fortunati. A quanto pareva avevano meno scienziati e specialisti, e navi più lente… ma una gran quantità di materiali e macchinari.

Il capo degli Emergenti ebbe un sorriso benevolo e continuò: — Nel sistema della stella OnOff c’è un solo posto per rifornirsi di materie prime e di gas in abbondanza… ovvero sul mondo dei Ragni. — Guardò il suo pubblico, soffermandosi sui visitatori. — Io so che molti di voi speravano di rimandare la cosa a quando i Ragni saranno di nuovo in attività… ma il fatto di tenersi nascosti ha anche degli svantaggi, e la flotta che io comando dispone di navette da trasporto molto capaci, e macchinari pesanti. La direttrice Reynolt — Aha, pensò Ezr. Quello era il nome della donna dai capelli rossi — è d’accordo coi vostri scienziati sul fatto che gli indigeni non sono ancora progrediti oltre la realizzazione di apparecchi radio molto primitivi. Tutti i Ragni sono congelati nelle profondità del suolo, e così resteranno finché la stella OnOff si riaccenderà. — Da lì a un anno circa. La causa di quel ciclo stellare era un mistero, ma la transizione fra la luce e il buio s’era ripetuta con ritmo che variava di poco negli ultimi ottomila anni.

Seduto accanto al padrone di casa anche S.J. Park stava sorridendo, probabilmente con la stessa sincerità di Tomas Nau. Il comandante di flotta Park non era stato molto popolare presso il Dipartimento della Foresteria di Triland. Questo si doveva al fatto che aveva tagliato al massimo il periodo di pre-Volo, anche quando non si supponeva che ci sarebbe stata un’altra flotta. Park aveva fatto di tutto fuorché alimentare i ramjet col suo sangue durante la decelerazione, per precedere gli Emergenti. Così ora aveva il privilegio di poter dichiarare che era arrivato primo, ma non ci aveva guadagnato altro, a parte i diritti di proprietà sugli asteroidi di diamanti e gli atterraggi durante quali avevano prelevato una certa quantità di gas. Prima di quegli atterraggi nessuno aveva la minima idea dell’aspetto degli alieni. Nelle prime discese sul pianeta i Mercanti avevano esaminato monumenti e prelevato materiale dai depositi di spazzatura, imparando molte cose… informazioni delle quali ora potevano fare commercio.

— È tempo di cominciare a lavorare insieme — proseguì Nau. — Io non so quanto voi sappiate delle nostre discussioni degli ultimi due giorni. Sicuramente saranno circolate delle voci, I dettagli saranno presto resi pubblici, ma il comandante Park, il vostro Comitato Mercantile e io pensiamo che questa sia una buona occasione per dimostrare la nostra unità di intenti. Stiamo pianificando un atterraggio congiunto in grande stile. L’obiettivo primario è il prelevamento di un milione di tonnellate d’acqua e una massa analoga di minerali vari. Noi abbiamo navette per il trasporto pesante che possono eseguire il lavoro con relativa facilità. Come obiettivo secondario, disporremo sensori studiati per non dare alcun disturbo e raccoglieremo una certa quantità di dati culturali. Queste risorse e i risultati di questi studi saranno equamente condivisi fra le due spedizioni. Nello spazio, i nostri due gruppi useranno le rocce locali per costruire protezioni per i nostri habitat, io spero a distanza di pochi secondi-luce dal pianeta dei Ragni. — Nau guardò ancora il comandante Park. Dunque alcune cose erano ancora oggetto di discussione.

Nau alzò il bicchiere. — È ora un brindisi. Alla fine degli errori, e alla nostra amichevole collaborazione. Possa questo preludere a un futuro di prosperità per entrambi.


— Ehi, mia cara, quello che doveva essere il paranoico sono io, ricordi? Credevo che sarei miseramente perito sotto le tue feroci battute di spirito sulla mia sospettosità di Mercante.

Trixia ebbe un sorrisetto debole e non rispose subito. Durante il tragitto di ritorno dal banchetto degli Emergenti era stata insolitamente silenziosa. Adesso erano nell’alloggio di lei, su una delle navi dei Mercanti. Di solito lì era dell’umore più spigliato e spontaneo. — Il loro habitat è senza dubbio accogliente e ben fatto — disse infine.

— A paragone del nostro provvisorio lo è. — Ezr batté una mano sulla parete elastica. — Per essere una cosa che si erano portati dietro smontata, è una meraviglia. — Il provvisorio dei Qeng Ho era poco più che un gigantesco pallone diviso in sezioni. La palestra e le sale comuni erano spaziose, ma non si poteva certo dire che il posto fosse elegante. Trixia aveva due stanze comunicanti, un centinaio di metri cubi in totale. Le pareti erano lisce e semplici, ma lei aveva fatto il possibile per personalizzarle: immagini dei suoi genitori e delle sue sorelle, il panorama di un territorio verdeggiante di Triland. Buona parte della sua scrivania era occupata da foto bidimensionali d’epoca della Vecchia Terra, risalenti a prima dell’Era Spaziale. C’erano foto di Londra e di Berlino, carrozze a cavalli, aeroplani, macchine a vapore. In realtà erano insipide se paragonate ad altre analoghe venute fuori in seguito, nelle storie di altri mondi. Ma nell’Era dell’Alba tutto veniva scoperto per la prima volta. Era stata un’epoca di sogni straordinari e straordinaria ingenuità.

Quell’epoca era la specialità di Ezr, con orrore dei suoi genitori e grande perplessità dei suoi amici. E tuttavia Trixia lo capiva. L’Era dell’Alba per lei era soltanto un hobby, forse, ma amava parlare di quell’affascinante tempo antico. Ed Ezr sapeva che non avrebbe mai trovato un’altra come lei.

— Insomma, Trixia, cos’è stato a buttarti giù? Di certo non c’è niente di sospetto nel fatto che gli Emergenti abbiano alloggi ben fatti. Per la maggior parte della serata hai pensato solo a riempirti lo stomaco e spettegolare. — Lei non reagì all’offesa. — Poi è successo qualcosa. Cos’hai notato? — Ezr fece pressione sul soffitto per fluttuare più vicino al divano a muro dove sedeva lei.

— È stato… è stato un insieme di piccole cose, e… — Trixia alzò un braccio e lo prese per mano. — Tu sai che io ho l’orecchio per le lingue. — Un altro sorrisetto. — L’accento con cui parlano il nese è così simile a quello delle vostre trasmissioni da far pensare che abbiano preso molto dalla Rete Qeng Ho.

— Sicuro. Questo corrisponde a ciò che dicono loro stessi. Sono una cultura giovane, risalita in sella dopo una brutta caduta. — Sono proprio io che li sto difendendo? L’offerta degli Emergenti era stata ragionevole, perfino generosa. Proprio il genere di cosa che induceva alla cautela ogni buon Mercante. Ma Trixia aveva visto qualche altra cosa che la preoccupava.

— Sì, però avere una lingua comune rende difficili da nascondere molte cose. Io ho sentito una dozzina di frasi che rivelano rapporti autoritari in situazioni dove non sarebbe lecito aspettarseli, e non sembravano fossili linguistici sopravvissuti con un diverso significato. Gli Emergenti sono abituati a possedere la gente, Ezr.

— Stai parlando di schiavi? La loro è una società tecnologica, Trixia. Gli individui istruiti non sono buoni schiavi. Senza la loro collaborazione spontanea il sistema crolla.

Lei gli strinse la mano, non irritata, non giocosamente, ma con un’intensità che lui non le aveva mai conosciuto. — Sì, sì, ma noi non sappiamo niente di loro, a parte il fatto che giocano duro. Ho avuto un’intera serata per ascoltare il tipo coi capelli color carota seduto accanto a te, e i due che stavano alla mia destra. Il verbo “commerciare” non gli esce di bocca spontaneo. “Appropriarsi” è il solo tipo di rapporto che riescono a immaginare coi Ragni.

— Mmh. — Trixia era fatta così. Cose a cui Ezr non badava, potevano essere molto significative per lei. A volte gli sembravano irrilevanti anche dopo che lei gliene parlava. Ma a volte la spiegazione di lei era una luce che gli illuminava qualcosa di assolutamente nuovo. — Non saprei, Trixia… tu sai che anche noi Qeng Ho possiamo sembrare, uh, arroganti nel parlare quando pensiamo che i Clienti non ci stiano ascoltando.

Trixia distolse lo sguardo da lui, e per un momento osservò la foto della bizzarra abitazione della sua famiglia su Triland. — L’arroganza Qeng Ho ha messo sottosopra il mio pianeta, Ezr. Il vostro comandante Park ha liberalizzato l’iscrizione nelle scuole, aperto la colonizzazione della Foresteria… e questi sono stati soltanto effetti collaterali.

— Non abbiamo costretto nessuno a…

— Lo so. Voi non costringete nessuno. La Foresteria voleva essere parte di questa missione, e la coltivazione di certi prodotti è stato il vostro prezzo per la loro ammissione. — Ebbe un sorrisetto strano. — Io non mi sto lamentando, Ezr. Senza i Qeng Ho non sarei mai stata accettata nei programmi scolastici della Foresteria, non mi sarei laureata e non mi troverei qui. I Qeng Ho sono arroganti e presuntuosi, ma il vostro arrivo è stata anche una delle cose migliori mai accadute al mio mondo.

Ezr era rimasto in sonno freddo fino all’ultimo anno di permanenza della flotta su Triland. Le usanze dei Clienti non gli erano troppo chiare, e fino a quella sera Trixia non s’era mai molto dilungata a parlargliene. Mmh. Solo una possibilità di matrimonio per un Msec, lui non le aveva promesso di più. Aprì la bocca per dirle che…

— Aspetta! Non ho finito. Il motivo per cui ti parlo di questo è che devo convincerti di una cosa: c’è arroganza e arroganza, e io la differenza la vedo. La gente che ci ha invitato a cena sembrava capire meglio la tirannia che il libero scambio.

— E dei camerieri che mi dici? Ti sembravano servi sottomessi?

— No… piuttosto degli impiegati. So che questo non si adatta a quanto ho detto. Ma noi abbiamo visto solo un numero ridotto di Emergenti. Forse le vittime sono altrove. Però, vuoi per eccessiva fiducia, vuoi per cecità, Tomas Nau ha lasciato la loro sofferenza attaccata a tutte le pareti. — Trixia fronteggiò lo sguardo interrogativo di lui. — I quadri, dannazione!

Trixia aveva fatto un lento giro prima di lasciare la sala del banchetto, osservando uno dopo l’altro tutti i quadri. Erano bei panorami, sia di luoghi di superficie che di vasti habitat. Ciascuno aveva qualcosa di surreale nella luminosità e nella geometria, ma c’era un iper-realismo nei dettagli, precisi fino all’ultimo filo d’erba. — Gente normale, felice e creativa, non fa quadri di questo genere.

Ezr scrollò le spalle. — A me è parso che fossero opera dello stesso artista. Sono buoni nel loro genere. Scommetto che sono riproduzioni di classici antichi, come i panorami dei castelli camberrani di Deng, — Un maniaco-depressivo che contemplava il suo futuro. — I grandi artisti spesso sono pazzi o depressi.

— Parli proprio come un Mercante!

Ezr poggiò una mano su una delle sue. — Trixia, non sto cercando di litigare con te. Prima di questo invito a cena ero io quello che non si fidava di nessuno.

— E lo sei ancora, no? — La domanda era seria, senza nessuna traccia di umorismo.

— Sì. — Anche se non come lei e non per le stesse ragioni. — La disponibilità degli Emergenti nel concederci l’uso delle loro grosse navette da carico è un tantino eccessiva. — Doveva esserci stata una trattativa ben precisa in merito. In teoria le capacità scientifiche messe a disposizione dai Qeng Ho valevano quanto l’uso delle navette da carico, ma l’equazione era piuttosto sottile se il baratto era stato quello. — Sto solo cercando di capire quello che dici, e ciò che a me è sfuggito… D’accordo, supponiamo che la situazione sia pericolosa come tu la vedi. Non credi che il comandante Park e il Comitato ne siano già al corrente?

— E allora cosa stanno pensando in questo momento? Nel guardare i vostri ufficiali, durante il viaggio di ritorno in taxi, ho avuto l’impressione che fossero molto ammorbiditi verso gli Emergenti.

— Sono contenti di aver fatto un buon affare. Che cosa pensi il Comitato Mercantile, poi, io certo non lo so.

— Potresti scoprirlo, Ezr. E se questa cena è servita per mettere i paraocchi a qualcuno di loro, tu potresti esigere un’inchiesta. Lo so, lo so: tu sei un apprendista, e ci sono regole e usanze e bla bla bla. Ma la tua famiglia possiede questa spedizione.

Ezr si piegò verso di lei. — Soltanto una parte. — Era la prima volta che lei menzionava la cosa. Finallora entrambi (Ezr, almeno) avevano avuto timore di tirare in ballo la differenza delle loro possibilità economiche. A livello inconscio ciascuno aveva paura che l’altro la strumentalizzasse per avvantaggiarsi. I genitori di Ezr Vinh e due sue zie possedevano un terzo di quella spedizione: due naviram e tre navette. La Famiglia Vinh23 aveva in totale trenta navi, sparse in una dozzina di iniziative commerciali. Il viaggio su Triland era stato un investimento secondario, meritevole soltanto di un impegno relativo della Famiglia. Da lì a due o tre secoli Ezr si sarebbe riunito con la sua famiglia; per allora sarebbe stato più vecchio di dieci o quindici anni soggettivi. Gli piaceva pensare che quel giorno avrebbe potuto dimostrare ai suoi genitori che il loro ragazzo aveva fatto una buona riuscita. Nel frattempo era ancora lontano anni dal poter far sentire il suo peso. — Trixia, c’è una differenza fra essere proprietari e dirigere, specialmente nel mio caso. Se i miei genitori facessero parte di questa spedizione, sì, loro avrebbero molta influenza sulle decisioni. Ma loro sono partiti per il viaggio di Andata e Ritorno, e io sono più un apprendista che un proprietario. — Era umiliante doverlo dire così. Ma in una vera spedizione Qeng Ho non c’era molto posto per il nepotismo, anzi il contrario.

Trixia tacque per qualche momento, scrutando il volto di Ezr. E ora cos’avrebbe fatto? Lui non aveva dimenticato i cupi avvenimenti di Zia Filipa sulle femmine che si appiccicavano ai giovani Mercanti facoltosi, circuendoli e poi cercando di governare la loro vita… o peggio, occupandosi degli affari della Famiglia. Forse lei pensava di poter cominciare ad avere delle pretese. Oh, Trixia, no, ti prego.

Poi lei sorrise, un sorriso più esitante e più rapido del solito. — D’accordo. Ezr. Fai ciò che devi. Ma… posso chiederti un favore? Pensa a quello che ti ho detto. — Si girò verso di lui e gli accarezzò una guancia. Il bacio che gli diede fu dolce, esplorativo.




2


La Marmocchia lo aspettava in agguato, fuori dall’appartamento.

— Ehi, Ezr, ieri sera ti ho visto. — Questo per poco non lo fermò. Sta parlando del banchetto. Il Comitato Mercantile lo aveva fatto trasmettere a tutta la flotta.

— Certo, Qiwi. Mi hai visto sul vid. E ora mi vedi di persona. — Ezr aprì la porta ed entrò. In qualche modo la Marmocchia riuscì ad appiccicarglisi addosso abilmente e scivolò dentro, così non gli restò altro che lasciare la porta socchiusa nella speranza che lei capisse l’antifona. — Allora, che stai facendo da queste parti?

Qiwi era un genio per rigirare le domande nel modo che le faceva comodo. — Oggi abbiamo lo stesso turno, giù alle batteriche. Si comincia fra duemila secondi. Ho pensato che potremmo scendere insieme, tanto per scambiarci due pettegolezzi.

— Ah. — Ezr fluttuò svelto nella stanza da letto, e stavolta riuscì a chiuderla fuori. Si cambiò, indossando la tuta da fatica. Naturalmente la Marmocchia era ancora lì in attesa quando lui uscì.

Fece un sospiro. — Temo di non avere pettegolezzi da scambiare. — Che io sia dannato se ti ripeterò quello che mi ha detto Trixia.

Qiwi sorriso trionfante. — Be’, io sì. Andiamo. — Spalancò la porta esterna e lo invitò a precederla nel corridoio pubblico con un elegante inchino a zero-G. — Voglio confrontare le mie osservazioni con quello che hai visto tu. Ma scommetto che io ho visto molto più di te, sul serio. Il Comitato aveva tre pov, compreso quello all’ingresso… con una vista migliore di quella che avevate voi. — La ragazzina rimbalzò avanti con lui da una parete del corridoio all’altra, raccontandogli di quante volte aveva rivisto i video e di ciò che dicevano in proposito quelli con cui ne aveva parlato.

Ezr Vinh aveva conosciuto Qiwi Lin Lisolet durante il periodo pre-Volo, nell’orbita di Triland. A quel tempo era una bambina di otto anni appiccicosa in modo insopportabile, che per qualche motivo aveva scelto lui come oggetto privilegiato delle sue attenzioni. Dopo ogni turno di esercizio fisico in palestra aveva l’abitudine di raggiungerlo alle spalle e mollargli un pugno nelle costole… e più lui imprecava, più lei sembrava godersela. Una sana sculacciata le avrebbe guastato il divertimento. Ma un giovanotto non poteva prendere a sculacciate una bambina di otto anni; a Qiwi ne mancavano nove all’età in cui questo non avrebbe avuto conseguenze legali. Poi Ezr era andato in sonno freddo, come quasi tutti gli altri.


Il posto per i bambini non in sonno freddo era prima di un viaggio e dopo, non durante, insieme all’equipaggio, specialmente se si trattava dell’equipaggio ridotto di turno nel desolato spazio interstellare. Ma la madre di Qiwi possedeva il venti per cento della spedizione. La Famiglia Lisolet.17 era di tipo matriarcale, originaria di Strentmann, dall’altra parte dello spazio percorso dai Qeng Ho. Erano gente insolita sia nell’aspetto fisico che nelle usanze. Dopo la partenza da Triland un sacco di regole dovevano essere siate infrante, ma Qiwi era finita nell’equipaggio. Aveva trascorso sveglia più anni di viaggio di chiunque fra il personale di turno. L’inizio della sua adolescenza era così trascorso fra le stelle, con pochi adulti attorno, e di rado i suoi genitori. Questo solo pensiero bastava a spegnere l’irritazione di Ezr. La povera ragazzina. Comunque non era più tanto piccola. Qiwi ormai doveva essere sui quattordici anni di tempo soggettivo. E adesso i suoi attacchi fisici erano stati sostituiti da quelli verbali… una buona cosa, considerando il fisico ad alta gravità degli Strentmanniani.

Ora i due stavano scendendo lungo l’asse centrale del provvisorio. — Ehi, Raji, come va? — Qiwi salutava con un cenno o un sorriso una persona su due fra quelli che incrociavano. Nei Msec trascorsi dall’arrivo degli Emergenti il comandante Park aveva scongelato quasi metà dell’equipaggio della flotta, abbastanza personale da occuparsi di tutti i veicoli e delle armi, con sostituti pronti a intervenire. Millecinquecento persone non sarebbero state molte nel provvisorio dei suoi genitori. Qui erano una folla, anche se la maggior parte erano a bordo delle navi durante l’orario di lavoro. Con tutta quella gente non si poteva evitare di notare che gli alloggi erano realmente provvisori, date le nuove aree che venivano gonfiate di continuo. L’asse principale era già diventato il punto d’incontro di quattro enormi palloni. La superficie si curvava ogni volta che quattro o cinque persone scivolavano dentro contemporaneamente.

— Io non mi fido degli Emergenti, Ezr. Dopo tutte quelle chiacchiere su quanto gli piace essere generosi, ci taglieranno la gola.

Lui ebbe un grugnito, seccato. — Allora com’è che sei tanto di buonumore?

Fluttuarono accanto a una sezione trasparente, una vera finestra, non stratofoto. Oltre c’era il parco del provvisorio. In realtà era poco più di un grosso bonsai, ma probabilmente conteneva più spazio aperto ed esseri viventi di ogni habitat sterilizzato degli Emergenti. Qiwi si girò a guardare e per un breve momento rimase zitta. Le piante e gli animali erano forse la sola cosa che le facesse quell’effetto. Suo padre, l’ufficiale di supporto-vita della flotta, era un artista bonsai conosciuto nell’intero spazio Qeng Ho.

Ma subito la ragazzina tornò al presente. Il suo sorriso sfolgorò imperturbabile. — Questo perché noi siamo Qeng Ho, se pensi un momento a cosa vuol dire! Abbiamo migliaia di anni di vantaggio su questi nuovi arrivati. “Emergenti” dei miei stivali! Questi sono emersi al punto in cui si trovano perché hanno ascoltato la parte pubblica delle Rete Qeng Ho. Senza la Rete andrebbero ancora in giro con piume di gallina fra i capelli e le pitture di guerra sulla faccia, fra le macerie della loro civiltà crollata.

Il passaggio si restrinse e curvò verso il basso. Dietro e sopra di loro le voci della gente erano attutite dallo spessore delle pareti elastiche. Quella era la sentina del provvisorio. Oltre al sistema fognario e alle pile c’era una delle cose necessarie alla vita del provvisorio: la fossa batterica.

Il lavoro era abbastanza sporco, uno dei più infimi, e consisteva nella pulitura dei filtri batterici delle idroponiche. Lì l’odore delle piante non era più tanto gradevole. In effetti, il buono stato di salute delle coltivazioni era segnalato da un forte odore di marciume. La maggior parte dei lavori potevano essere fatti dalle macchine, ma lì erano necessarie osservazioni e decisioni che esulavano dalle capacità degli automatismi più evoluti, e nessuno aveva ancora realizzato sonde adatte telecomandate. Era, fra l’altro, un lavoro di responsabilità. Un errore poteva causare la fuoriuscita di una catena batterica attraverso le membrane, nello strato superiore e nelle vasche. Così il cibo avrebbe assunto il sapore del vomito e l’odore sarebbe dilagato nel sistema di ventilazione. A ogni modo era improbabile che un errore provocasse dei decessi; c’erano sempre le batteriche delle fogne e dei serbatoi, isolate le une dalle altre.

Così quello era un posto dove si imparavano certe cose basilari, ideale secondo gli standard degli insegnanti più duri. Era sgradevole, fisicamente scomodo, e un errore poteva appiccicare al colpevole una reputazione che l’avrebbe seguito per molto tempo.

Qiwi s’era messa in lista per fare dei turni extra alle batteriche. A sentirla, quel posto le piaceva. — Mio padre dice che bisogna cominciare con le cose viventi più piccole, prima di avere a che fare con quelle grosse. — La ragazzina era un’enciclopedia per ciò che riguardava i batteri, i percorsi metabolici collegati e le catene di microrganismi che sarebbero state danneggiate da ogni contatto umano.

Nel primo Ksec, Ezr rischiò di fare un paio di errori. Rimediò per tempo, naturalmente, ma Qiwi se ne accorse. In un’altra occasione lo avrebbe preso in giro senza pietà. Ma quel giorno la ragazzina era presa dai suoi sospetti sui piani degli Emergenti. — Tu lo sai perché noi non abbiamo portato navette da carico pesanti?


Le loro due navette più grosse potevano trasportare un migliaio di tonnellate dalla superficie all’orbita. Col tempo e la pazienza sarebbero state in grado di portare su tutto il gas e le materie prime di cui c’era bisogno. Ma il tempo era ciò che l’arrivo degli Emergenti aveva tolto loro. Ezr scrollò le spalle e tenne lo sguardo sulla vaschetta che stava svuotando. — Ho sentilo anch’io le voci.

— Bah. Non dovresti confonderti con le voci. Potresti capire la verità, se solo tu facessi due più due. Il comandante di flotta Park già sapeva che avremmo avuto compagnia. Così ha portato un minimo di scialuppe e di habitat. E ha caricato un bel po’ di armi e di roba nucleare.

Forse. — Senza dubbio.

— Il guaio è che questi dannati Emergenti ci stanno troppo vicino. Hanno portato una quantità di roba più di noi, e sono arrivati alle nostre calcagna.

Ezr non rispose, ma non ce n’era bisogno.

— A ogni modo io ho sentito come la pensa la gente. Dobbiamo stare molto, ma molto attenti. — E Qiwi cominciò a parlare di tattiche militari e a speculare sui sistemi d’arma degli Emergenti. Sua madre era la vice comandante della flotta, ma anche un’armiera. Un’armiera Strentmanniana. Buona parte del tempo in cui la Marmocchia era stata sveglia, in viaggio, l’aveva trascorso studiando matematica, traiettorie e ingegneria. Le batteriche e il bonsai erano opera dell’influenza di suo padre. Poteva passare dall’armiera assetata di sangue alla mercantessa avida e all’artista bonsai, tutto nello spazio di pochi secondi. Come pensavano di poterla maritare, i suoi genitori? Che razza di figlia solitaria e preoccupata avevano tirato su? — Dunque gli Emergenti possiamo batterli, in uno scontro faccia a faccia — disse Qiwi. — E loro lo sanno. Ecco perché fanno tanto i simpaticoni. Di conseguenza dobbiamo giocare su questa situazione: le loro navette pesanti ci servono. Dopo, se loro terranno fede ai patti potranno arricchire, ma noi arricchiremo di più. Se le cose andranno dritte, potremo avere un effettivo controllo di questa operazione,

Ezr finì una routine e prese un’altra vaschetta. — Be’ — disse, — Trixia pensa che loro non vedano affatto la cosa come un’operazione commerciale.

— Mmh. — Era divertente il fatto che Qiwi criticasse tutto quel che riguardava Ezr, salvo Trixia. In genere ignorava gli accenni a Trixia, come se lei non esistesse. Stavolta fu insolitamente silenziosa. Per quasi un intero secondo. — Credo che la tua amica abbia ragione. Senti, Ezr, non dovrei essere io a dirti questo, ma nel Comitato Mercantile c’è una frattura. — A meno che sua madre non avesse parlato troppo, questa era una sua fantasia. — La mia ipotesi è che nel Comitato ci sono degli idioti convinti che questa sia solo una trattativa d’affari, con ognuna delle due parti che fa del suo meglio verso uno scopo comune… e come al solito la nostra parte s’illude di essere la più astuta. Non capiscono che, se quelli ci fanno fuori, poi importerà poco quali conseguenze ci saranno sulla Rete. Noi dobbiamo fare il gioco duro, e star pronti a ogni tranello.

Nel suo modo più sanguinario Qiwi la pensava come Trixia. — Mia madre non ha voluto dirlo chiaro, ma quelli potrebbero spingerci in un vicolo cieco. — Lo guardò con aria da cospiratrice. — Tu sei un proprietario, Ezr. Tu potresti parlare a…

— Qiwi!

— Sì, certo, certo. Non dico altro. Non dico altro.

La ragazzina lo lasciò ai suoi pensieri per un centinaio di secondi, poi ricominciò a parlare dei suoi piani per trarre un profitto dagli Emergenti. — Se usciamo vivi dai prossimi Msec, naturalmente. — Se il mondo dei Ragni e la stella OnOff non fossero esistiti, gli Emergenti sarebbero stati la scoperta del secolo per i Qeng Ho in quella zona di spazio. Dopo aver visto come svolgevano le loro manovre d’arrivo era chiaro che disponevano di una speciale capacità con gli automatismi e i sistemi di pianificazione. Tuttavia le loro navi erano veloci la metà di quelle Qeng Ho, e la loro bioscienza altrettanto arretrata. Qiwi aveva un centinaio di piani per trarre vantaggio dalla cosa.

Ezr lasciò che le chiacchiere di lei gli entrassero da un orecchio per uscire dall’altro. Se non fosse stato di turno con lei avrebbe potuto pensare ai fatti suoi mentre faceva automaticamente il lavoro manuale. Quel giorno non c’era verso. I prossimi pochi Ksec sarebbero stati vitali per progetti che spaziavano nell’arco di secoli, e per la prima volta lui si interrogò sulla competenza di chi dirigeva la flotta. Trixia era un’estranea ma intelligente e con punti di vista diversi da quelli dei Mercanti di lunga vita. La Marmocchia era molto sveglia, ma di solito le sue opinioni valevano poco. Stavolta… forse sua madre le aveva dato l’imbeccata. I punti di vista di Kira Pen Lisolet s’erano formati lontano, e tuttavia pur sempre nello spazio Qeng Ho; forse pensava che un’apprendista adolescente potesse influenzare le cose, dato che lui apparteneva a una famiglia di proprietari. Dannazione…

Il turno trascorse senza altre intuizioni utili. Da lì a duemila secondi Ezr sarebbe tornato di sopra. Se avesse saltato il pranzo avrebbe avuto il tempo di cambiarsi d’abito… e di chiedere un appuntamento al comandante Park. Nei due anni di tempo soggettivo dacché faceva parte della spedizione, non aveva mai fatto appello ai privilegi della sua famiglia. Ma a cosa potrei servire, ora? Potrei davvero risolvere una situazione di stallo? Ruminò quell’ipotesi fino alla fine del turno. La stava ancora ruminando quando chiuse i pannelli delle batteriche, e poi… chiamò la segreteria degli appuntamenti del comandante.

Il sogghigno di Qiwi era più insolente che mai. — Diglielo in faccia, Ezr. Questa operazione è pane per i denti di un armiere.

Lui le accennò di tacere. Poi si accorse che la sua chiamata non veniva inoltrata. Quel dannato congegno s’era bloccato? Per un istante ne fu sollevato, poi vide a schermo che s’era scontrata con un ordine diretto a lui… dall’ufficio del comandante di flotta. «L’apprendista Ezr Vinh è pregato di presentarsi alle 5.20.00 nella sala pianificazioni del comandante di flotta…» Qual era l’antica imprecazione su chi stava pensando al diavolo? I pensieri di Ezr Vinh erano mugolii udibili da tutti quando si spinse verso i portelli dei taxi del provvisorio.

Qiwi Lin Lisolet non era più alle sue calcagna: saggia ragazzina.


Non si trattava di un colloquio con qualche ufficiale dello staff. Quando Ezr fu introdotto nella sala pianificazioni, a bordo della NQH Pham Nuwen, c’era il comandante di flotta… e con lui i membri del Comitato Mercantile in seduta. Non avevano un’aria entusiasta, notò mentre andava ad ancorarsi alla ringhiera. Senza parere li contò con un rapido sguardo. Sì, c’erano tutti. Fluttuavano immobili intorno al tavolo da riunioni, e non sembravano amichevoli nei suoi confronti.

Park gli aveva accennato di fermarsi alla ringhiera con un cenno alquanto brusco. — Riposo, apprendista. — Trecento anni addietro, quando Ezr ne aveva appena cinque, il comandante Park era venuto in visita al provvisorio della Famiglia Vinh nello spazio di Camberra. I suoi genitori gli avevano fatto un’accoglienza principesca, benché lui non fosse ancora un proprietario di navi anziano. Ezr ricordava ancora di aver ricevuto dei doni da quello che gli era parso un tipo simpatico e amichevole.

Al loro incontro successivo Ezr aveva diciassette anni, stava per diventare apprendista, e Park era occupato a organizzare la flotta per Triland. La differenza era stata enorme. Da allora s’erano detti forse un centinaio di parole, e soltanto in occasioni formali come le cene e i trattenimenti della flotta. Ezr era stato lieto di rimanere nell’anonimato; cosa non avrebbe pagato per esserci ancora.

Il comandante Park aveva l’aria di chi ha appena ingoiato un boccone amaro. Girò lo sguardo sui membri del Comitato Mercantile ed Ezr si chiese con chi di loro ce l’avesse. — Giovane V… apprendista Vinh, ci troviamo in un dannato… in una insolita situazione, qui. Lei capisce quanto siano delicati certi equilibri, dopo l’arrivo degli Emergenti. — Il comandante non si aspettava una risposta a questo punto, e il «Sì, signore» di Ezr gli morì in bocca. — A questo punto abbiamo diverse possibili linee di condotta. — Di nuovo un’occhiata ai membri del Comitato.

Ed Ezr capì che Qiwi Lisolet non aveva parlalo a sproposito. Un comandante di flotta aveva l’autorità suprema in situazioni tattiche, e di norma il diritto di veto sugli obiettivi strategici. Ma per cambiamenti di rilievo negli scopi di una spedizione era alla mercé del Comitato Mercantile. E in questo, qualcosa era andato storto. Non una cosa di poco conto; il comandante aveva l’autorità di decidere cambiamenti minori. No, qui le possibilità commerciali erano finite in un vicolo cieco, oppure c’era un ammutinamento proprio nel massimo organismo direttivo. Era una situazione su cui gli insegnanti di scuola preferivano tenersi nel vago. Ma era chiaro che, se fosse accaduta, un esponente di una famiglia di proprietari poteva far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. O essere un utile capro espiatorio.

— Prima possibilità — continuò Park, ignaro delle fosche ipotesi che scivolavano nella mente di Ezr. — Noi facciamo il gioco proposto dagli Emergenti. Operazioni congiunte. Controllo congiunto di tutti i veicoli impegnati in questa prossima operazione in superficie.

Ezr scrutò le espressioni dei membri del Comitato. Kira Pen Lisolet fluttuava sulla poltroncina accanto a quella del comandante di flotta. Indossava la solita uniforme verde esibita da tutti quelli della sua famiglia. Era piccola di statura, come Qiwi, seria e composta. Ma dava un’impressione di grande energia. Il tipo fisico Strentmanniano era estremo anche secondo gli standard molto elastici dei Qeng Ho. Alcuni Mercanti erano orgogliosi della loro capacità di restare impassibili. Non Kira Pen Lisolet. Lei detestava la prima possibilità esposta da Park, come la detestava sua figlia Qiwi.

Lo sguardo di Ezr si spostò su un’altra faccia nota. Sum Dotran. I dirigenti di quel livello erano una élite. I proprietari attivi erano pochi, e in genere gli altri facevano in modo di avere sempre un controllo a distanza sulle loro navi assumendo dei professionisti nella programmazione commerciale. Molti Mercanti anziani esperti e smaliziati non amavano essere proprietari e preferivano fare i dirigenti al servizio di altri. Sum Dotran era di questi. Parecchi anni addietro aveva lavorato anche per la famiglia Vinh. Ezr si convinse che anche lui era contrario alla prima possibilità esposta da Park.

— Seconda possibilità: strutture di controllo separate, nessun atterraggio congiunto. E appena possibile ci mettiamo in contatto diretto coi Ragni. — E poi, che il Dio del Commercio decidesse chi doveva vincere di più e chi di meno. Con tre giocatori in campo, i vantaggi ottenuti da chi avesse tradito sarebbero diminuiti drasticamente, poiché la terza parte non avrebbe avuto più alcuna fiducia nell’interlocutore così impostosi. Naturalmente gli Emergenti avrebbero potuto giudicare un’iniziativa unilaterale dei Qeng Ho come un tradimento in se stessa. Peggio per loro. A Ezr parve che almeno metà del Comitato sostenesse questa ipotesi… ma non Sum Dotran. Il vecchio inarcò un sopracciglio verso Ezr, rendendo chiaro questo fatto.

— Terza possibilità: impacchettiamo i nostri provvisori e ce ne torniamo a Triland.

Lo sguardo stupito di Ezr doveva essere ovvio per tutti. Sum Dotran gli spiegò: — Giovane Vinh, ciò che il comandante vuol dire è che gli Emergenti sono più di noi, e forse anche meglio armati. Nessuno di noi si fida di questa gente,e se ci attaccassero non ci sarebbe modo di fare ricorso ad altri. È troppo rischioso…

Kira Pen Lisolet batté una mano sul tavolo. — Obiezione! Tanto per cominciare, indire questa riunione è stato assurdo. Peggio, anzi, ora che vediamo come Sum Dotran la usa per imporre i suoi punti di vista. — Così finiva dunque l’ipotesi che Qiwi avesse incitato Ezr a farsi avanti per ordine di sua madre.

— Entrambi state infrangendo il regolamento! — Il comandante Park fissò severamente il comitato. — Quarta possibilità: un attacco preventivo contro la flotta degli Emergenti, per assicurarsi questo sistema solare.

— Per tentare di assicurarcelo — lo corresse Dotran.

— Obiezione! — esclamò ancora Kira Pen Lisolet. Mosse una mano per dare il via a una sua proiezione. — Un attacco preventivo è la sola mossa sicura.

La proiezione di Lisolet non era un panorama o una veduta dall’alto del mondo dei Ragni. Non era neppure uno dei grafici su cui si consumava l’attenzione dei pianificatori. No, questi erano diagrammi navali interplanetari che mostravano posizione e vettori di velocità delle due flotte, in relazione al pianeta dei Ragni e alla stella OnOff. Altri segni delineavano le posizioni future dei due sistemi di coordinate. Erano etichettati anche gli asteroidi di diamante. C’erano poi altri indicatori, simboli militari tattici, annotazioni sulle contromisure a base di missili e armi elettroniche.

Ezr guardò il display e cercò di ricordare i suoi corsi scolastici di scienza militare. Le voci sul carico segreto del comandante Park erano vere. La spedizione Qeng Ho aveva i denti, più lunghi e aguzzi di qualunque normale flotta commerciale. E gli armieri Qeng Ho avevano avuto il tempo di prepararsi e con ogni evidenza lo avevano usato, fin da quando ancora non sapevano che la stella OnOff era un territorio aperto senza alcun nascondiglio reale né posto in cui organizzare un’imboscata.

Poi c’erano gli Emergenti: i simboli militari riuniti intorno alle loro navi erano solo un insieme di possibilità. L’automazione di cui disponevano era strana, forse superiore a quella Qeng Ho. Avevano portato con sé una quantità doppia di materiali, e l’ipotesi più solida era che avessero anche il doppio di armi.

L’attenzione di Ezr tornò a quelli seduti intorno al tavolo. Chi, a parte Kira Lisolet, optava per un attacco preventivo? Ezr aveva studiato strategia da ragazzo, ma l’assassinio a tradimento era a suo avviso un atto che stava fra la malattia mentale e la malvagità pura, nulla che un onesto Qeng Ho dovesse pianificare, neppure per autodifesa. Vedere un Comitato Mercantile che soppesava lo sterminio era una cosa… che lui non avrebbe dimenticato.

Il silenzio si fece lungo, pesante. Stavano aspettando che lui aprisse bocca? Infine il comandante Park disse: — Lei ha certo capito che qui siamo in stallo, apprendista Vinh. Lei non ha diritto di voto, non ha esperienza, manca della conoscenza dettagliata della situazione. Senza offesa, le dico francamente che mi imbarazza averla qui in questa riunione. Ma fra i membri dell’equipaggio lei è il solo a essere proprietario. Di due delle nostre navi. Se lei ha un consiglio a sostegno di una delle nostre opzioni, saremo… lieti di ascoltarlo.

L’apprendista Ezr Vinh era una piccola pedina sulla scacchiera, ma adesso si trovava al centro dell’attenzione. E cos’avrebbe dovuto dire? Nella sua mente roteava un milione di domande.

A scuola aveva seguito un corso di decisioni rapide, ma nelle esercitazioni gli davano più tempo e più informazioni di quel che aveva adesso. Naturalmente questa gente non si aspettava un’analisi seria da lui, né gli interessava. Quel pensiero lo spinse quasi sull’orlo del panico.

— Qua… quattro possibilità, comandante di flotta? Non ce ne sono altre minori, non emerse in questa riunione?

— Nessuna che abbia il sostegno mio o del Comitato.

— Mmh. Lei ha parlalo più di una volta con gli Emergenti. Cosa pensa del loro capo, questo Tomas Nau? — Era il genere di domanda che lui e Trixia s’erano posti. Ezr non avrebbe mai immaginato di farla al comandante in persona.

Park strinse le labbra, e per un attimo Ezr pensò che sarebbe esploso. Poi annuì. — È un uomo intelligente. Il suo bagaglio tecnico è inferiore a quello richiesto a un comandante di flotta Qeng Ho. È un fine studioso di strategie militari, benché non necessariamente quelle che conosciamo noi… il resto sono ipotesi e intuizioni, anche se penso che il Comitato Mercantile sia d’accordo su questo: io non mi fiderei a stringere alcun accordo commerciale con Tomas Nau. Penso che ci tradirebbe anche per un profitto molto limitato. È scivoloso, un bugiardo consumato che non dà il minimo valore ai vantaggi futuri che comporterebbe un accordo commerciale fatto qui. — E questo era il giudizio più dannatamente duro che un Qeng Ho avrebbe potuto dare su un qualsiasi essere vivente. Ezr pensò in quel momento che il comandante Park era uno dei fautori dell’attacco preventivo. Guardò Sum Dotran, poi di nuovo Park. I due dei quali si sarebbe fidato di più erano fuori dalla sua mappa di comportamento, e ai due estremi opposti! Santo Iddio, voialtri vi rendete conto che io sono soltanto un apprendista?

Ezr fece tacere quel lamento interiore. Esitò ancora un secondo, riflettendo con calma, poi: — Data la sua affermazione, signore, io sono contrario alla prima possibilità, quella delle operazioni congiunte. Ma mi oppongo anche all’idea dell’attacco preventivo, dal momento che…

— Eccellente decisione, ragazzo mio — lo interruppe Sum Dotran.

— … dal momento che è cosa in cui i Qeng Ho hanno poca esperienza, per quanto accuratamente lo si possa pianificare.

Questo lasciava due possibilità: tagliare la corda, oppure restare collaborando al minimo con gli Emergenti, per poi contattare i Ragni alla prima opportunità. Anche se obiettivamente giustificata, la ritirata avrebbe imposto alla loro spedizione il marchio di un abbietto fallimento. E considerata la situazione del carburante, il ritorno sarebbe stato quanto mai lento.

A meno di un milione di chilometri da loro c’era il più grande mistero di quella parte dello Spazio Umano. Avevano viaggiato per cinquanta anni-luce, fino a contatto di quella tentazione. Grandi obiettivi, grandi rischi. — Signore, rinunciare adesso significa andare in perdita senza aver fatto un reale tentativo di andare in vincita. Non sentirci sicuri è normale. Mi preoccuperei di più se vedessi il contrario. — Dopotutto anche i Qeng Ho avevano le loro leggende di guerra: Pham Nuwen aveva vinto la sua parte di battaglie. — Io… il mio consiglio è di restare qui.

Silenzio. Ezr ebbe l’impressione di vedere del sollievo sulla maggior parte delle facce. La vice comandante di flotta Lisolet appariva truce come prima. Sum Dotran non fu altrettanto riservato: — Ragazzo mio, la prego. Ci rifletta meglio. La sua famiglia ha due astronavi a rischio, qui. Non è una vergogna rinunciare prima che le perdite siano davvero gravi. Anzi, è saggezza. Gli Emergenti sono troppo pericolosi per…

Park fluttuò via dal suo posto a tavola. Si fermò accanto a Sum Dotran e gli appoggiò gentilmente una mano su una spalla. La sua voce fu morbida: — Spiacente, Sum. Lei ha fatto tutto quel che poteva. Ci ha perfino indotto a consultare un giovane proprietario. Ora è il momento… per tutti noi… di metterci d’accordo e di procedere.

La faccia di Dotran era contorta in una smorfia preoccupata. Per un momento l’uomo tacque e cercò di controllarsi, poi fece un sospiro. All’improvviso sembrava assai più vecchio e stanco. — E va bene, comandante.

Park fluttuò di nuovo al suo posto ed elargì a Ezr uno sguardo impassibile. — Grazie per il suo consiglio, apprendista Vinh. Mi aspetto che lei mantenga confidenziale questo colloquio.

— Sì, signore. — Ezr afferrò la ringhiera.

— Può andare.

La porta si aprì, dietro di lui. Ezr si spinse via dalla ringhiera, Mentre oltrepassava la porta vide che il comandante aveva già ripreso a parlare ai membri del Comitato. — Kira, provveda a far mettere un armamento adeguato su tutte le navette. Forse possiamo persuadere gli Emergenti che la collaborazione fra i velivoli è pericolosa, date le differenze tecniche…

La porta si chiuse, nascondendo il resto della frase. Ezr era sopraffatto dal sollievo e dal nervosismo nello stesso tempo. Con un anticipo di almeno una quarantina d’anni su quanto si sarebbe aspettato, lui aveva partecipato a una decisione della flotta. Non era stato divertente.





3


Il pianeta dei Ragni — Arachna, come cominciavano a chiamarlo alcuni — aveva un diametro di 12.000 km, e una gravità di 0,95 G. La sua massa interna era di roccia completamente solida, ma sulla superficie era sparsa una quantità di sostanze volatili sufficiente per degli oceani e un’atmosfera respirabile. Un solo particolare gli impediva di essere un eden planetario di tipo terrestre: l’assenza di luce solare.

Erano trascorsi più di duecento anni dall’ultima volta che la stella OnOff, il sole di quel mondo, era entrata nella fase “Off’’. Da oltre duecento anni la sua luce, su Arachna, non era più brillante di quella delle stelle più lontane.

La navetta da sbarco di Ezr si mise in volo orizzontale sopra quello che in un’epoca più calda doveva essere un vasto arcipelago. L’evento principale era in corso sull’altra faccia del pianeta, dove gli equipaggi delle navette pesanti stavano scavando e caricando qualche milione di tonnellate di oceano congelato e di materie prime. A Ezr non importava di perdersi quello spettacolo; l’aveva già visto altrove. Ma la sua piccola navetta poteva essere quella che avrebbe fatto l’atterraggio storico…

Le immagini proiettate nella cabina passeggeri erano una semplice veduta naturale in presa diretta. Il territorio che scorreva sotto il velivolo era una distesa nera e grigia, con chiazze bianche che rilucevano debolmente. Forse era uno scherzo della sua fantasia, ma Ezr aveva l’impressione di vedere vaghe ombre proiettate da OnOff. Doveva essere colpa della dirupata conformazione del suolo, fatto di crepacci, picchi montani e improvvisi baratri che si spalancavano nelle distese di neve. Gli sembrava anche di scorgere immagini ad arco che circondavano le isole: onde di pressione, dove l’oceano s’era congelato attorno alla roccia solida?

— Ehi, almeno proietta un altimetro su questa roba — disse la voce di Benny Wen dietro una spalla di Ezr, e subito un reticolo di isoipse rosse si sovrappose al panorama. Le linee di livello corroborarono le intuizioni di Ezr sulle irregolarità del suolo.

Con un gesto Ezr spazzò di nuovo via le isoipse. — Quando la stella è nella fase On, laggiù ci sono milioni di Ragni. Uno penserebbe di poter vedere qualche segno di civiltà.

Benny sbuffò. — Cosa ti aspetti di vedere, con una visione al naturale? Quasi tutto quello che rimane allo scoperto sono le cime delle montagne. La superficie delle pianure è sepolta da chissà quanti metri di neve d’ossigeno e azoto. — In effetti un’atmosfera media tipo-Terra poteva formare, congelandosi, uno strato alto dieci metri di aria-neve, se equamente distribuita. Molti dei luoghi dove si poteva stimare più probabile l’esistenza di città (golfi, foci di fiumi) erano invece sepolti da diverse dozzine di metri di neve. Tutti i precedenti atterraggi erano avvenuti in zone relativamente elevate, dov’era più probabile trovare miniere e piccoli insediamenti. Soltanto poco prima dell’arrivo degli Emergenti era stato individuato il luogo verso cui la navetta si stava dirigendo.

Le terre continuavano a scorrere sotto di loro, immerse nel buio. C’erano perfino dei ghiacciai. Ezr si chiese quando avessero avuto il tempo di formarsi. Che fossero di aria congelata?

— Dio di Tutti i Commerci, guarda laggiù! — Benny stava indicando a sinistra. Sull’orizzonte c’era un minuscolo bagliore rosso. Fecero uno zoom. La luce continuò a restare piccola e si fece sempre meno visibile. Lo si sarebbe detto un incendio, anche se era difficile capire cosa potesse bruciare fra quei ghiacci. Poi scomparve, ed Ezr ebbe l’impressione che qualcosa si fosse interposto. — Qui ho un’immagine migliore, dall’orbita — disse il capoequipaggio Diem dal fondo del compartimento. Non la trasmise agli altri. — È un vulcano. Sta eruttando,

Ezr continuò a seguire l’immagine che aveva. C’era qualcosa di scuro che si alzava nell’aria sopra il bagliore rosso, forse un geyser di lava, o più probabilmente di aria decongelata e acqua, che sembrava disperdersi nello spazio, — Questa è una novità inaspettata — commentò Ezr. Il cuore del pianeta era freddo e morto, ma dovevano esserci ancora sacche di magma nel mantello, sotto la crosta. — Tutti sono così sicuri che i Ragni siano in letargo sotto il ghiaccio. E se invece alcuni di loro fossero rimasti attivi e al caldo, vicino a vulcani come quello?

— Non è probabile. Abbiamo eseguito esplorazioni IR precise e dettagliate. Avremmo potuto individuare qualsiasi insediamento intorno a un punto caldo. Inoltre, i Ragni hanno appena inventato la radio prima dell’ultima glaciazione. Non sono tecnicamente in grado di uscire in un ambiente vuoto e gelido come questo.

Quella conclusione era basata su pochi Msec di ricezioni e su quel che si sapeva della chimica della vita intelligente. — Può darsi — ammise Ezr, continuando a guardare ciò che restava del bagliore rosso finché scomparve oltre l’orizzonte. Più avanti c’erano cose di maggiore interesse. La loro ellisse di atterraggio li portava sempre più in basso, ed erano ancora senza peso. Quello era un pianeta di massa terrestre, ma non c’era un’atmosfera a rallentarli. Stavano volando a otto chilometri al secondo, ad appena duemila metri dal suolo. C’erano montagne che giungevano quasi alla loro altezza, e catene di cresta che passavano via sempre più vicine. Dietro di lui Benny stava emettendo dei borbottii, come ogni volta che qualcosa lo faceva sentire a disagio. Ezr trattenne il fiato quando l’ultima catena di alture passò sotto la navetta, a una distanza che gli parve di pochi metri. Questa dannata ellisse di discesa va bene per una sonda non pilotata, non per degli uomini.

Poi il jet principale si accese davanti alla prua.


Ci vollero altri 30 Ksec per scendere nel luogo che Diem aveva scelto per l’atterraggio. Non era dei più comodi. L’unico posto adatto a parcheggiare la navetta era a mezza altezza su un versante montagnoso abbastanza libero dal ghiaccio. Il loro obiettivo si trovava sul fondo di una stretta valle. Sarebbe stato logico aspettarsi che il fondovalle fosse sepolto sotto un centinaio di metri d’aria congelata, ma grazie a qualche scherzo della topografia e del clima lo strato era di appena mezzo metro. E seminascosti fra gli spunzoni di roccia della valle c’era il più vasto insieme di edifici scoperto fino a quel momento. C’erano buone probabilità che lì ci fosse l’ingresso di una delle più vaste caverne di ibernazione dei Ragni; a ogni modo quella doveva essere una delle città abitate durante il periodo caldo di OnOff, e qualunque cosa si fosse appresa lì sarebbe stata determinante per ogni progetto futuro. Dati gli accordi per lo scambio di informazioni, anche l’esistenza di quel sito era stata comunicata agli Emergenti…

Ezr non aveva saputo niente delle decisioni raggiunte nella seduta del Comitato Mercantile. Diem sembrava fare tutto il possibile per celare il loro arrivo in superficie agli indigeni, proprio come gli Emergenti si sarebbero aspettato. Il luogo di atterraggio sarebbe stato coperto da una valanga subito dopo la loro partenza. Anche le loro impronte sarebbero state cancellate con cura, benché questo non fosse strettamente necessario.

Per combinazione, OnOff era presso lo zenith quando la squadra raggiunse il fondovalle. Nella “stagione soleggiata” quello sarebbe stato il mezzodì. Ora la stella dava luce quanto una debole luna rossastra del diametro di mezzo grado appena. Senza amplificatori quella luce era a malapena sufficiente a delineare i contorni e il terreno, liscio come una comune distesa di neve.

La squadra s’incamminò su quella che sembrava la strada principale; cinque uomini in tuta a pressione e un robot a zampe articolate. Vaghe nuvolette di vapore si alzavano ogni volta che i punti meno perfettamente isolati delle loro tute venivano a contatto coi gas congelati. Quando si fermavano per più di un minuto era importante non farlo nella neve alta, per non trovarsi in breve avvolti da una nebbia di sublimazione. Ogni dieci metri mettevano al suolo un sensore sismico su un risuonatore. Quando fossero stati posizionati tutti, avrebbero rivelato un quadro preciso della caverne della zona. L’obiettivo primario di quell’atterraggio era tuttavia farsi un’idea di quel che c’era negli edifici. La loro maggiore speranza: materiale scritto, fotografie. Trovare un abbecedario illustrato per bambini avrebbe significato per Diem una promozione certa.

Ombre rossastre su sfondi grigi e neri. Ezr andava avanti senza potenziare le immagini, colpito dalla strana bellezza del posto. Quello era un luogo dove i Ragni avevano vissuto. Su entrambi i lati gli edifici erano ombre poco più chiare delle altre. Erano quasi tutti a uno o due piani, ma anche in quella scarsa luce non si potevano confondere con costruzioni di fattura umana. Anche le porte più piccole erano molto larghe, e la loro altezza non superava quasi mai il metro e mezzo. Le finestre (tutte accuratamente chiuse: quello era un luogo abbandonato da proprietari che intendevano ritornare) erano altrettanto basse e larghe.

Ezr guardò quelle finestre simili a feritoie orizzontali e si chiese cos’avrebbe fatto vedendo una luce filtrare da quelle imposte. La sua immaginazione corse subito alla possibilità di un incontro. E se la loro presunzione di essere superiori si fosse rivelata un tragico errore? Quelli erano alieni. Era improbabile che la vita fosse nata su un mondo così anomalo. Un tempo i Ragni dovevano aver conosciuto il volo interstellare. Il territorio frequentato dai Qeng Ho era largo quattrocento anni-luce, ed essi avevano mantenuto una presenza continua in ogni suo angolo per migliaia d’anni. I Qeng Ho avevano rilevalo trasmissioni di creature intelligenti lontane migliaia, e in molti casi milioni, di anni-luce, per sempre oltre ogni possibilità di contatto o di conversazione. I Ragni erano la terza razza intelligente incontrata fisicamente dall’umanità. La prima s’era estinta milioni di anni addietro, la seconda non era ancora arrivata alla tecnologia industriale e meno che mai al volo spaziale.

I cinque esseri umani che camminavano fra gli oscuri edifici dalle finestre a feritoia erano più vicini a scrivere la storia di quanto Ezr potesse immaginare. Armstrong sulla Luna, Pham Nuwen a Brisgo Gap… e ora Vinh, Wen, Patil, Do e Diem che passeggiavano per le strade dei Ragni.

Nel traffico radio di sottofondo che Ezr aveva nel casco ci fu una pausa, e per poco i soli rumori furono lo scricchiolio delle scarpe che affondavano nella neve e il suo respiro. Poi le voci a basso volume ripresero a farsi udire, e li diressero lungo uno spazio aperto e verso un’estremità della valle. Evidentemente gli analisti pensavano che quello stretto crepaccio verticale fosse l’ingresso delle caverne dove i Ragni locali erano presumibilmente ricoverati.

— Questo è strano — disse una delle loro voci anonime. — I sismo rilevano qualcosa… stanno sentendo qualcosa… nell’edificio alla vostra destra.

Ezr si girò di scatto e scrutò nella penombra. Non vide niente, e gli orecchi non potevano dirgli niente nel vuoto pneumatico.

— Che sia stato il robot? — domandò Diem.

— Forse è solo un assestamento delle fondamenta — disse Benny.

— No. no, questo è stato un rumore troppo nitido, come un click… ora riceviamo un battito regolare, come una pompa idraulica. Le analisi di frequenza… sì, sembra una cosa meccanica, parti in movimento o roba del genere. Oh… adesso si è di nuovo fermato, a parte una vibrazione residua. Capoequipaggio Diem, il rumore è stato ben triangolato. Si trova all’angolo più lontano dell’edificio che ora state guardando, quattro metri più in alto del livello stradale. Vi mando un marcatore.

Ezr Vinh e gli altri, avanzarono per una trentina di metri seguendo il marcatore (una freccia gialla) che fluttuava sul visore dei loro caschi. Era divertente la furtività dei loro movimenti, ora, anche se erano all’aperto e in piena vista di chiunque si fosse affacciato dall’edificio.

Il marcatore li portò dietro l’angolo.

— Questa costruzione non ha niente di speciale — disse Diem. Come le altre era in pietre cementate una sopra l’altra in modo irregolare e non intonacate, coi piani superiori leggermente più larghi del pianterreno. — Aspetta, vedo dove ci state portando. C’è una specie di… una cassa di ceramica fissata fuori dal primo piano. Vinh, tu sei il più vicino. Arrampicati lassù e dai un’occhiata.

Ezr si mosse verso l’edificio, ma d’un tratto qualcuno spense il marcatore. — Dove, esattamente? — Tutto ciò che riusciva a vedere erano ombre e chiazze di pietra grigia.

— Vinh. — La voce di Diem era un filo più scorbutica del solito. — Datti una svegliata, d’accordo?

— Scusa. — Ezr si senti arrossire; non era la prima volta che si distraeva a quel modo. Potenziò l’immagine col multispec e il suo visore si riempì di colori, un miscuglio di ciò che la tuta captava in parecchie regioni dello spettro elettromagnetico. Dove prima c’era una pozza di tenebra apparve la cassa di cui Diem aveva parlato. Si trovava un paio di metri sopra la sua testa. — Un momento che guardo come si può fare. — Anche quell’edificio aveva una quantità di sporgenze, e gli analisti dissero che erano scalini. Ezr vide che servivano allo scopo, anche se più che una vera scala era una sorta di scala a pioli. Pochi secondi gli bastarono per salire accanto all’oggetto.

La diagnosi fu che era una macchina; c’erano chiodi ribaditi lungo i lati, e l’aspetto faceva pensare ai video ambientati nel medioevo. Tirò fuori di tasca un sensore a bacchetta e lo accostò alla cassa. — Volete che la tocchi?

Diem tenne la bocca chiusa; la domanda era per quelli che stavano nello spazio. Ezr sentì diverse voci che si consultavano. Poi: — Inquadrala anche di lato. Non ci sono segni o simboli sulla superficie? — Trixia! Lui sapeva che era con gli osservatori, ma sentire la sua voce fu una bella sorpresa. — Come la signora comanda — disse, e passò la bacchetta avanti e indietro sulla cassa. Sui lati c’era qualcosa. Lui non avrebbe saputo dire se fosse scrittura o un disegno oppure un complicato algoritmo multiscan. Se si trattava di scrittura, quello era un bel colpo.

— Va bene. Ora puoi appoggiare il sensore alla cassa. — Un’altra voce, qualcuno delle analisi acustiche. Ezr fece quel che gli era stato chiesto.

Trascorsero quindici o venti secondi. Le scale dei Ragni erano così scomode che Ezr doveva stringersi contro il muro per non cadere all’indietro. Dagli scalini emanava vapore di aria-neve, che scendeva verso il basso. Il sistema della tuta stava fornendo più calore per compensare quello che il contatto gli taceva perdere.

Poi: — Molto interessante. Questa cosa è un sensore, roba di tipo antidiluviano.

— Elettrico? Sta facendo rapporto a una località remota? — Ezr sbatté le palpebre. L’ultima a parlare era stata una donna con l’accento degli Emergenti.

— Ah, direttrice Reynolt. No, questo è il particolare straordinario dell’oggetto. È autoregolante. La sorgente d’energia sembra un insieme di molle metalliche. Un temporizzatore meccanico… diciamo un orologio, le è familiare il concetto?… fornisce i tempi di intervento. In effetti suppongo che questo sia il solo meccanismo non sofisticato che possa lavorare in lunghi periodi di freddo.

— E che razza di interventi temporizza? — Questo era Diem, e la domanda era giusta. L’immaginazione di Ezr partì ancora per la tangente. Forse la sua figura in tuta sarebbe figurata nel loro rapporto. Ma cosa sarebbe successo se quella cassa fosse collegata a un’arma di qualche genere?

— Non vediamo alcuna telecamera, capoequipaggio. Ora abbiamo un’immagine abbastanza buona dell’interno della cassa. C’è un rotore che trascina un rotolo di carta sotto quattro penne. — I termini uscivano dritti da un testo sulle Civiltà Sepolte. — La mia ipotesi è che ogni giorno la carta avanza di un breve tratto, e le penne annotano temperatura, pressione… e altri due parametri dei quali non sono ancora sicuro. — Ogni giorno da più di duecento anni. Gli esseri umani dell’era industriale primitiva avrebbero avuto delle difficoltà a realizzare un meccanismo a parti mobili capace di funzionare così a lungo, soprattutto a quella bassissima temperatura. — È stata una vera fortuna trovarci qui proprio mentre entrava in funzione.

Seguì una discussione tecnica su quanto sofisticato poteva essere quel meccanismo di registrazione. Diem incaricò Benny e un altro di illuminare la zona con flash di pochi nanosecondi. Niente rimandò riflessi; non c’erano lenti ottiche puntale su di loro.

Ezr nel frattempo rimase sulla scala, appoggiato al muro. Il freddo cominciava ad attraversare la tuta e il giubbotto; quel tipo di equipaggiamento non era adatto al contatto esteso con materiale che risucchiava calore. Cambiò posizione, a disagio. Con 1 G di gravità quelle acrobazie finivano per stancare… ma quella posizione gli dava una buona visuale intorno all’angolo dell’edificio, e notò che su quel lato alcune imposte s’erano staccate dalle finestre. Si sporse precariamente di lato nel tentativo di vedere quello che c’era nelle stanze. Scorgeva delle cose coperte da uno strato di aria-neve: lunghe file di scaffali o cassettoni alti fino alla cintura. Sopra di essi c’era un pagliolato metallico, che a sua volta sosteneva altre scaffalature. Delle scalette, analoghe a quella su cui era appollaiato lui, collegavano i due livelli. Ovviamente per i Ragni quei mobili non erano “alti fino alla cintura”. Mmh. C’erano molti oggetti sciolti ammucchiati anche sopra, oggetti piatti con un lato incernierato. Alcuni erano ordinati verticalmente, altri erano aperti come ventagli.

L’improvvisa comprensione che gli attraversò la mente fu come una scossa elettrica, e senza pensarci parlò sul canale pubblico. — Capoequipaggio Diem, mi scusi.

Gli altri interruppero la conversazione, sorpresi dal suo tono.

— Che c’è, Vinh? — domandò Diem.

— Date un’occhiata attraverso il mio pov. Credo di aver trovato una biblioteca.

Qualcuno, nello spazio, gridò di eccitazione. Sembrava proprio la voce di Trixia.


Le analisi dei sismografi li avrebbero prima o poi portati alla biblioteca, ma la scoperta di Ezr accorciò di molto i tempi.

Sul retro dell’edificio c’era una larga porta. Mandare dentro il robot articolato fu facile. Il robot aveva uno scanner manipolatore ad alta velocità. Gli occorse poco per adattarlo alla strana forma di quei “libri”, poi cominciò a muoversi velocemente fra gli scaffali (un paio di centimetri al secondo) con due della squadra di Diem che gli piazzavano libri davanti al lettore a getto continuo. Nello spazio ci fu una cortese discussione udibile anche da loro. La squadra d’atterraggio era parte di un’iniziativa congiunta, pianificata per concludersi entro 100 Ksec. Questo periodo non sarebbe stato sufficiente per prelevare tutto il materiale dalla biblioteca, tantomeno ciò che si sarebbe trovato negli altri edifici e oltre il supposto ingresso della caverna. Gli Emergenti non volevano fare un’eccezione ampliando il tempo di permanenza. Così proposero di far intervenire una delle loro navette più grosse, sul fondovalle, e portare via in massa tutti quanti gli artefatti.

— Tutto questo senza venire meno alla strategia decisa, ovvero tenerci nascosti agli indigeni — disse la voce di un Emergente maschio, — Possiamo far saltare le pareti della vallata, in modo che passi per una slavina da cui l’intero abitato è stato sepolto.

— Ehi, questa gente ha il tocco delicato, eh? — commentò la voce di Benny Wen nell’auricolare, sul loro canale privato. Ezr non rispose. Il suggerimento dell’Emergente non poteva essere definito irrazionale; era… estraneo. I Qeng Ho commerciavano. I più sadici di loro potevano divertirsi stimolando la competizione, ma quasi tutti volevano dei clienti che avrebbero aspettato l’arrivo della flotta successiva per fare altri buoni affari. Distruggere e rubare era… rozzo. E perché farlo, quando avrebbero potuto tornare con comodo a esplorare ancora?

Su nello spazio, la proposta dell’Emergente fu educatamente scartata, e un’altra missione in quella valle così promettente fu messa in cima all’elenco delle prossime avventure congiunte.

Diem mise Ezr e Benny a esplorare gli scaffali. Quella biblioteca sembrava contenere circa centomila libri, solo poche centinaia di gigabyte, ma troppe per il tempo che restava loro. Avrebbero dovuto cominciare a esaminare e scegliere, nella speranza di trovare la Pietra di Rosetta di un’operazione di quel genere: un abbecedario illustrato per bambini.

Mentre i Ksec passavano, Diem alternò gli incarichi dei membri della squadra mettendoli a turno all’alimentazione dello scanner, a tirare giù i libri dagli scaffali superiori, e a rimetterli esattamente dove stavano prima.

Quando venne la pausa per la cena di Ezr, la stella OnOff era scesa molto dallo zenith; ora palpitava sopra le rupi a un’estremità dalla valle e allungava le ombre degli edifici. Ezr trovò un posto quasi libero dalla neve, stese al suolo un drappo isolante e si mise a sedere. Ah, ora andava meglio. Diem gli aveva dato millecinquecento secondi per mangiare. Accese la nutritiva all’interno del casco e mangiò lentamente un paio di tavolette di frutta. Ogni tanto sentiva la voce di Trixia, ma la ragazza sembrava molto occupata. Non c’era nessun libro illustrato per bambini, ma quelli su nello spazio avevano trovato qualcosa di abbastanza analogo: una gran quantità di testi di chimica e di fisica. Trixia era del parere che quella fosse una biblioteca scientifica. In quel momento stavano parlando di aumentare la velocità dello scanner. Trixia pensava di avere già una corretta analisi grafemica delle parole scritte, cosicché c’era la possibilità di passare a una “lettura” più mirata.

Ezr aveva sempre saputo che Trixia era brillante nel suo lavoro. Ma era solo una Cliente specializzata in linguistica, un campo in cui gli accademici Qeng Ho eccellevano. Quale poteva essere il suo reale contributo? Ora… be’, poteva sentire la conversazione di quelli lassù. Gli altri specialisti in linguistica non facevano che chiedere delucidazioni a Trixia. Forse la cosa non era poi troppo sorprendente. L’intera società di Triland aveva dovuto competere per quei pochi posti disponibili a bordo della flotta. Se uno sceglieva i migliori per ogni specializzazione fra cinquecento milioni di persone… be’, quei prescelti dovevano essere dannatamente in gamba. Poi l’orgoglio che Ezr provava per lei s’incrinò un istante; in effetti era lui ad avere puntato in alto, legandosi a Trixia. Certo, lui era uno dei principali eredi della Famiglia Vinh23, ma come individuo… non poteva dire di essere molto brillante. Anzi, lui era uno che sprecava tutto il suo tempo sognando altri posti e altre epoche.

Questa scoraggiante linea di riflessioni lo portò su un argomento più familiare: forse lì lui avrebbe saputo dimostrare di non essere poi così inutile. I Ragni dovevano essere molto lontani dal loro livello scientifico di un tempo. La loro situazione attuale doveva essere analoga all’Era dell’Alba. Forse lui avrebbe avuto intuizioni preziose e decisive per la flotta… e avrebbe meritato Trixia Bonsol. La sua mente scivolò sulle più rosee possibilità, osando esplorarne i dettagli più eccitanti…

Ezr guardò il suo chron. Aha, gli restavano ancora cinquecento secondi. Si alzò e guardò verso le ombre, più in alto, dove la strada principale saliva lungo il versante della montagna. Per tutto il pomeriggio s’erano concentrati sulle priorità della missione al punto di non guardare ciò che restava di quella città. In effetti erano arrivati in uno slargo, o piazza che fosse, e s’erano fermati lì.

Durante il tempo della luce in quella zona doveva esserci stata molta vegetazione. Le colline erano coperte di spunzoni contorti che sembravano resti di alberi. Più in basso la natura era stata messa in riga dalla civiltà. Lungo la strada c’erano delle sporgenze simili, a intervalli regolari, sotto la neve.

Quattrocento secondi. Gli restava un po’ di tempo, così s’incamminò a passo svelto intorno alla piazza. Notò che nel centro c’era una montagnola, su cui la neve ricopriva delle forme strane. Quando fu sul lato opposto e si girò a guardare vide uno spettacolo assai più illuminato di prima. Il lavoro alla biblioteca aveva riscaldato l’edificio abbastanza da far levare una nebbia di sublimazione, e l’aria tornata allo stato gassoso si espandeva per qualche decina di metri prima di cedere al freddo e solidificarsi di nuovo, scendendo al suolo sotto forma di neve. La luce di OnOff creava un arcobaleno rosso in quella nebbia. Per un istante la fantasia di Ezr gli dipinse quella valle come un luogo ameno e pacifico, dove non c’era più nulla di alieno.

La sua attenzione tornò al centro della piazza. Da quel lato la montagnola era più libera dalla neve, e si scorgevano forme vaghe nascoste dal buio. Incuriosito Ezr si avviò da quella parte. Il terreno nudo, dov’era libero dalla neve, crepitava come muschio secco sotto gli stivali. Si fermò, senza fiato. Le cose scure al centro… erano statue. Di Ragni! Sapeva che avrebbe dovuto fare subito rapporto sulla scoperta, ma per qualche momento restò immobile ad assaporare quella scena da solo e in silenzio. Naturalmente conosceva già la forma approssimativa degli indigeni; le prime squadre atterrate sul pianeta avevano trovato alcune rozze raffigurazioni in pietra e bassorilievi. Ma — Ezr potenziò la luminosità dell’immagine — queste statue erano così perfette che sembravano vive, squisitamente modellate nei più minuti dettagli in un metallo scuro. Raffiguravano tre di quelle creature, molto probabilmente a grandezza naturale, giudicò lui. La parola “ragno” era alquanto generica, il genere di termine che si rivela inutile quando sorge la necessità di una definizione più precisa. Nel provvisorio dove Ezr era cresciuto c’erano parecchi tipi di insetti chiamati “ragni”. Alcuni avevano sei zampe, altri otto o dieci. Alcuni erano grassi e pelosi, altri snelli e neri, velenosi. Questi esseri somigliavano al tipo snello, a dieci zampe. Ma avevano addosso qualche specie di indumento, oppure erano più spinosi dei loro piccoli consimili. Le zampe delle tre figuri erano unite come se stessero cercando di afferrare qualcosa che stava nel centro. Facevano la guerra, facevano l’amore, o cos’altro? Qui anche l’immaginazione di Ezr vacillava.

Cos’era stata la vita lì, quando il loro sole brillava ancora?




4


È un vecchio cliché dire che il mondo è più gradevole negli anni del Sole Calante. Non si può negare che il tempo sia mite, che ovunque ci sia un senso di rallentamento, e che in molte regioni le estati non brucino e gli inverni non siano più così duri, la classica epoca delle avventure romantiche, l’epoca che induce ognuno a rilassarsi, a rimandare. È l’ultima possibilità di prepararsi alla fine del mondo.


Fu pura fortuna se Sherkaner Underhill scelse i giorni più belli degli anni del Sole Calante per il suo primo viaggio a Comando Territoriale. In breve si accorse però che quella buona fortuna gli sarebbe servita tutta: la strada costiera spazzata dal vento non era stata fatta per gli automobilisti, e lui non era affatto l’abile guidatore che aveva presunto di essere. In più di un’occasione si trovò a sfiorare il bordo esterno dopo aver spostato la cinghia del cambio su un rullo diverso, con solo i freni e il volante a salvarlo da un lungo volo giù nel Mare Grande (anche se probabilmente lo avrebbero fermato gli alberi della scarpata, con risultato non meno fatale).

Sherkaner amava il brivido della velocità. In poche ore aveva imparato a padroneggiare la macchina. Ora, quando in curva si alzava su due ruote, era quasi deliberatamente. Era una bella strada panoramica. La gente del posto la chiamava Orgoglio dell’Alleanza, e la Famiglia Reale non aveva mai osato lamentarsi. Si era in piena estate. La boscaglia aveva una trentina d’anni, vecchia dunque quanto una boscaglia poteva esserlo. Gli alberi erano alti e verdi, e si affollavano sui bordi della strada. Il vento fresco che frusciava intorno al trespolo di guida odorava di resina e di fiori.

Non vedeva molte altre auto civili. C’erano parecchi carri trainati da osprech, alcuni camion, e un numero notevole di convogli armati. Le reazioni che il suo passaggio svegliava fra i civili erano un divertente miscuglio: irritazione, simpatia, invidia. In quella zona, ancor più che a Principalia, vedeva femmine giovani che sembravano gravide e individui con dozzine di bambinetti aggrappati sul dorso. Spesso il loro comportamento rivelava invidia per qualcosa di diverso dalla sua automobile. E forse anche io sono un po’ invidioso di loro. Per qualche momento si trastullò con quel pensiero, senza cercare di razionalizzarlo. L’istinto era una cosa affascinante, in specie quando uno lo vedeva dall’interno.

I chilometri passavano via. Mentre il suo corpo e i suoi sensi si occupavano degli automatismi della guida, la mente di Sherkaner spaziava altrove: la scuola superiore, come vendere il suo progetto al Comando Territoriale, i molteplici modi in cui la meccanica di quell’automobile poteva essere migliorata. Nel tardo pomeriggio rallentò, passando per una piccola parrocchia della foresta. PROFONDITÀ NOTTURNE, diceva l’antico cartello indicatore. Sherkaner non capì se fosse il nome del posto o una semplice descrizione.

Si fermò davanti al recinto del fabbro locale. L’individuo aveva lo stesso strano sorriso di certa gente incontrata sulla strada. — Bella macchina avete qui, signore. — In effetti era una bella macchina, anche costosa, una Relmeitch nuova di fabbrica. Del tutto oltre le possibilità della media degli studenti di scuole superiori. Sherkaner l’aveva vinta in una sala da gioco presso la scuola, soltanto due giorni prima. Era stata una cosa rischiosa. L’aspetto di Sherkaner era ben noto in tutte le case da gioco della zona di Principalia. La gilda dei proprietari gli aveva fatto sapere che gli avrebbero rotto tutte quante le braccia se l’avessero sorpreso ancora a giocare nei confini della città. A ogni modo per lui era giunto il momento di andarsene da Principalia, e voleva provare ad avere un’automobile.

Il fabbro girò intorno alla vettura, fingendo di ammirare le finiture cromate e i tre pistoni rotanti. — Già, bella. Ma lei è alquanto lontanuccio da casa, eh, signore? Cosa farà quando smetterà di funzionare?

— Suppongo che dovrò cercare dell’altro kerosene. Ne vendete, da queste parti?

— Ah, di quello ne abbiamo, sì. Lo usano certe macchine agricole. Ma io volevo dire, cosa farà lei quando si romperà. Ad esempio, i freni a contrazione: non durano niente. Questo lo sa, no? Le macchine così sono roba fragile, non come gli animali da traino.

Sherkaner sorrise. Anche da lì poteva vedere le carrozzerie di parecchie auto nel bosco dietro il recinto del fabbro. Era capitato proprio nel posto giusto. — Questo potrebbe essere un problema. Però, vede, io ho qualche idea. Si tratta di lavori in cuoio e in metallo che potrei ordinarle, dietro pagamento, se lei è disposto a occuparsene subito. — Si fece dare un vecchio quaderno e disegnò un paio delle idee che gli erano venute quel pomeriggio, roba abbastanza facile da realizzare. Il fabbro fu d’accordo: sempre felice di fare affari con la gente strana di città. A patto che Sherkaner pagasse in anticipo. Lui non fece difficoltà. Per fortuna anche li accettavano la valuta della Banca di Principalia.

Più tardi Sherkaner Underhill proseguì in auto per la cittadina, in cerca di una locanda. A un primo sguardo lo si sarebbe detto un posto tranquillo e fuori dal tempo. C’era una chiesa della Tenebra in stile tradizionale, semplice e consumata dagli elementi come il suo nome quasi richiedeva. I giornali in vendita all’ufficio postale erano quelli di tre giorni prima. I titoli a lettere rosse tutte maiuscole strillavano di guerra e di invasione, ma quando un convoglio diretto a Comando Territoriale passò rombando lui se ne dimenticò.

Venne fuori che Profondità Notturne era troppo piccola per avere locande. Il proprietario dell’ufficio postale gli indicò due case dove potevano dargli un pasto e un letto. Mentre il sole scendeva verso il mare Sherkaner decise di fare un giro nell’interno. tanto per dare un’occhiata alla zona. La boscaglia era bella, ma non lasciava molto spazio aperto per le coltivazioni. La gente del posto ricavava di che vivere anche dal commercio, ma aveva lavorato sodo nei suoi orti di montagna… e avevano ancora tre anni di buoni raccolti, al massimo, prima che il gelo diventasse eccessivo. I magazzini locali all’aperto sembravano pieni, e c’era un continuo traffico di carri avanti e indietro fra le colline. La profondità della parrocchia era in quella direzione, a diciassette chilometri da lì. Non era una profondità molto vasta, ma serviva per la maggior parte degli abitanti della regione. A ogni modo se questa gente non metteva via abbastanza scorte avrebbe sicuramente fatto la fame nel primo duro anno della Grande Tenebra. Anche in una società moderna non c’era molto spazio per la carità agli individui sani e robusti che non avessero provveduto alle scorte.

Il tramonto lo trovò in riva al mare, su un promontorio. Sul lato sud il terreno scendeva verso una piccola valle coperta d’alberi. Sulla dorsale successiva c’era una casa che corrispondeva alla descrizione del padrone dell’ufficio postale. Ma Sherkaner non aveva fretta. Quello era il miglior panorama della giornata.

Guardò i colori svanire pian piano dal cielo e l’ultimo riflesso del sole abbandonare l’orizzonte lontano.

Poi rimise in moto l’automobile e intraprese la ripida discesa sulla carrareccia sterrata verso il fondovalle. Le chiome degli alberi si chiusero sopra di lui… e subito quello si rivelò il percorso più movimentato della giornata, anche se la sua velocità era inferiore a quella di un aracnide al passo. L’auto non faceva che slittare e rimbalzare fra i profondi solchi dei carri, e soltanto la gravità e la fortuna lo mantenevano a contatto del trespolo. Quando giunse alla riva del fiumiciattolo, sul fondo, Sherkaner si stava chiedendo seriamente se non avrebbe dovuto lasciare lì la sua macchina nuova fiammante. Si guardò attorno. La strada non era abbandonata; i solchi dei carri sembravano freschi.

La lenta brezza della sera gli portò un puzzo di liquami fognari e spazzatura marcia. Una discarica? Strano perfino pensare che ce ne fosse una, in quella natura incontaminata, ma quelli che vide erano senza dubbio mucchi di rifiuti. Fra gli alberi c’era anche una scalcinata abitazione di legno. Le pareti erano storte, in tronchi non scortecciati; il tetto pendeva di sghimbescio; alcuni buchi erano stati riparati con rami e frasche. Sul terreno fra la casa e la strada l’erba era stata brucata, probabilmente dai due osprech legati a una staccionata presso il torrente; l’odore di fogna era quello del loro sterco.

Sherkaner fermò la macchina. I solchi dei carri sparivano nell’acqua del torrente, qualche metro più avanti. Per un momento si sentì come sopraffatto. Lì dovevano abitare dei mezzi selvaggi di campagna, degli autentici alieni per un cittadino come lui. Fece per scendere dall’auto. Che strani punti di vista dovevano avere! Quante cose avrebbe potuto imparare da loro! Poi gli venne da pensare che se erano davvero alieni forse non gradivano molto la sua presenza sulla loro terra.

D’altra parte… Sherkaner sedette di nuovo sul trespolo e afferrò con fermezza il volante, l’acceleratore e il freno. Non lo stavano osservando soltanto gli osprech. Con gli occhi adattati alla penombra guardò in tutte le direzioni. Non animali, non gente adulta. Bambini? Forse uno di cinque e uno di dieci anni. Il più piccolo aveva ancora gli occhi da bambino. Il loro sguardo era animalesco, predace. Si avvicinarono all’auto.

Sherkaner avviò subito il motore e ripartì. Appena prima di arrivare al torrente notò una terza figura, più grossa, nascosta fra gli alberi presso il corso d’acqua. Bambini o no, quello non era soltanto un gioco di nasconditi-e-balza. Sherkaner sterzò di colpo a destra, uscendo dai solchi dei carri. Ma era davvero uscito di strada? No… la strada era una trappola; il vero guado era davanti a lui, nascosto dalle frasche.

Entrò nel torrente e accelerò, sollevando alti spruzzi. Il tipo grosso nascosto fra gli alberi balzò avanti. Un lungo braccio sbatté sulla carrozzeria dell’auto, ma l’individuo non riuscì ad arrivare a lui. Subito dopo Sherkaner fu sulla riva opposta, ingranò la marcia più bassa e cominciò a risalire il versante. Un’imboscata fatta da professionisti non gli avrebbe lasciato scampo in un buco fangoso come quello, ma la strada davanti a lui era libera e la vettura riuscì a tirare facendo schizzare via i sassi coi pneumatici. Ci fu ancora un momento da brivido finale quando sbucò dagli alberi sotto il cielo aperto, allorché il terreno friabile cedette e la Relmeitch scivolò indietro con le ruote che giravano a vuoto. Sherkaner si alzò dal trespolo gettando il suo peso sull’assale anteriore; le ruote fecero presa e la vettura oltrepassò sussultando la sommità dell’altura.

Il cielo era già scuro, pieno di stelle, quando parcheggiò l’auto accanto alla casa che aveva visto dalla cima del promontorio.

Spense il motore e restò un momento seduto, respirando con calma e ascoltando il sangue che gli pulsava nel petto. C’era una grande quiete. Guardò indietro; nessuno lo stava inseguendo. E ripensandoci era… strano. L’ultima volta che s’era voltato aveva visto il tipo più grosso che si trascinava fuori dal torrente; gli altri due se ne stavano già andando, come disinteressati.

Nelle finestre della casa si accese una luce. La porta fu aperta, e una vecchia signora uscì sulla veranda. — Chi è là? — domandò, in tono imperioso.

— Signora Enclearre? — Sherkaner si accorse di avere la voce stridula. — Il padrone dell’ufficio postale mi ha dato il suo indirizzo. Dice che lei ha una camera da affittare, per la notte.

Lei girò dalla parte del conducente e lo guardò meglio. — Proprio così, giovanotto. Ma lei arriva un po’ tardi per la cena. Dovrà accontentarsi di succhiare qualcosa di freddo.

— Oh, non si preoccupi, non c’è problema.

— Va bene. Venga pure dentro. — L’anziana signora rise, indicando con una mano piccola la valle da cui Sherkaner era sfuggito. — Poi mi spiegherà perché ha preso la strada più lunga, eh, giovanotto?

Nonostante ciò che aveva detto, la signora Enclearre servì a Sherkaner un buon pasto caldo. Dopo cena sedettero nel salotto anteriore a fare due chiacchiere. La casa era pulita, ma ormai cadente. Il pavimento cigolante aveva bisogno di riparazioni; la pittura s’era scrostata in molti punti. Era una casa che aveva fatto il suo tempo. Ma la pallida luce delle lampade metteva in evidenza uno scaffale per i libri, fra due finestre. C’era un centinaio di titoli, per lo più classici per l’infanzia. La vecchia signora (ed era vecchia: nata due generazioni prima di Sherkaner) era una maestra di scuola in pensione. Suo marito non ce l’aveva fatta ad attraversare l’ultima Tenebra, ma lei aveva allevato dei figli (ormai vecchi aracnidi anch’essi) che attualmente abitavano in quella stessa zona collinosa.

La signora Enclearre non era stata una maestra di città. — Oh, la mia parte di mondo l’ho vista, giovanotto. Quando avevo la sua età ho navigato nel mare occidentale. — Una marinaia! Sherkaner ascoltò senza celare la meraviglia i suoi racconti di uragani, di grizzard, e di eruzioni di iceberg. Non molti erano così matti da fare i marinai, neppure negli anni del Sole Calante. La signora Enclearre era stata fortunata a sopravvivere a quelle esperienze. Forse poi aveva capito che s’era trattato di pura fortuna, perché durante la generazione successiva aveva messo la testa a partito e aiutato il marito ad allevare i loro ragnetti. Ogni anno aveva l’abitudine di studiare i testi scolastici dell’anno successivo, per tenersi un passo più avanti dei piccoli fino alla loro maturità.

Durante la Luce aveva poi insegnato alla nuova generazione. Quando i suoi allievi avevano raggiunto la maturità, lei era ormai in là con gli anni. Molti aracnidi raggiungevano la terza generazione; pochi ne vedevano la fine. La signora Enclearre era troppo fragile per prepararsi da sola all’imminente Tenebra, ma aveva la chiesa e l’aiuto dei suoi figli; forse avrebbe avuto la possibilità di vedere un quarto periodo di Luce. Nel frattempo aveva i suoi pettegolezzi, e le sue letture. Era perfino interessata alla guerra… ma solo come spettatrice avida. — Diamogli delle belle bastonate sulla schiena a quei dannati Tiefer, ecco come la penso io. Ho due nipoti al fronte, e sono molto orgogliosa di loro.

Ascoltando le chiacchiere di lei, Sherkaner guardava fuori dalla larga finestra dalle tendine aperte. Le stelle erano brillanti lì sulle montagne, avevano mille colori diversi e spandevano una debole luce sulle larghe foglie degli alberi che coprivano le alture. Piccole fate boschive sbattevano incessantemente sul vetro, e le loro stridule canzoni riempivano la vegetazione circostante.

All’improvviso un tamburo cominciò a rullare. Era così sonoro che le vibrazioni arrivavano a Sherkaner attraverso i piedi non meno che gli orecchi. Un secondo tamburo prese il via, non troppo a ritmo con il primo.

La signora Enclearre s’interruppe, con aria di disapprovazione. — Temo che questa musica andrà avanti per ore.

— I suoi vicini? — Sherkaner indicò verso la piccola valle a nord. Era interessante che, a parte il suo commento sulla “strada più lunga”, lei non avesse detto una parola sugli strani individui che abitavano giù presso il torrente.

… e forse non l’avrebbe fatto neanche adesso. La signora Enclearre cambiò posizione sul suo trespolo, silenziosa per il primo intero minuto dall’arrivo di lui. Poi: — Lei conosce la favola delle Pigre Fate Boschive?

— Sicuro.

— Io l’ho sempre inclusa nei programmi del catechismo, in specie per i bambini di cinque e sei anni. Sono utili esempi, grazie alla somiglianza fisica che hanno con noi. Studiavamo come si nutrono, e come fanno a mettere le ali, e poi io raccontavo di quelle che non si preparano per l’arrivo della Tenebra e giocano e cantano finché è troppo tardi. Riuscivo a farla diventare una storia impressionante. — Sibilò irosamente nelle mani nutritive. — Da queste parti siamo gente povera e ignorante. E per questo che da giovane me ne andai per mare, ed è per questo che alla fine tornai, per aiutarli a uscire da questa indigenza. In certi anni tutta la paga che ho avuto come maestra è uscita dai magazzini della cooperativa agricola. Ma voglio che lei sappia, giovanotto, che siamo brava gente onesta… a parte, qua e là, alcuni aracnidi che decidono di essere bestie. Sono pochi, e per lo più abitano fra le colline dell’interno.

Sherkaner le disse dell’imboscata nella piccola valle.

La signora Enclearre annuì. — Immaginavo qualcosa del genere. Lei è arrivato quassù come se avesse il fuoco appiccicato al sedere. Le è andata bene ad aver portato fuori di là anche l’automobile; ma non era in pericolo di vita. Voglio dire, se lei avesse fatto resistenza avrebbero potuto calpestarla a morte. Ma basilarmente sono troppo pigri per essere una vera minaccia.

Uhau. Dei veri pervertiti. Sherkaner cercò di non sembrare troppo affascinato. — E questi tamburi, allora?

Lei scartò l’argomento con un gesto.

— Musica, forse. Immagino che oggi si siano riempiti la pancia di frizzosputo drogato. Ma questo è solo un sintomo, anche se mi tiene sveglia la notte. No. Sa cos’è che fa di loro delle bestie? Quelli non si preparano per la Tenebra, e portano alla dannazione anche i loro figli. Quella coppia giù al torrente, ad esempio; sono gente di collina che non ha voglia di coltivare campi. Ogni tanto vanno in giro a fare riparazioni da una fattoria all’altra, ma lavorano solo quando non trovano niente da rubare. La vita è più facile negli anni di mezzo della Luce. E in tutto il giorno non fanno che fornicare, producendo una continua fila di figli…

«Lei è giovane, signor Underhill, e sembra il tipo che conosce la vita dura. Non so se lei capisce quanto sia impegnativo per una femmina restare gravida negli ultimi anni del Sole Calante. Una gravidanza o due sono il massimo che una femmina di buoni costumi può permettersi. Ma quelle bestie laggiù al torrente partoriscono per tutto il tempo. Il maschio va sempre in giro con una o due figliate sulla schiena. Grazie al cielo gli muoiono quasi tutti. Ma ogni tanto qualcuno arriva allo stadio infantile. Pochi superano l’infanzia, e per allora sono già stati trattati come animali per anni. A quel punto, per la maggior parte sono dei casi di cretinismo irrecuperabili.

Sherkaner ripensò ai loro sguardi predaci. Quelli più piccoli erano molto diversi da come lui ricordava di essere stato nell’infanzia. — Ma senza dubbio qualcuno si salva. Qualcuno arriva all’età adulta, no?

— Pochi. E quelli sono i più pericolosi, quelli che vedono ciò che hanno perso. A volte accadono cosa spiacevoli, da queste parti. Una volta allevavo mini-tarantole… sa, per compagnia, e anche per farei qualche soldo. Ogni tanto qualcuna mi veniva rubata, o ne trovavo la carcassa risucchiata e vuota sulla mia veranda. — Per un poco tacque, al ricordo di quei dispiaceri.

— Le cose luccicanti attraggono i cretini. Per un po’ c’è stata una banda di loro che studiava il modo di entrare in casa mia. Di solito rubavano dei succiacanditi. Poi un giorno mi rubarono tutte le foto che avevo in casa, e metà dei miei libri illustrati. Io allora misi serrature a tutte le porte. Ma in qualche modo quelli le forzarono e rubarono ancora… tutto il resto dei miei libri! A quel tempo io insegnavo. Avevo bisogno dei miei libri. La conestabile del paese perquisì l’abitazione di quegli animali, ma i libri non li trovò, li avevano già venduti. Così dovetti comprarmeli nuovi, per i miei due ultimi anni di insegnamento. — Indicò la fila superiore di libri nello scaffale, una dozzina di testi sgualciti. Anche quelli nello scomparto inferiore erano testi per l’infanzia, ma sembravano nuovi e mai aperti. Strano.

I due tamburi persero di nuovo la sincronia e batterono sempre più piano fino a tacere. — È così, signor Underhill. Alcuni aracnidi fuori-fase vivono fino all’età adulta. Possono quasi essere scambiati per adulti della generazione attuale. In un certo senso sono una seconda generazione di bestie. Le cose si faranno dure fra un paio d’anni. Come le Pigre Fate Boschive, quegli sventurati cominceranno a sentire il freddo. Pochi si trasferiranno nelle profondità; gli altri continueranno ad aggirarsi sulle colline. Lei deve sapere che qui ci sono caverne ovunque, poco più che tane scavate dagli animali. È dentro queste profondità che i contadini più poveri trascorrono la Tenebra. Ed è là che le bestie fuori-fase diventano davvero mortali.

La vecchia signora notò il suo sguardo. Gli elargì un piccolo sorriso storto. — Io dubito che vedrò un’altra Luce del sole. Non me ne importa. I miei figli avranno questa terra. Ci sono bei posti; forse costruiranno delle locande per i turisti come lei. Ma se io dovessi sopravvivere alla Tenebra, ricostruirò a nuovo questa casa e ci metterò una targa, autoproclamandomi la più vecchia aracnide del circondario. E andrò a guardare giù al torrente, sperando che quella gente sia stata spazzata via. Se ci saranno delle bestie ancora vive, probabilmente sarà perché hanno sterminato una povera famiglia di contadini e hanno preso il suo posto in una caverna.

Poi la signora Enclearre passò ad altri argomenti, e domandò a Sherkaner com’era la vita a Principalia e com’era stata la sua infanzia. Infine gli disse che, dopo avergli rivelato i segreti più oscuri della sua parrocchia, ora toccava a lui raccontare perché stava viaggiando in automobile verso Comando Territoriale.

— Be’, sto pensando di arruolarmi. — In realtà Sherkaner sperava che fosse il Comando ad arruolarsi nel suo piano, piuttosto che il contrario. Era un atteggiamento che aveva fatto diventare matti i suoi insegnanti, alle scuole superiori.

— Mmmh-mmmh. È un bel pezzo di strada, quando si pensa che lei avrebbe potuto farlo all’ufficio di arruolamento di Principalia. E ho notato che il bagagliaio della sua automobile è grosso quanto il pianale di un carro. — La signora Enclearre agitò le mani nutritive, curiosa.

Sherkaner si limitò a restituirle il sorriso. — I miei amici hanno insistito che mi portassi dietro una quantità di pezzi di ricambio, visto che volevo percorrere tutta la Orgoglio dell’Alleanza in automobile.

— Sì, posso capirli. — Lei si alzò con qualche difficoltà, sostenendosi coi piedi e con entrambe le mani di mezzo. — Be’, questa vecchia signora ha bisogno di una buona nottata di sonno, anche dopo una riposante serata estiva in tranquilla compagnia. La colazione sarà al levar del sole.

Lo accompagnò nella sua stanza, dopo aver insistito per salire le scale in modo da potergli mostrare le serrature delle finestre e come si apriva il trespolo del letto. Era una piccola comoda stanza, con la tappezzeria ingiallita e staccata qua e là. Una volta doveva essere stata quella dei suoi figli.

— … e il cesso è in cortile, dietro la casa. Qui non abbiamo i lussi di città, signor Underhill.

— Per me va benissimo, mia cara signora.

— Allora le auguro la buonanotte.

La signora Enclearre stava già scendendo le scale quando Sherkaner ricordò di avere un’altra domanda. Aveva sempre un’altra domanda. Mise la testa fuori dalla stanza da letto. — Lei ha molti libri, ora. È stata la parrocchia a comprarle gli altri?

Lei interruppe la sua lenta discesa ed ebbe una risatina. — Sì, qualche anno dopo. E anche questa è una storia. Ad acquistarli fu il nuovo prete della parrocchia, anche se quel caro aracnide non volle mai ammetterlo; deve averli pagati di tasca sua. Ma un bel giorno arrivò alla mia porta un grosso pacco postale, spedito da un editore di Principalia: la serie completa dei libri di testo per ogni anno della scuola inferiore. — Agitò una mano. — Quello sciocco. Ma tutti i libri verranno nella profondità con me. Farò in modo che vadano alla prossima persona che insegnerà ai bambini della parrocchia. — E continuò a scendere le scale.

Sherkaner si distese sul trespolo del letto, agitandosi finché l’imbottitura bitorzoluta si adattò al suo corpo. Era piuttosto stanco, ma non riuscì a prendere sonno. Le piccole finestre della stanza si aprivano dalla parte della valle. Nella vaga luce zodiacale saliva lento un refolo di fumo, ma non si scorgeva neppure una scintilla di fuoco acceso. Suppongo che anche i pervertiti vadano a letto.

Dalla boscaglia, tutto intorno, si alzava il frinire delle fate boschive, piccole creature che si accoppiavano e sciamavano in cerca di cibo. Sherkaner rimpianse di non aver mai potuto studiare nulla di entomologia. Il frinire saliva e scendeva. Quando lui era piccolo gli avevano raccontato la favola delle Pigre Fate Boschive, ma ricordava ancora la sciocca poesia che usavano cantare con accompagnamento della musica delle fate: «Così alto, così profondo, così tanto da scoprire». Quella canzoncina sembrava risuonare ancora dietro la stridula musica notturna.

Il ritmo delle parole e del monotono frinire lo accompagnò infine nel sonno.

5

Sherkaner arrivò a Comando Territoriale due giorni dopo. Avrebbe potuto metterci di più, ma la nuova scatola del cambio progettata da lui rese più stabile la vettura nelle curve di montagna a velocità sostenuta. E avrebbe potuto metterci di meno, se per tre volte non fosse stato fermato da guasti meccanici, uno dei quali lo costrinse a sostituire un pistone rotante. Dire alla signora Enclearre che nel bagagliaio aveva pezzi di ricambio era stata una bugia solo a metà, in effetti se n’era portato dietro alcuni, quelli che immaginava di non poter far costruire nella bottega di un fabbro dell’entroterra.

Era tardo pomeriggio quando oltrepassò l’ultimo tornante e vide la valle che ospitava Comando Territoriale. Era lunga molti chilometri, chiusa fra le montagne e così stretta che buona parte del fondovalle era già in ombra. L’estremità più lontana era azzurrina per la distanza; da un alto picco precipitavano con lenta maestosità le Cascate Reali, e quello era il punto oltre il quale a nessun turista era concesso proseguire.

La Famiglia Reale deteneva la proprietà di buona parte della valle e della profondità ricavata fra le montagne fin da quando i suoi antenati erano soltanto dei Duchi, quaranta Tenebre addietro.

Sherkaner mangiò un buon pasto all’ultima piccola locanda, fece il pieno alla macchina e proseguì per il confine della Riserva Reale. La lettera di suo cugino gli fece oltrepassare il posto di controllo esterno: la sbarra fu sollevata, e un militare dall’aria annoiata in uniforme verde gli accennò di passare. C’erano baraccamenti, terreni per le esercitazioni e le parate e, incassate dietro massicci argini, le fosse delle munizioni. Ma Comando Territoriale non era mai stata una comune installazione militare. Durante i primi tempi dell’Alleanza, i Reali la utilizzavano solamente come campo da gioco. Poi, col trascorrere delle generazioni, gli affari di governo erano diventati sempre più razionali e meno romantici. Comando Territoriale aveva cominciato a corrispondere in pieno al suo nome, diventando la base remota e ben protetta del Quartier Generale dell’Alleanza. Da ultimo aveva assunto anche una funzione in più: quella di sede delle ricerche belliche più avanzate dell’Alleanza.

Era questo il particolare che maggiormente interessava Sherkaner Underhill. Non rallentò né fece deviazioni; il capoguardia era stato tassativo nel chiarire che doveva procedere direttamente fino alla sua destinazione ufficiale. Ma niente gli proibiva di guardarsi attorno, inclinandosi da una parte e dall’altra sul trespolo. La sola identificazione degli edifici consisteva nel numero, in genere piccolo e dipinto dove si faticava a scorgerlo; ma alcuni lo avevano bene in vista. Il telegrafo senza fili: una lunga baracca da cui spuntavano antenne di forma strana. Be’, se lì c’erano ordine ed efficienza l’edificio adiacente doveva ospitare l’accademia di criptografia. Sul lato opposto c’era una pista asfaltata, più larga e liscia di qualsiasi strada. Sherkaner non fu sorpreso di vedere due monoplani ad ala bassa fermi all’estremità più lontana. Avrebbe pagato per sapere cosa c’era dietro di essi, sotto un grosso tendone mimetico. Più avanti il muso di uno scavatore sbucava di traverso dal terreno erboso di fronte a un edificio. L’angolazione impossibile dello scavatore dava un’impressione di velocità e di violenza in quello che era il più lento modo concepibile di spostarsi da un posto all’altro.

Si stava avvicinando a un’estremità della valle. Le Cascate Reali torreggiavano alte, in una nebbia di goccioline attraversate da un arcobaleno di mille colori. Oltrepassò quella che era probabilmente una biblioteca e girò sull’esterno di un piazzale rotondo adibito a parcheggio, dove sventolavano i colori reali e nel centro del quale campeggiava la solita scultura di Ricercando l’Alleanza. Gli edifici in pietra attorno al piazzale erano importanti nell’alone mistico che circondava Comando Territoriale. Per qualche misterioso gioco di ombre e schermature essi sopravvivevano sempre a ogni Nuovo Sole con scarsi danni, senza che niente del loro contenuto bruciasse.

EDIFICIO 5007 diceva la targa. Ufficio Ricerche e Attrezzature. Era lì che il capoguardia all’ingresso lo aveva indirizzato. Che fosse al centro di tutto il complesso era un buon presagio. Sherkaner posteggiò in fila con altre auto, su un lato della strada; meglio non mettersi in evidenza.

Mentre s’arrampicava sulla scala notò che il sole stava tramontando giusto nella direzione da cui era venuto. Era già più in basso delle rupi sui due lati della valle. Al centro del piazzale le statue di Ricercando l’Alleanza gettavano lunghe ombre sul prato. Per qualche motivo lui sospettò che poche altre basi militari fossero così belle.

Il sergente esaminò la lettera di Sherkaner senza celare il suo disgusto. — E chi sarebbe questo capitano Underhill…

— Oh, non un parente, sergente, glielo assicuro. Lui…

— … e perché mai i suoi desideri dovrebbero importare qualcosa a qualcuno, qui dentro?

— Ah, ma se lei legge anche più avanti vedrà che è l’aiutante del colonnello A.G. Canlivort, Posatoio Reale QM.

Il sergente mugolò qualcosa che sembrava: — Dannati leccapiedi dei servizi segreti. — Si accovacciò, poggiando sul trespolo la sua mole considerevole. — E va bene, signor Underhill. Sentiamo, quale dovrebbe essere il suo prezioso contributo allo sforzo bellico? — Qualcosa nell’individuo era fuori posto. Poi Sherkaner notò che portava delle protezioni mediche su tutte le gambe sinistre. Stava parlando a un veterano, uno che aveva combattuto personalmente.

Quella sarebbe stata una vendita irta di difficoltà. Anche con un pubblico disposto ad ascoltarlo, Sherkaner sapeva che non avrebbe fatto grande impressione con la sua apparenza fisica: giovane, un po’ troppo magro per essere bello, con un modo di fare a volte saccente e a volte goffo. Inoltre aveva sperato di poter presentare l’idea a un ingegnere. — Be’, sergente, nelle ultime tre o quattro generazioni voi militari avete cercato di ottenere dei vantaggi restando a lavorare il più a lungo possibile nella Tenebra. Dapprima ci siete riusciti per un centinaio di giorni, approfittandone per disporre campi minati o allestire fortificazioni. Poi lo avete fatto per un anno, quindi per due anni, abbastanza da acquartierare larghi spiegamenti di forze in posizioni dalle quali partire all’attacco al successivo Nuovo Sole.

Il sergente — HRUNKNER UNNERBAI diceva la targhetta — si limitava a guardarlo.

— È un fatto noto che entrambe le parti hanno in corso un impegno massiccio per realizzare tunnel, sul Fronte Orientale, e si suppone che battaglie di grande importanza strategica saranno combattute anche otto o dieci anni dopo l’inizio dell’imminente Tenebra.

Unnerbai fu colpito dalla possibilità di disfarsi di lui ed ebbe un sorrisetto freddo. — Se è questo che le interessa lei ha sbagliato indirizzo, signor Underhill. Si rivolga agli Scavatori. Questo è l’Ufficio Ricerche e Attrezzature.

— Oh, lo so. Ma senza nuove attrezzature non abbiamo la possibilità di penetrare nel periodo veramente freddo. E inoltre.. il mio piano non ha niente a che fare con gli scavi — disse in fretta Sherkaner.

— E allora?

— Io… io propongo di scegliere adeguati obiettivi Tiefstadt, di svegliarci nella Tenebra Profonda, avvicinarci in superficie agli obiettivi e distruggerli. — Questo assommava varie impossibilità fisiche in una sola frase. Sherkaner alzò le mani radunatrici, — Ho studiato ognuna di queste difficoltà, sergente. E ho le soluzioni, o un inizio di soluzioni…

La voce di Unnerbai fu quasi dolce quando lo interruppe. — Nella Tenebra Profonda, dice? E lei è un ricercatore della Scuola Reale di Principalia? — Questo era ciò che il cugino di Sherkaner aveva scritto nella lettera.

— Sì, in matematica e…

— Silenzio. Lei ha un’idea di quanti milioni la Corona spende in ricerche militari, in posti come la Scuola Reale? Ha un’idea dell’attenzione con cui teniamo sotto esame ogni lavoro serio che gli esperti portano avanti? Dio, come detesto voialtri presuntuosi occidentali. La vostra maggior preoccupazione è di prepararvi per la Tenebra, e anche in questo riuscite a malapena. Se il vostro guscio avesse un minimo di durezza vi arruolereste. In questo momento c’è gente che sta morendo in Oriente, ragnetto. Ci sono migliaia di altri che moriranno perché la guerra gli impedisce di prepararsi alla Tenebra, e altri ancora destinati a morte quando il Nuovo Sole si accenderà e loro non avranno niente da mangiare. E lei viene qui a propinarmi le sue fantasie su cosa-succederebbe-se.

Unnerbai fece una pausa, e controlló l’irritazione. — Bah, le racconterò io una storia divertente, adesso, prima che lei porti il suo deretano fuori di qui e se ne torni a Principalia. Come vede, io sono un po’ sbilanciato. — Gli indicò le sue gambe sinistre. — Una piccola discussione con un guastatore nemico. Finché non sarò del tutto guarito do una mano a filtrare gli strani suggerimenti che la gente come lei ci elargisce di continuo. Per fortuna la maggior parte di queste balordaggini ci arriva per posta. In media ogni dieci giorni un bravo artropode si prende il disturbo di informarci, ad esempio, degli inconvenienti degli allotropi a bassa temperatura della latta…

Oops, forse sto parlando a un ingegnere!

— … e ci avverte di non usarli con delle saldature. E se non altro questi sanno di cosa parlano, così non ci danno altro disturbo che la perdita di tempo. Ma poi ci sono quelli che hanno appena letto dell’esistenza del radium, e che immaginano che potremmo costruire dei super-scavatori con una testata di questo materiale. Ogni tanto ci capita di litigare fra noi su chi detiene il record di aver parlato con l’idiota più grosso. Be’, signor Underhill, credo che lei mi abbia dato la vittoria. Lei sta parlando di svegliarci nel bel mezzo della Tenebra, e poi di andarcene in giro fuori, con una temperatura più bassa di quella ottenibile in un laboratorio comune e il vuoto più pneumatico che chiunque possa realizzare. — Unnerbai tacque. Era preoccupalo dall’idea di aver dato delle informazioni riservate? Poi Sherkaner si accorse che il sergente stava guardando qualcosa nel punto cieco dietro di li.

— Oh, tenente Smait! Buon pomeriggio, signora. — Per poco il sergente non scattò sull’attenti.

— Buon pomeriggio, sergente. — La femmina che aveva parlato entrò nell’anticamera. Era… bella. Le sue gambe erano snelle e dure, ricurve, e si muoveva con grazia flessuosa. Portava un’uniforme nera che Sherkaner non aveva mai visto, i cui unici ornamenti erano i semi rossi del grado e la targhetta col nome. Victreia Smait. Sembrava impossibilmente giovane. Nata fuori fase? Forse. In tal caso l’esagerato rispetto esibito dal sergente era sarcastico, irrisorio.

Il tenente Smait rivolse la sua attenzione a Sherkaner. Sembrava cortese, anche se in un modo distaccato e vagamente divertito. — E così, signor Underhill, lei è un ricercatore del Dipartimento di Matematica della Scuola Reale.

— Be’, diciamo uno studente dell’ultimo anno, in realtà… — Lo sguardo di lei sembrava attendere altri particolari. — Uh, matematica è la specializzazione elencata nel mio programma di studio. Ma ho fatto un sacco di lavoro pratico alla Scuola Medica e a Ingegneria Meccanica. — Si aspettava che Unnerbai facesse qualche commento rude, ma il sergente all’improvviso era assai taciturno.

— Allora lei capisce la natura della Profonda Tenebra, delle temperature ultrabasse, e del vuoto pneumatico.

— Sì, signora, e ho riflettuto molto sui problemi tecnici collegati a questo. — Quasi metà di un anno, ma questo è meglio non dirlo. — Ho molte idee nuove, e alcuni disegni preliminari. Alcune delle soluzioni sono biologiche, e ancora non ho molto da mostrarvi. Ma ho portato dei prototipi per alcuni degli aspetti meccanici del progetto. Sono qui fuori, sulla mia auto.

— Ah, sì. La Relmeitch parcheggiata fra la vettura del generale Grionval e quella di Douneng. Forse dovremmo darci un’occhiata… e spostare la sua automobile in un posto più sicuro.

La piena comprensione di quel fatto era ancora lontana anni, ma in quel momento Sherkaner Underhill ne ebbe il primo barlume. Di tutti i militari di servizio a Comando Territoriale, di tutta la gente dell’intero mondo, non avrebbe potuto trovare un’ascoltatrice più adatta del tenente Victreia Smait.

6

Nell’ultimo anno del Sole Calante ci sono tempeste, spesso violente. Ma non sono quelle bollenti ed esplosive che accompagnano la nascita del Nuovo Sole. I venti e le burrasche della Tenebra imminente ci fanno paragonare il mondo a un essere vivente ferito a morte, che debolmente si agita mentre il sangue e la vita lo abbandonano. Perché il calore è il sangue del pianeta, e quando la Tenebra glielo risucchia il mondo morente è sempre meno capace di protestare.

Viene il giorno in cui cento stelle possono essere viste nel cielo a mezzodì. Poi mille stelle, e alla fine il sole non diventa più debole e piccolo di loro… e allora la Tenebra è giunta. Le piante più grandi sono già morte da tempo, e la polvere delle loro spore è sepolta sotto la neve. Gli animali inferiori attraversano lo stesso ciclo di estinzione. Schiume di muffa emergono dai mucchi di neve sotto cui stanno resti animali e vegetali, e fuochi fatui aleggiano intorno alle carcasse scoperte; alcuni dicono ancora che si tratta degli spiriti dei morti; gli scienziati di quest’ultima era di scoperte e invenzioni sanno che si tratta soltanto di batteri. E tuttavia c’è ancora gente che vive alla superficie. Alcuni sono gli sventurati ai quali tribù più forti, o nazioni più aggressive, hanno impedito di trovare rifugio nelle profondità. Altri sono gente a cui terremoti o inondazioni hanno sepolto e distrutto le profondità ove si recavano fin dalla più remota preistoria. Ai tempi antichi c’era un solo modo di sapere qual era l’effetto reale della Tenebra: costretto a restare in superficie qualcuno poteva passare alla storia scrivendo ciò che vedeva, e poi salvare il suo resoconto in modo che non soccombesse ai fuochi del Nuovo Sole. E occasionalmente accadeva che uno di costoro resistesse al gelo un anno o due, sia grazie a circostanze straordinarie, sia per aver saputo organizzarsi allo scopo di guardare più vicino il cuore della Tenebra. Un filosofo sopravvisse così a lungo che le sue ultime parole furono definite una metafora o una pazzia, da quelli che le trovarono scolpite nella roccia fuori dalla loro profondità: «… e l’aria stessa sta diventando neve e cade al suolo».


Su una cosa i propagandisti della Corona e di Tiefstadt erano d’accordo. Quella Tenebra sarebbe stata diversa da tutte le precedenti.

Fu la prima Tenebra a essere sfidata dalla scienza al servizio della guerra. Mentre milioni di cittadini si ritiravano nelle immobili polle, in migliaia di profondità, gli eserciti di entrambe le parti continuarono a combattere. Per lo più gli scontri armati avvennero fra le trincee di superficie, riscaldate dai falò e dal vapore. Ma la grande novità furono i combattimenti nel sottosuolo, nella rete di tunnel scavati artificialmente che s’intrecciavano dietro le linee del fronte sui due lati. Dove quei tunnel s’intersecavano, scoppiavano furibonde battaglie a cannonate o coi gas venefici. E i tunnel che non s’incontravano continuarono ad allungarsi nella roccia gessosa del Fronte Orientale, metro dopo metro, giorno dopo giorno, per molto tempo dopo che gli scontri di superficie erano finiti.

Cinque anni dopo l’inizio della Tenebra, fra le forze della Corona soltanto una élite di tecnici e militari, forse diecimila soldati in tutto, proseguiva le operazioni militari nel sottosuolo. Anche alla loro profondità la temperatura era molto inferiore al punto di congelamento dell’acqua. L’aria fresca veniva fatta circolare nei pochi tunnel ancora occupati da ventilatori che bruciavano foram. Gli ultimi fori dell’aria stavano per essere ostruiti dal ghiaccio.

— Da quasi dieci giorni non abbiamo alcun rapporto di attività dei Tiefer. Il Comando Scavi non ha ancora smesso di congratularsi con se stesso. — Il generale Grionval si gettò un aromatico fra le mandibole e lo masticò rumorosamente. Il capo del Servizio Informazioni dell’Alleanza non era mai stato noto per la sua fine diplomazia, e negli ultimi anni era diventato ancor più rude. Era un vecchio artropode, e benché le condizioni meteorologiche a Comando Territoriale fossero migliori che altrove stavano entrando nella fase più estrema. Nei bunker adiacenti alla Profondità Reale erano ancora sveglie forse cinquanta persone. Ogni ora l’aria si faceva meno respirabile. Grionval aveva rinunciato alla sua biblioteca più di un anno prima. Ora il suo ufficio consisteva in un locale di sei metri per tre per uno e venti di altezza, in uno spazio morto sopra i dormitori. Le pareti della piccola stanza erano coperte di mappe e di messaggi di telescriventi pervenuti dalle linee più avanzate. Le comunicazioni radio avevano avuto l’ultimo tracollo pochi giorni addietro. Durante l’anno appena trascorso i tecnici avevano sperimentato radio sempre più potenti, e c’era stata la speranza di poterle usare fino alla fine. Invece adesso avevano dovuto tornare al telegrafo, salvo quando non c’erano ostacoli sulla linea retta fra le trasmittenti e le riceventi. Grionval guardò la sua visitatrice, senza dubbio l’ultima che Comando Territoriale avrebbe visto nei prossimi duecento anni e più. — E così, colonnello Smait, lei torna adesso dal Fronte Orientale. Perché non la sento ridere felice? A quanto pare abbiamo resistito più del nemico.

L’attenzione di Victreia Smait era stata attratta dal periscopio del generale, e non aveva resistito alla tentazione di usarlo. Quello era il motivo per cui Grionval aveva installato lì il suo ufficio: la possibilità di guardare coi suoi occhi il mondo esterno. Le Cascate Reali s’erano congelate più di due anni prima. Lei poteva vedere fino in fondo alla valle. Un territorio oscuro, coperto da una crosta di ghiaccio duro come la roccia. L’anidride carbonica nevicata già dall’atmosfera.

Ma Sherkaner vedrà un mondo ancora più freddo di questo.

— Colonnello?

Victreia si scostò dal periscopio. — Mi scusi, signore. Io ammiro gli scavatori… con tutto il cuore. — Almeno, le truppe che sono ancora al lavoro negli scavi. Lei era stata nelle loro profondità, in prima linea. — Ma sono trascorsi giorni da quando hanno superato le posizioni nemiche. Meno della metà di loro saranno in grado di combattere, dopo la Tenebra. Credo che il Comando Scavi abbia capito che il punto di fine lavori era troppo avanzato.

— Già — grugnì il generale. — Il Comando Scavi fa i suoi piani per operazioni a vasto raggio, ma i Tiefer hanno fatto un affare migliore fermandosi dove si trovavano. — Sospirò e disse alcune frasi che in altre circostanze gli sarebbero costate i gradi, ma quando uno si trovava cinque anni oltre la fine del mondo non c’era molta gente ad ascoltarlo. — Sa, i Tiefer non sono poi tanto malvagi. Guardi al futuro e vedrà dei tipi più infidi fra i nostri stessi alleati, in attesa che la Corona e Tiefstadt si facciano a pezzi per approfittarne. È per quel futuro che dovremmo fare i nostri piani, per i prossimi bastardi che cercheranno di farci lo sgambetto. Noi questa guerra la vinceremo, ma se dovessimo affidarci ai tunnel e agli scavatori, ci aspetterebbero molti anni duri dopo il Nuovo Sole.

Masticò ancora l’aromatico e alzò una mano anteriore verso Victreia. — Il vostro progetto è la nostra sola possibilità di concludere la guerra rapidamente.

La risposta di lei fu brusca. — E le nostre possibilità sarebbero maggiori se lei mi avesse lasciato con la Squadra.

Grionval parve non aver sentito quella lamentela. — Victreia, lei lavora in questo progetto da sette anni. Pensa davvero che possa funzionare?

Forse era l’aria povera di ossigeno a ottundere la mente a tutti. L’indecisione era totalmente aliena all’immagine pubblica di Strut Grionval. Lei lo conosceva da nove anni. Coi suoi più stretti collaboratori Grionval era una persona aperta alle idee altrui… finché veniva il momento di prendere le decisioni. Allora diventava un individuo tutto d’un pezzo e senza esitazioni, capace di tener testa agli altri generali e perfino ai consiglieri politici del Re. Lei non avrebbe mai immaginato di sentirgli fare quella domanda. Ora vedeva in lui un vecchio che entro poche ore si sarebbe arreso alla Tenebra, forse per l’ultima volta. Capirlo fu come appoggiarsi a una balaustra ben conosciuta e sentirla cedere. — Signore… abbiamo scelto i nostri obiettivi con cura. Se saranno distrutti, la resa di Tiefstadt dovrebbe seguire quasi immediatamente. La Squadra Underhill si trova in un lago, a meno di due chilometri dagli obiettivi. — E questo era già un grosso risultato. Il lago si trovava presso il più importante centro di rifornimenti nemico, un centinaio di chilometri all’interno dei confini di Tiefstadt.

— Unnerbai, Underhill e gli altri dovranno camminare solo per una breve distanza, signore. Abbiamo collaudato le loro tute e gli esotermi per periodi molto più lunghi, e in condizioni quasi altrettanto…

Il generale Grionval sorrise debolmente. — Sì, lo so. Io stesso ho sbattuto le cifre fra le chele dello Staff Generale. Ma ora stiamo per farlo davvero. Pensi a cosa significa. Nelle ultime generazioni noi militari abbiamo fatto le nostre piccole sacrileghe incursioni nei bordi della Tenebra. Ma la squadra di Unnerbai vedrà il cuore della Profonda Tenebra. Cosa si troveranno davanti? Sì, in teoria lo sappiamo: l’aria congelata, il vuoto. Ma sono soltanto ipotesi. Io non sono religioso, colonnello Smait, ma… mi domando cosa vedranno i loro occhi.

Religioso o no, le antiche superstizioni dei diavoli delle nevi e degli angeli della terra sembravano prendere vita dietro le parole del generale. Anche la mente più razionale tremava dinanzi a una Tenebra cosi intensa che il mondo stesso non esisteva più. Con uno sforzo Victreia ignorò le emozioni che Grionval aveva svegliato in lei. — Sì, signore, potrebbero esserci delle sorprese. E io potrei elencare questo piano fra quelli destinati a fallire, se non fosse per un elemento: Sherkaner Underhill.

— Il nostro amico rompiscatole.

— Sì, un rompiscatole del genere più straordinario. Io lo conosco da sette anni… da quel primo giorno, quando capitò qui con un’auto carica di prototipi e la testa piena di progetti folli. Per nostra fortuna quella era una giornata morta; io avevo il tempo di farmi quattro risate con lui… o così pensavo. La media di quei tipi di studiosi viene fuori al massimo con una ventina di buone idee in tutta la vita; Underhill ne snocciolava venti all’ora. Smontarne una sola era difficile, perché appena trovavo un punto debole lui tirava fuori cinque soluzioni diverse per superarlo, e alla fine il mio cervello restava come paralizzato. Intendiamoci, a scuola ho conosciuto persone intelligenti quanto lui, ma la differenza è che le idee di Underhill sono realizzabili subito e facilmente. Forse qualcun altro avrebbe pensato di usare fango di palude per nutrire gli esotermi. Certo qualcun altro sarebbe riuscito a costruire delle tute a pressione. Ma lui tira fuori nuove idee, le trasforma in oggetti e questi oggetti funzionano.

«Questa però è solo una parte della cosa. Senza Sherkaner non avremmo migliorato tutte le attrezzature che abbiamo usato negli ultimi sette anni. Lui ha la magica capacità di coinvolgere gente molto brillante nei suoi progetti. — Victreia ripensò ai commenti acidi del sergente Unnerbai quel lontano primo giorno. Poco tempo dopo era anche lui ingarbugliato e affascinato dalle idee che Sherkaner tirava fuori. — Spesso Underhill non ha pazienza per i particolari, ma questo importa poco. Ha messo insieme un gruppo che questa pazienza ce l’ha. È un tipo… notevole.

Queste erano cose vecchie per entrambi: lo stesso Grionval aveva usato frasi analoghe per presentare Underhill ad altri colleghi. Ma erano la migliore rassicurazione che ora Victreia potesse dare al vecchio artropode, Grionval sorrise ed ebbe un’espressione strana. — Allora perché non lo sposa, colonnello?

Victreia non immaginava che quell’argomento sarebbe venuto allo scoperto. Ma all’inferno, erano soli, e alla fine del mondo. — Intendo farlo, signore. Ma c’è una guerra in corso, e lei sa che io non sono… molto tradizionalista. Ci sposeremo dopo la Tenebra. — Lei ci aveva messo un pomeriggio per decidere che Sherkaner era la persona più singolare che avesse mai conosciuto. Le erano occorsi un altro paio di giorni per decidere che era un genio, e che se qualcuno lo avesse messo in funzione come una dinamo avrebbe potuto letteralmente cambiare il corso di una guerra mondiale. Da lì a cinquanta giorni era riuscita a persuadere di questo anche Grionval, e Underhill era stato messo a capo di un laboratorio… col risultato che altri laboratori avevano subito cominciato a crescere intorno al suo per occuparsi di altri aspetti del progetto. Fra l’una e l’altra delle sue missioni Victreia aveva cominciato a pensare a come poteva volgere il Fenomeno Underhill, così era come lo definivano quelli del Servizio Informazioni, a suo perenne vantaggio. Il matrimonio era la mossa più ovvia. Un tradizionale Matrimonio-nel-Calante si sarebbe adattato alla sua carriera militare. Tutto sarebbe stato perfetto, fuorché dal punto di vista di Sherkaner Underhill. Lui era una persona che aveva dei progetti. Ultimamente era diventato il miglior amico di Victreia, così come qualcuno poteva diventarlo di una femmina che aveva delle mire su di lui. Sherkaner aveva progetti anche per il tempo post-Tenebra, cose di cui Victreia non aveva mai parlato a nessuno. I pochi amici di lei, fra questi anche Hrunkner Unnerbai, erano tali nonostante il fatto che lei fosse una nata-fuori-fase. A Sherkaner Underhill invece l’idea di avere figli fuori fase piaceva. E questa era stata la prima volta che Victreia aveva incontrato qualcuno con sentimenti diversi dalla tolleranza per la sua diversità. Così per il momento essi combattevano una guerra. Se fossero sopravvissuti ci sarebbe stato un altro mondo di progetti e di vita insieme, dopo la Tenebra.

E Strut Grionval era abbastanza intelligente da immaginare cose di questo genere.

D’un tratto Victreia guardò il suo superiore. — Lei lo sapeva già, non è così? È per questo che non mi ha lasciato con la Squadra. Lei pensa che sia una missione suicida, e che io non abbia saputo vederne i risvolti… be’, lei non conosce Sherkaner Underhill. L’autosacrificio non è nei suoi programmi. Secondo i nostri standard è piuttosto un codardo. Non è particolarmente attratto dai valori che lei e io consideriamo sacri. Lui rischia la vita per semplice curiosità… ma è molto, molto cauto quando si tratta della sua sicurezza. Io credo che la Squadra avrà successo e sopravviverà. Ma le loro probabilità sarebbero maggiori se io fossi restata con loro! Signore.

Le sue ultime parole furono rese più drammatiche dall’affievolirsi dell’unica lampada della stanza. — Bah — disse Grionval. — Da una dozzina di ore siamo senza olio combustibile, lo sa, colonnello? Le batterie ad acido sono quasi scariche. Fra un paio di minuti il capitano Diredr sarà qui con le Ultime Parole del Reparto Manutenzione: «Mi scusi, signore, ma le ultime polle congeleranno da un momento all’altro. Gli ingegneri le chiedono di unirsi a loro per la chiusura» — disse, mimando la voce acuta del suo aiutante.

Grionval si alzò, dietro la scrivania. Tutti i dubbi erano di nuovo nascosti, e nei suoi modi era tornata la vecchia spavalderia. — Nel tempo che ci resta voglio chiarirle alcune cose sui suoi ordini, e sul suo futuro. Sì, io l’ho tolta dalla Squadra perché non volevo rischiare di perderla in quella missione. In questi nove anni lei è stata impiegata in operazioni pericolose, e io ho avuto modo di osservare come lavora la sua mente quando migliaia di vite dipendono dalla capacità di dare le risposte giuste. È tempo che io la tolga dal servizio attivo. Lei è uno dei colonnelli più giovani, in questa guerra moderna; dopo la Tenebra sarà il generale più giovane.

— Solo se la missione di Underhill avrà successo.

— Non m’interrompa. Comunque vada quell’operazione, i consiglieri del Re sanno che lei è molto capace. Che io sopravviva o no a questa Tenebra, lei siederà al mio posto dopo pochi anni dall’inizio del Nuovo Sole… perciò il tempo di rischiare di persona per lei è finito. Se il suo Underhill ne uscirà vivo lo sposi, accoppiatevi, non m’importa. Ma lei non deve cercare il pericolo. — Alzò una mano puntuta verso la testa di Victreia, in un gesto scherzoso ma anche minaccioso. — Se lo fa, giuro che uscirò dalla tomba per spaccarle il guscio.

Nello stretto corridoio si avvicinarono dei passi. Tre mani scostarono la pesante tenda che fungeva da porta. Era il capitano Diredr. — Mi scusi, generale. Gli ingegneri sono preoccupati per lei. Abbiamo trenta minuti di energia elettrica nelle batterie, e io devo unirmi a loro nel supplicarla di…

Grionval sputò i resti dell’aromatico in una sputacchiera ammaccata. — Va bene, capitano. Scendiamo subito. — Girò intorno a Victreia e aprì la tenda. Quando vide che lei esitava a seguirlo le indicò la porta con un gesto perentorio. — In questo caso, mia cara, spetta agli anziani uscire per ultimi. Non mi sono mai piaciute tutte queste formalità per andare nella Tenebra, ma se devo farlo voglio essere io quello che spegne la luce prima di uscire!

7

Di norma, Pham Trinli non avrebbe avuto il diritto di restare sul ponte della nave ammiraglia, comunque non durante un’operazione importante. L’anziano individuo si sedeva spesso a uno dei posti di comunicazione duplicati, ma in realtà non faceva niente. Trinli era programmatore d’armi di 3° grado, anche se nessuno lo aveva visto svolgere i modesti incarichi che competevano a uno cosi in basso nella scala gerarchica. Sembrava andare e venire a suo piacimento, e trascorreva buona parte del tempo nella sala comune degli impiegati. Il comandante di flotta Park era noto per un filo di irrazionalità quando si trattava dei “privilegi degli anziani”. Così, a quanto pareva, finché non causava inconvenienti Pham Trinli sarebbe rimasto sul libro paga della flotta.

In quel momento Trinli sedeva di traverso sulla sua poltroncina. Stava ascoltando con aria pigra le conversazioni, guardava le immagini in arrivo dall’esterno, e ogni tanto si voltava verso i tecnici e gli armieri per osservare i grossi display comuni.

L’atterraggio delle navette Qeng Ho ed Emergenti era stato il balletto della cautela e del sospetto. La sfiducia per gli Emergenti dilagava a tutti i livelli fra i dipendenti di Park. Di conseguenza non c’erano equipaggi misti, e le reti di comunicazione erano duplicate. Il comandante Park aveva diviso le sue navi in tre gruppi, ciascuno responsabile di un terzo delle operazioni sul pianeta. Ogni nave degli Emergenti, ogni scialuppa, ogni membro dell’equipaggio munito di autogetti era monitorato alla ricerca di prove di tradimento.

Le immagini che giungevano alle lenti a contatto o sui display davano una buona visione d’insieme delle operazioni. Ritrasmesse dal gruppo orientale che fungeva da ripetitore, Trinli poteva vedere quelle di tre navette pesanti che si alzavano dalla superficie congelata dell’oceano portandosi via un quarto di milione di tonnellate di ghiaccio. Quello era il loro sesto viaggio. La superficie era illuminata dal bagliore dei razzi, e si scorgeva una fossa larga un centinaio di metri. Il vapore ne nascondeva il fondo. I sondaggi sonori avevano rivelato la presenza di metalli pesanti in quella zona dello zoccolo continentale, ed essi venivano estratti con la stessa forza bruta impiegata nello scavare il ghiaccio.

Niente di sospetto qui, anche se le cose potrebbero cambiare quando sarà il momento di dividere il materiale raffinato.

Studiò la finestra dello stato delle comunicazioni. Entrambe le parti erano state d’accordo di trasmettere in chiaro; numerosi tecnici Emergenti erano in continua consultazione radio con gli specialisti Qeng Ho. L’altra parte stava risucchiando tutto ciò che poteva di quanto Diem aveva scoperto in quella valle. Era interessante la disinvoltura con cui gli Emergenti proponevano di prelevare gli artefatti indigeni. Assai poco Qeng Ho. Più simile a quel che potrei fare io.

Park aveva scaricato buona parte dei microsatelliti della flotta su orbite di vario genere prima dell’arrivo degli Emergenti. Ce n’erano circa diecimila, grossi quanto un pugno. Sottilmente manovrati ora passavano accanto alle navette Emergenti assai più spesso di quanto il caso avrebbe voluto. E facevano i loro rapporti alle banche dati e alle finestre della plancia. Stavano riferendo che il numero delle conversazioni in corso fra i vascelli Emergenti era molto maggiore di quel che ci si poteva aspettare. Potevano essere innocenti scambi di dati fra i loro automatismi. Più probabilmente però quegli scambi di dati contenevano anche ordini militari cifrati, i preparativi segreti del nemico. (E Pham Trinli non aveva mai pensato agli Emergenti come a qualcosa di diverso da un nemico.)

Lo staff di Park riconosceva i sintomi, naturalmente. Nel loro modo mercantilistico quegli armieri Qeng Ho erano astuti e capaci. Trinli sentì che tre di loro stavano parlando proprio dell’insolito schema delle trasmissioni radio fra i vascelli Emergenti. Uno degli armieri pensava che fosse un miscuglio di dati e di istruzioni, le seconde cifrate per apparire un semplice compendio dei primi. Se era vero, si trattava di un sistema più sofisticato di quelli Qeng Ho… e questo non sembrava credibile. L’armiere anziano guardò accigliato il giovane che aveva avanzato l’ipotesi. Anche quelli che sono già stati in combattimento non afferrano il punto. Per un momento la faccia di Trinli si scurì.

Una voce lo contattò in privato, nell’auricolare: — Lei che ne pensa, Pham?

Trinli sospirò. Rispose nel suo comunicatore senza quasi muovere le labbra: — La cosa puzza, Sam. Lei lo sa.

— Mi sentirci meglio se lei fosse a un centro di controllo alternativo. — La plancia della Pham Nuwen non mancava di niente, ma c’erano altri piccoli centri di controllo distribuiti negli spazi abitabili della nave. Più di metà dello staff visibile in plancia si trovava in realtà altrove. Questo in teoria rendeva la nave più difficile da mettere fuori combattimento. In teoria.

— Potrei fare di meglio. Ho hackerato uno dei taxi con controllo a distanza. — Il vecchio fluttuò via dalla poltroncina. In silenzio passò a mezz’aria dietro i gruppetti di tecnici di plancia, oltre le immagini delle navette pesanti, oltre quelle di Diem che si preparava a decollare dalla valle, quelle dei tecnici Emergenti (oh, così sincere e attente!), dietro i grandi display sul fondo. Nessuno notò il suo passaggio, salvo quando scivolò fuori dalla porta della plancia e il comandante Sam Park gli gettò uno sguardo. Trinli gli rivolse un lieve cenno del capo.

Idioti senza spina dorsale, quasi tutti. Soltanto Sam e Kira Pen Lisolet avevano capito la necessità di colpire per primi. E non erano riusciti a persuadere un solo membro del Comitato Mercantile. Neppure dopo aver conosciuto gli Emergenti di persona, il Comitato aveva letto la certezza del tradimento sulle loro facce. E avevano chiesto a un Vinh di decidere per loro. Un Vinh!

Trinli galleggiò via per corridoi poco frequentati, si fermò ai compartimenti stagni dei taxi e apri quello del veicolo che lui aveva preparato. Potrei chiedere a Lisolet di ammutinarsi. La vice comandante di flotta aveva una nave ai suoi ordini, la NQH Mano Invisibile. Un atto di disubbidienza era fisicamente possibile e, una volta che lei avesse cominciato a sparare, Sam e gli altri sarebbero stati costretti a fare lo stesso.

Scivolò nel taxi e accese la pompa del compartimento stagno. No, io me ne lavo te mani di questa gente. Gli stava venendo un forte mal di capo. Di solito la tensione non gli faceva quell’effetto. Scosse le spalle. E va bene, la verità era che non avrebbe chiesto a Lisolet di ammutinarsi perché lei era una di quelle rare persone col senso dell’onore. Così lui avrebbe fatto il possibile col poco di cui disponeva. Sam aveva portato delle armi. Trinli ebbe un sogghigno. Se l’altra parte colpirà per prima, almeno saremo gli ultimi a cadere. Mentre il suo taxi si allontanava dalla nave ammiraglia Qeng Ho, Trinli studiò le trasmissioni in corso e cercò di fare un piano. Cosa avrebbe escogitato l’altra parte? Se quei preliminari fossero durati abbastanza da permettergli di trovare le chiavi di accesso alle armi… avrebbe potuto essere lui a innescare l’attacco dei Qeng Ho.

I sintomi del dramma che si preparava erano molti, ma anche Pham Trinli si lasciò sfuggire il più palese. Solo chi aveva già pugnalato qualcuno alle spalle sapeva dove guardare per cercare la lama destinata a lui.


Ezr Vinh ignorava completamente gli sviluppi militari in corso sopra di lui. I Ksec trascorsi in superficie erano stati affascinanti e faticosi, un lavoro che non lasciava molto tempo per i sospetti. In vita sua lui aveva messo piede su un pianeta per poche dozzine di Msec. Nonostante gli esercizi fisici e gli integratori dietetici la cosa gli dava ancora una sensazione strana. I primi Ksec erano stati relativamente facili, ma ora ogni muscolo gli doleva. Per fortuna non era il solo a lamentarsi. L’intera squadra trascinava le gambe. Da ultimo ci fu la pulizia della stanza e gli accurati accertamenti per controllare che le tracce residue della loro presenza sarebbero andate perse fra gli effetti della riaccensione di OnOff. Il capoequipaggio Diem si storse una caviglia durante il ritorno a bordo della navetta. Senza il robot articolato, scalare il resto della scarpata portandolo a braccia sarebbe stato impossibile. Quando finalmente furono a bordo, anche uscire dalle tute a pressione e metterle via fu una fatica.

— Signore Iddio! — Benny collassò sulla cuccetta accanto a quella di Ezr. Ci furono mugolii di protesta in tutto il compartimento durante il decollo. Ma Ezr si sentiva serenamente soddisfatto; da quella missione la flotta aveva appreso più di quanto si aspettasse. Era stata una buona giornata di lavoro.

Adesso nessuno della squadra di Diem aveva voglia di chiacchierare. Il ronzio subsonico del propulsore era una vibrazione che sembrava nascere nelle loro stesse ossa. Ezr sentiva ancora le conversazioni fra gli specialisti, nello spazio, ma la voce di Trixia non c’era. Nessuno parlava alla squadra di Diem… no, un momento: Qiwi stava cercando di mettersi in contatto sul suo telefono privato, ma Ezr era troppo stanco per le chiacchiere della Marmocchia.

Oltre la curvatura del pianeta, le scialuppe pesanti erano in ritardo. Le mine nucleari avevano frammentato milioni di tonnellate di ghiaccio oceanico, ma il vapore che stagnava sul luogo delle esplosioni rallentava i lavori. Un Emergente, Brughel, si stava lamentando che avevano perso il contatto con una delle navette.

— Credo che sia la vostra angolazione visiva, signore — intervenne la voce di un controllore di volo Qeng Ho. — Da qui possiamo vederle tutte. Tre sono ancora in superficie. Una è nascosta da un fitto banco di nebbia ma sembra ben posizionata. Altre tre sono in fase di ascesa e procedono regolarmente, ben separate… un momento… — Trascorse qualche secondo. Su un canale più “lontano” una voce parlava di un problema medico; sembrava che qualcuno avesse fatto un balzo troppo lungo a zero-G. Poi tornò in linea il controllore di volo. — Questo è strano. Abbiamo perso tutte le immagini e l’audio delle operazioni sulla Costa Orientale.

Brughel, con voce secca: — Avrete canali alternativi, no?

Il controllore di volo Qeng Ho non rispose.

Una terza voce: — Abbiamo appena ricevuto una scarica EM. Credevo che voi Emergenti aveste finito con le esplosioni in superficie.

— E abbiamo finito! — Il tono di Brughel era irritato.

— Be’, ora stiamo registrando altre tre pulsazioni EM. Io… Sì signore!

Pulsazioni EM? Ezr lottò per tirarsi a sedere ma l’accelerazione era troppo forte, e all’improvviso la testa gli doleva molto. Parla ancora, dannazione! Ma l’uomo che aveva appena detto «Sì, signore!» — un armiere Qeng Ho, dall’accento — non era più in linea, o forse era passato su un canale cifrato.

La voce dell’Emergente era secca e irritata. — Esigo di parlare a un vostro ufficiale. Subito. Noi sappiamo riconoscere dei laser quando ci vengono puntati addosso. Spegneteli, o ve ne pentirete.

Il display di Ezr si spense, e lui si ritrovò a guardare la tappezzeria del compartimento. Uno degli schermi era acceso, ma stava mostrando solo le routine di qualche procedura d’emergenza .

— Merda! — Era Jimmy Diem. In fondo alla cabina, il capoequipaggio stava battendo ordini su una consolle. Ezr sentì il rumore di qualcuno che vomitava, alle sue spalle. Era come uno di quegli incubi dove tutto impazzisce contemporaneamente.

In quel momento la navetta raggiunse la velocità di fuga e il propulsore si spense. In pochi istanti la terribile pressione sullo sterno di Ezr svanì, e ci fu il familiare sollievo dello zero-G. Lui si spinse via dalla cuccetta e raggiunse Diem. Dal soffitto era facile guardare i display di Diem senza stargli fra i piedi. — Stiamo davvero sparando a quella gente? — Signore, che terribile mal di capo! Quando cercò di leggere le cifre sugli schermi tutto gli si confuse davanti agli occhi.

Diem si volse a guardarlo; sulla sua faccia si leggeva una sofferenza agonizzante. — Non so cosa stiano facendo le nostre navi. Ho perso le immagini sul canale comune. Aggrappati a una maniglia. — Si piegò avanti come per distinguere qualcosa nella marmellata di colori dei display. — La flotta ha cominciato a criptografare tutto, e noi siamo inchiodati all’ultimo livello di sicurezza. — Questo significava che non avrebbero avuto notizie dalle astronavi, a parte gli ordini diretti a loro dagli armieri di Park.

Il soffitto diede a Ezr un forte colpo sulla schiena, e lui cominciò a slittare verso il fondo della cabina. La navetta stava ruotando: una manovra d’emergenza di qualche genere… l’autopilota non ne aveva dato avviso. Più probabilmente il Comando Flotta li stava preparando per un’altra spinta di accelerazione. Lui andò ad assicurarsi su una poltroncina dietro quella di Diem, proprio mentre il propulsore si accendeva a un decimo di G. — Ci fanno spostare su un’orbita più bassa… ma non vedo niente che stia venendo al rendez-vous — disse Diem. Agitò una mano nel campo di identificazione, accanto al display — E va bene. Cercherò di prendere i comandi… spero che Park non se la stia facendo sotto…

Ci fu il rumore di qualcuno che vomitava ancora, dietro di loro. Diem fece per girarsi, ci rinunciò. — Sei tu quello che può muoversi, Vinh. Occupatene tu.

Ezr scivolò lungo il passaggio centrale, lasciando che fosse quel decimo di G a spingerlo avanti. I Qeng Ho vivevano la loro vita in condizioni diverse di accelerazione. Le medicine e una sana dieta rendevano rari anche fra loro i disordini dell’orientamento, ma Tsufe Do e Pham Patil sembravano fuori combattimento, e Benny Wen era piegato in avanti per quanto glielo permetteva la cintura di sicurezza. Girò la testa e deglutì, con sofferenza evidente. — La pressione, la pressione…

Vinh si fermò accanto a Do e Patil, e manovrò l’aspiratore per risucchiare il vomito che galleggiava intorno ai loro indumenti. Tsufe lo guardò, imbarazzata. — Non avevo mai vomitato in transito. Non so cosa mi sta succedendo.

— Non è colpa tua, bambola — disse Ezr, e fece uno sforzo per pensare benché il mal di capo fosse sempre più forte. Stupido, stupido, stupido. Come ho potuto metterci tanto a capire? Non erano i Qeng Ho ad attaccare gli Emergenti; anzi, era decisamente l’opposto.

A un tratto l’esterno fu di nuovo visibile. — Sono sulla rete locale — disse Diem nell’auricolare di Ezr. Il capoequipaggio proseguì con voce mozza, torturata. — Cinque bombe ad alta gravità dalle posizioni degli Emergenti… obiettivo: la nave di Park.

Ezr si appoggiò allo schienale di una poltroncina e guardò il display. I missili erano stati lanciati in direzione opposta alla scialuppa; cinque stelle che si allontanavano nel cielo dirette verso la NQH Pham Nuwen. Le loro traiettorie non erano archi regolari; facevano continue deviazioni repentine.

— I nostri laser li stanno bersagliando. Cercano di farli deviare al punto di…

Una delle piccole luci scomparve. — Ne abbiamo preso uno! Ne abbiamo…

Quattro stelle s’ingrandirono nel cielo. La loro luminosità crebbe, diventando mille volte quella del debole disco del sole.

Poi il display si annebbiò. Le luci della cabina si spensero e si riaccesero vacillando, si spensero ancora. I sistemi d’emergenza entrarono in funzione; apparve una rete di linee rosse che delineava gli scomparti dell’equipaggiamento, il portello del compartimento stagno, la consolle dei comandi manuali. La routine era efficace ma non computerizzata e a basso consumo. Non c’era neppure uno schermo attivo con qualche informazione.

— Capoequipaggio, cos’è successo alla nave di Park? — domandò Ezr. Fuori dagli oblò ci furono quattro lampi di microdetriti in rapida successione. Non si vide nient’altro, ma anche quel poco avrebbe bruciato nella sua memoria per sempre. — Jimmy! — gridò Ezr, voltandosi verso prua. — Cos’è successo allaPham Nuwen? — Le rosse luci d’emergenza danzavano intorno a lui; bastò quel grido a portarlo sull’orlo dello svenimento.

La voce di Diem suonò bassa e rauca. — Io credo che sia… andata. — Disintegrata, bruciata. Neppure quell’eufemismo era meno pesante. — Qui non ho dati, per il momento. Ma quelle quattro esplosioni nucleari… Signore Iddio, erano proprio sulla nave ammiraglia.

Alcune voci si udirono, ancora più deboli di quella di Jimmy Diem. Mentre Ezr si spostava nel passaggio centrale verso di lui, il decimo di G cessò. Senza energia e senza cervello, cos’altro era la navetta se non una bara buia? Per la prima volta in vita sua Ezr Vinh sperimentò il terrore della gente di superficie nello spazio: lo zero-G poteva significare che erano in orbita, oppure che stavano ricadendo su un arco balistico verso la superficie del pianeta…

Ezr respinse il panico e proseguì a tentoni. Potevano usare la consolle d’emergenza. Potevano ascoltare le trasmissioni esterne. Potevano usare l’autopilota per mettersi su una rotta di ritorno verso le forze Qeng Ho superstiti. Il mal di capo si fece più intenso di qualsiasi dolore avesse mai conosciuto. Le piccole luci d’emergenza rosse sembravano indebolirsi. Ezr si accorse che la sua coscienza se ne andava e la paura lo prese alla gola. Non c’era nulla che potesse fare.

E qualche momento prima che tutto svanisse, il fato gli regalò pietosamente un ricordo: Trixia Bonsol non era a bordo della Pham Nuwen.

8

Per più di duecento anni il meccanismo a orologeria sepolto nel lago congelato aveva fedelmente svolto il suo compito, esaurendo la tensione di una molla d’acciaio dopo l’altra. Il meccanismo ticchettò con testarda puntualità fino all’ultima molla della fila, ma prima dello scatto finale una scheggia assassina di ghiaccio d’aria lo bloccò. Avrebbe potuto restare inceppato fino all’avvento del Nuovo Sole, se non fosse stato per un altro evento imprevisto: il settimo giorno del duecentonovesimo anno una serie di scosse telluriche fece vibrare il ghiaccio del lago, la scheggia ne fu spostata e il grilletto scattò. Un pistone spinse una massa di fango organico in una vasca d’aria congelata. Per alcuni minuti non accadde niente. Poi un lucore dilagò nel materiale organico, la temperatura si alzò oltre il punto di vaporizzazione dell’ossigeno e dell’azoto e dell’anidride carbonica. Le esalazioni di trilioni di esotermi in boccio sciolsero il ghiaccio sopra il piccolo veicolo. L’ascesa verso la superficie era cominciata.

Svegliarsi dalla Tenebra non era come uscire da una normale notte di sonno. Mille poeti avevano descritto quel momento e — in epoche più recenti — mille accademici lo avevano studiato. Questa era la seconda volta che Sherkaner Underhill ne faceva esperienza (ma la prima in realtà non contava, poiché il ricordo di quand’era entrato nella Profondità di Monte Reale aggrappato al dorso di suo padre era misto alle vaghe memorie della prima infanzia).

Dalla Tenebra si emergeva un pezzo alla volta. Vista, tatto, udito. Memoria, attenzione, pensiero. Accadeva prima una cosa e poi l’altra? Oppure tornava tutto insieme ma le parti non comunicavano? A che punto di questa riunione di pezzi la mente tornava a essere tale? La domanda avrebbe continuato a stuzzicare Sherkaner per tutta la vita… ma in quei momenti di frammentazione era più importante lottare per tornare se stesso, per ricordare chi era, e sapere ciò che adesso doveva fare per sopravvivere. Gli istinti di un milione di anni erano sul trespolo di guida.

Trascorse il tempo, i pensieri si condensarono meglio e Sherkaner Underhill guardò fuori dai finestrini incrinati del suo vascello, nel buio esterno. C’era un movimento. Vapore turbinante? No, sembravano vortici di cristalli fluttuanti in una luce pallidissima.

Qualcuno gli batteva contro le spalle destre, chiamando il suo nome. Sherkaner mise insieme un altro ricordo, — Sì, sergente, sono vivo… cioè, sono sveglio.

— Molto bene. — Unnerbai aveva la voce roca. — Sei ferito? Esegui l’esercizio.

Sherkaner mosse doverosamente le gambe. Gli dolevano tutte; questo era un buon inizio. Mani di mezzo, mani anteriori, mani nutritive. — Non sono sicuro di sentire gli arti mediani e anteriori. Non li muovo bene.

— Già. Probabilmente sono ancora congelali.

— Come stanno Gil e Amberdon?

— Ho parlato con loro su uno degli altri tubi. Tu sei stato l’ultimo a tornare cosciente, ma loro hanno ancora molte parti del corpo congelate.

— Dammi l’estremità del tubo. — Unnerbai gli passò il tubo conduttore di suoni e Sherkaner parlò direttamente con gli altri membri della Squadra. Il corpo poteva tollerare grosse differenze di temperatura fra un organo e l’altro, ma se il procedimento non si completava in fretta potevano esserci gravi conseguenze. Il problema lì era che i contenitori di esotermi s’erano spostati su un lato mentre la barca sì faceva strada verso la superficie. Sherkaner li rimise in posizione e aumentò il flusso del fango e dell’aria dentro di essi. Il lucore verde che emanavano aumentò, e lui ne approfittò per controllare se c’erano falle nei tubi dell’aria. Gli esotermi erano essenziali per il riscaldamento, ma se la Squadra avesse dovuto competere con loro per l’uso dell’ossigeno se la sarebbe vista brutta.

Trascorse mezzora, e il calore che li avviluppava sciolse i loro arti. Gli unici danni da congelamento erano alle mani di mezzo di Gil Havon. Era un record, rispetto a ciò che accadeva nella maggior parte delle profondità. Un sorriso dilatò le mandibole di Sherkaner. Ce l’avevano fatta. Si erano svegliati nel bel mezzo della Profonda Tenebra.

I quattro riposarono ancora un po’, esaminando la riserva d’aria ed esercitandosi a far reagire gli esotermi col metodo ideato da Sherkaner. Il sergente Unnerbai e Amberdon Nizhnimor (l’unica femmina della Squadra) eseguirono la lista dei controlli, segnalando a Sherkaner ciò che funzionava male o sembrava sospetto. Erano tre tecnici competenti, un chimico e due ingegneri. Ma erano anche militari professionisti. Sherkaner trovava affascinante il cambiamento che avveniva in loro quando dal laboratorio passavano sul campo. Unnerbai, in special modo, era fatto a compartimenti separati: da una parte un soldato duro, dall’altra un ingegnere di mente aperta, e da un altro ancora un tradizionalista con un ferreo concetto dei valori morali. Sherkaner lo conosceva da sette anni, e dopo quel primo giorno di sarcastica sospettosità il sergente era diventato un suo buon amico. Ma quando la Squadra s’era finalmente spostata sul Fronte Orientale i suoi modi erano divenuti più distaccati. Aveva cominciato a rivolgersi a lui col titolo “signore”, esibendo un atteggiamento rispettoso venato di impazienza.

Lui ne aveva domandato il motivo a Victreia. Era successo nell’ultima occasione in cui erano stati da soli insieme, in un gelido alloggio scavato nel terreno gelato sotto l’ultimo aerodromo ancora operativo del Fronte Orientale. Lei aveva riso di quella domanda. — Ah, caro sciocco, cos’altro ti aspettavi? Hrunkner avrà il comando operativo quando la Squadra lascerà il territorio amico. Tu sarai un consigliere civile senza addestramento militare. Lui avrà bisogno della tua ubbidienza immediata, ma anche della tua immaginazione e capacità scientifica. — Aveva riso piano; solo una tenda separava il loro alloggio da quelli adiacenti. — Se tu fossi una qualsiasi recluta, Unnerbai ti avrebbe già fritto il guscio una dozzina di volte. Quel povero artropode ha paura che quando ogni secondo sarà importante, il tuo genio si perda su qualcosa di irrilevante… osservazioni astronomiche o roba simile.

— Mmh. — In effetti lui s’era chiesto come fossero le stelle senza l’atmosfera a offuscarne il colore. — Capisco cosa vuoi dire. Messa così, c’è anzi da stupirei se il generale Grionval mi ha inserito nella Squadra.

— Stai scherzando? Hrunkner lo ha preteso. Lui sa che troverete degli imprevisti che soltanto tu saprai affrontare. Come ti ho detto, è un artropode che attualmente ha un problema.

Era raro che Sherkaner si sentisse sbilanciato, ma quella era una situazione nuova per lui. — Bene, vuol dire che farò il bravo.

— Sì, lo so. Volevo solo chiarirti il dilemma di Hrunkner… ehi, puoi vederlo come un mistero comportamentale: come può gente così diversa come voi collaborare e sopravvivere, in un mondo dove nessuno ha mai vissuto? — Forse Victreia l’aveva vista come una battuta di spirito, ma era una domanda interessante.


Non c’era dubbio che il loro veicolo fosse il più strano della storia: in parte sottomarino, in parte profondità portatile, in parte una dannata latrina piena di fango. Ora lo scafo lungo cinque metri galleggiava in una polla di melma luminescente verdolina. A contatto del vuoto l’acqua bolliva, trasformandosi in gas che faceva appena in tempo a sollevarsi prima di congelare e ricadere sotto forma di cristalli di neve. Unnerbai spalancò il portello e i quattro formarono una catena, passandosi l’equipaggiamento e le taniche degli esotermi finché sul terreno accanto alla polla fu ordinatamente ammucchiato tutto ciò che dovevano portarsi dietro.

Collegarono i tubi fonici fra le loro tute: Underhill a Unnerbai, questi ad Havon e in fondo alla fila Nizhnimor. Underhill aveva sperato fino all’ultimo di poter utilizzare radio portatili, ma era un tipo di equipaggiamento troppo pesante e nessuno sapeva come avrebbe funzionato in condizioni così estreme. Così ognuno di loro poteva parlare solo al compagno fisicamente unito a lui. Del resto anche con le radio avrebbero avuto bisogno di quel sistema come riserva, nell’eventualità di un guasto.

Sherkaner era il primo della fila quando s’incamminarono verso la riva del lago, con Underhill alle spalle e Havon e Nizhnimor che trainavano la slitta. Già a pochi passi dal sommergibile il buio s’era chiuso su di loro. C’erano riflessi rossastri dove gli esotermi s’erano sparsi sul ghiaccio; il sommergibile aveva bruciato tonnellate di carburante per aprirsi la strada verso la superficie. Il resto della missione avrebbe dovuto usare ciò che gli esotermi potevano fornire e il carburante che avrebbero trovato fra le nevi.

Più di ogni altra cosa erano stati gli esotermi a rendere possibile quella missione nella Tenebra. Prima dell’invenzione del microscopio gli alchimisti e i filosofi dichiaravano che ciò che distingueva gli animali superiori dal resto delle forme di vita era la loro capacità di sopravvivere come individui attraverso la Grande Tenebra. Le piante e gli animali inferiori morivano; a resistere al gelo erano soltanto le loro uova incistate. Poi s’era scoperto che anche molti esseri unicellulari sopravvivevano, e senza neppure il bisogno di ritirarsi nelle profondità. Cosa ancora più strana — questo lo avevano appurato i biologi quando Sherkaner frequentava la scuola inferiore — c’erano tipi di batteri che vivevano nella lava dei vulcani e restavano attivi durante l’intera Tenebra. Sherkaner era stato affascinato da quelle microscopiche creature. Gli studiosi ipotizzavano che morissero o si trasformassero in spore quando un vulcano sospendeva l’attività, ma lui s’era chiesto se ce ne fossero dei tipi capaci di vivere nel freddo generando il calore a essi necessario. Dopotutto anche nella Tenebra c’era ossigeno, e in molti posti sotto l’aria-neve esistevano strati di materiale organico in decomposizione. Se in essi c’era qualche catalizzatore per dare inizio all’ossidazione a bassissima temperatura, forse quei batteri potevano “bruciare” i resti vegetali nelle zone vulcaniche. Batteri del genere erano le creature più adatte a vivere nella Tenebra.

In retrospettiva, era stata l’ignoranza di Sherkaner a consentirgli di non scartare subito quell’idea. Le due strategie di vita dovevano avere una diversa chimica. L’effetto dell’ossidazione esterna era molto debole, e negli ambienti caldi non esisteva. I due tipi di metabolismo erano solitamente venefici uno per l’altro. Nessuno avrebbe notato l’esistenza di quel genere di batteri se Sherkaner non fosse andato a cercarli. Aveva trasformato un laboratorio di biologia per le scuole inferiori in una palude congelata, facendosi — provvisoriamente — cacciare via da scuola. Ma i microrganismi erano stati trovati e classificati grazie a lui: gli esotermi.

Dopo sette anni di allevamento selettivo effettuato dall’Ufficio Ricerche e Attrezzature era stato ottenuto un ceppo di batteri con un metabolismo ossidante ad alta velocità. Così ora, quando Sherkaner gettava una fanghiglia di esotermi sull’aria-neve, c’era subito uno sbuffo di vapore, e poi una luminosità che si dileguava mentre la sostanza ancora liquida scendeva in profondità. Dopo un secondo, se gli esotermi gettati in quel punto erano stati fortunati, si poteva scorgere un lieve bagliore attraverso la neve e il ghiaccio, dove venivano bruciate le sostanze organiche congelate in quello strato.

Il bagliore rosso ora si levava più intenso alla sua sinistra. L’aria-neve sussultava e ne sbucavano refoli di vapore. Sherkaner prese il tubo che lo collegava a Unnerbai e guidò la Squadra verso il punto più alimentato. Per quanto buona fosse l’idea, spargere gli esotermi era un gesto da incendiari. L’aria-neve era ovunque, ma i combustibili erano nascosti. Era soltanto il lavoro di trilioni di batteri inferiori a rendere possibile la scoperta e l’uso del carburante. Per un po’ anche l’Ufficio Ricerche era stato intimidito dalla sua creazione. Come le alghe-stuoia della Scogliera Meridionale quelle piccole creature erano in un certo senso sociali. Si muovevano e si riproducevano con la velocità delle alghe-stuoia. Cosa sarebbe accaduto se l’escursione della Squadra avesse dato fuoco al mondo? Ma in effetti lo stesso metabolismo ad alta velocità dei batteri era un meccanismo suicida. Underhill e i suoi compagni avevano quindici ore di tempo prima che i loro esotermi morissero.

In breve furono fuori dai lago e attraversarono il terreno livellato che negli anni del Sole Calante era stato il campo di bocce degli ufficiali della base. Lì era pieno di carburante; a un certo punto gli esotermi trovarono uno strato di humus vegetale e le radici di un filare d’alberi, e la neve sussultò e si gonfiò finché non ne esplose una vivida luce smeraldo. Per qualche momento la liscia distesa bianca e gli edifici intorno a essa furono chiaramente visibili; poi la luminosità verde si spense e rimase soltanto il fosco bagliore rossastro dell’attività in corso sotto il ghiaccio.

S’erano allontanati di circa cento metri dal sommergibile. Se non avessero trovato ostacoli restavano poco più di quattromila metri di strada. La Squadra si adattò a una penosa routine: una dozzina di passi avanti, una pausa e una distribuzione di esotermi sul terreno. Mentre Nizhnimor e Havon riposavano, Unnerbai e Underhill si guardavano attorno per scoprire dove gli esotermi trovavano più carburante utilizzabile. Da quei punti dovevano poi proseguire usando il fango contenuto nelle taniche. A volte non c’era praticamente nessun carburante (quando procedevano sulle superfici asfaltate) e tutto ciò che potevano fare era raccogliere palate di aria-neve. Anche di quella avevano bisogno, per respirare. Ma senza il carburante per gli esotermi in pochi minuti tutti loro si sarebbero intorpiditi nell’interno delle loro tute, a partire dagli stivali e dalle articolazioni delle gambe. Il loro successo dipendeva dal fiuto di Sherkaner nel cercare il percorso migliore.

In realtà Sherkaner trovava quel compito abbastanza facile. Alla luce delle radici degli alberi che ardevano s’era orizzontato e aveva già capito quali contorni assumeva l’aria-neve depositata sui residui stratificati della vegetazione. La cosa procedeva bene; lui non si sentiva sul punto di congelare, il dolore alle mani e ai piedi era forte, aveva le articolazioni rigide e capiva che nelle tute c’era poca pressione, forse perché il materiale cedeva troppo. Non aveva mai pensato di poter avvertire il freddo come dolore vero e proprio. Interessante problema, pensò. Le imprecazioni di Unnerbai gli confermavano che non era lui solo ad averlo; poteva sentire i suoi grugniti attraverso il tubolare.

Fermarsi, prelevare taniche piene dalla slitta, spalare l’aria-neve dal suolo per versarla nei contenitori. Chiudere bene i contenitori e controllare che non si fosse aperta qualche falla, e proseguire per qualche altra dozzina di metri. Il congelamento di Gil Havon sembrava peggiorare. Si fermarono e tentarono di sistemare meglio la tuta dell’artropode. Unnerbai scambiò posto con lui, per tirare la slitta insieme a Nizhnimor. — Non preoccupatevi, sono solo le mani di mezzo — disse Gil. Ma il suo respiro era molto più faticoso di quello dei compagni.

Nonostante questo la spedizione stava procedendo meglio di quel che Sherkaner aveva immaginato. Effettuavano un’operazione militare nel pieno della Tenebra, ma il loro lavoro era già diventato una sene di gesti automatici. Le sole cose che ancora non cambiavano erano il dolore… e la meraviglia. Sherkaner si guardò attorno attraverso i piccoli oculari del casco. Oltre i refoli di vapore e la debole luce degli esotermi… c’erano delle colline tondeggianti. Il buio non era assoluto. A volte, quando girava la testa dalla parte giusta, scorgeva un disco rossiccio nel cielo occidentale. Ciò che vedeva era il sole della Profonda Tenebra.

E attraverso gli oculari superiori Sherkaner poteva vedere le stelle. Finalmente siamo qui. I primi a vedere la Profonda Tenebra. Era un mondo di cui certi antichi filosofi avevano negato l’esistenza, perché come poteva esistere ciò che non poteva essere osservato? Ma adesso c’era chi lo osservava. Esisteva: secoli di silenzio e immobilità, e stelle dappertutto. Anche attraverso il vetro spesso degli oculari, anche con i soli occhi superiori, lui poteva vedere colori che non s’erano mai visti nelle stelle. Se si fosse fermato e avesse alzato al cielo tutti gli occhi, cos’altro avrebbe visto? Molti teorici dicevano che le aurore atmosferiche non ci sarebbero state senza la luce del sole a innescarle; altri pensavano che le aurore fossero provocate dai vulcani attivi sotto di esse. Chissà quante altre luci c’erano fra le stelle…

Uno strattone al tubolare lo riportò coi piedi per terra. — Non fermarti. Vai avanti, non fermarti — ansimò la voce di Gil. Probabilmente ripeteva un’esortazione di Unnerbai. Sherkaner stava per chiedere scusa quando si accorse che era stato Amberdon Nizhnimor, con la slitta, a rallentare.

— Che succede? — domandò Sherkaner.

— Amberdon ha visto… luci a oriente… continua a camminare.

Oriente. A destra. Il vetro dell’oculare di destra era appannato. Ebbe la vaga visione di una catena di collinette poco distante. Il luogo della loro operazione era a sei chilometri dalla costa. Oltre quelle alture si apriva una vastissima veduta dell’orizzonte oscuro. Ma non si capiva se la luce era vicina o lontanissima. Comunque una luce c’era, pallida, azzurrina, che si espandeva ai lati e in alto. Un’aurora atmosferica? Sherkaner tenne a freno la curiosità e si concentrò sullo sforzo di mettere un piede dietro l’altro. Ma per le sante profondità, quanto gli sarebbe piaciuto arrampicarsi su quelle alture e dare un’occhiata al mare congelato!

Fino alla fermata successiva per distribuire la fanghiglia degli esotermici, Sherkaner fu un docile animale da soma. Stava spalando un miscuglio di esotermici, sostanze organiche e aria-neve dentro i contenitori che gli porgeva Havon, quando la cosa accadde. Cinque piccole luci corsero su nel cielo occidentale, lasciandosi dietro sbuffi chiari simili a lampi. Una delle cinque svanì nel niente, ma le altre si avvicinarono fra loro e un bagliore scoppiò, così accecante che negli occhi superiori di Sherkaner ci fu una fitta di dolore. Ma con quelli laterali poteva ancora vederci. Il bagliore crebbe e crebbe, mille volte più intenso di quello del pallido disco del sole. Ombre multiple tremavano al suolo intorno a loro. Le quattro vampe celesti divennero così fulgide che Sherkaner sentì il calore attraverso il copri-guscio della sua tuta. L’aria-neve dell’intera spianata balzò in alto sotto forma di vapore bianco. Il calore aumentò ancora per qualche momento, quasi bruciante… e poi svanì, lasciandogli sulla schiena un’impressione calda come se avesse passeggiato all’aperto in un giorno estivo degli Anni di Mezzo.

La nebbia vorticò tutto attorno, offrendo loro il primo alito di vento da quando erano usciti dal sommergibile. Soltanto i loro stivali erano progettati contro l’umidità. Una volta affievolitasi la grande luce, l’aria e l’acqua si condensarono di nuovo in cristalli e grandinarono al suolo. Underhill corse il rischio e riaprì gli occhi superiori. Nel firmamento c’era ancora un disco violaceo che svaniva sempre più. Erano visibili i punti di maggiore intensità dove le quattro luci avevano divampato, molto vicini fra loro e disposti in quadrato. Molto bello… ma a che distanza erano? S’era trattato di una specie di fuoco fatuo, a qualche centinaio di metri dal suolo?

Ancora un minuto e le luci sarebbero state troppo deboli per essere viste. Ma adesso c’erano altri fenomeni ottici, lampi brevi oltre le alture a oriente. A ovest dei puntini luminosi filavano veloci verso lo zenith, lasciandosi dietro una coda rettilinea di vapore.

I quattro membri della Squadra osservavano, immobili. Poi Unnerbai lasciò la slitta, si mosse avanti a passi scoordinati e batté una mano sul guscio di Sherkaner. La sua voce raggiunse appena quest’ultimo, attraversando le altre due connessioni. — Che cos’è quella roba, Sherkaner?

— Non lo so. — Lui s’accorse che la mano del sergente tremava. — Ma un giorno lo scopriremo… Riprendiamo la marcia, sergente.

Come marionette la cui carica a molla qualcuno avesse bruscamente rimesso in moto, i quattro finirono di caricare l’aria-neve e proseguirono. Sopra di loro lo strano spettacolo continuò, e sebbene non ci fosse più nulla di così abbagliante e incantevole come lo sbocciare dei quattro soli, gli effetti luminosi furono più belli di qualsiasi aurora atmosferica. Due stelle mobili si rincorsero veloci per tutto il firmamento, e la vaga scia che si lasciavano dietro si allungò verso l’orizzonte. Ma prima di arrivarci fiammeggiarono incandescenti, come versioni in miniatura di quella di prima, e mentre svanivano emisero molte zampe ricurve che alla fine si piegarono in basso verso il suolo.

Dopo questo, i fenomeni celesti più spettacolari parvero terminati, ma il movimento delle piccole luci non s’interruppe. Se la cosa si svolgeva a molti chilometri d’altezza, come l’aurora atmosferica, lassù doveva esserci un’immensa fonte di energia. Se invece accadeva a poca distanza sopra le loro teste, forse era qualcosa di simile ai temporali elettrici di mezza estate. A ogni modo, valeva la pena di rischiare la vita per essere lì e assistere a quello spettacolo.

Alla fine giunsero alla recinzione della base militare dei Tiefer. La strana aurora era sempre visibile quando scesero lungo la rampa d’ingresso.


Non c’erano state molte discussioni sulla scelta dell’obbiettivo. Era quello che Underhill aveva immaginato fin dal principio, quello che Victreia Smait aveva proposto nella prima riunione a Comando Territoriale. Se quattro soldati fossero riusciti a operare con una sufficiente quantità di esplosivi nel mezzo della Profonda Tenebra, avrebbero potuto apportare danni decisivi al maggiore deposito di armi e veicoli nemici, presso le profondità che ospitavano le truppe e l’alto comando di Tiefstadt. In realtà neppure questo risultato avrebbe giustificato la forte spesa che le ricerche dirette da Underhill avevano richiesto alla Corona.

Senonché c’era un punto ovvio a chiunque conoscesse un minimo di strategia. Così come un esercito moderno segnava un punto a suo favore restando attivo più a lungo del nemico dopo l’inizio della Tenebra, al Nuovo Sole quello che fosse stato in grado di cominciare prima le operazioni sul campo avrebbe avuto un vantaggio enorme.

Entrambe le parti avevano messo insieme una grossa macchina bellica pronta a scattare per quel momento, con una strategia assai diversa da quella usata negli anni del Sole Calante. Da quanto la scienza ne sapeva, il Nuovo Sole nasceva a bruciante velocità nello spazio di pochi giorni, forse poche ore. Poi per alcuni giorni era un mostro rovente, cento volte più caldo che negli Anni di Mezzo. Era quell’esplosione di luce e di calore — non il gelo della Tenebra — a distruggere tutto fuorché le opere più robuste edificate da ogni generazione.

Quella rampa conduceva al più irraggiungibile deposito di veicoli e armi dei Tiefer. Ce n’erano altri lungo il fronte, ma quello era il principale e da lì dipendevano tutte le loro operazioni militari. Senza di esso, le migliori truppe di Tiefstadt non avrebbero potuto entrare in combattimento. Le fortificazioni più avanzate dei Tiefer, al momento dell’attacco della Corona, non sarebbero state sostenute da alcun rinforzo. Il Comando Territoriale ipotizzava che sarebbe bastata la distruzione di quel deposito per costringere i Tiefer a scegliere fra un armistizio a loro sfavorevole e una serie di vittorie facili delle forze della Corona. Quattro soldati e un po’ di esplosivo potevano essere l’arma decisiva.

… Se non fossero congelati mentre scendevano quella rampa. C’erano mucchi di aria-neve sugli scalini, e ogni tanto i resti di cespugli cresciuti fra le lastre, ma nessun altro ostacolo. Ora, quando la Squadra si fermava era per distribuire attorno palate di fango organico dalla slitta che Nizhnimor e Unnerbai spingevano. Il buio si chiuse intorno a loro, illuminato solo dal lucore degli esotermi. I rapporti del Servizio Informazioni dicevano che la rampa era lunga duecento metri, e sfociava in un’ampia vallata…

Più avanti c’era un ovale più chiaro. La fine del tunnel.

La Squadra lasciò la rampa e avanzò su un terreno che una volta era stato del tutto aperto, ma che adesso era occupato da un tendone vasto alcuni chilometri quadrati. Era sorretto da una foresta di pali alti una dozzina di metri. Qua e là il peso dell’aria-neve aveva prodotto qualche cedimento nel flessibile tessuto argenteo studiato per riflettere il calore del sole, ma era robustissimo e ancora praticamente intatto. Nella penombra Sherkaner e i compagni poterono vedere file di locomotive a vapore, posatori di traversine, carri armati e autoblinde. All’accensione del Nuovo Sole quelle armi e quei veicoli sarebbero stati lì pronti all’uso. Quando i ghiacci si fossero sciolti, alimentando i fossati di drenaggio che irretivano quel fondovalle, i soldati Tiefer avrebbero lasciato le loro profondità per correre ai loro veicoli. Le acque sarebbero state deviate in canali scolmatori non appena raffreddato il terreno. Ci sarebbero state ore frenetiche per il controllo dei macchinari, altre ore per le riparazioni dei danni di due secoli di Tenebra e di pochi giorni di terribile surriscaldamento. Poi le armate sarebbero partite sui percorsi già studiati dai loro generali per un immediato e rapido assalto in grande stile. Quello era il culmine di generazioni di ricerche scientifiche sulla natura della Tenebra e del Nuovo Sole. Il Servizio Informazioni era del parere che in molti campi Tiefstadt fosse più avanzato dell’Alleanza.

Hrunkner Unnerbai li lasciò riposare qualche momento. — Scommetto che manderanno qui fuori un corpo di guardia poche ore dopo la Prima Accensione, ma ora il posto appartiene soltanto a noi… Bene, ora ci suddivideremo il materiale e procederemo a disporlo secondo il piano. Gil, sei a posto?

Gil Havon era sceso lungo la rampa come un ubriaco coi piedi fratturati. A Sherkaner parve che il danno alla tuta si fosse esteso anche a tre o quattro piedi. Ma alle parole di Unnerbai s’era raddrizzato, e la sua voce suonò quasi normale. — Sergente, non sono venuto fin qui per mettermi a sedere e guardare voialtri ragnacci al lavoro. Posso fare la mia parte.

E così erano giunti al momento dell’azione. Staccarono i loro tubi fonici, e ciascuno si caricò degli esplosivi e della vernice nera. Avevano già studiato ogni mossa. Se avessero rispettato i tempi su ogni obiettivo, se non si fossero rotti le gambe cadendo in qualche canale di drenaggio, se le mappe che avevano mandato a memoria erano precise, ci sarebbe stato il tempo di fare tutto senza congelare. Si allontanarono in quattro direzioni diverse. Gli esplosivi che distribuirono fra i pali erano poco più grossi di granate a mano; produssero un lampo silenzioso quando esplosero nel vuoto, e l’immenso tendone argentato collassò. I proiettori di vernice fecero il resto, apparentemente innocui nel loro effetto ma funzionando proprio come i tecnici dell’Ufficio Ricerche e Attrezzature avevano calcolato. Il vasto deposito fu completamente coperto di vernice nera, in attesa del crudele bacio del Nuovo Sole.


Tre ore più tardi erano a circa un chilometro a nord del deposito. Unnerbai li aveva incitati a non perdere tempo, e continuava a incoraggiarli perché sopravvivessero fino al raggiungimento del luogo dove avrebbero concluso quell’avventura.

Ce l’avevano quasi fatta. Quasi. Gil Havon era in delirio dopo aver finito il lavoro al deposito di veicoli, e farneticava strane cose. Aveva cercato di allontanarsi da solo. — Devo trovare un posto per scavare una profondità — disse per l’ennesima volta, lottando contro Nizhnimor e Unnerbai che cercavano di farlo camminare accanto alla slitta.

— È là che stiamo andando, Gil. Resisti. — Unnerbai lasciò Havon a Nizhnimor, e per un poco lui e Sherkaner comunicarono in privato.

— Sembra che abbia più energia di prima — disse quest’ultimo. Havon camminava come un artropode dalle gambe di legno.

— Probabilmente non sente più il dolore — rispose Unnerbai, con voce debole ma chiara. — Non è questo che mi preoccupa. Credo che stia scivolando nella Ricerca di Profondità.

Maledetta Tenebra. La Ricerca era il folle panico che s’impadroniva degli artropodi quando il loro subconscio capiva che erano intrappolati all’esterno. La mente animale prendeva il sopravvento spingendo la vittima a cercare un posto, qualsiasi posto, che potesse servire da profondità.

— Dannazione. — La parola giunse soffocata a Sherkaner, mentre Unnerbai staccava di nuovo il contatto e cercava di rimetterli in marcia. La salvezza distava appena poche ore. Tuttavia… vedere Gil Havon in quello stato innescava gli stessi istinti primitivi in tutti loro. Gli istinti erano una cosa meravigliosa, ma in quel momento cedere agli istinti significava la morte per tutti loro.

Due ore dopo avevano a malapena raggiunto le colline a nord del deposito di veicoli. Per due volte Gil era riuscito a liberarsi, sempre più frenetico, correndo verso l’illusione di una grotta fra le ombre delle rupi. Ogni volta Amberdon lo aveva ripreso e trascinato indietro, cercando di ragionare con lui. Ma Gil non capiva più chi era e dov’era, e nel suo agitarsi aveva lacerato la tuta in più punti. Parti del suo corpo erano già rigide e congelate.

La fine venne quando si furono faticosamente inerpicati sulla cima delle alture. Avevano dovuto abbandonare la slitta. Per il resto del percorso avrebbero potuto usare soltanto l’aria e gli esotermi che riuscivano a portarsi dietro. Al suo terzo tentativo di fuga Gil ruppe la corda con cui lo avevano legato. Corse via fra le rocce con una strana andatura sussultante. Amberdon Nizhnimor lo inseguì. Amberdon era una femmina robusta, e finallora aveva tenuto sotto controllo Gil senza troppi problemi. Stavolta fu diverso. Gil era ormai all’ultimo stadio della Ricerca di Profondità. Mentre lei lo trascinava via dal bordo di un precipizio, Gil si girò e la colpì con gli spunzoni delle mani. Amberdon ne fu presa alla sprovvista e lo lasciò. Hrunkner Unnerbai e Sherkaner stavano sopraggiungendo dietro di lei, ma era troppo tardi. Le braccia di Havon si agitarono in tutte le direzioni ed egli rotolò nel buio del burrone.

I tre restarono lì come storditi per qualche momento; poi Amberdon cominciò a scendere fra le rocce scostando l’aria-neve alla ricerca di qualche punto d’appoggio. Unnerbai e Sherkaner la afferrarono e la tirarono indietro.

— No, lasciatemi andare! Congelato ha una possibilità. Basterà riuscire a riportarlo indietro con noi.

Sherkaner si sporse sul bordo e intravide qualcosa fra le ombre del precipizio. Gil era rimbalzato sulle rocce prima di arrivare sul fondo. Il corpo era immobile. Se non era già morto per le ferite, il congelamento non uniforme lo avrebbe comunque ucciso in breve tempo.

Anche il sergente fu di quel parere. — È andato, Amberdon — disse sottovoce. — E noi abbiamo ancora una missione.

Dopo un momento le mani libere di Amberdon si piegarono in cenno d’assenso, ma Sherkaner vide che era scossa. Senza una parola la femmina tornò sul sentiero e li aiutò a collegare di nuovo le corde e i tubi fonici.

Non più rallentati dal compagno, i tre proseguirono la marcia in salita.


Avevano poche taniche di esotermi quando giunsero in vista del traguardo. Prima della Tenebra quelle colline erano state una lussureggiante foresta di asprifogli, proprietà privata di un nobile Tiefer. una riserva di caccia. Dinanzi a loro c’era una spaccatura fra le rocce, l’ingresso di una profondità naturale. In qualsiasi territorio vergine una caverna simile avrebbe ospitato animali in ibernazione. Nelle regioni civilizzate sarebbe stata ampliata e adattata per l’uso normale della gente, o lasciata vuota perché troppo fuori mano. Sherkaner non riusciva a immaginare come avesse fatto il Servizio Informazioni a sapere di questa, a meno che qualche Tiefer della tenuta non fosse un agente dell’Alleanza. Ma l’ingresso non sembrava modificato; era un posto allo stato selvatico come ogni altro a Far Brunlargo.

Nizhnimor era l’unica della Squadra ad avere esperienza di caccia. Lei e Unnerbai si aprirono un varco attraverso tre spesse barriere di setasputo e scesero nelle viscere della caverna, mentre Sherkaner restava sull’ingresso distribuendo esotermi per avere luce e calore. — Vedo cinque polle… due tarantole adulte — disse Nizhnimor. — Dammi un altro po’ di luce.

Sherkaner si sporse, tenendosi stretto alla setasputo per non cadere. La luce degli esotermi che aveva raccolto su una mano protesa avanti illuminava una caverna di piccole dimensioni. Da lì poteva vedere due delle polle. Su di esse c’era appena una spolverata d’aria-neve. Il ghiaccio era quello tipico delle polle, limpido e privo di bolle d’aria. Sotto il ghiaccio l’animale era ben visibile, con gli occhi aperti e congelati che riflettevano la luce. Dio, se era grosso. Eppure si trattava di un maschio; sul suo dorso c’erano dozzine di sporgenze per i cuccioli.

— Le altre polle sono piene di cibo. Prede fresche, come c’è da aspettarsi. — Nel primo anno del Nuovo Sole una coppia come quella sarebbe rimasta nella loro profondità, succhiando il succo delle prede, mentre i cuccioli crescevano fino al punto che una volta usciti da lì sarebbero stati pronti a cacciare, appena la terribile calura esterna e le tempeste si fossero placate. Le tarantole erano soltanto carnivore e non raggiungevano neppure l’intelligenza dei thract, ma il loro aspetto era molto simile a quello degli artropodi evoluti. Ucciderle e rubare il loro cibo era necessario, però sembrava spiacevolmente simile a un omicidio per appropriarsi della profondità.

La cosa costò loro un’altra ora di lavoro e quasi tutti gli esotermi rimasti. La Squadra tornò poi in superficie un’ultima volta, per chiudere alla meglio la barriera di setasputo. Sherkaner aveva parecchie spalle desensibilizzate, e non sentiva più tutte le sue mani sinistre. Le loro tute avevano cominciato a cedere nelle ultime due ore, ed erano piene di toppe. Alcune articolazioni sui polsi di Amberdon erano state bruciate, a causa del contatto con gli esotermi e l’aria-neve. Tutti loro erano stati costretti a lasciarsi congelare qualche arto; la femmina avrebbe probabilmente perso alcune mani. Ciò nonostante i tre restarono fuori ancora qualche momento.

Alla fine Amberdon disse: — Questo si direbbe un successo completo, no?

La risposta di Unnerbai fu secca: — Sì. E sai benissimo che Gil sarebbe d’accordo.

I tre si unirono in un sobrio abbraccio, quasi una perfetta replica della Ricerca dell’Alleanza, di Gokna. C’era perfino il Compagno Mancante.

Amberdon Nizhnimor si ritirò oltre la spaccatura nella roccia: un vago vapore verdolino si levò dalla setasputo quando lei la attraversò; giunta sul fondo avrebbe versato gli esotermi nelle polle. L’acqua sarebbe diventata una fanghiglia, ma immergersi non sarebbe stato un problema; se avessero aperto bene le tute, c’era la speranza di raggiungere un congelamento uniforme e contemporaneo in tutto il corpo. Per evitare quell’ultimo pericolo c’era poco che potessero fare.

— Dai un’ultima occhiata, Sherkaner. È lavoro tuo. — La voce di Unnerbai s’era ammorbidita. Amberdon Nizhnimor era un soldato; il sergente aveva fatto il suo dovere con lei. Ora sembrava aver abbandonato il comportamento militaresco ed era così stanco che il suo addome sfiorava l’aria-neve.

Sherkaner guardò a sud. Erano a un centinaio di metri d’altezza rispetto al fondovalle del deposito nemico. L’aurora era scomparsa dal cielo; i punti di luce e i lampi non si vedevano più. Nel debole lucore zodiacale il deposito era una distesa più nera del nero. Ma quel colore non era un’ombra; era la vernice cosparsa da loro su tutta l’installazione.

— Una cosa apparentemente innocua — disse Unnerbai. — Un semplice strato di vernice. Credi davvero che funzionerà?

— Oh, sì. Le prime ore del Nuovo Sole sono l’inferno. La vernice nera contiene una polvere che fonderà all’istante, e tutto sarà surriscaldato oltre ogni limite di tolleranza. Tu stesso hai visto le prove. È una cosa fulminante. — In realtà il sergente Unnerbai aveva eseguito lui stesso un paio di test. — La temperatura del sole che avrebbe illuminato il deposito avrebbe fuso in meno di un minuto tutte le parti metalliche più sottili ed esposte. Il resto — l’interno dei motori a vapore, le ruote, i telai, le canne delle armi — si sarebbe deformato drasticamente. Senza il loro più importante deposito al fronte, le truppe nemiche avrebbero dovuto rientrare nelle loro profondità e restarci.

— Questa sarà la prima e l’ultima volta che il tuo trucco funziona, Sherkaner; qualche barriera insuperabile, un campo minato, e una Squadra come la nostra non potrà più ottenere niente.

— Sicuro. Ma altre cose cambieranno. Questa è l’ultima Tenebra che vede gli artropodi ibernarsi tutti nelle profondità. La prossima volta a stare svegli non saranno solo quattro ragnacci in tuta. L’intera società sarà attrezzata per farlo. Noi colonizzeremo la Tenebra, Hrunkner.

Unnerbai rise, palesemente incredulo. Accennò a Sherkaner di rientrare nella fessura della profondità. Pur stanco com’era il sergente fu l’ultimo, colui-che-chiude-la-barriera.

Sherkaner gli restò accanto per gettare ancora uno sguardo su quel cielo pieno di stelle, e pensò che non gli era mai parso tanto misterioso. Così alto, così profondo, così tante cose da scoprire.

9

Ezr Vinh aveva avuto un’adolescenza tranquilla e senza problemi. Una sola volta la sua vita era stata in pericolo, e per causa di uno sciocco incidente.

La Famiglia Vinh23 era molto numerosa anche secondo gli standard Qeng Ho. C’erano rami della Famiglia che non si vedevano da migliaia d’anni. La Vinh23.4 e la Vinh23.4.1 erano rimaste nella zona centrale dello Spazio Umano per quasi tutto quel tempo, facendo fortuna e costruendosi una tradizione propria. Forse sarebbe stato meglio non cercare riunificazioni dopo un periodo così lungo, ma il caso aveva portato i tre rami principali della famiglia alla Vecchia Kielle nello stesso tempo. Così erano rimasti là per qualche anno, costruito provvisori che molte società avrebbero definito lussuosi habitat orbitali, e cercato di capire cos’era rimasto della loro eredità comune. La Vinh23.4.1 era una demarchia consensuale. Questo non influenzava le loro relazioni commerciali, ma Zia Filipa ne era rimasta scandalizzata. — Nessuno ha diritto di votare per togliermi le mie proprietà — le aveva sentito dire il piccolo Ezr. La Famiglia 23.4 sembrava più vicina ai rami conosciuti dai genitori di Ezr, anche se i suoi membri parlavano il nese con accento quasi incomprensibile; non s’erano mai preoccupati di seguire le trasmissioni sulla Rete. Ma le trasmissioni standard, anche quelle pirata, erano cose importanti nello Spazio Umano. Durante un picnic una persona controllava le tute dei bambini, ma nessuno si aspettava che il termine “atmosfera-secondi” significasse una cosa per lui e una cosa assai diversa per suo cugino. Il piccolo Ezr era andato ad arrampicarsi su una roccia vicina all’asteroide del picnic; era affascinato dalla facilità con cui poteva far muovere quel piccolo mondo con la pressione delle mani e dei piedi. Ma quando la sua aria era finita, i suoi compagni di gioco avevano già trovato altri piccoli mondi tutti loro nella nube di rocce. Il monitor del picnic aveva ignorato le sue grida di aiuto finché lui era rimasto letteralmente senza fiato.

Ezr ricordava solo di essersi risvegliato in un’infermeria fatta apposta per lui. Era stato trattato come un piccolo Re finché non s’era stancato di stare a letto e farsi coccolare da tutti, parecchi Ksec dopo.


Così Ezr Vinh usciva sempre dal sonno freddo di buon umore. C’era il normale disorientamento, i normali doloretti fisici, ma i ricordi d’infanzia gli assicuravano che dovunque fosse tutto sarebbe andato bene.

Dapprima fu così anche quella volta, anzi notò che era perfino meglio del solito. Era in un letto caldo e comodo, a quasi-zero-G. Aveva l’impressione di spazio, di un soffitto alto. Appeso alla parete di fronte al letto c’era un quadro… uh, così preciso che avrebbe potuto essere una foto. Trixia detesta l’iper-realismo. Il pensiero sbucò e scomparve insieme ad altri mentre si svegliava. Trixia. Triland. La missione alla stella OnOff. E quella non era la prima volta che lui si svegliava lì. C’erano stati avvenimenti drammatici. L’attacco a tradimento degli Emergenti. Chi aveva vinto? E i suoi ultimi ricordi prima di entrare in sonno freddo, dov’erano finiti’? Fluttuare nel buio dentro una navetta in avaria. La nave di Park distrutta. Trixia…

— Direi che questo l’abbiamo tiralo fuori, caponave. — La voce di una donna.

Quasi senza volerlo Ezr girò la testa da quella parte. Seduta al suo capezzale c’era Anne Reynolt, e accanto a lei stava Tomas Nau.

— Ah, apprendista Vinh. Sono lieto di vederla ancora fra i vivi. — Il sorriso di Nau era grave e preoccupato.

Ezr dovette gorgogliare un paio di tentativi prima di riuscire a farsi capire. — Co… cos’è successo? Dove mi trovo?

— Lei è a bordo della mia residenza principale. Sono trascorsi otto giorni dal vostro criminoso attacco alla nostra flotta.

Guh? — Noi abbiamo attaccato voi?

Al suo verso incoerente Nau inarcò un sopracciglio. — Ci tenevo a essere presente al suo risveglio. Il direttore Reynolt le fornirà altri dettagli, ma io voglio assicurarle il mio sostegno. Intendo nominarla direttore di flotta per ciò che resta della spedizione Qeng Ho. — Si alzò e gli diede un’amichevole pacca su una spalla. Lo sguardo di Ezr seguì l’Emergente che usciva. Direttore di flotta?


Reynolt portò a Ezr un lettore con una serie di immagini e più fatti di quel che lui potesse assorbire tutti in una volta. Non potevano essere tutte bugie… millequattrocento Qeng Ho erano morti. Quasi metà del personale della flotta. Quattro delle sette navi Qeng Ho erano state distrutte. Gli apparati ram delle altre erano stati disattivati. La maggior parte dei velivoli minori risultavano distrutti o gravemente danneggiati. Gli Emergenti erano occupati a rastrellare i rottami rimasti in orbita dopo i combattimenti. Nau intendeva proseguire le “operazioni congiunte”. I gas e le materie prime prelevati da Arachna sarebbero stati usati per gli habitat che gli Emergenti stavano già cominciando a costruire a L1, uno dei punti gravitazionali stabili sull’orbita del pianeta.

La donna gli lasciò esaminare la lista del personale. La Pham Nuwen era andata perduta con tutto l’equipaggio. Il comandante Park e alcuni membri del Comitato Mercantile erano morti. La maggior parte della gente sulle astronavi superstiti era ancora viva, ma gli anziani erano stati messi in sonno freddo.


Il terribile mai di capo di quegli ultimi sventurati momenti era scomparso. Reynolt gli disse che lui e centinaia d’altri erano stati curati da un virus influenzale tipico degli Emergenti, ma soltanto un contagio sparso a regola d’arte avrebbe avuto effetto nello stesso momento su così tante persone. Le bugie degli Emergenti erano dunque una scusa mirata a tenere in piedi una situazione falsa. Avevano pianificato l’attacco preventivo fin dall’inizio, e lo stesso virus influenzale ne faceva parte.

Se non altro Anne Reynolt non sorrideva mentre gli snocciolava quelle bugie. In effetti non sorrideva quasi mai. Il direttore delle Risorse Umane, Reynolt. Buffo che neppure Trixia avesse capito cosa significava quel titolo. Dapprima Ezr aveva pensato che Reynolt lottasse contro la vergogna per ciò che era accaduto; era difficile che lo guardasse dritto negli occhi. Ma poi aveva capito che per lei guardare la faccia di un altro non era più interessante che studiare una parete vuota. Lei non lo vedeva come una persona; dei morti non gliene importava uno sputo.

Ezr lesse quei rapporti con calma, senza imprecare, e ricacciò indietro le lacrime quando vide che fra i morti c’era Sum Dotran. Il nome di Trixia, comunque, in questa lista non c’è. Alla fine gli fu dato anche l’elenco dei superstiti e della loro attuale occupazione. Quasi trecento si trovavano a bordo del provvisorio Qeng Ho, che era stato spostato nel punto L1. Ezr lesse i nomi della prima pagina cercando di associarli a un volto: gente giovane, nessun trilandese, nessun accademico. Lì Trixia Bonsol non c’era. La pagina successiva era un’altra lista… Trixia! Il suo nome c’era. Sempre elencata nel Dipartimento di Linguistica.

Ezr alzò lo sguardo dal lettore e cercò di avere un tono casuale. — Cosa, uh, che significa questo asterisco accanto ad alcuni nomi? — Accanto a quello di Trixia.


— Focalizzati.

— E questo cosa vorrebbe dire? — C’era un po’ di tensione nella sua voce, ma non seppe nasconderla.

— Sono ancora sotto trattamento medico. Non tutti si sono ripresi facilmente come lei. — Lo sguardo di Reynolt era duro e impassibile.


Il giorno dopo, Nau tornò a fargli visita.

— Mi dicono che oggi è in grado di muoversi. Bene, è tempo che io la presenti ai suoi nuovi subordinati — disse. Si avviarono per un lungo corridoio fino a un compartimento stagno. Quell’habitat non era come la sala dei banchetti. C’era perfino un’ombra di gravità, come se fossero su un asteroide. Il taxi in attesa oltre il portello era più grosso di quelli Qeng Ho. Era lussuoso, in un modo barocco e primitivo. C’erano bassi tavolini e un bar che serviva in tutte le direzioni. Ampie finestre a visione diretta circondavano i passeggeri. Nau gli diede qualche momento per guardare fuori.

Il taxi si stava alzando fra le strutture di un habitat poggiato su un terreno di qualche genere. Era incompleto, ma di dimensioni paragonabili a quelle di un provvisorio Qeng Ho. Quando furono sopra la costruzione Ezr vide che sorgeva sopra un ammasso di montagne grigie, e le riconobbe: erano gli asteroidi di diamante, uniti strettamente fra loro. Gli enormi blocchi erano assai più lisci e regolari dei comuni asteroidi. Qua e là il sole strappava qualche debole riflesso dalla superficie, dove lo spesso strato di grafite che copriva il diamante era stato strappato via. Nello spazio fra due delle montagne c’era una voluminosa massa di neve, molta roccia tagliata di fresco e dei blocchi di ghiaccio. Doveva trattarsi del materiale prelevato dal pianeta Arachna. Il taxi si alzò ancora. Da oltre le montagne emersero le snelle forme delle astronavi. Si trattava di grossi vascelli interstellari lunghi più di seicento metri, ma al confronto degli asteroidi sparivano quasi. Erano molto vicine, un po’ come relitti alla fonda in un cantiere di riparazioni. Ezr le contò subito con occhio esperto. — E così avete portato tutto qui, a L1? Avete deciso di tenervi del tutto nascosti agli indigeni, allora.

Nau ebbe un cenno d’assenso. — Temo di sì. È bene essere franchi su questo. La battaglia a cui ci avete costretti ci ha ridotti al lumicino. Abbiamo rifornimenti sufficienti per tornare in patria, ma a mani vuote. Se però collaboriamo… be’, da qui, da L1, possiamo osservare i Ragni. Se stanno effettivamente entrando nell’Era dell’Informatica potremmo usare le loro risorse per reintegrare le nostre. In ogni caso, collaborando riusciremo ad avere quasi tutto ciò per cui siamo venuti qui.

Mmh. Una sorveglianza a lungo termine, in attesa che i clienti avessero qualcosa di valido da offrire. Era una strategia che anche i Qeng Ho avevano seguito, qualche volta. E qualche volta funzionava. — Ci saranno delle difficoltà.

Dietro di lui una voce disse: — Per voi, forse. Ma noi Emergenti sappiamo vivere, piccolo uomo. Meglio che questo lei lo impari fin d’ora. — Era una voce che Ezr conosceva, una voce che aveva protestato contro il tradimento Qeng Ho mentre l’attacco aveva inizio. Si girò. Ritser Brughel. Il grosso individuo dai capelli biondi stava sogghignando. — E inoltre, noi giochiamo per vincere. Questo saranno i Ragni a impararlo. — Non molto tempo addietro Ezr aveva trascorso una serata seduto accanto a quell’uomo, mentre parlava con Pham Trinli. Brughel era uno spavaldo, poco portato alla comprensione umana, ma questo allora non li aveva preoccupati. Lo sguardo di Ezr si spostò su Anne Reynolt, che ascoltava la conversazione in silenzio. Fisicamente i due avrebbero potuto essere fratello e sorella; avevano perfino la stessa sfumatura di biondo nei capelli. Ma la somiglianza fisica impallidiva davanti a una diversità: le emozioni di Brughel erano evidenti e palpabili, intense. L’unica reazione che Ezr aveva visto in Anne Reynolt era un accenno d’impazienza. La donna guardava i presenti come un tecnico avrebbe guardato tre pezzi di ricambio su uno scaffale.

— Ma non si preoccupi, amico Bottegaio. I vostri alloggi sono ben nascosti. — Brughel indicò la finestra anteriore. C’era una piccola immagine verdolina, tondeggiante. Il provvisorio Qeng Ho. — Lo abbiamo parcheggiato in un’orbita di otto giorni, intorno al gruppo principale.

Tomas Nau alzò una mano educatamente, come a chiedere il permesso d’intervenire, e Brughel tacque. — Abbiamo solo pochi minuti, signor Vinh. So che la direttrice Reynolt le ha dato una visione d’insieme, ma voglio essere certo che lei capisca le sue nuove responsabilità. — Manovrò una piccola consolle e il provvisorio Qeng Ho s’ingrandì rapidamente. Ezr deglutì saliva; era un semplice provvisorio da campo, largo un centinaio di metri. Lui aveva vissuto in ambienti del genere per 2 Msec, imprecando mille volte contro l’economia che lì si faceva, ma in quel momento era la cosa più vicina a una patria che ancora esistesse. Là c’erano molti dei suoi amici e dei compagni sopravvissuti. E un provvisorio da campo era assai facile da distruggere. Ogni cella appariva ben gonfia e non c’erano segni di falle riparate. Il comandante Park lo aveva messo in orbita lontano dalle astronavi, e Nau lo aveva risparmiato. — … perciò la sua nuova posizione è importante. Come mio … direttore di flotta lei ha responsabilità paragonabili a quelle che aveva il comandante Park. Lei godrà del mio appoggio, mi accerterò che la mia gente capisca questo fatto. — Un’occhiata a Ritser Brughel. — Ma la prego di ricordare una cosa: il nostro successo, forse perfino la nostra sopravvivenza, dipenderà dalla nostra collaborazione.

10

Quando si trattava di politica, Ezr sapeva di non essere un fulmine ad afferrare le cose. Ma ciò che Nau si proponeva avrebbe dovuto essergli ovvio fin dal primo momento. Cose del genere le aveva perfino studiate a scuola. Quando giunsero nel salone comune del provvisorio, Nau tenne un discorsetto in pubblico, presentando Ezr Vinh come il “Direttore della Flotta Qeng Ho”. Nau sottolineò il fatto che sebbene giovane era l’esponente di una famiglia di proprietari. Le due navi dei Vinh erano infatti sopravvissute senza danni alla battaglia. Se qualcuno aveva il dovere di decidere a nome dei Qeng Ho, disse, era lui. E se loro avessero collaborato con l’autorità legittima ci sarebbe stato un sostanzioso guadagno per tutti. Poi Nau chiese a Ezr di pronunciare alcune frasi di circostanza, e cercando di vincere l’imbarazzo lui mormorò parole di cordoglio per i defunti, aggiungendo che era lieto di aver ritrovato vivi molti amici e che si aspettava il loro appoggio.

Nei giorni che seguirono Ezr cominciò a capire il peso che Nau aveva messo nelle parole “dovere” e “collaborazione”. Era fra la sua gente eppure era fra estranei. Ogni giorno vedeva facce ben note, ma nessuno si fermava a parlare con lui, poiché Nau gli metteva alle costole un assistente o due in ogni suo spostamento. Benny Wen e Jimmy Diem erano sopravvissuti. Ezr conosceva Benny da quando avevano sei anni; ora il giovanotto lo guardava come se non sapesse chi era e non avesse alcuna voglia di saperlo.

Un giorno, più per caso che per intenzione, Ezr incontrò Benny al compartimento stagno dei taxi del provvisorio. Ezr in quel momento era solo. Negli ultimi due giorni i suoi “assistenti” avevano smesso di controllare le sue mosse. Si fidavano di lui? Gli avevano messo delle microspie addosso? Erano convinti che non avrebbe osato o potuto tentare nulla ai loro danni? Un’ipotesi valeva l’altra, ma essersi liberato di loro era un sollievo.

Benny era con una squadra di Qeng Ho, presso la parete esterna del grande pallone. Lì non c’erano tappezzerie a tutelare l’intimità dei locali, e ogni tanto attraverso la paratia si vedevano passare le luci di un taxi sullo sfondo oscuro. La squadra di cui faceva parte Benny s’era sparsa lungo il corridoio per controllare qualcosa in vari pannelli, e il loro caposquadra Emergente era nell’atrio a cinquanta metri da lì.

Fluttuando fuori da un tunnel radiale Ezr vide Benny Wen e si spinse verso di lui, da una maniglia all’altra.

Benny distolse lo sguardo dall’interno del pannello e gli rivolse un educato cenno del capo. — Direttore di flotta — lo salutò. Quel titolo gli era ormai familiare… e gradevole quanto un pugno in faccia.

— Ehilà, Benny. Come… uh, come vanno le cose?

L’altro gettò una rapida occhiata verso il fondo del corridoio. Il caposquadra Emergente era ancorato di traverso a una ringhiera, e nonostante quella posizione e la sua anonima uniforme grigia riusciva ad apparire altezzoso e autoritario. Stava parlando a voce alta con tre della squadra, ma le sue parole si capivano male, un po’ per il suo accento e un po’ per la scarsa conducibilità acustica delle pareti. Benny si volse a Ezr e scrollò le spalle. — Oh, sì tira avanti. Tu sai quel che stiamo facendo qui?

— Sostituite le centraline telefoniche. — Una delle prime mosse degli Emergenti era stata la confisca di tutti gli apparecchi di comunicazione indipendenti. Quei mezzi elettronici erano tipici strumenti di libertà.

Benny gettò un altro sguardo al caposquadra ed ebbe una risatina.

— Così pare, Ezr, vecchio mio. Ma vedi, i nostri nuovi… datori di lavoro, hanno un problema. Gli servono le nostre navi, e gli serve il nostro equipaggiamento. Però è tutta roba automatica. E loro come possono fidarsene? Tutti i macchinari, anche i meno importanti, hanno un controllo interno, e tutti lavorano in rete, collegati come gli organi di uno stesso corpo. Così, non potendo sostituire tutto, cambiano soltanto la logica degli ingressi e delle uscite. — Sì staccò dalla cintura un ovale nero e glielo mostrò. Era una specie di tastiera. — Questa è l’unica cosa che ci lasceranno usare, per un po’.

— Dio, sembra roba preistorica.

— Semplificata, non preistorica. La cosa basilare è che sono sistemi di input noti agli Emergenti. Basta aprirli per generare un allarme sulla rete locale. — Benny ebbe una smorfia. Come lui, era un apprendista; non se ne intendeva molto di elettronica. — Strano. La tecnologia degli Emergenti sembra arretrata, però questa gente ha intenzione di monitorare tutto. Nei loro automatismi c’è qualcosa che io non capisco — concluse, come parlando fra sé.

Oltre la parete esterna una luce si avvicinò e si spostò di lato; un taxi stava attraccando. Si udì un chunck metallico e la luce si spense. La parete aveva ondeggiato al contatto del velivolo. Poi entrarono in funzione le pompe del compartimento. Ezr esitò. Il ronzio era abbastanza alto da nascondere la loro conversazione al caposquadra. Sicuro, ma una microspia potrebbe sentire attraverso questo rumore meglio di ogni orecchio umano. Così quando parlò non fu in tono cospiratorio ma con voce naturale. — Benny, sono successe un sacco di cose. Voglio solo che tu sappia che io non sono cambiato. Io non sono un… — Non sono un collaborazionista, dannazione!

Per un momento Benny ebbe un’espressione opaca. Poi sorrise. — Lo so, Ezr. Lo so.

Benny lo condusse lungo la parete, in direzione del resto della squadra. — Lascia che ti mostri quello che stiamo facendo — disse, anche lui in tono discorsivo. Ezr lo seguì e l’altro gli spiegò le modifiche apportate degli Emergenti ai sistemi di comunicazione. E all’improvviso lui capì più a fondo quelle manovre. — Il nemico ha bisogno di noi. Si aspetta che lavoriamo per lui nei prossimi anni. Ci sono molte cose che possiamo insegnargli. Evidentemente ci consentono di parlare, purché del lavoro che loro ci fanno fare. E non sono contrari che si parli di quel che sta succedendo.

Il ronzio delle pompe tacque. Oltre la parete di plastica, nel compartimento stagno cilindrico, qualcuno stava sbarcando dal taxi.

Benny andò ad ancorarsi all’imboccatura di un condotto di servizio. — Ho sentito dire che porteranno qui parecchi dei loro.

— Sì, quattrocento persone, forse di più. — Il provvisorio era stato gonfiato subito dopo l’arrivo della flotta, ma poteva contenere tutti coloro che avevano fatto il viaggio in sonno freddo da Triland a lì, ovvero tremila persone. In quel momento ne ospitava appena trecento.

Benny alzò un sopracciglio. — Credevo che avessero il loro provvisorio, e migliore di questo.

— Io credo… — Il caposquadra era quasi a portata di udito. Ma non stiamo cospirando, no? Signore di Tutti i Commerci, dobbiamo pur essere liberi di parlare di lavoro. — Credo che abbiano perduto più materiale di quel che vogliono dire. –Forse siamo andati a un pelo dalla vittoria, anche se ci hanno preso a tradimento, anche se ci hanno infettato con un virus da guerra.

Benny annuì, e lui capì che l’amico lo sapeva già. — Questo ci lascia ancora molto spazio. Tomas Nau sta pensando di portare altri di noi fuori dal sonno freddo, forse alcuni ufficiali. — Questi ultimi sarebbero stati un rischio maggiore per gli Emergenti, ma se volevano una collaborazione davvero efficiente… Purtroppo il caponave non gli aveva parlato affatto dei “focalizzati”. Trixia.

— Ah, sì? — La voce di Benny era indifferente, ma nei suoi occhi brillò una luce. Distolse lo sguardo. — Questo farà una grossa differenza per alcuni di noi… specialmente per la signorina che sta lavorando qui dentro. — Mise la testa nell’imboccatura del condotto, — Ehi, Qiwi, hai finito laggiù?

La Marmocchia? Ezr l’aveva vista due o tre volte dopo la battaglia, e sapeva che non era ferita e aveva libertà di movimento. La ragazzina aveva trascorso più tempo degli altri fuori dal provvisorio, con gli Emergenti. Forse sembrava loro troppo giovane per essere una minaccia. Dopo qualche momento una figura snella in tuta arlecchino scivolò fuori dal condotto.

— Sì, ho fatto tutto. Ho montato i filtri e… — Qiwi vide Ezr. — Ehi, Ezr! — Una volta tanto la ragazzina non gli piombò addosso. Si limitò a un cenno e un sorriso. Forse stava crescendo. Non si poteva dire che avesse un’adolescenza di tutto riposo. — Ho controllato gli allacciamenti fino al compartimento stagno. Non c’è problema. — Stava sorridendo, ma aveva gli occhi cerchiati e un’espressione che Ezr si sarebbe aspettato solo in un adulto. Qiwi si raddrizzò nel corridoio a zero-G ancorandosi con un piede sotto il portello, ma invece di agitarsi come un tempo, incrociò le braccia sui petto. Il piccolo mostro espansivo sempre pronto a sferrargli pugni nelle costole a tradimento era scomparso. Il padre di Qiwi era ancora fra quelli tenuti sotto osservazione medica per le conseguenze del virus, come Trixia. E come Trixia, c’era il caso che nessuno lo rivedesse mai più. Sua madre, Kira Pen Lisolet, era in sonno freddo.

La ragazzina continuò a parlare del lavoro che aveva fatto nel condotto di servizio. Era abbastanza qualificata. I suoi coetanei pensavano ancora ai loro giochi o allo studio, ma lei era cresciuta in una naveram in volo fra le stelle, senza altro da fare che aiutare l’equipaggio nelle monotone routine tecniche.

Qiwi aveva anche alcune idee su come potevano risparmiare tempo col lavoro alle centraline richiesto dagli Emergenti. Benny la ascoltò annuendo e ne prese nota.

Poi la ragazzina cambiò discorso. — Ho sentito dire che avremo gente nuova, nel provvisorio.

Ezr annuì. — Sì, pare che…

— Chi verrà?

Emergenti. Poi anche qualche ufficiale dei nostri, credo.

Il sorriso di lei s’era spento alla prima parola, ma subito si riaccese. — Io ero fuori, ad Hammerfest. Il caponave Nau mi ha messo a controllare i contenitori del sonno freddo, prima di spostarli sulla Tesoro Lontano. Io… ho visto Mamma, Ezr. Ho potuto vedere la sua faccia attraverso il vetro. Stava respirando molto lentamente.

— Non preoccuparti, piccola — disse Benny. — Noi li… le cose miglioreranno, per tua madre e per tuo padre.

— Lo so. Questo me lo ha detto anche il caponave Nau.

Ezr poteva vederle la speranza negli occhi. E cosi Nau faceva vaghe promesse alla ragazzina, per tenerla in riga. Chissà, forse le aveva detto il vero. Forse suo padre poteva essere curato per le conseguenze del loro dannato virus da guerra. Ma un armiere come Kira Lisolet sarebbe stata molto pericolosa per ogni avversario.

Per evitare un colpo di mano, dunque, Kira Lisolet sarebbe stata tenuta in sonno freddo per molto, molto tempo… per evitare un colpo di mano. Ezr scrutò il volto di Benny. Lo sguardo che l’amico gli restituì era del tutto inespressivo, troppo inespressivo. E a un tratto Ezr seppe che una cospirazione c’era. Da lì a qualche Msec al massimo, un gruppo di Qeng Ho avrebbe agito.

Io posso essere d’aiuto. So di poter essere d’aiuto. Tutti gli ordini degli Emergenti ai Qeng Ho passavano, ufficialmente, attraverso Ezr Vinh. Se lui avesse partecipato alla rivolta… ma lui era il più sorvegliato di tutti, anche se Tomas Nau non aveva alcun rispetto per la sua capacità di ribellarsi. Per un momento la rabbia fece irrigidire Ezr. Benny sapeva che lui non era un traditore, ma non c’era alcun modo in cui potesse aiutare i cospiratori senza tradirli.


Il provvisorio Qeng Ho era sopravvissuto all’attacco senza un graffio. Non c’erano neppure danni da radiazioni. Prima di rifare la rete di comunicazioni, gli Emergenti s’erano dati molto da fare per amputare le banche dati e il resto del software.

Ciò che restava funzionava abbastanza bene per le operazioni di routine. Ogni pochi giorni altri gruppetti di persone venivano ad abitare nel provvisorio. Per la maggior parte si trattava di Emergenti, ma c’era anche qualche Qeng Ho tolto dal sonno freddo. Sia gli Emergenti che i Qeng Ho avevano l’aria di profughi di guerra. Nessuno nascondeva più i danni che gli Emergenti avevano avuto. E forse Trixia è morta. I “focalizzati” venivano tenuti nel nuovo habitat degli Emergenti, Hammerfest. Ma nessuno dei Qeng Ho ne aveva mai visto uno.

Nel frattempo la situazione dei Qeng Ho stava peggiorando. Il provvisorio ospitava meno di un terzo degli abitanti per cui era stato progettato, ma i sistemi interni cominciavano ad andare in avaria. In parte la causa erano le manomissioni inferte agli automatismi; in parte c’era il fatto che la gente aveva smesso di fare il suo lavoro con coscienza. A questo andava aggiunta la scarsa dimestichezza degli Emergenti coi sistemi di supporto- vita evoluti, a cui non s’erano affatto adattati. Per fortuna dei cospiratori, Qiwi trascorreva la maggior parte del tempo fuori dal provvisorio; Ezr sapeva che la ragazzina avrebbe annusato la rivolta e insistito per farne parte. In quanto a lui, il suo contributo stava solo nel silenzio e nel fingere di non notare quel che stava prendendo forma. Si occupava con pignoleria di emergenze dappoco, una dopo l’altra, alzando molta polvere sui piccoli problemi… e domandandosi cosa stessero facendo i suoi amici.

Il provvisorio cominciava a puzzare. Ezr e i suoi assistenti Emergenti scesero nelle fosse batteriche sotto gli impianti idroponici, il posto dove l’apprendista Vinh aveva trascorso tanti Ksec in un tempo che gli sembrava assai lontano. Sarebbe tornato a lavorare lì ogni giorno, se questo avesse riportato indietro il comandante Park e gli altri.

Il puzzo nelle fosse batteriche era il peggiore che Ezr avesse mai sentito, e per quanto se lo aspettasse ne fu preso alla gola. Le pareti dietro le vasche dei filtri erano coperte da una muffa nera, e l’aria era così pesante che i ventilatori sembravano faticare a portarla fuori. Ciret e Marli vomitarono, il primo dentro il respiratore che s’era messo sulla faccia. — Che schifo! — ansimò Marli. — Io questo marciume non lo sopporto. Tu cerca di fare qualcosa, Vinh, noi ti aspettiamo fuori.

I due uscirono, grugnendo e sputacchiando, e chiusero il portello lasciandolo solo con la puzza. Ezr si guardò attorno, e rifletté che se avesse voluto essere lasciato solo quello era il posto adatto.

Mentre cominciava a esaminare le condizioni dei filtri, una figura in tuta da lavoro e con un respiratore sulla faccia uscì da un altro locale. Alzò una mano a imporgli il silenzio e passò un rivelatore su tutto il corpo di Ezr.

— Mmh, sei pulito — disse una voce attutita dalla maschera. — Oppure si fidano molto di te.

Era Jimmy Diem. Ezr quasi lo abbracciò, nonostante il sudiciume e la puzza della sua tuta. A dispetto di ogni difficoltà, i cospiratori avevano trovato un modo di contattarlo. Ma non c’era alcun entusiasmo nella voce di Diem. I suoi occhi, poco visibili dietro le lenti, lo scrutavano con sospetto. — Allora, Vinh, a che gioco stai giocando?

— Io non faccio nessun gioco! Sto solo prendendo tempo.

— Questo è ciò che… be’, alcuni di noi pensano. Ma Nau ti ha fatto ballare sotto il naso una carota appetitosa, e tu sei quello a cui dobbiamo chiedere il permesso di fare qualsiasi cosa. Pensi davvero di essere il padrone di quel che resta dei Qeng Ho?

Questa era la carota che Nau continuava a fargli annusare. — No! Forse loro credono di avermi comprato, ma… Signore di Tutti i Commerci, non sono sempre stato un bravo membro dell’equipaggio?

Una risatina, e un po’ della tensione parve abbandonare Diem. — Già. Sei sempre stato un sognatore, con poco interesse per le cose pratiche. — Critica ormai familiare, ma detta quasi con affetto. — Però non sei uno stupido, e non hai mai approfittato del tuo nome per avere un trattamento di favore… D’accordo, apprendista, benvenuto a bordo.

Era la promozione più soddisfacente che Ezr Vinh avesse mai avuto. C’erano mille cose che avrebbe voluto chiedere. Molte avevano risposte che non era suo diritto conoscere, ma almeno una, su Trixia…

Diem stava già parlando. — Ho dei codici e dei programmi che tu dovrai mandare a memoria, tuttavia potremmo doverci incontrare faccia a faccia anche più avanti. Perciò la puzza può migliorare ma dovrà restare un continuo problema. Così avrai una buona scusa per scendere qui anche con poco preavviso. Per ora ci sono un paio di cose in generale. La prima è che alcuni di noi devono uscire di qui.

Ezr pensò alla Tesoro Lontano e agli armieri in sonno freddo che aveva a bordo. Forse Diem voleva usarli. O forse c’erano delle armi in qualche ripostiglio segreto, sulle navi Qeng Ho. — Mmh. Ci sono lavori di riparazione esterni dove gli esperti siamo noi.

— Lo so. La cosa che ci interessa è includere nelle squadre certe persone, distribuendole magari due per turno in modo che lavorino in coppia. Ti faremo avere dei nomi.

— Bene.

— Un’altra cosa. Dobbiamo sapere qualcosa sui “focalizzati”. Dove si trovano, esattamente? Possono essere spostati in fretta?

— Sto cercando di informarmi su di loro. — Più di quel che tu immagini, capoequipaggio. — La Reynolt mi ha detto solo che sono vivi, e che la progressione della loro malattia è stata bloccata. — I mentecatti. Quel termine raggelante non era stato usato dalla Reynolt, ma da un altro Emergente. — Sto facendo di tutto per avere il permesso di vedere…

— Sì. Trixia Bonsol, no? — Una mano sporca di muffa puzzolente gli diede una pacca su una spalla. — Mmh. Tu hai un motivo personale per occuparti della cosa. Fai il bravo bambino su tutto il resto, ma su questo insisti e punta i piedi. Sai, come se fosse il grande favore che ti aiuterà a restare in riga, se loro sono generosi… D’accordo. Ora squagliati, ragazzo. Qui ci penso io a ripulire una decina di filtri, così potrai dire di aver fatto qualcosa.

Diem si allontanò fra le vasche piene di muffa. Ezr ripulì le tracce di dita che gli aveva lasciato sulla spalla, ma mentre riapriva il portello s’era dimenticato della puzza. Lavorava di nuovo coi suoi amici. Forse c’era una possibilità di farcela.


Così come i resti della spedizione Qeng Ho avevano in Ezr Vinh il loro “direttore di flotta” fantoccio, Tomas Nau aveva anche nominato un “Comitato Direttivo di Flotta” per consigliarlo e aiutarlo nella sua opera. Era tipico della strategia di Nau coinvolgere persone innocenti in un’apparente situazione di gretto collaborazionismo. Le loro sedute, per quanto rare, erano una tortura per Ezr, nonostante che del Comitato facesse parte anche Jimmy Diem.

Ezr era arrivato per primo alla riunione di quel pomeriggio, e guardò i dieci consiglieri fluttuare in sala riunioni uno dopo l’altro. Nau aveva fatto ammobiliare la stanza con legno autentico e finestre di alta qualità, affinché nel provvisorio tutti sapessero dei favoritismi elargiti al direttore di flotta e ai membri del Comitato. A parte forse Qiwi, tutti si rendevano conto di come erano usati. La loro opinione era che sarebbero trascorsi anni prima che Tomas Nau risvegliasse i Qeng Ho in sonno freddo. Alcuni, come Jimmy Diem, pensavano che gli ufficiali anziani sarebbero stati risvegliati solo raramente per essere interrogati su cose che soltanto loro sapevano, e al massimo per un breve periodo di servizio sorvegliato. Tenerli in sonno freddo era una delle soperchierie che consentivano agli Emergenti di controllare la situazione.

Così non c’erano collaborazionisti autentici fra loro. Erano una vista deprimente per Ezr: cinque apprendisti, tre ufficiali giovani, una quattordicenne, e un vecchio bacucco incompetente. D’accordo, per essere onesti Pham Trinli non era un vecchio bacucco, anzi per la sua età era in ottime condizioni fisiche. Probabilmente era sempre stato un incompetente congenito anche da giovane. Gli veniva quasi da ridere se pensava che Trinli era l’unico militare lasciato sveglio.

E questo fa di me il Re dei Pagliacci. Il direttore di flotta Vinh chiese il silenzio all’assemblea. Uno avrebbe pensato che fare il gioco del nemico fosse così sgradevole da rendere brevi quelle riunioni. Invece no, si trascinavano avanti per molti Ksec, fra discussioni pignole su quali incarichi assegnare a quali individui. Tutti avevano sempre qualcos’altro da fare, o accampavano scuse lunghe e verbose. Spero che tu stia origliando queste chiacchiere, bastardo di un Nau.

Il primo argomento all’ordine del giorno era la putrefazione nelle fosse batteriche. La cosa era sotto controllo. Il puzzo sarebbe stato eliminato prima della prossima riunione. C’erano dei ceppi batterici incontrollabili (bene!) ma non costituivano un problema per il provvisorio. Ezr evitava di guardare Diem durante la lettura dei rapporti. S’era incontrato con lui nelle fosse batteriche già tre volte. I loro colloqui erano stati brevi, a senso unico. Gli argomenti che incuriosivano di più Ezr erano quelli di cui non doveva sapere niente: quanti Qeng Ho cospiravano con Diem? Chi erano? Avevano un piano vero e proprio per sconfiggere gli Emergenti e salvare gli ostaggi?

Il secondo punto all’ordine del giorno era più antipatico ancora. Gli Emergenti volevano che le loro unità di misura del tempo fossero adottate da tutti. — Questa non la capisco — disse Ezr, mentre tutti lo guardavano abbacchiati. — Il secondo usato dagli Emergenti è identico al nostro, e per quanto concerne le operazioni locali il problema dei turni non si è mai posto, dai momento che uno di loro dorme quanto uno di noi secondo il ritmo biologico standard. Il nostro software traduce le unità di misura di qualunque Cliente senza problemi. — Certo una difficoltà c’era, nell’uso comune della lingua. Ad esempio, il “giorno” balacreano era 108 Ksec più corto del “giorno” dei Qeng Ho. Molti pianeti rifiutavano inoltre, per motivi loro, le misure standard, come l’anno di 30 Msec, dando origine a un po’ di confusione.

— Sicuro, possiamo avere a che fare coi calendari più strani, ma mantenendo il nostro in parallelo — disse Arlo Dinh, l’apprendista ora eletto a responsabile delle modifiche al software. — I nostri nuovi, uh, datori di lavoro, stanno usando molti apparati Qeng Ho tarati col nostro software, tarati sulle nostre unità di misura, e vogliono tararli di nuovo. Ci saranno degli effetti collaterali. — Questo era il mantra che Dinh intonava ogni volta, in tono funebre.

— D’accordo, d’accordo, prendo atto che… — Ezr scosse il capo, non sapendo come affrontare il problema. — Senti, Arlo, perché non ne parli con la Reynolt? Senti che ne pensa lei di questa cosa. — Poi abbassò gli occhi sul display dell’agenda, evitando lo sguardo irritato di Arlo Dinh. — Punto tre. Continuano ad arrivare sempre più inquilini. Il caponave dice che dobbiamo aspettarci almeno altri trecento Emergenti, e poi una cinquantina di Qeng Ho. I sistemi di supporto-vita possono farcela, ma gli altri? Gonle?

Quando i loro incarichi erano reali, la magra e segaligna Gonle Fong era vice assistente agli alloggi sulla Mano Invisibile. Aveva un’età indeterminata, e se non fosse accaduto nulla sarebbe rimasta vice assistente a vita. Era una di quelle persone la cui carriera si ferma quando arrivano al posto più adatto per loro, dove le loro capacità si adattavano a ciò che la società gli chiedeva. Ma ora…

Fong annuì doverosamente. — Sì, ho delle cifre da mostrarvi. — Batté sulla tastiera Emergente che aveva davanti, fece degli sbagli, cercò di correggerli. Sulla finestra di fronte a lei continuarono a lampeggiare messaggi d’errore. — Come si spegne questo accidente? — mugolò, imprecando fra sé. Batté altri tasti e la sua rabbia esplose. — Che il diavolo li porti, io non posso ammattire con queste fottute cose! — Afferrò la tastiera e la sbatté sul tavolo di legno. La lucida superficie ne fu danneggiata, ma la tastiera rimase intatta. I display sulla finestra folleggiarono e si spensero del tutto. Fong si alzò a mezzo e agitò l’ovale nero verso Ezr. — Questi fottuti Emergenti hanno eliminato tutta la roba che funzionava. Ora non posso dare ordini a voce perché non c’è un impianto che mi capisca, e se voglio parlare con qualcuno devo andare a cercare un telefono a muro, come se fossimo tornati alla preistoria. Tutto quello che ci hanno dato in cambio sono queste fottute finestre e questi fottuti affari qui! — Scaraventò la tastiera sul tavolo e questa rimbalzò sul soffitto.

Tutti si dissero d’accordo, benché non in modo cosi violento. — Non si può fare quasi niente con queste tastiere… Ci servono gli interfaccia vocali… A volte abbiamo difficoltà con un apparato anche quando lui stesso ti spiega cosa devi fare per manovrarlo…

Ezr alzò una mano e attese che l’ammutinamento verbale si placasse. — Tutti voi conoscete i motivi di queste modifiche. Gli Emergenti non si fidano dei nostri sistemi; hanno bisogno di controllarli in profondità.

— Sicuro, vogliono spiare tutto ciò che viene fatto. Neppure io mi fiderei degli automatismi nemici se avessi messo al lavoro il personale nemico. Ma così non si va avanti ! Io posso usare i loro interfaccia, però voglio che mi diano un aiuto sulla finestra, se non a voce, e i…

— Io dico che se uno deve fare bene il suo lavoro non si può pretendere che usi degli strumenti sconosciuti. Dovremmo scioperare e fare una marcia di protesta — affermò Gonle Fong.

— Basta così! — Questa era la parte della commedia che irritava maggiormente tutti quanti. — Rifletta a quello che le è uscito di bocca, signorina Fong. Sicuro, ci sono degli inconvenienti, ma il caponave Nau considera la disubbidienza un atto di tradimento. Ed è una cosa che gli Emergenti puniscono con durezza. — Perciò odia pure quella tastiera, ma cerca di usarla. — Ascoltate, ho già chiesto a Nau e a Reynolt che ci forniscano altri tipi di interfaccia. Forse lo faranno. Ma ricordate che siamo a molti anni-luce dalla più vicina società industriale. Ogni nuova apparecchiatura dev’essere costruita con quello che gli Emergenti hanno qui a L1, — Ezr dubitava che si potesse costruire qualsiasi cosa. — È importante che voi e i vostri dipendenti usiate correttamente gli interfaccia. Per la vostra stessa sicurezza.

Li guardò uno dopo l’altro. Quasi tutti lo ricambiarono con sguardi roventi, ma lui vide che erano segretamente sollevati. Quando fossero tornati dai loro amici i membri del Comitato avrebbero avuto Ezr Vinh da indicare come lo smidollato leccapiedi degli Emergenti che li costringeva a sopportare tutto… e la loro infelice posizione si sarebbe un po’ alleggerita.

Ezr tacque qualche momento, sentendosi impotente. Poi si rivolse a Fong: — Lei mi stava dicendo dei nuovi arrivati. Qual è il problema?

La donna cercò di riprendere il filo del discorso e guardò la sua tastiera che fluttuava in fondo alla sala. Poi scosse il capo e disse: — Be’, al diavolo i numeri. Il fatto, in parole povere, è che non possiamo accogliere altra gente. Se potessimo controllare tutti gli automatismi come una volta, in questo pallone ci starebbero anche tremila persone. E poi questa gente chi è? Tipetti presuntuosi che si credono migliori perché comandano loro. Si fanno chiamare tecnici e impiegati, ma sono degli ignoranti a cui bisogna spiegare tutto. Il fatto è che li mettiamo a disagio perché dentro di loro sanno di valere poco. Qualcuno di noi cerca anche di farseli amici, ma ci sono delle cose su cui quelli non danno spiegazioni… ad esempio questi “mentecatti” di cui qualche volta parlano, chiunque siano. Ma io dico che se i loro capoccioni non cominciano a parlarci chiaro, allora queste cose le scopriremo da soli.

Ezr non sorrise. Hai sentito, caponave Nau? Qualunque cosa tu voglia, presto sapremo la verità. E ciò che avrebbero scoperto sarebbe stato usato da Jimmy Diem. Mentre veniva alla riunione Ezr aveva pensato soprattutto a un argomento, l’ultimo all’ordine del giorno. Ora vedeva che tutti erano collegati a quello. E capiva che forse lui non stava facendo un cattivo lavoro, dopotutto.

L’ultimo argomento della seduta era la prossima esplosione del sole. E Jimmy aveva premuto perché lui mettesse uno sciocco — sicuramente uno sciocco ignorante — a occuparsi di quel problema: Pham Trinli. L’armiere si agitò più del necessario, seduto in fondo al tavolo. — Sì, sì — disse. — Ho qui alcune foto. Solo un momento. — Sulle finestre intorno alla sala apparve una dozzina di grafici. Trinli salì metaforicamente sul podio e tenne una conferenza sui punti di stabilità di Lagrange. Per uno strano caso l’uomo aveva un tono e una voce che si sarebbero adattati a un comandante in capo, ma quello che stava dicendo erano sciocchezze che sapevano tutti.

Ezr lo lasciò andare avanti per qualche centinaio di secondi. Poi: — Mi sembra che l’argomento sia “Preparativi per la Riaccensione”, signor Trinli, non i punti di Lagrange. Ebbene, cosa ci viene chiesto di fare dagli Emergenti?

Il vecchio lo fulminò con uno sguardo intimidatore da capoequipaggio. — Io sono l’armiere Trinli, se non le spiace, direttore di flotta. — Lo sguardo restò su di lui un altro secondo. — Bene, veniamo al punto. Noi abbiamo qui all’incirca cinque milioni di tonnellate di diamanti. — Sulla finestra alle sue spalle un puntatore rosso indicò l’ammasso di rocce che ruotavano lente, tutto il materiale che il comandante Park aveva reperito in quel sistema solare. Il ghiaccio e i minerali prelevati da Arachna erano in un angoletto fra due asteroidi. — Queste rocce sono al momento in contatto gravitazionale, e la nostra flotta è ormeggiata alle rocce o in orbita intorno a esse. Ora, come stavo cercando di spiegare pochi secondi fa, gli Emergenti vogliono che noi montiamo e mettiamo in funzione un sistema di jet elettrici sulle masse ora in movimento libero.

Diem chiese: — Prima della Riaccensione?

— Proprio così.

— Vogliono mantenere le rocce dell’ammasso in contatto stabile durante la Riaccensione?

— La loro intenzione è questa, sì.

Intorno al tavolo ci furono smorfie poco entusiaste. Mantenere stabili le posizioni orbitali era una tecnica antica. Se fatto bene, lo stazionamento in un punto L1 costava pochissimo carburante. Il punto si trovava a un milione e mezzo di chilometri da Arachna, quasi direttamente sulla linea fra il pianeta e il sole. Nei primi anni assai luminosi, loro sarebbero stati nascosti dal suo bagliore. Ma gli Emergenti non pensavano in piccolo; avevano già costruito varie strutture, compresa la loro Hammerfest, perciò ora volevano che i jet per il mantenimento posizionale fossero a posto prima della Riaccensione. La luminosità di OnOff sarebbe stata da cinquanta a cento volte superiore al normale, prima di scemare e stabilizzarsi. Era comprensibile che gli Emergenti non volessero che gli asteroidi si urtassero, influenzati da quella turbolenza. Tuttavia usare dei jet, invece di separare gli asteroidi a distanza di sicurezza, era una pericolosa imbecillità. Ma i padroni erano loro. E questo darà a Jimmy l’opportunità di uscire.

— In realtà io non vedo problemi insuperabili, qui — disse Qiwi Lisolet, alzandosi dalla sua poltroncina. Passò davanti alle mappe di Trinli, interrompendo ciò che lui stava per dire. — Mentre eravamo in viaggio io ho fatto delle esercitazioni su questo genere di lavori. Mia madre voleva che diventassi ingegnere, e mantenere gli equilibri gravitazionali può essere una parte importante di questa missione. — Qiwi sembrava più adulta del solito. Era la prima volta che Ezr la vedeva indossare l’uniforme verde dei Lisolet. La ragazzina fluttuò davanti a una finestra per il tempo di leggere alcune cifre, e il suo atteggiamento adulto s’incrinò. — Signore Iddio, però ci chiedono molto! Questo materiale sfuso è un’incognita; anche calibrando tutti i vettori non c’è modo di tenerlo ben fermo all’interno dell’ammasso. E quando la luce solare scalderà i gas congelati, avremo un altro problema. — Fece un fischio fra i denti ed ebbe un sorrisetto infantile. — Dovremo spostare i jet durante la Riaccensione. Io…

Pham Trinli la stava fulminando con lo sguardo. La ragazzina aveva rubato almeno mille secondi alla sua presentazione. — Infatti sarà un lavoro complesso — disse il vecchio. — Disponiamo soltanto di cento jet elettrici per l’intera operazione. Sarà necessario che una squadra sia sull’ammasso a orario continuato.

— No, questo non è necessariamente vero. I jet, voglio dire. Sulla Brisgo Gap abbiamo anche altri propulsori. Questo lavoro non sarà più difficile di quelli che ho già fatto, è solo in scala molto più grande. — Qiwi si faceva prendere la mano dall’entusiasmo, ma per una volta Ezr era d’accordo col suo ragionamento.

Non tutti accettarono quella novità tranquillamente. Gli ufficiali più giovani, compreso Diem, dissero che bisognava allontanare il materiale sfuso durante la Riaccensione, e spostare i gas congelati sul lato in ombra del diamante più grosso. Nau, dissero, era un dannato incompetente; la cosa era troppo rischiosa. Trinli lo prese come un insulto diretto a lui e s’inalberò, affermando che aveva già esposto quelle critiche agli Emergenti.

Ezr batté ancora una mano sul tavolo. — Ordine, per favore. Questo lavoro è stato assegnato a noi. Il modo migliore in cui possiamo aiutare la nostra gente è svolgerlo con senso di responsabilità. Penso che potremo avere assistenza da parte degli Emergenti, ma dobbiamo inquadrare l’operazione in modo professionale.

Intorno a lui la discussione continuò. Quanti di loro sono fra i cospiratori? si domandò. Sicuramente non Qiwi… o sì? Poco dopo la conversazione si spense davanti a un fatto ineluttabile: non c’era altra scelta che chinare il capo e fare il lavoro. Jimmy Diem si appoggiò alla poltroncina, con un sospiro. — D’accordo, faremo quello che ci chiedono. Ma se non altro sappiamo che hanno bisogno di noi. Facciamo un po’ di pressione su Nau e convinciamolo a tirare fuori dal sonno freddo alcuni specialisti anziani.

Ci furono dei mormorii di consenso. Ezr cercò gli occhi di Jimmy, ma lui distolse lo sguardo. Forse sarebbero riusciti a far rilasciare alcuni ostaggi per quel lavoro, e forse no. Ma a un tratto Ezr aveva capito quando i cospiratori avrebbero colpito.

11

La stella OnOff avrebbe potuto fungere da orologio per la galassia. La sua catastrofica variabilità era stata osservata già nell’Era dell’Alba dagli astronomi della Vecchia Terra. In ottocento secondi una stella catalogata come “nana gialla, singola” era calata da una magnitudo 26 a una magnitudo 4. Nello spazio di trentacinque anni era poi diventata virtualmente invisibile, dando origine a diversi studi e ricerche durante il procedimento. Da allora la stella era stata tenuta d’occhio con attenzione, ma il mistero era diventato ancora più grande. Il suo comportamento iniziale aveva delle variazioni, tuttavia lo schema generale era incredibilmente regolare. Accesa, spenta, accesa, spenta… in un ciclo di 250 anni, con un’accensione prevedibile al secondo.

Nei millenni trascorsi dall’Era dell’Alba, l’umanità s’era sparsa senza sosia in altri sistemi solari. Le osservazioni della stella OnOff erano diventate più precise, e da distanze sempre inferiori.

Ora finalmente gli umani erano nel sistema di OnOff, e contavano i secondi che mancavano a una nuova Riaccensione.

Tomas Nau tenne un breve discorso, concludendo con: — Sarà uno spettacolo interessante. — I pezzi grossi s’erano spostati nella più grande sala comune del provvisorio per assistere. Il locale era affollato, e il suo pavimento si curvava in basso nella microgravità dell’ammasso di asteroidi. Su tutto Hammerfest i tecnici Emergenti tenevano pronta la loro strumentazione. Sulle astronavi c’erano solo equipaggi ridotti al minimo. Ezr sapeva che quasi tutti i Qeng Ho e gli Emergenti non di turno erano lì. I due gruppi erano quasi cordiali fra loro, quasi amichevoli. Dall’attacco a tradimento erano trascorsi quaranta giorni standard. Correva voce che dopo la Riaccensione gli Emergenti avrebbero rilassato molto le loro misure di sicurezza.

Ezr s’era agganciato a una ringhiera presso il soffitto. Senza lenti a contatto e altra elettronica evoluta, l’unica vista era offerta dalle finestre. Lui poteva vederne tre dalla sua posizione. Una era un’inquadratura da media distanza di OnOff, un’altra era ripresa da un microsatellite in orbita stretta attorno alla stella. Anche da cinquecento chilometri d’altezza la sua superficie non sembrava minacciosa. Faceva pensare a un panorama di nuvole sorvolato da un aereo. Se non fosse stato per la gravità schiacciante, un essere umano in tuta avrebbe potuto scendere a farci una passeggiata. Le nuvole scivolavano via lente sotto il microsatellite, lasciando intravedere bagliori rossi fra l’una e l’altra. Era il rosso della lava, di una brace dormiente. Non c’era alcun sintomo del cataclisma che si aspettava entro… seicento secondi.

Nau e il suo navigatore anziano salirono alla ringhiera, accanto a Ezr. Brughel non si vedeva da nessuna parte. Era sempre facile capire quando Nau voleva ammorbidire la gente: bastava guardare se non s’era portato dietro Ritser Brughel. Il caponave si spostò sulla sinistra di Ezr. Sorrideva come un politicante dei Clienti. — Ebbene, direttore di flotta, non è ancora tranquillo sulle incognite di questa operazione?

Ezr scosse il capo. — Lei sa cos’hanno consigliato i miei tecnici. Per questa evento avremmo dovuto spostare i gas solidi dietro un asteroide e allontanarlo. Noi stessi dovremmo essere assai più distanti dalla stella. — Le astronavi e tutti gli habitat di entrambe le flotte erano all’ormeggio dietro l’asteroide di diamante più grosso. Questo li avrebbe schermati dalla Riaccensione, ma se ci fossero stati degli imprevisti…

Il navigatore di Nau non era di quel parere. — Siamo ben ancorati, qui. E abbiamo consumato un bel po’ di quei gas nei lavori di quest’ultimo mese. — Si chiamava Jau Xin, e aveva all’incirca l’età di Ezr. Era un giovanotto abbastanza simpatico, ma non aveva la competenza che Ezr era abituato a vedere negli ufficiali anziani Qeng Ho. — I vostri ingegneri mi hanno fatto un’ottima impressione — continuò Xin accennando verso le altre finestre. — Nel maneggiare quel gran mucchio di materie prime noi non saremmo stati altrettanto competenti. È interessante vedere come riescono a essere così veloci senza i… — Qui s’interruppe. C’erano ancora dei segreti. Le cose sarebbero cambiate prima di quel che gli Emergenti si aspettassero.

Nau fu svelto a riempire la pausa nel discorso di Xin. — I vostri tecnici sanno lavorare, Ezr. Sul serio, penso che sia per questo se hanno fatto tante obiezioni al nostro progetto; sono esigenti in materia di sicurezza. — Guardò OnOff su una delle finestre. — Qui stiamo facendo la storia, comunque, ci pensi.

Intorno a loro la gente chiacchierava, e c’erano anche gruppetti misti di Qeng Ho e di Emergenti. Non parlavano solo del fatto del giorno. Su una delle finestre più lontane era inquadrato il grosso mucchio delle materie prime. La squadra di Jimmy Diem stava stendendo un grande telone argenteo sui blocchi di ghiaccio. Nau li osservò corrugando le sopracciglia.

— È necessario coprire l’acqua congelata e l’aria-neve, signore — disse Ezr. — La cima del mucchio non è in ombra rispetto a OnOff. Senza una protezione perderemmo una certa quantità di quel materiale volatile.

— Ah. — Nau annuì.

Sulla superficie dell’asteroide maggiore c’erano dodici o tredici figure in tuta. Alcune avevano cavi di sicurezza, altre fluttuavano libere. La gravità era praticamente zero. Stavano assicurando i cavi intorno alla montagna di ghiaccio con la semplicità di chi esegue operazioni del genere da una vita… e con alle spalle i millenni di esperienza Qeng Ho. Ezr guardò le figure e cercò di immaginare chi fossero. Ma sopra le tute indossavano giacche termiche, e sembravano tutte uguali. Nell’emisfero in ombra ne scorse molte altre. Non era stato messo al corrente dei particolari della cospirazione, tuttavia Diem gli aveva detto alcune cose e lui immaginava il resto. Forse un’opportunità più adatta non si sarebbe ripresentata mai più: avevano acceso gli eiettori a bordo della Brisgo Gap. All’esterno potevano andare dove volevano, poiché gli Emergenti si limitavano a controllarli da lontano. Nei momenti che precedevano la Riaccensione era inoltre lecito aspettarsi imprevisti, un po’ di confusione… e i Qeng Ho che si occupavano di tutte le operazioni esterne potevano volgere quella confusione a favore della rivolta. Ma tutto ciò che io posso fare è rimanere qui con Tomas Nau… e recitare la parte dell’ingenuo.

Ezr sorrise al caponave.


Qiwi Lisolet era furibonda quando rientrò nel compartimento stagno. — Maledizione e poi maledizione a questo fottuto… — ringhiò, mentre si toglieva la giacca e i pantaloni termici. Con un angolo della mente si ripromise di frequentare di più Gonle Fong per imparare qualche imprecazione migliore, quando quella faccenda fosse finita. Gettò i termici in un armadietto e si spinse giù nel tunnel assiale senza togliersi la tuta e il casco.

Dio di Tutti i Commerci, come potevano farle questo? Le avevano ordinato di tornare dentro, senza niente da fare che ficcarsi le dita nel naso mentre Jimmy Diem si occupava del lavoro che lei avrebbe dovuto fare!

Pham Trinli fluttuava trenta metri più in alto del telone isolante steso sull’iceberg. Ufficialmente lui era il capo delle operazioni che assicuravano stabilità all’ammasso di asteroidi e habitat, ma si era assicurato che ogni ordine dato da lui passasse attraverso Jimmy Diem. Era quest’ultimo a prendere le decisioni sui particolari più spiccioli. E con sua sorpresa era stata la piccola Qiwi Lisolet ad avere le idee migliori su dove piazzare i jet elettrici e come programmare l’operazione nel suo complesso. Se avessero seguito tutti i suoi suggerimenti, la Riaccensione si sarebbe svolta senza inconvenienti.

E questa non sarebbe stata affatto la cosa migliore.

Pham Trinli era un membro della cospirazione. Un membro di poca importanza, a cui non era stata affidata nessuna parte critica del piano. Questo gli andava bene. Ruotò su se stesso dando le spalle a OnOff, col mucchio di rocce direttamente sopra la sua testa. Nell’ombra degli asteroidi c’erano altri gruppi di ombre: le astronavi ormeggiate, i provvisori, l’impianto di raffinazione delle materie prime, il tutto al riparo della tempesta di radiazioni che stava per riempire il cielo. Uno degli habitat, Hammerfest, aveva la forma ramificata di una radice. Sarebbe stato attraente, in un suo modo bizzarro, senza tutto l’equipaggiamento che aveva attorno. Il provvisorio dei Mercanti sembrava un pallone aeronautico ancorato al suolo. In esso c’erano tutti i Qeng Ho e buona parte degli Emergenti.

Oltre gli habitat, parzialmente nascosti da una gobba di Diamante Uno, c’erano le naviram. Uno spettacolo poco piacevole, in effetti. Delle astronavi non avrebbero dovuto stazionare a stretto contatto, e inoltre così vicine a grandi quantità di rocce e materiale sfuso. Nella mente di Pham balenò un ricordo: un mucchio di balene morte che galleggiavano in un abbraccio sensuale. Non era quello il modo di tenere un cantiere navale. Ma gli scafi avevano subito tanti danni che ai suoi occhi quello era quasi un deposito di relitti. Gli Emergenti avevano pagato caro il loro attacco a tradimento. Dopo la distruzione della nave di Park, Pham aveva vagato per oltre un giorno in un taxi danneggiato… ma collegato a tutti i sistemi delle navi superstiti. Evidentemente Nau non aveva mai avuto un solo sospetto su chi stava coordinando la reazione dei Qeng Ho. Se l’avesse avuto, Pham sarebbe finito in sonno freddo con gli altri armieri sulla Tesoro Lontano, o magari in un sonno ancora più freddo e molto più definitivo.

Nonostante l’attacco di sorpresa i Qeng Ho erano andati vicini alla vittoria. Ma se la battaglia si fosse conclusa con un maggior numero di danni sarebbe stata la fine di entrambe le parti. Al momento c’erano soltanto due navi in grado di andarsene da quel sistema coi propulsori ram, dopo alcune riparazioni. Altre due potevano essere rimesse in grado di funzionare solo usando apparecchiature recuperate dagli altri relitti. Ma a giudicare dall’efficienza della raffineria ci sarebbe voluto del tempo prima di avere abbastanza idrogeno da mettere a velocità ram anche una sola nave.

Meno di cinquecento secondi alla Riaccensione. Pham fluttuò lento verso le rocce, finché il cantiere navale fu nascosto dal telone isolante. Sparsi sulla superficie dell’asteroide principale i suoi compagni — Diem, Do e Patil, ora che avevano rimandato dentro Qiwi — stavano facendo gli ultimi controlli ai jet. La voce di Jimmy Diem era calma sul canale di lavoro della squadra, ma Pham sapeva che si trattava di una registrazione. Dietro il mucchio di materiale sfuso Diem e altri erano scomparsi, diretti sull’altro lato dell’asteroide. Tutti e tre erano armati, adesso. Era stupefacente quel che si poteva fare con un jet elettrico, specialmente con un modello Qeng Ho.

E così Pham Trinli veniva lasciato indietro. Probabilmente Jimmy era felice di liberarsi di lui. Si fidava di lui, ma solo come di una parte del piano, la facciata innocua della loro squadra di lavoro. Il solo compito di Trinli era adesso di muoversi qua e là, in vista di Hammerfest e del provvisorio, per rispondere alle istruzioni registrate di Diem.

Trecento secondi alla Riaccensione. Trinli si spostò sotto il telone. Il ghiaccio d’acqua e l’aria-neve si stavano accostando alla superficie nuda dell’asteroide, e quando lui tirò l’ultimo cavo furono fermamente a contatto con la montagna di diamante.

Diamanti. Quando Pham era giovane, i diamanti erano ancora un mezzo di scambio universale. Una scheggia di quel materiale poteva pagare l’omicidio di un principe. Per i Qeng Ho il diamante era soltanto un allotropo del carbonio, da vendere o da acquistare a tonnellate. Ma anche i Qeng Ho erano stati intimiditi da quei macigni. Asteroidi del genere non avrebbero dovuto esistere, in teoria. E sebbene quelle montagne non fossero vere e proprie gemme, in esse c’era un ordine molecolare cristallino. Il cuore di pianeti giganti, proiettato via dopo un’esplosione miliardi di anni prima? Erano uno dei misteri del sistema di OnOff.

Fin dall’inizio dei lavori di consolidamento Pham aveva studiato il terreno, ma non per le stesse ragioni di Qiwi Lisolet o di Jimmy Diem. C’era una grossa fenditura, dove il ghiaccio e l’aria-neve riempivano lo spazio fra Diamante Uno e Diamante Due. Questo poteva significare qualcosa per Qiwi e per Diem, ma solo in relazione al lavoro che stavano facendo lì. Per Pham Trinli… con un po’ di scavo la fenditura era diventata un sentiero dal luogo di lavoro ad Hammerfest. Un sentiero invisibile dalle navi e dagli habitat. Lui non ne aveva parlato a Diem; secondo il piano dei cospiratori Hammerfest doveva essere preso solo dopo che si fossero impadroniti della Tesoro Lontano.

Pham Trinli si avviò sul fondo a V della spaccatura, avvicinandosi sempre più all’habitat degli Emergenti, Diem e gli altri sarebbero stati sorpresi nel saperlo, ma lui non era un nato-nello-spazio.

A volte, quando procedeva in luoghi dove non c’erano i concetti di alto e basso, lo prendeva la tipica vertigine dei nati-su-un-pianeta. Se avesse lasciato libera l’immaginazione… quella non sarebbe più stata la fenditura di un asteroide, ma un camino di montagna, un camino che si curvava e curvava sempre più fino a dare il terribile brivido del precipizio sottostante e del vuoto.

Trinli si fermò un momento e si tenne saldo con una mano, mentre tutto il suo corpo anelava a corde da scalatore e chiodi piantati saldamente nella roccia. Dio. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui aveva lottato coi suoi istinti da nato-su-un-pianeta. Si mosse avanti. Avanti, non in su.

Il suo calcolo della distanza gli disse che adesso era vicinissimo ad Hammerfest, presso gli apparati di comunicazione. Se fosse balzato in alto c’era il caso che una telecamera lo riprendesse. Naturalmente era probabile che a quel punto nessuno, e nessun automatismo, potesse intervenire in tempo per cambiare le cose. Tuttavia Trinli si tenne basso. Se necessario avrebbe potuto avvicinarsi ancora, ma per il momento voleva origliare. Si distese nella fenditura, coi piedi puntati sul ghiaccio e la schiena sulla parete di diamante, e allungò l’antenna del suo monitor. Gli Emergenti avevano giocato ai tiranni di buon cuore fin da dopo l’attacco. La sola cosa che li faceva sentire minacciati era il possesso di sistemi di comunicazione molto evoluti. Pham sapeva che Diem e gli altri avevano lenti a contatto video, e comunicavano anche con sistemi cifrati usando la stessa rete locale. Grazie a ciò buona parte del piano era stata portata avanti letteralmente sotto il naso degli Emergenti. A volte facevano del tutto a meno della loro sofisticata elettronica; quei ragazzi giovani conoscevano un gioco in cui si usava la segno-lingua, un codice di cenni in apparenza del tutto insignificanti.

Come membro secondario della cospirazione, Pham Trinli conosceva quei segreti solo perché disponeva di molta elettronica proibita. Quella sottile antenna sarebbe stata sintomo di cattive intenzioni anche in tempo di pace.

L’antenna era trasparente per quasi qualsiasi strumento che fosse puntato da quella parte. Il sensore sulla sua cima annusò lo spettro elettromagnetico; il suo obiettivo era il sistema di comunicazione degli Emergenti, che da quell’habitat si estendeva al provvisorio Qeng Ho. Trinli muoveva l’antenna come un pescatore che manovrasse la canna per spostare l’esca. Il sensore rilasciava alla mano anche delle impressioni fisiche. Ecco. Il sensore s’era agganciato al laser che andava da Hammerfest al provvisorio Qeng Ho. Pham emise un segnale che fece scattare un software poco usato sul provvisorio e si inserì sulla rete locale, aggirando i sistemi di sicurezza degli Emergenti. Questo era esattamente ciò che preoccupava Nau e che giustificava le sue minacce di punizione a chi avesse sgarrato dalle nuove regole. Jimmy Diem aveva deciso, saggiamente, di non correre rischi così eccessivi. Pham Trinli aveva il vantaggio di conoscere certi vecchi, vecchi trucchi nascosti nell’equipaggiamento Qeng Ho. E anche così non avrebbe osato tanto se Diem e i suoi cospiratori non fossero stati ormai in azione.

Forse avrebbe dovuto parlare più chiaro con Jimmy Diem. C’erano ancora molte cose importanti degli Emergenti che loro non sapevano. Cosa rendeva tanto precisi i loro automatismi? Nello scontro a fuoco erano stati inferiori a livello di tattica computerizzata, ma nella ricerca dei bersagli assai più precisi di ogni sistema che Pham Trinli avesse mai visto.

Gli era rimasta l’antipatica sensazione di essere stato messo in un angolo. I cospiratori immaginavano che quella fosse la loro migliore e forse ultima possibilità di sconfiggere gli Emergenti. Forse stavano agendo con troppa fretta.

Tanto vale provarci, e mettercela tutta.

Pham guardò una finestra del display nel suo casco. Quella che stava intercettando era la telemetria degli Emergenti e alcuni video in quel momento trasmessi nel provvisorio. Quasi tutto poteva essere decriptato. Quei bastardi di emergenti si fidavano un po’ troppo del loro laser per le comunicazioni esterne. Era il momento di metterci le mani dentro.


— Cinquanta secondi alla Riaccensione. — La voce stava contando in tono piatto da duecento secondi. Quasi tutti i presenti nel salone guardavano le finestre in silenzio.

— Quaranta secondi alla Riaccensione.

Ezr girò uno sguardo esplorativo sui presenti. Il navigatore, Xin, osservava i display e sembrava nervoso. Tomas Nau stava fissando quello che mostrava la superficie ravvicinata di OnOff e aveva un’espressione incuriosita, più che preoccupata.

Qiwi Lisolet studiava con attenzione l’inquadratura della zona dove stava agendo la squadra di Jimmy Diem. Era scura in faccia e ogni tanto gettava attorno sguardi spauriti. Ezr aveva da lei la conferma che i suoi sospetti erano fondati e stava per succedere qualcosa. Jimmy Diem aveva usato la ragazzina fino all’ultimo per avere una copertura dalla sua presenza di innocente quattordicenne, ma non era poi così cinico. Alla fine le aveva dato una possibilità di sfuggire alle conseguenze.Ma scommetto che Qiwi non lo ringrazierà, anche quando capirà che favore le ha fatto.

— Onda frontale in arrivo fra dieci secondi.

Ancora nessun cambiamento nelle inquadrature dei microsatelliti. Il bagliore rosso fra le “nuvole” non era meno cupo. O “l’orologio della galassia” stava per prendere in giro tutti quanti, o la sua puntualità era davvero cosmica.

— Riaccensione.

Nell’inquadratura da media distanza un punto luminoso apparve al centro esatto del disco, si dilatò e in pochi momenti lo riempì del tutto.

— Dieci secondi dalla Riaccensione. Venti kilowatt per metro quadro. — Un display mostrò in parallelo altre immagini della stella riprese in passato. La Riaccensione sembrava rapida e potente come tutte le altre volte. — Il flusso di neutroni è sempre sotto i limiti della percepibilità.

Nau ed Ezr si scambiarono sguardi di sollievo, per una volta sinceri da ambo le parti. Quello era uno dei pericoli che non poteva essere misurato da distanze interstellari. Se non altro non sarebbero stati abbrustoliti da radiazioni che nessuno era riuscito a quantizzare.

Fuori, la montagna dell’asteroide stava cominciando a illuminarsi.


Pham Trinli aveva tutte le immagini del canale pubblico, e anche senza di esse la Riaccensione sarebbe stata visibile. Ma lasciava quei fatti in un angoletto della sua mente e si concentrava sui dati che gli giungevano da Hammerfest. Era in momenti come quello, quando i tecnici venivano molto distratti da avvenimenti esterni, che la sicurezza scendeva al più basso livello. Se Diem era in orario, lui e la sua squadra si trovavano al punto d’attracco della Tesoro Lontano.

Lo sguardo di Trinli saettò sulle dodici piccole finestre che occupavano il display del suo casco. I programmi per la rete della flotta costruiti da lui stavano facendo un buon lavoro coi sistemi telemetrici, Ha-ha. Una vecchia volpe poteva essere insidiosa anche dopo aver perso i denti. Ora che gli servivano tutte le capacità dei computer, gli Emergenti erano costretti a usare molti automatismi Qeng Ho, e le manomissioni di Trinli diventavano sempre più efficienti.

I suoi sensori erano penetrati in tutto Hammerfest. Ogni programma aveva le sue circostanze eccezionali, le situazioni che i suoi creatori presumevano fossero fuori dalla loro responsabilità. C’erano reazioni circolari che l’introduzione di dati estremi poteva innescare…

Strano. Sembrava quasi che nei sistemi interni Emergenti fossero alloggiati dozzine di utenti. E c’erano grosse fette di software in questi sistemi che gli restavano del tutto enigmatiche, come se non si fossero sviluppale dalla comune matematica. Eppure gli Emergenti erano una popolazione tornata di recente all’alta tecnologia grazie all’ascolto della rete di trasmissioni Qeng Ho. C’era della roba misteriosa in quel software. Trinli passò al traffico audio. Il nese degli Emergenti era comprensibile, ma pieno di abbreviazioni in gergo. — Diem… intorno all’asteroide, e dietro… secondo il piano…

Secondo il piano?

Trinli scandagliò i flussi di dati, vide grafici che mostravano le armi che la squadra di Jimmy intendeva usare, gli ingressi per cui si accingeva a entrare nella Tesoro lontano. C’era una lista di nomi… i cospiratori. Pham Trinli era elencato come un complice di minore importanza. Trascrizioni di conversazioni telefoniche. Quelle criptografate di Jimmy Diem, I primi rapporti erano imprecisi, ma gli ultimi convergevano esattamente sugli obiettivi di Jimmy e degli altri. In qualche modo gli Emergenti avevano controllato abbastanza dettagli da far emergere l’inganno. Non c’erano stati traditori, solo una disumana attenzione per i più minuti dettagli.

Pham ritirò l’equipaggiamento e strisciò ancora più avanti. Puntò di nuovo l’antenna direzionale verso Hammerfest. L’angolazione era buona; da lì poteva inviare il segnale all’ancoraggio della Tesoro Lontano.

— Jimmy, Jimmy! Puoi sentirmi? — Era un segnale criptografato in codice Qeng Ho, ma se un avversario lo avesse ascoltato sia il punto di partenza che quello d’arrivo sarebbero stati identificati.


Tutto ciò che Jimmy Diem aveva sempre voluto era essere un bravo capoequipaggio e avere la stima dei suoi superiori. Poi lui e Tsufe avrebbero potuto sposarsi, e godersi i frutti portati dal viaggio alla stella OnOff. Questo era stato il suo unico desiderio prima dell’arrivo degli Emergenti e del loro attacco a tradimento. Ora? Ora capeggiava una rivolta, e stava per giocarsi tutto in pochi momenti di rischio infernale. Be’, almeno stavano per agire, finalmente…

In meno di quaranta secondi avevano percorso quattromila metri sulla parte illuminata dell’ammasso. Questa sarebbe stata un’impresa dura anche senza che il sole fiammeggiasse sui drappi di tessuto argenteo in cui s’erano avvolti. Per poco non avevano perso Pham Patil. L’uomo non era riuscito ad ancorare bene il suo cavo al suolo e nel darsi la spinta successiva aveva strappato via il chiodo. Sarebbe volato a perdersi nello spazio, se Tsufe e Jimmy non fossero stati legati al suo stesso cavo. Ancora pochi secondi di esposizione e la luce diretta del sole li avrebbe abbrustoliti anche attraverso i loro scudi improvvisati.

Ma stava funzionando! Adesso erano arrivati dall’altra parte delle astronavi, dove quei bastardi non si aspettavano visite. Mentre gli occhi di tutti erano sul sole, e si abbagliavano, loro erano arrivati in posizione.

Fluttuavano sotto il punto dov’era ormeggiata la Tesoro Lontano. La nave torreggiava seicento metri sopra di loro, così vicina che potevano vederne bene solo la zona degli alloggi e i serbatoi di prua. Ma dalle loro caute esplorazioni avevano appreso che quella era la meno danneggiata delle navi Qeng Ho. Dentro di essa c’erano armi equipaggiamento — e ancor più importante, della gente — che loro avrebbero potuto usare per riacquistare la libertà.

Mentre si dirigevano al portello controllò l’orologio. Cento secondi dalla riaccensione, e la luce del sole li raggiungeva attraverso la massa di un asteroide. Jimmy si girò a guardare, stupito. C’erano trecento metri di solido diamante fra loro e la luce nuda di OnOff, e neppure questo bastava per bloccarla. Spezzandosi fra milioni di piani e irregolarità interne, rimbalzando e diffondendosi, un poco della luce solare li raggiungeva. E ogni secondo si faceva più vivida, permettendogli di distinguere formazioni più dense e strisce colorate e fratture nel corpo dell’asteroide.

Ecco dove finisce la speranza di sfruttare il buio. Jimmy volse le spalle all’asteroide e continuò ad avvicinarsi alla nave. Con un cenno mandò Patil e Do ai due lati del portello. Gli Emergenti lo avevano riprogrammalo, naturalmente, ma non avevano potuto sostituire il meccanismo com’era stato fatto coi portelli del provvisorio. Tsufe li aveva spiati con un binocolo e conosceva il codice. Quante guardie avrebbero dovuto affrontare? Possiamo farcela. So che possiamo farcela. Alzò una mano guantata verso la piastra e…

Qualcuno lo stava chiamando.

— Jimmy, Jimmy! Puoi sentirmi? — La voce sussurrava sottile nel suo auricolare. Una scritta diceva che era la decriptazione di un impulso laser proveniente dall’habitat degli Emergenti. Ma era la voce di Pham Trinli.

Jimmy s’irrigidì. Caso peggiore: il nemico stava giocando con lui. Caso migliore: Trinli aveva immaginato ciò che loro volevano fare sulla Tesoro Lontano e si stava immischiando in modo più dannoso di quanto nessuno l’avrebbe creduto capace. Ignora quel vecchio idiota. Più tardi gli romperai il culo a calci, ma ora ignoralo. Jimmy alzò lo sguardo al cielo che si schiariva sempre più. Nello spazio, un laser era difficile da individuare, ma se gli Emergenti stavano per caso guardando dalla parte giusta avrebbero potuto vedere il collegamento usato da Trinli.

La sua risposta fu rapida, per impegnare il raggio al minimo. — Spegni quella roba, maledetto imbecille. Subito!

— Prima ascolta questo, ragazzo. Loro sanno del piano. Hanno decriptato i vostri messaggi. — Era Trinli ma non sembrava lui. E nessuno aveva parlato delle decriptazioni a Trinli. — Stai per cadere in una trappola, Jimmy. Ma loro non sanno tutto. Torna indietro. Qualunque cosa loro stiano pensando di fare, entrare nella Tesoro Lontano peggiorerà soltanto la situazione.

Dio. Per un momento Jimmy non poté muoversi. Il pensiero del fallimento e della morte gli aveva rovinato il sonno fin dall’inizio. Per arrivare a quel punto, tutti loro avevano dovuto rischiare la vita cento volte. Avevano accettato la possibilità di essere scoperti. Ma non avevano mai immaginato una cosa del genere. Ciò che il vecchio imbecille aveva scoperto poteva essere importante. O poteva essere insignificante. E tornare indietro a quel punto era già la cosa peggiore che potesse capitare. Ormai è troppo tardi.

Jimmy si costrinse a parlare con calma: — Ho detto: chiudi questo collegamento. — Si girò verso lo scafo della Tesoro Lontano e batté il codice sulla piastra. Trascorse un secondo… e il portello si aprì. Do e Patil entrarono nella penombra del compartimento stagno. Lui attese ancora un momento, applicò un piccolo trasmettitore accanto al pannello e li segui nell’interno.

12

Pham Trinli spense il raggio e tornò indietro lungo la spaccatura più in fretta che poté. E così ci hanno fottuto. Tomas Nau era più furbo di quel che sembrava, e aveva un misterioso vantaggio di qualche genere. Lui aveva visto svolgersi centinaia di operazioni di spionaggio e tattiche, ma mai una così fanatica attenzione ai dettagli come quella che aveva permesso agli Emergenti di accorgersi di quelle comunicazioni cifrate fra i Qeng Ho. O Nau aveva un software magico, o i suoi tecnici erano dei monomaniaci. Con una parte della mente Pham si chiedeva di cosa si trattasse, e come avrebbe potuto trarne un vantaggio.

Ma per il momento la semplice sopravvivenza era ciò che contava. Se Diem avesse rinunciato a salire sulla Tesoro Lontano la trappola di Nau non sarebbe scattata, o non in modo mortale.

La faccia del diamante alla sua sinistra, la più grande gemma di tutti i tempi, stava brillando investita dalla luce del sole. Poco più avanti il telone protettivo sul materiale sfuso ondeggiava, attaccato in tre soli punti.

A un tratto Pham si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Girò su se stesso e si afferrò a una sporgenza. Fu attraverso di essa che sentì la massa montagnosa gemere e scricchiolare. Da tutta la lunghezza della fenditura si staccò una nebbia di polvere… e il gigantesco diamante si mosse. Si stava spostando di appena un centimetro al secondo, ma si spostava. C’erano barbagli di luce nel suo interno vitreo. Pham aveva visto le mappe di quegli asteroidi. Gli ingegneri Emergenti avevano congiunto Diamante Uno e Diamante Due sfruttando una loro superficie piana, usando l’avvallamento che s’era formato fra essi per le materie prime prelevate, da Arachna. Un’idea buona… ma realizzata male. Ora quei gas scivolavano via nell’interstizio fra le due montagne, e dilatandosi le separavano. Quello che era stato uno scudo solido largo centinaia di metri si stava frammentando, e la luce scintillava come su un milione di specchi più brillanti dell’inferno.


— Cento quarantacinque kilowatt al metro quadro.

— Questo dev’essere il picco massimo — disse qualcuno. OnOff stava brillando con un’intensità cento volte superiore al normale. Era ancora nei limiti del previsto, ma più luminosa della maggioranza delle Riaccensioni precedenti. OnOff avrebbe continuato così per altri diecimila secondi, poi sarebbe calata fino a una potenza di emissione doppia del normale e rimasta stabile per alcuni anni.

Ci furono dei mormorii soddisfatti. Nelle ultime centinaia di secondi la gente nel provvisorio era rimasta quasi zitta. Qiwi Lisolet dapprima aveva pensato soltanto alla sua rabbia nel vedersi mandata lì al sicuro. Ma poi s’era calmata, mentre i legami della copertura argentata si rompevano uno dopo l’altro e il ghiaccio entrava a contatto con la luce solare diretta. — Gliel’ho detto a Jimmy che non avrebbero tenuto — mormorò, ma non sembrava più arrabbiata. Il ritorno della luce era spettacolare, ma i danni erano superiori al previsto. Dappertutto sfuggivano nello spazio correnti di gas, e non si vedeva come pochi piccoli jet elettrici potessero controbilanciarne la spinta. Quattrocento secondi dopo la Riaccensione, il telo protettivo si staccò del tutto e fluttuò via nel cielo violetto. Non c’era traccia della squadra che era stata vista rifugiarsi sotto di esso. Ci furono mormorii stupiti. Nau regolò un microfono a colletto e la sua voce si udì in tutta la sala: — Non preoccupatevi. La squadra addetta ai jet ha avuto tutto il tempo di vedere che il telone stava cedendo. Si sono riparati nell’ombra dell’asteroide.

Qiwi annuì, ma sottovoce disse a Ezr: — Il problema è che non stanno manovrando neppure i jet disposti nell’ombra. Non sono là.

Ezr sentì una mano di lei scivolare in una delle sue. Strano gesto da parte della Marmocchia. Ma dopo un momento gliela strinse, per rassicurarla. Fu allora che le inquadrature delle finestra oscillarono, come se qualcosa avesse colpito contemporaneamente tutte le telecamere. E dal basso provenne un suono, un gemito che salì e scese di intensità nell’aria del provvisorio.

— Caponave! — La voce insistente e allarmata non era quella del tecnico che aveva fatto i suoi monotoni rapporti. Era Ritser Brughel. — Diamante Due si muove, si alza… — Nello stesso momento tutti se ne accorsero. L’intero asteroide si stava girando, miliardi di tonnellate, libere.


Il gemito che si udiva nel provvisorio dovevano essere gli ancoraggi sotto tensione.

— Noi non siamo sul suo percorso, signore. — disse Ezr.

L’enorme massa si scostava lentamente, ma in direzione opposta al provvisorio e ad Hammerfest e alle navi ancorate. Tutti i presenti erano andati a cercare delle ringhiere a cui ancorarsi.

Hammerfest era fissato a Diamante Uno, e la grande roccia sembrava ferma. Le navi, più oltre, erano ninnoli al confronto, e oscillavano all’ormeggio dei cavi fissati su Diamante Uno. Era una danza di leviatani, ma una danza che le avrebbe ridotte in rottami se fosse continuata.

— Caponave! — esclamò ancora Brughel. — Ricevo in audio il capoequipaggio Diem.

— Passalo sul canale comune!


Oltre il compartimento stagno era buio. Le luci non s’erano accese, e non c’era atmosfera. Jimmy Diem e gli altri fluttuarono avanti nel tunnel girando qua e là le lampade sui loro caschi. Guardarono dentro locali vuoti, e dentro altri in cui le paratie erano state strappate via lasciando cavi penzoloni dappertutto. Quella avrebbe dovuto essere una nave non danneggiata dalla battaglia. Diem aveva una morsa allo stomaco. Il nemico era entrato lì dentro dopo Io scontro e aveva distrutto o portato via molte attrezzature, riducendola a un guscio vuoto.

Dietro di lui Tsufe disse: — Jimmy, la Tesoro si sta muovendo.

— Sì. Io ho un buon punto d’appoggio, qui. Sembra che i cavi d’ormeggio la tirino da una parte e dall’altra.

Diem appoggiò il casco alla paratia. Sì. Se ci fosse stata atmosfera la nave sarebbe stata piena dei rumori di cose che andavano in pezzi. Dunque la Riaccensione stava causando più sconquasso del previsto. Il giorno prima questo lo avrebbe terrorizzato. Ora… — Non credo che importi molto, Tsufe. Proseguiamo. — E incitò con un gesto Do e Patil. Così Pham Trinli aveva ragione, e il piano era fallito. Ma qualunque ne fosse la causa lui voleva sapere cos’era successo lì dentro.

I compartimenti stagni interni non c’erano più, e il vuoto si estendeva in ogni direzione. La squadra fluttuava attraverso quello che un tempo era stato un cantiere di riparazione, ma non c’era più niente, e al posto degli iniettori d’accensione ram c’erano soltanto degli enormi buchi.

Più avanti, nella ben protetta stiva della Tesoro Lontano, c’erano i contenitori per il sonno freddo. Nel muoversi a contatto della paratia Jimmy e gli altri potevano sentire con le mani le vibrazioni e gli schianti della nave in lento movimento. Fino a quel momento non sembrava che le navi fossero venute in collisione fra loro, anche se Jimmy non era certo di potersene accorgere. Le navi erano così enormi e pesanti che venendo a contatto con una velocità di un solo centimetro al secondo avrebbero potuto schiantarsi una dentro l’altra, data l’enorme inerzia della loro massa.

Erano all’ingresso della stiva. Dove gli Emergenti dichiaravano di aver ricoverato gli armieri superstiti.

Vuoto anche lì. Un’altra bugia?

Jimmy oltrepassò il portellone. Le loro lampade girarono da una parte e dall’altra.

Tsufe Do gridò inorridita.

Non il vuoto. Cadaveri. Jimmy illuminò a destra e a sinistra. I contenitori del sonno freddo erano stati portati via, ma il vasto locale era… pieno di corpi umani. Diem staccò la sua lampada e la fissò a una paratia. Le loro ombre danzavano ancora, sulla paratia opposta, ma adesso poteva vederli meglio.

— Sono tutti m-morti, è così? — La voce di Patil era sognante, come se non credesse a quell’orrore.

Jimmy avanzò fra i cadaveri. Erano stati legati in gruppi ordinati, e in quel piccolo volume di spazio ce n’erano centinaia. Riconobbe alcuni armieri. La madre di Qiwi. Solo pochi mostravano forti danni da decompressione. Egli altri quando sono morti? Alcune facce erano tranquille, alcune invece… Si fermò, bloccato da due occhi vuoti che sembravano fissarlo. Il volto era sporco, con una bruciatura sulla fronte. Quello doveva aver vissuto per qualche tempo dopo l’attacco a tradimento. E lui lo conosceva.

Tsufe attraversò la stiva proiettando la sua ombra sui corpi. — Questo è uno dei trilandesi, vero?

— Sì. Uno dei geologi, credo. — Uno degli scienziati che si credevano vivi e prigionieri ad Hammerfest. Jimmy tornò verso la lampada. Quanti erano? I cadaveri fluttuavano anche nel locale accanto, una volta chiuso da una paratia. Hanno ucciso tutti? La nausea lo prese alla gola.

Patil era rimasto calmo dopo la prima inutile domanda, ma Tsufe era pallida e la voce le usciva rauca e sforzata. — Noi credevamo che li tenessero come ostaggi. E invece erano già stati uccisi. — Ebbe una risatina stridula. — Non importava niente, no? Noi ci credevamo, e a loro basta che la menzogna funzioni.

— Ma ora sappiamo la verità. — All’improvviso la nausea di Jimmy scomparve. La congiura era stata scoperta, nessun dubbio su questo. Lui, Tsufe e Patil sarebbero morti molto presto. Ma se avevano ancora qualche secondo di vita forse potevano smascherare i mostri. Tirò fuori una radio da una tasca della tuta e la appoggiò alla paratia metallica per avere un’antenna. Un altro dei mezzi di comunicazione messi al bando, sicuro. Pena di morte per chi ne possiede uno. Ma con quello, e con il ripetitore che aveva applicato fuori dal portello della Tesoro Lontano, poteva parlare su ogni lunghezza d’onda. Il provvisorio sarebbe stato mondato dalla sua voce. Molte apparecchiature l’avrebbero ricevuta e registrata. Alcuni automatismi evoluti avrebbero perfino compreso il messaggio, identificandolo come prioritario e cercando di ripeterlo a tutti i Qeng Ho in grado di riceverlo.

Jimmy Diem si schiarì la voce: — Qeng Ho! Ascoltatemi! Sono a bordo della Tesoro Lontano. La nave è stata svuotata. I nostri compagni tenuti qui a bordo sono stati assassinati…


Ezr, e ogni persona presente nel salone, attese un secondo mentre Ritser Brughel ubbidiva mettendo la comunicazione in linea. Poi la voce di Jimmy Diem disse: — Qeng Ho! Ascoltatemi, sono…

— Capoequipaggio Diem! — lo interruppe Tomas Nau. — State tutti bene? Non riusciamo a vedervi, là fuori.

Ci fu una pausa, poi Jimmy rise. — Questo è perché siamo a bordo della Tesoro Lontano.

L’espressione di Nau era stupita. — Non capisco. La Tesoro Lontano non ha riferito di…

— È ovvio che non lo ha riferito. — Ezr poté quasi vedere il sorriso dietro le parole di Diem. — Vede, la Tesoro Lontano è una nave Qeng Ho, e ora ce la siamo ripresa.

Sulle facce che Ezr poteva vedere si accese lo sbalordimento o la gioia. Così quello era il piano! Un’astronave in piena efficienza, forse con tutte le armi ancora a bordo. La stiva dove gli Emergenti avevano installato l’ospedale per i feriti, i contenitori del sonno freddo con gli armieri e gli ufficiali sopravvissuti all’attacco a tradimento. Ora abbiamo una possibilità!

Tomas Nau parve giungere alla stessa conclusione. La sua faccia si contrasse in una smorfia tempestosa. — Brughel? — domandò all’aria.

— Caponave, credo che stia dicendo la verità. Sta parlando sul canale di manutenzione della Tesoro Lontano, e non riesco a contattare nessun altro a bordo.

La cifra fornita dalla finestra principale era 145 W al metro quadrato. La luce riflessa da Uno e Due cominciava a far bollire la neve e il ghiaccio nell’ombra. Centinaia di migliaia di tonnellate di minerali sfusi e ghiaccio si stavano dilatando nello spazio fra gli immensi diamanti. Il movimento era quasi impercettibile, pochi centimetri al secondo, ma grandi masse di roccia fluttuavano libere, e avrebbero potuto stritolare qualsiasi costruzione umana con cui fossero venute a contatto. Nau guardò la finestra per un momento; quando parlò la sua voce era gravida di emozione. — Diem, ascolti. Non può funzionare. La Riaccensione sta causando più danni di quanto chiunque potesse…

Nell’aria risuonò una risata aspra. — Tu credi? Forse sarà perché i jet stabilizzatori non sono stati usati come pensavate. Li abbiamo sfruttati per fare un po’ di sconquasso in più. se vuoi saperlo.

Qiwi strinse forte la mano di Ezr. Gli occhi della ragazzina erano sbarrati per la sorpresa. Ed Ezr senti un vuoto allo stomaco. La stabilità dell’ammasso non avrebbe retto bene in nessun caso, ma perché rendere le cose peggiori ?

Intorno a loro tutti quelli che indossavano una tuta a pressione la stavano chiudendo, e indossavano il casco o il cappuccio; altri stavano già uscendo dalle porte. Un grosso macigno di minerale fluttuava a un centinaio di metri da lì. Si spostava lento, in piena luce solare, ma avrebbe abbondantemente mancato la sommità del provvisorio.

— Ma voi… voi… — Il caponave sembrava soffocare. — La vostra gente potrebbe morire. Abbiamo tolto tutte le armi dalla Tesoro Lontano. È la vostra nave ospedale, per l’amor del cielo!

Non ci fu risposta, a parte un borbottio incomprensibile. Ezr notò che il navigatore degli Emergenti, Xin, non diceva una parola. Fissava il suo caponave con sguardo stranito, vacuo.

Poi Jimmy Diem fu di nuovo in linea. — Che siate maledetti. E così avete asportato i sistemi d’arma. Be’, non importa, bastardo. Noi abbiamo preparato quattro chili di S7. Non credevate che saremmo riusciti a mettere le mani sugli esplosivi, eh? In quei jet elettrici c’erano un sacco di cose che non avreste mai sospettato.

— No, no — Nau stava scuotendo il capo con aria abbattuta.

— Come hai detto, caponave, questa è la vostra nave ospedale. Ci sono i vostri feriti qui, oltre ai nostri armieri in sonno freddo. Anche senza le armi della nave, io dico che abbiamo il modo di costringervi a fare quel che vogliamo noi. Capito?

Nau getto un’occhiata a Ezr e Qiwi. — Una tregua. Finché non abbiamo ripreso sotto controllo il materiale che vola dappertutto.

— No! — gridò Jimmy. — Vedrete quello che siamo capaci di fare mentre siete presi per la gola.

— Dannazione, uomo, è la vostra gente a bordo della Tesoro Lontano che rischia la vita.

— Se fossero fuori dal sonno freddo sarebbero tutti d’accordo con me, caponave. È il momento della resa dei conti. Abbiamo ventitré dei vostri ricoverati nell’infermeria, più cinque della vostra squadra di manutenzione. Sappiamo anche noi come giocare al gioco degli ostaggi. Voglio che tu e Brughel veniate qui. Potete usare uno dei vostri taxi e prendervela comoda… avete mille secondi di tempo.

Nau era sempre parso un uomo freddo e calcolatore a Ezr Vinh, ma non si era ancora riavuto dallo shock. L’uomo alzò fieramente la testa e guardò il punto da cui proveniva la voce di Jimmy. — E se non accettiamo?

— Allora noi avremo perso. Ma anche voi. Tanto per cominciare uccideremo tutti i vostri che sono qui. Poi faremo detonare i quattro chili di S7 e la Tesoro Lontano esploderà qui all’ormeggio. I suoi pezzi grandineranno sul vostro dannato Hammerfest e vi faranno in briciole.

Qiwi stava ascoltando pallida e tesa, sbalordita. A un tratto si spinse avanti come alla ricerca di Diem e alzò le mani, gridando: — No, no, Jimmy! Ti supplico, non farlo!

Per qualche momento tutti gli occhi si volsero su Qiwi. Perfino la frenetica chiusura delle tute e dei cappucci s’interruppe, e restò solo il cigolio degli ormeggi sforzati del provvisorio. La madre di Qiwi era in un contenitore della Tesoro Lontano, suo padre era ricoverato in infermeria coi feriti che avevano riportato danni mentali. In sonno freddo o “focalizzati”, molti superstiti della spedizione Qeng Ho erano in uno a nell’altro dei posti minacciati. Trixia. Questo è troppo. Jimmy. Ragiona! Ma quelle parole restarono nella gola di Ezr. Lui aveva riposto la sua fiducia in Jimmy Diem. Se quelle minacce stavano spaventando lui, forse avrebbero forzato la mano a Tomas Nau.

Quando Jimmy parlò ancora, ignorò il disperato appello di Qiwi. — Ti restano novecento settanta secondi, caponave. Se vuoi un consiglio, tu e Brughel dovete portare qui il vostro dannato culo. Poi ti faremo sapere le nostre condizioni.

Non ci sarebbe stato abbastanza tempo neppure se Nau fosse andato immediatamente ai taxi. L’uomo si volse a Xin e i due parlarono sottovoce.

— Sì, posso portarla là, caponave — Ezr sentì che Xin diceva. — È pericoloso, ma quel materiale si sposta a meno di un metro al secondo. Possiamo evitarlo.


Nau annuì. — Allora andiamo. Voglio che… — Si volse verso una ragazza che aveva delle tute a pressione. Mentre se ne faceva consegnare una la sua voce si abbassò ed Ezr non sentì altro.

La folla di Qeng Ho e di Emergenti continuò a premere verso le uscite.

Attraverso il contatto audio si udì un forte tonfo, poi alcuni rumori. In sala qualcuno gridò, indicando la Finestra principale. Su un fianco della Tesoro Lontano ci fu un luccichio. Qualcosa di piccolo e veloce se ne stava allontanando. Era un frammento dello scafo.

Nau s’era fermato su una porta del salone. Si girò a guardare l’inquadratura delle astronavi. — L’analisi dei sistemi rivela che la Tesoro Lontano è stata danneggiata — disse la voce di Brughel. — Ci sono state esplosioni multiple lungo l’asse, sul ponte 15.

Era il ponte della stiva per il sonno freddo e dell’ospedale. Ezr non riusciva a muoversi e a distogliere lo sguardo. Lo scafo della Tesoro Lontano si squarciò in altri due punti. Pallidi lampi di luce filtrarono all’esterno. Era una cosa insignificante a confronto della Riaccensione. A un occhio inesperto l’astronave avrebbe potuto sembrare ancora intatta. I buchi nello scafo erano larghi appena un paio di metri. Ma l’S7 era il più potente esplosivo Qeng Ho, e sembrava che tutti e quattro i chili fossero stati usati. Il ponte radiale 15 era dietro quattro strati di paratie interne, a venti metri dallo scafo. Le esplosioni avevano probabilmente distrutto il propulsore ram. Un’altra astronave era morta.

Qiwi fluttuava immobile al centro della sala, lontana dalle mani che avrebbero potuto confortarla.

13

I Ksec che seguirono furono i più tesi e indaffarati della vita di Ezr. L’orrore per la morte di Jimmy stagnava in un angolo della sua mente, ma non poteva permettersi di lasciarlo uscire. Tutti erano troppo occupati a salvare ciò che era possibile in quella catastrofe umana e naturale.

Il giorno dopo Tomas Nau tenne un discorso ai superstiti, nel provvisorio e ad Hammerfest. L’uomo che essi videro sulle finestre era visibilmente stanco e privo dell’abituale disinvoltura.

— Signore e signori, vi esprimo la mia gratitudine. Siamo sopravvissuti alla seconda più violenta Riaccensione nella storia conosciuta di OnOff. Ci siamo riusciti nonostante il grave sabotaggio di alcuni traditori. — Si avvicinò alla telecamera, come per guardare gli esausti Emergenti e Qeng Ho riuniti nei saloni. — La valutazione dei danni e le riparazioni sono l’opera a cui tutti siamo chiamati con urgenza nei prossimi Msec… ma devo essere franco con voi. La prima battaglia fra i Qeng Ho e la nostra flotta è stata terribilmente distruttiva per i Qeng Ho, e devo purtroppo ammettere che lo è stata anche per noi Emergenti. Avevamo deciso di non rivelare la reale estensione dei danni. Disponevamo di molto equipaggiamento di riserva, pezzi di ricambio, attrezzature mediche, e le materie prime prelevate da Arachna. Pensavamo di poter contare sull’esperienza di centinaia di ufficiali anziani Qeng Ho, non appena risolti i problemi della sicurezza. Nonostante ciò operavamo con un ristretto margine fra il successo e il fallimento. Dopo i fatti di ieri, questo margine è svanito. In questo momento non abbiamo in condizioni di efficienza neppure una naveram… e non sappiamo se riusciremo a equipaggiarne una con parti prelevate dai relitti.

Soltanto due delle astronavi erano entrate in collisione. Ma sembrava che la Tesoro Lontano fosse quella in condizioni migliori, e dopo l’azione di Jimmy Diem il propulsore e molti sistemi di supporto-vita erano a pezzi.

— Negli ultimi Ksec molti di voi hanno rischiato la vita nel tentativo di recuperare parte dei gas e del ghiaccio. Questa parte del disastro non è stata colpa di nessuno. Non potevamo prevedere la violenza di questa Riaccensione, né gli effetti subiti dal ghiaccio intrappolato fra i diamanti. Come sapete, abbiamo recuperato quasi tutti gli ammassi più voluminosi. Ne restano liberi soltanto tre. — Benny Wen e Jau Xin stavano lavorando insieme per riportare indietro anche quel materiale. Era distante una trentina di chilometri, ma le masse più grandi superavano le centomila tonnellate e le squadre disponevano soltanto dei taxi e di una navetta danneggiata.

— L’emissione di OnOff è calata di 2,5 kilowatt al metro quadrato. I nostri velivoli possono operare in queste condizioni, e così anche squadre opportunamente protette. Ma l’aria-neve evaporata non è recuperabile, e si teme che anche molto ghiaccio d’acqua sia ormai perduto.

Nau allargò le braccia e sospirò. — È una situazione simile ad altre che i Qeng Ho hanno visto nella loro storia. Si combatte, si combatte, e si finisce dinanzi allo spettro dell’estinzione. Con ciò che abbiamo non possiamo tornare in patria, qualunque sia il luogo che chiamate patria. Possiamo solo fare ipotesi su quanto riusciremo a sopravvivere qui, con ciò che abbiamo. Cinque anni? Cento anni? L’antica verità è ancora tragicamente valida: senza aiuto esterno, nessun gruppo umano che abbia perduto la capacità produttiva può ricostruire la tecnologia perduta.

Un triste sorriso gli passò sul volto. — E tuttavia io spero di farcela. Questi disastri hanno concentrato la nostra attenzione sugli obiettivi iniziali del nostro viaggio. Non è più questione di curiosità accademica, né di motivi commerciali per i Qeng Ho… ora la nostra sopravvivenza dipende dai sofonti di Arachna. Sono sulla soglia dell’Era dell’Informatica. Da quanto possiamo capire, essi svilupperanno un’economia industriale durante l’attuale periodo di illuminazione. Se riusciremo a sopravvivere qualche decennio, i Ragni avranno la società industriale che ci serve. Le nostre due missioni avranno successo, anche se a un costo umano superiore a quanto si era immaginato.

«Potremo resistere tre o cinque decenni? Forse. Dovremo fare economia, riciclare, riparare… ma la domanda reale è: possiamo collaborare? Finora la storia della nostra permanenza qui non è felice. Sia per difenderci che per attaccare, ci siamo lordati le mani di sangue. Tutti sapete di Jimmy Diem. C’erano almeno altre tre persone con lui. Certo il numero dei congiurati è maggiore… ma infierire su di essi diminuirebbe le nostre possibilità di sopravvivenza. Così faccio appello a tutti voi Qeng Ho che avete, anche marginalmente, partecipato al complotto: pensate a ciò che Jimmy Diem e Tsufe Do e Pham Patil hanno fatto. Volevano distruggere tutte le nostre navi e Hammerfest. Invece la loro inettitudine e la loro ferocia sono state fatali, sia per loro stessi che per i Qeng Ho tenuti in sonno freddo, e hanno distrutto un ospedale pieno di Emergenti e di Qeng Ho.

«Così questo è diventato il nostro esilio. Un esilio a cui ci siamo condannati da soli. In continuerò a fare del mio meglio, ma senza l’aiuto di tutti ci attende la fine. Dobbiamo seppellire l’odio e le diversità. Noi Emergenti sappiamo molte cose di voi Qeng Ho; abbiamo ascoltato la vostra rete pubblica per centinaia d’anni. Le notizie da voi distribuite sono state importanti per accelerare il nostro ritorno alla tecnologia spaziale. — Di nuovo il sorriso stanco. — So che voi lo fate per procurarvi buoni clienti, e ve ne siamo ugualmente grati. Ma ciò che noi Emergenti siamo diventati non è quello che vi sareste aspettati. Io credo che abbiamo portato qualcosa di nuovo e di meraviglioso nell’universo umano: il Focus. È una cosa che dapprima potrà sembrarvi strana. Ma vi prego di non giudicare troppo in fretta. Imparate i nostri costumi, così come noi abbiamo imparato i vostri.

«Con l’aiuto di tutti e la buona volontà potremo sopravvivere. Da ultimo, forse perfino prosperare.

La faccia di Nau scomparve dal display, sostituita da un’immagine esterna dell’ammasso ristrutturato. I Qeng Ho nel salone si guardarono e presero a parlare sottovoce. I Mercanti avevano un enorme orgoglio, specialmente nel paragonarsi ai Clienti. Per loro anche le società di Clienti più evolute, come Namquem e Camberra, erano fiori dai vivaci colori ma destinati ad appassire e decadere perché erano fissi, immobili nello Spazio Umano. Questa era la prima volta che Ezr vedeva la vergogna sulla faccia di tanti Qeng Ho. Io ho lavorato con Jimmy. L’ho aiutato. E anche chi non sapeva niente della congiura aveva esultato alle prime parole di Jimmy Diem dalla Tesoro Lontano.

Come avevano potuto agire in modo così sbagliato?


Ciret e Marli vennero a cercarlo. — Solo alcune domande correlate all’indagine. — I due Emergenti lo scortarono fuori dal suo alloggio, ma non ai compartimenti dei taxi. Nau lo stava aspettando nell’ufficio che Ezr usava nelle sue mansioni di “direttore di flotta”.

Seduti accanto al caponave c’erano anche Ritser Brughel e Anne Reynolt.

— Prenda una sedia… direttore di flotta. — Nau accennò a Ezr di accomodarsi, benché a gravità zero fossero soltanto formalità.

Ezr fluttuò su una delle sedie ancorate al pavimento e sedette. Era difficile guardare negli occhi Tomas Nau. Gli altri… Anne Reynolt sembrava impaziente e irritabile come al solito. Evitare il suo sguardo era assai facile, visto che la donna non guardava mai la gente negli occhi, se non ci era costretta. Ritser Brughel sembrava stanco come il caponave, ma aveva uno strana sorrisetto che andava e veniva. Lo fissava con occhi duri. D’un tratto Ezr capi che Brughel si stava pascendo di qualche suo piccolo trionfo. I morti che c’erano stati, da ambo le parti, contavano poco per quel sadico.

— Dunque, direttore di flotta, — lo riportò al presente la voce pacata di Nau, — circa la cospirazione di J.Y. Diem…

— Immaginavo che mi avrebbe interrogato, caponave — disse lui, in tono a metà fra la sfida e la confessione. — Io…

Nau alzò una mano. — So tutto. Ma lei era uno dei membri minori. Ne abbiamo identificato parecchi altri. Il vecchio, Pham Trinli. Ha fornito loro sostanze chimiche protettive, contro l’irradiazione solare. Ed è quasi morto, per questo.

Brughel ridacchiò. — Il vecchio caprone si è mezzo arrostito là fuori. Non fa altro che piagnucolare e lamentarsi.

Nau si girò verso Brughel. Non disse niente, lo guardò soltanto. Dopo un momento il biondo annuì e il suo comportamento divenne un’imitazione di quello del superiore.

— Nessuno di noi può permettersi la rabbia o la soddisfazione, in questa faccenda — disse il caponave a Ezr. — Ora abbiamo bisogno di tutti, anche di Pham Trinli. — Tacque, in attesa di una risposta, ed Ezr incontrò il suo sguardo.

— Sì, signore. Capisco.

— Più tardi la interrogheremo sul complotto, direttore di flotta. Dobbiamo identificare tutti quelli che richiedono una sorveglianza speciale. Per ora ci sono cose più importanti che rivangare il passato.

— Dopo tutto questo, lei vuole che io continui a essere direttore di flotta? — Ezr aveva odiato quel lavoro. Adesso lo odiava di più, anche se per ragioni diverse.

Ma il caponave annuì. — Lei era la persona più adatta prima, e lo è ancora. Inoltre dobbiamo dare un senso di continuità. Se lei accetta volontariamente e con convinzione la mia autorità, questa nostra comunità avrà una possibilità in più.

— Sì, signore. — A volte era possibile inghiottire il rospo.

— Bene. Da quel che mi risulta oggi, la nostra situazione si è stabilizzata. Non ci sono emergenze in corso. Che mi dice di Xin e Wen? Riusciranno a prendere i blocchi di ghiaccio a cui danno la caccia? Il carburante è una delle nostre priorità.

— Abbiamo la distilleria al lavoro, signore. Comincerà a produrre fra pochi Ksec. — Per rifornire i taxi. — Spero che avremo gli ultimi blocchi di ghiaccio al sicuro all’ombra entro quaranta Ksec.

Nau guardò Anne Reynolt.

— È una stima ragionevole, caponave. Gli altri problemi sono già sotto controllo.

— Allora avremo tempo per alcune importanti questioni umanitarie. Questa sera, signor Vinh, faremo alcuni annunci. Voglio che lei li ascolti. Sia lei che Qiwi Lin Lisolet sarete ringraziati per l’aiuto che ci avete dato nel rintracciare ciò che resta della cospirazione.

— Ma io…

— Sì, so che questa mia manovra politica le giunge sgradita. Ma deve capire che Qiwi non faceva parte della cospirazione e tuttavia ci ha dato un notevole aiuto. — Nau fece una pausa. — Quella povera ragazza è stata colpita negli affetti più cari. C’era molta rabbia in lei. Per la sicurezza di Qiwi, e per il bene della comunità, voglio che lei sostenga la posizione della ragazza affiancandosi a lei. Io dovrò sottolineare che la maggioranza dei Qeng Ho non è irrazionale, e che intende lavorare con me.

L’uomo attese il suo cenno d’assenso, poi: — E ora la cosa più importante. Lei ha sentito il mio discorso, la parte in cui vi pregavo di imparare le usanze di noi Emergenti?

— Sta parlando del… Focus? — Ciò che avevano realmente fatto a Trixia.

Sulla destra di Nau, il sorrisetto sadico curvò di nuovo la bocca di Brughel.

— Infatti — disse Nau. — Forse avremmo dovuto essere più espliciti, ma il periodo di addestramento non era ancora completo. Il Focus può fare la differenza fra la vita e la morte nelle attuali circostanze. Ezr, io desidero che Anne la conduca ad Hammerfest e le spieghi tutto. Lei sarà il primo. Voglio che lei capisca, e che accetti la cosa. Quando ci sarà riuscito, lei stesso spiegherà il Focus alla sua gente e lo farà in modo che anch’essi sappiano adattarsi, affinché quel che resta delle nostre spedizioni possa sopravvivere.


E così il segreto che Ezr aveva chiesto di conoscere, l’enigma che gli aveva tolto il sonno per molti Msec, stava per essergli svelato. Seguì la Reynolt nel corridoio centrale fino al portello di un taxi. Ogni metro era una battaglia per lui. Il Focus. I mentecatti. C’erano state voci, naturalmente, incubi, ma ora avrebbe saputo.

La Reynolt gli accennò di sedersi nel taxi. — Si metta là. Vinh. — Paradossalmente, lui preferiva trattare con Anne Reynolt. Lei non celava i suoi sentimenti, in lei non c’era la sadica soddisfazione che espurgava da Ritser Brughel.

Il taxi si staccò e accelerò nel vuoto. Il provvisorio Qeng Ho era sempre ancorato nell’ombra di un asteroide. L’emissione solare era ancora troppo forte per parcheggiarlo in orbita. Il cielo da purpureo era diventato nero, ma sullo sfondo stellato ora si vedeva una dozzina di code di comete: blocchi di ghiaccio che fluttuavano via. Wen e Xin erano là fuori da qualche parte.


Hammerfest distava meno di cinquecento metri dal provvisorio; un semplice balzo in tuta a pressione, se la Reynolt avesse voluto. Invece fluttuarono via in maniche di camicia. Se uno non avesse visto com’erano le cose prima della Riaccensione, avrebbe pensato che lì non fosse successo niente. Gli enormi ammassi di roccia avevano smesso di muoversi; l’aria-neve e il ghiaccio erano stati distribuiti in diversi posti, nell’ombra, e ce n’erano assai di meno. Ora il lato in ombra dell’ammasso era illuminato dalla luce riflessa di una grossa luna: il pianeta Arachna. Il taxi passò a cinquanta metri da una squadra che stava riparando i jet elettrici. L’ultima volta che Ezr aveva controllato, Qiwi Lisolet era laggiù che dirigeva le operazioni.

Di fronte a lui la Reynolt aveva agganciato la cintura di sicurezza. — Quelli focalizzati con successo si trovano su Hammerfest. Lei potrà parlare con chi vuole.

Hammerfest aveva l’aspetto di una lussuosa proprietà privata. Era il cuore delle operazioni degli Emergenti. L’aspetto dell’habitat era un conforto per Ezr. Trixia e gli altri, si disse, dovevano avere avuto un trattamento decente in quel posto. A suo avviso li tenevano in ostaggio, fatto non nuovo nella storia dei Qeng Ho, un po’ come i Cento di Far Pyorya. Ma nessun Mercante col cervello a posto avrebbe mai costruito un habitat su un ammasso di asteroidi e materie prime. Il taxi costeggiò torri di strana, fiabesca bellezza, le mura di un castello costruito su una montagna di diamante. Fra poco Ezr avrebbe saputo cosa contenevano quelle mure… d’un tratto le parole della Reynolt gli rimbalzarono nella mente. — Focalizzati con successo?

La donna si strinse nelle spalle. — Il Focus lascia una percentuale di mentecatti. Con la conversione iniziale ne perdiamo il trenta per cento. Qualcuno di più negli anni successivi. Avevamo spostato quelli più ammalati sulla Tesoro Lontano.

— Ma cosa…

— Stia calmo, e le spiegherò. — L’attenzione di lei si spostò su qualcosa oltre le spalle di Ezr e tacque per qualche momento. — Come lei ricorderà, durante l’attacco vi siete ammalati. Lei ha supposto che si trattasse di un virus progettato da noi, e in parte è così; il suo tempo di incubazione aveva la sua importanza nei nostri piani. Ciò che lei non sa è che l’uso militare del microrganismo è di secondaria importanza. — Il virus mentale, gli riferì la Reynolt, nella sua forma originale e naturale aveva ucciso milioni di persone nel sistema solare degli Emergenti, era stato il primo artefice della decadenza della loro società… e messo le basi dell’attuale epoca di espansione. Perché i ceppi del virus avevano una caratteristica interessante: erano una cornucopia di neurotossine.

«Nei secoli trascorsi dal Tempo dell’Epidemia, gli Emergenti sono riusciti a controllare il virus mettendolo al servizio della civiltà. Nella sua forma attuale ha bisogno di aiuto per oltrepassare la barriera sangue-cervello, e dilaga nell’encefalo in modo innocuo, infettando il novanta percento delle cellule gliali. Ora possiamo controllare il suo rilascio di sostanze neuroattive.

Il taxi ruotò con precisione verso le flange d’ormeggio di Hammerfest. Arachna era una luna piena larga mezzo grado nel firmamento. Il pianeta brillava candido, privo di contorni, avvolto nel furioso bozzolo di nuvole della sua rinascita.

Ezr lo notò appena. La sua mente costruiva immagini suggerite dallo scarno resoconto di Anne Reynolt: il virus addomesticato degli Emergenti che penetrava nel cranio, si riproduceva milioni di volte, saturava di veleni il cervello vivo e senziente.

Ripensò al violento mal di capo che l’aveva colto mentre la navetta risaliva da Arachna. Quella era stata l’epidemia che bussava alla porta della sua mente. Ezr Vinh e tutti i Qeng Ho del provvisorio avevano respinto quell’assalto… o forse il loro cervello era tuttora infetto, con la malattia in uno stadio di stasi. Ma Trixia Bonsol e quelli con un asterisco accanto al nome avevano avuto un trattamento speciale. Invece di curarli, gli Emergenti avevano lasciato che il virus agisse nel cervello delle sue vittime come un verme in un frutto. Se nel taxi ci fosse stata gravità Ezr avrebbe vomitato. — Ma perché?

La Reynolt lo ignorò. Aprì il portello e lo condusse in Hammerfest. Quando si decise a rispondergli nella sua voce c’era un filo di entusiasmo. — La focalizzazione nobilita. È la chiave del successo degli Emergenti, ed è molto più sottile di quel che lei può immaginare. Non abbiamo creato soltanto un virus psicoattivo, bensì un meccanismo la cui crescita all’interno del cervello può essere controllata con precisione millimetrica… e una volta installate, le conseguenze possono essere instradate verso il funzionamento con la stessa completezza.

La reazione di Ezr fu una perplessità così assoluta che perfino la Reynolt se ne accorse. — Non capisce? Noi possiamo potenziare la capacità di focalizzare l’attenzione della mente conscia. Possiamo prendere un essere umano e trasformarlo in una macchina analitica. — E proseguì dandogli dei particolari. Sul pianeta degli Emergenti la focalizzazione era un procedimento comune durante gli ultimi anni di studio delle materie tecniche, e aumentava la possibilità che dalla scuola superiore uscissero delle menti geniali. Per Trixia e gli altri il procedimento era stato di necessità più brusco. Per molti giorni la Reynolt e i suoi tecnici avevano indebolito il virus nei Qeng Ho contagiati, programmandone le catene genetiche allo scopo di ottenere una precisa chimica di pensiero, il tutto con l’uso di computer medici che garantivano letture precise di normali diagnosi cerebrali.

— E ora l’addestramento è completo. I sopravvissuti sono pronti a intraprendere i loro lavori di ricerca, in un modo che mai avrebbero sognato.

La Reynolt lo precedette in stanze dai mobili imbottiti, con moquette alle pareti. Seguirono corridoi che si fecero sempre più stretti finché giunsero in una rete di tunnel larghi appena un metro. Era un’architettura in Stile Capillare che Ezr aveva già visto nei libri di storia… fotografie dal cuore della tirannia urbana. E finalmente si fermarono davanti a una porta. Come le altre che avevano oltrepassato, recava soltanto un numero e una scritta. Questa diceva: f042 — LINGUISTICA ESPLORATIVA.

La Reynolt si voltò. — Un’ultima cosa. Il caponave Nau pensa che lei possa restare sconvolto da ciò che vedrà qui. Io so che gli estranei hanno un comportamento irrazionale la prima volta che incontrano il Focus. — Inarcò un sopracciglio, analizzando la razionalità di Ezr. — Così il caponave mi ha chiesto di precisarle una cosa: il Focus è di norma reversibile, almeno in senso generico. — E scrollò le spalle, come se gli avesse propinato un discorsetto su misura.

— Apra la porta — disse Ezr con voce rauca.


La stanzetta era esigua, illuminata debolmente da una dozzina di finestre attive. La luce formava un alone intorno alla testa della persona seduta con le spalle alla porta: capelli corti, forme snelle, una semplice tuta da lavoro.

— Trixia? — la chiamò lui, esitante. Entrò nel cubicolo per metterle una mano su una spalla. Lei non girò la testa. Ezr deglutì il suo terrore e le girò accanto per guardarla in faccia. — Trixia!

Per un istante lei sembrò guardarlo negli occhi. Poi si scostò dalla sua mano e cercò di vedere le finestre, dietro la spalla di lui. — Mi stai bloccando lo sguardo. Non vedo niente! — Il suo tono era molto nervoso, sull’orlo del panico.

Ezr si volse a mezzo per vedere cosa ci fosse di così importante sulle finestre. Le pareti intorno a Trixia erano coperte da diagrammi linguistici strutturali e generativi. Un’intera parete era dedicata a ipotesi di vocaboli. C’erano parole in nese, n-a-uno raffrontate con frammenti di nonsensi impronunziabili. Era un tipico ambiente da analisi del linguaggio, anche se con più finestre attive di quante una persona normale avrebbe potuto usare. Lo sguardo di Trixia volava da un punto all’altro, le sue dita sceglievano opzioni. Ogni tanto mormorava un ordine a voce. Sul volto di lei c’era un’espressione totalmente concentrata. Non era uno sguardo alieno, né di per sé orripilante; Ezr gliel’aveva già visto, nei momenti in cui un problema linguistico la affascinava.

Quando il giovanotto si fu scostato, uscì dalla sua mente. Trixia era più… focalizzata… di quanto l’avesse mai vista.

Ed Ezr Vinh cominciò a capire.

La guardò per un poco, vide gli schemi espandersi nelle finestre, le scelte originare modifiche, gli elenchi grafici cambiare. Infine le chiese, con voce priva di vita. — Allora, come vanno le cose, Trixia?

— Bene. — La risposta fu immediata, il tono esattamente quello più distratto della vecchia Trixia. — I libri della biblioteca dei Ragni sono meravigliosi. Ora ho una comprensione dei loro grafemi. Nessuno ha mai visto una cosa simile, fatto una cosa simile. I Ragni non vedono come noi. Il processo di percezione occhio-cervello è più complicato per loro. Se non fosse stato per i loro libri io non avrei mai immaginato il concetto di grafemi scissi. — La sua voce era distante, un po’ eccitata. Nel parlare non guardava lui, e continuava a toccare le opzioni. Con gli occhi più abituati a quella penombra Ezr notò piccoli particolari che lo spaventarono. La tuta da lavoro di lei era fresca, ma sul davanti c’erano macchie di sugo. I suoi capelli, benché tagliati corti, erano spettinati e untuosi. Una briciola di cibo — o un pezzetto di muco — era appiccicato al suo labbro superiore.

Non è neppure in grado di lavarsi? Ezr si volse alla porta. Il cubicolo non era neppure grande a sufficienza per tre persone, e la Reynolt era rimasta a fluttuare sulla soglia, con una mano sullo stipite. Li stava guardando entrambi con interesse professionale. — La dottoressa Bonsol ha ottenuto buoni risultati, migliori di quelli dei nostri linguisti, che pure sono focalizzati fin dalla scuola superiore. Grazie a lei avremo la conoscenza della loro lingua scritta ancor prima che i Ragni tornino alla vita.

Ezr toccò ancora una spalla di Trixia, e di nuovo lei si scostò. Non era un moto di ripugnanza o di paura, ma la reazione che si poteva avere verso un insetto molesto. — Ti ricordi di me, Trixia? — Non ci fu risposta, ma lui fu certo che ricordava… solo che non era un ricordo abbastanza importante da meritare un commento. Era una principessa stregata, e solo il malvagio stregone poteva svegliarla. Ma quella stregoneria non sarebbe avvenuta se lui avesse ascoltato i sospetti della principessa, e se fosse stato d’accordo coi Consiglieri che volevano l’attacco preventivo. — Mi dispiace molto, Trixia.

La Reynolt disse: — Per oggi può bastare così, direttore di flotta. — Gli accennò di uscire dalla stanzetta.

Ezr si fece indietro. Lo sguardo di Trixia non lasciò il lavoro. Era stata anche la sua capacità di concentrazione ad attrarlo. La ragazza era una trilandese, una dei pochi che s’erano uniti alla spedizione Qeng Ho senza portarsi dietro una piccola famiglia o essersi fatta degli amici intimi. Lei aveva sognato di apprendere tutto su dei veri alieni, di studiare cose che gli umani non avevano mai visto. Il suo sogno l’aveva indotta a sfidare le distanze e i tempi del viaggio interstellare. Ora aveva quello per cui s’era tanto sacrificata… e nient’altro.

Sulla porta Ezr si voltò a guardarle la testa, da dietro. — Sei felice? — le domandò con voce debole, senza aspettarsi davvero una risposta.

La ragazza non si voltò, ma il contatto delle sue dita sulle finestre s’interruppe. Se la faccia e il contatto di Ezr non le avevano fatto alcuna impressione, le parole di una domanda sciocca l’avevano colpita. Da qualche parte dentro di lei quelle parole, filtrate attraverso strati di Focus, furono analizzate rapidamente. — Sì, molto. — E il lavoro delle sue dita ricominciò.


Ezr rientrò nel provvisorio senza ricordare nulla del viaggio di ritorno. Non avrebbe saputo dire se l’aveva fatto insieme alla Reynolt o da solo. Riemerse da quella nebbia quando per poco non si scontrò con Benny Wen, in fondo al corridoio dei compartimenti stagni.

Benny voleva parlare con lui. — Siamo tornati qui più in fretta di quanto avrei creduto. Non immagini quanto siano veloci i piloti che Xin ha portato con sé. — Abbassò la voce. — Una di loro era Ai Sun. Te la ricordi, no? Lavorava sulla Mano Invisibile, una dei navigatori. Una della nostra gente. Ma… dentro è come morta, Ezr. Proprio come gli altri piloti, e i programmatori Emergenti. Xin ha detto che è stata focalizzata. Quando gli ho chiesto cosa significa, lui mi ha detto di domandarlo a te. Ezr, tu sai che mio padre è ad Hammerfest. Ora, cosa…

Questo fu tutto ciò che Ezr ricordò, prima di ripiombare in quella nebbia. Forse aveva gridato qualcosa a Benny, forse lo aveva spinto via. Lei stesso spiegherà il Focus alla sua gente, e lo faccia in modo che anch’essi sappiano adattarsi, affinché quel che resta delle nostre spedizioni possa sopravvivere.

Quando Ezr tornò alla ragione…

Stava fluttuando da solo nel parco centrale, senza sapere come c’era arrivato. Tutto intorno a lui le chiome fronzute degli alberi estendevano i rami fino a sfiorarlo, sopra e sotto e ai lati. C’era un vecchio detto: senza una fossa batterica gli umani non potevano avere un habitat; senza un parco gli umani non potevano avere un’anima. Anche sulle naviram in viaggio fra le stelle c’erano sempre i bonsai del comandante. Nei grandi provvisori e negli habitat più antichi intorno a Camberra e Namquem, il parco era lo spazio più vasto all’interno della costruzione, chilometri e chilometri di natura verde. Ma anche i parchi più piccoli erano progettati con la millenaria esperienza tecnica dei Qeng Ho. Questo dava l’impressione di una foresta sterminata, con creature grandi e piccole in attesa dietro ogni albero. Mantenere l’equilibrio ecologico fra le creature viventi del parco era uno dei più difficili impegni del provvisorio.

Fra la vegetazione stagnava una greve penombra, più oscura nella direzione definita il “basso”. In quella opposta c’era un’illusione di cielo azzurro, oltre le piante. Ezr fluttuò in cerca del terreno per essere a contatto di qualcosa di solido. Non fu un tragitto lungo; il parco era largo in realtà solo una dozzina di metri. Lui si ancorò all’erba presso un tronco d’albero e ascoltò i rumori della vegetazione nella sera. Un pipistrello saettò nel cielo, e da qualche parte un nido di farfalle tintinnava dolcemente. Il pipistrello era probabilmente una proiezione. Un parco così piccolo non poteva permettersi animali di quella taglia, ma le farfalle tintinnanti erano vere.

Per un poco i pensieri si allontanarono da lui, nella quiete…

… e quando tornarono erano un groviglio di spine. Jimmy era morto. E Tsufe, e Pham Patil. Nella loro follia s’erano portati dietro centinaia d’altri, compresi quelli che ora avrebbero saputo cosa fare. Eppure io sono ancora vivo.

Appena mezza giornata prima, sapere quel che era successo a Trixia lo avrebbe reso folle di rabbia. Ora quella rabbia si smorzava contro la sua vergogna. Lui aveva la sua parte di responsabilità per il massacro avvenuto sulla Tesoro Lontano. Se Jimmy avesse avuto un po’ più di “successo” anche Hammerfest avrebbe fatto la stessa fine. Era stato un maniaco, complice di altri pazzi scatenati, per arrivare a un atto maligno di quel genere? No, no, no! E tuttavia, come risultato finale, Jimmy aveva ucciso buona parte dei superstiti del primo attacco a tradimento. E ora io devo fare ammenda. Devo spiegare il Focus alla mia gente, in modo che lo accettino e che quanto resta dei nostri due gruppi possa sopravvivere.

Ezr cercò di non mettersi a piangere. Doveva convincere gli altri ad accettare ciò che sarebbe stato suo compito prevenire. In tutti i suoi diciannove anni di vita, coi suoi studi e le sue letture, non aveva mai immaginato un compito così amaro e difficile.

Fra le piante apparve una luce, alcuni rami si scostarono. Qualcuno era entrato nel parco e si stava dirigendo verso il suolo. La luce illuminò un momento il volto di Ezr, poi fu puntata altrove.

— Aha. Immaginavo che ti avrei trovato qui. — Era Pham Trinli. — Il vecchio si ancorò a un ramo con una mano e sedette sull’erba accanto a lui. — Non abbatterti, ragazzo. Il cuore di Diem era dalla parte dei giusti. Io l’ho aiutato come potevo, ma bisogna dire che era un impulsivo. Andava avanti a testa bassa come se non avesse dubbi su niente, ricordi? lo non avrei mai pensato che sarebbe stato così stupido, e ora un sacco di gente è stata uccisa. Be’, merda, queste cose accadono.

Ezr si girò verso la sua voce; la faccia dell’altro era una chiazza grigia nella penombra. Per un momento fu sul punto di lasciar esplodere la violenza. Sarebbe stato così dolce colpire quella faccia. Invece si appoggiò al tronco e respirò a fondo per calmarsi. — Sì, accadono. — E presto qualcosa potrebbe accadere anche a te. Senza dubbio Nau aveva sparso microspie nel parco.

— Sei coraggioso. Questo mi piace — disse il vecchio. Non riuscendo a vederlo bene Ezr non capì se stesse ridendo di lui o se quel fatuo complimento fosse sincero. Trinli si piegò verso di lui e abbassò la voce. — Non prendertela così. A volte bisogna ingoiare il rospo e tirare avanti. E io credo di potermi lavorare quel Nau. Il discorsetto che ha fatto… l’hai notato? Dopo tutti quei morti causati da Jimmy, Nau è stato accomodante. Giuro che quel discorso l’ha plagiato da qualcosa nella nostra storia.

E così anche all’inferno c’erano dei buffoni. Pham Trinli. questo vecchio rimbecillito, la cui idea di una cospirazione era venire a borbottargli sciocchezze nel parco centrale. Trinli non aveva la minima idea della situazione reale. Chissà a quali avvenimenti passati era rimasta ancorata la sua povera testa confusa…

Per un poco restarono seduti nella penombra sempre più fitta, mentre grazie al cielo Trinli teneva la bocca chiusa. La stupidità del vecchio era un sasso caduto nello stagno di disperazione di Ezr. Peggiorava ancora le cose. Fra quelle assurdità cercò qualcosa che stesse in piedi. Il discorso di Nau… accomodante? In un certo senso. Nau era la parte lesa, nella faccenda. Ma tutti loro erano parti lese. Ora la collaborazione era l’unica strada. Ezr ripensò alle parole di Nau. Uhm. Alcune frasi erano in effetti tolte di peso dal discorso di Pham Nuwen a Brisgo Gap. Brisgo Gap era un momento di luce nella storia Qeng Ho, quando i Mercanti avevano salvato una civiltà evoluta e miliardi di vite. Se una cosa tanto estesa come la storia moderna dei Qeng Ho poteva essere fatta risalire a un punto cardinale, questo era Brisgo Gap. Le analogie con la situazione attuale erano praticamente, zero… salvo che in entrambe i casi la gente aveva collaborato, accantonando quello che era stato un brutale tradimento.

Il discorso di Pham Nuwen era stato trasmesso nello Spazio Umano più volte negli ultimi duemila anni. Non c’era da stupirsi se Tomas Nau lo conosceva. E così aveva pescato una frase qua e una là… benché la “collaborazione” di Tomas Nau significasse accettare il Focus e quel che era successo a Trixia Bonsol. Ezr si accorse che la sua mente aveva colto quelle analogie e ne era rimasta influenzata. Ma vedere che il plagio effettivamente c’era cambiava le cose. Era una serie di pacche sulle spalle verbali, e terminava con la richiesta di accettare… il Focus.

Negli ultimi due giorni Ezr s’era tormentato con la vergogna e il senso di colpa. Ora si faceva domande. Jimmy Diem non era mai stato un suo amico. Jimmy aveva avuto qualche anno di più, e fin dal loro primo incontro era stato il suo capoequipaggio, uno che dava gli ordini. Un lavoratore dai modesti obiettivi di vita, capace di comandare una squadra ma nient’altro. Uhm. Non avevo mai pensato a lui in questo modo. D’altra parte questo faceva di Jimmy una persona semplice col quale lui avrebbe potuto diventare amico.

Ezr capì quanto Jimmy dovesse aver detestato giocare con Tomas Nau una partita la cui posta era così alta. Jimmy non aveva abbastanza talento per il gioco grosso, e alla fine aveva fatto male i suoi conti. Tutto ciò che lui aveva voluto era stato sposarsi con Tsufe Do e fare il suo lavoro. Non ha senso. D’un tratto Ezr si rese conto del buio intorno a lui, del tintinnio delle farfalle che dormivano sugli alberi. Cercò di ricordare esattamente quel che aveva sentito dall’impianto della sala. La voce era quella di Jimmy, senza dubbio. L’accento era quello del nese parlato dalla famiglia di Jimmy. Ma il tono, la scelta delle parole, quella fiducia e quell’arroganza quasi… gioiose. Jimmy Diem non avrebbe mai finto quell’entusiasmo. Non era mai stato un tipo entusiasta di qualcosa, del resto.

E questo lasciava una sola conclusione. Imitare la voce e l’accento di Jimmy non era facile, ma qualcuno lo aveva fatto. E allora quali altre menzogne c’erano? Jimmy non ha ucciso nessuno, Gli ufficiali e gli anziani Qeng Ho erano stati assassinati prima che Jimmy e Tsufe e Patil andassero sulla Tesoro Lontano. Tomas Nau aveva commesso delitti per coprire altri delitti e poter giustificare la sua posizione morale. Lei stesso spiegherà il Focus alla sua gente, e lo faccia in modo che anch’essi sappiano adattarsi, affinché quel che resta delle nostre spedizioni possa sopravvivere.

Ezr guardò la luce che svaniva dal cielo. Fra i rami palpitavano le stelle. Un falso firmamento proveniente da un’altra zona del cosmo. Sentì che Pham Trinli si muoveva. Il vecchio gli diede una pacca su una spalla e la sua forma scura si alzò dall’erba. — Bene, non ruminare più i tuoi guai. Ho pensato che un po’ di compagnia ti avrebbe tirato su. Ma non dimenticare che per sopravvivere devi chinare il capo e tirare avanti. Nau è basilarmente un molle; noi possiamo manovrarlo.

Ezr stava tremando. Si sentiva la gola stretta per la rabbia. Gli sfuggì un rantolo, ma strinse i pugni e cercò di non balbettare. — S-sì. Dobbiamo tirare avanti.

— Bravo ragazzo. — Trinli gli diede un’altra pacca sulla schiena e si allontanò, fluttuando via fra gli alberi. Ezr ripensò a come Ritser Brughel aveva parlato di Trinli dopo la Riaccensione. Il vecchio non era oggetto delle manipolazioni morali di Tomas Nau. Ma questo poco importava, visto che Trinli era un povero codardo a cui piaceva starsene in disparte. Per sopravvivere devi chinare il capo e tirare avanti.

Un solo Jimmy Diem valeva cento Pham Trinli.

Tomas Nau li aveva manovrali tutti, e abilmente. Aveva rubato la mente di Trixia e di centinaia d’altri. Aveva ucciso quelli che avrebbero potuto mettergli i bastoni fra le ruote. E aveva usato quelle uccisioni per trasformare gli altri in strumenti proni alla sua volontà.

Ezr guardò le false stelle e i rami che s’incurvavano nel cielo come artigli. Forse è possibile piegare un uomo al punto di spezzare perfino la sua capacità di essere uno strumento. Sentiva la sua mente andare in due direzioni opposte. Una parte guardava passivamente, meravigliandosi che una tale disintegrazione potesse accadere dentro Ezr Vinh. Un’altra parte si ritirava in se stessa, immergendosi nello stagno del suo dolore. Sum Dotran non sarebbe tornato più. S.J. Park neppure, e l’accenno alla possibilità di invertire il Focus di Trixia era di certo una bugia. Ma c’era un terzo frammento di lui, freddo e analitico e omicida.

Sia per i Qeng Ho che per gli Emergenti l’Esilio sarebbe durato decenni. Buona parte di quel tempo l’avrebbero trascorso fuori turno, in sonno freddo… ma avevano pur sempre molti anni d’attesa davanti a loro. E Tomas Nau aveva bisogno di tutti i sopravvissuti. Per il momento i Qeng Ho erano stati battuti, schiacciati e — così Nau doveva essere indotto a credere — ingannati. La parte fredda dentro di lui, la parte che poteva uccidere, guardava quel futuro con intenzioni truci. Lì non c’era il tipo di vita che Ezr Vinh aveva sognato. Lì non c’erano amici coi quali potersi liberamente confidare. Lì ci sarebbero stati solo degli sciocchi e dei nemici. Vide la lampada di Trinli uscire dal parco. Gli sciocchi come Trinli potevano tuttavia essere usati. Finché non ci fossero andati di mezzo dei Qeng Ho giovani e competenti, uno come Trinli poteva essere sacrificato in quella partita. Tomas Nau gli aveva offerto un posto di responsabilità, ma la sua ricompensa non sarebbe stata altro che la vendetta. (Con una possibilità, cercò di dirgli la parte originale di lui stesso: forse la possibilità che la Reynolt non avesse mentito e il Focus di Trixia fosse davvero reversibile.)

La parte fredda di lui gettò uno sguardo sugli anni di paziente lavoro che lo aspettavano… e poi, per il momento, si ritirò. Era probabile che ci fossero delle telecamere anche lì. Meglio non sembrare troppo calmo dopo ciò che era successo. Ezr si copri gli occhi con una mano e si arrese alla parte di lui che poteva piangere.

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