Solo le menti più letterali metterebbero in discussione il detto “nuovo sole, nuovo mondo”. È vero, il cuore del pianeta non viene certo mutato dal Nuovo Sole, e l’aspetto dei continenti resta per lo più identico. Ma le tempeste di vapore del primo anno spazzano via i detriti secchi di tutta la precedente vita di superficie. Giungle e praterie, deserti e paludi, tutto deve ricominciare daccapo. Di quanto la razza degli Aracnidi ha costruito possono sopravvivere soltanto gli edifici di pietra nelle valli più protette.
Le spore portatrici di vita si spargono in fretta, grazie alle tempeste che le strappano fuori dal suolo. Nel primo anno gli animali superiori possono cercare di mettere il naso fuori dalle profondità, possono cercare di avvantaggiarsi conquistando un loro territorio prima dei rivali, ma è un rischio mortale. La “nascita del nuovo mondo” è così traumatica che ogni metafora è sprecata.
… E tuttavia, dopo il quarto o quinto anno, cominciano a esserci pause nelle tempeste. Le valanghe e le trombe di vapore diventano rare, e le piante possono sopravvivere da un anno all’altro. Nella stagione invernale, quando il vento si placa e il temporale si allontana, ci sono momenti in cui uno può guardare la terra e pensare a questa fase del sole come a un esuberante mattino della vita,
L’Orgoglio dell’Alleanza era stata strutturata a nuovo, una grande strada più bella di prima. Victreia Smait spingeva la macchina sportiva a cento chilometri all’ora nei rettilinei, rallentando a trenta sulle curve fra le irregolarità dei monti. Aggrappato con tutte le mani e i piedi al suo trespolo posteriore Hrunkner Unnerbai si sentiva fermare il cuore alla vista dei precipizi che stavano sfiorando. Dopo l’uscita da ogni curva il suo sollievo durava poco, subito sostituito dalla certezza che alla prossima sarebbe volato fuori dall’auto.
— È sicura che non preferirebbe lasciar guidare a me, signora? — le domandò.
Victreia rise. — E io dovrei venire a sedermi dietro? No, grazie. So benissimo cosa si prova, su quel trespolo.
Sherkaner Underhill sporse la testa dal finestrino laterale. — Uh, non immaginavo che fosse così eccitante per i passeggeri.
— D’accordo, messaggio ricevuto. — Victreia rallentò, guidando più cautamente che se fosse stata sola. Le condizioni della strada erano ottime. I venti surriscaldati avevano pulito bene lo strato di cemento superficiale, ma il bel tempo non sarebbe durato molto. Sopra di loro il vento trascinava via nuvole nere e veloci, e il territorio più a sud era nascosto da una fitta cortina di pioggia. Il panorama era vasto e spettacolare come in tutto il percorso dell’Orgoglio dell’Alleanza. La boscaglia aveva soltanto due anni, e dai coni coperti di corteccia dura sporgevano rami brevi. La maggior parte di alberi-corno non raggiungeva il metro di altezza, anche se qua e là c’erano chiarifogli e cespugli di sporifere alti due o tre metri. Il verde si estendeva per chilometri, interrotto qua e là dal bruno di una slavina o dal bianco di una cascata. In quella fase del sole, la Foresta Occidentale era come il Giardino di Dio, e da ogni punto dell’Orgoglio i viaggiatori potevano spaziare con lo sguardo sul mare.
Unnerbai rilassò la sua presa sul trespolo. Voltandosi vide il furgone della scorta di Smait sbucare dall’ultima curva. Per la maggior parte del tragitto la scorta non aveva avuto difficoltà a tenere la loro andatura; i temporali e le bufere di vento avevano costretto Victreia Smait a procedere a bassa velocità. Ora stavano probabilmente maledicendo ogni bullone dell’auto che li precedeva, e Unnerbai non poteva biasimarli. Per loro sfortuna il loro comandante era l’unica persona a cui potessero presentare un reclamo, e il loro comandante era Victreia Smait. Victreia indossava l’uniforme di maggiore del Quartier Generale dell’Alleanza.
Non c’era niente di strano in questo, poiché il Servizio Informazioni faceva parte del Quartier Generale. Ma lei non era maggiore. Hrunkner Unnerbai era fuori servizio da quattro anni, però aveva ancora i suoi vecchi compagni di bevute… e dunque sapeva bene come la Grande Guerra era stata finalmente vinta: se Victreia Smait non era già il nuovo direttore del Servizio Informazioni dell’Alleanza, lui ne sarebbe stato molto sorpreso.
Ma le sorprese non gli erano mancate in quegli ultimi tempi. Due giorni prima Victreia Smait lo aveva contattato, per richiamarlo temporaneamente in servizio. E quel mattino, quando lei era entrata nel suo ufficio a Principalia, Unnerbai s’era aspettato di vedere con lei una scorta… ma non Sherkaner Underhill. Era stato bello rivederli di nuovo insieme. Hrunkner Unnerbai non aveva raggiunto alcuna notorietà per il ruolo avuto nell’operazione che aveva messo fine alla Grande Guerra; sarebbero occorsi almeno dieci anni prima che il resoconto della loro escursione nella Tenebra fosse reso pubblico. Ma il premio in denaro per la missione era stato equivalente a vent’anni di paga. Questo gli aveva dato l’occasione che attendeva di lasciare il servizio, per mettere a frutto le sue capacità e la sua esperienza di ingegnere.
Nei primi anni del Nuovo Sole c’erano vastissimi lavori edili da realizzare, e in condizioni climatiche pericolose come una guerra. In certi casi c’era effettivamente da combattere. Perfino nella società moderna quella fase del sole era un periodo in cui il crimine, dall’omicidio all’uso indebito di territorio altrui, era frequente. Hrunkner Unnerbai se l’era cavata bene, così forse la maggior sorpresa per lui era stata quando Victreia Smait lo aveva persuaso a tornare in servizio per un periodo di trenta giorni. — Il minimo che le occorrerà per decidere se sia il caso di arruolarsi per un periodo più lungo.
Ecco dunque che ora si trovava in viaggio per Comando Territoriale. Fino a quel momento una vacanza, una rimpatriata coi vecchi amici (a parte che a un sergente non succedeva spesso di essere prelevalo personalmente da un generale). Sherkaner Underhill era ancora il genio individualista di sempre, anche se il danno nervoso che aveva sofferto nella loro improvvisata profondità lo faceva sembrare più vecchio della sua età. Victreia Smait era più espansiva e simpatica che mai. Una ventina di chilometri fuori Principalia, passando fra file di case provvisorie alle pendici delle Montagne Occidentali, i due lo avevano messo a parte del loro segreto.
— Voi siete cosa? — aveva esclamato Unnerbai. Intorno a loro stava scrosciando una pioggia calda; forse non aveva capito bene.
— Mi hai sentito, Hrunkner. Il generale e io siamo moglie e marito. — Underhill stava sogghignando come un idiota.
Victreia Smait aveva alzato una mano puntuta. — Una cosa, però. Non chiamarmi generale.
Di solito Unnerbai era capace di mascherare le emozioni, ma Underhill s’era accorto di averlo lasciato sbalordito e il suo sogghigno s’era allargato. — Sicuramente sapevi che c’era qualcosa fra noi anche prima della Grande Tenebra, no?
— Be’… –
Sì, anche se era stato improbabile che ne venisse fuori qualcosa, quando la passeggiata nella Tenebra di Sherkaner si prospettava come una specie di suicidio. Lui s’era anzi sentito triste per quei due.
In effetti avevano formato una squadra formidabile. Sherkaner Underhill aveva più idee brillanti di chiunque il sergente avesse conosciuto, ma molte erano poco pratiche, se non altro perché irrealizzabili entro la durata della vita di una persona. D’altra parte Victreia Smait aveva intuito per quelle che avrebbero avuto un risultato nella pratica. Se lei non fosse stata nel suo ufficio quel pomeriggio di tanti anni prima lui, Unnerbai, avrebbe rimandato a calci il povero Underhill fino a Principalia… e il piano per vincere la guerra non sarebbe mai esistito. Dunque, se non fosse stato per il periodo da loro scelto, quella notizia non lo avrebbe sorpreso. E se Victreia Smait era il nuovo direttore del Servizio Informazioni dell’Alleanza, la patria non avrebbe potuto che guadagnarci. — Ma i figli? Non ora, naturalmente.
— Ecco, il generale è incinta. Io avrò due figli sulla mia schiena, fra meno di un anno.
Unnerbai s’era accorto di essere imbarazzato al punto di succhiarsi le mani nutritive. Le aveva abbassate, gorgogliando qualcosa di incomprensibile. Per qualche minuto avevano viaggiato in silenzio, con la pioggia calda che scrosciava sui finestrini. Come possono fare una cosa simile ai loro figli?
Alla fine il generale Smait aveva detto con calma: — Questo è un problema per lei, Hrunkner?
Unnerbai s’era portato di nuovo le mani nutritive alla bocca. Lui conosceva Victreia Smait da quando lei era giunta a Comando Territoriale, una tenente giovane e snella, troppo giovane, nata evidentemente fuori-fase. E tuttavia così ben istruita da essere ammessa alla scuola ufficiali. A quei tempo girava voce che Victreia fosse figlia di un ricco pervertito della Costa Orientale, la cui famiglia lo aveva diseredato e fingeva che lei non fosse neppure nata. Unnerbai ricordava le battute maliziose e i pettegolezzi che l’avevano seguita ovunque per il primo quarto di anno. In effetti, il primo sintomo che fosse destinata a qualcosa di grande era stato il coraggio e l’intelligenza con cui fronteggiava l’ostracismo dato a chi nasceva nel periodo socialmente sbagliato.
Infine Unnerbai aveva ritrovato la voce. — Uh, nessun problema, signora, glielo assicuro. Non volevo mancarle di rispetto. È solo che io sono stato educato a pensare in un certo modo. — Su come la gente per bene dovrebbe vivere. La gente per bene concepiva i figli negli anni del Sole Calante, e li partoriva con il Nuovo Sole.
Il generale Smait non aveva risposto, ma Underhill gli aveva dato una pacca sul guscio. — Non preoccuparti, sergente. Tu non hai visto la reazione dei miei cugini. Ma aspetta e vedrai; le cose cambieranno. Quando avremo tempo ti spiegherò perché le vecchie regole non hanno più senso. — E quella era la cosa più inquietante di Sherkaner Underhill; probabilmente lui era in grado di spiegare il loro comportamento… e di restare indifferente e distaccato dinanzi alla rabbia che avrebbe causato nel prossimo.
Ma quell’imbarazzante momento era passato. Se quei due riuscivano a sopportare la sua mentalità rigida e diretta, Unnerbai avrebbe fatto del suo meglio per ignorare i loro… capricci. Il cielo sapeva se durante la guerra lui non aveva sopportato cose peggiori. Inoltre Victreia Smait era il tipo che riusciva a crearsi una sua etica, e una volta creata era profonda e sincera più di quella di chiunque altro.
In quanto a Underhill… la sua attenzione era già altrove. Quel tremito nervoso lo faceva apparire anziano, ma la sua mente era limpida — o bizzarra — come sempre. Balzava da un’idea all’altra, mai riposando come sarebbe stato normale. La pioggia s’era fermata, e soffiava un vento caldo e secco. Mentre entravano nel territorio più irregolare, Unnerbai controllò l’orologio e cominciò a contare quante stranezze l’altro avrebbe snocciolato nei minuti successivi. (1) Indicando le prime piante corazzate della boscaglia, Underhill si chiese cosa sarebbe successo se anche la razza dei Ragni fosse rinata da spore dopo ogni Tenebra, invece di emergerne già adulta e coi figli. (2) Apparve uno squarcio fra le nuvole più avanti, fortunatamente parecchi chilometri fuori dal loro percorso. Per un poco sulla vettura scese una luce così intensa che dovettero chiudere le tendine da un lato. Più a monte della loro zona la luce diretta stava cuocendo i pendii delle montagne, e Sherkaner si domandò perché non si costruivano “fabbriche a caldo” sui monti, usando la differenza di temperatura per alimentare con l’elettricità i centri abitati della pianura. (3) Un essere vivente di colore verde attraversò la strada evitando per miracolo l’auto; Sherkaner prese anche questo come spunto per dire qualcosa sull’evoluzione e l’automobile. E Victreia commentò che l’evoluzione era un’arma a doppio taglio. (4) Underhill aveva però un’idea per dei mezzi di trasporto molto più sicuri delle auto e degli aerei. — Dieci minuti da Principalia a Comando Territoriale, venti minuti per attraversare il continente. Basta scavare dei tunnel in linea retta da un posto all’altro, svuotarli dell’aria, e lasciare che la gravità faccia il resto del lavoro. — Sull’orologio di Unnerbai c’era stata una pausa di cinque secondi, la prima. Poi: — Oops, qui c’è un piccolo problema. La soluzione tempo-minimo da Principalia a Comando Territoriale significherebbe scendere molto nel sottosuolo… almeno mille chilometri. Non potrei mai convincere il Comando a finanziarla.
— Su questo hai ragione — disse Victreia, e i due si lanciarono in una discussione sui percorsi ottimali nel sottosuolo e i loro vantaggi su quelli aerei. Venne fuori che l’idea dei tunnel era tutta da scartare.
Unnerbai smise di seguire le loro chiacchiere. Ma Underhill era molto curioso sul suo lavoro in campo edile, ed era un buon ascoltatore, e le sue domande gli diedero delle idee che non gli sarebbero mai venute. Un paio sembravano buone per fare denaro in fretta. Molto denaro. Mmh.
Victreia Smait osservò: — Ehi, a me fa comodo che questo sergente sia povero, perché abbia bisogno della paga militare. Non me lo mettere su una cattiva strada!
— Scusami, cara. — Ma Underhill non aveva un tono di scusa. — E passato del tempo, eh, Hrunkner? Avremmo dovuto vederci più spesso in questi ultimi anni. Ricordi la mia grande idea sul futuro?
— L’idea di colonizzare la Tenebra?
— Sì, proprio quella!
— Io ricordo solo che prima di cacciarci in quella profondità da bestie nel territorio Tiefer dicesti che questa è l’ultima Tenebra che la società attraverserà dormendo. In ospedale, dopo il risveglio, ne parlasti ancora. Tu dovresti scrivere romanzi di fantascienza, Sherkaner.
Underhill mosse una mano come se quello fosse un complimento immeritato. — In realtà se ne è già scritto in diversi romanzi, ma la nostra epoca potrebbe essere quella capace di realizzarlo.
Unnerbai scrollò le spalle. Lui aveva camminato nella Grande Tenebra; il pensiero lo faceva ancora rabbrividire. — Sono certo che ci saranno altre spedizioni nella Tenebra, più numerose e meglio equipaggiate della nostra. È un’idea eccitante, e scommetto che il general… scusi, il maggiore Smait, ha già fatto i suoi piani. Riesco perfino a immaginare che si combatteranno delle battaglie importanti nella Profonda Tenebra.
— Questa è una nuova epoca, Hrunkner. Guarda quello che la scienza sta realizzando intorno a noi.
Percorsero l’ultima curva di strada asciutta e si trovarono davanti un muro di solida pioggia, la tempesta che avevano visto venire dal nord. Victreia Smait non fu colta di sorpresa. Quando ne furono avvolti avevano i finestrini arrotolati su a metà e stavano andando a trenta chilometri all’ora. Tuttavia le condizioni di guida furono subito difficili; i finestrini si annebbiavano troppo in fretta per i ventilatori dell’auto, e la pioggia era così fitta che anche coi fari rossi, da temporale, vedevano a malapena il bordo della strada. L’acqua che schizzava dentro dalle fessure dei finestrini era calda come lo sputoseta di un aracnide giovane. Dietro di loro due coppie di luci rosse apparvero nel buio; il furgone della scorta si era avvicinato.
Unnerbai dovette fare uno sforzo per distogliere la sua attenzione dall’esterno e rispondere a Underhill. — So tutto sull’Era della Scienza, Sherkaner. Non dimenticare che mi occupo di costruzioni. Durante l’ultimo Sole Calante avevamo la radio, l’aereo, il telefono e il registratore. E dall’inizio della ricostruzione dopo il Nuovo Sole il progresso è continuato. Questa auto è molto più evoluta della Relmeitch che avevi prima della Tenebra, e quella era già una macchina costosa per il suo tempo. — Un giorno o l’altro lui si sarebbe informato su come aveva fatto ad averla Sherkaner, con la paga da studente. — Senza dubbio questa è l’epoca più eccitante in cui uno possa sperare di vivere. Presto qualche aereo infrangerà la barriera del suono. La Corona sta costruendo una rete di autostrade. Non è che dietro questo progetto ci sia lei, maggiore, no?
Victreia sorrise. — Non direi. Ai Quartier Generale ci sono altri che stanno pensando a questo. E un sistema di autostrade nazionali a pedaggio non avrebbe bisogno di fondi governativi per partire. Ma a questo modo la Corona lo tiene sotto controllo.
— Dunque stanno accadendo grandi cose. Da qui a trent’anni, per la prossima Tenebra, non sarei sorpreso se ci fosse un traffico aereo passeggeri, telefoni con un apparato visivo, forse anche ripetitori con motore a razzo che girano intorno al mondo come esso gira intorno al sole. Se riusciremo a evitare un’altra guerra, saprò trarre il meglio dalla mia vita. Ma la tua idea di un’intera società che resta attiva durante la Tenebra… scusami, caporale, ma non credo che tu abbia presente la vastità della faccenda. Per ottenerlo dovremmo addirittura creare un sole artificiale nel cielo. Hai un’idea dell’energia che ci vorrebbe? Io ricordo quanto carburante occorreva ai nostri scavatori durante la guerra. Ne usavamo più in quegli scavi che in tutte le altre operazioni belliche insieme.
Ha! Per una volta Sherkaner Underhill non aveva la risposta pronta. Poi Unnerbai capì che l’altro stava aspettando che a parlare fosse il generale. Dopo un momento Victreia Smait alzò una mano. — Dalle sue parole, sergente, mi sembra che lei abbia riflettuto su ciò che il nemico potrebbe usare contro di noi. È chiaro che lei ha presente il mio incarico attuale.
— Sì, e le faccio le mie congratulazioni, signora. Dopo Strut Grionval, lei è la migliore che poteva occupare quella scrivania.
— Mmh… grazie, Hrunkner. Ma il punto è che le chiacchiere oziose di Sherkaner ci hanno allontanato dal motivo per cui le ho chiesto di arruolarsi per trenta giorni. Quello che lei ora sentirà è etichettato Segreto Strategico.
— Sì, signora. — Unnerbai non s’era aspettato che il piano di quella missione gli fosse riferito in modo così informale. Intorno a loro la tempesta stava rumoreggiando furiosamente. Victreia Smait non poteva superare i trenta chilometri all’ora neppure sui rettilinei. Durante gli anni del Nuovo Sole ogni giornata serena era pericolosa, ma in quella tempesta c’era un buio tale e un vento così forte che sembrava di procedere in una turbinosa corrente sottomarina. L’interno della vettura era caldo come un bagno a vapore.
Victreia accennò a Sherkaner di continuare. Lui si appoggiò indietro sul trespolo e alzò la voce per farsi udire in quel frastuono. — In quanto a tener presente la vastità della faccenda, come dici tu, è proprio ciò che ho cercato di fare in questo caso. Dopo la guerra ho presentato la mia idea a un certo numero di colleghi di Victreia. Questo per poco non le è costato la promozione. Quei bravi ragni sapevano tenere presente la vastità delle faccende proprio come te. Ma ora le cose sono cambiate.
— O meglio — lo corresse Victreia, — le cose potrebbero cambiare. — Il vento li spinse verso l’orlo di un precipizio che Unnerbai non vide bene e avrebbe preferito non vedere per niente. Victreia sterzò con energia, riportando l’auto al centro della strada.
— Vedi — proseguì Sherkaner, imperturbabile, — esistono delle reali fonti d’energia che possono tenere in vita la società civile durante la Tenebra. Tu hai detto che dovremmo creare un altro sole. In senso metaforico avresti ragione, anche se nessuno sa come funziona un sole. Ma ci sono prove teoriche e pratiche del potere contenuto nell’atomo.
Qualche minuto prima Unnerbai avrebbe riso. Comunque non riuscì a celare il sarcasmo. — La radioattività? Vuoi tenerci al caldo con tonnellate di radium raffinato? — Forse l’unico vero segreto era che nell’Alto Comando della Corona si leggevano riviste di fantascienza.
Quell’incredulità scivolò sul guscio di Underhill come acqua fresca, come sempre. — Ci sono diverse possibilità. Se le esploreremo con un po’ di immaginazione, non dubito che le cifre saranno dalla mia parte prima del prossimo Sole Calante.
E il generale disse: — Voglio che lei capisca una cosa, sergente. Io ho dei dubbi. Ma è una faccenda su cui non possiamo permetterci di sorvolare. Anche se questo schema non funzionasse, consentirebbe la realizzazione di un’arma mille volte più mortale di quelle usate nella Grande Guerra.
— Più mortale dei gas venefici nelle profondità? — Unnerbai si accorse che l’attenzione di Victreia Smait era tutta su di lui.
— Sì, sergente. Più mortale. Nel caso peggiore, le nostre città più estese potrebbero esserne distrutte in poche ore.
Underhill si agitò sul suo trespolo. — Caso peggiore, caso peggiore! Questo è tutto ciò che voi militari sapete pensare. Ascoltami, Unnerbai, se lavoriamo su questo progetto nei prossimi trent’anni, probabilmente avremo fonti di energia in grado di mantenere città sepolte (non profondità, ma città sveglie e attive) durante tutta la Tenebra. Potremo ripulire le strade dai ghiacci, ed esse resteranno agibili fino al termine della Tenebra. I trasporti di superficie saranno facili come durante la Luce. O ancor più facili — aggiunse, accennando alla pioggia che tempestava sui finestrini della macchina sportiva.
— Già, e con l’aria stratificata al suolo suppongo che anche i trasporti via aria saranno più facili. — Ma il sarcasmo di Unnerbai sembrò debole anche a lui stesso. Sì, con una fonte d’energia forse potremmo riuscirci.
Il suo dubbio dovette apparire evidente a Sherkaner, che sorrise. — Riesci a immaginarlo anche tu, eh? Fra cinquant’anni guarderemo a questi tempi e ci chiederemo perché mai non fosse così ovvio. La Tenebra è in realtà un periodo più tranquillo di altri.
— Già. — Unnerbai rabbrividì. Qualcuno lo avrebbe definito un sacrilegio, ma … — Sì, sarebbe meraviglioso. Ma non mi hai convinto che può essere fatto.
— Se risulterà fattibile, sarà comunque molto difficile — disse Victreia Smait. — Abbiamo circa trent’anni prima della prossima Tenebra. Ci sono dei fisici convinti che l’energia atomica potrebbe funzionare… in teoria. Ma, Dio Profondo, conosciamo l’esistenza dell’atomo solo dal 58/10. Io ho convinto l’Alto Comando a considerare la cosa, e dati gli investimenti che occorreranno sarà un progetto di grosse dimensioni. Eppure vi confesso… e scusa se lo dico, Sherkaner, ma spero che quest’idea non funzioni affatto.
Buffo che lei sostenga un punto di vista così tradizionale.
Sherkaner: — Sarà come colonizzare un mondo nuovo.
— No! Sarà come ricolonizzare il nostro. Sherkaner, consideriamo il “caso migliore”, quello che secondo te noi militari coi paraocchi ignoriamo sempre. Diciamo che gli scienziati sviluppino la teoria. E diciamo che in dieci anni o entro il 60/10 al massimo la Corona cominci a costruire impianti atomici per le tue ipotetiche città-nella-Tenebra. Anche se il resto del mondo non avesse portato avanti ricerche atomiche, costruzioni sotterranee così estese non potranno essere tenute segrete. Così, anche se non ci fossero altri motivi di guerra, questo basterebbe per farne scoppiare una. E sarebbe molto peggiore della Grande Guerra, e più feroce.
— Ugh! — grugnì Unnerbai. — È così. I primi a colonizzare la Tenebra diventerebbero padroni del mondo.
— Già — annuì Victreia Smait. — Io non giurerei che la Corona rispetterebbe le proprietà altrui, in una situazione simile. Ma sono sicura che la gente si sveglierebbe in schiavitù, e in mezzo a montagne di cadaveri, se a colonizzare la Tenebra fosse qualche popolazione come i Kindred.
Era il genere di incubo che aveva spinto Unnerbai a lasciare l’esercito. — Spero che non le sembri sleale, ma ha pensato a seppellire l’idea dell’energia atomica e delle città nella Tenebra? — domandò a Victreia Smait. Accennò ironicamente a Underhill. — Magari il nostro genio potrebbe inventare qualcos’altro, no?
— Mi sembra che lei abbia perso la mentalità militare insieme all’uniforme, sergente. Comunque, sì, ho pensato a cosa succederebbe sopprimendo l’idea. Forse, dico forse, se il nostro Sherkaner tenesse la bocca chiusa, questo potrebbe bastare. Se nessuno cominciasse fin d’ora le ricerche, nessuno riuscirebbe a realizzare qualcosa di concreto prima della prossima Tenebra. E non escludo che si sia lontani ancora generazioni dal poter mettere la teoria in pratica… questo è ciò che dicono alcuni scienziati.
— Be’, ti rispondo io — disse Underhill. — Questa fonte d’energia sarà esplorata dalla scienza fin troppo presto. Anche se noi non intraprendiamo le ricerche, fra quindici o vent’anni altri capiranno che è un grosso affare economico. Solo che allora sarà troppo tardi per progettare impianti atomici o scavare città sotterranee. Sarà troppo tardi per conquistare la Tenebra… ma non per costruire armi atomiche. Tu parlavi del radium, Hrunkner. Pensa a cosa potrebbero fare grandi quantità di questo materiale usato come veleno mortale. E questo sarebbe solo l’uso più ovvio. In realtà, qualunque cosa si decida ora, la società civile sarà in pericolo. In ogni caso perciò, se ci diamo dentro subito e con impegno, potremo mirare a un obiettivo meraviglioso: la civiltà attraverso la Tenebra.
Victreia Smait annuì con aria infelice. Unnerbai aveva l’impressione che gli altri due si fossero ripetuti le stesse cose decine di altre volte. Victreia Smait si era lasciata vendere il piano di Underhill… e a sua volta l’aveva venduto all’Alto Comando. I prossimi trent’anni sarebbero stati più eccitanti di quanto Hrunkner Unnerbai avrebbe mai pensato.
Giunsero alla piccola parrocchia di montagna quel pomeriggio sul tardi. Nelle ultime tre ore di viaggio avevano coperto appena una trentina di chilometri, sotto la tempesta, ma il tempo s’era rimesso al bello un paio di chilometri prima del villaggio.
A cinque anni dal Nuovo Sole, Profondità Notturne era stato in buona parte ricostruito. Le fondamenta in pietra erano sopravvissute al calore abbagliante e alle inondazioni. Come dopo ogni Tenebra da molte generazioni, gli abitanti del posto avevano usato i tronchi conici corazzati appena ricresciuti nella foresta per costruire il pianterreno delle abitazioni, dei negozi e della scuola elementare. Forse per l’anno 60/10 avrebbero avuto legname adatto ad aggiungere un secondo piano alle case e magari — alla chiesa — anche un terzo. Per il momento tutto era basso e verde, e i brevi tronchi conici davano un aspetto scalare alle costruzioni,
Underhill insisté per non rifornirsi di kerosene alla stazione di servizio sulla strada principale. — Conosco un posto migliore — disse, e guidò Victreia Smait lungo una vecchia strada.
Avevano arrotolato giù i finestrini. Non pioveva più, e spirava un vento secco quasi fresco. Fra le nuvole si aprì un varco, e per qualche minuto videro il sole fare capolino, ma la luce non era più rovente come qualche tempo addietro; il sole si stava calmando. Le nubi tumultuose erano rosse e arancione e color alfa, con sfumature ultra violetto e ultra indaco. La luce violenta sembrava incendiare il territorio. Dio, il surrealista.
Alla fine della strada ghiaiosa c’era un granaio lungo e basso, un recinto, e una singola pompa per il kerosene. — Sarebbe questo il “posto migliore”, Sherkaner? — grugnì Unnerbai.
— Be’, il più interessante, comunque. — L’altro aprì la portiera e scese dal trespolo. — Vediamo se questo artropode si ricorda di me. — Girò intorno all’auto un paio di volte per sgranchirsi. Dopo quella giornata di viaggio il suo tremito era più pronunciato del solito.
Anche Victreia Smait e Unnerbai scesero, e dopo qualche momento il gestore, un tipo robusto con un grosso paniere di utensili, uscì dal granaio. Lo seguivano un paio di piccoli.
— Vuole il pieno, vecchio ragno? — disse l’individuo.
Underhill gli sorrise, incurante di precisargli la sua età. — Questo è sicuro, amico. — Lo seguì alla pompa. Il cielo nello squarcio fra le nubi si stava arrossando. — Si ricorda di me? Passavo spesso di qui prima della Tenebra, su una grossa Relmeitch rossa. Lei faceva il fabbro, a quel tempo.
L’altro si voltò a guardarlo da capo a piedi. — La Relmeitch, quella me la ricordo. — I due piccoli di cinque anni danzavano dietro di lui, guardando incuriositi i nuovi venuti.
— Strano come le cose cambiano, eh?
Il gestore non sapeva a cosa Underhill si riferisse, ma dopo qualche momento i due stavano parlando come vecchi amici. L’individuo disse che stava mettendo su un’officina per le automobili, che secondo lui erano il futuro. Sherkaner gli fece i suoi complimenti e commentò che era un peccato che ci fosse un’altra stazione di servizio sulla strada principale. Disse che secondo lui là non erano altrettanto bravi con le riparazioni, e che gli conveniva piazzare dei cartelli pubblicitari per attirare gli automobilisti di passaggio. Il furgone della scorta arrivò sullo spiazzo, ma il gestore era così occupato in chiacchiere che se ne accorse appena. Era singolare come Underhill trovava sempre qualcosa di cui parlare con chiunque.
Nel frattempo Victreia Smait era andata a parlare col capitano che si occupava della sua sicurezza. Tornò indietro mentre Underhill stava pagando per il kerosene. — Dannazione. Comando Territoriale dice che per mezzanotte si attende una tempesta peggiore dell’altra. È la prima volta che esco in macchina, e si scatena l’inferno. — Si mostrava irritata, il che significava che era irritata con se stessa. Risalirono in auto e lei azionò il motorino d’avviamento, due volte, tre volte. Il motore si accese. — Per stanotte dormiremo all’aperto. — Per un momento tacque, indecisa, o forse stava studiando il cielo a meridione. — Conosco un terreno della Corona, a ovest di questa parrocchia.
Victreia Smait seguì delle stradicciole sconnesse, poi delle piste fangose. Unnerbai avrebbe pensato che s’era persa, se non fosse stato che non esitava mai agli incroci. Dietro di loro il veicolo della scorta era poco appariscente quanto una parata di osprech. L’ultimo sentiero li portò sopra un’altura da cui si vedeva il mare. Un giorno lì sarebbe cresciuta una boscaglia lussureggiante, ma ora neppure quei milioni di alberelli corazzati potevano nascondere la roccia nuda delle scarpate.
Alla fine della pista Victreia Smait frenò e sì volse verso di loro. — Scusate, io… devo aver sbagliato strada. — Si sporse dal finestrino e accennò di fermarsi al furgone che li seguiva.
Unnerbai guardò il cielo e la distesa dei mare. A volte sbagliare strada non era la peggiore delle cose. — Non si preoccupi. Dio, che panorama si vede da quassù. — Gli squarci fra le nubi erano come profondi canyon, e da essi scendeva la luce rossa del tramonto. Sulle foglie bagnate intorno a loro scintillavano miliardi di rubini. Unnerbai scese dall’auto e s’incamminò verso l’estremità del promontorio. Il tappeto della foresta scricchiolava sotto i suoi piedi. Dopo un momento anche Sherkaner scese e lo seguì.
La brezza che spirava dal mare era molto umida; non c’era bisogno di interrogare il Dipartimento Meteorologico per sapere che stava arrivando una tempesta. Quella zona distava cinque chilometri dai frangenti che squassavano le coste, praticamente la distanza di sicurezza minima in quegli anni. Fin da lì si sentiva il frastuono con cui il mare sgretolava le rocce. Gli iceberg erano dozzine, e si stavano spezzando sui bassi fondali, ma al largo ce n’erano molte centinaia, fino all’orizzonte.
Era l’eterna battaglia: i fuochi del Nuovo Sole contro i ghiacci della buona terra. Nessuno dei due avrebbe vinto. Sarebbero occorsi vent’anni prima che l’ultimo blocco di quel mare che era stato ghiaccio si fosse sciolto. Per allora il sole sarebbe stato già Calante. Perfino Sherkaner sembrava intimidito da quello scenario.
Victreia Smait aveva lasciato la macchina, ma invece di accodarsi a loro tornava indietro, lungo la dorsale del promontorio. Povero generale Smait. Non sa decidere se questo è un viaggio di piacere o di lavoro. A Unnerbai non dispiaceva affatto non essere riusciti a raggiungere Comando Territoriale in una sola tappa.
Lui e Underhill tornarono indietro verso i veicoli. Su un lato del promontorio c’era una piccola valle, e quindi un’altra collina; sopra di essa si scorgeva un piccolo edificio, forse una locanda. Victreia Smait era andata a fermarsi dove la scarpata non era cosi scoscesa, e sembrava transitabile. Un tempo doveva esserci stata una carrareccia che scendeva in fondo alla valle e risaliva sul versante dell’altra collina.
Sherkaner si fermò accanto a sua moglie e le mise le sue braccia sinistre sulle spalle; dopo un momento lei poggiò un paio di braccia sopra le sue, senza dir parola. Unnerbai andò fin sull’orlo della discesa e guardò in basso. Sì, c’era il tracciato di una vecchia strada che scendeva da lì. Ma le tempeste e le inondazioni del Nuovo Sole avevano spazzato via tutto, e la piccola valle appariva spoglia come appena uscita dalle melme della preistoria. — Uh-hu, non c’è modo di scendere da qui, signora. Questa strada è stata ripulita perfino dal terreno, e non restano che rocce.
Victreia Smait annuì pensosamente. — Sì, ripulita è proprio la parola adatta…
— Però — disse Sherkaner, — potremmo scendere a piedi e salire fin lassù. — Indicò l’edificio sulla dorsale oltre la valle. — Potremmo vedere se la signora Encl…
Victreia lo abbracciò brevemente, con forza. — No. Quella casa non può ospitare che tre di noi, del resto. Faremo il campo con quelli della mia squadra.
Sherkaner ridacchiò, annuendo. — Per me va bene. Sono curioso di vedere l’ultimo modello di tende isolanti per le forze armate. — Seguirono Victreia Smait sulla strada. Quando giunsero ai veicoli Sherkaner era di nuovo in gran forma, e delineava il progetto di una tenda speciale capace di sopravvivere anche alle prime tempeste del Nuovo Sole.
In piedi davanti alla finestra della sua camera da letto, Tomas Nau guardava lo spazio. In realtà la stanza era cinquanta metri sotto la superficie di Diamante Uno, ma il panorama fornito dalla finestra era ripreso da una delle torri più alte di Hammerfest. Dal tempo della Riaccensione i suoi appartamenti s’erano molto ampliati. Le lastre di diamante tagliate dall’asteroide fornivano ottime pareti interne, e i focalizzati erano sempre lieti di levigare e scolpire quel materiale fornendogli così una dimora molto più lussuosa di quella che aveva avuto in patria.
Il terreno intorno ad Hammerfest era stato spianato, e non distante da lì c’era l’enorme massa di materie prime scavata da Diamante Due. Nau cercava di mantenere quella collinetta fra l’habitat e il sole in modo che soltanto le torri fossero esposte alla luce. Da un anno quella cautela non era più necessaria, ma lì attorno c’era ancora tutto il loro gas congelato ed era bene che restasse allo stato solido. Arachna incombeva in mezzo al firmamento, un disco bianco e azzurro largo mezzo grado. La sua luce illuminava morbidamente i dintorni del castello. C’era una notevole differenza con i primi Msec di permanenza li, il tempo della Riaccensione. Nau aveva lavorato cinque anni per ottenere quell’ambiente pacifico.
Cinque anni. E quanti altri anni sarebbero rimasti inchiodati lì? Da trenta a quaranta, era la stima più ottimistica degli specialisti; tanto sarebbe occorso ai Ragni per sviluppare un’economia industriale. Strano come s’erano evolute le cose. Quello era a tutti gli effetti un Esilio, ma diverso da come lui aveva pianificato le cose su Balacrea. La missione originale doveva essere un altro tipo di rischio calcolato; un paio di secoli lontano dalla politica sgradevole del regime, un’opportunità di sviluppare le sue risorse lontano da pericolosi intrallazzatori… e in più la dorata opportunità di attingere ai segreti di una razza non umana capace di viaggiare fra le stelle. Nau non aveva previsto che i Qeng Ho arrivassero lì per primi.
La conoscenza tecnologica dei Qeng Ho era stata importante per la rinascita della società Emergente di Balacrea. Tomas Nau aveva studiato a lungo i Qeng Ho, ma prima di incontrarli personalmente non s’era resoconto di quanto fossero diversi. Erano ingenui, non organizzati per sfruttare al meglio certi vantaggi. Infettarli col virus mentale era stato facile, e così anche riunirli in modo che ogni loro nave fosse esposta alla sorpresa dell’attacco. La loro ammiraglia era stata distrutta nei primi cento secondi dell’azione. Ma i Mercanti avevano combattuto in modo sorprendente e ottenuto risultati imprevisti, certo grazie ad automatismi preparati in anticipo per colmare le lacune personali degli individui. Quando finalmente il virus mentale li aveva messi a terra, entrambe le parti avevano subito danni gravissimi. E dopo la battaglia c’era stato quello che Nau vedeva come il suo secondo errore. Il virus mentale poteva uccidere i Mercanti, ma pochi di loro erano adatti a essere focalizzati. L’interrogatorio dei prigionieri, che avrebbero dovuto essere indeboliti mentalmente dal virus, era stato inutile. Alla fine, tuttavia, lui aveva trovato l’espediente giusto per trasformare quella vittoria di Pirro in un mezzo per unificare i superstiti.
Svuotando le astronavi danneggiate era stato possibile ammobiliare con lusso Hammerfest, e creare la bella ed efficiente clinica del Focus. L’alta tecnologia recuperata dai relitti era bastata. Il resto sarebbe venuto dalle materie prime trovate in loco e dalla futura società industriale dei Ragni.
Trenta o quarant’anni. Potevano farcela. I contenitori per il sonno freddo erano più che sufficienti. La cosa importante adesso era studiare i Ragni, la loro lingua, la storia e la cultura. Per migliorare l’efficienza il lavoro era stato suddiviso in turni di sonno e di veglia, alternando qualche Msec in servizio e un paio d’anni di sonno freddo. Alcuni, come gli scienziati e i traduttori, avrebbero trascorso più tempo svegli. Altri, i piloti e le squadre tattiche, praticamente inutili nei primi anni della missione, sarebbero tornati in attività solo verso la fine. Nau aveva spiegato quel programma alla sua gente e ai Qeng Ho. E ciò che aveva promesso era sostanzialmente vero. I Qeng Ho avevano una grossa esperienza nelle operazioni spaziali e nei contatto con altre culture. Con un po’ di fortuna, l’individuo medio sarebbe uscito dall’Esilio con una perdita di dieci o dodici anni di tempo soggettivo. Lui ne avrebbe approfittato per esplorare la biblioteca dei Qeng Ho; intendeva sfruttare al massimo la loro conoscenza dello Spazio Umano.
Nau poggiò una mano contro la superficie della finestra; era calda come la tappezzeria delle pareti, e anche guardando di traverso non c’erano distorsioni ottiche. Sorrise fra sé. Governare i Mercanti adattatisi all’Esilio s’era rivelata alla fine la cosa più facile. Loro avevano familiarità con il tipo di programma di lavoro che lui aveva proposto. Ma in quanto al suo lavoro… Nau ebbe una smorfia di autocompatimento. Qualcuno doveva restare sveglio fino alla fine. C’era una persona della quale lui poteva fidarsi, e il suo nome era Tomas Nau. Lasciato a se stesso Ritser Brughel avrebbe eliminato senza problemi tutti quelli che gli sembravano inutili o stavano fra lui e le sue ambizioni… primo fra tutti il suo comandante. Di Anne Reynolt ci si poteva fidare durante gli anni senza problemi, ma se fosse capitato qualcosa di imprevisto… no, chi deteneva il comando non poteva voltare le spalle a nessuno. I Qeng Ho sembravano ormai sottomessi, e dopo averli interrogati Nau era sicuro che non c’erano altre velleità; ma se ci fosse stata una rivolta, Anne Reynolt non era la persona adatta per fronteggiarla.
Così lui sarebbe diventato un centenario prima di vedere il successo della missione. Per gli standard balacreani era la mezza età, e Nau fece un sospiro. Pazienza, La medicina Qeng Ho lo avrebbe assistito. E poi…
La stanza fu scossa da un tremito. La vibrazione raggiunse Nau attraverso la mano poggiata alla parete. Era il terzo terremoto dell’asteroide, negli ultimi 40 Ksec.
Dall’altra parte della stanza la ragazza Qeng Ho si mosse, nel loro letto. — Cosa… uh… — Qeng Ho Pen Lisolet emerse dal sonno, e il movimento la fece fluttuare via dal materasso. Negli ultimi tre giorni aveva lavorato molto, cercando di trovare una configurazione stabile per la collina di materiale sfuso. Si guardò attorno, nuda, sfregandosi gli occhi. Probabilmente non capiva cos’era stato a svegliarla. Poi si accorse che lui era davanti alla finestra e sul volto le apparve un sorriso impietosito. — Oh, Tomas, stai ancora sveglio la notte a preoccuparti per noi?
Gli tese le braccia, avida di confortarlo. Nau annuì, con un sorriso timido. Diavolo, quel che lei diceva era abbastanza vero. Fluttuò attraverso la stanza e si fermò poggiando una mano sulla parete dietro il letto. Lei lo circondò con le braccia e lo attirò lentamente verso il materasso. Nau le accarezzò i fianchi e senti che il suo umore migliorava.
Molte cose erano andate storte in quella missione, ma Qiwi Pen Lisolet era da annoverarsi fra i suoi successi. Aveva solo 14 anni standard — precoce anche se ingenua — quando Nau aveva sottomesso la flotta Qeng Ho, e il virus mentale l’aveva infettata nel modo migliore. Avrebbe potuto essere focalizzata. Per un poco lui aveva consideralo l’idea di trasformarla in un giocattolo sessuale. Grazie all’Epidemia non l’ho fatto.
Per un paio d’anni dopo quegli eventi la ragazza era stata molto depressa. La morte di sua madre “per colpa” di Diem l’aveva buttata giù. Nau ne aveva approfittato per confortarla e farne la sua amante. Dapprima l’idea era di usare la ragazza per rendersi più credibile agli occhi dei Qeng Ho, ma col passare del tempo lui s’era accorto che Qiwi era più utile di quel che avrebbe supposto. Qiwi era giovane e attraente, ben istruita, con un disperato bisogno di qualcuno a cui dedicare la sua fedeltà. Lui avrebbe potuto tenerla sveglia e al suo fianco un turno dopo l’altro, senza sonno freddo, proprio come lei stessa aveva fatto durante il viaggio con la flotta Qeng Ho. Sarebbe stata una buona compagna… e un continuo test per i suoi piani. Qiwi era intelligente, e aveva una personalità per molti versi indipendente. Inoltre a lui piaceva pensare che, sebbene la verità sulla morte di sua madre fosse ben sepolta, un imprevisto avrebbe potuto rivelargliela. Fare uso di Qiwi gli dava dunque anche il brivido del pericolo, cosa che gli insaporiva la giornata, benché lui avesse ridotto quel pericolo prendendo alcune precauzioni.
— Tomas… — Lei alzò il viso verso il suo. — Credi che riuscirò mai a stabilizzare quella montagna di detriti?
Era proprio il genere di cose che poteva preoccuparla. Ritser Brughel (o anche lui quand’era più giovane) non avrebbe capito che grugnire di piantarla di rompergli l’anima non era la risposta più efficace. — Sicuro. Troverai il modo. Penseremo a qualcosa. Prenditi qualche giorno di vacanza, d’accordo? Il vecchio Trinli non è in sonno freddo in questo turno. Lasciamo che sia lui a tenere in equilibrio quella roba per un po’.
La risata di Qiwi la fece sembrare ancora più giovane. — Oh, me lo immagino, proprio Pham Trinli! — Era l’unico della cospirazione di Diem per cui provasse più disprezzo che rabbia. — Ricordi l’ultima volta che ha messo mano a quel materiale? Si vantava di essere un grande esperto, ma prima che se ne accorgesse tutto quanto si stava allontanando a tre metri al secondo da L1. Poi si è spaventato al punto che… — Scoppiò ancora a ridere. Le cose più strane facevano ridere questa ragazza dei Mercanti. Era uno dei particolari della sua personalità che lo lasciavano perplesso.
Qiwi tacque per un poco, poi ciò che disse sorprese il caponave. — Sì, forse hai ragione… se è solo per tre o quattro giorni, neppure Trinli potrà fare molti danni. Ho bisogno di riflettere. Forse finiremo per usare l’acqua e solidificare tutto il materiale in un blocco di ghiaccio, inoltre, mio padre è sveglio in questo turno. Dovrei stare con lui un po’ più spesso. — Lo guardò con aria interrogativa, aspettando il suo permesso.
Mmh. A volte la manipolazione non andava come uno si aspettava. Ecco che adesso le veniva il capriccio di lasciare il lavoro per tre o quattro giorni, dannazione. Potrei proibirglielo. O avrebbe potuto assentire con tale riluttanza da farla sentire in colpa. No, non ne valeva la pena, non stavolta. Ma se non glielo proibisco, è meglio mostrarmi molto generoso nel darle il permesso. La abbracciò con energia. — Ma sicuro! Sai, a volte ti guardo e penso: questa ragazza lavora troppo, deve imparare a rilassarsi un po’.
Lei fece un sospiro e assunse un’espressione timida. — Oh, quando voglio so rilassarmi. Ma c’è tanto da fare. — Qiwi Lisolet era ancora una ragazza ingenua, ma stava imparando. E Tomas Nau aveva anni per addestrarla. Sua madre Kira non s’era mostrata adatta alla manipolazione né al Focus, ma questo perché lei era stata una donna adulta. Tomas Nau sorrise al ricordo. La figlia lo avrebbe servito assai meglio, e molto più fedelmente.
Ali Lin non aveva mai avuto a che fare con la famiglia Lisolet e col tipico lavoro di chi ne faceva parte, prima di sposarsi con Kira Pen. Ali Lin era un uomo di genio nella sua professione rara ed esclusiva: sapeva tutto dei parchi e delle creature viventi che li abitavano. Ed era il padre di Qiwi. Kira lo aveva amato molto, pur sapendo che non sarebbe mai diventato l’uomo che lei avrebbe voluto sposare, e per sua figlia Qiwi era un po’ la stessa cosa.
Ali era importante per gli Emergenti, forse più di ogni altro focalizzato. Era uno dei pochi che disponevano di un laboratorio ai piani superiori di Hammerfest. Ed era uno dei pochi che non avevano continuamente attorno Anne Reynolt o uno degli altri funzionari a ficcare il naso.
Quel pomeriggio Ali Lin e sua figlia Qiwi sedevano sui rami di un albero del parco Qeng Ho, occupati in un lento gioco di pazienza con gli insetti. La ragazza si trovava lì da 10 Ksec, e suo padre da ancora prima. L’uomo l’aveva messa a esaminare il DNA di un nuovo tipo di ragni della spazzatura da lui allevato. S’era sempre fidato di lei per lavori delicati di quel genere, e controllava i suoi risultati solo ogni due o tre Ksec. Per il resto del tempo l’uomo si perdeva nell’analisi delle foglie, sognando a occhi aperti il modo di condurre i progetti che la Reynolt gli aveva richiesto.
Qiwi abbassò lo sguardo oltre i suoi piedi, verso il pavimento del parco. Le fronde erano lussureggianti, cosicché i due erano quasi invisibili dal pavimento. Anche in assenza di gravità il “cielo” azzurro e il naturale orientamento dei rami davano ai sensi umani l’impressione dell’alto e del basso. Le più grosse creature del parco erano le farfalle e le api. Qiwi poteva sentire il ronzio di queste ultime e ogni tanto ne vedeva sfrecciare una. Le farfalle erano dappertutto, una varietà a micro-G orientata sulla falsa luce solare per dare ai visitatori un altro riferimento per l’alto e il basso. Quel pomeriggio il parco era chiuso per manutenzione e non c’erano altri esseri umani. Questa era una seccatura per la gente, ma Nau non aveva chiesto di accelerare il lavoro. In effetti il parco era diventato fin troppo popolare; gli Emergenti lo amavano quanto i Qeng Ho. Il luogo era così frequentato che Qiwi riusciva a vedere i sintomi di malfunzionamento del sistema; i piccoli ragni della spazzatura non ce la facevano a espletare la loro funzione.
La ragazza guardò l’espressione astratta di suo padre e sorrise. Questo la riportava al passato. Entrambi i suoi genitori avevano trascorso anni fuori dal sonno freddo durante il viaggio, eseguendo lavori di manutenzione a cui partecipava anche lei. Adesso sua madre era morta e suo padre focalizzato, e nella mente di lui c’era posto soltanto per il mantenimento biologico degli ecosistemi. Ma entro i limiti del Focus era ancora possibile comunicare con lui. Negli anni successivi alla Riaccensione avevano trascorso alcuni Msec insieme. Qiwi continuava a imparare da lui. E talvolta, quando si occupavano della stabilità delle specie, era come al tempo della sua infanzia, quando il padre era così preso dalla sua passione per le creature viventi da scordare che lei era una persona.
Qiwi registrò un’altra lettura dell’analizzatore e liberò l’insetto esaminato, ma continuò a scrutare suo padre. Sapeva che entro pochi minuti lui avrebbe concluso il suo progetto dei ragni per la spazzatura, e l’esperienza di quei cinque anni le diceva che subito dopo per un breve intervallo Ali Lin sarebbe stato avvicinabile, mentre il suo Focus era ancora alla ricerca di un nuovo obiettivo di lavoro. La ragazza sorrise fra sé. E io ho il mio progetto. Era simile alle cose che Tomas e la Reynolt volevano da suo padre, così attrarre la sua attenzione sarebbe stato possibile, agendo con sottigliezza.
Ci siamo. Ali Lin sospirò soddisfatto e sollevò lo sguardo sulle fronde intorno a loro. Qiwi aveva forse cinquanta secondi. Scivolò sul ramo accanto a lui, uncinandosi con un piede; tirò fuori dalla borsa la bolla per bonsai che aveva trafugato e la mostrò all’uomo. — Ricordi l’idea di cui parlavamo, papà? Il progetto di parchi molto piccoli, parchi minuscoli?
Suo padre non ignorò quelle parole. Si volse verso di lei con la stessa prontezza di una persona normale, e lo sguardo gli cadde subito sulla sfera di plastica trasparente. — Sì! A parte la luce, un’ecologia completamente chiusa.
Le bolle per bonsai erano abbastanza usate negli ambienti esigui delle naviram. Ce n’erano di più e di meno sofisticate, da quelle larghe un paio di palmi ad altre più grosse e complesse del parco del provvisorio. — Questa è un po’ più piccola di quanto avevamo detto. Non sono certa che la soluzione potrebbe funzionare, qui.
I richiami all’orgoglio professionale avevano effetto su Ali, più spesso di quelli all’amore paterno. Qiwi vide che l’aveva preso nel momento giusto. L’uomo guardò la bolla e ne calcolò le dimensioni. — No, no, posso riuscirci. Gli ultimi espedienti che ho studiato sono molto efficaci. Ti piacerebbe un minuscolo lago… magari con dei lipidi studiati per mantenerlo fisso anche a zero-G?
Qiwi annuì.
— E questi ragni della spazzatura. Potrei ottenerne una varietà più piccola, e fornita di ali colorate.
— Sì. — La Reynolt lo avrebbe lasciato lavorare a suo piacere sugli insetti eliminatori di rifiuti. Erano importanti anche fuori dal parco centrale. Cinque anni prima erano stati distrutti molti impianti, e il lavoro di Ali poteva fornire sistemi di supporto-vita indipendenti e su piccola scala entro ogni struttura superstite. Nel suo lavoro era un genio, e il Focus gli avrebbe consentito di avere un risultato entro pochi Msec.
Ali Lin aveva soltanto bisogno di essere spinto nella giusta direzione, e infatti stava sorridendo da un orecchio all’altro. — Scommetto che saprei fare meglio dei Tesori Verdi di Namquem. Le ragnatele-filtro possono essere distese da una parete all’altra. I cespugli potranno essere di tipo standard, con delle semplici modifiche per adattarsi alle dimensioni inferiori degli insetti…
— Sì, ottima idea — annui Qiwi. E finalmente ebbero una vera conversazione della durata di qualche centinaio di secondi, prima che suo padre ricadesse nella concentrazione assoluta necessaria perché quelle “semplici modifiche” funzionassero davvero.
La parte più difficile era a livello dei batteri e dei mitocondri, dove Qiwi non era una completa ignorante. La ragazza sorrise a suo padre, e fu tentata di mettergli una mano su una spalla. Mamma sarebbe stata orgogliosa di loro. Qiwi guardò la sfera di plastica e cercò di immaginarla piena della creazione di suo padre. In molti pianeti civili i bonsai chiamati Tesori Verdi di Namquem raggiungevano prezzi favolosi. Lì forse sarebbero stati una cosa frivola, che Tomas probabilmente non avrebbe capito né giustificato. Tomas aveva messo fuorilegge il possesso privato di beni necessari alla comunità. Mmh, forse dovrò lavorare sodo per un po’. Dopo, Sarebbe stato più facile avere dei permessi speciali.
La ragazza stava cominciando l’analisi di un altro DNA quando da oltre le fronde degli alberi provenne un rumore. Dapprima non lo riconobbe. Il portello d’accesso, sul pavimento. Era stato usato solo durante la costruzione del parco. Aprirlo ora significava distruggere lo strato d’erba muschiosa. Dannazione.
Qiwi fluttuò via dal ramo e si spinse in silenzio verso il basso, attenta a non spezzare rametti e a non gettare la sua ombra sulla pavimentazione. Entrare mentre il parco era ufficialmente chiuso non era difficile, ed era il genere di infrazione che chiunque avrebbe potuto fare pur di starsene un po’ solo, ma quel portello non doveva essere aperto; così si danneggiava l’erba. Che razza di maleducato poteva fare una cosa simile… specialmente considerando la serietà con cui gli Emergenti prendevano i regolamenti e gli ordini?
Qiwi si fermò sopra le fronde più basse. L’intruso si poteva già sentire per il rumore che stava facendo, ma quasi subito apparve. Era Ritser Brughel. Il vice caponave avanzava sull’erba muschiosa imprecando e sferrando calci ai cespugli che gli ostacolavano il passo. Aveva proprio un vocabolario triviale. Qiwi non era molto interessata al turpiloquio degli Emergenti, ma con lui avrebbe potuto farsi una cultura. Brughel era la dimostrazione vivente che fra la sua gente non era necessario essere sensibili e sofisticati per raggiungere pasti di comando. Tomas non doveva avere un’alta considerazione di lui, visto che gli aveva chiesto di alloggiare sulla vecchia Mano Invisibile con un turno di lavoro uguale a quello dell’equipaggio di bordo. Mentre il povero Tomas invecchiava anno dopo anno per garantire il perfetto svolgimento delle operazioni, Brughel uscita dal sonno freddo solo per 10 Msec ogni 40. Qiwi non lo conosceva molto bene, ma quel poco che conosceva di lui non le piaceva affatto. Se questo cafone fosse degno di fiducia Tomas gli lascerebbe il comando, invece di bruciare la sua vita a questo modo.
La ragazza scese ancora, fermandosi a mezzo metro dal suolo. — Il parco è chiuso per manutenzione, vice caponave.
Brughel aveva avuto un moto di sorpresa. Per un momento tacque, e la sua faccia pallida s’imporporò in modo comico. — Razza di piccola insolente… e tu cosa stai facendo, qui?
— Io faccio la manutenzione. — Be’, questa era quasi la verità. E ora il contrattacco: — Lei, piuttosto, cos’è venuto a fare?
Brughel si scurì in faccia. Fluttuò più in alto di fronte a lei, per costringerla ad alzare lo sguardo. — Non spetta a te fare domande. Impara a stare al tuo posto. — Aveva in mano una specie di bastone metallico, liscio, con delle macchie scure. Lo vibrò in un rapido arco che spezzò ramoscelli e foglie un palmo sopra la testa di Qiwi.
Ora anche la ragazza era irritata. — Questo è vandalismo, non è una risposta. — Sapeva che Tomas faceva monitorare il parco, e atti del genere erano criminosi per gli Emergenti quanto per i Qeng Ho.
Il vice caponave era così impermalito che ringhiava. — Siete voi Mercanti i vandali. Questo parco era un bel posto, più di quanto avrei creduto che gente come voi potesse costruire. Ma ora lo state sabotando. Ieri sono venuto a esaminarlo. Lo avete riempito di insetti. — Agitò ancora il bastone le frasche, e i colpi misero allo scoperto alcune polverose ragnatele nascoste fra i rami. Brughel le stracciò irosamente e fece volare tutto intorno i gusci di insetti e i detriti vegetali che le riempivano. — Guarda che schifo, che sudiciume! Siete stati voi a ridurre così questo posto! — la accusò.
Per un momento Qiwi lo guardò senza capire. Non era possibile che l’uomo intendesse davvero ciò che aveva detto. Come poteva essere così ignorante? Si piazzò le mani sui fianchi. — Questo è un parco a zero-G, per l’amor del cielo! Cosa pensi che sia a tenere l’aria pulita dai detriti fluttuanti? I ragni divoratori di spazzatura qui ci sono sempre stati… anche se i pezzi più grossi evidentemente non riescono a digerirli. — E guardò Brughel da capo a piedi, per rendere chiaro che quell’allusione era un’allusione.
Nella discussione s’erano spostati sopra lo strato più basso dei rami. Con la coda dell’occhio Qiwi poteva vedere suo padre. Era come se lasciando gonfiare la rabbia si gonfiassero anche loro, volando come palloncini. All’improvviso quel pensiero la fece ridacchiare, e non le importò di assumere un’espressione antipatica.
— Cos’hai da ridere, stupida cagna? — ringhiò Brughel. Si batté il bastone sul palmo di una mano, a denti stretti. Lei aveva già sentito parlare di quel bastone, e di quelle macchie scure. Era evidente che Ritser Brughel voleva che la gente pensasse che erano proprio quella cosa. Ma quell’individuo non sembrava un militare addestrato, e quando maneggiava il bastone non aveva l’aria di uno che si aspetta di essere contrattaccato. Lei gli rivolse un sorrisetto insolente.
L’uomo la fulminò con lo sguardo. Poi, senza un’altra parola, si spinse via dal ramo e tornò a livello del pavimento, andandosene per i fatti suoi. Lei restò lì a fluttuare in silenzio, con l’impressione che il posto fosse molto più piacevole ora che Brughel se n’era andato, poi tornò verso il ramo su cui sedeva suo padre.
Nel corso degli anni aveva scoperto in sé un talento per irritare gli altri, fin da quand’era bambina e si divertiva a provocare in modo innocente Ezr Vinh. Povero Ezr, se potessi tornare indietro… Ma con Brughel era stato diverso, e quella differenza l’aveva vista nei suoi occhi. Quell’individuo aveva davvero avuto la tentazione di ucciderla, e frenarla gli era costato uno sforzo. Probabilmente la sola cosa che l’aveva trattenuto dal colpirla era stato il pensiero che Tomas l’avrebbe saputo. Ma se avesse potuto trovarla da sola, lontano dai monitor della sorveglianza…
Le mani di Qiwi stavano tremando quando raggiunse suo padre. Oh, papà. Avrebbe voluto che lui la abbracciasse, che lui placasse la sua paura. Ma lui non la stava neppure guardando. Era focalizzato da ormai cinque anni, ma lei ricordava ancora com’era un tempo… l’uomo di allora sarebbe sceso dall’albero al primo accenno che sotto di lui c’era una discussione. Si sarebbe messo fra lei e Brughel, bastone metallico o no. Ora… Qiwi s’era voltata a cercarlo con lo sguardo, e aveva visto che le loro parole in effetti attraevano la sua attenzione: Ali Lin aveva gettato un’occhiata spazientita dalla loro parte, come a dire «Non potreste andare a litigare altrove?»
Qiwi gli poggiò su una spalla una mano che tremava ancora. Per certi versi suo padre era ancora vivo, ma per il resto era più morto di sua madre. Tomas diceva che il Focus poteva essere invertito. Ma Tomas aveva bisogno di suo padre e degli altri focalizzati. D’altra parte Tomas era stato allevato fra gli Emergenti. Loro usavano il Focus per inserire pienamente la gente nella società. Erano fieri di avere pochi criminali. Lei sapeva che molti Qeng Ho consideravano bugie i discorsi sulla reversibilità del Focus. Fino a quel momento non un solo focalizzato era stato riportato allo stato precedente. Tomas non mentirebbe su una cosa tanto importante.
E forse, se lei e suo padre si fossero comportati bene, il suo Focus sarebbe stato invertito. Forse quella morte non sarebbe durata per sempre. Qiwi riprese l’analizzatore e sedette di nuovo al suo fianco. Gli esami del DNA erano andati avanti bene mentre lei scambiava insulti con Ritser Brughel.
Suo padre ne sarebbe stato compiaciuto.
Nau continuava a presenziare alle riunioni del Comitato Direttivo della Flotta ogni Msec. Solo gli altri partecipanti cambiavano, da un turno all’altro. Quel giorno Ezr Vinh c’era; sarebbe stato interessante vedere la reazione del ragazzo al piano che lui aveva escogitato. Anche Ritser Brughel era in sala, così lui aveva chiesto a Qiwi di non intervenire. Nau sorrise fra sé. Dannazione, non mi ero mai accorto di come la ragazza riesca a provocare quest’uomo.
Nau aveva integrato le sedute del Comitato in quelle del suo staff, e le chiamava riunioni della “direzione di turno”. La filosofia della cosa era che, qualunque fossero le loro vecchie divergenze, adesso erano sulla stessa barca e potevano sopravvivere soltanto con la collaborazione. Le riunioni non erano importanti come le sue consultazioni private con Anne Reynolt o con Ritser e quelli della sicurezza. Quelle erano assai più frequenti. Tuttavia non poteva negare che anche nelle riunioni del Comitato fossero trattate cose basilari. Nau sfiorò con un dito la finestra dell’agenda. — Dunque, ultimo argomento all’ordine del giorno: la spedizione di Anne Reynolt al sole. Anne?
L’altra non sorrise mentre correggeva quella spiritosaggine. — Il rapporto degli astrofisici, caponave. Ma prima, una richiesta. Ci serve almeno uno specialista non-focalizzato in quest’area. Lei sa quanto è difficile valutare i semplici risultati tecnici…
Nau sospirò. La donna gliel’aveva già fatto notare in privato. — Anne, non abbiamo il personale. Gli specialisti superstiti in questo campo sono soltanto tre. — E tutti erano delle “testerapide”.
— Ho bisogno di un revisore con un po’ di buonsenso. — La Reynolt scosse le spalle. — E va bene. Per suo ordine abbiamo tenuto due astrofisici in turno continuato fin dalla Riaccensione. Noti che hanno avuto cinque anni per riflettere su questo rapporto. — Agitò una mano e comparve una finestra in cui era inquadrato un taxi Qeng Ho modificato, irto di sensori e con un robusto scudo. — Prima della Riaccensione, il dottor Li e il dottor Wen hanno pilotato questo velivolo in un’orbita stretta attorno a OnOff. Orientando la vela opportunamente hanno mantenuto l’orbita per oltre un giorno.
In realtà era stato il pilota “testarapida” di Jau Xin a occuparsene. Nau rivolse un cenno a Xin. — Ottimo lavoro, direttore del piloti.
Xin sorrise. — Grazie, signore. Un’impresa che racconterò ai miei figli.
La Reynolt ignorò quei commenti. Fece aprire altre finestre, con inquadrature diverse e dati spettroscopici. — Fin dall’inizio abbiamo avuto difficoltà con le analisi.
Ora potevano sentire le voci registrate delle due testerapide. Li era un Emergente, ma l’altro, il dottor Wen, parlava con accento Qeng Ho. — Noi sappiamo da sempre che OnOff ha la massa e la densità di una normale stella di classe G. Ora possiamo eseguire mappe ad alta risoluzione delle temperature e densità interne… — proseguì snocciolando una lunga serie di cifre. — … ma ci servono altri microsatelliti… non abbiamo ricambi. Ne occorrerebbero almeno duecento durante la Riaccensione.
La Reynolt abbassò l’audio. — Gliene abbiamo dati altri cento. — Accese una finestra nuova, con Li e Wen di nuovo ad Hammerfest dopo la Riaccensione, che discutevano ancora. I rapporti di Anne Reynolt erano tutti così, una sfilza di immagini e discorsi tecnici.
Wen sembrava stanco. — Anche nello stato Off, la densità centrale era quella di una tipica stella G, tuttavia non c’è stato collasso. Le turbolenze di superficie sono profonde appena diecimila chilometri. Com’è possibile? Com’è possibile? Com’è possibile?
Li disse: — Dopo la Riaccensione, le profonde strutture interne sembrano sempre le stesse.
— Non possiamo esserne certi. Non possiamo avvicinarci abbastanza.
— No, ora appare del tutto tipica. Abbiamo modelli che…
Wen lo interruppe. Ora parlava rapidamente, in tono frustrato e quasi sofferente. — Tutti questi dati, e abbiamo ancora gli stessi misteri di prima. Ho trascorso cinque anni a studiare gli schemi di reazione e sono senza elementi utili, come gli astronomi dell’Era dell’Alba. Deve esserci qualcosa nel cuore esterno della stella, altrimenti ci sarebbe stato un collasso.
Il tono dell’altra testarapida si fece petulante. — Ovviamente, anche in stato Off la stella continua a emettere, ma emette qualcosa che si converte in una bassa interazione.
— E cosa emette? Cosa? E poi, se fosse davvero così, perché gli strati superiori non collassano?
— Lo strato convettivo alla base della fotosfera è collassato! Ryop. Io sto usando il tuo software di simulazione per mostrarci questo!
— No. Controsensi post-hoc, non migliori che nella preistoria.
— Ma io ho ottenuto dei pre-dati!
— E con questo? I tuoi adiabat interattivi sono…
La Reynolt chiuse l’audio. — Sono andati avanti così per molti giorni. Per lo più usano questo gergo tecnico, con parole che i focalizzati si inventano quando parlano fra loro.
Nau si appoggiò allo schienale. — Se sanno solo parlare fra loro noi non possiamo seguirli. Li hai perduti?
— No. Almeno, non nel solito modo. Il dottor Wen ha raggiunto un tale stato di frustrazione da considerare interventi dall’esterno sulla stella. In una persona normale questo sarebbe un sintomo di creatività, ma…
Brughel rise, divertito. — E così i tuoi astronomi si sono tagliati le palle, professionalmente. Eh, Reynolt?
La donna non lo guardò neppure. — Chiudi il becco — disse. Nau notò lo stupore dei Mercanti per quella scelta di parole. Brughel era il secondo nella linea di comando, e lei lo trattava così. Mi chiedo cosa ne pensino. Brughel s’era accigliato. Poi il suo sogghigno ricomparve e gettò a Nau uno sguardo ironico. La Reynolt proseguì, senza perdere battuta: — Wen si è allontanato dal problema, e lo ha incluso in uno schema più vasto. Dapprima questo mi è parso positivo.
La voce del dottor Wen continuò, nello stesso tono teso: — L’orbita galattica di OnOff. Un indizio. — In una finestra apparve la presunta orbita galattica della stella. Il suo inizio risaliva a mezzo miliardo di anni prima. Una volta ogni duecento milioni di anni OnOff penetrava nel cuore nascosto della galassia. Da lì si spostava fin dove le stelle si diradavano nel buio extragalattico. Nau non era un astronomo, ma sapeva che le stelle ad alone esplosivo non avevano pianeti, cosicché non venivano mai visitate da vicino. Quella comunque era l’ultima fra le stranezze di OnOff.
Per qualche motivo l’astronomo testarapida Qeng Ho s’era fissato sull’orbita galattica di OnOff. — Questa cosa… non può essere una stella… ha visto il Cuore di Tutto, e continua a ripassarci dentro a lunghi intervalli… — La Reynolt saltò quello che sembrava un interminabile monologo di Wen. — Indizi. Ci sono molti indizi, in realtà. Dimentichiamo l’astrofisica, consideriamo solo la curvatura della luce. Per 215 anni su 250 irradia meno energia di una nana rossa. Poi accadono cose che non possiamo vedere… come una macchina magica che si sia guastata. Scommetto che una volta era un generatore di onde quadre superveloci. Ecco cos’è! Magia venuta dal cuore interno della galassia, ma ormai guasta, e per questo noi non possiamo capirla.
L’audio s’interruppe e così il caleidoscopio di immagini che l’uomo stava esaminando. — Il dottor Wen è rimasto intrappolato in questo circolo chiuso di ipotesi per dieci Msec — disse la Reynolt.
Nau sapeva già dove voleva andare a parare, ma la guardò con aria serafica. — Con cosa restiamo, adesso?
— Il dottor Li va avanti bene. Si stava lasciando contagiare dallo stesso ciclo di regressione di Wen, così li abbiamo separati. Ora però si è… mmh, fissato sul software di simulazione Qeng Ho. Ha costruito un enorme modello simulato che contiene tutte le osservazioni. — Altre finestre, la teoria di Li su una nuova famiglia di particelle subatomiche. — Il dottor Li è scivolato nello stesso territorio cognitivo di Hunte Wen, ma sta ottenendo risultati molto diversi.
La voce di Li: — Sì! Sì! Il mio modello prevede che stelle come questa debbano essere comuni nel centro della galassia. Di rado, molto di rado, esse interagiscono e ne consegue un’esplosione. Il risultato viene proiettato fuori dal centro galattico. — La traiettoria di Li era naturalmente identica a quella di Wen. — Posso identificare tutti i parametri. Ovviamente non siamo in grado di vedere stelle che si accendono e spengono nel centro galattico. Non sono molto brillanti e restano sommerse dal fulgore. Ma una volta ogni miliardo di anni abbiamo uno scontro esplosivo, e una di esse viene espulsa. — Seguirono immagini dell’ipotetica stella che esplodendo aveva spinto via OnOff, immagini dell’ipotetico sistema planetario… spazzato via dall’esplosione salvo un piccolo pianeta in quel momento protetto dalla massa di OnOff.
Ezr Vinh si piegò in avanti.
— Signore Iddio, così spiega tutto quanto.
— Sì — disse Nau. — Perfino il fatto che resta un solo pianeta. — Distolse lo sguardo da tutte quelle finestre e si volse alla Reynolt. — Allora, cosa ne pensi?
Lei si strinse nelle spalle. — E chi lo sa? È per questo che ci serve uno specialista non focalizzato, caponave. Il dottor Li sta ampliando ancora questo modello. Potrebbe essere un sintomo classico del meccanismo cerebrale così-io-spiego-tutto. E la sua teoria delle particelle è altrettanto omnicomprensiva. — Fece una pausa. Poi, essendo incapace di fare spettacolo durante le sue relazioni, tirò fuori per ultima quella che era forse la sua notizia-bomba: — Questa particolare teoria rientra nella sua specialità, comunque. E ha delle conseguenze: probabilmente la realizzazione di un propulsore ram molto più veloce.
Per alcuni secondi nessuno disse parola. I Qeng Ho usavano i loro propulsori da migliaia d’anni, da prima del tempo di Pham Nuwen.
Li avevano perfezionati attingendo da centinaia di civiltà umane. Negli ultimi mille anni c’era stato un miglioramento dell’uno per cento. — Bene, bene, bene. — Tomas Nau sentiva il sapore del gioco grosso e della vittoria. Anche i Mercanti sorridevano come idioti. Lui lasciò che quell’atmosfera maturasse. Era una notizia molto buona, anche se avrebbe cominciato a riempire le loro tasche solo alla fine dell’Esilio. — Questo rende assai preziosi i nostri astrofisici. Per il dottor Wen possiamo fare qualcosa?
Temo che Hunte Wen sia irrecuperabile. — La Reynolt aprì una finestra collegata all’infermeria. Per un medico Qeng Ho sarebbe stata una semplice diagnostica cerebrale, ma per lei era una mappa strategica. — Vedete? La connettività qui e qui è associata al suo lavoro su OnOff. Se tentiamo di distoglierlo dalla sua fissazione cancelliamo i suoi ricordi di lavoro degli ultimi cinque anni, e tutti i collegamenti con la sua esperienza generica. Non dimentichi che la chirurgia del Focus è ancora un taglia-e-cuci, definibile soltanto fino ai millimetro e non oltre.
— Così lo ridurremmo un vegetale?
— No. Se invertiamo e azzeriamo il Focus, Wen riavrà la personalità e buona parte dei ricordi di prima. Solo che come fisico non varrà più molto.
— Mmh. — Nau ci pensò sopra. Dunque non potevano de-focalizzare il Mercante e avere l’esperto esterno che serviva alla Reynolt. E che io sia dannato se rischierò il terzo astrofisico cercando di de-focalizzare lui. Tuttavia c’era una soluzione che avrebbe consentito di usare i tre uomini nel modo migliore. — D’accordo, Anne. Ecco quello che propongo. Metta al lavoro sul problema anche l’altro fisico, ma con turni molto leggeri. Tenga il dottor Li in sonno freddo mentre il nuovo fisico revisiona le sue teorie. Non sarà come la revisione di un non-focalizzato, ma se lei manovrerà bene la faccenda i risultati dovrebbero essere accettabili.
Un’altra scrollata di spalle. La Reynolt non aveva falsa modestia, però non si rendeva conto di quanto fosse abile in realtà.
— In quanto a Hunte Wen — continuò Nau, — ha fatto del suo meglio per noi, e non possiamo chiedergli di più. — Letteralmente, purtroppo, visto che questa era l’opinione della Reynolt. — Voglio che lei lo de-focalizzi.
Ezr Vinh restò a bocca aperta. Gli altri Mercanti sembravano anch’essi sbalorditi. La cosa aveva un elemento di rischio; Hunte Wen non sarebbe stato la prova migliore che il Focus poteva essere invertito. D’altra parte i mercanti avevano capito che si trattava di un caso difficile. Fagli vedere che sei preoccupato. — Stiamo facendo lavorare il dottor Wen da cinque anni ai limiti delle sue possibilità umane, ed è un uomo di mezz’età. Usi tutte le nostre risorse mediche per garantirgli il miglior recupero possibile.
Quello era l’ultimo argomento all’ordine del giorno, e la riunione non si protrasse oltre. Nau restò a guardare i convenuti che fluttuavano via chiacchierando con entusiasmo della scoperta di Li e dell’inversione di Wen. Ezr Vinh uscì per ultimo, ma senza parlare con nessuno. Il giovanotto aveva lo sguardo vitreo. Sì. signor Vinh. Fai il bravo, e forse un giorno io libererò anche la tua amata.
Le cose erano assai tranquille durante il Turno Chiuso. La durata dei turni era regolata perché la fine di ciascuno si sovrapponesse brevemente con l’inizio del successivo, cosicché la gente potesse aggiornarsi sui problemi in corso. Quello chiuso non era segreto, ma Nau lo usava ogni tanto per avere un intervallo di quattro giorni fra due turni contigui.
— Dico, non sarebbe stato grande avere un Turno Chiuso anche in patria? — scherzò Brughel, mentre precedeva Nau e Kal Omo verso la stiva dei contenitori per il sonno freddo. — Io ho lavorato nella Sorveglianza a Frenk per cinque anni, e state sicuri che le cose sarebbero andate molto meglio se avessi potuto mettere tutti quanti a dormire per qualche giorno. Ci avrei pensato io a farli svegliare in un mondo migliore. — La sua voce riecheggiava nel silenzio. In effetti loro tre erano gli unici svegli a bordo della Suivire. Giù ad Hammerfest c’erano Anne Reynolt e un gruppetto di testerapide. Un equipaggio ridotto di Emergenti e Mercanti — compresa Qiwi Lisolet — stava lavorando ai jet stabilizzatori del materiale sfuso. Ma a parte le testerapide soltanto nove persone conoscevano i segreti più scottanti. E in quell’intervallo fra due turni potevano fare tutto ciò che era necessario per proteggere i loro interessi.
Le paratie interne della stiva per il sonno freddo della Suivire erano state abbattute per poter installare altri contenitori. Lì dormiva quasi tutto il Turno A, circa settecento persone. Molti appartenenti ai Turni B e Misto dormivano sulla Brisgo Gap. mentre i Turni C e D erano a bordo della Bene Comune. Ma quello che avrebbe preso inizio dopo il Turno Chiuso era il Turno A.
Su una paratia apparve una luce rossa. Il sistema automatico della stiva era pronto a comunicare. Nau si fece riconoscere e subito sui contenitori s’illuminarono il nome e i dati personali. Erano tutti sul verde. Grazie al cielo. Nau si volse al sergente. Oltre al nome di Kal Omo anche i suoi dati fisiologici campeggiavano sulla finestra apparsa nell’aria accanto alla sua faccia. Il sistema prendeva i suoi doveri molto seriamente. — La squadra medica di Anne Reynolt sarà qui fra qualche migliaio di secondi, Kal. Non li lasci entrare prima che io e Brughel abbiamo finito.
— Sì, signore. — C’era un sorrisetto sulla faccia dell’uomo quando chiuse la porta dietro di loro. Era già stato lì, e aveva aiutato a costruire la trappola a bordo della Tesoro Lontano. Sapeva cosa stavano facendo.
Poi Nau e Brughel furono soli. — Allora, Ritser, ha trovato qualche altra mela marcia?
Brughel stava sogghignando; aveva una sorpresa per lui. Fluttuarono avanti fra i contenitori fissati alle alte scaffalature, illuminati dalla luce sotto i loro piedi. Quelle bare avevano passato dei brutti momenti, ma funzionavano ancora bene… quelle dei Qeng Ho ancora meglio. I mercanti avevano una buona tecnologia — ovvio, visto che la commerciavano in tutto lo spazio umano — e non si lasciavano scappare le innovazioni più recenti. Comunque ora io ho la loro biblioteca… e i tecnici in grado di capirla.
— Mi sono dato molto da fare, caponave. Il Turno A è abbastanza pulito, anche se… — Si fermò un momento aggrappandosi a una delle scaffalature, — anche se non capisco perché lei sopporta rami secchi come questo senza potarli. — E batté il bastone da vice caponave sul contenitore.
Lungo e stretto come una bara di metallo nero, l’oggetto aveva un ampio finestrino ricurvo e la luce interna. Anche senza bisogno di leggere il display, Nau avrebbe potuto riconoscere la faccia del vecchio Pham Trinli.
Brughel scambiò il suo silenzio per indecisione. — Quest’uomo era al corrente del complotto di Diem.
— Naturalmente. Come Vinh, e qualcun altro. E ora sono innocui perché sanno che noi sappiamo.
— Ma…
— Ci siamo già travati d’accordo su questo, Brughel. Non possiamo perdere altra manodopera. — Nau giudicava errate le misure ché aveva preso in seguito all’interrogatorio dei superstiti, dopo l’attacco. Aveva la giustificazione di aver seguito la stessa strategia post-Epidemia con la quale la popolazione di Balacrea era stata rimessa in riga, ma il Primo Caponave si trovava in una situazione diversa, con una gran quantità di risorse umane. Era stata un’esperienza dalla quale lui aveva tratto un’utile lezione, imparando la sottile arte di manovrare i superstiti.
Brughel sorrise. — E va bene. Come buffone di corte, ammetto che il vecchio ha una sua utilità. Non c’è niente di più ridicolo del modo pomposo con cui cerca di farsi passare per uno che ha le mani pulite. — Indicò gli altri contenitori. — Ammetto perfino che non è facile spiegare agli altri perché ogni tanto qualcuno di loro non si sveglia dal sonno freddo. Specialmente se gli incidenti accadono a chi è noto per non essere un nostro fedele ammiratore. Capisco che lei deve evitare dei sospetti. Ma il problema non sta nel Turno A, caponave. Negli ultimi giorni ho scoperto altrove un chiaro comportamento sovversivo.
Nau non si mostrò molto sorpreso. Si era aspettato quelle parole. — Qiwi Lisolet?
— Sì. Aspetti… so che lei ha visto la nostra discussione dell’altro giorno. Quella cagnetta meriterebbe di morire solo per la sua mancanza di rispetto. Ma non è di questo che voglio lamentarmi. Ho le prove inoppugnabili che infrange la legge. E che è in combutta con altri.
Questa in effetti era una novità per Nau. — E come la infrange?
— Lei sa che l’ho trovata nel parco mentre perdeva tempo con suo padre. Aveva chiuso il parco senza darne preavviso. Ecco cosa mi ha irritato. Ma poi l’ho fatta sorvegliare dai miei indagatori, e sono emersi fatti che la normale sorveglianza durante i turni non aveva rilevato. La piccola puttana sta attingendo alle risorse della nave. Ruba materiale dalla distilleria dei gas. Ha svolto altre attività nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al suo lavoro in fabbrica. E ha usato il Focus di suo padre per indurlo ad aiutarla in queste sue attività private.
Pestilenza. Questo era più di quel che Qiwi gli aveva detto. — Sentiamo… cosa sta facendo con questo materiale rubato?
— La cagnetta ha numerosi piani, caponave. E si è trovata dei complici… in breve, baratta quel materiale per ottenere vantaggi personali e promozioni.
Per un momento Nau non seppe cosa dire. Attingere dalle risorse della comunità era un crimine, naturalmente. Durante gli Anni dell’Epidemia centinaia di migliaia di persone erano state fucilate per furtarelli e baratti non autorizzati… ma neppure nei tempi moderni il baratto aveva potuto essere eliminato del tutto. Ogni tanto, su Balacrea, lo si usava come scusa per spazzare via la popolazione di quartieri in cui si annidava la sovversione, ma tutti sapevano che era solo una scusa. — Ritser — disse Nau, mentendo con calma, — io ero già al corrente di queste attività della ragazza. Certo, sono contrarie alla lettera della legge. Ma rifletta. Siamo venti anni-luce lontani da Balacrea. E abbiamo a che fare con dei Qeng Ho. Loro sono dei commercianti. So che è duro da accettare, ma la loro stessa esistenza si fonda sul baratto, sullo scambio di merci per ottenere denaro o altre merci o favori. Non possiamo pensare di sopprimere in poco tempo una mentalità…
— Lo so! — Brughel si spinse via rabbiosamente dalla scaffalatura per aggrapparsi a quella di Nau. — Questa gente è spazzatura. Ma al momento sono soltanto la Lisolet e altri cospiratori, di cui posso farle i nomi, a infrangere la nostra legge.
Nau poteva immaginare come fosse successo. Qiwi non aveva mai rispettato troppo le regole, neppure quelle dei Qeng Ho, Sua madre aveva cercato di manipolarla per farla diventare un’armiera, e lei s’era ribellata. Inoltre le piaceva giocare. Una volta gli aveva detto: «È più divertente fare una cosa di nascosto che dopo aver chiesto il permesso». Bastava una frase del genere a rivelare l’abisso che c’era fra una come lei e un Emergente.
Nau dovette fare uno sforzo per non ritrarsi dalla vicinanza di Brughel. Cosa diavolo gli prende? Lo guardò dritto negli occhi, ignorando il nervosismo con cui l’altro agitava il bastone. — Mi fa piacere che lei li abbia identificati, vice caponave. Questo è il suo lavoro. E il mio è interpretare la legge. Lei sa che Qiwi non ha cercato di confondere la testa del mentecatto… di suo padre. Se sarà necessario provvederò io a… rimetterla in riga. Voglio che lei mi tenga informato delle sue infrazioni. Per ora, tuttavia, preferisco sorvolare su di esse.
— Preferisce sorvolare su di esse? Lei preferisce? Io… — Brughel restò un momento senza parole. La sua mandibola s’irrigidì per la rabbia. — Già, siamo a venti anni-luce da casa. Ma siamo a venti anni-luce dalla sua famiglia. E suo zio non è più al potere. — La notizia dell’assassinio di Alan Nau era arrivata quando la loro spedizione era ancora a tre anni-luce di distanza da OnOff. — Forse in patria lei poteva infrangere le regole, e proteggere femmine come questa perché in cambio loro si lasciavano portare a letto. — Si batté con forza il bastone sul palmo di una mano. — Ma qui, e in questo momento, lei è solo.
Il ricorso alla violenza fisica fra i Dirigenti era contrario alle leggi non scritte, fin dagli Anni della Pestilenza… ma era anche parte della natura delle cose. Se Brughel gli avesse spaccato il cranio, lì dentro, il sergente Kal Omo si sarebbe schierato dalla parte del vincitore semplicemente perché questi era tale. Ma Nau non perse la calma. — Lei è ancora più solo di me, amico mio. Quanti dei focalizzati hanno l’imprinting su di lei?
— Io… ho i piloti di Xin, e i miei indagatori. Posso sempre chiedere alla Reynolt di reindirizzare l’imprinting di quanti altri voglio.
Brughel s’era spinto dove Nau non l’avrebbe mai creduto capace, ma sembrava averlo capito e si stava calmando. — Credevo che lei conoscesse meglio Anne Reynolt, Brughel.
All’improvviso la fiamma che aveva imporporato la faccia dell’altro si spense. — Già, lei ha ragione. Ha ragione. — Parve ripiegarsi su se stesso. — Signore… è che questa missione si è rivelata diversa da quel che immaginavo. Avevamo il necessario per vivere come Alti Capinave. Avevamo la prospettiva di trovare un pianeta pieno di tesori. Ora la maggior parte delle nostre testerapide sono morte. Non abbiamo navi in grado di riportarci in patria con tutta sicurezza. Siamo inchiodati qui per decenni…
Brughel sembrava sul punto di piangere. Quel passaggio dalla minaccia alla debolezza era affascinante. Nau parlò in tono pacato, quasi suadente. — Io la capisco, Ritser. Siamo nella situazione più estrema mai conosciuta dal tempo dell’Epidemia. Se è difficile per un uomo forte come lei, temo per la sorte dei comuni membri dell’equipaggio. — Vero, anche se la maggior parte di loro avevano personalità più tranquille della sua. Ma come Brughel erano finiti in un vicolo cieco lungo decenni, dove non c’era neanche da pensare di mettere su famiglia e avere dei figli. Lì c’era quasi un migliaio di persone non-focalizzate. Per la maggior parte avrebbero risolto il problema accontentandosi delle relazioni che potevano avere fra loro. Ma sarebbe stato difficile tenere sotto controllo gli impulsi di Brughel. Brughel aveva bisogno di sottomettere gli altri con la violenza, fisica o verbale, e lì ormai c’era poco spazio per rapporti di quel genere.
— Resta tuttavia la prospettiva della ricchezza… dei tesori che tutti noi speriamo di trovare. Sconfiggere i Qeng Ho ci è quasi costato la vita, ma stiamo apprendendo tutti i loro segreti. E non dimentichi la scoperta fisica di cui abbiamo parlato all’ultima riunione: una preziosa novità scientifica per tutto lo Spazio Umano. E i Ragni… essi sono primitivi al momento, ma noi sappiamo che la vita non può essere nata intorno a questa stella; le sue condizioni sono troppo estreme. Non siamo noi la prima razza venuta a curiosare su questo pianeta. Ci pensi, Ritser: una civiltà interstellare. I suoi segreti sono laggiù, fra le rovine del suo passato.
Nau condusse il vice caponave fino in fondo alla prima fila di contenitori, e poi tornarono indietro lungo la seconda. I display erano ovunque al verde, anche se come al solito quelli degli Emergenti funzionavano al limite della linea di pericolo. Nau sospirò. Ancora qualche anno e non avrebbero più avuto abbastanza contenitori da tenere in sonno freddo un intero Turno. Coi suoi soli mezzi una flotta interstellare non poteva costruire un’altra flotta, né provvedere a lungo ai pezzi di ricambio più sofisticati. Era un vecchio problema. Per costruire pochi prodotti tecnologici avanzati occorreva un’intera società evoluta, con schiere di esperti e un vasto strato di industrie ben organizzate. Le scorciatoie non esistevano. L’umanità aveva forse immaginato ma mai creato un Costruttore Universale.
Brughel sembrava essersi placato; le sue emozioni erano di nuovo temperate dal raziocinio. — … va bene, faremo grandi sacrifici, ma alla fine torneremo in patria vincitori. Io posso farcela, come tutti gli altri. Eppure… perché stare qui a masticare fiele per degli anni? Potremmo piombare su questi ragni, metterli subito al nostro servizio, volenti o nolenti, e passare a …
— Hanno appena inventato l’elettronica, Ritser. Ci serve di più.
Il vice caponave scosse il capo, spazientito. — Sì, lo so, è chiaro. Ci occorre una solida base industriale. Io lo so ancora meglio di lei. Non dimentichi che ero caponave ai Cantieri di Lorbita. Soltanto una vasta ristrutturazione delle astronavi può salvarci il collo. Ma non c’è motivo di starcene nascosti qui a L1. Se ci impadronissimo di una nazione dei Ragni, magari con la scusa di proteggerla dalle altre, potremmo accelerare le cose.
— Vero. Ma il problema maggiore è mantenere il controllo. Per questo, la scelta del momento migliore è tutto. Lei sa che io ho partecipato alla conquista di Gaspr. Al primo periodo post-conquista in effetti. Se fossi stato con la flotta sarei milionario. — Nau non nascose l’amarezza; era stata un’ambizione che Brughel poteva capire. Gaspr era stato un colpo grosso. — Dio, quello che ha preso quella gente! Avevano soltanto due astronavi, e cinquecento testerapide, meno di quello che abbiamo noi. Ma loro seppero stare in disparte ad aspettare, e quando Gaspr giunse all’Era Informatica presero sono controllo ogni sistema di dati del pianeta. Il tesoro cadde nelle loro mani! — Nau scosse il capo per scacciare quella visione. — Sì. potremmo sottomettere gli alieni subito e accelerare le cose. Ma da parte nostra sarebbe un bluff, e se ci trovassimo alle prese con una guerriglia partigiana la nostra incapacità di bloccarla renderebbe evidente questo bluff. Probabilmente vinceremmo qualsiasi scontro, ma un’attesa di trent’anni diventerebbe un’attesa di cinquecento. Ci sono dei precedenti per fallimenti di questo genere, Ritser, anche se non nella nostra storia. Lei sa quel che è successo a Camberra?
Brughel scrollò le spalle. Camberra era la società più ricca e potente dello Spazio Umano, ma troppo lontana per interessarlo. Come molti Emergenti, Brughel non s’interessava molto al resto del cosmo.
— Tremila anni Fa, Camberra era allo stadio medievale. Come su Gaspr, i primi coloni avevano combattuto fino a tornare alla preistoria. Solo che i camberrani non erano ancora a metà della loro faticosa risalita. Una flotta Qeng Ho si diresse là, pensando che su quel pianeta ci fosse una società evoluta da cui trarre profitti. Questo fu il loro primo grave errore. Il secondo fu quando decisero di restare lì e commerciare coi camberrani nonostante le condizioni poco promettenti. I Qeng Ho erano potenti, credevano che sarebbe stato facile indurre la popolazione arretrata di Camberra a fare tutto ciò che volevano.
Brughel grugnì. — Capisco dove lei vuole arrivare. Ma i camberrani erano molto più primitivi di quello che abbiamo qui.
— Sì, tuttavia erano umani. E i Qeng Ho avevano tutte le loro risorse ancora intatte. A ogni modo si fecero degli alleati, e spinsero la tecnologia locale con tutti i mezzi. Si impegnarono nella conquista del pianeta. Ed ebbero successo. Ma ogni passo li inchiodò su quel pianeta sempre più. I membri dell’equipaggio invecchiarono in castelli di pietra. Non avevano più neppure contenitori per il sonno freddo funzionanti. Morirono di vecchiaia prima di vedere un risultato, e così anche i loro figli. La civiltà ibrida di mercanti e di nativi diventò infine progredita, ricca e potente… ma troppo tardi per i Qeng Ho che erano giunti su quel pianeta.
Il caponave e il suo vice erano quasi tornati all’ingresso della stiva. Brughel fluttuò, e giunto alla paratia si fermò con un piede, voltandosi a guardare il superiore.
Anche Nau usò un piede per fermarsi. — Pensi a ciò che le ho detto. Ritser. Il nostro Esilio qui è davvero necessario, e il premio sarà più alto di quanto lei immagina. Nel frattempo vediamo cosa posso fare per lei. Un vice caponave non deve essere scontento.
Lo sguardo sul volto del biondo fu sorpreso e riconoscente. — La ringrazio, signore. Un po’ di aiuto ogni tanto è tutto ciò che mi serve.
Di ritorno dalla Suivire Nau ebbe il tempo di pensare. Vista dal taxi la collinetta di materiale sfuso era un’ombra, e intorno a essa orbitavano lenti i provvisori, le astronavi e i magazzini. Nel Turno Chiuso non si scorgevano movimenti umani. Anche la squadra di Qiwi era altrove, forse dietro la collinetta. Nel cielo delle montagne di diamante, Arachna galleggiava in splendida solitudine. Quel giorno nella coltre di nuvole c’erano squarci da cui si vedeva il mare. Il pianeta dei Ragni cominciava a somigliare sempre più all’archetipo della Vecchia Terra, quel mondo uno-su-mille dove gli umani potevano atterrare e vivere senza problemi. Sarebbe continuato a sembrare un paradiso per altri trent’anni circa, finché il suo sole si fosse spento. E per allora sarà nostro.
Quel giorno Nau aveva reso un tantino più probabile il successo finale. Aveva risolto un mistero ed eliminato un rischio non necessario. La sua bocca si storse in un sorriso infelice. Brughel sbagliava pensando che essere nipote di Alan Nau fosse facile. Vero, Alan Nau lo aveva favorito. Ma era stato chiaro fin dall’inizio che Tomas avrebbe potuto dare un seguito al dominio dei Nau sugli Emergenti. Questo aveva cominciato a fare di Tomas un problema per suo zio. La successione, anche all’interno delle famiglie dei capinave, avveniva spesso col metodo dell’assassinio. Ma Alan Nau era stato astuto. Voleva sì che suo nipote succedesse a lui… ma non prima che lui fosse morto di morte naturale a tarda età e con le redini del governo ancora in mano. Dargli il comando della spedizione alla stella OnOff era stata una mossa politica, per salvare sia l’uomo al potere che il suo erede. Tomas Nau sarebbe rimasto fuori scena per oltre due secoli. Quando fosse tornato avrebbe avuto le risorse finanziarie e tecniche per rafforzare il dominio della famiglia Nau.
Tomas s’era spesso chiesto se Ritser Brughel non fosse un sottile modo di sabotare la spedizione. In patria, l’individuo gli era parso una buona scelta come vice caponave. Era giovane, e aveva fatto un buon lavoro nel ripulire i Cantieri di Lorbita. Ma sin dall’inizio dell’Esilio s’era rivelato un dannato incompetente, perfino insolente. I nemici della famiglia Nau erano astuti, sapevano fare piani di lunga portata; forse erano riusciti a superare le misure di sicurezza di zio Alan.
Quel giorno i nodi del mistero e il sospetto erano giunti al pettine. E ho scoperto che non c’è sabotaggio, né incompetenza. Il suo vice caponave aveva semplicemente delle necessità frustrate, ed era stato troppo orgoglioso per parlargliene. Nel mondo civile soddisfare quelle necessità sarebbe stato facile; erano una parte normale della personalità della classe Dirigente, anche se non si dava pubblicità alla cosa. Lì in una situazione d’emergenza, con le astronavi ridotte così.., lì Brughel aveva dei seri problemi.
Il taxi sorvolò le torri di Hammerfest e scese nell’ombra.
Soddisfare le necessità di Brughel sarebbe stato difficile; il giovanotto avrebbe dovuto dimostrare del vero autocontrollo. Nau stava già passando in rassegna i nomi dell’equipaggio e delle testerapide. Sì, posso fare questa cosa. E ne sarebbe valsa la pena. Brughel era il solo altro Dirigente entro venti anni-luce. La classe dei capinave aveva le sue difficoltà intestine, ma fra tutti loro c’era un legame. Ognuno di loro conosceva le dure strategie nascoste. Ognuno di loro capiva le vere virtù degli Emergenti. Brughel era ancora giovane, doveva crescere. Se si fossero stabilite le relazioni giuste, anche gli altri problemi sarebbero stati più risolvibili.
E il loro successo finale poteva essere assai più grande di quel che lui aveva detto a Brughel. Più grande di quanto suo zio Alan aveva mai immaginato. Era una visione che sarebbe sfuggita allo stesso Nau, se non fosse stato per quel suo incontro coi Mercanti.
Zio Alan aveva sempre considerato con prudenza e attenzione ogni minaccia, e rispettato la tradizione balacreana delle operazioni di sicurezza preventiva. Ma neppure zio Alan s’era mai reso conto che loro stavano facendo i tiranni nell’orto di casa: Balacrea, Frenk e Gaspr. Lui aveva appena parlato a Brughel della storia di Camberra; c’erano molti altri esempi che avrebbe potuto usare, ma Camberra era il suo preferito. Mentre i suoi pari studiavano la storia degli Emergenti, integrata con poche sciocchezze di strategia locale, lui aveva studiato la storia dello Spazio Umano. Anche una catastrofe come l’Epidemia aveva analogie e precedenti su una scala così vasta. I conquistatori su scala spaziale facevano impallidire i balacreani. Così Tomas Nau s’era istruito sui grandi strateghi, da Alessandro il Macedone a Tarf Lu e Pham Nuwen. Di tutti costoro, Pham Nuwen, il più grande dei Qeng Ho, era il modello a cui Nau s’ispirava di più.
In un certo senso era stato Nuwen a creare i moderni Qeng Ho. Le trasmissioni dei Mercanti ne descrivevano la vita nei dettagli, ma c’erano altre versioni spesso contraddittorie. Alcuni dicevano che Nuwen fosse nato su Camberra prima dell’arrivo dei Qeng Ho, altri che si fosse unito ai Qeng Ho solo in età matura. Per alcuni secoli aveva costruito e plasmato quello che era un autentico impero mobile fra le stelle. Era stato l’Alessandro dello Spazio Umano, anche se, come Alessandro, il suo impero s’era subito frammentato. A quel tempo gli erano mancati gli strumenti necessari per consolidarlo.
Nau gettò un ultimo sguardo all’immagine bianca e azzurra di Arachna che spariva dietro Hammerfest. Ora aveva un sogno. Per il momento ne aveva parlato solo a se stesso. Da lì a pochi anni lui avrebbe sottomesso una razza non umana, una razza che un tempo aveva viaggiato fra le stelle. Da lì a pochi anni si sarebbe impadronito di tutti i segreti tecnici della flotta Qeng Ho. Con queste armi sarebbe diventato un secondo Pham Nuwen, e avrebbe potuto costruire un impero fra le stelle. Ma il sogno di Tomas Nau andava anche oltre, perché lui disponeva già dello strumento che era mancato a Nuwen e a Tarf Lu e a tutti gli altri. Il Focus.
La realizzazione di quel sogno era lontana metà di una vita, oltre la fine dell’Esilio, in un’epoca che lui non riusciva ancora a immaginare. A volte si chiedeva se non era una pazzia spingere i suoi progetti fin là. Ma quel sogno bruciante illuminava le sue notti.
Con il Focus, lui avrebbe potuto dominare a fondo tutto ciò che sarebbe riuscito a ottenere. L’Impero degli Emergenti di Tomas Nau avrebbe dilagato nello Spazio Umano. E sarebbe stato l’unico capace di vivere per sempre.
Ufficialmente, questo era certo, la birreria di Benny Wen non esisteva. Lavorandoci nel tempo libero Benny aveva liberato e ripulito alcuni spazi non utilizzati fra i palloni interni. Con l’aiuto di suo padre li aveva poi ammobiliati, aggiungendoci un bancone, sistemi per la pulizia a zero-G e una tappezzeria-video.
Dalle pareti sporgevano ancora infissi che non potevano essere asportati, ma erano stati dipinti a colori vivaci.
Allorché il suo Turno era in attività, Pham Trinli trascorreva buona parte del suo tempo libero oziando in quel locale. E di tempo libero ne aveva molto, da quando Qiwi Lisolet aveva dovuto sostituirlo alla stabilizzazione del materiale sfuso a causa di un lavoro alquanto rabberciato.
L’odore dell’orzo e del luppolo giunse alle nari di Trinli mentre apriva la porta per entrare. Alcune gocce di birra zigzagarono nell’aria e furono risucchiate dal filtro sopra la porta.
— Ehilà, Pham. Dove diavolo t’eri cacciato? Prendi una sedia. — I frequentatori del bar di Benny erano seduti presso il soffitto della sala giochi. Il loro tono era amichevole, ma in realtà lo stavano prendendo in giro. Trinli indirizzò loro un cenno di saluto e andò a sedersi allo stesso tavolo. Avrebbe preferito mettersi dall’altra parte della sala, ma gli altri tavoli erano occupati.
Trud Silipan agitò una mano verso il gestore, che fluttuava dietro il bancone. — Ehi, Benny, ragazzo, manda un po’ di roba e qualche birra da queste parti. E aggiungine una grossa per il nostro genio militare, che deve lubrificarsi la lingua.
Tutti risero, anche perché la replica del vecchio alla battuta fu un grugnito di indignazione. Trinli aveva lavorato duro per farsi la fama di uno che le sparava grosse sul proprio passato. Volevate sentire il resoconto di un’azione militare sanguinosa? Bastava sedersi nella stessa stanza con Pham Trinli quando aveva un globo di birra in mano. Naturalmente se avevate una certa esperienza di cose del genere potevate capire che erano storie in buona parte inventate… o che, quando non lo erano, la parte dell’eroe l’aveva in realtà fatta qualcun altro. Trinli si guardò attorno. Come al solito, più di metà dei clienti erano Emergenti della classe sociale dei Seguaci, ma nei loro gruppetti c’erano anche dei Qeng Ho. Erano trascorsi oltre sei anni dalla Riaccensione e dal “massacro di Diem”, ma per la maggior parte dei presenti erano meno di due anni di vita. I Qeng Ho superstiti s’erano adattati. Non si poteva dire che fossero stati assimilati dagli Emergenti ma, come Trinli, erano diventati parte integrante dell’Esilio.
Hunte Wen fluttuò attraverso la sala, con una reticella piena di bulbi e le tavolette di dolciumi che lui e Benny si procuravano illegalmente. Le chiacchiere tacquero un momento intanto che distribuiva le ordinazioni, ricevendone in cambio una firma sui pagherò stampati da lui.
Pham prese un bulbo di birra. Il contenitore era nuovo. Benny aveva dei parenti con le squadre che lavoravano sulle materie prime. L’impianto per il trattamento dei gas inghiottiva aria-neve, ghiaccio, terreno scavato dagli asteroidi di diamante, e produceva una quantità di sostanze compresa la plastica per i bulbi e i mobili.
Quel giorno sui bulbi c’era un’incisione artistica: “Birreria del Diamante Spaziale”, e Trinli la osservò con un sorriso mentre beveva. La novità era stata notata anche dagli altri, e Silipan commentò: — Ehi, Hunte, l’hai fatto tu questo disegno?
Il più anziano dei due Wen sorrise e annuì.
— Non credevo che tu fossi un artista. Mi sembrava che fossi una specie di scienziato, prima che ti de-focalizzassero.
— Un astrofisico. Io… uh, non ricordo molto di quella roba, adesso. Sto cercando di imparare altre cose.
Gli Emergenti chiacchierarono con Hunte Wen per qualche minuto. Erano cordiali — salvo Silipan — e sembravano sinceramente interessati alla salute mentale dell’anziano Qeng Ho. Trinli non aveva conosciuto Hunte Wen prima dell’attacco, ma gli avevano detto che era uno studioso di carattere cordiale. Be’, il carattere cordiale gli era rimasto. Sorrideva molto, anche se con l’aria di scusarsi di qualcosa. La sua personalità era come un vaso che fosse stato fatto a pezzi e poi incollato alla meglio; dava un’impressione di fragilità.
Wen intascò i pagherò e fluttuò verso il banco. Si fermò a mezza strada, girandosi verso la tappezzeria-video di una parete su cui si vedeva la collinetta del materiale sfuso e il sole, e rimase lì. Sembrava dimentico di tutto, catturato dai misteri della stella OnOff. Trud Silipan ridacchiò e si rivolse a Trinli. — Peggio di un ubriaco, eh? La maggior parte dei de-focalizzati non sono così.
Benny Wen lasciò il bancone e portò suo padre in un’altra stanza. Benny era uno degli arrabbiati, probabilmente il più noto fra quanti avevano fatto parte del complotto di Diem.
Le chiacchiere tornarono agli argomenti importanti del giorno. Jau Xin voleva trovare una donna disposta a trasferirsi dal Turno A al Turno B. Sua moglie aveva lavorato per tanto tempo in un altro Turno che alla fine lo aveva lasciato. Era una delle cose che ancora dovevano essere chiarite col caponave o col vice caponave, ma qualcuno disse che diverse donne Qeng Ho avevano già ottenuto favori del genere, in cambio di altre prestazioni. — Questi dannati Mercanti mettono il prezzo su tutto — brontolò Silipan.
Trinli colse l’occasione per raccontare loro la storia — vera, in realtà, ma con tali assurdità che tutti la credettero inventata — di una missione nello spazio comandata da lui. — In quel viaggio di cinquanta anni-luce avevamo solo quattro gruppi a fare i turni di veglia. Alla fine dovetti cambiare il regolamento e permettere di avere figli durante la missione. Tutti mi furono riconoscenti, al punto che…
Silipan gli diede di gomito nelle costole.
— Ehi, quando si parla del diavolo… ecco la tua cara amica. — Ci furono alcune risate. Tutti sapevano che Qiwi Lin Lisolet lo aveva sostituito.
La ragazza era appena entrata nel locale; si girò a mezz’aria e scese accanto a Benny dietro il bancone. — Allora, Benny, hai avuto quelle cassette. Gonle può trovarti altri due… — La sua voce si abbassò e fu sommersa dalle altre. Qiwi sembrava comunque molto occupata in qualche suo affare con Benny Wen.
— Buona quella — grugnì Silipan. — Fra le femmine che sanno a chi rivolgersi per avere favoritismi, lei è la campionessa. — La cosa era ampiamente nota, ma l’uomo continuò. — Vi dirò una cosa, di questa Qiwi Lisolet. Voi sapete che io dirigo le testerapide per conto della Reynolt; forniamo assistenza agli annusatori di Ritser Brughel. Io ho parlato con quei ragazzi. La nostra signorina Lisolet è sulla loro lista. È coinvolta in più ruberie di quanto potreste immaginare. — Indicò i mobili intorno a sé. — Ad esempio, da dove pensate che venga tutta questa plastica? Ora che ha avuto il vecchio lavoro di Pham Trinli, risterza le materie prime come piace a lei, e ruba una parte della produzione per venderla a gente come Benny.
Uno degli altri Emergenti alzò il bulbo di birra. — E Benny la rivende a gente come noi.
Tutti risero, ma Pham Trinli non li stava ascoltando. Nel guardare Qiwi Lin Lisolet vedeva, in un certo senso, se stesso. La persona che lui era stata molto, molto tempo prima. Qiwi aveva otto o nove anni, gli sembrava, all’inizio di quel viaggio, ed era cresciuta fra le stelle insieme alle squadre di turno, invece di dormire per tutto il tempo come la maggior parte degli altri. Ora si trovava immersa in una cultura completamente nuova per lei, e tuttavia sopravviveva e sapeva affrontane le sfide e i cambiamenti. Era una vincente.
Pham dimenticò i compagni di bevute. Non stava più guardando neppure. Qiwi Lin Lisolet. La sua mente era tornata a un passato distante più di tremila anni, tre millenni che per lui erano trascorsi durante tre secoli di vita soggettiva.
Camberra. Pham aveva tredici anni ed era il figlio più giovane di Tran Nuwen, Re delle Terre del Nord. Pham era cresciuto fra intrighi di palazzo, veleni e sanguinosi episodi di cappa e spada, in un freddo castello di pietra sulla costa di un mare selvaggio. Se la sua vita si fosse svolta lì, lui sarebbe finito vittima di qualche tranello… o forse sarebbe diventato Re. Ma all’età di tredici anni il suo mondo era cambiato. Un mondo che ricordava la radio e il volo soltanto nelle leggende era stato contattato da una flotta di commercianti interstellari, i Qeng Ho. Pham ricordava ancora la spianata che i propulsori delle loro navette avevano sgombrato dalle erbacce, a sud del castello. In un solo anno la politica feudale di Canberra era stata sovvertila.
I Qeng Ho avevano investito denaro in quella spedizione formata da tre grandi astronavi, convinti che i coloni avessero sviluppato interessanti novità tecnologiche dai tempi del loro arrivo sul pianeta. Scoprire che neppure il regno del padre di Pham poteva rifornirli di carburante era stata una brutta sorpresa. Due delle astronavi erano state costrette a restare in orbita, in attesa di tempi migliori. La terza era ripartita, per una missione di recupero che comunque si prospettava altrettanto lunga. E Pham era stato condotto via su quell’astronave, non come ostaggio ma per volontà di suo padre, che contava di usarlo per stabilire un legame permanente coi mercanti interstellari. Le cose non erano andate esattamente così. Secoli dopo Pham era tornato su Camberra, abbastanza ricco da comprare metà del pianeta, ma non aveva trovato più nessuna traccia della sua famiglia e delle persone che aveva amato, salvo un breve accenno a suo padre sui libri di storia. Tutto era stato inghiottito dal tempo e dimenticato.
Come Qiwi Lin Lisolet, anche Pham era diventato adulto nel vuoto fra le stelle. E come Qiwi, aveva perso le sue radici e non apparteneva più a nessun luogo e nessun popolo.
Qualcuno lo stava scuotendo per una spalla. — Ehi, Trinli… Trinli! Non ti senti bene? — Era Jau Xin, e lo scrutava con aria preoccupata.
— Uh? Oh, sicuro, sto benissimo. — Trinli si schiarì la voce. — Stavo solo pensando, tutto qui.
Quella frase provocò qualche risata intorno al tavolo. — Sognare a occhi aperti è una brutta abitudine, vecchio mio — disse Xin. — L’aveva anche mio zio Ector. Un giorno, dovendo uscire nello spazio per delle riparazioni, andò a sedersi nel compartimento stagno e diede il via al ciclo. Solo mentre il portello esterno si apriva, si accorse all’improvviso di essersi dimenticato qualcosa. Lo trovarono alla deriva tre giorni dopo. Senza la tuta a pressione.
In effetti, il vizio di sognare a occhi aperti Pham l’aveva avuto fin da quando aveva lasciato Camberra. A volte s’immergeva del tutto nei ricordi o nei suoi piani, come gli altri s’immergevano nei video, e invece di tirarne fuori un guadagno, questo gli era servito a perdere qualche buon affare. Gettando un’occhiata al banco vide che Qiwi se n’era andata. Fra gli Emergenti la povera ragazza aveva trovato solo morte e inganni, ma sembrava che se la stesse cavando bene.
— Stiamo cominciando ad avere delle ottime traduzioni — disse Trud Silipan. Il discorso era passato sui Ragni. — Io sono responsabile dei traduttori testerapide della Reynolt. — In realtà l’uomo era più un inserviente che un Dirigente, ma nessuno glielo fece notare. — Ogni giorno si accumulano altre notizie sulla civiltà di queste creature, secondo me piuttosto disgustose.
— C’è una cosa che non capisco — disse Marc Ermin. — Tutti dicono che questa è una colonia tornata allo stato primitivo. Ma se i Ragni si trovano anche in altri posti dello spazio, perché non abbiamo mai captato le loro trasmissioni?
— È una cosa di cui abbiamo già parlato — disse Trinli. — Arachna deve essere per forza una colonia. Le condizioni sono troppo ostili alla vita. Non che non possa nascere anche qui, visto che nasce perfino sui meteoriti, ma dopo qualche decennio viene subito uccisa.
— Forse i Ragni non usano la radio — disse un altro.
— Questi la usano. Lo spazio era pieno delle loro onde radio già quando siamo partiti per questo viaggio.
— Può darsi che la loro civiltà sia lontana. Noi possiamo ricevere onde ancora decifrabili solo da questa fettina della galassia.
— Oppure sono così progrediti che hanno smesso di usare la radio.
Era una discussione vecchia, uno dei misteri che avevano attratto gli esseri umani a organizzare una missione verso OnOff. Di certo anche questo aveva contribuito alla decisione di Trinli di unirsi a essa.
E in effetti Trinli aveva trovato qualcosa di nuovo, qualcosa di tanto rilevante da fargli apparire secondario l’enigma dell’origine dei Ragni. Aveva trovato il Focus. Con il Focus, gli Emergenti potevano trasformare le loro menti più brillanti in autentiche macchine per pensare. E ora gaglioffi come Trud Silipan potevano sfiorare un tasto e ottenere una traduzione. Un mostro come Tomas Nau poteva avere occhi che sorvegliavano per lui, giorno e notte, e mani instancabili e fedeli al suo servizio. Il Focus dava agli Emergenti un potere che nessun padrone di schiavi aveva mai avuto, e una sottigliezza di analisi sconosciuta a qualsiasi cervello umano o artificiale. Molti tiranni del passato dovevano aver sognato qualcosa di simile, ma nessuno l’aveva mai avuto.
Ascoltando i discorsi di Silipan, Trinli capì che un altro stadio del suo piano aveva finalmente avuto inizio. Gli Emergenti di basso rango accettavano la sua presenza. Tomas Nau lo tollerava, perfino Brughel sembrava compiaciuto dalla possibilità di punzecchiarlo e fargli ogni tanto qualche soperchieria. Era il momento di apprendere qualcosa di più sul Focus. Apprendere da Silipan, dalla Reynolt, e infine forse anche l’aspetto tecnico della cosa.
Pham Nuwen aveva cercato di costruire una civiltà nel vuoto che univa i mondi dello Spazio Umano. Per qualche secolo gli era parso che il successo fosse a portata di mano, ma alla fine era stato tradito. O forse ciò che era accaduto a Brisgo Gap era stato inevitabile. Un impero interstellare significava distanze eccessive, tempi eccessivi. La verità e la giustizia non bastavano a tenerlo unito. Occorreva un elemento in più.
Pham Trinli alzò il suo bulbo di birra e brindò in silenzio, senza che nessuno notasse quel gesto. Brindò alla lezione del passato e alla promessa del futuro. Questa volta avrebbe saputo come far funzionare le cose.
I primi due anni di vita soggettiva di Ezr Vinh dopo la Riaccensione si svolsero nell’arco di otto anni di tempo reale. Come un bravo comandante Qeng Ho, Tomas Nau centellinava i periodi di veglia del personale in base alle strette esigenze di lavoro. Qiwi e la sua squadra erano fuori dal sonno freddo più spesso di altri, ma stavano rallentando il ritmo.
Anche gli astrofisici di Anne Reynolt erano tenuti occupati. OnOff continuava a muoversi lungo l’immensa curva che aveva seguito in passato. A chi la osservasse ora per la prima volta sarebbe apparsa come una normale stella di classe G, completa di macchie solari.
Le trasmissioni radio da varie zone di Arachna erano riprese pochi giorni dopo la Riaccensione, quando il pianeta cominciava a essere spazzato da violentissime tempeste. Evidentemente la fase Off del sole aveva interrotto una guerra locale. Da lì a un paio d’anni erano entrate in funzione dozzine di stazioni radio su due continenti. Ogni due secoli queste creature erano costrette a ricostruire tutte le loro strutture di superficie quasi dalle fondamenta, ma sembrava che fossero rapidi ed efficienti. Quando nella coltre di nuvole erano apparsi i primi squarci, chi osservava dallo spazio aveva potuto vedere città e strade già in fase di avanzata ricostruzione. Non erano state notate operazioni belliche di rilievo.
Il quarto anno le stazioni radio erano salite a duemila, con sede in edifici di superficie e ripetitori sparsi ovunque. Questo aveva segnato l’inizio di un nuovo periodo di lavoro per Trixia Bonsol e gli altri linguisti, che dalla lingua scritta erano passati allo studio di quella parlata.
Quando erano di turno nello stesso periodo — e ormai capitava spesso — Ezr faceva visita a Trixia Bonsol ogni giorno. Dapprima Trixia era stata più remota che mai. Non sembrava sentire neppure ciò che lui diceva, e nel suo cubicolo risuonavano le chiacchiere radio dei Ragni. All’inizio il sonoro era uno squittio acuto che cambiava di continuo mentre Trixia e gli altri linguisti focalizzati determinavano lo spettro acustico dei Ragni per trasformarlo in rappresentazioni audio e video. Alla fine Trixia aveva ottenuto i dati necessari all’analisi di quella che non era una lingua molto adatta agli orecchi umani.
Poi erano cominciate le traduzioni. I traduttori focalizzati della Reynolt prendevano tutto ciò che capitava e producevano migliaia di parole semi-intellegibili al giorno. Trixia era la migliore. Questo era stato chiaro fin dal principio. Era stato il suo lavoro sui testi di fisica a produrre i primi risultati effettivi, ed erano state le sue analisi a consentire le prime vere traduzioni della lingua parlata. Anche a confronto degli esperti linguisti Qeng Ho, Trixia primeggiava. Quanto ne sarebbe stata orgogliosa, se l’avesse saputo. — La Bonsol è indispensabile — aveva decretato Anne Reynolt nel suo tipico tono piatto, esente da emozioni. Trixia Bonsol non sarebbe stata de-focalizzata entro tempi brevi com’era successo a Hunte Wen.
Ezr cercava di leggere tutto ciò che i traduttori producevano. Dapprima si trattava del tipico caos di ipotesi da lavori in corso, dove da ogni frase uscivano una dozzina di freccette puntate a significati alternativi, parole fra parentesi e altre seguite da commenti e punti interrogativi. Ma dopo qualche Msec le traduzioni avevano cominciato a diventare leggibili. C’erano degli esseri viventi laggiù su Arachna, e quelle erano le loro parole.
Alcuni dei linguisti focalizzati non andarono mai oltre le traduzioni irte di freccette e punti interrogativi. Furono intrappolati dai significati ipotetici e lì restarono, incapaci di capire lo spirito di quegli alieni. A quel punto tuttavia i dati culturali arrivavano a mucchi. Una delle prime cose apprese fu che i Ragni non avevano alcun ricordo di una società più evoluta dalla quale fosse discesa l’attuale.
— Non c’è alcun accenno a un’antica epoca d’oro della tecnologia.
Nau guardò la Reynolt, perplesso. — Questo è sospetto. Anche sulla Vecchia Terra, dove quest’epoca non c’è mai stata, esistevano miti e leggende del più remoto passato.
La Reynolt scrollò le spalle. — Io le sto dicendo solo che ogni allusione a una tecnologia perduta è estranea all’attuale livello culturale. Ad esempio, per quanto ne sappiamo l’archeologia dei Ragni è considerata una scienza insignificante.
— Che l’Epidemia se li porti! — sbottò Brughel. — Se questi esseri non hanno nessuna astronave da scavar fuori dal loro passato, il denaro che abbiamo investito per arrivare qui è stato buttato via!
Peccato che non ci abbiate pensato prima di partire, pensò Ezr.
Nau sì accigliò, sorpreso da quella spiacevole notizia, ma non fu d’accordo con Brughel.
— Abbiamo comunque i risultati del dottor Li. — Il suo sguardo passò sui Qeng Ho seduti intorno al tavolo, ed Ezr fu certo che nella mente dell’Emergente passava una considerazione: E poi c’è anche la biblioteca tecnica dei Qeng Ho. E i Mercanti che possono aiutarci a esplorarla.
Trixia ora lasciava che Ezr la toccasse, a volte per pettinarla o pulirle la faccia, a volte per metterle una mano su una spalla. Forse lui aveva trascorso in quel cubicolo tanto tempo che la ragazza lo vedeva come un pezzo del mobilio, o un meccanismo attivato a voce. Di norma Trixia lavorava con lenti a contatto proiettive, e talora questo dava a Ezr l’illusione confortante che lei lo stesse davvero guardando in faccia. La ragazza rispondeva perfino alle sue domande, a patto che restassero su argomenti compresi nel suo Focus e non interrompessero le sue conversazioni coi computer o con gli altri traduttori.
Per la maggior parte della sua lunga giornata lavorativa Trixia sedeva nella penombra, ascoltando e traducendo nello stesso tempo. Parecchi traduttori lavoravano così, come robot. In lei c’era però qualcosa di più, o così a Ezr piaceva pensare: come gli altri, Trixia analizzava la frase e la traduceva, ma non inseriva fra una parola e l’altra dozzine di interpretazioni e strani simboli. Le traduzioni della giovane donna sembravano cercare il significato che stava nei cervelli di chi parlava, cervelli per cui il mondo dei Ragni era l’unico naturale e normale. Le traduzioni di Trixia Bonsol erano… artistiche.
Non era l’arte ciò che Anne Reynolt cercava. Dapprima la donna aveva poco di cui lamentarsi. I traduttori adottavano un’ortografia non umana per una lingua fatta di lettere inesistenti nell’alfabeto umano. Ad esempio usavano combinazioni come x* e )n oppure &f e a2, e questo le rendeva goffe. Quando dovevano tradurre la risposta a una domanda come «Che ore sono?» essi scrivevano: È la (sono le) unità/temporale/primaria 6 (circa 1 ora prima dell’alba) più unit/temp/secondaria 23 (14,35 minuti circa).
Trixia non usava questo metodo, preferendo tradurre semplicemente Sono le sei e ventitré.
Un giorno la Reynolt minacciò Ezr di escluderlo dalla stanza da lavoro di Trixia, il che significava escluderlo dalla sua vita. — Qualunque cosa lei stia facendo, Vinh, ciò disturba i risultati pratici della Bonsol. Guardi cosa scrive qui: «Questa macchina sportiva fa venti chilometri con un litro di kerosene». E qui: «Mi trovo a venti metri da voi e sto prendendo un sacco di venti chili». Come si può giustificare l’uso di queste unità di misura?
— Che vuol dire? — domandò Ezr.
— Mi sembra ovvio. Le unità di misura per la velocità, il peso eccetera non possono essere tradotte con termini umani, salvo che il loro “chilo” sia effettivamente mille grammi, o il loro “metro” cento centimetri standard, cosa che mi sembra improbabile. Termini come “sportiva” e “kerosene” potrebbero essere usati solo se i Ragni praticassero lo sport su auto, e se il carburante che adoperano fosse l’esatto derivato del petrolio che noi indichiamo con quel nome. E non mi risulta che sia così.
— Trixia sta facendo esattamente quel che deve fare, Reynolt. Lei ha lavorato troppo coi robot… non mi dica che hanno finito col piacerle più degli esseri umani.
Una cosa bisognava dirla di Anne Reynolt: pur essendo rude anche secondo gli standard Emergenti non era vendicativa e non faceva una questione personale delle critiche. Con lei si poteva discutere. Ma se gli avesse impedito di vedere Trixia…
La bionda lo guardò un momento. — Lei non è un linguista, Vinh.
— Sono un Qeng Ho. Per trattare con centinaia di culture umane noi dobbiamo capire il loro cuore. Voialtri non vi siete ancora mossi da questa zona dello Spazio Umano e conoscete le trasmissioni di questa zona, ma ci sono lingue così diverse che non immaginate neppure.
— Infatti. Ecco perché queste ridicole semplificazioni non sono accettabili.
— Mi creda, voi avete bisogno di gente che capisca la mente di questi alieni, che possa mostrarci ciò che è importante nelle loro parole. Che Trixia chiami “chilometro” ciò che non è esattamente lungo un chilometro può sembrare sciocco, è vero. Ma questa loro “Alleanza” è una società giovane, viva, e per comunicare con loro bisogna essere nello spirito del loro linguaggio quotidiano.
— Non sono d’accordo. Osservi questi nomi “Sherkaner Underhill” e “Iaeber Lendarie”. La Bonsol li traduce separando il nome dal cognome, mentre nella loro lingua nomi e cognomi vengono pronunciati come un’unica parola.
— Trixia lo sa benissimo, ma lo fa per dare a noi il senso che il primo individuo appartiene alla famiglia Underhill e il secondo alla famiglia Lendarie. Ci sarebbe difficile capire che le cose stanno così se mitragliassimo nome e cognome in una sola parola.
La Reynolt restò zitta per un lungo momento, guardando nel vuoto. A volte ciò significava che la discussione era finita e che lui poteva andare. Altre volte, che lei stava facendo uno sforzo per capire. — Così lei afferma che la Bonsol ci dà una traduzione personalizzata, basata su una sua comprensione più istintiva di questa cultura.
Era una tipica analisi di Anne Reynolt, fredda e precisa. — Sì! — rispose Ezr. — Io capisco che lei preferisca una traduzione irta di significati alternativi, poiché la nostra comprensione non è ancora completa. Ma lo scopo di una traduzione sta nel comunicare, nel darci il senso viscerale di ciò che l’altro pensa e vuole.
Anne Reynolt accettò con un secco cenno del capo la spiegazione di Ezr. Comunque anche Nau preferiva le semplificazioni. Col trascorrere del tempo anche gli altri traduttori adottarono buona parte della metodologia di Trixia. Ezr dubitava che uno qualsiasi degli Emergenti non-focalizzati fosse all’altezza di giudicare il lavoro dei linguisti. Ma nonostante la fiducia che aveva dichiarato di avere in Trixia, Ezr era perplesso. La rappresentazione della società dei Ragni che usciva dalle traduzioni della ragazza era troppo simile all’Era dell’Alba sulla Vecchia Terra, che lui le aveva insegnato ad amare prima dell’attacco degli Emergenti. Anne Reynolt le aveva definite “traduzioni personalizzate”, ma lui ci vedeva troppe coincidenze sospette e sapeva dove Trixia le aveva attinte.
La ragazza parlava di “mani” e “schiena” e “testa” come se volesse umanizzare la natura fisica dei Ragni. Forse era comprensibile, considerando che molti umani provavano ancora ripugnanza per i ragni. Ma quelle creature erano radicalmente diverse dai ragni, più aliene in quanto a forma e ciclo vitale di qualsiasi altra razza mai conosciuta dall’umanità. Alcuni dei loro arti superiori avevano la funzione di mandibole, e non avevano niente di simile alle mani e alle dita umane. Non si poteva dire che avessero braccia, poiché usavano alcune delle loro molte zampe per manipolare gli oggetti. Queste differenza erano invisibili nelle traduzioni di Trixia, che invece parlava di mani e braccia. Ogni tanto si concedeva l’uso di “mano puntuta” riferendosi forse allo stiletto che una delle loro zampe poteva sporgere, o “mani di mezzo” o “mani nutritive”, ma questo era il massimo a cui arrivava. Stava antropoformizzando molto i Ragni, e benché Ezr ci vedesse dei lati positivi, era perplesso.
Su Arachna erano stati inventati anche i programmi radio per i piccoli (o almeno, Trixia pensava che fossero tali). Lei traduceva il titolo con “L’ora della scienza per i piccoli” (se non altro, non li chiamava “bambini”) e questa trasmissione era diventata una delle loro fonti migliori per la comprensione dei Ragni. Era un ideale miscuglio di istruzione scientifica e linguaggio semplificato accessibile a tutti. Nessuno sapeva se avesse lo scopo di istruire i piccoli oppure soltanto di divertirli. C’era perfino il caso che facesse parte dell’addestramento di reclute militari ignoranti. Tuttavia il titolo di Trixia aveva fatto presa, e dava un’immagine innocente e fanciullesca dei Ragni. Il pianeta Arachna di Trixia somigliava ai bucolici resoconti dell’Era dell’Alba. A volte, quando Ezr aveva trascorso con lei un’intera giornata senza che la ragazza gli dicesse una sola parola, quando il Focus di lei era così rigido da impedirle ogni comportamento umano… a volte Ezr si chiedeva se quelle traduzioni fossero la vecchia Trixia, intrappolata nella più efficace schiavitù di tutti i tempi eppure ancora capace di tendere una mano supplichevole verso l’esterno. Il mondo dei Ragni era il solo posto che il Focus le permettesse di guardare. Forse distorceva ciò che udiva per creare un sogno di felicità nell’unico modo che le era rimasto.
Era la fase media del sole, e Principalia aveva ritrovato quasi tutta la sua bellezza. Negli anni più freschi che si preparavano ci sarebbero state altre costruzioni edili: il teatro all’aperto, il Palazzo del Sole Calante, l’Università Arboricola, Ma per l’inizio del 60/19 il piano stradale risalente a vane generazioni addietro fu di nuovo completato, la zona centrale degli affari era finita, e l’università teneva corsi regolari per tutto l’anno.
Anche per altri verso l’anno 60/19 sarebbe stato diverso dal 59/19, e ancor più diverso da tutti gli anni corrispondenti delle generazioni precedenti. Il mondo era entrato nell’Era della Scienza. Sulla pianura accanto al fiume, dove un tempo c’erano state fattorie e risaie, ora sorgeva un moderno aeroporto. Antenne di ripetitori radiofonici incoronavano tutte le colline intorno alla città, e di notte le loro rosse luci di segnalazione potevano essere viste da molti chilometri di distanza.
Nel 60/19 la maggior parte delle città dell’Alleanza mostravano cambiamenti simili. Lo stesso era accaduto ai grandi centri abitati di Tiefstadt e di Kindred, e in grado minore in altre nazioni meno sviluppate. Ma anche per gli standard della nuova epoca Principalia era una città speciale. Nulla era visibile dall’esterno: e tuttavia venivano posti i semi di una nuova grande rivoluzione.
Hrunkner Unnerbai giunse in volo a Principalia in un piovoso mattino di primavera. Un taxi lo condusse dall’aeroporto alla riva del fiume, nel centro della città. Unnerbai era cresciuto a Principalia, e la sua vecchia compagnia di costruzioni era stata lì. Arrivò prima dell’orario di apertura dei negozi, con gli addetti alla pulizia stradale che si scostavano svelti davanti alla vettura. Una spruzzata di pioggia aveva lasciato le botteghe e gli alberi imperlati di goccioline multicolori. A Unnerbai piaceva la città vecchia, dove molte fondamenta sopravvivevano da più di tre o quattro generazioni. Le porte si aprivano in silenzio e senza che si vedessero inservienti. Più avanti c’era un palazzo dannatamente grosso.
Sherkaner Underhill lo stava aspettando nel parcheggio circolare, un po’ fuori posto davanti a quell’ingresso monumentale. La pioggia era appena una gradevole nebbiolina, ma Underhill aprì un ombrello mentre si faceva avanti ad accoglierlo.
— Ben arrivato, sergente! È un piacere! Dopo tanti anni che insisto per averti ospite nella mia modesta casa sulla collina, ecco che sei finalmente qui.
Unnerbai pagò il taxi e si mise la borsa sulla schiena. — Anche per me è un piacere. Allora, che mi dici?
— Ho molte cose da mostrarti… a cominciare da due piccoli ma importanti personaggi. — Underhill scostò l’ombrello, e due teste spuntarono dalla peluria della sua schiena. I due piccoli si reggevano saldamente al loro padre. Non erano già grandi come i piccoli nati nei primi tempi della Luce, ma sembravano già abbastanza consapevoli. — La piccola è Rhapsa, e il maschio si chiama Hrunkner.
Unnerbai si avvicinò, cercando di avere un’aria casuale.
Forse hanno chiamato Hrunkner il maschio per pura amicizia. Dio della profonda terra! — È un vero onore conoscervi — disse. In genere Unnerbai non se la intendeva molto coi piccoli. Addestrare reclute era la sua esperienza più vicina alla cosa. Si augurò che questo spiegasse a Underhill il suo disagio.
I piccoli parvero avvertire la disapprovazione in lui, e subito si ritirarono intimiditi fuori vista.
— Non farci caso — disse Underhill con la solita noncuranza. — Verranno fuori a giocare, quando saremo in casa.
Underhill lo precedette nell’interno, parlando di tutte le cose che aveva da fargli vedere e di quanto fosse lieto della sua visita.
Unnerbai notò che gli anni lo avevano cambiato, fisicamente, almeno. La penosa magrezza era scomparsa, dopo chissà quante cure. Il pelame sulla sua schiena era folto e paterno; strano vederne uno così in quella fase del sole. Il tremito della testa e della parte anteriore del corpo era più evidente di quel che Unnerbai ricordava.
Attraversarono un atrio largo come quello di un albergo, e scesero un’ampia spirale di scale da cui si dipartivano le molte ali di quella che Underhill aveva definito la sua “modesta casa sulla collina”. C’erano molte persone, forse servi, anche se non indossavano la livrea usualmente richiesta dai super-ricchi. In realtà vi si respirava l’atmosfera burocratica delle grosse corporazioni, o delle proprietà del governo. Unnerbai interruppe le chiacchiere dell’altro: — Questa è tutta una facciata, vero, Sherkaner? Il Re non ha venduto l’edificio, lo ha soltanto assegnato a voi. — Al Servizio Informazioni.
— Non proprio. Il terreno è di mia proprietà; l’ho comprato io. Ma faccio un sacco di consulenze, e Victreia… voglio dire, il Servizio Informazioni dell’Alleanza… ha deciso che la sicurezza sarebbe stata meglio tutelata installando qui i laboratori. Ho delle cosette da mostrarti.
— Già, questo è il motivo della mia visita. A mio parere tu non stai lavorando sulle cose giuste, Sherkaner. Hai spinto la Corona a imbarcarsi in questa impresa e… qui possiamo parlare liberamente?
— Si capisce.
Di solito Unnerbai avrebbe dubitato di un’assicurazione gettata lì in tono tanto casuale, ma stava cominciando ad accorgersi che l’edificio era impenetrabile. C’erano varie cose progettate da Sherkaner, come la spirale logaritmica delle stanze principali, ma si vedeva anche il tocco di Victreia: le guardie che stazionavano ovunque, e un che di civettuolo nei tappeti e nelle pareti.
Quel posto era sicuro quanto i vecchi laboratori di Sherkaner a Comando Territoriale. — D’accordo, tu hai convinto la Corona a impegnarsi a fondo in questa impresa. Io sto utilizzando più personale e più risorse di un miliardario, e ho sotto di me individui capaci e geniali quanto te. — In realtà Unnerbai era ancora sergente, anche se il suo lavoro era uscito dai ranghi oltre ogni immaginazione. La sua vita, in quei giorni, era il sogno drogato di un imprenditore.
— Lo so. Victreia ha molta fiducia in te. — Sherkaner lo pilotò in una vasta sala. C’erano scaffali e una scrivania con pile di libri, documenti e quaderni di appunti. Ma dietro gli scaffali c’era una rastrelliera giunglo-ginnica, e fra le altre cose si vedevano dei libri per i piccoli. I due figli di Sherkaner balzarono giù dalla sua schiena e si arrampicarono sulla rastrelliera fino al soffitto, restando là a guardarli. Sherkaner scostò dei fascicoli da un trespolo basso e invitò Unnerbai a sedersi. Lui non gli permise di cambiare argomento. — Può darsi, ma tu non hai letto i miei rapporti.
— Li ho visti. Victreia me li manda, però non ho ancora trovato il tempo di leggerli.
— Be’, forse dovresti trovarlo! — Gli vengono mandati rapporti segreti e lui non ha il tempo di leggerli… lui, l’artropode che ha dato inizio a tutto questo. — Ascolta, Sherkaner, ciò che voglio dirti è che non funziona come credevi. In teoria l’energia atomica può fare tutto ciò che vuoi, ma in pratica… be’, hai prodotto una quantità di veleni mortali. Ci sono materiali come il radio, ma più facili da produrre in quantità. C’è anche un isotopo dell’uranio molto difficile da isolare, ma che può consentirci la costruzione di una bomba spaventosa, capace di sviluppare in un secondo tutta l’energia che servirebbe a una città durante la Tenebra.
— Ottimo! Questo è un buon inizio.
— Un buon inizio che potrebbe diventare una brutta fine. Io ho tre laboratori che lavorano su questa bomba. Il guaio è che siamo in tempo di pace. Questa tecnologia può filtrare ad altri, prima alle compagnie minerarie, poi alle nazioni straniere. Riesci a immaginare cosa accadrà quando i Kindred e i Tiefer e Dio sa chi altri sapranno come costruire simili ordigni?
Questo parve penetrare l’armatura di noncuranza di Underhill. — Sì, sarebbe molto spiacevole. Io non ho letto i tuoi rapporti, ma Victreia è sempre aggiornatissima. La scienza moderna ci offre meraviglie e anche pericoli. Non possiamo avere le une senza gli altri. Ma sono convinto che per sopravvivere dovremo giocare questa partita. Tu hai considerato solo una parte della cosa. Ascolta, Victreia può farti avere altri fondi. Se ti occorrono laboratori nuovi, personale qualificato…
— Sherkaner, hai sentito parlare di cosa accade “quando si forza la curva dell’apprendimento”?
— Be’, uh… — Era chiaro di sì.
— In questo momento, se io avessi tutto il denaro del mondo potrei darti un impianto capace di scaldare una città. Ogni pochi anni soccomberebbe però a difetti catastrofici, e anche quando funzionasse “bene” produrrebbe acqua e vapori così radioattivi che gli abitanti della tua città sarebbero morti dopo dieci anni di Tenebra. Oltre un certo limite, rovesciare fiumi di denaro e di tecnici sulla cosa non diminuirebbe il problema.
Sherkaner non rispose subito. A Unnerbai parve che l’attenzione dell’amico fosse tornata sulla rastrelliera giunglo-ginnica e sui due piccoli.
La sala era una bizzarra combinazione del vecchio caos intellettuale di Underhill e della nuova paternità. Al suolo c’erano tappeti costosi, alle pareti dei lavori artistici, le finestre erano pannelli di quarzo alti dal pavimento al soffitto e l’odore delle felci primaverili entrava attraverso le inferriate. Ovunque c’erano lampade elettriche, in quel momento spente.
La sola luce era quella che filtrava fra le alte felci, ma bastava a Unnerbai per leggere i titoli dei libri più vicini. C’erano testi di psicologia, di matematica, di elettronica, anche uno di astronomia, e molti di storie illustrate per bambini. I libri erano ammucchiati anche sul pavimento fra i giocattoli dei piccoli e sofisticati apparecchi di laboratorio, e non era chiaro se fossero più importanti i primi o i secondi.
Alla fine Underhill disse: — Hai ragione, il denaro da solo non fa il progresso. Occorre tempo per fare le macchine che fanno le macchine e così via. Ma abbiamo ancora venticinque anni, e il generale mi dice che sei un genio nel dirigere un’operazione così complessa.
Unnerbai grugnì scorbutico, per non mostrare quanto contava per lui quell’elogio. — Grazie tante. Ma io ti sto dicendo che tutto questo non basta. Se vuoi che la cosa sia fatta in meno di vent’anni, occorre di più.
— Sì, e cosa?
— Occorri tu, dannazione! Il tuo intuito. Fin dai primi anni del progetto stai rintanato qui a Principalia, facendo solo Dio sa cosa.
— Ah… senti, Hrunkner, mi dispiace. Questa roba atomica non mi interessa più come una volta.
Dopo tutti gli anni dacché conosceva Underhill, Unnerbai non avrebbe dovuto stupirsi di una frase del genere. Invece gli venne l’impulso di mordersi le mani. Ecco qui un individuo che abbandonava un campo di studi ancor prima che gli altri sapessero della sua esistenza. Se fosse stato un pazzoide, Unnerbai avrebbe saputo cosa fare. A volte aveva provato la tentazione di uccidere quel dannato artropode.
— Sì — proseguì Underhill. — Hai bisogno di altra gente in gamba. Io ho lavorato anche su questo, e dovrò mostrarti alcune cose. Ma anche così — disse, buttando altro olio sul fuoco, — secondo me l’energia atomica si rivelerà perfino facile, a confronto di altre sfide.
— Altre sfide. Ah sì? E quali?
Sherkaner rise. — Allevare dei figli, per dirne una. — Indicò l’antico orologio a pendolo contro una parete. — Pensavo che gli altri artropodi sarebbero stati qui, a quest’ora. Be’, forse intanto potrei mostrarti l’istituto. — Scese dal suo trespolo e cominciò a fare gesti, nel ridicolo modo dei genitori quando chiamavano i figlioletti. — Venite giù, avanti. No… Rhapsa, stai lontana dall’orologio! — Troppo tardi: i piccoli erano già scesi dalla giunglo-ginnica balzando sul pendolo, e si lasciarono scivolare fin sul pavimento. — Ho tanta di quella roba, qui, che temo sempre che qualcosa cada loro addosso e li schiacci. — I due attraversarono la sala, s’inerpicarono fino agli appigli sul dorso del padre e scomparvero fra la peluria. Erano poco più grossi delle fate di bosco.
Underhill aveva ottenuto che il suo istituto fosse equiparato a una Scuola Reale. La casa sulla collina conteneva un buon numero di aule, sparse sull’arco del perimetro esterno. E non erano i fondi della Corona a pagare le spese, a sentir lui. Buona parte delle ricerche erano pagate da ditte private, che investivano il loro denaro sulla reputazione di Sherkaner Underhill. — Avrei potuto prendermi i migliori insegnanti delle Scuole Reali, ma ho voluto essere onesto e fare un patto con gli altri istituti: i professori da me assunti possono continuare a insegnare da loro, purché lo facciano nel tempo libero. Qui mi aspetto soltanto lavoro di ricerca.
— Non fanno lezioni in classe?
Quando Sherkaner scrollava le spalle, i due piccoli saltavano su e giù e mandavano striduli miip-miip, che probabilmente significavano “fallo ancora, papà!”.
— Sì, abbiamo delle classi… una specie. La cosa importante è che gli insegnanti di materie diverse possano parlare fra loro durante il lavoro. Per gli studenti un corso cosi informale è un rischio, ma quelli brillanti ne traggono un vantaggio, mentre gli altri dopo un po’ tornano nelle scuole normali.
In molte classi c’erano due o tre persone alla lavagna, e gli altri appollaiati attorno su trespoli bassi. Era difficile capire chi fossero gli insegnanti e gli studenti. In alcuni casi Unnerbai non riuscì neanche a capire di che materia parlassero. Si fermarono davanti a un’aula dove un artropode della generazione attuale stava facendo lezione a un gruppo della generazione precedente. Quando si volsero, Sherkaner sorrise e accennò loro di continuare. — Ricordi l’aurora che abbiamo visto in cielo, nella Tenebra Profonda? Qui ho un giovane che afferma che è stata causata da oggetti nello spazio, cose completamente oscure.
— Non erano oscure quando le abbiamo viste.
— Infatti. Forse hanno qualcosa a che fare con l’innesco del Nuovo Sole. Io ho i miei dubbi. Jaiber non ne sa molto di meccanica celeste. La sua specialità è un’altra; sta lavorando a un apparato che può irradiare onde molto corte.
— Sì? Qualcosa tipo infrarossi o ultravioletti?
— No, si tratta di un rivelatore di tipo singolare. Dice che con il ritorno di rimbalzo di queste onde sarà possibile individuare quelle sue rocce nello spazio.
Mentre proseguivano in un corridoio Unnerbai notò che Underhill taceva, senza dubbio per dargli il tempo di assimilare quell’idea. Hrunkner Unnerbai era un tipo pratico; sospettava che fosse quello il motivo per cui il generale Smait lo voleva a capo di progetti che non sembravano aver molto di pratico. Ma anche lui poteva lasciarsi eccitare da un’idea abbastanza spettacolare. Aveva solo una vaga idea di come si comportavano le onde corte, pur sapendo che dovevano essere molto direzionali. Il valore militare di una scoperta simile poteva essere maggiore di quel che Jaiber immaginava. — Ha già costruito questo apparecchio?
Underhill si accorse del suo interesse ed ebbe un sogghigno. — Sì. E da parte di Jaiber è geniale. Lo chiama oscillatore cavo. Abbiamo montato un’antenna sul tetto. Sembra più uno specchio ustorio che un trasmettitore-ricevitore. Victreia ha fatto installare una serie di ripetitori da qui a Comando Territoriale, e possiamo parlare con lei chiaramente come via cavo. Sto usando questa linea per sperimentare fra l’altro anche le trasmissioni cifrate.
Nel caso che il “rivelatore spaziale” di Jaiber non funzioni. Sherkaner Underhill era più matto che mai, e Unnerbai cominciava a capire a cosa stava mirando e perché aveva smesso di interessarsi all’energia atomica. — Tu pensi davvero che questa scuola produrrà le menti geniali che ci servono a Comando Territoriale?
— Può trovare gente in gamba… e io credo che stiamo tirando fuori il meglio dalle scoperte fatte finora.
Salirono per una scala a spirale che poco più tardi li portò in un atrio, presso la sommità della casa-sul-colle. Intorno a Principalia c’erano colline più alte, ma la vista da lì era spettacolare anche sotto la pioggia. Unnerbai vide un trimotore che stava atterrando all’aeroporto. Sull’altro lato della valle c’erano vaste opere di scavo nel granito delle colline e strisce di asfalto fresco. Lui conosceva la ditta che eseguiva quei lavori. Era gente sicura che ci sarebbe stata energia sufficiente a tenere in vita la città durante la Tenebra. Cosa sarebbe stata Principalia, se questo era vero? Una città sotto le stelle, esposta al vuoto, e tuttavia non addormentata e con tutte le sue profondità vuote. Il rischio maggiore sarebbe stato negli ultimi anni del Sole Calante, quando la gente avrebbe dovuto decidere se prepararsi per una Tenebra convenzionale oppure giocarsi la pelle con le realizzazioni dell’ingegneria moderna. Ciò che dava gli incubi a Unnerbai non era il fallimento, ma il successo soltanto parziale.
— Papà, papà! — esclamarono, avvicinandosi, due giovani sui cinque anni. Erano seguiti da altri due artropodi giovani, ma questi abbastanza cresciuti da essere in-fase. Per molti anni Hrunkner Unnerbai aveva fatto il possibile per ignorare le perversioni del suo superiore; il generale Victreia Smait era il miglior capo del Servizio Informazioni che lui potesse immaginare, forse ancora migliore di Strut Grionval. Le sue abitudini personali non dovevano essere affar suo. Non gli era mai importato molto che lei stessa fosse nata fuori-fase; non era cosa da imputare a lei. Ma che avesse voluto dare inizio a una famiglia col Nuovo Sole, condannando i figli a quello che aveva passato lei… e non sono neppure tutti della stessa età. I due più piccoli erano saltati giù dal dorso di Underhill. Corsero sull’erba e si arrampicarono su per le gambe di quelli più grandi. Era come se Victreia Smait e suo marito sbattessero le loro anomalie sulla faccia della società. Quella visita, così a lungo evitata, si prospettava peggiore di quanto Unnerbai avesse temuto.
I due più grandi, già adolescenti, finsero per un po’ di portare i fratelli più piccoli come se ne fossero i genitori. Ma non avevano pelame, questi ultimi scivolarono giù dai loro gusci; poi si aggrapparono alle giacche dei fratelli maggiori e risalirono di nuovo, ridendo forte.
Underhill presentò i quattro al visitatore, e tutti proseguirono sull’erba umida fin sotto la protezione di una tenda. Era la più vasta e la più strana area di giochi che Unnerbai avesse mai visto in una scuola. L’equipaggiamento montato lì era misto e andava dai gimnoti verticali, adatti solo ai piccoli di due anni, ad attrezzi usabili solo dagli adulti. C’erano vasche di sabbia, alcune grosse case di bambole, e bassi tavoli da gioco con sopra libri illustrati e giocattoli.
— È colpa di Victreia Seconda se non siamo venuti giù ad accogliere te e il signor Unnerbai, papà — disse uno dei dodicenni indicando una sorella di cinque anni. — Voleva che voi veniste su, per far vedere al tuo amico tutti i nostri giocattoli.
I piccoli di cinque anni non sapevano celare i loro sentimenti. Victreia Seconda aveva ancora gli occhi da bambina. Anche se potevano muovere gli occhi di qualche grado, i piccoli di quell’età ne avevano soltanto due, e comunque dovevano voltarsi con tutto il corpo per guardare direttamente qualcuno. Era dunque facile vedere dove fosse rivolta l’attenzione di Seconda. I suoi due grossi occhi guardarono prima il padre, poi Unnerbai, quindi il fratello maggiore. — Bugiardo! — gli sibilò. — Anche tu volevi che salissero qui. — Agitò minacciosamente verso di lui le mani nutritive e venne accanto a Underhill. — Scusami, papà. Volevo farvi vedere la mia casa delle bambole. E Brent e Gokna stavano ancora facendo i compiti di scuola.
Underhill alzò le braccia anteriori per abbracciarla. — Sarebbero venuti su in ogni caso. — Si volse a Unnerbai. — Temo che il generale ti abbia messo troppo peso sulle spalle, Hrunkner.
— Tu sei davvero un ingegnere, signore? — disse l’altro piccolo di cinque anni, Gokna.
Brent, uno dei due dodicenni, non sembrava svelto di mente quanto gli altri. — Ho pensato molto ai test di papà — disse a Unnerbai, mostrandogli una complessa costruzione su uno dei tavoli. — Ora sto facendo sempre meglio. — E cominciò a montare un complesso incastro a forma di toroide.
— Test? — Unnerbai rivolse un gesto perplesso a Underhill. — Cosa stai facendo con questi tuoi figli?
Lui non sembrò avvertire la rabbia nella sua voce. — Non sono meravigliosi? Voglio dire, quando non sono come una spina nella pancia.
Una dei due piccoli di cinque anni, Gokna, venne a danzare davanti a loro. — Sedetevi a giocare un poco con noi — esclamò. — Voglio far vedere al signor Unnerbai cosa sappiamo fare.
— D’accordo, possiamo dedicarvi qualche momento. Ma… dov’è tua sorella? — La voce di Underhill sali di tono: — Victreia, scendi subito di là! Potresti farti male!
Victreia Seconda era salita sui gimnoti dei più piccoli e oscillava avanti e indietro, nel punto più alto della tenda. — Oh, non c’è nessun pericolo quassù, papà!
— Scendi immediatamente, ho detto!
La discesa di Seconda fu accompagnata da molti borbottii, ma pochi minuti dopo si stava esibendo in modo altrettanto rischioso per la sua incolumità.
Dopo che i figli di Sherkaner ebbero mostrato a Unnerbai tutti i progetti scolastici a cui stavano lavorando, scesero a pranzare con gli altri artropodi nell’atrio. La coltre di nuvole si apriva ogni giorno di più e faceva caldo, per una primavera di Principalia del diciannovesimo anno. I piccoli non ne erano disturbati; sembravano affascinati dal visitatore da cui aveva preso nome uno dei due fratelli più giovani. A parte la piccola Victreia erano curiosi e ciarlieri più della media, e Unnerbai faceva del suo meglio per rispondere alle loro domande.
Mentre finivano di mangiare entrarono i tutori dei piccoli. Erano degli studenti dell’Istituto. I figli di Underhill non sarebbero andati a una scuola normale. Questo avrebbe reso loro le cose più facili, alla resa dei conti? Tutti insisterono che Unnerbai restasse ad assistere alle loro lezioni, ma Underhill non ne volle sapere. — Ora concentratevi sullo studio — disse.
E così, come Dio volle, la parte più dura di quella visita finì. A parte i due più piccoli, sempre sulla schiena del padre, i due adulti si ritirarono nel fresco studio di Underhill al pianterreno dell’Istituto. Per un poco parlarono di alcune necessità tecniche di Unnerbai. Anche se Underhill non voleva aiutarlo personalmente, lì c’erano artropodi brillanti che avrebbero potuto farlo. Ma appena il discorso tornò sui figli di Underhill, Unnerbai non poté resistere e disse: — Sherkaner, i tuoi piccoli vivranno in una società che li vedrà come degli esseri contronatura. E tu lo sai.
— Stiamo lavorando su queste cose, Hrunkner. Jirlib ti ha parlato dell’Ora della Scienza dei Piccoli, no?
— Mi stavo chiedendo cosa fosse questa storia. E così lui e Brent sono davvero in un programma alla radio? Loro possono quasi passare per due in-fase, ma alla fine qualcuno se ne accorgerà e…
— È ovvio. Comunque, Victreia Seconda è ansiosa di partecipare alla cosa, e ti dirò che io voglio che il pubblico se ne accorga. Il programma coprirà argomenti di ogni sorta, ma ci saranno molti spezzoni sulla biologia e sull’evoluzione, e su come la Tenebra ci ha costretto a vivere in un certo modo. Con l’avvento del progresso tecnologico, i motivi per un parto rigidamente legato alla stagione saranno sempre meno rilevanti.
— Non convincerai mai la Chiesa della Tenebra.
— Pazienza. Spero però di convincere milioni di persone dalla mente aperta come te.
Unnerbai non seppe cosa rispondere. Possibile che Underhill non capisse l’ovvio? Ogni società civile si basava su concetti naturali, regole che significavano la sopravvivenza della gente. Forse le cose stavano cambiando, ma che senso aveva sovvertire ogni usanza? Anche se avessero imparato a vivere nella Tenebra ci sarebbero sempre stati cicli di vita decenti…
Alla fine Sherkaner ruppe il silenzio. — Al generale tu piaci molto, Hrunkner. Sei stato comprensivo con lei, quand’era tenente e sembrava che la sua carriera potesse finire nella spazzatura. Si aspetta che tu accetti ciò che lei e io stiamo facendo.
— Lo so, Sherkaner, ma non ci riesco. Mi hai visto, oggi. Ho fatto del mio meglio, ma i tuoi ragnetti mi hanno letto dentro. Seconda se n’è accorta, almeno.
— Eh, sì, puoi scommetterci. La piccola Victreia è intelligente come sua madre. Ma, come hai detto, dovrà affrontare cose ben peggiori del tuo disagio… ascolta, Hrunkner, farò due chiacchiere col generale. Le chiederò di avere più tolleranza… anche se si tratta di tolleranza per la tua intolleranza. Nel frattempo desidero vederti qui più spesso. D’accordo?
Durante il pre-Volo, Pham Trinli non era stato una curiosità per Ezr Vinh. Quel poco che lui vedeva del vecchio glielo aveva mostrato come un pigro incompetente, e probabilmente un lazzarone. Era “parente di qualcuno”: questa l’unica spiegazione del perché faceva parte dell’equipaggio. Ma solo dopo l’attacco a tradimento degli Emergenti il comportamento di quel chiacchierone bugiardo e vanitoso aveva cominciato a dargli fastidio. A volte poteva riderci sopra, ma altre volte lo trovava odioso. Il tempo in cui Trinli stava sveglio, di turno, era almeno del sessanta per cento superiore al suo. Quando Ezr andava ad Hammerfest, trovava Trinli che raccontava barzellette sporche agli Emergenti; quando entrava nel bar di Benny lo trovava a concionare coi soliti compagni di bevute, più superficiale e idiota che mai. Erano trascorsi anni dalla morte di Diem, dall’epoca in cui qualcuno lo avrebbe tacciato di essere un traditore, e ormai Qeng Ho ed Emergenti facevano vita in comune. Trinli era riuscito meglio di lui a farsi degli amici in entrambi i gruppi.
Quel giorno l’antipatia di Ezr per il vecchio s’era fatta più fosca. Era il giorno della riunione dei dirigenti di turno, presieduta come sempre da Tomas Nau, ma stavolta non si trattava di una delle solite commedie per illudere i Qeng Ho che potevano prendere decisioni vere. Erano presenti gli esperti delle due flotte, e si doveva stabilire se era effettivamente possibile sopravvivere a lungo in quel sistema. Benché non ci fosse questione su chi era il capo, Nau applicava i consigli che venivano espressi in quelle sedute. Ritser Brughel era fuori turno, così la riunione si sarebbe svolta senza spiacevoli tensioni. A parte Pham Trinli, i presenti erano gente che conosceva realmente il proprio lavoro.
Tutto andò liscio nel primo Ksec. I programmatori di Kal Omo avevano strutturato una nuova serie di visori a forma di occhiali per l’uso dei Qeng Ho; erano interfaccia limitati, ma meglio che niente. Anne Reynolt aveva una nuova squadra di focalizzati; il suo programma era segreto, ma sembrava che Trixia avrebbe potuto trascorrere più tempo in sonno freddo. Gonle Fong propose delle modifiche ai Turni. Ezr sapeva che dietro c’erano manovre e bustarelle e affari che la donna svolgeva sottobanco, ma Nau accettò senza fare questioni. L’economia sotterranea che lei e Benny governavano era sicuramente nota a Tomas Nau, ma gli anni erano passati e lui aveva continuato a ignorarla.E ne ha tratto non pochi vantaggi. Ezr non avrebbe mai pensato che il libero commercio avrebbe attecchito in una piccola società chiusa come quella stanziala a L1, ma la vita ne aveva tratto giovamento. Molti avevano nelle loro stanze le piccole bolle dei bonsai di Qiwi Lisolet. Ezr era ancora segretamente convinto che Tomas Nau fosse il delinquente peggiore da lui conosciuto, colpevole di sterminio e di inganni ripugnanti. Ma l’individuo era assai sottile, misurato nelle sue azioni, sempre molto conciliante. Tomas Nau era abbastanza intelligente da lasciar proseguire quei commerci sottobanco, finché questo lo aiutava nei suoi piani.
— Bene. E ora l’ultimo argomento all’ordine del giorno. — L’uomo girò un sorriso intorno al tavolo. — Come al solito, il più difficile e interessante. Qiwi?
Qiwi Lisolet si alzò dalla sedia, fermandosi con una mano quando fu sotto il basso soffitto. La gravità di Hammerfest bastava appena a tenere sul tavolo i bulbi delle bibite. — Interessante? Forse. — Fece una smorfia. — Ma è anche un problema molto irritante. Aprì una tasca-borsa e ne tirò fuori degli interfaccia a occhiale del tipo approvato-per-i-mercanti. — Collaudiamo questi cosi — disse, passandoli in giro. Ezr ne prese uno, restituendole il sorriso. Qiwi era di piccola statura, come ogni Strentmanniana, ma dato il tempo trascorso fuori dal sonno freddo era ormai una donna adulta. Quanti anni ha? Dev’essere più vecchia di me, ormai. L’umore sbarazzino di un tempo si mostrava ancora, ogni tanto, ma non osava più stuzzicare Ezr. Lui sapeva che le chiacchiere su lei e Nau erano vere. Povera ragazza. Se c’è qualcosa di peggio che vendersi l’anima, è non sapere fino a che punto l’hai venduta.
La ragazza attese finché tutti ebbero i visori. Poi: — Come sapete, io mi occupo dei materiali in orbita su L1. — Al centro del tavolo si materializzò la collina di materiale sfuso. Un piccolo Hammerfest sporgeva da un asteroide sulla destra; un taxi si stava ormeggiando alla torre più alta. L’immagine era nitida, ma quando lui spostava lo sguardo su Qiwi sembrava decomporsi in pixel. Senza dubbio i programmatori di Kal Omo avevano dovuto mettere dei blocchi perché il visore non attingesse dati riservati, tuttavia restava ancora abbastanza qualità dell’originale tecnologia Qeng Ho.
Dozzine di luci rosse apparvero sulla superficie del materiale. — Questi sono i jet elettrici — disse Qiwi. Si accesero centinaia di luci gialle. — E questi i sensori. Io e la mia squadra abbiamo due problemi. Tenere questa roba sfusa in un’orbita stabile intorno a L1, possibilmente sempre sulla linea fra noi e il sole, in modo che i Ragni non possano vederci. Ci vorranno ancora molti anni prima che dispongano di una tecnologia capace di farlo. L’altro obiettivo è mantenere sempre Hammerfest, con il resto del ghiaccio oceanico e dell’aria-neve, nell’ombra degli asteroidi. Purtroppo non si tratta di corpi stabili, così come non è totalmente stabile l’equilibrio gravitazionale di L1.
— I terremoti degli asteroidi — disse Jau Xin.
— Sì. Senza costante supervisione accadrebbe un disastro. — Apparve un particolare del punto di contatto fra Diamante Uno e Diamante Due. — Questo varco tende ad allargarsi, e purtroppo non possiamo destinare una squadra a un continuo…
Pham Trinli era rimasto in silenzio finallora, con aria truce. Nell’ormai lunga storia della stabilità di quelle masse, il vecchio aveva un altrettanto lungo elenco di fallimenti e umiliazioni. Ma d’un tratto esplose: — Sciocchezze! Credevo che tu avessi usato parte dell’acqua, iniettandola nella fessura e poi trasformandola in ghiaccio per fondere insieme i due asteroidi.
— Lo abbiamo fatto, e ha funzionato, ma…
— Ma non siete riusciti a stabilizzarli a lungo, eh? — Trinli si girò verso Nau. — Caponave, le ho già dimostrato che l’unico esperto di questo lavoro sono io. La ragazza Lisolet sa come far funzionare un progetto simulato, ma quando si tratta di metterlo in pratica non ha l’esperienza necessaria.
L’esperienza necessaria? Chi potrebbe averla se non lei, che ci ha lavorato più a lungo di chiunque altro?
Ma Nau sorrise a Trinli. Per quanto idioti fossero gli interventi del vecchio, il caponave continuava a farlo partecipare alle riunioni. Ezr sospettava che in Nau ci fosse una vena di umorismo distorto, o di sadismo.
— Be’, forse potrei incaricare lei di questo lavoro, armiere. Ma consideri che occorrerebbe almeno un terzo del tempo di questo Turno. — Il tono di Nau era cortese, ma conteneva l’ombra di una sfida, Ezr si accorse che il vecchio si scaldava,
— Un terzo? — disse Trinli. — Io potrei farlo in un quinto di Turno, anche se gli altri della squadra fossero dei pivelli. Non importa dove i jet siano piazzati; il successo deriva dalla qualità del lavoro di guida. La signorina Lisolet non capisce tutte le caratteristiche dei localizzatori che adopera.
— Si spieghi — disse la Reynolt. — Un localizzatore è un localizzatore. Noi ne usiamo di due tipi, e sono all’incirca identici.
— Non quelli di fabbricazione Qeng Ho — disse Trinli. — Posso mostrarle l’interno di uno di essi, caponave?
Nau annuì. — D’accordo. — Fece un cenno a Qiwi, e l’immagine al centro del tavolo fu sostituita da quella di un piccolo apparecchio sferico. Trinli chiese di avere i dettagli ingranditi.
— Come potete vedere, si tratta di un sistema computerizzato che in realtà non ha bisogno di interventi esterni. In un ambiente non eccessivamente ostile è autosufficiente — disse il vecchio.
— Capisco — annuì pensosamente Nau. — I localizzatori e i sensori a essi collegati sono il cuore dei sistemi di sicurezza. Lei sta dicendo che questi apparecchi non si limitano a fungere da componenti di un sistema, ma sono il sistema.
— Proprio così — confermò Trinli. — Opportunamente regolati possono governare i jet.
— Tu lo sapevi. Qiwi? Che ne pensi? Non renderebbero le cose più facili per te?
— Forse. Questo è un dato nuovo per me. — La ragazza rifletté. — È vero. Se avessimo abbastanza localizzatori, e se il sistema per alimentarli funzionasse bene, il sistema potrebbe forse fare a meno della supervisione umana.
— Molto bene. Voglio che tu ti faccia dare tutti i particolari tecnici dall’armiere Trinli, e installi una rete completa.
— Sarei lieto di poter fare io tutto il lavoro, caponave — disse Trinli, impermalito.
Ma Nau non era uno sciocco. — No, lei è più utile come supervisore. Ma quando Brughel sarà svegliato per il prossimo Turno voglio che sia informato di questa singolare caratteristica dei localizzatori Qeng Ho. Possono essere applicati alle necessità della sicurezza.
E così Pham Trinli aveva aiutato gli Emergenti a mettere ai Qeng Ho un paio di manette più solide. Per un momento a Ezr parve di vedere un’ombra negli occhi del vecchio, quando finalmente lo capì.
Ezr era così irritato che non rivolse la parola a nessuno per il resto della giornata. Mai aveva immaginato di poter odiare tanto uno stupido pagliaccio. Pham Trinli non era un criminale e neppure un malvagio, anche se aveva scritta in faccia la sua natura infingarda, ma ora aveva stupidamente rivelato al nemico un segreto che questi non avrebbe mai immaginato, un segreto di cui lo stesso Ezr non conosceva l’esistenza, un segreto che altri avrebbero preferito morire prima di metterlo nelle mani di un assassino come Tomas Nau e del suo sicario Ritser Brughel.
Fino ad allora aveva creduto che Nau tenesse in vita Trinli perché lo divertiva, ma adesso non ne era più sicuro. Da quella lontana sera nel parco non sentiva più l’impulso di strangolarlo, ma ora stava pensando che Pham avrebbe potuto avere un incidente mortale.
Quella sera Ezr deciso di starsene nel suo alloggio. Non voleva che il suo comportamento apparisse sospetto. A quell’ora da Benny c’era gente che faceva musica, e quelle sedute creative in cui cinque o sei dilettanti sfogavano il loro estro non gli erano mai piaciute. Inoltre c’erano molti lavori in arretrato. Per alcuni non aveva bisogno neanche di parlare con altri. Si mise il nuovo visore dell’interfaccia e guardò nella biblioteca della flotta.
Il fatto che la biblioteca del comandante Park fosse rimasta intatta era, in un certo senso, un disastro. Per qualche disfunzione dei sistemi di sicurezza che avrebbero dovuto impedirne la cattura da parte di un nemico, le banche dati non erano state distrutte. O forse era stato lo stesso Park a fare — illegalmente — copie di backup, che dopo la battaglia avevano sostituito il materiale distrutto.
Tomas Nau sapeva riconoscere un tesoro quando ne vedeva uno. Gli schiavi di Anne Reynolt stavano sezionando la biblioteca con la precisione disumana dei focalizzati, e presto o tardi avrebbero avuto tutti i segreti tecnici dei Qeng Ho. Ma sarebbero occorsi anni, perché le testerapide non sapevano distinguere le scorciatoie. Così Nau utilizzava dei non-focalizzati per avere un quadro generale del materiale. Ezr ci aveva lavorato per alcuni Msec. Era un lavoro difficile, perché da una parte doveva produrre dei risultati effettivi… e dall’altra doveva sottilmente guidare le ricerche degli altri lontano da ciò che poteva essere loro utile in quella delicata situazione. Lui sapeva di poter ingannare Nau solo fino a un certo punto. Il mostro era sottile; più di una volta Ezr s’era chiesto chi stava usando chi.
Ma quel giorno… Pham Trinli aveva regalato troppo al nemico.
Ezr si costrinse alla calma. Concentrati sulla biblioteca. Stendi il solito stupido rapporto. Questo gli sarebbe stato calcolato come orario di lavoro. Manovrò i semplici comandi manuali del nuovo interfaccia a-uso-dei-Qeng Ho. Se non altro riconosceva le istruzioni più elementari: il visore sostituì la sua visione della cabina con il menu d’ingresso della biblioteca. Mentre lui si guardava attorno, l’automatismo interpretò il movimento della sua testa e gli fece scorrere i documenti davanti agli occhi come se fluttuassero nella stanza. Ma… armeggiò coi comandi. Dannazione. Era possibile solo l’ingresso tipo utente. O avevano tolto alcune caratteristiche di quell’interfaccia, o lo avevano adattato a qualche dannato standard Emergente. A quel modo non serviva più di una tappezzeria-video!
Si tolse dalla faccia il visore e lo scaraventò contro la parete. Calmati, dannazione. Era ancora su di giri per l’idiozia di Trinli. Del resto quell’interfaccia era sempre meglio dei display a parete. Sorrise un momento, ripensando alla tastiera e alle imprecazioni oscene di Gonle Fong.
Allora cosa fare quella sera? Qualcosa che sembrasse naturale a Nau. ma non potesse dar loro niente più di quel che già avevano. Ah, sì, i super-localizzatori di Trinli. Dovevano essere riposti in qualche nicchia sicura, da qualche parte. Ezr seguì un paio di tracce nella direzione più ovvia. Dopo qualche tentativo riuscì a regolare il visore in modo da penetrare più a fondo nella biblioteca, e la sua esperienza lo aiutò a oltrepassare alcuni blocchi con lo stesso tipo di accesso che aveva avuto il comandante Park.
Non era fortunato, quella sera. Il puntatore mostrava chiaramente i localizzatori, ma i loro dati non rivelavano i sensori interni e le caratteristiche di cui aveva parlato Trinli. Sul manuale tecnico non c’era niente. Uhu. Cosi il vecchio pensava che sui manuali ci fossero blocchi insuperabili anche alla facoltà di accesso di un comandante?
La rabbia che l’aveva avvelenato fu messa da parte. Ezr guardò i dati che fluttuavano intorno a lui, all’improvviso sollevato. Tomas Nau non aveva visto niente di strano in quella situazione. A parte lui, fra i Qeng Ho superstiti non doveva essercene uno che capisse quanto era assurda la storia di Trinli.
Ma Ezr era cresciuto in una grande famiglia di Mercanti. Da bambino, a tavola, li aveva sentiti parlare delle strategie praticate a livello di comando. L’accesso di un comandante alla biblioteca era completo. I dati, ovviamente, potevano andare persi ma, a meno di un sabotaggio o di azioni illegali da parte di un comandante, niente poteva restare invisibile a una ricerca così profonda.
Ezr avrebbe riso, se non avesse temuto che quel visore riportasse la sua risata alle testerapide di Brughel. Ma quella era la prima buona notizia della giornata. E cosi Trinli, pur di riavere quel lavoro, ci ha raccontato una sciocchezza! Il vecchio idiota era abituato a spararle grosse con tutti, ma finora non ci aveva mai provato con Nau. Quando Trinli fosse andato a frugare nei manuali in cerca dei dati da fornire alla Reynolt… non ci avrebbe trovato niente. Quasi quasi Ezr ebbe pietà di lui. Per una volta, quel vecchio bastardo avrebbe avuto quello che meritava.
Qiwi Lin Lisolet trascorreva due terzi del suo orario lavorativo fluttuando intorno al gruppo degli asteroidi per regolare i jet, e tuttavia i terremoti di quei corpi celesti erano continui e forti. Con una rete di localizzatori automatici come quella di cui aveva parlato Trinli sarebbe stato facile programmare un sistema di correzione. C’erano migliaia di micro-scosse telluriche a cui nessuna squadra umana poteva provvedere. La ragazza si chiese come sarebbe stato rimanere fuori Turno a lungo, come la maggior parte degli altri. Questo significava un risparmio sulle loro già scarse risorse, ma avrebbe lasciato solo ancor più a lungo il povero Tomas.
— Sempre i soliti problemi, qui — disse nel suo casco la voce di Floria Peres. La ragazza stava sorvolando la cima di Diamante Tre, e si riferiva ai jet che perdevano ogni anno. — Ce ne sono tre molto allentati… li ho scoperti appena in tempo.
— Contrassegnali. Manderò Arn e Dima a occuparsene. — Qiwi sorrise fra sé, al pensiero che avrebbe avuto più tempo per altri e più interessanti progetti. — Ehi, Floria, questo Turno ti occupi tu della distilleria, vero?
— Sì — rispose l’altra, ridacchiando. — Cerco sempre di farmi assegnare alla distilleria.
— Be’, ho alcune cosette per te. Forse possiamo fare un affare.
— Perché no? — Floria era fuori dal sonno freddo per meno del dieci per cento del tempo, ma quella era una cosa che avevano già fatto altre volte. — Vediamoci alla distilleria fra qualche centinaio di secondi. Possiamo farci un po’ di tè.
La distilleria dei gas era nella zona più in ombra degli asteroidi e le sue torri di raffreddamento e i serbatoi scintillavano di brina nella pallida luce di Arachna. La cabina di controllo di Floria si trovava sul retro, e aveva l’aspetto di una baracca metallica costruita in una radura bianca di neve, sul bordo di una strana foresta scintillante.
Qiwi fluttuò fra una selva di cavi d’ancoraggio e andò a bussare al portello della cabina.
Commerciare era divertente. Lei aveva cercato di spiegare la cosa molte volte a Tomas. Il poveretto aveva un buon cuore, ma veniva da una cultura che certe cose non le capiva proprio.
Qiwi aveva portato una parte del pagamento che doveva a Floria per il materiale da lei fornito tempo addietro, e tolse dal suo sacco termico una bolla contenente un bonsai che suo padre aveva impiegato alcuni Msec a realizzare. C’era uno strato di terreno stabilizzato, con molte dozzine di micro-felci. Floria sollevò la bolla controluce e guardò nel verde. — Oh, quanti insetti! — Erano farfalle larghe meno di un millimetro. — Hanno le ali colorate!
Qiwi non poté fare a meno di ridere. — Mi chiedevo se te ne saresti accorta. — Il bonsai era più piccolo di quelli che suo padre faceva di solito, ma tecnicamente migliore.
Quattromila secondi dopo s’erano accordate su una serie di favori che Floria poteva fare prima della fine del suo turno. Per un po’ sedettero a bere il tè, poi Qiwi le disse di ciò che Trinli aveva dichiarato di poter fare coi localizzatori.
— Questa è una buona notizia, se il vecchio rimbambito non ha raccontato una balla. Forse ora non avrai più bisogno di stare sveglia così a lungo. — Floria la guardò tristemente. — Ricordo ancora quando eri una bambina, e ora sei più anziana di me. Non avresti dovuto sprecare così la tua vita, Qiwi, solo per mantenere allineate queste dannate rocce. — Scosse il capo e indicò intorno a sé. — Sai perché chiedo sempre questo lavoro qui alla distilleria? Ho trasformato questo cubicolo in una casetta dove posso starmene per conto mio. Cosi non devo alloggiare nel provvisorio con quegli Emergenti e fingere che siano persone come si deve.
— Ma molti di loro lo sono, Floria!
— Forse alcuni — disse l’altra. — E questa è la cosa peggiore. Ma cosa mi dici di Emergenti come Rita Liao e Jau Xin? Ogni giorno loro usano degli esseri umani come se fossero meno di animali… come fossero macchine. E poi vanno a sedersi nel bar di Benny, e noi li accettiamo.
La sua voce s’era incrinata, e vedendo che gli occhi le si riempivano di lacrime Qiwi le appoggiò una mano su una spalla. Per un attimo le parve che l’altra volesse respingerla.
— Scusa — disse Floria. — Non ce l’ho con te perché tu ami quel Tomas Nau. Lui non potrebbe fare quello che fa senza il tuo aiuto, e forse in questo caso ci avrebbero già ammazzati tutti.
Qiwi le strinse la spalla. — Io non lo amo affatto — disse d’impulso. Quelle parole sorpresero lei per prima. — Voglio dire, lo rispetto, ma … — Strano parlare a Floria di questo. Ora che ci pensava, benché Tomas fosse comprensivo e gentile in lui c’era qualcosa di… remoto. Spero che Floria, da brava sovversiva, abbia disabilitato le microspie di Brughel, qui dentro. — Da quando ci conosciamo non abbiamo avuto occasione di parlare di cose personali, Floria. Non sapevo che tu la pensassi così.
— Già. — Floria si asciugò gli occhi e cercò di controllarsi. — Finora sono riuscita a chinare il capo. «Non farti notare» mi dicevo. «Per il bene di tutti, vai d’accordo coi conquistatori.» Noi mercanti siamo bravi ad adattarci, no? Forse ormai ce l’abbiamo nel sangue. Ma ora… tu sai che ho una sorella, qui nella flotta?
— No — disse Qiwi. Non ne era sorpresa. Anche dopo tutto quel tempo lei conosceva molti Qeng Ho solo di vista.
— Luan era una ragazza strana, non troppo intelligente però sempre simpatica e gentile con tutti. — Ebbe un sorriso amaro al pensiero. — Io ho una laurea in ingegneria chimica, ma loro hanno focalizzato Luan e lasciato libera me. Avrebbero dovuto prendere me, e invece hanno preso lei.
Floria fece una smorfia, come se si sentisse in colpa. Forse era immune al virus mentale come molti Qeng Ho, pensò Qiwi. O forse no. Tomas aveva bisogno anche di molti specialisti non-focalizzati, per i compiti che richiedevano la capacità di osservare da lontano. Stava per spiegarlo a Floria, ma lei riprese:
— Ho dovuto rassegnarmi. E ho perso ogni traccia di Luan. Loro l’hanno focalizzata sui lavori artistici. Un Turno dopo l’altro lei e la sua squadra hanno scavato in quei corridoi sotterranei di Hammerfest. Probabilmente l’hai vista chissà quante volte.
Già, questo è certo. Le squadre di scavo erano il più infimo fra i lavori dei focalizzati. Non era come le creazioni ecologiche di Ali Lin o gli studi dei traduttori. Quello che gli Emergenti chiamavano arte non aveva spazio per la vera creazione artistica. Gli operai plasmavano le stanze e i corridoi ricavati nel diamante, centimetro dopo centimetro, secondo i disegni dei loro padroni. Il piano originale di Ritser Brughel era stato di utilizzare in questi lavori tutte le ‘‘risorse umane di scarto”, facendole lavorare senza assistenza medica fino alla morte.
— Ma non lavorano più un Turno dopo l’altro, Floria. — Questo era stato uno dei primi trionfi di Qiwi su Ritser Brughel. I lavori edili erano leggeri, ormai, e i focalizzati avevano il controllo medico. Inoltre facevano i loro periodi di sonno freddo come gli altri, e avrebbero visto la fine dell’Esilio. Questo Tomas glielo aveva promesso solennemente.
Floria annuì. — Sì, lo so. Quando Luan cominciò a passare in sonno freddo come gli altri, i nostri Turni erano diversi. Ma anche così riuscivo a informarmi su di lei, a vederla. Passavo in quei corridoi di nascosto, fingendo di avere un lavoro da fare, e mi fermavo accanto a lei. Le parlavo, perfino, anche se solo di quella maledetta “arte” che amava tanto. Era l’unica cosa di cui accettava di parlare. Mi ero perfino procurata uno dei loro manuali: Lo Stile Neo Frenkiano. — Floria sputò quasi le parole, poi la sua rabbia sembrò spegnersi di nuovo. — Ma almeno la vedevo, e pensavo che se ci fossimo comportate bene un giorno o l’altro l’avrebbero liberata. Ora però… — La sua voce si fece più ferma, rigida. — Ora però Luan non c’è più, in nessun turno. E quando ho domandato, mi hanno detto che il suo contenitore per il sonno freddo ha avuto un guasto, Dicono che è morta nel sonno. Quei maledetti bastardi, bugiardi e traditori…
I contenitori Qeng Ho per il sonno freddo erano così sicuri che i guasti apparivano nelle statistiche, più che nella realtà. Quelli degli Emergenti erano assai meno affidabili, tuttavia durante la battaglia molte attrezzature avevano subito dei danni difficili da riscontrare. La morte di Luan era certo uno di quegli incidenti che continuavano ad accadere dopo quelle ore di follia che per poco non erano costate la vita a entrambe le flotte. Ma come posso persuadere Floria di questo? — Suppongo che ci si possa fidare di quello che ci dicono, Floria. Gli Emergenti hanno una tecnologia inferiore, lo sai. Io ho trascorso molto tempo accanto a Tomas, e non l’ho mai sorpreso a mentire.
— Sicuro — grugni l’altra.
— Ma perché qualcuno avrebbe voluto uccidere Luan?
— Non ho detto che l’abbiano uccisa. E non ho detto che il tuo Nau debba saperne qualcosa. Io ero l’unica a frequentare quella squadra di scavatori focalizzati. Per due volte ho visto Brughel con loro. La prima volta c’erano due donne, e lui stava lì e le guardava. La seconda c’era una sola donna, Luan, e Brughel era dietro di lei.
— Ah. — La parola le usci in un soffio.
— Non avevo le prove di niente. Quel che ho visto era solo lo sguardo negli occhi di Brughel, il suo atteggiamento. Così ho taciuto. E ora Luan è scomparsa.
La paranoia di Floria sembrava più plausibile, ora. Ritser Brughel era un mostro, un anormale a malapena tenuto in riga dall’autorità del caponave. Il ricordo del suo faccia a faccia con lui era ancora vivo nei ricordi di Qiwi, con lo slap slap slap del suo bastone sul palmo della mano e la rabbia in quegli occhi slavati.
Fingere una morte per incidente, o condannare a morte qualcuno senza processo, era pericoloso. Se Ritser Brughel non era stato molto astuto doveva aver lasciato degli indizi. — Ascolta, Floria, io posso cercare di saperne di più su questa faccenda. Non so cosa sia successo a tua sorella Luan, ma in un modo o nell’altro scopriremo la verità. E se qualcuno ha infranto la legge, stai certa che Tomas non gliela farà passare liscia. Lui ha bisogno della collaborazione dei Qeng Ho, così come noi abbiamo bisogno di lui.
Dopo un momento Floria disse: — Ti ringrazio. Sai, io volevo bene a Luan, ma il Focus ha fatto di lei una sconosciuta. Avrei dovuto parlare con qualcuno quando vidi Brughel che la guardava in quel modo, ma avevo paura… — Le rivolse un sorrisetto tremante. — E ora, forse, ho messo in pericolo anche te. Ma almeno tu hai una possibilità, e c’è anche il caso che sia sempre viva… se tu potessi trovarla in tempo.
Qiwi alzò una mano. — Forse. Forse. Vediamo cosa potrò scoprire. — Si mise di nuovo il casco e andò al portello. Mentre si voltava vide la paura sul volto dell’altra.
— Sii prudente — disse Floria.
Qiwi prese un taxi per finire l’ispezione di quel giorno al mucchio del materiale sfuso, contattando la rete di testerapide per esporre problemi tecnici e avere dei dati. Nel frattempo la sua mente vagava per corridoi pericolosi. Era un bene che si fosse presa un po’ di tempo per pensare. Se Floria aveva ragione, allora anche con Tomas al suo fianco la faccenda era molto rischiosa. Ritser si occupava di troppe cose, aveva molti accessi. Se stava sabotando i contenitori del sonno freddo o falsificando i dati dei decessi, una grossa parte della rete di Tomas era stata sovvertita.
Brughel sa che qualcuno sospetta di lui? Se era così, forse teneva d’occhio tutte le comunicazioni interne, registrandole, e sarebbe stato difficile ficcare il naso da qualche parte senza far scattare un suo software di sorveglianza.
Devo essere molto cauta. Avrebbe avuto bisogno di una buona scusa per ogni sua mossa. Ah. Gli studi sul personale assegnali a lei e Ezr Vinh. Nei tempi morti della sua ispezione era ragionevole che se ne occupasse. Inviò una chiamata a bassa priorità a Ezr per chiedergli un colloquio, quindi aprì una banca dati contenente tutte le informazioni disponibili sul personale di Turno.
Trovò subito il fascicolo di Luan Peres. Sì, il rapporto diceva che era morta nel contenitore del sonno freddo. Lesse i particolari. C’era un sacco di gergo tecnico, congetture su come l’unità si fosse guastata, il genere di cose che si potevano avere da un focalizzato se gli si chiedeva di inventare un guasto credibile.
Il taxi uscì dal cono d’ombra e s’immerse nella cruda luce del sole. Qiwi regolò la luminosità della finestra e continuò a leggere il rapporto sulla morte di Luan. Era molto ben steso. Avrebbe potuto ingannarla, se lei non avesse avuto già dei sospetti o conosciuto le procedure legali degli Emergenti. Dov’erano il terzo e il quarto controllo incrociato sull’autopsia? La Reynolt voleva che le sue testerapide lo facessero sempre, e non era un tipo flessibile.
Quel rapporto era alterato. Tomas l’avrebbe capito appena lei glielo avesse mostrato.
Nel suo casco risuonò una nota. — Salve, qui Ezr. — Dannazione. Lei lo aveva chiamato solo per avere una copertura più tardi. Nel visore apparve anche l’immagine di lui, con sullo sfondo la parete verde dell’attico di Hammerfest. Stava facendo visita alla sua Trixia, naturalmente. — Ho deciso di risponderti subito. Forse non sai che uscirò dal Turno fra sessanta Ksec.
— Sì, scusa se li disturbo. Stavo guardando le statistiche del personale, per quel resoconto che il Comitato ha assegnato a noi. Avrei una domanda… — Qiwi si frugò nella mente in cerca di qualcosa che giustificasse quella chiamata, ma non riuscì a trovare niente. Alla fine ne buttò lì una un po’ stupida sulla possibilità di aggregare insieme specialisti di varie materie.
Ezr la guardava stranamente, ora. Scrollò le spalle. — Stai parlando di qualcosa che riguarda il periodo finale dell’Esilio, Qiwi. Chi lo sa di cosa avremo bisogno quando i Ragni saranno pronti per il Primo Contatto? Per allora, suppongo che toglieremo dal sonno freddo tutti gli specialisti.
— Naturalmente, questo è previsto. Ma ci sono dei dettagli… — Qiwi cercò di apparire plausibile, ma la cosa principale era tagliar corto a quella conversazione. — Pensavo che potrebbe verificarsi un problema. Vediamoci di persona, quando uscirai dal sonno freddo.
Ezr sorrise. — Non sarà presto. Resterò fuori Turno per cinquanta Msec. — Due anni standard.
— Come mai? — Era più del quadruplo del suo solito intervallo.
— Normale avvicendamento. Sono decisioni del Comitato. — Ezr sì girò a guardare qualcuno fuori campo. Trixia? Poi nel suo tono ci fu una noia di impazienza. — Senti, Qiwi, non mi fa per niente piacere restare in ghiaccio così a lungo. — Alzò una mano come a prevenire un’obiezione. — Non mi sto lamentando, sia chiaro, ho partecipato anch’io alla decisione del Comitato… ma Trixia resterà di Turno per tutto questo tempo. Non l’ho mai lasciata sola così a lungo. Non ci sarà nessuno a badare a lei.
Qiwi provò l’impulso di confortarlo. — Non le succederà niente di male, Ezr.
— Già, lo so. È troppo preziosa perché le succeda qualcosa. Come tuo padre. — Nei suoi occhi ci fu un’ombra. Il povero Ezr la stava pregando. — Terranno in funzione il suo corpo, forse le faranno perfino una doccia ogni tanto. Tienila d’occhio tu, Qiwi. Tu hai un potere reale, almeno sui pesci piccoli come Trud Silipan.
Era la prima volta che Ezr Vinh le chiedeva aiuto.
— Veglierò io su di lei — disse sottovoce Qiwi. — Te lo prometto.
Quando l’altro ebbe chiuso la comunicazione, Qiwi restò pensosa per un poco. Forse la paranoia era contagiosa. Luan Peres morta. E ora Ezr che se ne andava per più tempo di quanto lei avrebbe immaginato. Mi chiedo chi abbia proposto questi cambiamenti nei Turni. Il taxi continuava a costeggiare lentamente il gruppo di asteroidi, e lo sguardo di lei considerò automaticamente le astronavi parcheggiate e le grandi masse di diamante, mentre con un’altra parte della mente sfiorava i delicati tranelli della politica. Il dominio privato di Ritser Brughel, la Mano Invisibile, era lontana dalle altre, a duemila metri dal suo taxi. Mmh. Possibile che Brughel avesse rapito Luan Peres? Quella sarebbe stata la più azzardata delle mosse che poteva fare contro Tomas. E forse non era la sola. Se l’uomo era riuscito a farla franca, ci avrebbe riprovato con altri. Ezr.
Qiwi fece un profondo respiro.Guarda un problema alla volta. Dunque, supponiamo che Luan sia viva, un giocattolo sessuale nel territorio privato di Brughel, C’erano dei limiti alla rapidità con cui Tomas poteva agire contro un altro Dirigente. Se lei si fosse lamentata, dando tempo a Brughel di prendere delle contromisure, ogni prova sarebbe scomparsa… e Luan sarebbe morta davvero.
Qiwi si girò verso prua e guardò la Mano. Ora distava meno di settecento metri. Potevano trascorrere giorni prima che le capitasse un’altra occasione. L’astronave era così vicina che poteva vedere le cicatrici fuse dove i proiettori a raggi X avevano intaccato il rivestimento del motore ram, e le piastre saldate sullo scafo. Lei conosceva l’interno della Mano Invisibile come ogni Qeng Ho; aveva vissuto in quella nave durante gli anni di viaggio a OnOff, e ne ricordava ogni anfratto… cosa più importante, inoltre, aveva una tessera di accesso da livello-Dirigente. Era una delle tante cose che Tomas si era fidato a darle. Finora lei non l’aveva mai usata in modo così azzardato, ma…
Le mani di Qiwi si mossero prima che finisse di razionalizzare il suo piano. Si inserì nella sua linea criptografata con Tomas e parlò in fretta, delineando ciò che aveva saputo e ciò che sospettava… e quel che ora intendeva fare. Poi trasmise il messaggio. Ora Tomas avrebbe saputo, qualunque cosa fosse successa, e lei avrebbe avuto un’arma con cui minacciare Brughel se lui l’avesse presa.
Duecento metri dalla Mano Invisibile. Qiwi chiuse il cappuccio della tuta, efficiente quanto il casco, e fece uscire l’aria dal taxi. La sua esperienza le consentì di visualizzare la traiettoria da seguire fino alla fiancata della nave. Uscì sul portello, attese finché l’istinto le disse vai, e balzò nel vuoto.
Le sue dita robuste artigliarono la flangia del portellone di una stiva centrale. La sua conoscenza della Mano le aveva permesso di avvicinarsi alla zona degli alloggi senza far scattare nessun allarme. Proseguì poggiando un orecchio alla paratia per ascoltare i rumori interni; era così vicina agli alloggi che poteva sentire quelli prodotti da almeno cinque o sei persone. Tutto sembrava tranquillo, niente movimenti concitati, niente voci più alte del normale tono discorsivo… un momento. Questo sembrava il pianto di una donna.
Qiwi continuò a spostarsi, animata dalla rabbia residua di quel suo faccia a faccia con Ritser Brughel… solo che adesso lei era più cauta e decisa, anche se non meno spaventata. Da quel giorno nel parco aveva spesso sentito lo sguardo di Brughel su di lei; s’era sempre aspettato un altro confronto. Il ricordo dei desideri di sua madre l’aveva spinta a fare regolarmente ginnastica, arti marziali, come per avere qualcosa da opporre a Ritser Brughel e al suo bastone d’acciaio. Figuriamoci a cosa mi servirà, se tirerà fuori di tasca una pistola. Ma Brughel era un idiota vanaglorioso, avrebbe voluto giocare con lei, vantarsi, vederla tremare. E questo le avrebbe dato il tempo di minacciarlo col messaggio che lei aveva lasciato a Tomas. Respinse la paura e cercò di localizzare il suono dei singhiozzi.
Davanti a un compartimento stagno che sapeva molto silenzioso si fermò. All’improvviso era come elettrizzata. Strani pensieri casuali le saettavano nella mente. Le sue mani agirono da sole nell’interno del compartimento, per rallentare il ciclo in modo che neppure la pompa dell’aria emettesse un sussurro. Poi aprì il portello interno e fu nel lungo corridoio laterale.
Santo cielo. Per qualche momento si guardò attorno, sbalordita. Il corridoio era ancora quello che lei conosceva; dieci metri più avanti curvava verso l’alloggio del comandante. Ma Brughel aveva fatto applicare una spessa moquette rosa alle pareti, al soffitto e al pavimento, e nell’aria c’era un odore muschioso, animale. Quello era un mondo diverso dalla Mano Invisibile che lei aveva conosciuto. Fece appello a tutto il suo coraggio e fluttuò nel corridoio. C’era una musica più avanti, o almeno si udiva il thump thump thump di strumenti a percussione. Qualcuno stava cantando… brevi grida rauche, a tempo coi tamburi.
Le sue dita sfioravano la moquette come avide di spingerla di nuovo indietro. Ho bisogno di altre prove? Sì. Almeno un’occhiata alle registrazioni interne della nave. Questo poteva fornirle dati ben più concreti che un confuso resoconto sulla musica e sull’ambiente malsano in cui viveva Ritser Brughel.
Oltrepassò una porta dopo l’altra. Quello era stato il quartiere degli ufficiali, ma quando loro erano in sonno freddo lo aveva usato anche lei. Durante il viaggio da Triland aveva vissuto nella penultima cabina del corridoio, per tre anni, e ora si chiedeva come fosse stata modificata. Dietro la curva c’era la sala riunioni del comandante. Qiwi infilò la sua tessera nella fessura e il portello si aprì. Dentro… non c’era più la sala riunioni. Sembrava un incrocio fra una palestra e una camera da letto. Le pareti erano coperte da una tappezzeria-video. Lei sì spinse sopra una strana rastrelliera e sedette, fuori vista dalla porta. Accese il suo visore a occhiale e chiese un collegamento con la rete della nave. Ci fu una pausa mentre la sua identità e facoltà di accesso venivano controllate, quindi davanti a lei apparvero nomi e immagini. Oh-ho. Ritser Brughel portava avanti le sue piccole manovre segrete con la gente in sonno freddo proprio lì, sulla Mano Invisibile. Luan Peres era sulla lista dei presenti… e risultava viva, di Turno!
Questo può bastare. È l’ora di andarmene da qui. Ma Qiwi esitò ancora. C’erano molti nomi lì, nomi noti e facce che appartenevano al passato. Accanto ad alcune facce c’era il simbolo che significava “deceduto”. Lei era una ragazzina l’ultima volta che aveva visto quelle persone, ma non le ricordava certo così… le loro facce erano martoriate, contorte, addormentate, con terribili ustioni e ferite. C’erano dei cadaveri, c’era gente percossa a sangue ma ancora viva. Questi reperti risalgono al tempo di Jimmy Diem. Lei sapeva che c’erano stati degli interrogatori, un periodo di caos immediatamente successivo allo scontro fra le due flotte, ma non cose di questo genere… Qiwi sentì l’orrore che la afferrava allo stomaco. Fece scorrere i nomi. Kira Pen Lisolet. Sua madre. Una faccia insanguinata con gli occhi fermi, offesi. Cosa ti ha fatto Brughel? Possibile che Tomas non lo sapesse? Non fu realmente conscia di contattare i dati di quell’immagine, ma d’un tratto il visore le fornì il video da cui era stata tratta. La stanza era la stessa in cui si trovava, ma arredata come molto tempo addietro. Da un punto sul fondo, oltre la rastrelliera, giunsero dei gemiti. Qiwi si mosse di lato e l’interfaccia le fornì un analogo spostamento dell’immagine quasi perfetto. Dietro la rastrelliera poté vedere… Tomas Nau. Un Tomas Nau più giovane. Seminascosto, visto di fronte, era completamente nudo e muoveva i fianchi avanti e indietro, mentre della donna stesa sul tavolo davanti a lui si scorgeva solo una gamba aperta di lato. Sulla sua faccia c’era l’espressione di piacere che Qiwi gli aveva visto tante volte, quando erano soli e si stavano accoppiando. Ma quel Tomas di qualche anno addietro aveva in mano un coltello rosso di sangue. D’un tratto si piegò sopra la donna e fece qualcosa che la costrinse a gemere ancora. Qiwi si spostò più a sinistra e abbassò lo sguardo sul passato, sulla donna a cui Tomas incideva profondamente l’addome.
— Mamma!
Il passato non sentì il suo urlo. Nau continuò a fare quel che stava facendo. Qiwi si piegò in avanti, e un conato di vomito schizzò sulla rastrelliera e oltre. Non poteva più vedere l’immagine, ma i rumori del passato continuavano come se la scena si svolgesse lì in quel momento. Quando dallo stomaco non le uscì più niente, si strappò il visore dalla faccia e lo gettò via. Rantolò stordita, piegata in due, incapace di pensare per l’orrore.
La porta si aprì e un’altra luce si accese. Ci furono delle voci, e stavolta appartenevano al presente. — Sì, eccola qui. Avevi visto giusto, Marli.
— All’inferno, guarda che schifo… che puzza. — Ci furono i rumori di due uomini che fluttuavano dentro. D’istinto lei si spinse via, aggrappandosi a una maniglia a parete. Un uomo le si accostò.
— L’ho presa. Ora tu…
Qiwi avventò una mano di taglio verso la sua gola, in un colpo che avrebbe potuto fratturargli la trachea, ma l’uomo si scostò. La sua mano sbatté contro la paratia, con una fitta di dolore che le paralizzò il braccio fino alla spalla. Poi ci fu lo schiocco di una pistola a dardi e lei si girò, cercando di spingersi lontano dai due aggressori; ma le sue gambe erano già come morte. I due aspettarono prudentemente qualche secondo. Infine quello che aveva sparato, Marli, venne ad afferrare il corpo di lei che fluttuava inerte e la fece girare. Qiwi non poteva muoversi. Riusciva appena a respirare. Sentì che Marli la perquisiva, palpeggiandole il ventre e i seni. — È disarmata, Tung — disse, con un sogghigno. — Però conosce le arti marziali. Per poco non ti rompeva il collo.
— Stupida cagna — ringhiò Tung.
— L’avete presa? Ah, bene. — Era la voce di Tomas Nau, dalla porta. Marli tolse la mano dai seni di lei. La spinse oltre la rastrelliera, nella parte più sgombra della stanza.
Qiwi non poteva girare la testa, ma vide quel che c’era di fronte a lei. Tomas, tranquillo come sempre. Tranquillo come sempre. L’uomo le gettò un’occhiata di passaggio e fece un cenno a Marli. Lei cercò di gridare ma non emise alcun suono. Tomas mi ucciderà, come tutti gli altri… Dio, fa che non mi uccida. Se non mi ucciderà, niente nell’universo potrà salvarlo.
Tomas si girò. Dalla porta era entrato anche Ritser Brughel, mezzo nudo e con l’aria ingrugnita. — Ritser, così non andiamo bene — disse il caponave. — Quando le ho dato la tessera d’accesso era al preciso scopo di rendere nota la sua posizione. Tu sapevi benissimo che stava venendo qui, e non hai fatto niente per impedirglielo.
Brughel scrollò le spalle. — Non ho avuto il tempo. Stavo facendo un’altra cosa, e poi come potevo immaginare che volesse ficcare il naso? Qui non c’era mai venuta.
Tomas guardò il vice caponave. — Che ti abbia colto alla sprovvista posso capirlo, ma avresti potuto bloccarla prima che mettesse piede in questa stanza. — Scrutò Qiwi, e la sua espressione si fece pensosa. — Qualcosa di imprevisto le ha messo in testa dei sospetti. Incarica Kal di sondare tutti quelli con cui ha parlato oggi.
Poi l’uomo fece un gesto a Marli e Tung. — Mettetela in una cassa e portatela giù ad Hammerfest. Dite ad Anne che voglio il solito lavoro.
— Quale fetta di ricordi bisogna amputarle, signore?
— Su questo mi consulterò più tardi con Anne. Prima dobbiamo controllare alcune registrazioni.
Qiwi vide le pareti del corridoio scorrere, mentre due mani la rimorchiavano via. Quante volte questo è successo ad altri? Per quanto si sforzasse disperatamente non riusciva a muovere un muscolo. Dentro di sé stava gridando. Non mi amputeranno la memoria. Io ricorderò. Io ricorderò!
Pham Trinli seguiva Trud Silipan su per la torre centrale di Hammerfest, verso l’attico. Quello poteva essere il momento che aveva cercato per molti Msec, aggirandosi nei pressi: una scusa per mettere il naso nel sistema del Focus e nei suoi segreti. Avrebbe potuto riuscirci prima, dato che lo stesso Silipan s’era già offerto altre volte di condurlo lì. Durante i Turni in comune Pham aveva espresso sciocche opinioni a Silipan e a Xin, che non s’erano mostrati contrari a mettere riparo alla sua ignoranza. Ma lui non aveva fretta. Non fare mosse false. Rifilare i localizzatori a Nau ti ha messo in pericolo più di ogni altra cosa, finora,
— Oggi finalmente potrai dare un’occhiata dietro le quinte, Pham, vecchio mio. E poi spero che la smetterai di romperci le tasche con le tue teorie squinternate. — Silipan stava sogghignando, come se avesse pregustato quel momento.
I due fluttuarono avanti in stretti tunnel che si biforcavano ogni pochi metri. Quel posto sembrava un carcere.
Pham si accostò a Silipan. — Cosa c’è di tanto speciale? Voialtri Emergenti potete trasformare la gente in robot. E con ciò? Neppure una testarapida può fare più di una o due moltiplicazioni al secondo. Le macchine sono un miliardo di volte più veloci. Con le vostre testerapide vi prendete la soddisfazione di vedere gente che vi ubbidisce senza discutere… e a che scopo? Per avere i più goffi e lenti robot da quando l’umanità ha imparato a scrivere.
— Sicuro, queste sono le scemenze che dici da anni, e neanche capisci quanto ti sbagli. — Silipan rallentò con un piede contro una parete. — Dentro la sala di gruppo vedi di tenere la voce bassa, d’accordo. — Erano giunti a una vera porta, non uno dei tanti sportelli da nani. Silipan la aprì ed entrarono. La prima impressione di Pham fu odori corporali e umanità affollata in spazi ristretti.
— Sembrano piuttosto macilenti, eh? Sono sani, però. Ci penso io a questo — disse Silipan, con orgoglio professionale.
C’erano file e file, verticali e orizzontali, di sedili a zero-G su una rastrelliera che non sarebbe rimasta in piedi con gravità normale. Quasi tutti erano occupati, da uomini e donne di ogni età in tuta grigia. Davanti alla faccia avevano i visori-premio Qeng Ho a forma di occhiale. Non era quel che Pham si sarebbe aspettato. — Credevo che li teneste isolati. — In minuscole celle, come Ezr Vinh aveva riferito più volte, parlandone al bar.
— Alcuni li isoliamo. Dipende da ciò che fanno. — Silipan indicò i due attendenti della sala, vestiti come infermieri di ospedale. — Questo è il gruppo dei meno importanti. Due uomini possono occuparsi delle loro necessità, e dei litiganti.
— Litiganti?
— Disaccordi professionali. — Silipan ridacchiò. — Semplici battibecchi. Diventano pericolosi solo quanto mettono in pericolo l’equilibrio psichico dei mentecatti.
Fluttuarono su diagonalmente attraverso le file. Molti dei visori erano trasparenti e Pham vide muoversi gli occhi delle testerapide. Ma nessuno parve notare lui e Trud Silipan. La loro attenzione era altrove.
In sala c’era un mormorio di voci. Molti dei presenti stavano parlando, con termini tecnici e parole abbreviate, una versione del nese del tutto incomprensibile. L’effetto globale era ipnotico.
Le mani delle testerapide si muovevano incessantemente su piccole tastiere. Silipan indicò le dita dei più vicini, fieramente. — Vedi le protesi che alcuni hanno al posto delle dita? Sono più pratiche da inserire, in caso di incidente. Quando uno si spezza un dito glielo amputiamo subito, così non deve perdere giorni di lavoro. Ogni tanto ne perdiamo qualcuno, dato che la Reynolt non può fornirli di un controllo completo. Ad esempio, giorni fa uno di loro ha avuto un’appendice perforata, subito dopo un controllo medico che non aveva notato niente. Era uno degli isolati. Le sue prestazioni avevano avuto un calo, ma la cosa non è diventata un problema finché non gli è praticamente scoppiato l’intestino. — E così lo schiavo era morto, troppo occupato nel suo lavoro per gridare di dolore, troppo poco controllato perché qualcuno se ne accorgesse. Silipan non si occupava dei singoli, ma della media.
Passarono sopra la grande rastrelliera e abbassarono lo sguardo sulle file di umanità mormorante. — In un certo senso non avresti torto, signor armiere — disse Silipan. — Se questa gente si occupasse di calcoli aritmetici o ricerche nei database, questa operazione non avrebbe senso. Un processore, piccolo come un granello sarebbe milioni di volte più rapido. Ma senti come parlano?
— Sì, però quello che dicono non ha senso.
— È un loro gergo. Lo imparano presto, quando lavorano in squadra. Ma il punto è che non svolgono funzioni a livello- macchina. Loro stanno usando le capacità dei computer. Vedi, per noi Emergenti le testerapide sono come il livello che sta sopra il software. Usano l’intelligenza umana e insieme hanno la pazienza e la continuità di una macchina. Ed è per questo che i non-focalizzati che svolgono il mio lavoro sono importanti. Il Focus non serve a niente, se non c’è gente normale a dirigerlo stabilendo il giusto equilibrio fra l’hardware e il software. Questa combinazione, regolata bene, è superiore a ciò che voialtri Qeng Ho avete mai ottenuto.
L’uomo gli spiegò che quei focalizzati erano divisi in tre gruppi: i programmatori di sistemi, fra cui i sistemi d’arma; gli analizzatori del software interno, compreso quello di sorveglianza, e altri che si occupavano di un progetto della Reynolt accentrato sui sistemi e sui codici della flotta Qeng Ho. Pham cercò di non mostrarsi scosso, mentre l’altro lo conduceva fuori.
Oltrepassato un portello stagno entrarono in quella che sembrava una stiva. C’erano alcuni contenitori per il sonno freddo, del modello usato per motivi medici. Oltre quell’equipaggiamento Pham vide un altro portello chiuso da una serratura di tipo speciale. Silipan gettò appena un’occhiata da quella parte e si affrettò a indicargli un’uscita sulla sinistra.
— Di qua. Ecco dove facciamo il vero lavoro, vecchio mio. La vera magia del Focus — disse, introducendolo in un laboratorio. Un tecnico stava facendo un lavoro di analisi neurologica su una testarapida distesa nella cavità di un complesso macchinario. Silipan glielo presentò, e gli chiese di mostrargli alcune mappe cerebrali del paziente. A quanto ne comprese Pham, qualcosa era andato storto nel Focus dell’individuo, ma problemi del genere non erano rari dopo otto o nove anni di utilizzo continuato.
Fuori dal laboratorio Pham seguì Silipan lungo un tunnel scavato nel cristallo di Diamante Uno. Le pareti erano ricche di bassorilievi finemente cesellati, nello stesso stile iper-realista che tanto tempo addietro aveva stupito i Qeng Ho invitati alla prima cena di benvenuto.
— Gli scalpellini fanno soltanto cinquanta centimetri di bassorilievi ogni Msec, ma la loro arte ci riporta il calore del nostro passato.
Calore? — Ad Anne Reynolt piacciono le cose belle? — domandò Pham.
— Bah! Alla Reynolt non potrebbe importargliene di meno. È stato il Dirigente, il vice caponave Brughel, a ordinare questo lavoro, su mia raccomandazione.
— Credevo che i vostri Dirigenti fossero ciascuno sovrano nel suo particolare dominio. — Pham non poteva dire di conoscere la Reynolt, ma l’aveva vista umiliare Brughel nel corso di una riunione con Nau.
— Dirigente? Anne Reynolt? — Silipan lo guardò con ironia. — Pham, oggi la tua faccia stupita è stata un divertimento… ma questa è la migliore della giornata. — Proseguì nel corridoio, ridacchiando, poi si girò di nuovo a godersi la sua espressione. — Scusa, vecchio mio. Voialtri Mercanti siete in gamba per molte cose, ma quando si tratta della cultura siete ignoranti come bambini. No, Anne Reynolt non è una Dirigente, anche se un tempo apparteneva allo strato superiore di questa classe sociale. La Reynolt è soltanto un’altra testarapida.
Lo sguardo di Pham si fece vacuo per lo sbalordimento, e stavolta quella era una reazione genuina. — Ma… lei dirige una grossa parte della missione. E tu esegui i suoi ordini.
Silipan scrollò le spalle. — Anne Reynolt è un caso molto raro. Si dice che fosse Alta Dirigente della Xevalle, un gruppo politico assai potente in patria. Quasi tutti furono uccisi o lobotomizzati, ma per qualche motivo quelli del gruppo rivale, i Nauly, la fecero focalizzare. Forse pensavano di usare il suo corpo per divertirsi, perché è una bella donna, ma poi le cose andarono diversamente. La mia ipotesi è che fosse maniaca o mentalmente anormale fin da prima, così il virus ebbe un effetto diverso sul suo cervello. Buona parte delle sue capacità direttive sono sopravvissute, e così anche quelle umane che le consentono di trattare con la gente.
Erano giunti alla fine del tunnel. Davanti al disadorno portello Silipan si girò a guardare Pham. — La Reynolt è un’anomalia vivente ma è forse la proprietà privata più preziosa del caponave Nau. Gli ha dato il modo di raddoppiare il suo potere. — Ebbe un sogghigno storto. — Non che questo renda più facile prendere ordini da lei, amico. Personalmente credo che il caponave non dovrebbe dare tanta autorità a una testarapida. Lei è una testarapida miracolosa, certo, ma questo che vuol dire? È come un cane che scriva poesie… uno può anche ammettere che è un genio, ma preferirebbe vederlo abbaiare e basta.
— Non sembra che t’importi il rischio che lei scopra come la pensi.
Il sorriso di Silipan si allargò. — Naturalmente no. È impossibile ingannare la Reynolt su cose che riguardano il lavoro, ma per il resto è come le altre testerapide. Potresti metterle una mano fra le gambe e la sua reazione sarebbe quella di un manichino di plastica. A volte io prendo una di quelle femmine, ovviamente dopo averle dato una buona lavata, e… — S’interruppe. — Be’, lasciamo perdere. Ora dille quel che il caponave Nau ti ha ordinato di dirle, e non ti chiederà altro. — Gli strizzò l’occhio e lo lasciò solo davanti all’ufficio di Anne Reynolt.
— Guardala bene, così capirai meglio quel che li ho detto — fu il consiglio che gli diede, spingendosi via nel corridoio.
Se Pham avesse saputo di più sulla Reynolt, avrebbe rimandato di qualche anno la faccenda dei localizzatori. Ma adesso era seduto nel suo ufficio, e non aveva molta scelta. In un certo senso questo lo stimolava. Dal tempo della morte di Diem ogni sua mossa era stata molto studiata, troppo dannatamente cauta.
La donna non aveva ancora dato segno di notare la sua presenza. Pham s’era seduto davanti alla scrivania senza essere stato invitato, e si guardava attorno nell’ufficio. Era molto diverso da quello di Nau. Le pareti erano nude, scavate nel diamante. Non c’erano fotografie, neppure quell’abominio che fra gli Emergenti passava per arte. Sulla scrivania della Reynolt c’erano soltanto dei fascicoli e il solito armamentario elettronico.
Poiché lei non lo guardava, Pham ne approfittò per studiarla da vicino. Finallora l’aveva vista solo alle riunioni, dalla parte opposta del lungo tavolo. Vestiva una semplice tuta bianca, con una sottile collana al collo e niente trucco sulla faccia. La sua igiene personale era impeccabile, non aveva un filo di grasso superfluo, e niente faceva capire che fosse una focalizzata. Coi suoi capelli di un biondo rossiccio e i suoi lineamenti avrebbe potuto essere la sorella di Brughel. La sua età era impossibile da stabilire: da trent’anni standard a un paio di secoli, se aveva sfruttato tutti i progressi della medicina a disposizione degli Emergenti. Il suo aspetto era molto attraente, perfino amabile se non si faceva caso alla sua espressione fredda. E cosi tu eri una Alta Dirigente.
Lo sguardo della donna si alzò su di lui. — Bene. Lei è qui per espormi i dettagli di quei localizzatori.
Pham annuì. Strano. Gli occhi di lei non guardavano esattamente nei suoi; gli esaminava la faccia, la fronte, le labbra, e con estrema attenzione, ma era come se volesse evitare il contatto umano con lui. Nessuna comunicazione a livello emotivo. Tuttavia lui ebbe la spiacevole sensazione che potesse vedere dietro la sua maschera.
— Sentiamo, quali sono i loro standard sensoriali?
Lui borbottò una risposta generica, dicendosi ignorante dei particolari.
La Reynolt non parve prendersela. Gli rivolse una serie di domande in tono calmo, un po’ sprezzante. Poi disse: — Questo non è sufficiente. Ho bisogno del manuale tecnico.
— Sicuro, è per questo che sono qui. Il manuale si trova sul chip dei localizzatori stessi, cifrato in codice, ma sotto le istruzioni d’uso che i tecnici sono autorizzati a leggere.
Di nuovo quello sguardo scrutatore. — Lo cercheremo. Finora non abbiamo visto nessun manuale.
Questa era la parte pericolosa. Nel caso migliore Nau e Brughel avrebbero deciso che Trinli era un vecchio rimbecillito che non sapeva ciò che diceva… in quello peggiore, che lui conosceva troppi segreti per un semplice armiere, e questo sarebbe stato un guaio. Pham indicò uno dei visori sulla scrivania. — Mi permette?
La Reynolt spinse un visore verso di lui e se ne mise davanti agli occhi uno identico, regolandolo per la condivisione delle immagini. Pham disse: — Il codice di accesso è lungo. Spero di ricordarlo… — In effetti lo aveva scritto nel suo stesso corpo, ma questo non poteva dirglielo. Ne provò alcuni sbagliati, e si mostrò seccato e irritabile quando non ebbero effetto. Una persona normale avrebbe reagito con impazienza, o riso.
La Reynolt non reagì in nessun modo. Restò seduta ad aspettare. Ma dopo un po’ disse: — Lei mi fa perdere tempo. Non finga di essere incompetente. Lei non lo è.
Se n’è accorta. Fin da quando erano partiti da Triland, nessuno aveva mai capito che lui portava una maschera. Aveva sperato di disporre di qualche anno ancora; una volta che gli Emergenti avessero cominciato a usare i localizzatori lui avrebbe potuto costruirsi un’altra copertura. Dannazione. Poi ricordò ciò che Silipan aveva detto. Anne Reynolt non poteva sapere tutto. Molto probabilmente stava pensando che lui era un informatore di quelli che non vuotavano mai completamente il sacco, per avere sempre qualche freccia al loro arco.
— E va bene — grugnì, battendo il codice giusto.
Dalla biblioteca della flotta provenne un semplice permesso di accesso a una sub-sezione contenente i dati di certi chip. Un menu colorato ruotò nell’aria davanti a loro. C’erano i tasti di accesso ai dati più intimi di quel tipo di chip e ai suoi componenti.
— Così va meglio — disse la Reynolt. Azionò una delle scelte del menu e i due si trovarono a galleggiare in mezzo a cifre e grafici.
— Come lei ha detto alla riunione, qui ci sono delle possibilità tecniche multispettro… ma sono molto più elaborate di quel che ci ha lasciato capire — commentò la donna dopo un poco.
— Vi ho detto che sono ottimi. Questi sono solo dettagli.
La donna passò da una sezione all’altra dei dati, rivelandosi molto più competente del previsto. Ora sembrava quasi eccitata. Ciò che vedeva era assai più evoluto dei prodotti analoghi degli Emergenti. — Un localizzatore, con un controllo esteso sui sensori e la capacità di operare autonomamente. — E finora aveva visto solo la parte che Pham le permetteva di vedere.
— Dovrete alimentarli dall’esterno, con pulsazioni d’energia.
— Meglio così. Questo servirà a limitarne le funzioni finché non li avremo capiti meglio.
Anne Reynolt chiuse il contatto con la biblioteca, e i due furono di nuovo nell’ufficio dalle pareti spoglie. Pham si accorse di sudare.
Lei rifletté qualche momento. — L’inventario dice che in magazzino ci sono parecchi milioni di localizzatori, in aggiunta a quelli già incorporati nell’hardware della flotta.
— Sicuro. Disattivati occupano solo pochi litri di spazio.
— Voi Qeng Ho siete stati sciocchi a non usarli fin dal nostro primo incontro, per estendere su di noi un controllo spionistico.
Pham si accigliò. — Noi armieri sapevamo di doverlo fare. E in una situazione militarmente pericolosa avremmo convinto il comandante…
Ma quei particolari non erano nel Focus di Anne Reynolt. La donna gli accennò di tacere. — Sembra che ne avremo più che abbastanza per i nostri scopi.
La faccia di Pham rifletté un’espressione di incomprensione. Si limitò a stringersi nelle spalle.
— Lei ha reso possibile l’inizio di una nuova epoca nel controllo dei personale, armiere.
Pham guardò quei freddi occhi azzurri e annuì. Sperava che lei non capisse quanto fosse vero ciò che aveva appena detto. Ma d’un tratto si rese conto di quanto poteva essere importante quella donna nei suoi piani. Anne Reynolt dirigeva quasi tutte le testerapide. Anne Reynolt era l’alter-ego di Nau, al controllo di tutte le operazioni. Anne Reynolt capiva il funzionamento del sistema degli Emergenti al livello che occorreva a un rivoluzionario per scardinare quel sistema dall’interno. E Anne Reynolt era una testarapida. Lei poteva immaginare ciò che gli passava per la testa… oppure poteva essere la chiave per distruggere Nau e Brughel.
Il silenzio e la tranquillità non erano mai assoluti in un habitat di quel genere. Il provvisorio dei Qeng Ho era largo appena un centinaio di metri, e la gente, col solo fatto di muoversi, creava vibrazioni che si ripercuotevano in ogni angolo. La piccola cabina di Pham Nuwen non offriva più quiete delle altre. Lui galleggiava nella penombra, fingendo di dormire. La sua vita segreta gli stava dando molto da fare. Gli Emergenti non lo sospettavano, ma erano stati attirati in una trappola più profonda di quanto sapesse perfino un comandante di flotta Qeng Ho. Era una delle piccole assicurazioni sulla vita che Pham aveva messo in opera molti secoli addietro.
Quanto tempo sarebbe occorso alla Reynolt e a Brughel per insegnare alla loro gente l’uso esteso dei localizzatori? Quella sera, poco prima di andare a letto, Pham aveva notato i primi moscerini entrare attraverso il ventilatore. C’era da presumere che in quel momento gli Emergenti stessero cominciando a calibrare il sistema. Con un po’ di fortuna, entro breve tempo avrebbero tolto di mezzo tutte le loro vecchie microspie per sostituirle col nuovo e ben più efficace sistema.
Un granello di polvere che tale non era si posò sulla sua guancia destra. Lui mosse la mano come per scacciarlo, e in quel gesto lo spostò accanto all’occhio. Pochi minuti dopo se ne infilò un altro entro il canale auricolare dell’orecchio destro. Era ironico, dopo tutti gli sforzi che gli Emergenti avevano fatto per liberarsi di tutti gli interfaccia sospetti di origine Qeng Ho.
I localizzatori potevano fare tutto ciò che Pham aveva detto a Nau. Erano ideali per lo spionaggio, proprio come occorreva al caponave. Avevano singolari capacità di analisi e potevano comunicare fra loro. Ma il vero segreto dei localizzatori Qeng Ho stava nel fatto che con loro non era necessario alcun interfaccia, né per l’input, né per l’output. Chi conosceva quel segreto poteva accedere alla rete dei localizzatori direttamente, lasciare che contattassero il suo corpo, che ricevessero istruzioni e gli fornissero informazioni. Ora non importava più che gli Emergenti avessero smantellato ogni interfaccia Qeng Ho. Ora un vasto interfaccia Qeng Ho era tutto intorno a loro, pronto a servire chi conosceva i suoi segreti.
Per accedere ai localizzatori occorrevano alcune conoscenze speciali e un po’ di concentrazione. Non era cosa che potesse accadere per caso. Pham si rilassò sull’amaca, un po’ per fingere di essere scivolato nel sonno, un po’ per prepararsi al lavoro. Gli occorreva un particolare schema di pulsazioni cardiache, un particolare ritmo di respiro. Lo ricordo ancora, dopo tutto questo tempo? Quel breve attimo di panico lo colse di sorpresa. Un granello accanto all’occhio, un altro nel canale auricolare; questo doveva bastare per l’orientamento degli altri localizzatori che già fluttuavano nella stanza. Non occorreva altro.
Ma lo stato psicofisico necessario ancora lo eludeva. Cercò di pensare ad Anne Reynolt e a ciò che Silipan gli aveva mostrato. I focalizzati avrebbero finito per capire il suo piano, era solo questione di tempo. Il Focus era un miracolo. Ai tempi di Brisgo Gap lui avrebbe potuto creare un impero Qeng Ho, se solo avesse avuto il Focus per costruire gli strumenti necessari. Vero, il prezzo era alto. Gli zombie che aveva visto nell’attico di Hammerfest non erano un bello spettacolo. Lui poteva immaginare molti modi per rendere più umano il sistema del Focus, ma alla resa dei conti si trattava di usare dei focalizzati, dunque bisognava accettare quella realtà.
Il successo finale, la creazione di un impero Qeng Ho durevole nel tempo, meritava quel duro prezzo? Poteva lui decidere che quel prezzo andava pagato?
Sì, e poi ancora sì.
Con quei pensieri così emotivi non sarebbe mai entrato nello stato di accesso ai localizzatori. Pham Nuwen li mise da parte e cominciò di nuovo a rilassarsi pian piano.
Trascorsero lenti i secondi, e una pallida luce azzurra si accese dentro le sue palpebre. Lui tossicchiò, mosse un braccio. La luce cominciò a palpitare: una, due, tre… era un sistema ausiliario per facilitare il conteggio binario. Lui gli fece eco, usando i codici che aveva predisposto tanto tempo prima.
Oltrepassò il portello di accesso domanda/risposta. Era entrato! Le luci che palpitavano dentro le sue palpebre erano ancora stimoli casuali. Ora gli sarebbero occorsi alcuni Ksec per insegnare alla rete di localizzatori la definizione richiesta da quel tipo di visione. Il nervo ottico era troppo grosso e troppo complesso per avere immagini video istantanee e chiare. Non c’era fretta. La rete gli stava già parlando in modo affidabile. Gli antichi programmi uscivano dalla loro tana. I localizzatori avevano identificato i suoi parametri fisici; da quel momento lui avrebbe potuto parlare con essi in molti modi diversi. In quel Turno di veglia gli restavano circa tre Msec. Questo poteva bastare per fare alcune cose per intanto necessarie: impadronirsi della rete della flotta e montare una nuova copertura per lui. Cosa poteva escogitare? Qualcosa di vergognoso, ovviamente. Una ragione vergognosa che consentisse al vecchio “Pham Trinli” di giocare al buffone di corte per molti anni. Una storia che Nau e Brughel potessero credere di usare come leva contro di lui. Quale?
Pham sentì la sua bocca piegarsi lentamente in un sorriso.
L’Ora della Scienza dei Piccoli. Che nome innocente. Ezr era uscito dal suo lungo periodo di sonno freddo per scoprire che era diventato il suo incubo. Qiwi me l’aveva promesso. Come ha potuto permettere che succedesse? Ma ogni spettacolo dal vero era un concentrato di incognite.
E quel giorno sarebbe stato forse il peggiore. Con un po’ di fortuna avrebbe potuto essere l’ultimo.
Ezr fluttuò nel bar di Benny quando mancavano ancora un migliaio di secondi all’inizio del programma. Fino a quel momento gli era parso meglio ascoltarlo dal suo alloggio, ma il suo masochismo aveva vinto ancora una volta. Andò a sedersi fra i clienti e prestò orecchio in silenzio alle loro chiacchiere.
Il bar di Benny era diventato il centro della loro vita pubblica lì a L1. Ormai esisteva da sedici anni. Benny se ne era occupato per circa un quarto di quegli anni, il corrispondente del suo Turno di veglia, mentre per il resto del tempo era stato gestito da suo padre, da Gonle Fong e da altri. Su una parete era appesa una Carta Generale dei Turni, sulla quale la data era adesso quella dei Ragni, tradotta da Trixia: il 60/21. Il ventunesimo anno dell’attuale generazione dei Ragni, ovvero del sessantesimo ciclo solare a partire dalla fondazione di una loro dinastia o di qualcos’altro. Un vecchio motto Qeng Ho diceva: «Quando cominci a usare il calendario di un posto, vuol dire che ci sei già stato troppo». Erano trascorsi 21 anni dalla Riaccensione, da quando Jimmy Diem e gli altri erano morti. Oltre all’anno era segnato anche il numero del giorno e poi le “ore” e i “minuti”, un sistema a base sessanta che la traduttrice non s’era preoccupata di spiegare razionalmente. I frequentatori del bar ci erano abituati e sapevano quando sarebbe cominciato il programma “di Trixia”.
Il programma di Trixia. Ezr strinse i denti. Il programma di una schiava, e il peggio era che a nessuno sembrava importare di questo. Un po’ per giorno stiamo diventando Emergenti tutti quanti.
Jau Xin e Rita Liao e mezza dozzina di altre coppie — fra cui due Qeng Ho — erano riunite ai loro soliti tavoli e parlavano di ciò che sarebbe successo quel giorno.
— … il timore che questo sia l’ultimo programma della serie — stava dicendo Rita Liao, preoccupata.
— Non è il caso di prendersela, Rita. Non sappiamo neanche se un programma di questo genere ci serva.
— Probabilmente no — intervenne Gonle Fong, fluttuando su di loro. Distribuì sui tavoli bulbi di birra “Diamante e Ghiaccio”. — Io credo che le testerapide… — Gettò uno sguardo di scusa a Ezr. — Credo che i traduttori non ci capiscano più niente. In questo programma ci sono cose che non hanno senso.
— Secondo me sono piuttosto chiare — disse uno degli Emergenti. e aggiunse una spiegazione plausibile del concetto di “perversione dei fuori-fase”. Il problema non erano i traduttori, ma l’incapacità degli umani di accettare il pensiero alieno.
L’Ora della Scienza dei Piccoli era una delle prime trasmissioni radio tradotte da Trixia e dagli altri. Doppiare in audio quelle voci bizzarre era stato un successo tecnico. All’inizio dei programmi (quindici anni prima) c’erano state soltanto traduzioni scritte. Già allora venivano discusse nel bar di Benny, ma con lo stesso astratto interesse delle teorie sulla stella OnOff. Col passare degli anni il programma era diventato molto popolare. Bene. Ma in quegli ultimi 50 Msec Qiwi aveva fatto un accordo con Trud Silipan, e ogni dieci giorni Trixia e gli altri traduttori partecipavano a un programma in diretta. Dal giorno del suo ultimo risveglio, Ezr non aveva detto più di cinque parole a Qiwi. Aveva promesso di vegliare su Trixia. Cosa si può dire a una che rompe una promessa del genere? Lui non voleva credere che la ragazza fosse una traditrice. Ma andava a letto con Tomas Nau. Forse usava la sua posizione per tutelare gli interessi Qeng Ho. Forse. All’atto pratico tutto sembrava favorire quelli di Nau.
Ezr aveva assistito a quattro di quelle “recite”. Lo sorprendeva molto vedere il calore umano e l’enfasi mimica che i traduttori, tutti testerapide, mettevano in quei doppiaggi dal vivo e in diretta. Evidentemente la loro dedizione al lavoro li induceva a dare un’interpretazione molto completa.
Il presentatore del programma era Rapparpot Digba. Alcuni si chiedevano da dove i traduttori avessero tirato fuori quel nome, visto che in lingua originale suonava completamente diverso, ma Ezr sapeva che quelle “licenze poetiche” erano opera di Trixia. Il traduttore che doppiava Rapparpot Digba era un certo Zimmin Broute. Fuori dal programma Broute era una tipica testarapida, scostante, fissato, non comunicativo. Ma quando cominciava a doppiare il Ragno Rapparpot Digba diventava di colpo garrulo e gentile, paziente nello spiegare le cose ai piccoli… era come vedere uno zombie animato temporaneamente dall’anima di qualcun altro.
Ogni Turno vedeva una versione diversa di questi Ragni-bambini, dato il tempo che trascorreva sul pianeta. Rita e qualcun altro avevano cercato di appaiare alle voci dei veri bambini umani, e i loro disegni erano appesi qua e là nel bar. Disegni di bambini immaginari coi nomi riplasmati da Trixia. Jirlib era basso, con ispidi capelli neri e un sorriso timido. Brent, uno dei suoi fratelli, era alto e robusto. Benny aveva riferito a Ezr che una volta Ritser Brughel aveva sostituito quei disegni con foto di Ragni veri: bassi e larghi, con l’esoscheletro corazzato, immagini riprese dalle telecamere dei satelliti-spia a bassa quota.
L’iniziativa di Brughel non aveva avuto successo; l’uomo non capiva cosa c’era dietro la popolarità dell’Ora della Scienza dei Piccoli. Tomas Nau ovviamente lo capiva, ed era ben lieto che i clienti del bar di Benny sublimassero i loro problemi personali appassionandosi a quei personaggi. Gli Emergenti, ancor più dei Qeng Ho, si erano aspettati di vivere nel lusso coi frutti di quella spedizione, si erano aspettati il successo e la ricchezza, e avevano fatto piani per le loro famiglie. Molti avevano contato di sposarsi e avere figli lì intorno alla stella OnOff…
Ora tutto era rimandato. Coppie come Xin e Liao avevano solo i loro sogni del futuro… e le parole e i pensieri da bambini che venivano dalle traduzioni dell’Ora della Scienza dei Piccoli.
Già prima che cominciassero i doppiaggi in diretta, tutti avevano notato che i piccoli Ragni avevano sempre la stessa età. Anno dopo anno gli abitanti di Arachna invecchiavano, ma i nuovi piccoli messi in quel programma avevano la stessa età di quelli che sostituivano. Le prime lezioni erano state sul magnetismo e l’elettricità statica, senza matematica; in seguito erano state introdotte altre materie.
Circa due anni addietro c’era stato un cambiamento, sottolineato nei rapporti delle testerapide: nel programma erano apparsi Jirlib e Brent. Erano stati presentati come uguali a ogni altro, ma le traduzioni di Trixia li avevano dipinti come più giovani. Il conduttore, Rapparpot Digba non aveva menzionato la differenza, e gli argomenti scientifici trattati dal programma erano diventati sempre più complessi.
Victreia Seconda, detta Viki, e Gokna erano le ultime inserite nella trasmissione. Ezr aveva visto Trixia doppiarle. La sua voce scoppiettava di irrequietudine infantile, spesso rompendosi in risatine o esclamazioni. I disegni di Rita le rappresentavano nei panni di bambine di sette anni. Qualcuno lo aveva trovato strano: perché l’età dei nuovi Ragni dei programma doveva essere sempre più giovane? Benny diceva che la spiegazione era ovvia. La regia era passata nelle mani di qualcun altro. L’ipotesi più accreditata era che a dirigere le lezioni fosse l’onnipresente Sherkaner Underhill. E a quanto s’era capito, questo Underhill era il padre di tutti i piccoli del programma.
Quando Ezr era uscito dal sonno freddo, il programma riempiva il bar di Benny al massimo della sua capacità. Ezr aveva assistito a quattro rappresentazioni, quattro ore di tormento e d’angoscia per lui; poi c’era stata una pausa di venti giorni nei quali L’Ora della Scienza dei Piccoli non era andata in onda. Al suo posto avevano trasmesso un secco comunicato: «Dopo che molti ascoltatori si sono lamentati, i proprietari di questa stazione radio hanno dovuto riconoscere che la famiglia di Sherkaner Underhill ha praticato la perversione fuori-fase. In attesa di una decisione definitiva, la trasmissione L’Ora della Scienza dei Piccoli è sospesa». Broute aveva doppiato l’annuncio con una voce diversa da quella che usava per Rapparpot Digba, una voce fredda e indignata.
L’alienità di Arachna era diventata più comprensibile. Dunque, le tradizioni dei Ragni consentivano che i piccoli venissero alla luce solo nel periodo del Nuovo Sole. Le generazioni erano molto separate e tutti vivevano sentendosi parte di un gruppo di coetanei; durante la crescita i piccoli non vedevano Ragni più giovani o più anziani, istruiti in classi diverse; esisteva un’unica classe che ogni anno passava al corso successivo. Apparentemente, dunque, L’Ora della Scienza dei Piccoli era stata usata da qualcuno che mirava a violare quel tabù. I giorni erano trascorsi senza che fosse ripresa. Nel bar di Benny l’atmosfera si era intristita.
Rita aveva cominciato a pensare di togliere i suoi sciocchi disegni dalle pareti. Ed Ezr s’era cullato nella speranza che quel ridicolo circo equestre fosse finito.
Ma era sperare troppo. Quattro giorni addietro c’era stata una novità, anche se il mistero permaneva. Tutte le stazioni radio dell’Alleanza Goknana avevano annunciato che un esponente della Chiesa della Tenebra avrebbe partecipato a un dibattito con Sherkaner Underhill, sul tema della “decenza” della sua trasmissione. Trud Silipan aveva promesso che le sue teste-rapide sarebbero state pronte per doppiare in diretta la trasmissione.
Ora l’orologio del bar di Benny contava i secondi che mancavano a quell’edizione speciale dell’Ora della Scienza dei Piccoli.
Seduto al suo solito tavolo, Silipan sembrava ignorare la tensione dei presenti. Stava parlando sottovoce con Pham Trinli. I due erano da anni compagni di bevute, e discutevano di grandi progetti che non erano mai approdati a niente di concreto. Dannazione, sbagliavo a pensare che Trinli parlasse a vanvera, sospirò fra sé Ezr. Le sue dichiarazioni sulle magiche capacità dei localizzatori non erano una bugia. Ezr aveva notato dappertutto i “moscerini”. Nau e Brughel li usavano senza scrupoli. Per qualche strano motivo Pham Trinli era stato al corrente di un importante segreto dei localizzatori, un segreto di cui non si parlava neppure negli strati più inaccessibili della biblioteca Qeng Ho. Ezr era probabilmente l’unico a essersi fatto venire quel sospetto, ma forse Pham Trinli non era solo un vecchio buffone. In lui stava nascendo la certezza che non fosse affatto un idiota. Nella biblioteca della flotta di segreti ce n’erano molti, com’era inevitabile in un archivio così antico. Ma uno di quella importanza, e conosciuto da un semplice insignificante armiere… no, quel Trinli doveva essere molto più vecchio di quel che diceva.
— Ehi, Trud! — chiamò Rita, indicando l’orologio. — Dove sono le tue testerapide? — La tappezzeria-video del bar mostrava ancora un paesaggio forestale balacreano.
Silipan fluttuò via dal tavolo. — È tutto a posto gente. Fra poco Radio Principalia manderà in onda il programma. La direttrice Reynolt sta per mettere al lavoro le testerapide, sincronizzate in diretta per il doppiaggio.
— Bene. Ottimo lavoro, Trud — disse la Liao.
Silipan s’inchinò, accettando l’omaggio a quello che da parte sua era stato un contributo zero. — Fra pochi minuti sapremo cosa questo Ragno, questo Underhill ha fatto coi suoi figli. — Inclinò la testa, ascoltando qualcosa in un auricolare. — Ecco che ci colleghiamo, gente!
Il paesaggio forestale scomparve dalla tappezzeria, e la stanza sembrò espanderci in una delle sale riunioni di Hammerfest. Da destra entrò in campo Anne Reynolt, con una prospettiva appiattita; quell’angolo della tappezzeria non supportava il 3D. Dietro di lei vennero dentro due tecnici e cinque testerapide. Persone focalizzate. Una di loro era Trixia.
Era a questo punto che ogni volta Ezr provava il bisogno di urlare, o di fuggire in qualche posto buio e fingere che il mondo non esistesse più Di solito gli Emergenti tenevano nascoste le testerapide da qualche parte, come per un residuo di vergogna. A loro piaceva vedere i risultati su qualche schermo, disinfettati e filtrati. Benny gli aveva detto che all’inizio, su richiesta di Qiwi, le testerapide si limitavano a mandare il loro doppiaggio in audio lì nel bar. Poi Silipan aveva parlato a tutti della loro interpretazione mimica, e lo spettacolo era diventato anche visivo. Senza dubbio una testarapida non poteva neppure immaginare il linguaggio corporale di un Ragno la cui voce gli arrivava in audio. Ma questo non importava; la mimica era forse un controsenso, ma era ciò che tutti quei bastardi intorno a lui volevano avere.
Trixia vestiva una tuta da fatica. I suoi capelli corti, che Ezr aveva pettinato 40 Ksec prima, erano untuosi e scarmigliati. La donna andò ad aggrapparsi al bordo del tavolo; guardava da una parte e dall’altra e mormorava fra sé. Si pulì la bocca con un polsino della tuta e sedette. Gli altri fecero lo stesso, con l’aria distratta di chi ha la mente altrove. Portavano dei visori davanti alla faccia, ed Ezr sapeva cosa stavano ascoltando e vedendo: una versione semitradotta dai computer del linguaggio dei Ragni. Il mondo di Trixia era tutto lì.
— Siamo sincronizzati, signora — disse uno dei tecnici.
La direttrice Emergente delle risorse umane fluttuò fra i ranghi dei suoi schiavi, controllandoli e scambiando parole sottovoce. Ezr non dubitava che la donna avesse un talento speciale con loro. Era una cagna dagli occhi di ghiaccio, ma sapeva come ottenere risultati con le testerapide.
— Bene, stiamo per cominciare… — La Reynolt si tolse di mezzo. Zimmin Broute aveva alzato una mano e stava già cominciando a parlare in tono professionale. — Signore e signori, qui è Rapparpot Digba che vi parla da Radio Principalia. Ho il piacere di annunciarvi che va ora in onda L’Ora della Scienza per i Piccoli…
Quel giorno Papà li stava portando tutti alla stazione radio. Jirlib e Brent erano sul ponte superiore dell’automobile, e si comportavano con serietà da adulti; il loro aspetto era quasi abbastanza in-fase da non attrarre l’attenzione. Rhapsa e il piccolo Hrunk erano ancora così giovani da poter stare aggrappati al pelame di Papà; sarebbe occorso un altro anno prima che si stancassero di essere definiti i “pargoletti” della famiglia.
Gokna e Victreia Seconda sedevano sul retro, ciascuna sul suo trespolo. Viki guardava le strade di Principalia oltre il vetro affumicato. Tutta quella pompa la faceva sentire come una della famiglia reale. Inclinò la testa a guardare la sorella; forse Gokna poteva passare per una sua cameriera personale.
Gokna sbuffò imperiosamente. Erano così simili che probabilmente stava pensando la stessa cosa… con lei stessa nei panni di Grande Dominatrice. — Papà, se oggi il programma lo fai soltanto tu, perché dobbiamo venire anche noi?
Papà rise. — Oh, è che non si sa mai. La Chiesa della Tenebra pensa di essere la depositaria della verità. Ma io mi chiedo se la loro rappresentante abbia mai conosciuto dei piccoli fuori-fase. Forse è una signora comprensiva. Vedendovi di persona, forse non dirà parole di fuoco per il solo motivo che non avete l’età giusta.
Questo era possibile. Viki pensò allo zio Hrunkner, che detestava il modo in cui s’era formata la loro famiglia… ma li amava lo stesso.
L’automobile proseguì nelle strade affollate del centro e poi su per il viale che portava alle colline della radio. Radio Principalia era l’emittente più vecchia della città; Papà diceva che trasmetteva da prima della Tenebra, quando era solo una radio militare. In questa generazione i proprietari avevano ricostruito sulle vecchie fondamenta. Avrebbero potuto spostare gli studi in città, ma ci tenevano alla loro grande tradizione. Così andare in macchina alla stazione era divertente, su e intorno alla più alta collina della regione, anche più alta di quella dove abitavano. La brina del mattino imbiancava ancora il terreno. Viki si spostò contro il trespolo di Gokna e le due sorelle guardarono di lato. Era la metà dell’inverno, e quell’anno era uno degli Anni di Mezzo, ma prima di allora avevano visto la brina una volta sola. Gokna alzò una mano verso est. — Guarda… da questa altezza possiamo vedere le Cime Dirupate.
— E c’è della neve, lassù! — Le due mandarono gridolini. Ma forse era soltanto brina anche quella. Sarebbero occorsi due o tre anni prima che la neve facesse la sua comparsa nella regione di Principalia. Cosa si provava a camminare sulla neve? Per qualche momento entrambe dimenticarono il fatto del giorno, il dibattito radiofonico che aveva preoccupato tutti, anche il generale, negli ultimi dieci giorni.
La cima della collina della radio apparve oltre gli alberi. Il terreno del parcheggio era coperto di bassi giunchi. I piccoli scesero, stupiti del freddo che c’era nell’aria. Viki sentiva un bruciore negli orifizi respiratori, come se della brina si formasse anche lì. Era possibile?
— Venite, figlioli. Gokna, non spezzare i giunchi. — Papà e i loro fratelli più anziani li condussero su per la scala, di rustica pietra pitturata a fiamma come voleva l’antica tradizione.
Alle pareti interne c’erano file di foto, ritratti dei proprietari della stazione e degli inventori della radio (le stesse persone, nel loro caso). Tutti loro, salvo Rhapsa e Hrunk erano già stati lì. Jirlib e Brent avevano lavorato nel programma negli ultimi due anni; entrambi i maschi sembravano più vecchi della loro età, e Jirlib era più intelligente di molti adulti. Nessuno aveva avuto sospetti sulla loro vera età, cosa che aveva un poco irritato Papà. — Io volevo che la gente lo capisse con la sua testa… ma sono troppo sciocchi per immaginare la verità da soli! — Così alla fine anche Gokna e Victreia Seconda erano state inserite nel programma. Questo era stato divertente, fingere di essere qualche anno più anziane e leggere il copione che preparavano per il programma. E il signor Digba era stato simpatico, anche se lui non era un vero scienziato.
Tuttavia Gokna e Viki avevano voci molto giovani. Alla fine qualcuno, nonostante la sua fiducia nella santità di tutti i programmi radio, aveva capito che veniva trasmessa pubblicamente una grave perversione.
Ma Radio Principalia era di proprietà privata, e inoltre possedeva le bande più vicine a quella di emissione per evitare le interferenze. I padroni erano artropodi della generazione 58, che sapevano calcolare freddamente i loro interessi. Se la Chiesa della Tenebra non avesse posto in atto un boicottaggio effettivo, Radio Principalia avrebbe continuato a mandare in onda L’Ora della Scienza dei Piccoli.
— Ah, dottor Underhill, che piacere! — La signora Subtrime uscì ondeggiando dal suo cubicolo. La direttrice della stazione era tutta gambe e mani puntute, con un corpo appena più grosso della testa. Gokna e Viki si divertivano un mondo a mimare la sua andatura. — Questo dibattito ha generato un interesse incredibile. Lo manderemo in diretta anche su tutta la Costa Orientale, e spediremo ovunque la registrazione. Senza esagerare, posso dirle che abbiamo ascoltatori in tutto il mondo!
Abbiamo ascoltatori in tutto il mondo! Dietro la direttrice, Gokna ripeté in silenzio quelle parole accompagnandole con un’esagerazione teatrale dei suoi movimenti. Viki finse di non notarlo e rimase impassibile.
Papà inclinò la testa verso la direttrice. — Sono felice di essere così popolare, signora.
— Oh, lo è, mi creda! I nostri sponsor si stanno litigando gli spazi pubblicitari. Litigando, dico! — Sorrise ai piccoli. — Ho provveduto perché voi possiate assistere dalla cabina di regia.
Tutti loro sapevano dove fosse e la seguirono docilmente, ascoltando le sue chiacchiere interminabili. Nessuno della famiglia sapeva esattamente cosa la signora Subtrime pensasse dei fuori-fase come loro. Jirlib diceva che non era stupida e a interessarla erano prima di tutto gli incassi. — Quella sa fino all’ultimo soldo quanto può tirare fuori di tasca a quei vecchi ragni, accendendo il fuoco sotto l’indignazione del pubblico. — Forse, ma a Viki la direttrice piaceva lo stesso e le perdonava le sue chiacchiere e le sue esclamazioni sciocche. Almeno lei non era attanagliata alla stupida morale dei benpensanti.
— Oggi in regia c’è Didi. La conoscete già. — La signora Subtrime si fermò davanti alla cabina di regia. Solo allora parve notare per la prima volta i piccoli aggrappati sulla schiena di Sherkaner. — Santo cielo, ne ha di tutte le età, eh? Io… saranno al sicuro lì i suoi piccoli? Non so chi potrebbe prendersi cura di loro.
— Stia tranquilla, signora. Ho intenzione di presentare Rhapsa e il piccolo Hrunk alla rappresentante della Chiesa.
La signora Subtrime s’irrigidì. Per un momento tutte le sue mossette vezzose si congelarono. Viki non l’aveva mai vista così stupefatta. Poi il suo corpo si rilassò in un lento sorriso. — Dottor Underhill! Non le hanno mai detto che lei è un vero genio?
Papà le restituì il sorriso. — Mai con una ragione così buona… Jirlib, accertati che tutti stiano in cabina con Didi. Se vorrò che uno di voi esca, ve lo farò sapere.
Gli aracnidi entrarono nel locale lungo e stretto. Didire Ultmot era seduta sul suo trespolo davanti ai comandi. La parete di vetro che la separava dalla sala di registrazione era a prova di suono, ma non molto trasparente. I piccoli si accostarono a essa. Seduta sul palco c’era già una persona.
Didire alzò una mano. — Quella che vedete è la rappresentante della Chiesa. La vecchia artropode è arrivata con un’ora di anticipo. — Come al solito Didi era efficiente e nervosa. Era una ventenne attraente e sensuale, forse non intelligente come gli studenti di Papà, ma conosceva molto bene il suo lavoro ed era a capo di tutti i tecnici di Radio Principalia. Era stata assunta lì a quattordici anni come operatrice, e di elettricità ne sapeva quanto Jirlib, ma studiava per diventare ingegnere elettrico. Viki ricordava ancora il modo strano in cui si comportava Jirlib quando lui e Brent l’avevano conosciuta. A quel tempo Jirlib aveva dodici anni, ma sembrava assai più adulto. Solo un paio di programmi più tardi Didire aveva capito che lui era fuori-fase, e aveva preso quella sorpresa come un insulto personale. Il povero Jirlib era andato attorno per molti giorni come se avesse le gambe rotte; ma poi ci aveva fatto il callo… nella vita lo aspettavano rifiuti peggiori.
Anche Didire ci aveva fatto il callo, più o meno. Finché Jirlib manteneva le distanze lei si comportava con cortesia. A volte, quando dimenticava di stare sulle sue, Didi era una delle persone più simpatiche di quella generazione che Viki conoscesse. Allorché lei e Gokna non erano sul palcoscenico, le lasciava entrare in cabina di regia a guardare il suo lavoro. Didi era molto orgogliosa della complessità del suo pannello di comandi. Era di legno, non di metallo, ma sembrava scientifico come gli apparecchi di laboratorio della casa.
— E allora, che tipo è questo vecchio ragno della Chiesa? — domandò Gokna. Lei e Viki avevano premuto gli occhi principali contro il vetro. Lo spessore era tale che molti colori non lo attraversavano. La sconosciuta seduta sul palco avrebbe potuto essere morta, tanto appariva rossa.
Didi scrollò le spalle. — È la Onorevole Pedure. Parla in modo strano. Secondo me è una Tiefer. Vedete quel vestito strano che indossa? È la tunica di quelli del suo rango. — Il corpo di lei si mosse in un sorriso. — Suppongo che farà un salto sul trespolo, quando vedrà i piccoli sulla schiena di vostro padre.
Viki non ci avrebbe scommesso, ma quando poco dopo Sherkaner Underhill entrò, la Onorevole Pedure s’irrigidì sotto la sua informe tonaca. Subito dopo anche Rapparpot Digba fece la sua comparsa sul palco e s’impadronì di un microfono. Digba presentava L’Ora della Scienza dei Piccoli fin dall’inizio, molto prima che Brent e Jirlib entrassero nel programma. Era un vecchio ragno artritico, e Brent diceva che fosse uno dei proprietari della stazione. Viki non ci credeva, non dopo aver visto come Didi gli dava istruzioni.
— Va bene, gente. — La voce di Didi uscì dagli altoparlanti. Papà e l’Onorevole Pedure si voltarono verso la regia. — Andiamo in onda fra quindici secondi. Lei sarà pronto, signor Digba, o devo farle suonare la sveglia da un trombettiere dell’esercito?
Rapparpot Digba alzò lo sguardo dagli appunti che stava leggendo. — Lei rida pure, signorina Ultmot, ma quando io ero nell’esercito… mmh, a ogni modo sappia che non sono mai andato in onda senza…
— Tre, due, uno… — Didi chiuse il suo microfono e puntò una mano verso Digba.
L’artropode accolse il suo cenno come se l’avesse aspettato pazientemente per ore. La sua voce dignitosa era il marchio di fabbrica che da oltre quindici anni dava il via al programma: — Signore e signori, qui è Rapparpot Digba che vi parla da Radio Principalia. Ho il piacere di annunciarvi che va ora in onda L’Ora della Scienza dei Piccoli…
Quando Zimmin Broute doppiava, i suoi gesti non erano più rapidi e compulsivi. Guardava chi aveva davanti e sorrideva, o si accigliava, con emozioni che sembravano vere. E forse provava delle emozioni vere… per qualche creatura a forma di ragno laggiù sulla superficie di Arachna. Traducendo Digba tracciò una piccola storia auto-elogiativa del programma, quindi descrisse l’ombra caduta su di loro con la perversione delle nascite fuori-fase. — … ma oggi siamo in onda per un preciso impegno sociale. Le accuse che ci hanno fatto negli ultimi giorni sono gravi. Signore e signori, lasciatemi intanto dire che queste accuse corrispondono al vero.
Ci fu un silenzio drammatico per tre battiti di cuore, poi: — È così, amici miei, potreste ora chiedervi cosa ci dà il coraggio, o l’impudenza, di tornare in pubblico. È per rispondere a questo che vi chiedo di ascoltare l’edizione odierna dell’Ora della Scienza dei Piccoli. Se questo programma continuerà o meno, dipende molto dalle vostre reazioni a ciò che udrete oggi…
Silipan sbuffò. — Che trombone ipocrita. Questi capitalisti a cui interessa solo il denaro… — Xin e gli altri gli accennarono di stare zitto. Silipan fluttuò verso Ezr. Questo era già accaduto; l’uomo sembrava credere che lui, poiché si teneva in disparte, avrebbe gradito più degli altri le sue analisi.
Sulla tappezzeria-video, Broute stava presentando gli ospiti del programma. L’arte del doppiaggio gli era del tutto estranea, ma la sua velocità di testarapida gli consentiva di fornire una versione ottimale parlando quasi in contemporanea con il personaggio da lui doppiato. Trud Silipan approfittò di una pausa per contattare un database, da cui giunse una spiegazione in audio tramite una voce anonima: — La Onorevole Pedure, una femmina, fa parte della Curia della Chiesa della Tenebra. Non è una cittadina dell’Alleanza Goknana. Risulta che sia un agente del governo Kindred.
Xin si guardò attorno, lasciando perdere un momento Broute-Digba. — Diavolo, questa gente il fondamentalismo lo prende sul serio. Pensate che Sherkaner Underhill ne sia al corrente?
La voce del database di Silipan gli rispose: — È possibile. Sherkaner Underhill è strettamente legato al servizio spionistico dell’Alleanza. Finora non abbiamo intercettato trasmissioni militari che lo confermino, ma la civiltà dei Ragni non è automatizzata e molte informazioni viaggiano solo per iscritto.
Silipan si portò l’interfaccia alla bocca: — Ho una ricerca per te. Cosa vogliono ottenere i Kindred da questo dibattito? — Guardò Jau Xin e scrollò le spalle. — Difficile avere la risposta, per ora. Anche la testarapida che si occupa di questo ha troppo da fare.
Broute aveva quasi finito con l’introduzione. La Onorevole Pedure era doppiata da Xopi Reung. Xopi era una donna piccola e magra. Ezr sapeva i loro nomi grazie alle sue visite ad Hammerfest. Mi chiedo chi altro conosca i nomi di queste testerapide. Probabilmente non interessavano neppure agli Emergenti. Xopi era specializzata anche in un’altra lingua dei Ragni, il Tiefico, ed era abile quasi quanto Trixia. Su qualsiasi pianeta civile sarebbe stata un’accademica molto rispettata, ma era stata selezionata alla lotteria del Focus. Mentre presuntuosi come Jau Xin e idioti come Trud Silipan vivevano pienamente la loro vita, lei era un automa in un cubicolo, mai vista da occhi estranei fuorché in una circostanza particolare come quella.
Xopi Reung disse: — La ringrazio, Mastro Digba. Non dubito che la Radio di Principalia sia fiera di averci offerto la possibilità di dibattere questo argomento. — Mentre parlava Broute l’attenzione di Xopi s’era spostata qua e là, ma quando era toccato a lei il suo volto aveva assunto un’espressione ferina, irosa.
— Non è una buona doppiatrice — si lamentò qualcuno.
— È nuova, non scordarlo — disse Silipan.
— O forse quella Pedure parla in modo strano. Il tuo database ha detto che è una straniera, no?
Reung-Pedure si appoggiò al tavolo. La sua voce si fece bassa, mielata. — Venti giorni fa, la Chiesa ha scoperto un germe di corruzione in un programma che milioni di persone avevano accolto per anni nelle loro case, offrendolo agli orecchi dei loro coniugi e dei loro figli… — Per un poco andò avanti a concionare in tono dotto. Poi: — … di conseguenza è positivo che Radio Principalia ci dia ora la possibilità di ripulire l’aria della comunità. — Fece una pausa. — Io… io… — Era come se non trovasse le parole giuste. Per un istante riassunse la sua espressione vacua da testarapida. Poi batté una mano sul tavolo, si appoggiò allo schienale e tacque.
— Ve l’ho detto, questa come traduttrice vale poco.
Appoggiando al muro le mani e le gambe anteriori, Viki e Gokna riuscivano a tenere gli occhi principali premuti sul vetro. Era una posizione scomoda, e le due continuavano a scivolare alla base della larga finestra.
— La ringrazio, mastro Digba. Non dubito che la Radio di Principalia sia lieta di… — Bla bla bla.
— Parla in modo strano — disse Gokna.
— Ve l’ho già detto. È una straniera — rispose distrattamente Didire. Era occupata a regolare le sue apparecchiature. Non sembrava far molto caso a quel che veniva detto sul palco. Brent guardava lo spettacolo con stolido interesse, mentre Jirlib cercava di tenersi il più vicino possibile a Didire. Gli sarebbe piaciuto darle consigli tecnici, ma questo non sarebbe stato intelligente. Ogni tanto le faceva una domanda calcolatamente ingenua. Con questo di solito otteneva di farla parlare con lui, se Didire non aveva troppo da fare.
Gokna sogghignò a Viki. — No, voglio dire che l’Onorevole Pedure dice delle cose stupide.
— Mmh. — Viki non ne era altrettanto sicura. Avvertiva qualcosa di minaccioso in lei. — Secondo te crede davvero in quello che sta dicendo?
— Silenzio, voi due! — sibilò Didire. — Questa è l’ultima volta che vi lascio entrare in cabina di regia. Jirlib, fai stare zitte le tue sorelle, o trascinale fuori, ma non voglio sentire altre chiacchiere.
— Sì, sì, scusami. — Jirlib sembrava mortificato. Si affrettò a togliere Gokna dalla parete di vetro. Brent lo seguì e fece lo stesso con Viki.
Dietro di loro, Viki sentì Didi che parlava sottovoce, probabilmente nel microfono dell’auricolare di Digba. Sul palco il conduttore del programma annuì. Ora che aveva lasciato parlare l’Onorevole Pedure, presentò agli ascoltatori anche Papà.
Quel giorno Xopi non sembrava molto soddisfatta del lavoro. Quando finalmente tacque, fu la volta di Broute a tradurre la presentazione di Sherkaner Underhill.
Sherkaner Underhill. A doppiare lui, benché fosse maschio, ci pensava Trixia. Quell’individuo era il primo Ragno di cui Ezr avesse udito il nome. Lo si sentiva menzionare in un numero incredibile di trasmissioni radio. Dapprima tutti avevano creduto che fosse lui l’artefice della rivoluzione industriale; poi si era capito che l’artefice di questa o quella scoperta era in realtà qualcuno dei suoi dipendenti o dei suoi studenti. Quel Ragno doveva dunque essere un burocrate, o il fondatore dell’istituto di Principalia dove sembrava lavorare la maggior parte dei suoi studenti. Strano che questo Underhill avesse messo i suoi figli in un programma radio. In questo doveva esserci un significato politico, e dunque l’importanza dell’Ora della Scienza dei Piccoli era maggiore di quanto tutti avevano creduto. Anche Nau stava assistendo, su Hammerfest. Mi chiedo se Qiwi sia con lui.
Trixia cominciò: — La ringrazio, mastro Digba. Sono lieto di essere qui, oggi. È tempo che qualcuno discuta con franchezza di questo argomento. In realtà spero che molti giovani, sia in-fase che fuori-fase, stiano ascoltando.
Lo sguardo che Trixia gettò a Xopi era rilassato e fiducioso, tuttavia c’era un tremito nella sua voce. Ezr la guardava. Quanti anni aveva Trixia, ormai? I Turni di lavoro delle testerapide erano segreti… forse perché molti stavano fuori dal sonno freddo nel cento per cento del tempo. Ogni volta che Ezr era rientrato di Turno l’aveva trovava lì, sveglia e al lavoro. Sembrava dieci anni più vecchia di lui.
Ora Trixia stava dicendo: — Ma voglio correggere una delle cose che la signora Pedure ha detto. Non c’è mai stato un complotto per tenere segreta l’età di questi giovani. I miei due figli più anziani, che hanno ormai quattordici anni, sono nel programma da più tempo degli altri. Era naturale che partecipassero, e dalle lettere che hanno sempre ricevuto so che erano popolari sia fra i giovani della generazione attuale che coi loro genitori.
Xopi guardò Trixia, seduta alla sua sinistra. — Ma ovviamente questo è solo perché essi hanno taciuto la loro vera età. Per radio non si poteva capire quella piccola differenza. Per radio, alcune… oscenità, non vengono notate.
Trixia rise. — È vero, l’hanno taciuta. Ma voglio che i nostri ascoltatori riflettano su questo. La maggior parte di loro hanno in grande simpatia Jirlib, Brent, Gokna e Viki. Conoscere i miei figli solo per radio, senza vederli, ha mostrato ai nostri ascoltatori una verità che altrimenti sarebbe loro sfuggita, cioè che i fuori-fase sono persone decenti come ogni altro. Ma ripeto: io non ho nascosto nulla. E alla fine, come ben vedete, i fatti sono diventati così evidenti che nessuno ha più potuto ignorarli.
— Così sfacciati, vorrà dire. Il suo secondo gruppo di figli fuori-fase non raggiunge i sette anni. Questa è un’oscenità che neppure la radio può nascondere. E quando lei è entrato in questo studio ho notato che ha due piccoli appena nati fra il suo pelame. Mi dica, signore, c’è un limite alle malvagità che lei intende fare?
— Signora Pedure, quale malvagità? Quale offesa, e a chi? Il nostro pubblico ha ascoltato l’uno o l’altro dei miei figli per oltre due anni. La gente conosce Jirlib e Brent, Gokna e Viki, e sa che sono dei giovani bravi e simpatici. Lei può vedere i piccoli Hrunk e Rhapsa che la guardano dalla mia schiena… — Trixia fece una pausa come per consentire a due immaginari ragnetti di guardare Xopi. — Io so che a lei dispiace vedere dei piccoli quando manca ancora tanto al Sole Calante. Ma fra un anno o due saranno abbastanza grandi da parlare, e io desidero far partecipare all’Ora della Scienza dei Piccoli i miei figli di ogni età. Col trascorrere dei tempo la gente vedrà che questi ragnetti sono sani e intelligenti quanto quelli nati alla fine degli anni del Sole Calante.
— Controsensi! Il suo progetto può riuscire soltanto se lei lo impone alla gente un passo dopo l’altro, inducendola ad accettare prima questa immoralità e poi quella, fino a…
— Fino a? — chiese Trixia, sorridendo educatamente.
— Fino a… fino… — Ezr notò che dietro il suo visore Xopi aveva un’espressione selvaggia. — Finché la gente per bene accetterà quelle bestie fuori-tempo che lei porta sulla schiena! — gridò, mezza fuori dalla sedia, agitando un pugno verso Trixia.
Trixia stava ancora sorridendo. — In una parola, mia cara Pedure: sì. Perfino lei vede che possono essere accettati. Ma i piccoli fuori-fase non sono bestie. Non hanno bisogno che la Prima Tenebra dia loro un’anima. Sono creature che possono diventare aracnidi onesti e utili alla società. Col trascorrere degli anni, L’Ora della Scienza dei Piccoli lo renderà palese a tutti, forse anche a lei.
Xopi sedette. Aveva l’aria delusa e irritata. — Vedo che gli appelli alla decenza non hanno alcun effetto su di lei, mastro Underhill. E fra il pubblico possono esserci persone deboli attratte alla perversione dalla sua tecnica dell’approccio graduale. Tutti hanno una tendenza all’immoralità, in questo sono d’accordo con lei. Ma esistono anche i buoni principi morali. La tradizione ci guida in un equilibrio fra le due facce della nostra natura. Ma… vedo che la tradizione ha scarsa presa su di lei. Lei è uno scienziato, vero?
— Mmh, sì.
— Ed è uno dei quattro Camminatori della Tenebra.
— È così.
— Il nostro pubblico forse non sapeva che dietro L’Ora della Scienza dei Piccoli c’è una persona così nota. Lei è uno dei quattro che hanno visto la Tenebra Profonda. Niente è un mistero per lei — disse Pedure. Trixia fece per replicare, ma Xopi-Pedure la precedette. — Io oso dire che questo spiega molte delle sue manchevolezze. Lei è cieco ai sacrifici delle generazioni precedenti, al lento apprendere di ciò che era mortale e ciò che era sicuro per la sopravvivenza degli aracnidi. Ci sono delle ragioni dietro ogni legge morale, signore! Senza la legge morale, il contadino diligente viene derubato dai pigri e dai violenti alla fine degli Anni del Sole Calante. Senza la legge morale, gli innocenti nelle loro profondità vengono massacrati da chi si sveglia per primo. Tutti noi vogliamo ottenere molte cose, ma alcune di esse sono distruttive per chi le desidera.
— Questo è vero, signora Pedure. Ma il punto qual è?
— Il punto è che ci sono motivi per le regole, specialmente per le regole contro i fuori-fase. Un Camminatore della Tenebra come lei può credere che tutto il resto sia facile, ma perfino lei deve ammettere che la Tenebra è la grande pulitrice. Io ho ascoltato i suoi figli. Oggi, prima di andare in onda, li ho visti nella cabina di regia. Dietro i suoi segreti c’è uno scandalo, il che non mi sorprende. Almeno uno dei vostri figli… quello di nome Brent… è un minorato mentale, non è cosi?
Xopi tacque e attese la risposta, ma Trixia non parlò. Il suo sguardo era fermo; non stava lottando per tradurre quel che le arrivava in audio. E all’improvviso Ezr sentì il cambiamento nel genere di comunicazione. Non era causato dalle parole o dalle emozioni della doppiatrice, ma… dal silenzio. Per la prima volta Ezr sentì che un Ragno era una persona, una persona che poteva essere ferita.
— Ah — disse Silipan. — Questo conferma una nostra ipotesi. I Ragni partoriscono molti cuccioli, ma la natura uccide i deboli durante la Tenebra.
Zimmin Broute ruppe il silenzio. — Mastro Underhill, intende rispondere alla domanda dell’Onorevole Pedure?
— Sì. — Il tremito nella voce di Trixia era più forte. — Brent non è un minorato. Non è verbale, e impara in modo diverso dagli altri giovani. — Nella sua voce si accese una fiammella di entusiasmo. — L’intelligenza è una cosa complessa e singolare. In Brent io vedo…
Xopi alzò una mano. — In Brent io vedo il classico difetto di nascita dei figli fuori-fase. Amici miei, io so cosa soffrono i fedeli della Chiesa in questa generazione. Ci sono molti mutamenti, e le antiche usanze possono sembrare tiranniche. Un tempo figli come Brent avrebbero potuto nascere solo nelle regioni sottosviluppate, dove c’è sempre stata barbarie e perversione. Al giorno d’oggi simili casi si spiegano col fatto che i genitori si accoppiano dopo la Tenebra, come neppure gli animali inferiori hanno mai fatto. Il povero Brent è stato fatto nascere in un mondo dove lo aspettano pochi anni di vita infelice, ed è giusto condannare i suoi genitori per la loro crudeltà. Peggio ancora quando oggi è un intellettuale come Underhill — un cenno del capo in direzione di Trixia — a macchiarsi di questo peccato. Egli riesce a farvi ridere delle antiche tradizioni, e io debbo contrastarlo usando le sue stesse azioni. Guardi questo suo figlio, mastro Underhill. Quanti altri come lui ne ha messi al mondo?
Trixia: — Tutti i miei ragnetti…
— Ah, sì. Non c’è dubbio che ci siano stati altri minorati. Lei ci ha detto di averne sei, ma quanti altri ne ha nascosti? Ha soppresso i più gravemente tarati? Se il mondo si accodasse alla sua perversione la civiltà perirebbe prima della prossima Tenebra, invasa da orde di minorati fisici e mentali. — L’Onorevole Pedure s’era accaldata molto. In effetti le sue obiezioni erano concrete: la sovrappopolazione, ancor più del dilagare delle deformità psicofisiche, avrebbe portato a disordini e massacri prima di scendere nelle profondità. Se l’intera popolazione si fosse data alle nascite fuori-fase ci sarebbe stato il caos. Xopi appariva stravolta.
Broute si volse a Trixia-Underhill. — Cosa risponde a questo?
Trixia: — Ah, è giusto che mi si chieda una risposta. — Il suo tono era leggero come all’inizio del programma. Se Underhill era stato colpito dall’attacco a suo figlio, il discorsetto di Pedure gli aveva dato tempo di riprendersi. — Primo, tutti i miei figli sono vivi. Ho avuto soltanto questi sei. Ciò non deve sorprendere. È difficile avere figli fuori-fase, come sono certo che tutti voi sappiate. È anche difficile mantenere gli appigli dorsali per tutto il tempo necessario affinché ai piccoli crescano gli occhi. La natura preferisce che i figli siano partoriti prima della Tenebra.
Xopi si piegò in avanti e alzò la voce. — Prendete bene nota di questo, amici! Underhill ha appena confessato di aver commesso un crimine contronatura!
— Non precisamente. L’evoluzione ci ha costretto a vivere e operare entro i limiti concessi dalla natura. Ma i tempi cambiano…
Xopi lo interruppe, con sarcasmo. — I tempi cambiano? La scienza le ha permesso di essere un Camminatore della Tenebra, e ora lei è diventato più grande della natura?
Trixia rise. — Oh, io sono sempre parte della natura. Ma anche prima dell’era della scienza… lei sa che dieci milioni di anni fa la durata del ciclo solare era inferiore a un anno?
— Fantasie. Come può vivere una creatura…
— Come, mi chiede? — Il sorriso di Trixia s’era allargato. Il suo tono era trionfante. — Ma le registrazioni dei fossili sono molto chiare. Dieci milioni di anni fa il ciclo era assai più breve, e le variazioni della luce meno intense. Non c’era alcun bisogno delle profondità, né dell’ibernazione. Mentre il ciclo della Luce e della Tenebra diventava più lungo e più estremo, tutte le creature capaci di sopravvivere si adattarono. Possiamo immaginare che fu un duro procedimento. Furono necessari molti grandi cambiamenti. E oggi…
Xopi fece un gesto secco. L’aveva aggiunto d’istinto, o faceva parte di ciò che le arrivava in audio? — Se non è una fantasia, non è ancora stato provato. Signore, io non sono qui per discutere con lei dell’evoluzione. Molta gente per bene crede nei fossili… ma queste non sono basi adatte per speculare su questioni di vita e di morte.
— Ah! Un punto per papà! — Appollaiate sopra Brent e Jirlib, le due sorelle si scambiavano commenti sottovoce. Quando Didire non guardava da quella parte rivolgevano gesti offensivi all’Onorevole Pedure. Era bello mostrare alla vecchia artropode ciò che pensavano di lei.
— Non preoccuparti, Brent. Papà la metterà a posto, quella Pedure.
Brent era ancor più silenzioso del solito. — Sapevo che sarebbe successo questo. Le cose andavano già abbastanza male, e ora papà deve anche difendere me.
In effetti Papà aveva sfiorato il disastro quando Pedure aveva definito Brent un minorato. Viki non l’aveva mai visto così alle strette. Ma ora stava recuperando terreno. Viki aveva pensato che Pedure fosse un’ignorante, ma sembrava a conoscenza degli argomenti che Papà aveva usato contro di lei. Non importava. La Onorevole Pedure non era poi così istruita; inoltre Papà aveva ragione.
E adesso s’era lanciato: — Strano che nel suo amore per la tradizione lei non si interessi al passato, signora Pedure. Ma poco importa. I cambiamenti che la scienza sta apportando alla generazione attuale sono così grandi che sarà bene illustrarli. La natura promuove certe strategie di sopravvivenza… e il ciclo delle generazioni è una di esse, siamo d’accordo. Senza questa strategia noi ci saremmo estinti. Ma pensi allo spreco, signora mia. Ogni anno tutti i nostri figli sono nello stesso stadio di vita, e gli strumenti usati per il loro apprendimento l’anno precedente devono essere abbandonati, e non sopravviveranno per un uso ulteriore nella generazione successiva. Nel frattempo dobbiamo costruire a nuovo gli strumenti da usarsi nell’anno successivo, perché quelli costruiti nella generazione precedente non sono sopravvissuti alla Tenebra. Ma non ci sarà più bisogno che tali sprechi avvengano. La scienza…
La Onorevole Pedure ebbe una risata, fra meravigliata e sarcastica. — Cosi lo ammette! Lei sta complottando perché figliare fuori-fase diventi un sistema di vita, invece di restare un suo peccato isolato.
— Ma naturalmente! — esclamò Papà. — Io voglio che la gente sappia che oggi viviamo in un’epoca diversa. Io voglio che la gente sia libera di avere figli in ogni fase del sole.
— Sì, lei intende contagiare tutti noi. Mi dica, Underhill, lei ha già scuole segrete per i fuori-fase? Ci sono centinaia, o migliaia, di piccoli come i suoi in attesa di esservi ammessi?
— Oh, no. Finora non abbiamo trovato compagni di gioco per i miei figli.
In quegli anni tutti loro avevano desiderato dei compagni di gioco. Mamma ne aveva cercati per loro, senza successo. Golena e Viki avevano concluso che gli altri fuori-fase erano ben nascosti… o molto rari. Talvolta Viki si chiedeva se loro fossero veramente dei dannati; era così difficile trovare qualcun altro.
La Onorevole Pedure si appoggiò all’indietro sul trespolo, sorridendo in modo quasi amichevole. — Questo mi conforta, mastro Underhill. Anche in tempi come i nostri ci sono persone decenti, e la perversione è rara. Ciò nonostante L’Ora della Scienza dei Piccoli continua a essere popolare, benché i giovani in-fase abbiano superato i vent’anni. Il suo programma è una tentazione che i giovani delle generazioni precedenti non avevano. Ecco perché questo nostro scambio di idee è terribilmente importante.
— Si, anch’io la penso così.
La Onorevole Pedure inclinò la testa. — Mi sembra, mastro Underhill, che lei sia in grado di capire le leggi morali. Lei le considera per caso uguali, diciamo, alle leggi della creatività artistica… tali cioè che possano essere infrante da un grande pensatore? Ad esempio lei?
— Io non presumo di essere un grande pensatore. Tuttavia, signora, non ho mai pensato alle leggi morali nel modo che lei ha detto. Che interessante idea! Lei ipotizza che possano essere infrante da chi abbia un innato… talento per la divinità? Sicuramente no, benché io confessi di essere un ignorante sugli argomenti morali. Mi piace tuttavia pensare a certe cose. Camminare nella Tenebra è stata una cosa importante per la scienza, più che per lo sforzo bellico. La scienza potrà creare cose meravigliose nel futuro della razza degli Aracnidi. Sono cose che mi appassionano molto, e voglio che la gente, inclusi gli esperti di morale, capiscano le conseguenze dei cambiamenti.
La Onorevole Pedure disse: — Lo apprezzo. — Il suo sarcasmo era evidente solo alle menti sospettose come quella di Victreia Seconda. — E lei intende far sì che la scienza sostituisca in qualche modo la Tenebra nel suo ruolo di Grande Pulitrice, e nel suo aspetto di mistero più insondabile?
Papà scostò quelle parole con un gesto delle mani nutritive, come se avesse dimenticato di essere per radio. — La scienza renderà la fase di Tenebra del sole conosciuta e innocua come la notte che viene al termine di ogni giorno.
Nella cabina di regia Didire mandò un gridolino di sorpresa. Era la prima volta che Viki la vedeva reagire a ciò che si diceva nei programmi da lei diretti. Sul palco, Rapparpot Digba sedeva rigido come se lo avessero impalato. Papà non parve notarlo, e la risposta dell’Onorevole Pedure fu indifferente come se stessero discutendo della pioggia. — Sta dicendo che tutti noi vivremo e lavoreremo durante la Tenebra come se fosse solo una lunga notte?
— Sì! Cosa crede che ci sia dietro ogni discussione sull’energia nucleare?
— Così diventeremo tutti Camminatori della Tenebra, e non ci sarà più Tenebra, né mistero, né profondità dove la mente degli Aracnidi possa riposare. La scienza si porterà via tutto.
— Sciocchezze. Su questo piccolo mondo non ci sarà più nessuna vera Tenebra, ma continuerà a esserci il buio. Vada fuori e guardi il cielo, signora Pedure. Noi siamo circondati dal buio e sempre lo saremo. E proprio come la nostra Tenebra finisce col passaggio al Nuovo Sole, il grande buio finisce sulle spiagge di milioni di stelle. Ci pensi! Il ciclo del nostro sole era un tempo inferiore a un anno, e ancor prima di quell’epoca il sole brillava per tutto il suo tempo. Conosco studiosi che affermano che la maggior parte delle stelle sono come il nostro sole, ma più giovani. E molte hanno pianeti come il nostro. Lei vuole una Tenebra che sia sempre uguale a se stessa? Una Tenebra da cui la razza degli Aracnidi continui a dipendere sempre? Signora Pedure, nel cielo c’è una profondità che si estende all’infinito. — E qui Papà cominciò a parlare dei viaggi spaziali. Anche gli studenti dell’Istituto davano segni di noia quando si lanciava in quell’argomento, a parte un nucleo duro di tipi originali specializzati in astronomia.
Rapparpot Digba e la Onorevole Pedure ascoltavano a bocca aperta mentre Papà parlava di teorie sempre più elaborate. A Digba il lato scientifico del programma era sempre piaciuto, e quei discorsi lo ipnotizzavano. Pedure invece si stava annoiando. L’orologio della stanza si stava avvicinando al momento dei comunicati commerciali che chiudevano sempre il programma. Sembrava che Papà avesse avuto l’ultima parola e volesse mantenerla… ma Viki era certa che la Onorevole Pedure aspettasse un momento strategico.
E infatti, all’improvviso la religiosa afferrò il microfono e parlò a voce alta sovrastando quella di Papà. — Molto interessante. Ma colonizzare lo spazio fra le stelle è oltre le possibilità della generazione attuale.
Papà agitò una mano. — Forse sì, ma…
La Onorevole Pedure continuò: — E così il grande cambiamento dei nostri tempi è semplicemente la conquista della prossima Tenebra, quella che segnerà la fine di questo ciclo del sole?
— Esatto. Noi non avremo più bisogno delle profondità. Questa è la promessa dell’energia nucleare. Tutte le grandi città avranno energia sufficiente per restare calde e abitate per più di due secoli… fino al termine della Tenebra. Così…
— Capisco. E allora grandi progetti edilizi dovranno essere realizzati intorno alle città?
— Sì, e alle fattorie. Inoltre dovremo provvedere a…
— E questa dunque è la ragione per cui vuole una generazione di adulti in più. È per questo che lei vuole promuovere le nascite fuori-fase.
— Oh, non direttamente. Questo è soltanto uno degli aspetti della nuova situa…
— Così l’Alleanza Goknana entrerà nella prossima tenebra con milioni di Camminatori della Tenebra. E del resto del mondo cosa ne sarà?
Papà parve capire che quello era terreno minato. — Mmh, le altre nazioni progredite potranno fare lo stesso. Le regioni più arretrate avranno le loro solite profondità, e il loro risveglio avverrà più tardi.
La voce di Pedure s’indurì come una lama d’acciaio; la trappola stava finalmente scattando. — «Il loro risveglio avverrà più tardi». Durante la Grande Guerra quattro Camminatori della Tenebra annientarono la nazione più potente dei mondo. Nella prossima Tenebra i vostri Camminatori saranno milioni. Questi sembrano i preparativi per il più mostruoso genocidio della storia.
— No, non è affatto cosi. Noi non vogliamo…
— Mi spiace, signori, il nostro tempo è scaduto.
— Ma…
Rapparpot Digba tagliò corto alle obiezioni di Papà. — Desidero ringraziarvi entrambi per essere stati nostri ospiti e… — Bla bla bla.
Sul palco, Pedure attese che il presentatore avesse finito e si alzò. I microfoni erano chiusi e Viki non poté sentire cos’altro dicessero. Sulla sinistra la rappresentante della chiesa scambiò qualche parola con Rapparpot Digba. Papà appariva assai agitato. Mentre la Onorevole Pedure gli passava davanti si alzò e la seguì fuori, parlando animatamente. L’unica espressione dell’altra fu un sorrisetto ironico.
In cabina di regia Didire Ultmot stava manovrando interruttori per dare il via alla parte più importante del programma, gli annunci commerciali. Alla fine si girò verso di loro. Appariva un po’ confusa, sbalordita. — Sapete, vostro padre ha delle idee… uh, davvero… molto singolari.
Ci fu una serie di suoni che avrebbero potuto essere musica, e poi le parole: — Le mani lucide sono mani felici. Riempite la brocca con mani scintillanti…
La pubblicità riempiva ogni spazio fra le trasmissioni di Radio Principalia. Liquidi tonificanti per l’esoscheletro, detergenti per gli occhi, creme lucidanti… molti prodotti erano comprensibili, benché non lo fossero i comunicati per promuoverli. Altri prodotti erano solo parole intraducibili, specialmente se si trattava di novità appena messe sul mercato o se a tradurre non era Trixia.
Quel giorno se ne occupavano la Reung e Broute, e Trixia si teneva in disparte, già tagliata fuori dal segnale audio. Gli inservienti si stavano già preparando a farli uscire. I clienti del bar di Benny ignoravano del tutto gli annunci pubblicitari.
— Non è stato divertente come quando parlano solo i giovani, ma…
— Hai sentito cos’ha detto dei viaggi spaziali? Mi chiedo quali effetti possano esserci sul Programma. Se…
Ezr non li ascoltava più. Il suo sguardo era inchiodato alla tappezzeria-video e tutto il resto non gli importava. Trixia aveva un aspetto peggiore del solito. Nei suoi occhi c’era una luce che a lui sembrava disperata. Una luce che ormai cominciava a ossessionarlo, anche se Anne Reynolt aveva detto che si trattava soltanto di ansia di tornare al lavoro.
— Ezr? — Una mano gli toccò una spalla. Era Qiwi. A volte, in occasione di quei programmi, la ragazza veniva nel bar e si sedeva a guardare in silenzio. Ora aveva la sfacciataggine di agire come un’amica. — Ezr, vorrei dirti che…
— Risparmiatelo. — Ezr le volse le spalle.
E così stava di nuovo guardando Trixia quando la cosa accadde. Gli inservienti avevano già fatto uscire Broute dalla stanza.
Mentre Xopi passava davanti a lei, Trixia balzò via dalla sua sedia e colpì l’altra traduttrice con un pugno in faccia. Xopi sbandò contro uno degli inservienti; si asciugò il naso e guardò il sangue che le era rimasto sulla mano. L’altro uomo afferrò Trixia prima che potesse fare altri danni, ma le parole che la ragazza stava urlando si udirono anche nel bar di Benny: — Cattiva, Pedure! Muori! Muori!
— Oh. merda. — Sulla destra di Ezr, Trud Silipan si spinse via dalla sedia e fluttuò verso l’uscita del bar. — Alla Reynolt questo non piacerà. Devo tornare subito ad Hammerfest.
— Vengo anch’io. — Ezr aggirò Qiwi e raggiunse la porta. I clienti del locale erano rimasti ammutoliti, poi tutti cominciarono a parlare.
Ezr era già fuori, alle calcagna di Silipan. I due scesero nel corridoio principale e girarono verso i compartimenti dei taxi. Silipan batté il suo codice su un portello e si volse, ingrugnito. — E tu cosa vuoi?
Ezr si accorse che Pham Trinli li aveva seguiti e veniva a fermarsi accanto a loro. — Vengo anch’io, Trud. Devo vedere Trixia.
Anche Trinli sembrava preoccupato. — C’è il caso che questa faccenda rovini il nostro affare, Silipan? Dobbiamo assicurarci che…
— Al diavolo. Sì, bisogna vedere che effetto avrà sulla cosa. D’accordo, vieni pure. — L’uomo guardò Ezr. — Tu no. Non c’è niente che tu possa fare.
— Io vengo, Trud. — Ezr si trovò con la faccia a dieci centimetri da quella dell’altro, a pugni stretti.
— E va bene. Ma resta fuori dai piedi.
Un momento dopo il display del portello divenne verde. I tre salirono a bordo e si scostarono dal provvisorio. Il gruppo di asteroidi era una macchia di luce accanto al disco azzurro di Arachna. — All’inferno, doveva succedere proprio mentre siamo sull’altro lato. Taxi!
— Sì, signore?
— Ad Hammerfest. Velocità massima. — Di solito era necessario discutere di più con l’hardware del taxi, ma evidentemente la macchina aveva riconosciuto la voce e il tono di Silipan.
— Sì, signore. — Il taxi accelerò a un decimo di G. Silipan e gli altri si aggrapparono alle maniglie e sedettero. Davanti alla prua l’assembramento di asteroidi ingrandì.
— Ci saranno delle conseguenze, puoi scommetterci. La Reynolt dirà che ero assente dal mio posto di lavoro.
— E non è così? — Trinli s’era seduto accanto a Silipan.
— Si capisce, ma non avrebbe dovuto succedere niente. Dannazione, un solo inserviente dovrebbe essere più che sufficiente per quei maledetti traduttori. Ma ora sarò io quello che passerà un brutto quarto d’ora.
— Ma Trixia sta bene?
— Perché diavolo la Bonsol è esplosa a quel modo? — domandò Trinli.
— Non lo chiedere a me. Che le testerapide si mettano a litigare per delle sciocchezze è normale, almeno quelli che fanno lo stesso lavoro, ma stavolta non capisco cosa le è preso. — Silipan tacque, mentre sul suo visore appariva un’immagine e gli arrivava una chiamata nell’auricolare. Poi si volse a Trinli. — Non ci saranno problemi. Sembra che stessero ancora ricevendo qualcosa dalla superficie del pianeta. Probabilmente hanno continuato a mandare in onda quello che succedeva nello studio radiofonico, per qualche errore tecnico. Magari quell’Underhill ha mollato una sventola all’altro Ragno. Questo vorrebbe dire che la Bonsol si è limitata a fare una buona traduzione… che il diavolo la porti!
Facendo ipotesi su quella che poteva essere la spiegazione, Silipan s’era accigliato. Trinli, troppo stupido per accorgersi del suo stato d’animo, gli mollò una pacca su una spalla. — Non preoccuparti. Qiwi Lisolet fa parte dell’affare. Questo significa che il caponave Nau vuole che le testerapide siano usate in tutte le occasioni. Diremo che tu eri nel provvisorio con me per darmi una mano col lavoro spicciolo.
Il taxi si girò di centottanta gradi e frenò per attraccare. Gli asteroidi e Arachna scomparvero dal cielo.
Uscendo dalla stazione radio non videro la Onorevole Pedure. Papà era un po’ abbacchiato, ma sorrise e annuì quando gli altri si complimentarono con lui. Brent sedette davanti con lui per tutto il tragitto in auto fino alla casa sulla collina.
Gokna e Viki non parlarono molto, per strada. Entrambe sapevano che tutti si stavano nascondendo la verità.
Quando furono a casa mancavano ancora due ore all’ora di cena. Il personale di cucina disse che il generale Smait era appena tornato da Comando Territoriale e sarebbe stata a cena anche lei. Viki scambiò uno sguardo con Gokna. Mi chiedo cosa Mamma dirà a Papà. La parte più interessante non sarebbe accaduta durante la cena. Mmh. Allora cosa posso fare nel resto del pomeriggio? Le due sorelle si separarono, allontanandosi ognuna per conto suo fra i locali a spirale della casa. Non poche stanze (e ce n’erano molte) erano chiuse. Di alcune loro non erano mai riuscite ad avere la chiave. Il generale aveva qui i suoi uffici, anche se le cose importanti venivano decise a Comando Territoriale.
Viki mise la testa nell’ufficio di suo padre al pianterreno e poi andò nella sala di ritrovo dei tecnici, ma senza trattenersi a lungo. Aveva scommesso con Gokna che Papà non si sarebbe nascosto, ma ora capiva che quel giorno “non nascosto” non impediva l’opzione “difficile da trovare”. Attraversando i laboratori trovò le tracce tipiche del suo passaggio: studenti anziani in vari stadi di stupore che d’un tratto s’illuminavano alla sorpresa di una rivelazione. “Influsso Underhill” lo chiamavano loro. Se uno andava in giro con l’aria molto pensosa era probabile che lui gli avesse detto qualcosa di singolare.
Il nuovo laboratorio segnali era all’ultimo piano della casa, sotto un tetto gremito di antenne. Viki trovò Jaiber Landeru sulla scale, che stava scendendo. L’artropode non mostrava alcun sintomo dell’Influsso Underhill. Peccato.
— Salve, Jaiber. Hai visto mio…
— Sì. Sono tutti su in laboratorio. — Lui agitò una mano dietro di sé.
Aha! Ma Viki non riprese subito il cammino. Se il generale era già lì, forse lei avrebbe potuto sapere qualcosa in anticipo. — Allora cos’è successo, Jaiber?
Come c’era da aspettarsi, Jaiber rispose per quel che riguardava il suo lavoro. — Un dannato contrattempo. Ho montato solo stamattina le mie nuove antenne studiate apposta per il collegamento con Comando Territoriale. Dapprima la sintonia era buona, poi ho cominciato ad avere interferenze di quindici secondi sulla lunghezza d’onda di altre due stazioni che si trovano nella stessa direzione. Volevo domandare a tuo padre… — Viki Io seguì giù lungo la scala, emettendo suoni comprensivi alle incomprensibili chiacchiere del tecnico sugli strati di amplificatori e i difetti delle piastre di allineamento. Senza dubbio Jaiber era rimasto lusingato dall’interesse di Papà, e Papà era stato lieto di una scusa per isolarsi in un laboratorio. E poi Mamma lo aveva pescato…
Viki lasciò che Jaiber scendesse nel suo ufficio e riprese a salire le scale, stavolta girando verso l’ingresso di servizio del laboratorio. In fondo al corridoio c’era una luce. Ah! La porta era semiaperta. Si sentiva la voce del generale. Viki scivolò accanto alla porta.
— … è questo che non capisco, Sherkaner. Tu sei una persona intelligente. Perché a volte riesci a comportarti come un idiota?
Victreia Seconda esitò, quasi tentata di andarsene. Mai aveva sentito Mamma così arrabbiata. Le faceva… male. D’altra parte, Gokna avrebbe fatto qualsiasi cosa per sentire il suo racconto. Viki avanzò ancora, inclinando la testa per guardare dentro dalla fessura. Il laboratorio era come lei lo aveva visto l’ultima volta, pieno di oscilloscopi e registratori ad alta velocità. Quasi tutti gli apparecchi di Jaiber erano ancora coperti; dunque Mamma era arrivata prima che cominciassero a occuparsi davvero di lavoro. Adesso lei stava di fronte a Papà, impedendo ai suoi occhi migliori di vedere Viki. E mi sembra anche di essere nel punto cieco di Mamma.
— Sono stato davvero così fallimentare? — disse Papà.
— Peggio!
Sherkaner Underhill parve piegarsi sotto lo sguardo rovente del generale. — Non so cosa dirti. Quell’aracnide mi ha colto alla sprovvista col suo commento su Brent. Avrei dovuto aspettarmelo. Ne avevamo parlato, tu e io. Ne avevo anche parlato con Brent. Eppure non ho saputo uscirne bene. Mi sono confuso.
— Non è questo il problema, Sherkaner. Hai reagito bene, e ti sei saputo spiegare. Ma alla fine ti sei lasciato attirare in una…
— A parte l’astronomia, ho detto solo cose che avevamo preparato per il programma l’anno prossimo.
— Ma le hai dette tutte insieme!
— … lo so, Pedure ha cominciato a parlare come una persona curiosa e ragionevole. Come Hrunk o i giovani qui alla casa sulla collina. Mi ha posto alcune questioni interessanti e io ho preso il via. Ma la sai una cosa? Resto ancora convinto che questa Pedure sia una artropode intelligente e dalla mente elastica… se avessi avuto altro tempo, sono certo che avrei saputo convincerla.
La risata del generale fu secca, amara. — Dio delle Profondità, sei proprio uno sciocco! Sherk, io… — Mamma allungò una mano a toccarlo. — Scusa. Strano, non tratto neppure quelli del mio staff come tratto te, quando mi arrabbio.
Papà mormorò qualcosa nel tono che usava quando parlava con Rhapsa e il piccolo Hrunk. — Il motivo lo sai, mia cara. Tu mi ami come ami te stessa. E mi tratti come tratti te stessa.
— Dentro di me. Io mi tratto così solo in silenzio, e dentro di me.
Per un poco tacquero, e Victreia Seconda desiderò aver perso la sua scommessa con Gokna. Ma quando Mamma parlò ancora la sua voce era quasi normale. — Il passo falso l’abbiamo fatto entrambi, su questa faccenda. — Aprì la serratura della sua borsa da viaggio e ne tirò fuori dei documenti. — Secondo il programma dell’anno prossimo, L’Ora della Scienza dei Piccoli dovrà introdurre i vantaggi e le nuove possibilità della vita durante la Tenebra, in parallelo con i primi grossi contratti di costruzioni edili. Abbiamo previsto varie conseguenze politiche e militari, certo, ma non ce le aspettavamo in questo periodo.
— Conseguenze militari? Oggi?
— Manovre politiche pericolosissime, comunque. Tu sai che questa artropode, questa Pedure, è di Tiefstadt.
— Sì, il suo accento è evidente.
— La Onorevole Pedure è Terza Chierica della Chiesa della Tenebra, e non dimentica gli interessi di Tiefstadt. Ma noi sappiamo che fa parte anche dell’Azione Divina.
— I Kindred.
— Proprio loro. Dopo la fine della guerra noi abbiamo stabilito relazioni amichevoli coi Tiefer, ma i Kindred stanno cominciando a far pendere il piatto della bilancia in un’altra direzione. Hanno già parecchie nazioni minori sotto controllo. Ufficialmente l’Azione Divina è una setta legittima della Chiesa, ma…
In fondo al corridoio, alle spalle di Viki, qualcuno accese le luci. Mamma alzò una mano e s’irrigidì. Ooops. Forse aveva notato l’ombra di lei, che ora veniva proiettata sulla porta semiaperta. Senza voltarsi Victreia allungò una mano in quella direzione. — Seconda! Chiudi quella porta e vai subito in camera tua!
La risposta di Viki fu un mormorio imbarazzato. — Sì, madre.
Mentre accostava il battente udì la voce di lei borbottare un commento: — Dannazione. Spendo cinquanta milioni all’anno per non far intercettare i nostri messaggi, e mia figlia mi spia ogni volta che le fa comodo.
In quel momento la clinica sotto Hammerfest era un posto molto affollato. Nelle precedenti visite di Pham Trinli c’erano stati solo Silipan, un tecnico o due e un paio di pazienti. Quel giorno… forse solo l’esplosione di una bomba avrebbe causato più agitazione fra i focalizzati. Entrambe le unità MRI erano occupate. Uno dei tecnici stava preparando Xopi Reung per la MRI; la donna cacciava gemiti e cercava di opporre resistenza. In un angolo Dietr Li (il fisico?) era legato mani e piedi e mugolava fra sé.
Anne Reynolt s’era agganciata con un piede a una ringhiera del soffitto, così poteva stare a testa in giù sopra le MRI senza essere d’impaccio ai tecnici. Non si voltò a guardarli quando entrarono. — Va bene, induzione completa. Tenetela per le braccia. — Uno dei tecnici spinse la sua paziente nel mezzo della stanza. Era Trixia Bonsol. La donna si guardò attorno, senza riconoscere nessuno di quelli che vedeva, e cominciò a singhiozzare disperatamente.
— L’avete de-focalizzata! — gridò Vinh, proiettandosi avanti fra Pham e Silipan. Aggrappato a una maniglia Pham fu svelto ad afferrare il giovane per un braccio e deviò il suo impeto di novanta gradi, mandandolo a finire contro una parete.
La Reynolt guardò severamente Vinh. — Lei stia zitto, o esca — disse. Allungò una mano verso Bil Phuong. — Ora inserite la dottoressa Reung. Voglio un… — Il resto fu gergo tecnico. Un burocrate normale li avrebbe senza dubbio fatti buttare fuori. Ad Anne Reynolt non importava, finché non le stavano fra i piedi.
Silipan si avvicinò a Pham e a Vinh. Aveva l’aria di non volersi mettere, in evidenza.
— Sì, tieni la bocca chiusa, Vinh. — Indicò il display di un’unità MRI. — La Bonsol è ancora focalizzata. Le hanno appena scollegato le capacità linguistiche. Questo la renderà più facile da… trattare. — Guardò Trixia, incerto. La donna s’era piegata su se stessa per quanto glielo permettevano i legami. I suoi singhiozzi erano rauchi e disperati, dolorosi.
Per un momento Vinh cercò di divincolarsi dalla stretta di Pham, ma poi rimase immobile, scosso da un tremito che soltanto quest’ultimo poteva sentire, e distolse lo sguardo dalla Bonsol.
Su un comunicatore apparve la faccia di Tomas Nau. — Anne? Gli addetti alla mia banca dati non riescono a darmi le analisi da quando questa storia è cominciata. Può dirmi quando…
Il tono della Reynolt restò quello che aveva usato con Vinh. — Mi dia un Ksec. Ho qui almeno cinque casi di regressione completa.
— Santo cielo… mi tenga informato, Anne.
La Reynolt stava già parlando a un altro. — Hom! Quali sono le condizioni del dottor Li?
— È razionale, signora. Posso dirlo perché l’ho ascoltato parlare. Tuttavia durante quel programma radio gli è successo… qualcosa.
La Reynolt fluttuò attraverso la stanza fino al dottor Li, evitando con abilità i tecnici, le testerapide e le apparecchiature. — Questo è strano. Non avrebbe dovuto esserci nessun contatto fra i fisici e quel programma radiofonico.
Il tecnico le indicò una piastra sulla tuta di Li. — Il suo identificatore dice che ha ricevuto la trasmissione.
Pham notò che Silipan deglutiva saliva. Poteva trattarsi di una sua mancanza? Dannazione, se l’uomo cadeva in disgrazia lui avrebbe perduto il suo collegamento con le operazioni del Focus.
Ma la Reynolt non aveva ancora saputo che il sovrintendente era andato altrove. Si accostò al dottor Li e ascoltò un poco ciò che stava mormorando. — Hai ragione. È stato stordito da ciò che il Ragno ha detto su OnOff. Non credo che sia un caso di regressione. Continua a controllare ciò che dice; informami se comincia a ripetersi.
Da un comunicatore stavano intanto uscendo altre voci, e sembravano di focalizzati: — Laboratorio Attico, affetti il venti per cento… probabile causa: reazione incrociata in contatto audio con ID2738 L’Ora della Scienza dei Piccoli… i casi di instabilità non rispondono bene ai sedativi…
— Hom, prepara l’attico a una disattivazione rapida. — La Reynolt tornò verso Trixia Bonsol, che stava piangendo, e la osservò con interesse professionale, del tutto disinteressata alla sua condizione umana. A un tratto si girò, e il suo sguardo trovò Trud Silipan. — Tu! Vieni qui.
Silipan rimbalzò attraverso la stanza e raggiunse la sua direttrice. — Sì, signora. Eccomi, signora. — Nel suo atteggiamento non c’era ombra d’impudenza, una volta tanto. Nei giudizi della Reynolt non c’era mai niente di personale, ma Nau e Brughel li avrebbero fatti applicare proprio per questo. — Io stavo controllando l’effetto delle traduzioni, signora, per sapere fino a che punto la gente qualsiasi — evidentemente i clienti del bar di Benny — è in grado di capirle.
Quella scusa non sfiorò neppure la Reynolt. — Richiama in servizio una squadra fuori turno. Voglio che controlliate le registrazioni della dottoressa Bonsol. — Si girò di nuovo verso la traduttrice. Aveva ricominciato a singhiozzare in silenzio, piegata in avanti e con lo sguardo vuoto. — Non sono certa che potremo salvarla, questa.
Ezr Vinh si contorse nella presa di Pham, e per un momento parve sul punto di mettersi a ridere. Poi lo guardò in modo strano e tacque. Pham lo lasciò e gli diede una pacca su una spalla.
I due restarono in disparte limitandosi a osservare. I pazienti continuavano a essere portati dentro e fuori. Alcuni erano stupiti. Xopi Reung uscì dall’unità MRI in uno stato simile a quello di Trixia Bonsol. Negli ultimi Turni Pham aveva avuto molte opportunità di guardare Silipan al lavoro, ascoltando le sue spiegazioni sulle procedure. Era perfino riuscito a sfogliare libri di testo che trattavano del Focus. Quella era la prima volta che poteva vedere come lavoravano la Reynolt e i suoi tecnici.
Ma lì era successo qualcosa di grave. Focalizzati regrediti. Nell’occuparsi del problema la Reynolt giungeva più vicina alle emozioni di quanto Pham avesse mai visto. Alcuni lati del mistero cominciavano a essere spiegati. La richiesta fatta da Silipan al suo database, all’inizio del programma radiofonico, aveva innescato una ricerca attraverso molte specialità. Questo era il motivo per cui tante testerapide s’erano collegate con la trasmissione. Le loro analisi avevano proceduto normalmente per qualche centinaio di secondi, ma al momento di riassumere i risultati c’era stata una comunicazione intensa fra tutti i traduttori. Di solito si trattava di un semplice consulto per accordarsi sulle parole da usare. Stavolta ne erano usciti termini senza significato. Dapprima la Bonsol e poi molti degli altri traduttori avevano avuto problemi, mentre la chimica del loro cervello rivelava un’incontrollata regressione del virus mentale. Il danno era già esteso prima che la Bonsol aggredisse Xopi Reung, ma l’atto aveva causato estese reazioni a catena. Qualunque cosa si stessero comunicando le testerapide nella loro rete, aveva provocato una cascata di esplosioni consimili. Prima che l’emergenza fosse compresa meglio il venti per cento delle testerapide ne erano ormai contagiate, e il virus nel loro encefalo li stava inondando di sostanze psicoattive in eccesso e tossine pericolose.
Le testerapide della navigazione non ne erano state colpite. Gli annusatori di Brughel solo in parte. Pham guardava ciò che faceva la Reynolt cercando di assimilare ogni dettaglio, ogni indizio.Se potessi far succedere qualcosa di questo genere alla rete di supporto-vita di L1, se potessi disabilitare la squadra di Brughel…
Anne Reynolt sembrava essere dappertutto. Ogni tecnico faceva rapporto a lei. Fu lei a salvare la maggior parte delle testerapide di Brughel, lei che ristabilì i collegamenti fra quelle al lavoro nell’attico. E Pham rifletté che senza la Reynolt non ci sarebbe stata alcuna ripresa dopo quel disastro. Nel sistema solare degli Emergenti i tracolli delle reti di testerapide dovevano essere un inconveniente ben noto. C’erano corsi specializzati a livello universitario, grandi laboratori e cliniche per la creazione e il trattamento dei focalizzati. Qui, a venti anni-luce dalla patria degli Emergenti, la cosa era diversa. Qui i malfunzionamenti potevano esplodere imprevisti da situazioni nuove… e senza una direttrice di formidabili capacità tecniche come Anne Reynolt la missione di Tomas Nau sarebbe fallita.
Il display medico collegato a Xopi Reung dopo che l’avevano tolta dal MR1 passò al rosso lampeggiante. La Reynolt interruppe la ristrutturazione della rete dell’attico per dedicarsi freneticamente alla traduttrice. Qui non ebbe successo. Un centinaio di secondi dopo, l’infezione del virus regredito era dilagata nell’encefalo della donna… e non ci fu niente da fare. Anne Reynolt guardò il corpo immobile ancora per un secondo, accigliata. Poi accennò a un tecnico di portarlo via.
Da lì a non molto Pham vide che Trixia Bonsol veniva portata fuori in barella. Era sempre viva. La Reynolt in persona usci con lei, per tenerla sotto controllo.
Trud Silipan la seguì alla porta. D’un tratto l’uomo si ricordò dei due ospiti che aveva condotto lì. Si girò e fece loro un cenno. — Fine dello spettacolo, Trinli. Andiamo.
— Non ti senti bene, Trud? — chiese lui, vedendo che era pallido.
Silipan scrollò le spalle, accigliato. — Prendete un taxi e tornate al temporaneo. Tu, Vinh, non provare a seguire la tua testarapida. Chiaro? — Poi si allontanò e sparì dietro la Reynolt.
Pham e Vinh risalirono dalle viscere di Hammerfest, da soli a parte la presenza certa dei localizzatori-microspie di Brughel. Pham notò che il giovanotto sembrava essersi calmato. Quel giorno doveva essersi preso il calcio nello stomaco peggiore da anni a quella parte, forse da dopo la morte di Diem. La faccia del ragazzo era molto simile a quella di gente che lui aveva ben conosciuto in un lontano passato. Gli ricordava quella di Ratko Vinh, quando Ratko era giovane, e anche quella di Sura Vinh, alla quale lui era stato molto legato. Quello non era un pensiero piacevole. Forse il mio subconscio sta cercando di dirmi qualcosa… Non solo lì alla clinica, ma per tutto quel Turno. Il giovanotto gli gettava spesso strane occhiate, non tanto sprezzanti quanto calcolatrici. Pham cercò di ricordare se poteva aver lasciato cadere la maschera “Trinli” in un momento cruciale. Certo era un rischio mostrarsi così interessato al Focus. Ma aveva l’amicizia con Trud a fargli da copertura in questo. No, anche quando erano nella clinica e lui si concentrava sulla Reynolt e sul mistero della Bonsol, anche allora Vinh non l’aveva guardato che con vago stupore: il vecchio buffone preoccupato solo che quel disastro rovinasse le manovre organizzate con Silipan. E tuttavia gli sembrava che Vinh avesse visto qualcosa di sospetto in lui. Come? E cosa gli conveniva fare?
Emersero dalla sommità del corridoio verticale e scesero verso i portelli dei taxi. I bassorilievi dei focalizzati erano dappertutto, anche sui pavimenti e sui soffitti. In certi punti la parete di diamante era molto sottile, e la luce di Arachna lo attraversava con una tonalità azzurra, più o meno intensa a seconda dello spessore. Un tempo Pham Nuwen avrebbe amato quei bassorilievi, ma ora sapeva com’erano stati fatti. Alcune testerapide erano morte lì, dopo essere state sfruttate per anni. Le altre stavano lavorando a turno continuato altrove, nei corridoi inferiori. Quando avrò preso la situazione in mano, le cose andranno diversamente. Il Focus era una cosa terribile. Doveva essere usato solo per le effettive necessità.
Svoltarono in un corridoio tappezzato in listelli di legno cresciuto nelle idroponiche. Oltre la curva di fondo c’era l’appartamento di Tomas Nau.
E ad aspettarli c’era Qiwi Lin Lisolet. Forse li aveva visti lasciare la clinica sugli strumenti di sorveglianza di Nau. A ogni modo li aspettava da abbastanza tempo da essere stata attratta coi piedi sul pavimento dalla microgravità degli asteroidi
— Ezr, per favore. Possiamo parlare solo per un momento? Non era mia intenzione che questo programma radiofonico si rivelasse così dannoso per…
Vinh aveva alzato la testa nell’accorgersi che in corridoio c’era qualcuno. Per qualche istante continuò a fluttuare all’altezza che l’avrebbe portato a passare sopra la ragazza. Invece di risponderle strinse i denti. Poi si spinse via dal soffitto con un gesto brusco e fluttuò verso di lei alzando un braccio come se volesse colpirla con un ceffone.
— Ehi, cosa… — esclamò Pham, ma si costrinse a restare indietro esibendo un’aria impotente. Quel giorno aveva già trattenuto una volta il giovane dal mettersi nei guai, e se l’avesse fermato ancora gli annusatori di Brughel ci avrebbero trovato qualcosa di sospetto. D’altra parte Pham aveva visto Qiwi lavorare all’esterno. La ragazza era in condizioni fisiche migliori di chiunque a L1, e aveva la destrezza di un’acrobata. Forse a Vinh avrebbe fatto bene vedere che non poteva sfogare la sua rabbia su di lei.
Ma Qiwi non si difese, non si mosse neppure. Vinh le sferrò un ceffone così forte che li fece girare entrambi, in senso opposto, come due trottole. — Sì, possiamo parlare! — La voce di Vinh era stridula. Rimbalzò verso di lei e la colpì ancora. E neppure stavolta Qiwi si difese, né alzò una mano per proteggersi il viso.
Pham Nuwen non poté impedirsi di spingersi avanti. Qualcosa in lui stava imprecando per il rischio a cui esponeva anni di faticose finzioni solo per difendere una donna. Ma lo stesso qualcosa rideva di quel rischio.
Il tuffo di Pham non fu ben calibrato, comunque riuscì a investire Vinh con una spallata e lo mandò a sbattere contro una parete. Il giovanotto cercò di girare su se stesso ma il solo risultato di quel movimento fu che colpì la parete con la testa. Se ci fosse stato il diamante si sarebbe spaccato il cranio, ma anche sul legno fu un colpo duro. Quando rimbalzò via aveva lo sguardo vacuo, e alcune gocce di sangue galleggiavano dietro di lui.
— Mettiti con quelli grossi come te, Vinh! Vigliacco bastardo! Tu e la tua famosa famiglia di grandi mercanti siete spazzatura, ecco cosa siete! — La rabbia di Pham era reale… ma era rabbia contro se stesso, per il rischio a cui stava mettendo la sua copertura.
Pian piano negli occhi di Vinh tornò la lucidità. Guardò Qiwi, quattro o cinque metri più in là. La ragazza gli restituì lo sguardo con una strana espressione fra sconvolta e determinata. Poi il giovane si girò verso Pham e lo fissò con odio. Non aveva tutti i torti. Forse le telecamere di Brughel non avevano mostrato ogni particolare della cosa, ma lui sapeva quanto fosse stato calcolato l’attacco di Pham. Per un momento i due uomini si fronteggiarono, quindi Vinh si spinse via verso i portelli dei taxi. Era la ritirata di un uomo battuto e umiliato, ma Pham sapeva che la faccenda non sarebbe finita lì. Dunque avrebbe dovuto fare qualcosa con Ezr Vinh.
Qiwi fece per seguire il giovane, ma dopo una decina di metri ci ripensò e tornò indietro verso uno dei corridoi laterali.
Pham le si avvicinò. Sapeva che gli conveniva andarsene; c’erano delle telecamere che lo osservavano, e per il personaggio Trinli la cosa migliore era stare alla larga da Qiwi. Allora cosa dirle che non fosse sospetto? — Non preoccuparti. Non vale la pena che te la prenda per quel Vinh. Non ti darà più fastidio, te lo garantisco io.
La ragazza si girò a guardarlo. Ormai somigliava molto a sua madre. Nau l’aveva fatta restare di Turno quasi senza sosta. Aveva le lacrime agli occhi. — Io non volevo ferirlo. Dio, non so cosa farei se Trixia m-morisse. — Si scostò i capelli neri dalla faccia. Adulta o no, in quel momento aveva l’espressione di una bambina. — Molto… molto tempo fa io ammiravo Ezr Vinh più di chiunque, a parte i miei genitori. Ci tenevo alla sua opinione. E poi gli Emergenti ci hanno attaccato, e Jimmy Diem ha ucciso mia madre e tutti gli altri e… ora viviamo tutti sulla stessa barca. Non possiamo permetterci altri morti. — Scosse il capo. — Lei sa che Tomas non ha più voluto andare in sonno freddo dopo il massacro di Diem? Ha vissuto ogni secondo di questi anni. Tomas è così serio, un lavoratore. Lui crede nel Focus, ma è aperto a nuovi modi di fare le cose. — Stava dicendo a lui quel che avrebbe voluto dire a Ezr. — Il bar di Benny non esisterebbe senza Tomas. Non ci sarebbe il commercio di molte cose, come ad esempio i bonsai. Poco per volta riusciremo a convincere gli Emergenti a pensarla come noi. Un giorno Tomas libererà mio padre e Trixia e tutti gli altri focalizzati. Un giorno…
Pham avrebbe voluto poterla confortare. Lui era l’unica persona, oltre agli assassini, a sapere cos’era realmente successo a Jimmy Diem, e a sapere ciò che Nau e Brughel stavano facendo a Qiwi Lin Lisolet. Avrebbe dovuto darle una pacca su una spalla e andarsene, invece rimase lì con aria imbarazzata e confusa. Sì, un giorno. Un giorno, bambina, sarai vendicata.
Il quartier generale e l’appartamento di Ritser Brughel erano a bordo della Mano Invisibile. Spesso Ritser si chiedeva cos’avesse ispirato ai Mercanti un nome così perfetto; in due parole la duplice essenza dei servizi di Sicurezza. A ogni modo era l’astronave con lo scafo meno danneggiato fra quelle rimaste agli Emergenti e ai Qeng Ho. Gli alloggi dell’equipaggio erano ottimi, Il motore era probabilmente in grado di sostenere un’accelerazione di 1 G per parecchi giorni. Dal tempo della presa degli impianti di comunicazione e di ECM erano stati rifatti per adattarsi ai focalizzati. E a bordo della Mano Invisibile lui era la cosa più vicina a un Dio.
Sfortunatamente l’isolamento fisico non era una difesa contro gli episodi di regressione dei mentecatti. Quegli incidenti venivano innescati da uno squilibrio emotivo dei focalizzati che poteva essere trasmesso attraverso le normali reti di comunicazione, benché di solito solo le testerapide che agivano in stretta collaborazione potessero contagiarsi a vicenda. Nel mondo civile la regressione era un fattore sempre presente, e la si poteva considerare una buona ragione per avere pronte migliaia di testerapide di ricambio con cui sostituire le perdite. Lì in quel dannato buco sperduto nel nulla era un pericolo mortale. Ritser s’era accolto che c’era in corso una regressione quasi contemporaneamente alla Reynolt, ma lui non poteva rischiare di disattivare le sue testerapide. Come al solito la Reynolt gli aveva fornito un servizio di seconda classe, comunque lui avrebbe potuto farcela. Aveva dovuto suddividere gli annusatori in piccoli gruppi e farli lavorare separatamente. I rapporti che ne risultavano erano frammentari, le loro registrazioni avrebbero richiesto un lavoro di analisi supplementare, ma non s’erano lasciati scappare niente d’importante… e alla fine si sarebbero rimessi in pari anche coi particolari.
Nei primi 3 Ksec della regressione contagiosa Ritser aveva perso tre annusatori. Kal Omo aveva tolto di mezzo i cadaveri e sorvegliato gli altri. Scese ad Hammerfest ed ebbe un lungo colloquio con Tomas Nau. Sembrava che la Reynolt avrebbe perduto almeno sei testerapide, compresa una grossa fetta del suo reparto traduzioni. Il caponave fu favorevolmente colpito dal suo basso numero di perdite. — Tenga i suoi sotto controllo, Ritser. Anne pensa che i traduttori si siano schierati su due fronti durante quel dibattilo dei Ragni, e che la regressione delle testerapide sia semplicemente il risultato di un disaccordo ideologico. Forse è così, ma l’ideologia del dibattito non era certo al centro del Focus dei traduttori. Quando le cose si saranno stabilizzate voglio che lei ripassi ogni secondo di quella registrazione, alla ricerca di eventi sospetti.
Sessanta Ksec più tardi Ritser riferì a Nau che la crisi era passata, almeno per le testerapide della Sicurezza. Il sergente Omo rimise gli annusatoti in contatto con le squadre della Reynolt, ma su una linea di comunicazione non diretta. Poi ebbe inizio un esame dettagliato degli avvenimenti recenti. Per un migliaio di secondi tutte le operazioni di sorveglianza di Ritser s’erano interrotte, ma un’indagine dei sistemi dimostrò che non c’erano state trasmissioni illegali verso l’esterno; i loro segreti erano ancora intatti. Dai traduttori erano partite emissioni radio verso il pianeta, ma i Ragni non se n’erano neanche accorti; cosa non sorprendente, visto che nel caos delle loro trasmissioni questo non poteva sembrare più di un insieme di scariche.
Alla fine Ritser fu costretto a concludere che la regressione era stata soltanto un episodio sfortunato. Ma in mezzo a tutti gli elementi di nessuna importanza erano venute a galla anche cosette interessanti.
Di norma Ritser era reperibile sulla plancia della Mano Invisibile, da dove poteva mantenere il controllo del gruppo di rocce in L1 e del pianeta Arachna. Ma con Ciret e Marli di servizio su Hammerfest restavano soltanto Kal Omo e Tan a occuparsi dei quasi cento annusatori della Sicurezza. Così quel giorno dovette anche lui rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro con Omo e Tan.
— Vinh ha sgarrato tre volte durante questo turno, vice caponave. Due volte durante la regressione, per essere precisi.
Fluttuando avanti al fianco di Omo, Ritser guardò le testerapide di Turno. Circa un terzo stavano dormendo, seduti sui loro sgabelli. Gli altri erano immersi in fiumi di dati, ripassavano le registrazioni e correlavano i risultati coi focalizzati della Reynolt su Hammerfest. — Mmh. E allora cos’abbiamo su di lui?
— Questa è un’analisi di ciò che una telecamera ha ripreso nella clinica della Reynolt e in un corridoio presso l’appartamento del caponave Nau. — Le due scene passarono su un display, coi dati che gli annusatori avevano annotato sul linguaggio corporale di Vinh, assai emotivo.
— Nessuna infrazione alla legge?
Sulla faccia di Omo si disegnò un sorrisetto aspro. — Fin troppe, se fossimo in patria. Ma non sotto l’attuale regime.
— Già. — Il regime del caponave Nau non sarebbe durato molto, in patria. Per più di vent’anni il Dirigente aveva permesso che i Mercanti andassero avanti e indietro a loro piacere, corrompendo la morale e l’ubbidienza alla legge dei Seguaci. Nel primi tempi Ritser aveva avuto un esaurimento nervoso per la rabbia. Ora… riusciva a capire. Nau aveva ragione in molte cose. Non avevano un margine di sicurezza sufficiente per altre eliminazioni. E lasciare che la gente si rilassasse era un buon sistema per far uscire di bocca a certi sovversivi i loro segreti. — Be’, cosa c’è di diverso stavolta?
— Gli Analisti Sette e Otto hanno correlato i due eventi. — Sette e Otto erano le testerapide in fondo a quella fila. Da bambini avevano avuto un nome, ma questo era prima che entrassero all’Accademia di Polizia. I nomi e i titoli come “dottore” erano frivolezze usate nella vita civile, non in una seria organizzazione poliziesca. — Vinh è preoccupato da qualcosa che va oltre il suo solito livello d’ansia. Guardi la sovrapposizione dei due schemi.
Il grafico non significava niente per Ritser, ma il suo lavoro era dirigere, non occuparsi dei dettagli. Omo proseguì: — Sta guardando Trinli con molto sospetto. La stessa cosa si è verificata nel corridoio presso i portelli dei taxi.
Ritser rifletté sulle immagini della visita di Vinh ad Hammerfest. — D’accordo. Ha avuto uno scontro con Trinli. Ha irritato Silipan. Santo cielo… — Non poté impedirsi di ridere. — Stava per aggredire la puttana di Nau! Ma tu dici che la cosa sospetta sta nel modo in cui ha guardalo Trinli?
Omo scrollò le spalle. — Il comportamento aperto combacia con i problemi già noti di questo tipo.
E così Qiwi Lisolet veniva maltrattata proprio fuori dalla porta di Nau. Ritser sogghignò per l’ironia della cosa. In tutti quegli anni Nau aveva preso in giro quella piccola cagna. Le sue periodiche cancellature di ricordi erano diventate un divertimento per lui, specialmente quando vedeva la reazione della ragazza ai video che mostravano il trattamento fatto a sua madre. Tuttavia non poteva impedirsi di invidiare Nau. Lui, Ritser Brughel, non sarebbe riuscito a tenere in piedi una mascherata di quel genere, neanche ricorrendo alle piccole amputazioni della memoria. Le sue donne non duravano molto. Un paio di volte all’anno doveva andare da Nau e farsene assegnare un’altra. Ormai aveva usato tutte le più belle fra quelle che era possibile far sparire senza conseguenze. A volte era stato fortunato, come con Floria Peres. Floria avrebbe notato le cancellazioni di memoria di Qiwi e dunque, ingegnere chimico o no, Nau aveva dovuto permettergli di farle il lavoro completo. Ma c’erano limiti alla fortuna, e l’Esilio si prospettava lungo. Quel pensiero cupo gli era ormai troppo familiare, così lo respinse con decisione.
— Va bene. Così Sette e Otto pensano che Vinh stia nascondendo qualcosa che prima non era a sua conoscenza… o che almeno non gli dava tanto da pensare.
Nel mondo civile questo non sarebbe stato un problema. Avrebbero portato il sovversivo nella stanza degli interrogatori per cavargli fuori di bocca tutte le risposte. Lì… ogni tanto avevano modo di usare metodi persuasivi, ma da quei Qeng Ho si poteva tirare fuori poco di utile senza praticamente ammazzarli, e troppi di loro non erano adatti al contagio del virus mentale.
Ritser riesaminò l’incidente. — Mmh. Secondo te Vinh sospetta che Trinli sia in realtà Zamle Eng? — I Mercanti erano degli imbecilli. Tolleravano ogni corruzione, e poi odiavano a morte i colleghi abbastanza intelligenti da tradirli. Ritser storse la bocca, disgustato.
— Sa cosa vorrei fare, vice caponave? — disse Omo.
— Che cosa?
— Vorrei portare un po’ di quei localizzatori autonomi Qeng Ho su Hammerfest. C’è qualcosa di perverso nel fatto di avere un sistema di sorveglianza peggiore nel nostro territorio che nell’habitat Qeng Ho. Se questo incidente fosse successo nel loro provvisorio, avremmo la pressione sanguigna di Vinh, le pulsazioni cardiache, e mettendo un localizzatore a contatto del suo cuoio capelluto avremmo anche un ECG. Fra i rilevamenti dei localizzatori Qeng Ho e l’analisi delle nostre testerapide, potremmo praticamente leggere nella testa della gente.
— Sì, lo so.
I localizzatori Qeng Ho erano un magico passo avanti nei metodi di prevenzione poliziesca. Nel provvisorio dei Mercanti stavano sciamando decine di migliaia di quelle microspie lunghe un millimetro, ma ce n’erano probabilmente centinaia non alimentati e inerti nelle zone pubbliche di Hammerfest, da quando Nau aveva ammorbidito i regolamenti. Sarebbe bastato riprogrammare il sistema di alimentazione a impulsi di Hammerfest. e la portata utile dei localizzatori si sarebbe estesa all’istante. Così avrebbero potuto sbarazzarsi delle telecamere e di tutto l’altro vecchiume.
— Parlerò con Nau a questo proposito. — I programmatori della Reynolt studiavano i localizzatori Qeng Ho da ormai due anni, e non avevano trovato niente che ne sconsigliasse l’uso esteso.
Nel frattempo… — A quest’ora Ezr Vinh è tornato nel provvisorio. E lì ci sono tutti i localizzatori che puoi desiderare. — Ritser sorrise a Omo. — Metti su di lui un paio di testerapide. Vediamo cosa può dirci un’analisi davvero approfondita.
Ezr venne a sapere che l’emergenza era finita dai rapporti trasmessi ogni Ksec da Hammerfest. La regressione del virus mentale era stata arginata. Xopi Reung e altre otto persone focalizzate erano morte. Altre tre erano “gravemente danneggiate”. Ma Trixia risulta “Tornata in servizio, non danneggiata.”
Nel bar di Benny le speculazioni si sprecavano. Rita diceva che la regressione delle testerapide era un fenomeno casuale e insondabile. — Noi ne avevamo una ogni due o tre anni nella mia officina, su Balacrea. Ricordo una sola occasione in cui ne abbiamo individuato la causa. È il prezzo che si paga per farli lavorare collegati. — Ma lei e Xin temevano che quella regressione avrebbe messo fine o interrotto per qualche tempo il doppiaggio dell’Ora della Scienza dei Piccoli. Gonle Fong disse che non importava, dal momento che Sherkaner Underhill aveva perso il suo faccia a faccia con Pedure e che la stazione radio avrebbe rinunciato a quei programma. Trud Silipan non partecipava alla discussione; era rimasto su Hammerfest forse per programmare qualche cambiamento. Pham Trinli era dello stesso avviso, e secondo lui la colpa di tutto era stata di Trixia, che con quell’anomala partecipazione ai sentimenti del personaggio doppiato aveva innescato la regressione negli altri. Ezr ascoltò quelle chiacchiere senza aprir bocca, scuro in faccia.
Quel giorno il turno di lavoro tenne occupato Ezr per 40 Ksec, poi tornò subito nel suo alloggio. Non se la sentiva di parlare con la gente nel bar di Benny. Erano successe troppe cose, alcune dolorose, altre che l’avevano riempito di vergogna, altre quanto mai strane e misteriose. Fluttuò nella penombra della stanza ruminando cupamente su un problema e poi su un altro, senza giungere a nessun risultato e sentendosi sempre più agitato e in balia dell’ignoto.
Qiwi. Questa l’origine della sua vergogna. L’aveva colpita due volte. Con forza. Se Trinli non fosse intervenuto avrei continuato a picchiarla? Dinanzi a lui c’erano visioni orribili che non aveva mai immaginato. Sì, lui aveva sempre temuto di rivelarsi un idiota, o un codardo, se un giorno fosse stato messo alla prova sotto pressione, ma… quel giorno lui aveva scoperto in sé qualcosa di animalesco, di disgustoso. D’accordo, Qiwi aveva aiutato a mettere Trixia in quella situazione di superlavoro stressante. Ma non era stata la sola responsabile. D’accordo, Qiwi si avvantaggiava della sua relazione con Tomas Nau… ma sant’Iddio, quando la cosa era cominciata lei era solo una ragazzina. Allora perché me la sono presa con lei? Perché una volta lei gli era parsa più interessata alla sorte di Trixia? Perché non aveva reagito alla violenza? Questa era l’orrida insinuazione che la vocina dentro di lui continuava a fare. Alla resa dei conti forse lui, Ezr Vinh, non era né un debole né un incompetente ma soltanto un miserabile sporco animale. La sua mente girò intorno a quella conclusione, sempre più stretto, finché per sfuggire passò a…
Pham Trinli. Qui c’era un mistero. Il giorno prima Trinli era intervenuto due volte, ed entrambe le volte per evitargli di dimostrarsi ancor più stupido e ingiusto. C’era una crosta di sangue sulla sua nuca, dove lui aveva sbattuto contro la parete dopo la “goffa” spallata di Trinli. Ezr non lo aveva mai visto in palestra. Il vecchio si teneva attivo, ma non si poteva certo dire che fosse in buona forma fisica. I suoi tempi di reazione non erano quelli di un giovane. Ma per qualche ragione aveva saputo come muoversi e in che modo ottenere il risultato. E ripensandoci ora Ezr ricordava diverse occasioni in cui Trinli era sempre stato nel posto giusto. Quella sera… nel parco, dopo il massacro. Quali erano state le parole del vecchio? Non aveva rivelato niente alle telecamere, non aveva neanche attratto molto l’attenzione di Ezr, ma qualcosa che aveva detto era riuscito a insinuare in lui il sospetto che Jimmy Diem fosse stato ucciso, che fosse innocente di ciò che Nau aveva dichiarato. Tutto ciò che Trinli aveva fatto era stato concionare vecchie storie, essere egoista e incompetente, però… Ezr cercò di ricordare i particolari, le cose che lui avrebbe dovuto vedere e che ad altri erano certo sfuggite. Forse la sua disperazione gli faceva prendere abbagli. Quando si perdeva di vista ogni via d’uscita dalle disgrazie, faceva capolino la follia. E il giorno prima in lui si era spezzato qualcosa…
Trixia. Qui c’erano la rabbia, il dolore e la paura. Il giorno prima Trixia aveva sfiorato la morte, attanagliata dalla stessa infezione che aveva schiantato Xopi Reung. Silipan aveva detto che le sue capacità linguistiche erano state temporaneamente disattivate. Forse questa era la causa della disperazione di lei; aveva perso la cosa che era tutta la sua vita. O forse Silipan mentiva, come la Reynolt e Nau e Brughel facevano ogni giorno. Forse la donna era stata provvisoriamente de-focalizzata, aveva potuto guardarsi attorno, s’era accorta di quant’era invecchiata e aveva capito che le avevano rubato la vita. E io non saprò mai cosa le è successo. Continuerò a curarmi di lei, anno dopo anno, impotente e rabbioso… e zitto. Doveva esserci qualcuno contro cui scagliarsi, per punirlo…
Così il suo subconscio aveva scelto Qiwi.
Trascorsero due Ksec, quattro. Alla fine la sua mente tornò su Pham Trinli. Forse il vecchio aveva semplicemente agito come un criminale che fa del suo meglio per nascondere le proprie malefatte. Del resto era stato così idiota da consegnare il segreto dei localizzatori a Tomas Nau, moltiplicando il potere di quell’individuo. Ora quei minuscoli automatismi erano dappertutto; perfino il puntolino nero sul dorso della sua mano destra poteva essere un sensore, occupato a trasmettere tutto sulle sue condizioni fisiche agli annusatori di Brughel.
D’altro canto proprio i localizzatori provavano che Trinli era a conoscenza di segreti non contenuti nella biblioteca, fuori dalla portata di un comandante di flotta, cose risalenti al passato dei Qeng Ho. Se Trinli stava conducendo un suo gioco si poteva presumere che quel segreto, da lui rivelato agli Emergenti, fosse solo una copertura… ma per cosa?
Ezr girò e rigirò quella domanda e non ottenne niente. Pensa all’uomo. Pham Trinli. Era un vecchio bastardo. Conosceva segreti preclusi a ogni altro in quella flotta. C’era anche il caso che avesse visto il tempo in cui erano stati fondati i moderni Qeng Ho, quando Pham Nuwen e Sura Vinh avevano messo insieme il Consiglio del Gap. Dunque Trinli era molto vecchio, almeno in tempo oggettivo. Non era impossibile, neppure troppo raro. Missioni molto lunghe potevano costringere un Mercante a viaggiare in sonno freddo per secoli. I genitori di Ezr conoscevano un paio di persone che avevano viaggiato fino alla Vecchia Terra e ritorno, anche se era improbabile che fossero nate prima della fondazione del Consiglio.
No, se Trinli era tanto vecchio come il folle ragionamento di Ezr implicava, doveva essere ormai ben conosciuto da molti e in una vasta zona di spazio. Gli serviva una lista di nomi: maschi Qeng Ho, vivi al tempo della fondazione e dei quali non risultasse notizia della morte prima della partenza della spedizione del comandante Park da Triland.
La biblioteca gliene fornì una manciata, e alcuni di essi gli erano già ben noti. Tran Vinh21, bisnipote di Sura e fondatore del ramo di Ezr della famiglia Vinh. King Xen03, capo armiere di Sura a Brisgo Gap… Xen non poteva essere Trinli: era alto un metro e venti e quasi altrettanto largo. Gli altri nomi appartenevano a persone che non erano mai state famose. Jung, Trap, Park… Park?
Ezr restò a bocca aperta per la sorpresa. Se le testerapide di Brughel controllavano le sue pulsazioni cardiache con qualche localizzatore si sarebbero chieste cosa gli succedeva. — Signore di tutti i Commerci — mormorò, portando a schermo le foto e il fascicolo personale dell’uomo. Sembrava proprio il loro S.J. Park, comandante di flotta. Lui l’aveva conosciuto anche da bambino, a casa dei suoi, e non gli era mai parso molto invecchiato da quel tempo. Ma il S.J. Park di duemila anni prima a Brisgo Gap… era stato un capitano di nave, in missione con Ratko Vinh. Nei suoi dati si parlava di uno scandalo con rottura di un contratto matrimoniale. E dopo questo… nient’altro.
Ezr cercò di indagare in un paio di direzioni sul passato di Park, non trovò niente e lasciò perdere, con la blanda sorpresa di chi ha trovato qualcosa di inatteso ma non sconvolgente. Gli altri nomi sulla lista, che non conosceva, gli portarono via un altro Ksec con gli stessi risultati.
Certo Park aveva conosciuto bene Trinli, visto che lo aveva preso con sé, ma la cosa stupefacente era che doveva averlo conosciuto molto molto prima di quanto Ezr avesse mai pensato… e aveva fatto il necessario per nascondere la sua vera identità. Chi poteva essere tanto anziano e tanto noto a Park da suggerirgli quei sotterfugi? Park era stato legato a molte persone importanti in passato.
A un tratto Ezr pensò che Park aveva dato personalmente il nome alla sua nave ammiraglia, la Pham Nuwen.
Pham Trinli. Pham Nuwen. Il Perduto Principe di Camberra.
E alla fine ecco che sono diventato pazzo. C’erano dati storici che avrebbero smentito quella conclusione in un secondo. O forse non avrebbero dimostrato niente. Se lui aveva ragione, anche i dati storici potevano essere stati alterati. Sicuro, certo. Questo era il genere di allucinazioni da disperazione da cui doveva guardarsi.
Era tardi. Per un poco Ezr guardò la foto di Trixia, perduto nei suoi ricordi tristi. S’era calmato. Ci sarebbero stati altri falsi allarmi, ma aveva una vita davanti a sé, anni di paziente attesa. Prima o poi avrebbe trovato una crepa nei muri della sua prigione, e quando l’avrebbe vista non ci sarebbe stato bisogno di chiedersi se era un tranello della sua immaginazione.
Il sonno non gli portò sollievo, come mai gliene aveva portato in quegli anni, e per un poco si agitò rivivendo in modo distorto i fatti di quei giorni.
Poi ci fu un altro sogno, così reale che lui non dubitò mai di essere sveglio durante il suo svolgimento. Piccole luci scintillavano nei suoi occhi, ma solo quando li teneva chiusi. Da bambino aveva spesso giocato ad accendi-spegni, e quella notte c’erano schemi che si ripetevano e che nella sua mente addormentata assumevano senza sforzo un significato:
ANNUISCI COL CAPO SE MI COMPRENDI… ANNUISCI COL CAPO SE MI COMPRENDI…
Ezr mandò un’esclamazione di sorpresa e lo schema cambiò:
TACI TACI TACI TACI TACI TACI. Poi di nuovo lo schema di poco prima: ANNUISCI COL CAPO SE MI COMPRENDI… ANNUISCI COL CAPO SE MI COMPRENDI…
Rispondere era facile, Ezr mosse la testa di un centimetro appena.
D’ACCORDO. FINGI DI DORMIRE. CHIUDI UNA MANO. BATTI ACCENDI-SPEGNI CON UN DITO SUL PALMO.
Dopo tutti quegli anni di sotterfugi cospirare era un gioco. Le sue mani erano sotto il lenzuolo così nessun altro avrebbe potuto vedere. Sarebbe scoppiato a ridere per quell’astuzia, ma mantenere la faccia impassibile era importante. Chiuse la mano destra e batté: SALVE O PERDUTO PRINCIPE DI CAMBERRA. PERCHÉ SEI STATO LONTANO TANTI ANNI?
Per un po’ di tempo non ci furono più luci nei suoi occhi. La mente di Ezr scivolò verso uno stadio di sonno più profondo.
Poi: STAVI DORMENDO? DANNAZIONE, DEVI ESSERE STANCO. Una pausa. FORSE È COLPA MIA. SCUSAMI. TEMEVO DI AVERTI ROTTO LA TESTA.
Ezr annuì fra sé, orgogliosamente. Forse un giorno Qiwi lo avrebbe perdonato, e Trixia sarebbe tornata alla vita, e lui…
D’ACCORDO batté Ezr in risposta al Principe. QUANTI UOMINI ABBIAMO?
SEGRETO. LO SO IO SOLO. TUTTI POSSONO PARLARE, MA NESSUNO CONOSCE GLI ALTRI. Una pausa. FINO A STANOTTE.
Aha. Una cospirazione perfetta. I membri potevano collaborare ma nessuno, salvo il Principe, poteva tradire gli altri. Stavolta le cose sarebbero andate più lisce.
BE’, ORA SONO STANCO. VOGLIO DORMIRE. POSSIAMO PARLARE PIÙ TARDI.
Una pausa. La sua richiesta era così strana? La notte era fatta per dormire. Poi: VA BENE. PIÙ TARDI.
Mentre la sua coscienza volava via Ezr si rannicchiò sul materasso e sorrise. Non era più solo. E fino a quel momento il segreto era stato nei suoi occhi e nella sua mano. Stupefacente!
Il mattino dopo mentre si faceva la doccia Ezr si accorse di essere stranamente di buonumore. Uh. Cos’aveva fatto per meritarselo?
Si diresse in sala comune e sulla porta salutò Hunte Wen. C’era una ventina di persone; l’atmosfera sembrava piuttosto rilassata. Subito venne a sapere che la Reynolt aveva rimesso al lavoro tutti i focalizzati superstiti; non c’erano state ricadute. Presso il soffitto Trinli stava pontificando su quello che secondo lui aveva provocato la regressione a catena, e sul perché l’incidente si era concluso. Pham Nuwen… Pham Trinli. Quasi gli venne da ridere al pensiero di come aveva potuto crederlo. Quello era il Trinli che lui aveva conosciuto fin dall’arrivo nel sistema di OnOff, e non ce n’erano altri. Il sogno di quella notte e l’indagine della sera prima in biblioteca furono subito ridotti alla giusta prospettiva. Assurdità.
Mentre Ezr fluttuava verso un distributore, il vecchio chiacchierone lo vide con la coda dell’occhio e si girò, e il giovanotto incontrò il suo sguardo per un momento. Trinli non disse niente, non fece un cenno, e se pure le microspie degli Emergenti li stavano osservando non poterono che registrare un’assoluta indifferenza. Ma per Ezr Vinh quel momento durò molto più a lungo. In quel momento il buffone che era Pham Trinli non esisteva. Non c’era un’espressione sciocca e superficiale sulla sua vecchia faccia, ma una pacata autorità e la consapevolezza della loro strana conversazione della notte prima. All’improvviso lui seppe che non era stato un sogno. Non era stata una comunicazione onirica. Quell’individuo era davvero il Perduto Principe di Camberra.
I mezzi pubblici di Principalia erano molto diversi dalle automobili o dagli aeroplani su cui Viki aveva viaggiato. Lì le persone erano strettamente impacchettate una accanto all’altra. Le reti di corda, simili ai gimnoti per i piccoli, suddividevano tutta la lunghezza dell’autobus in spazi larghi appena quanto il corpo di un adulto. I passeggeri allungavano però in modo odioso le braccia e le gambe fuori dalle reti, per reggersi a ogni supporto. L’unico ad avere un trespolo decente per sedersi era il conduttore.
La gente stava però lasciando molto più spazio del necessario a Viki e ai suoi quattro fratelli; specialmente a lei e Gokna, che come taglia fisica erano piuttosto chiaramente due fuori-fase. Be’, che rabbrividiscano pure. Non me ne importa, pensò Viki. Smise di scrutare i passeggeri e guardò la strada.
Con tutti i lavori che stavano facendo nel sottosuolo, c’erano molte zone dove le riparazioni stradali venivano ignorate. Ogni buca che l’autobus prendeva faceva ondeggiare la gente appesa alle reti, e questo era divertente. Poi la strada migliorò; stavano entrando nel quartiere più moderno della città. Viki riconobbe le insegne luminose sui grattacieli intorno a loro, grandi corporazioni come la Energia Applicata e la Radiofonica Reale. Alcune delle maggiori industrie dell’Alleanza non sarebbero neanche esistite se non fosse stato per suo padre. Vedere tutta la gente che entrava e usciva da quei grandi palazzi la rendeva orgogliosa. Papà era importante per molti altri, non solo per loro.
Appeso alle reti di corda accanto a lei, Brent si girò per accostare la testa alla sua. — Sai una cosa? Credo che qualcuno ci stia seguendo.
Anche Jirlib sentì quelle parole, e parve prenderle sul serio.
— Seguendo l’autobus, vuoi dire?
— Seguendo noi. Due furgoni erano parcheggiati davanti a casa e ci sono venuti dietro fino alla fermata dell’autobus quando siamo usciti. Ora li abbiamo ancora alle spalle.
Per un attimo Viki ebbe un lieve fremito di paura, poi capì come stavano le cose e rise. — Credevi davvero che potessimo uscire di casa senza che Papà lo sapesse? Il capitano Douneng del servizio di sorveglianza lo ha informato, e lui ha mandato una squadra a tenerci d’occhio.
— Quei furgoni non sembrano della sorveglianza — disse Brent.
Il Museo Reale era al capolinea degli autobus che portavano nel centro di Principalia. Viki e i suoi tre fratelli furono depositati a pochi passi dalla larga scalinata di ingresso.
Per qualche momento Viki e Gokna restarono senza parole dinanzi ai poderosi archi di pietra. Nel programma radiofonico avevano parlato di quel posto, ma non c’erano mai stati. Il Museo Reale aveva solo due piani, e i moderni grattacieli lo facevano sembrare basso, ma in quell’edificio c’era qualcosa di molto importante. A parte le fortificazioni, quella era la più antica costruzione rimasta intatta in superficie nella regione di Principalia negli ultimi cinque cicli del sole. C’erano state riparazioni e qualche ampliamento, ma il museo restava ancora com’era stato progettato al tempo di Re Lingarm. Viki cercò di immaginare cosa doveva sopportare quel grande palazzo nei giorni in cui il sole tornava alla vita, investito dalle feroci radiazioni solari e da venti che soffiavano alla velocità del suono. Dunque perché il Re Lingarm aveva voluto costruirlo in superficie? Per sfidare la Tenebra e la Luce, naturalmente. Per elevarsi dai nascondigli del sottosuolo e dominare.
— Ehi, voi due! Vi siete addormentate? — le raggiunse la voce di Jirlib. Lui e Brent erano già all’ingresso. Viki e Gokna salirono la scalinata, per una volta incapaci di replicare a tono.
Jirlib proseguì, brontolando contro chi era capace solo di sognare a occhi aperti, e Brent attese che le sorelle fossero entrate e le seguì.
Nell’ombra del vasto atrio i rumori della città erano lontani. Due soldati delle Truppe Reali in alta uniforme erano di guardia ai lati del portone, appollaiati in silenzio in due nicchie-da-agguato. Più avanti c’era il guardiano reale, il bigliettaio. Sull’antico muro dietro il suo chiosco c’erano le targhe delle mostre d’arte ospitate in quei giorni dal museo. Jirlib aveva smesso di borbottare e andò a girare intorno a una statua a dodici colori dal titolo Concetto d’Artista rappresentante un Distorto di Khelm. Viki poté così constatare che le assurdità dell’arte moderna erano penetrate anche nei musei. Ma non c’erano solo i Distorti. Il programma del museo per quella stagione era Le Bizzarrie della Scienza, in tutti i loro aspetti. Le targhe dicevano che gli argomenti erano Le Stregonerie della Profondità, la Videomanzia, l’Autocombustione e — dannazione — i Distorti di Khelm. Jirlib sembrava incurante dei commenti dei fratelli sul suo hobby. Gli bastava che fosse stato ritenuto degno di essere ospitato in un museo.
Le tendenze artistiche più attuali erano ospitate in un’ala nuova. Qui i soffitti erano alti, e tubi a specchio proiettavano la luce solare in nebulosi coni sui pavimenti di marmo. I quattro fratelli erano soli, e il ticchettio dei loro piedi sembrava amplificato. Viki era stupita dal proliferare di paccottiglia artistica che si vedeva attorno. Papà pensava che quella roba fosse divertente, «come la religione, ma non così mortale». Sfortunatamente Jirlib aveva occhi solo per il suo genere di paccottiglia. A lui non importava che Gokna fosse interessata agli esempi di autocombustione in corso dietro schermi protettivi. Non gli importava che Viki volesse vedere i tubi proiettori di immagini nella sala della videomanzia. Jirlib andò dritto verso gli esempi di Distorti, e lui e Brent fecero in modo che le sorelle restassero sempre con loro.
Be’, pazienza. In effetti Viki era attratta dai Distorti. Jirlib si interessava a quella roba da molto tempo, e quel giorno avevano occasione di vedere meglio di cosa si trattava.
L’ingresso della sala era tappezzato dal pavimento al soffitto di scintillanti foraminiferi diamantati, che un tempo erano stati gli esseri viventi più comuni del pianeta. Poi, cinquanta milioni di anni addietro, erano scomparsi di colpo, e di essi restavano soltanto gli scheletri in uno strato geologico. Zio Hrunkner diceva che questa loro scomparsa dava da pensare, quando si rifletteva alle idee di Papà sui cicli del sole.
— Muoviamoci — li incitò Jirlib indicando la porta sul fondo, dove c’era il cartello dei Distorti di Khelm. I quattro ticchettarono fino all’ingresso in penombra, parlando a sussurri nel silenzio. Non c’era nessun altro visitatore. Nella sala, un singolo cono di luce solare scendeva da un tubo a specchio sui tavoli centrali. Le pareti erano al buio, illuminate qua e là da minuscole lampade colorate.
Mentre i quattro entravano nella sala, Gokna mandò uno squittio di sorpresa. C’erano delle figure nell’ombra, alquanto più alte di un aracnide adulto. Si reggevano su tre sole zampe, e le loro braccia anteriori sembravano gli arti di uno Sfrondatore. Era proprio il tipo di essere vivente che Chundra Khelm affermava fosse l’antenato dei suoi Distorti.
Viki lesse il cartellino accanto alla figura e sorrise. — Roba impressionante, eh? — disse alla sorella.
— Già, non credevo… — Poi anche Gokna lesse il cartellino. — Ehi, ma questo è un falso.
— Non è un falso — la corresse Jirlib, — ma una ricostruzione scientifica in base a ipotesi accurate. — Ma Viki notò la delusione nella sua voce. Si aggirarono nella sala, e per qualche minuto quelle figure furono misteri che fluttuavano oltre le loro capacità di comprensione. Li c’erano tutti e cinquanta i tipi razziali descritti da Khelm. Ma si trattava di modelli rozzi, forse fatti costruire addirittura per qualche corso mascherato. Jirlib sembrava ripiegarsi su se stesso mentre passava dall’uno all’altro leggendo i cartellini. Le descrizioni erano ampie. “L’antica razza che precedette la nostra…” “Le creature che davano la caccia agli aracnidi nei tempi preistorici…” “… in qualche remota profondità potrebbero esserci ancora questi esseri, ibernati, in attesa di uscire a riprendere possesso del mondo”. L’ultimo cartellino era accanto alla ricostruzione di un mostro simile a un’enorme tarantola posizionata come sul punto di staccare la testa all’osservatore. Era roba fatta per impressionare e basta, senza fondamento scientifico. Perfino Chundra ammetteva che quelle ipotetiche remote profondità dovevano trovarsi al di sotto dello strato dei foraminiferi. Se i Distorti erano esistiti davvero, essi risalivano a oltre cinquanta milioni di anni addietro… estinti milioni di anni prima che apparissero i più primitivi proto-aracnidi.
— Credo che li abbiano messi qui per prendere in giro i visitatori, Jirlib — commentò Viki, seccata. Non le piaceva che degli estranei si facessero gioco dei membri della sua famiglia.
Jirlib fu cupamente d’accordo. — Sì, forse hai ragione. Più li guardo, più sembrano delle buffonate. — Si fermò davanti all’ultimo cartellino. — Ehi… qui lo ammettono, perfino! Leggete cosa dice: «Se siete arrivati fino a questo punto avete capito come siano sciocche le affermazioni di Chundra Khelm. Ma allora cosa sono i Distorti? Dei falsi provenienti da uno scavo archeologico dove nessuno ha capito cosa stava estraendo dal suolo? Delle rocce che hanno assunto casualmente forma quasi aracnoide? A voi giudicare…» La voce di Jirlib si affievolì mentre il suo sguardo si spostava su alcune lastre di roccia vivamente illuminate, finallora nascoste da un paravento.
Jirlib si avvicinò rapidamente a quei reperti, mormorando fra sé per l’eccitazione. Ogni lastra era separata dalle altre, e tutte ricevevano la luce trasversalmente. Non sembravano molto diverse da comuni lastre di marmo rossiccio, ma quando Jirlib sospirò fu per la meraviglia. — Questi sono i veri Distorti. Le bestie che nessuno fuorché Chundra Khelm ha mai scoperto.
Se qualcuno le avesse lisciate meglio le lastre sarebbero state graziose. C’erano strisce e macchie che sembravano carbone incorporato nella roccia. Se uno usava l’immaginazione poteva figurarsi che fossero forme contorte, con fauci e artigli. Però non somigliavano a niente che fosse mai stato vivo. Jirlib e Gokna si incantarono a guardarle.
Dopo un poco Viki rivolse loro un cenno che era anche un sorrisetto e si allontanò verso l’uscita. Brent non si mosse né la richiamò, forse perché era di umore bizzarro oppure s’era perso anche lui in un sogno a occhi aperti su quelle lastre di pietra. Finché lei restava in vista probabilmente non si sarebbe allarmato. Viki attraversò l’arcata e andò nella sala della videomanzia.
I primi oggetti in mostra erano dipinti e mosaici vecchi di generazioni. Il concetto alla base della videomanzia risaliva a molto prima dei tempi moderni, alla credenza superstiziosa che se uno riusciva a dipingere perfettamente il suo nemico avrebbe avuto un potere su di lui. L’idea aveva issato la creazione di molte opere d’arte, nuove tecniche del colore e studi della prospettiva. Ma i dipinti più evoluti mostravano solo una frazione di tutte le sfumature di colore che un aracnide poteva vedere. La moderna videomanzia dichiarava che la scienza poteva riprodurre la forma naturale perfetta, quella cioè osservata con la prospettiva di tutti gli occhi di un aracnide. Papà diceva che sarebbe stata la tecnica a fare piazza pulita di quei concetti arcaici.
Viki s’incamminò fra rastrelliere piene di videotubi. Un centinaio mostravano dei paesaggi, offuscati e imprecisi… ma nei tubi più perfezionati si vedevano colori che solo certe lampade speciali potevano rivelare. Ogni anno quegli oggetti miglioravano. La gente parlava già di immagini radiofoniche. Quell’idea affascinava la piccola Victreia.
In fondo alla sala, da qualche parte, c’era un mormorio di voci che le ricordavano gli incerti tentativi di Rhapsa e di Hrunk. Viki s’immobilizzò per lo stupore. Trascorse qualche secondo e due piccoli entrarono da un corridoio laterale. Per un allucinato istante lei pensò che Rhapsa e Hrunk li avessero seguili fin lì. Ma poi vide due adulti sconosciuti entrare dietro di loro, e notò che i due piccoli erano ancor più giovani dei suoi fratelli minori.
Viki squittì un’esclamazione eccitata e si precipitò verso i due piccoli. Gli adulti restarono paralizzati per la sorpresa a quella vista, ma subito afferrarono i loro piccoli e uscirono in fretta.
— Aspettate! Aspettate, per favore! Voglio soltanto parlare con voi. — Viki costrinse le sue zampe a un passo tranquillo e sollevò le mani nutritive in un sorriso amichevole. Dietro di lei Gokna e Jirlib avevano lasciato la sala dei Distorti e stavano guardando la scena con ottuso stupore.
I due adulti si fermarono, poi tornarono indietro lentamente. Sia Viki che Gokna erano evidentemente fuori-fase. Questo sembrò essere di incoraggiamento alla coppia sconosciuta più che le parole.
Si presentarono in modo cortese e formale. Trenchet Suabisme era una progettista della Costruzioni Mondo Nuovo; suo marito Alendon era sorvegliante nella stessa ditta. — Oggi ci è parsa una giornata adatta per venire al museo, visto che la maggior parte della gente che non lavora è in montagna, a giocare con la prima neve. Anche voi avete colto questa occasione?
— Oh, sì — disse Gokna. — Ma siamo contenti di avervi incontrato. Come si chiamano i vostri piccoli? — Era strano trovarsi con degli sconosciuti che sembravano più familiari di chiunque altro. Anche Trenchet e Alendon avevano l’aria di pensare la stessa cosa. I due piccoli si agitavano energicamente fra le loro braccia, rifiutando di salire sulla schiena di Alendon. Dopo qualche momento i genitori li rimisero al suolo, Subito i piccoli balzarono fra le braccia di Gokna e di Viki. Ciangottavano senza interruzione parole senza senso, e i loro occhi da bambini ruotavano qua e là con eccitata curiosità. La femmina che si stava arrampicando addosso a Viki — Alequere, si chiamava — non poteva avere più di due anni. Per qualche motivo né Rhapsa né Hrunk erano mai stati cosi vivaci e carini. Naturalmente, quando loro avevano due anni Viki ne aveva soltanto sette e pretendeva per sé tutta l’attenzione altrui. Quei piccoli erano molto diversi dai quieti e malinconici fuori-fase che lei aveva conosciuto.
La cosa più imbarazzante fu la reazione dei due adulti quando seppero chi erano Viki e i suoi fratelli. Trenchet Suabisme restò ammutolita per qualche secondo. — Io… io suppongo che avremmo dovuto immaginarlo subito. Chi altri potevate essere? Sapete, quand’ero adolescente ascoltavo sempre il vostro programma alla radio. Sembravate così spaventosamente giovani. I soli fuori-fase che io avessi mai conosciuto. Quel programma mi piaceva molto.
— Sì, anche a me — aggiunse Alendon. E sorrise, mentre Alequere andava a infilarsi dentro una tasca della blusa di Viki. La piccola ne riemerse con la testa e agitò le mani nutritive. Viki gliele stuzzicò con una delle sue. Scoprire che qualcuno aveva ascoltato e raccolto i messaggi di suo padre la inorgogliva, ma… — È triste sapere che dovete evitare la gente. Vorrei che ci fossero altri come voi e i vostri piccoli.
Con sua sorpresa Trenchet ridacchiò. — I tempi stanno cambiando. Sempre più gente aspetta di poter restare sveglia durante la Tenebra, e anche altri cominciano a capire che certe regole dovranno essere modificate. Avremo bisogno di figli già cresciuti per portare avanti i lavori necessari. Noi conosciamo altre due coppie della Mondo Nuovo che hanno avuto figli fuori-fase. — Diede una pacca sulle spalle a suo marito. — Non saremo soli per sempre.
Il loro entusiasmo contagiò Viki. Alequere e l’altro ragnetto — Birbop? — erano simpatici come Rhapsa e il piccolo Hrunk, ma erano anche diversi. Finalmente ora avrebbero potuto conoscere altri giovani. Per Viki era come se una porta chiusa da tanto tempo si fosse aperta, lasciando entrare i colori del sole.
S’incamminarono lentamente attraverso la sala della videomanzia. Gokna e Trenchet Suabisme discussero di varie possibilità. Gokna caldeggiava l’idea che la casa sulla collina diventasse un luogo d’incontro per tutte le famiglie fuori-fase. Viki sospettava però che questo non sarebbe piaciuto a Papà e al generale, anche se per ragioni diverse. Ma come ipotesi, quella di un luogo d’incontro aveva un senso e meritava di essere sviluppata. Viki seguì gli altri senza prestare troppa attenzione a ciò che dicevano. Giocherellare e far complimenti alla piccola Alequere era proprio uno spasso. Preferiva di gran lunga divertirsi con quei ragnetti che andare a calpestare la prima neve, come aveva sospirato quel mattino nel vedere che le Montagne Dirupate s’erano imbiancate.
Poi, oltre le chiacchiere, sentì il ticchettio di molti piedi sul pavimento di marmo. Quattro persone? Cinque? Stavano per arrivare lungo lo stesso corridoio che avevano seguito loro pochi minuti prima. Chiunque fossero, avrebbero avuto un’interessante sorpresa: sei giovani fuori-fase tutti insieme, dai più piccoli ai più grandi.
Quattro di quei nuovi visitatori del museo erano adulti della generazione attuale, grossi come quelli della scorta di Mamma. Non rallentarono il passo ne si mostrarono sorpresi nei vedere i giovani. Indossavano bluse anonime come quelle che si potevano vedere ogni giorno per strada. Quella che sembrava il loro caposquadra era una aracnide dell’ultima generazione con l’aria di un ufficiale in borghese. Viki avrebbe dovuto sentirsene sollevata; quelli erano probabilmente i militari che secondo Brent li avevano seguiti. Ma non riconobbe nessuno di loro…
Il capo, una femmina, si fermò davanti a loro in atteggiamento fermo e sicuro, quindi rivolse un gesto tranquillizzante a Trenchet Suabisme. — Voi due potete andare. Ora possiamo occuparcene noi. Il generale Smait vuole che tutti e sei i suoi figli siano riportati nella zona sorvegliata.
— Co-cosa? Io non capisco. — Trenchet Suabisme alzò le braccia, confusa.
I cinque sconosciuti si mossero avanti, mentre la caposquadra continuava a fare gesti tranquillizzanti, ma le loro spiegazioni non avevano senso. — Due guardie non sono abbastanza per sei giovani. Dopo che siete usciti abbiamo capito che avrebbero potuto esserci dei problemi. — Un paio di aracnidi si spostarono fra i due Suabisme adulti e i giovani. Viki si sentì spinta gentilmente ma fermamente contro Jirlib e Gokna. Il personale di sua madre non aveva mai agito così. — Scusate, ma questa è un’emergenza…
Alcune cose accaddero contemporaneamente. Trenchet e Alendon Suabisme cominciarono a gridare, spaventati e irritati. I due sconosciuti più grossi li spinsero indietro allontanandoli dai giovani. Uno di costoro stava frugando nel suo paniere.
— Ehi, qui ce ne manca uno! — Brent.
In alto, quasi sopra di loro, qualcosa si stava muovendo. La mostra della videomanzia consisteva in torreggianti scaffalature colme di tubi. Con inesorabile lentezza lo scaffale più vicino s’inclinò verso il pavimento, in una galassia di tubi colorati e crepitii di metallo che si schiantava. Viki vide per un momento Brent che si spostava dalla sommità di uno scaffale a quello accanto.
Quando i videotubi scoppiarono a dozzine, facendo schizzare attorno grandini di schegge con un fracasso assordante, Viki scivolò al suolo. Lo scaffale era caduto fra lei e i Suabisme… e dritto addosso a due dei robusti sconosciuti. Sul marmo si allargò un rivolo di sangue, e lei ansimò inorridita. Due mani anteriori immobili sporgevano da sotto i rottami, e a pochi centimetri da esse giaceva una grossa pistola a canna mozza.
Poi il tempo riprese a scorrere, Viki fu afferrata per il dorso e trascinata via da quello sconquasso. Sull’altro lato dello stesso individuo che s’era impadronito di lei, Gokna e Jirlib stavano gridando. Ci fu un orrido scricchiolio. Gokna ebbe un urlo strozzato e Jirlib tacque.
— Caposquadra, cosa facciamo con quei…
— Lascia perdere! Li abbiamo presi tutti e sei. Muovetevi. Andiamo!
Mentre veniva portata fuori dalla sala Viki si contorse per guardare indietro. Ma gli sconosciuti stavano abbandonando i loro due compagni feriti, e lei non riuscì a vedere dove fossero i Suabisme oltre lo scaffale rovesciato.
Quello era un pomeriggio che Hrunkner Unnerbai non avrebbe mai dimenticato. In tutti gli anni dacché conosceva Victreia Smait non l’aveva mai vista così vicina a perdere il controllo. Poco dopo mezzogiorno la chiamata radio con cui Sherkaner aveva infranto tutte le priorità militari aveva portato notizia del rapimento. Il generale Smait aveva immediatamente convocato il suo staff in una riunione d’emergenza, e Hrunkner Unnerbai s’era visto improvvisamente trasformato da un direttore di progetti in qualcosa di simile a… un sergente. Era corso all’aeroporto per far mettere in pista il trimotore del generale, quindi aveva messo al lavoro tutto il personale per i controlli di sicurezza. Non intendeva permettere che il generale corresse rischi inutili. Le emergenze di quel genere erano proprio il tipo di diversioni che al nemico piaceva creare, e quando tutti pensavano che niente contasse più che risolverle ecco che allora i sicari colpivano il loro vero bersaglio.
Il trimotore li portò in meno di due ore da Comando Territoriale a Principalia. Ma l’aereo non era un centro di comando volante; cose simili erano troppo costose per i loro fondi attuali. Così per due ore il generale dovette accontentarsi di un collegamento radio. Due ore lontana da Comando Territoriale e da Principalia, due ore per macerarsi con l’angoscia e l’incertezza. Era metà del pomeriggio quando atterrarono, e poi occorse un’altra mezzora per raggiungere la casa sulla collina.
L’auto era appena entrata nel parcheggio quando Sherkaner Underhill uscì dalla porta e li incitò a muoversi. Afferrò Hrunkner per un braccio e si rivolse al generale: — Hai fatto bene a portare con te Hrunkner. Avrò bisogno di entrambi. — Attraversò l’atrio e li condusse nel suo ufficio al pianterreno.
Nel corso degli anni Hrunkner aveva avuto occasione di vedere Underhill nelle più diverse situazioni: nei laboratori di Comando Territoriale durante la guerra coi Tiefer, nella spedizione nel vuoto attraverso la Tenebra Profonda, nelle riunioni in cui si decidevano importanti novità tecniche o economiche. Underhill non aveva sempre la meglio ma era immancabilmente pieno di sorprese e immaginazione. Tutto era un grande esperimento e una meravigliosa avventura. Anche quando falliva, vedeva il fallimento come una tappa verso altri esperimenti. Ma quel giorno… Sherkaner Underhill aveva conosciuto la disperazione. Si accostò a Victreia Smait, col tremito delle braccia e della testa più pronunciato che mai. — Dev’esserci un modo di trovarli. Deve esserci. Io ho dei calcolatori, e il collegamento a microonde con Comando Territoriale. — Tutte le risorse che in passato lo avevano servito così bene. — Riuscirò a salvarli. So che posso farlo.
Victreia Smait restò immobile qualche momento. Poi si strinse a lui e gli accarezzò il pelame sul dorso. La sua voce fu morbida come quella di un soldato che consolasse un camerata dopo aver visto cadere i compagni in battaglia. — No, mio caro. Tu non puoi fare più di tanto. — Fuori stava scendendo il tramonto. Hrunkner poteva avvertire la loro paura. Poi di colpo Underhill si appoggiò a lei a corpo morto. Nella stanza ci fu soltanto il sibilo del suo pianto. Dopo un poco il generale alzò una mano e accennò a Hrunkner di lasciarli soli.
Hrunkner annuì in silenzio. Il tappeto era coperto di giocattoli, quelli di Underhill e dei suoi figli, ma lui prestò attenzione a dove metteva i piedi mentre usciva dalla stanza.
Il tramonto lasciò subito il posto all’oscurità, grazie alle nuvole che avevano coperto il cielo. Hrunkner non fece molto caso al tempo perché il centro di comando della casa aveva solo delle strette feritoie. Victreia Smait fece la sua comparsa lì una mezzora dopo di lui. Rispose ai saluti dei subordinati e scivolò sul trespolo accanto al suo. Hrunkner girò una mano in segno interrogativo, lei scrollò le spalle. — Sherkaner sta un po’ meglio, sergente. Ora è coi suoi studenti anziani e fa quello che può. E noi a che punto siamo?
Hrunkner spinse verso di lei i verbali degli interrogatori ammucchiati sul tavolo. — Il capitano Douneng e la sua squadra sono ancora qui, se vuole parlare con loro. Ma noi — e indicò lo staff venuto con loro da Comando Territoriale — pensiamo che non abbiano colpe. Il fatto è che i suoi figli sono stati molto astuti. — I giovani erano usciti di soppiatto, aggirando un efficiente corpo di guardia. Vivevano lì, conoscevano tutte le routine e le abitudini delle guardie, erano amici di molte di loro. E fino a quel giorno i pericoli del mondo esterno erano stati soltanto teoria per loro. Tutto aveva lavorato a favore dei giovani aracnidi quando si erano messi in testa di andare in città da soli… ma le guardie della casa erano gente alle dirette dipendenze di Victreia Smait. Erano militari competenti e fedeli; ora stavano soffrendo quasi quanto Sherkaner Underhill.
Victreia Smait spinse di nuovo i rapporti verso di lui. — D’accordo. Rimetti in servizio Daram e la sua squadra. Tienili occupati. Cosa c’è di nuovo nelle ricerche, abbiamo i primi rapporti? — Accennò agli altri dello staff di avvicinarsi, e si aggiornò sulla situazione.
Il posto di comando della casa disponeva di buone carte geografiche ed era perfettamente attrezzato. Con la sua stazione a microonde era un doppione della sala tattica di Comando Territoriale. Purtroppo i collegamenti con la polizia di Principalia non erano altrettanto buoni, e sarebbero occorse alcune ore prima di risolvere quel problema. Nel frattempo c’era un continuo movimento di portamessaggi che entravano e uscivano. Cominciavano ad accumularsi fatti, e questo era un progresso… anche se alcuni di quei fatti erano molto preoccupanti.
Il capo delle operazioni anti-Kindred fece il suo ingresso un’ora dopo. Rachner Thract svolgeva da poco quell’incarico, ed era un giovane originario di Tiefstadt, un immigrante. Forse c’era un lato positivo in questo; Dio sapeva quanto avessero bisogno di qualcuno che conoscesse i Kindred. Com’erano potuti cambiare a quel modo gli antichi valori? Durante la Grande Guerra i Kindred rappresentavano una minoranza scismatica all’interno dell’impero Tiefer, e avevano sostenuto segretamente l’Alleanza. Ma Victreia Smait sentiva già allora che sarebbero diventati una grave minaccia per tutti.
Thract depose sulla rastrelliera il mantello da pioggia e aprì la serratura del suo paniere. Depose alcuni documenti davanti al suo superiore. — I Kindred sono in questa faccenda fino alla schiena, generale.
— Mi chiedo perché questo non mi sorprende — disse Victreia Smait. Hrunkner sapeva quanto fosse stanca, ma appariva energica e attenta come sempre. Quasi. Era calma, cortese come a ogni riunione dello staff. Le sue domande erano immancabilmente precise. Ma Hrunkner cominciava a vedere una differenza, un’aria lievemente distratta. Non derivava dall’ansia; era come se la mente del generale stesse contemplando la scena dall’esterno. — Ciò malgrado, qualche ora fa il coinvolgimento dei Kindred era solo un’ipotesi lontana. Cos’è cambiato, Rachner?
— Due colloqui, e due autopsie. I due ragni che sono morti sotto il crollo dello scaffale avevano avuto molto addestramento fisico, ma non erano atleti. C’erano vecchie lesioni nella loro chitina, e anche un foro di pallottola rappezzato con una piastra.
Victreia Smait scrollò le spalle. — Era chiaramente un lavoro da professionisti. Noi sappiamo che nell’Alleanza esistono sia gruppi criminali che fazioni politiche estremiste capaci di agire in questo modo, o di assoldare esperti.
— È vero, ma qui ci troviamo di fronte ai Kindred, non a organizzazioni interne.
— C’è qualche prova concreta? — intervenne Hrunkner, sollevato ma un po’ vergognoso di quel sentimento.
— Mmh. — Più che la domanda, Thract parve considerare chi l’aveva fatta. L’artropode non sapeva decidere come lui (un civile che tutti chiamavano “sergente”) s’inserisse nella catena di comando. Guarda di farci l’abitudine, figliolo. — I Kindred danno la massima importanza alla loro religione, ma in passato hanno sempre evitato con cura di interferire con la nostra politica interna. Sovvenzionare gruppuscoli di fondamentalisti è il massimo a cui si sono spinti. Ma oggi hanno infranto quel limite. Quelli erano Kindred, ed erano dei professionisti. Si sono infiltrati oltre le nostre normali misure di sorveglianza con tecnica impeccabile, ma non hanno tenuto conto dei progressi dei nostri laboratori di analisi. Mi riferisco a un esame chimico realizzato da uno degli studenti di suo marito. Vede, alcuni pollini rimasti negli orifizi respiratori di entrambi i corpi non sono locali. Potrei perfino dirvi da quale località di Kindred sono partiti. Quei due erano nella nostra terra da meno di quindici giorni.
Victreia Smait annui. — Dopo un tempo maggiore i pollini non sarebbero più rilevabili?
— Infatti. Assorbiti dal sistema immunitario, dicono i tecnici. Ma anche così avremmo appreso molte cose. Vede, questi incursori oggi hanno avuto meno fortuna di noi. Si sono lasciati dietro due testimoni vivi… — Thract esitò ricordando che quella non era un’operazione normale, e che per il generale la solita definizione di successo operativo non poteva applicarsi a una tragedia personale.
Victreia Smait parve non notarlo. — Sì, la coppia. Quelli che avevano portato i loro piccoli al museo.
— Sì, signora. Loro sono metà della ragione per cui la cosa è scoppiata in faccia ai rapitori. Il colonnello Vilunder, capo delle operazioni interne, ha parlato con questa gente per tutto il pomeriggio. Sono ansiosi di essere aiutati. Lei ha già avuto un primo resoconto della loro testimonianza, e sa come suo figlio ha fatto crollare lo scaffale che ha ucciso due dei rapitori.
— Sappiamo che i nostri figli sono stati catturati vivi.
— Infatti. Ma Vilunder ha saputo qualcos’altro. Siamo sicuri che i rapitori volevano portare via tutti e sei i vostri figli. Vedendo i due piccoli dei Suabisme hanno credulo che fossero i vostri. Non ci sono molti fuori-fase al mondo, neppure oggi. E hanno creduto che i Suabisme fossero le loro guardie di scorta.
Dio della buona terra fredda. Hrunkner si volse verso le strette finestre orizzontali. Il vento s’era rafforzato faceva ondeggiare le felci. Stava piovendo. Quella notte ci sarebbe stata una tempesta elettrica, probabilmente.
E così i Kindred erano stati ostacolati dalla loro alta opinione del servizio di sicurezza dell’Alleanza. Ovviamente avevano supposto che qualcuno stesse scortando i giovani.
— Abbiamo saputo diverse cose dai due civili, generale. La scusa che i rapitori hanno usato per avvicinarsi, certi giri di parole dopo che le cose sono precipitate… non intendevano lasciare testimoni vivi. I Suabisme sono stati baciati dalla fortuna oggi, anche se loro non la vedono a questo modo. I due uccisi dallo scaffale rovesciato da vostro figlio stavano allontanando i Suabisme dai piccoli. Uno di loro aveva già estratto una pistola automatica, con tutte le sicure aperte. Il colonnello Vilunder pensa che avessero progettato di uccidere la scorta dei vostri figli, e inoltre tutti i visitatori del museo presenti al fatto. Un massacro sarebbe stato infatti attribuito a una nostra fazione politica interna, almeno inizialmente.
— In tal caso perché non lasciare morti anche un paio dei nostri figli? Questo gli avrebbe inoltre resa più rapida la ritirata. — L’osservazione di Victreia Smait fu calma, anche se una delle sua mani nutritive ebbe un fremito.
— Il colonnello Vilunder pensa che siano ancora nella nostra terra, forse addirittura a Principalia.
— Ah. — Lo scetticismo di lei era misto alla speranza. — Va bene. Questa sarà la sua prima operazione interna importante, Rachner, ma voglio che lei la esegua in stretta collaborazione con il Servizio Informazioni Interno. — Il classico anonimato del Servizio Informazioni avrebbe avuto una brutta scossa nei prossimi giorni. — Cercate di essere cortesi con i cittadini e i funzionari stranieri. Potrebbero causare alla Corona non pochi guai, in un periodo già molto delicato come questo.
— Sì, signora. Il colonnello Vilunder e io abbiamo organizzato squadre di ricerca con la polizia cittadina. Quando i telefoni saranno collegati avremo una sorta di posto di comando qui alla casa sulla collina.
— Molto bene… sapevo che lei non avrebbe avuto bisogno delle mie istruzioni, Rachner.
Thract scese dal trespolo con un sorrisetto. — Le riporteremo i suoi ragnetti, capo.
Victreia Smait fece per rispondere, poi vide due piccole teste che sbirciavano dalla fessura della porta. — So che farà del suo meglio, Rachner. Grazie.
Mentre Thract si scostava dal tavolo spruzzi di pioggia entrarono dalla porta che si apriva del tutto. I più giovani dei figli Underhill (forse gli unici ancora vivi) vennero dentro seguiti dalla loro guardia del corpo e da tre militari. Il capitano Douneng aveva un ombrello, ma era chiaro che Rhapsa e Hrunk non ne avevano approfittato. Le loro bluse erano inzuppate, e l’acqua sgocciolava dalla chitina nera della loro schiena.
Victreia Smait non sorrise ai figli. Guardò le loro bluse e l’ombrello chiuso. — Andavate in giro a quest’ora, voi due?
Fu Rhapsa a rispondere, più a disagio di quanto mai Hrunkner Unnerbai l’avesse vista. — No, mamma. Eravamo con Papà, ma lui ha molto da fare, adesso. Allora siamo andati dal capitano Douneng, ma anche lui e gli altri… — E guardò timidamente la sua scorta.
Il giovane capitano si fece avanti con aria imbarazzata. — Mi scusi, signora, ma ho deciso di non usare l’ombrello. Volevo poter vedere in tutte le direzioni.
— D’accordo, Daram, e… ha fatto bene a portarli qui. — Victreia Smait si alzò e guardò i due figli. Rhapsa e Hrunk risposero al suo sguardo, immobili. Poi, come se un interruttore fosse scattato, i due piccoli corsero attraverso la stanza mentre le loro voci si alzavano in un ciangottio incomprensibile. Per qualche momento furono tutti braccia e gambe, arrampicandosi addosso a lei come se fosse un padre. Ora che la diga della loro timidezza era crollata le loro parole si affastellavano concitate. C’erano notizie di Gokna e Viki, Jirlib e Brent? Cosa sarebbe successo ora? E avevano una gran paura di essere rimasti soli.
Dopo un poco si calmarono. Victreia Smait li guardava, e Hrunkner si chiese cosa le passasse per la mente. Aveva ancora due figli. Che fosse stata sfortuna o incompetenza dei rapitori, altri due piccoli erano stati rapiti al posto di quelli. Poi si girò verso di lui. — Hrunkner, ho una richiesta. Trova i Suabisme. Chiedi loro di… offrigli la mia ospitalità. Se volessero abitare qui alla casa sulla collina durante questa attesa, io ne sarei onorata.
Erano molto in alto, in quello che sembrava un pozzo di ventilazione verticale.
— No, non è un pozzo di ventilazione — disse Gokna. — Dentro quei pozzi ci passano anche tutti i cavi e i tubi.
Non c’era il rumore dei ventilatori, solo il continuo fruscio dell’aria che scendeva dall’alto. Viki aguzzò gli occhi nella scarsa luce. In cima al pozzo poteva vedere una griglia verticale, circa venti braccia più in alto. La luce del giorno si rifletteva sulle pareti metalliche. Lì sul fondo c’era penombra, ma bastava per vedere le stuoie dei letti, il cesso chimico e un pavimento metallico. La loro prigione si scaldava, col trascorrere del pomeriggio. Gokna aveva ragione. A casa loro avevano esplorato abbastanza per sapere che aspetto avevano le condutture. Ma cos’altro poteva essere quel posto? — Guardate quanti rattoppi. — Viki indicò i dischi saldati qua e là sulle pareti. — Forse questo è un palazzo abbandonato… no, forse è ancora in costruzione!
— Già — disse Jirlib. — Questo è tutto lavoro recente. Hanno saldato dei dischi dove c’erano delle condutture di accesso. Un lavoro fatto di fretta, in neanche un’ora.
Gokna annuì, e non cercò di avere l’ultima parola. Molte cose erano cambiate da quei mattino. Jirlib non era più distaccato, irritabile quando interveniva per sedare le loro dispute. Era sotto pressione come mai in passato, e Viki sapeva quanto amaramente dovesse sentirsi in colpa. Lui e Brent erano i più anziani… e avevano lasciato che succedesse questo. Ma l’angoscia non si rivelava direttamente; Jirlib era solo più paziente di prima.
— Credo di sapere dove siamo… — disse infatti. Fu interrotto dai piccoli che si agitavano, aggrappati agli appigli della sua schiena. Il pelame di Jirlib non era ancora sufficiente per essere comodo, e inoltre cominciava a puzzare. Alequere e Birbop si lamentavano e volevano i loro genitori, picchiettando coi piedi sulla chitina del povero Jirlib. Viki si fece avanti e prese Alequere fra le braccia.
— E dove? — domandò Gokna, non in tono di sfida.
— Vedete le ragnatele degli attercop? — Jirlib indicò alcuni frammenti semistaccati che la brezza agitava. — Ogni specie ha il suo disegno inimitabile. Questa specie si trova anche nella zona di Principalia, ma solo nei posti più elevati. Ad esempio sulla cima della casa sulla collina. Perciò immagino che siamo ancora in città, ma in un luogo così elevato da essere visibile per chilometri tutto intorno. O siamo sulle colline, o nel nuovo grattacielo del centro.
Viki cullò un poco la piccola Alequere prima di rispondere. — D’accordo. Forse ci hanno portato un po’ in giro per farci perdere l’orientamento dentro quel furgone, ma… nel centro? Io ho sentito passare degli aerei, ma dov’è il rumore del traffico?
— Io lo sento — disse Brent. Fino a quel momento era stato zitto. Forse s’era rotto una gamba e fatto male a un’altra cadendo giù dallo scaffale, ma per orgoglio non aveva voluto parlarne. Per un poco era andato attorno zoppicando, battendo colpi sulle pareti della loro prigione. Poi s’era disteso ventre a terra con tutte le gambe allargate, come se fosse morto o in preda allo sconforto. Quella era la posizione in cui stava anche adesso. — Potete sentirli anche voi — continuò. — Con la pancia.
— Zitti, voi due — disse Viki ai piccoli, che ora stavano ridendo. Si stese al suolo e cercò di concentrarsi. C’erano delle vibrazioni infatti, lontane ma poco riconoscibili… ah, ecco! Il rumore ben noto dei freni di un pesante veicolo che bloccava di colpo le ruote.
— Credo che abbiano fatto tanti giri per evitare il servizio di sicurezza di Mamma — disse Viki. — Quegli aracnidi avevano anche diverse auto oltre ai furgoni. Forse hanno cercato di uscire di città e si sono accorti che non potevano farlo. — Indicò intorno a loro. — Questa sembra una prigione molto improvvisata. Può darsi che il loro progetto non fosse quello di portarci qui. Ma chissà cosa vogliono farci… noi li abbiamo visti e potremmo identificarli. Abbiamo visto anche la femmina che aspettava nel parcheggio del museo, e il conducente di un furgone.
Viki vide Jirlib fremere mentre le implicazioni di ciò che aveva detto gli apparivano chiare, ma rimase calma. Altre risatine li distrassero da quei pensieri foschi. Alequere e Birbop non prestavano alcuna attenzione ai loro discorsi. Avevano scoperto la corda che Brent aveva in una tasca. Birbop ne afferrò un capo e balzò al suolo tirandosene dietro un capo come se gliela volesse arrotolare intorno alle gambe. Poi, prima che potessero fermarlo, si arrampicò su per le saldature e le piccole flange per tubi e cavi che sporgevano dalla parete, ancora in parte smontate, e con la rapida indifferenza degli sciocchi che non sanno ciò che fanno salì sempre più su, fino alla griglia verticale. Giunto là, per tornare giù non ebbe altra scelta che passare la corda di Brent sopra uno dei supporti che fermavano la griglia, e si calò lungo di essa fino al suolo.
L’intera operazione s’era svolta fra le strida eccitate di sua sorella Alequere e gli avvertimenti e gli ordini gridati da tutti gli altri, spaventati al pensiero che precipitasse. Ma quando il piccolo furfante fu di nuovo al sicuro fra le mani di Jirlib, si trovarono con una corda collegata alla sommità della loro prigione e cominciarono a pensare a come potevano utilizzarla.
Gokna e Viki discussero su chi di loro due avrebbe fatto il passo successivo. Fu Viki a vincere, grazie al fatto che pesava un po’ meno della sorella. Brent si tolse quindi la blusa e strappò via le fodere dell’imbottitura, che unite per le cuciture formarono una specie di bandiera di forma irregolare lunga quasi quattro braccia.
Gokna le porse la corda raddoppiata. — Credi che reggerà?
— Questa non si rompe — le assicurò Brent. — L’ho intrecciata io stesso, con del filo plastico che ho preso nel laboratorio.
Viki si tolse la blusa, afferrò l’improvvisato stendardo con le mani nutritive e cominciò ad arrampicarsi. Nella sua visione posteriore gli altri rimpiccolirono rapidamente. Soltanto allora le venne da pensare a cosa sarebbe successo se uno dei loro carcerieri fosse entrato proprio in quel momento a controllarli. L’improvvisa paura la fece irrigidire, ma si fece coraggio e continuò l’ascesa. Ancora un piccolo sforzo…
Spinse le braccia anteriori attraverso la griglia verticale e si aggrappò alla meglio, a contatto dell’aria aperta. Non c’era nessuna sporgenza su cui puntellarsi, e le sbarre erano troppo vicine perché uno di loro potesse scivolare all’esterno, ma… ah, la vista che si godeva da lì. Erano sulla cima di uno dei giganteschi edifici nuovi, alto almeno trenta piani. Il cielo s’era rannuvolato, e il vento soffiava con più forza. La visuale verso il basso era in parte ostruita dal tetto del grattacielo, ma davanti a lei Principalia si stendeva come un modellino di legno. Da lì vedeva piuttosto bene una delle strade più frequentate, gli autobus, le automobili, la gente.
Se solo avessero alzato lo sguardo verso di lei… Viki sporse la fodera della blusa fuori dalla griglia e la svolse. Per poco il vento non gliela strappò di mano. Lei la tenne ferma e poi la legò alla griglia in quattro punti, con attenzione. Ora il vento faceva sventolare energicamente la stoffa sottile, sbattendola qua e là.
Un ultimo sguardo alla libertà: in distanza le colline sembravano confondersi con le nuvole basse e pesanti. C’era un’altura, tutto intorno alla quale saliva a spirale una strada, fitta di palazzi, e sulla cima un edificio ben noto. La casa sulla collina! Da lì poteva vedere casa sua!
Viki scese lentamente dall’apertura chiusa con la grata, sentendosi finalmente rinfrancata e sicura di sé. Ce l’avrebbero fatta! Brent tirò giù la corda e se la mise in una tasca della blusa priva di fodera. Poi sedettero nella penombra che s’infittiva, chiedendosi quando si sarebbero fatti vivi i loro rapitori e discutendo su quali potevano essere le intenzioni di quella gente. Verso sera cominciò a cadere una fitta pioggia, ma il lieve rumore della stoffa che sbatteva contro la parete esterna era un conforto.
Poco dopo la mezzanotte il vento strappò i nodi che la fissavano alla griglia, e la bandiera si perse nell’oscurità.
Il Diritto di Petizione al caponave era una tradizione rispettata. Aveva solide basi storiche, anche se Tomas Nau era certo che secoli addietro, durante l’Era della Pestilenza, le petizioni venivano concesse solo per motivi propagandistici. In tempi più moderni il Diritto di Petizione era stato il modo preferito di suo zio Alan per incrementare la sua popolarità e costruire calunnie sulle fazioni rivali.
Era una tattica intelligente, a patto che uno fosse più accorto di suo zio Alan nel distinguere fra un postulante autentico e un sicario prezzolato. Nei ventiquattro anni trascorsi dal loro arrivo a OnOff, Tomas Nau aveva accolto una dozzina di petizioni. Nessuna tuttavia gli era mai stata presentata con carattere di urgenza, come quel giorno.
Seduto dietro la scrivania del suo ufficio Nau guardò i cinque postulanti. Correzione: rappresentanti dei postulanti. Dichiaravano di parlare a nome di un centinaio di persone, riunitesi appena 8 Ksec prima. Nau sorrise e accennò loro di prendere una sedia. — Direttore dei piloti Xin. Lei è il più anziano, mi sembra. Prego, esponga la vostra petizione.
— Sì, caponave. — Xin guardò la sua amica. Rita Liao. Erano entrambi tipici Emergenti, le cui famiglie avevano offerto alla patria focalizzati e Seguaci per oltre trecento anni. Gente come loro era l’ossatura della società, e trattare con loro era facile. O meglio, niente era ahimè facile lì, a venti anni-luce dal mondo civile. Xin gettò un’occhiata nervosa a Kal Omo. Questi gli restituì uno sguardo molto freddo, e Nau rimpianse di non aver avuto il tempo di preparare una scusa. Con Brughel fuori Turno, nessuno avrebbe potuto biasimarlo se avesse deciso di respingere la petizione.
— Come lei sa, caponave, molti di noi sono impegnati nelle analisi del materiale che proviene dal pianeta. Molti altri hanno un comprensibile interesse in ciò che i Ragni stanno…
Nau gli elargì un sorriso gentile. — Lo so. Siete sempre nel locale di Benny ad ascoltare le traduzioni.
— Sì, signore. Tutti apprezziamo molto L’Ora della Scienza dei Piccoli, e le traduzioni di materiale storico. Questo ci aiuta nelle nostre analisi. Così… — Parve cercare le parole. — Non so come dirlo. È che i Ragni hanno un intero mondo, laggiù, e qualche volta sembrano talmente… — Veri, Nau pensò che avrebbe detto. — Voglio dire, abbiamo finito con l’affezionarci ad alcuni di quei Ragni bambini.
Come noi volevamo. Le traduzioni erano trasmesse in differita, ora. Non si era ancora scoperto cos’avesse causato la regressione del virus cerebrale, né se la cosa fosse davvero collegabile a quella trasmissione doppiata in diretta. Anne Reynolt giudicava che il rischio non superasse quello di altre operazioni. Nau allungò una mano alla sua destra e sfiorò dolcemente quella di Qiwi. Lei gli restituì il sorriso. I Ragni bambini s’erano dimostrati di notevole importanza nella gestione del personale; questo lui non l’avrebbe capito se non fosse stato per Qiwi Lisolet. La ragazza era stata utile. Guardandola, parlandole, ingannandola… c’era sempre qualcosa da imparare. Avere dei figli, dei bambini, sarebbe stato impossibile con le limitate risorse di L1, perciò qualcosa doveva sostituirli. Ideando i doppiaggi di quel programma Qiwi gli aveva offerto la soluzione. — Tutti noi proviamo simpatia per quei ragnetti, direttore dei piloti. La vostra petizione ha a che fare col loro rapimento?
— Sì, signore. Sono trascorsi settanta Ksec dal fatto. I Ragni dell’Alleanza stanno usando le loro risorse tecniche e organizzative più intensamente che in passato. Finora questo non gli è servito a niente, però le nostre testerapide stanno ricavando molti dettagli. Insieme alle trasmissioni a onde corte dell’Alleanza l’etere è pieno di messaggi Kindred codificati. Anche loro li ricevono, e non hanno modo di decifrarne una parola. Ma per noi gli algoritmi kindred sono un gioco da bambini. Negli ultimi 40 Ksec noi… io ho messo al lavoro alcuni traduttori e analisti, e ora penso di sapere dove sono tenuti i Ragni rapiti. Cinque analisti danno per certo che…
— Cinque analisti, tre traduttori, e parte degli annusatori a bordo della Mano Invisibile. — La Reynolt aveva un freddo tono d’accusa quando lo interruppe. — Inoltre il direttore Xin ha usato un terzo delle apparecchiature di supporto.
Omo le fece subito eco. Era la prima volta che Nau vedeva la Sicurezza sostenere la Reynolt: — E in aggiunta, devo segnalare che questo non sarebbe potuto accadere se il direttore dei piloti e pochi altri privilegiati non avessero abusato dei codici d’emergenza. — Il sergente fulminò con lo sguardo gli artefici della petizione, ed essi deglutirono saliva davanti alla sua ira, gli Emergenti più dei Qeng Ho. Abuso delle risorse della comunità. Era un peccato mortale. Nau sorrise fra sé. Brughel non sarebbe riuscito a spaventarli così.
Il caponave alzò una mano e nella stanza tornò il silenzio. — Direttore dei piloti, lei capisce che non possiamo rivelare la nostra presenza?
Xin appariva molto abbacchiato. — Sì, signore.
— Lei dovrebbe sapere meglio di altri che la nostra sopravvivenza è un delicato equilibrio. Dopo la battaglia siamo rimasti a corto di focalizzati e di personale. Dopo la regressione di qualche Turno fa siamo senza rimpiazzi per i focalizzati. Non disponiamo di pezzi di ricambio, abbiamo poche armi, e la nostra possibilità di movimento nel sistema è limitata. Potremmo soggiogare una nazione di Ragni, o allearci con un’altra, ma il rischio sarebbe enorme. La nostra linea di condotta più sicura è quella seguita dopo il Massacro di Diem: osservare e pazientare. Fra pochi anni questo pianeta entrerà nell’Era dell’Informatica. A quel punto prenderemo sotto controllo le reti di comunicazione dei Ragni, e appena le loro risorse tecniche lo consentiranno ripareremo le nostre navi e cominceremo a manovrare la loro società coi risultati voluti. Finallora… ogni intervento diretto ritarderebbe di molto questo traguardo.
Lo sguardo di Nau si spostò sui postulanti. Xin, Liao, Fong. Trinli sedeva in disparte, come a mostrare che aveva cercato di dissuadere gli altri. Ezr Vinh non era di turno, altrimenti sarebbe intervenuto anche lui. Erano tutti gente capace solo di combinare guaì, secondo il metro di giudizio di Brughel. Ogni Turno, quel gruppetto si scostava di un altro passo dalle norme della comunità Emergente.
Per un momento nessuno parlò. C’erano delle lacrime negli occhi di Rita Liao, ma la microgravità di Hammerfest impediva loro di scendere. Poi Jau Xin chinò il capo. — Capisco, caponave. Ritiriamo la petizione.
Nau annuì graziosamente. Non avrebbe avuto bisogno di punire nessuno, e un punto importante era stato sottolineato.
Qiwi gli diede un colpetto sulla mano. Stava sorridendo. — D’altra parte, perché non fare un test per ciò che dovremo fare più tardi? Vero, non possiamo rivelarci. Ma considera ciò che ha fatto Xin. Per la prima volta abbiamo usato realmente il sistema di informazioni dei Ragni. I loro automatismi distano ancora vent’anni dall’Era dell’Informatica, ma stanno sviluppando i computer più in fretta di quanto sia successo sulla Terra dell’Era dell’Alba. Prima o poi i traduttori di Anne cominceranno a inserire dati nei loro sistemi di informazione. Perché non cominciare da ora? Di anno in anno potremmo approfondire l’intervento, a titolo sperimentale.
Negli occhi di Xin brillò la speranza, ma le sue parole furono caute. — Sono abbastanza progrediti per questo? I Ragni hanno lanciato il loro primo satellite artificiale appena l’anno scorso. Non hanno reti di dati estese. Non hanno neppure reti locali. A parte quel pietoso collegamento fra Principalia e Comando Territoriale, non hanno neppure reti di computer. Come potremmo inserire informazioni nei loro sistemi?
Già, come?
Ma Qiwi stava ancora sorridendo. La faceva sembrare così giovane, quasi come negli anni in cui lui l’aveva avuta. — Lei ha detto che l’Alleanza ha intercettato dei messaggi Kindred correlati col rapimento?
— Sì. È così che abbiamo saputo cosa stava succedendo. Ma il Servizio Informazioni dell’Alleanza non è in grado di decifrarli.
— Stanno cercando di lavorare su queste intercettazioni?
— Sì. Hanno messo al lavoro alcuni dei loro migliori computer, grossi come case, sulla linea di comunicazione Principalia-Comando Territoriale. Gli occorrerà un milione di anni prima di venire fuori con la chiave giusta… uh. — Xin spalancò gli occhi. — Possiamo farlo senza destare sospetti?
Nau afferrò l’idea nello stesso momento. Si rivolse al database in perenne ascolto. — Data Uno. Come generano i Ragni le chiavi di decifrazione?
Dopo un secondo una voce rispose: — Usano il sistema Pseudo-Casuale modificato con quello che i loro matematici sanno degli algoritmi a disposizione dei Kindred.
Qiwi stava leggendo qualcosa sulle sue lenti a contatto. — Sembra che l’Alleanza stia sperimentando le possibilità del collegamento fra i loro computer. È una perdita di tempo, visto che ne hanno appena una decina. Ma noi possiamo inserirci su questa linea di comunicazione.
— È possibile — disse la Reynolt. — Se poi investigassero per capire com’è successo, passerebbe per una casualità. Ma se lo facciamo per più di una decodificazione sarebbe sospetto e quindi troppo pericoloso per noi.
— Una decifrazione potrà bastare, se sarà quella giusta.
Qiwi guardò Nau. — Può funzionare, Tomas. Del resto noi dobbiamo sperimentare metodi di intervento. Tu sai che i Ragni sono interessati alle attività spaziali. Presto dovremo interagire coi loro metodi per falsificare o asportare dati.
Non aveva torto. Questo poteva essere un buon test per l’efficienza delle testerapide. Era tempo di mostrarsi generoso. Nau sorrise. — Molto bene. Signore e signori, mi avete convinto. Anne, provveda lei a fornire ai Ragni questa chiave di decodificazione.
Non lo applaudirono, ma Nau sentì il loro entusiasmo e un’abbietta gratitudine mentre uscivano dall’ufficio.
Qiwi fece per seguirli, poi si volse e lo baciò sulla bocca. — Grazie, Tomas. — E uscì con gli altri.
Lui si volse all’ultimo di loro. — Li tenga d’occhio, sergente. Temo che le cose saranno più complicate, d’ora in avanti.
Durante la Grande Guerra c’erano stati periodi in cui Hrunkner Unnerbai era stato senza dormire per giorni e giorni, sotto il fuoco nemico. Quell’unica notte era stata peggio. Dio solo sapeva cos’avevano passato il generale e Sherkaner. Una volta sistemate le linee telefoniche Hrunkner aveva trascorso la maggior parte del tempo nell’atrio e nella sala riunioni del servizio, lavorando con la polizia locale e la squadra del colonnello Belga Vilunder per vagliare i rapporti da varie zone della città.
Una volta era uscito per parlare con Underhill. Lo aveva trovato nel laboratorio segnali, giusto in cima alla collina, al lavoro coi suoi computer per analizzare tutto ciò che ricevevano dall’etere e via cavo. Qualunque cosa stesse facendo, per Hrunkner era roba del tutto incomprensibile.
— È matematica, Hrunkner, non ingegneria — gli aveva spiegato lui, indicando gli stampati. — Stiamo cercando di decifrare certe trasmissioni in codice.
Evidentemente si riferiva ai frammenti di messaggi captati nella zona di Principalia dopo il rapimento. — Ma non sappiamo neppure se sono di quei criminali — disse Hrunkner. E se io fossi loro userei una semplice lista di parole in chiaro, tipo “oggi piove” uguale “rientriamo lungo il percorso Uno”, non un sistema cifrato e perciò anche decifrabile.
Jaiber Comesichiama scrollò le spalle e continuò il suo lavoro. Sherkaner non disse altro ma sembrava sconfortato. Questo era il meglio che potesse fare.
Così Unnerbai tornò al posto di comando, dove almeno c’era un’illusione di progressi.
Victreia Smait rientrò un’ora dopo il tramonto. Esaminò in fretta i rapporti negativi, con aria molto innervosita. — Ho lasciato Belga giù in città, con la polizia. Dannazione, la sua radio non è migliore dei loro telefoni.
Unnerbai si spruzzò sugli occhi un detergente che non sostituiva una buona nottata di sonno. — Neppure al colonnello Vilunder piace il suo complicato equipaggiamento. — In un’altra epoca Belga Vilunder sarebbe stata efficiente, in questa… be’, lei non era la sola a detestare le meravigliose complicazioni della vita moderna.
Victreia Smait sedette accanto al suo vecchio sergente. — Però ha tolto il grosso del lavoro dalla nostra schiena. Rachner ha fatto sapere qualcosa?
–È giù, al servizio di sicurezza dell’Alleanza. — In effetti il giovane maggiore non legava molto con lui.
— Lui è molto sicuro che si tratta di una manovra politica dei Kindred. Io non lo so. Ci sono immischiati, ma… lo sapevi che il direttore del museo è un tradizionalista? E l’artropode che lavorava nel magazzino del museo è scomparso. Belga ha scoperto che è un tradizionalista anche lui. In città il loro gruppo di attivisti è numeroso e ben organizzato. Io credo che alcuni di costoro abbiano aperto la strada ai Kindred. — La sua voce era pacata, serena. Molto tempo più tardi Hrunkner avrebbe ricordato che invece il corpo di lei era teso come una molla d’acciaio.
Per sua sfortuna in quel momento Hrunkner era distratto. Per tutta la notte aveva vagliato rapporti, alzandosi solo per guardare fuori nel buio. Per tutta la notte aveva agognato le fredde profondità della terra, pregando per la piccola Viki, per Gokna, Brent e Jirlib. Con voce triste disse, quasi a se stesso: — Io li ho visti crescere e diventare ragnetti veri, ragnetti che chiunque poteva amare. È facile credere che abbiano l’anima anche loro.
— Che vuoi dire? — La rigidità della voce del generale non penetrò nella stanchezza di Hrunkner. In seguito avrebbe avuto anni per ripensare a quella conversazione, per immaginare i modi in cui avrebbe potuto evitare il disastro. Ma la mancanza di sonno lo stordiva, così mormorò: — Non è colpa loro se sono nati fuori-fase.
— Non è colpa loro se i miei malsani ideali modernisti li hanno uccisi? — La voce di Victreia Smait era un sibilo rovente. Stavolta Unnerbai se ne accorse, nonostante la stanchezza. Il generale stava tremando.
— No, io… — Ma era già irrevocabilmente troppo tardi.
Victreia Smait balzò in piedi. Alzò un lungo braccio e lo percosse sulla testa, come uno staffile. — Vattene via da qui!
Unnerbai vacillò indietro. La sua visione sul lato destro era una rossa nebbia agonizzante. Gli ufficiali e i graduati della sala s’erano voltati, sorpresi e sbalorditi.
Il generale avanzò verso di lui. — Tradizionalista! Traditore! — Le sue mani scattavano come se volessero colpirlo ancora. — Per anni hai finto di essere un amico, ma ci disprezzavi e odiavi quel che stavamo facendo. Ora basta. — Si fermò e ripiegò le braccia sui fianchi. Hrunkner vide che ora controllava la rabbia, vide che era fredda e razionale… e questo gli fece più male del colpo ricevuto sull’occhio. — Prendi la tua morale stantia e vattene. Subito.
L’atteggiamento di lei era quello che Hrunkner aveva visto due o tre volte, durante la Grande Guerra, quando s’erano trovati con le spalle al muro ma lei non aveva ceduto. Cercare di spiegarsi sarebbe stato inutile. Unnerbai chinò il capo, tentato di mormorare: Mi dispiace. Non volevo fare del male. Io voglio bene ai tuoi figli. Ma li aveva accusati di non avere un’anima, e sapeva che lei non lo avrebbe ascoltato.
Si volse, passò davanti ai membri dello staff perplessi e ammutoliti, e uscì dalla porta.
Quando Rachner Thract seppe che Victreia Smait era rientrata si affrettò a raggiungerla al posto di comando. Nell’atrio incrociò Hrunkner Unnerbai. L’ex sergente aveva perso le sue arie da vecchio trombone; si dirigeva all’uscita con andatura stanca, e su un lato della testa aveva un lungo segno bianco.
Rachner lo salutò educatamente: — Tutto bene? — ma Unnerbai passò oltre ignorandolo come un osprech sordo avrebbe ignorato un contadino. Per un momento lui fu tentato di fermare il vecchio artropode, poi ricordò che aveva da fare e proseguì in fretta.
— Sembra che il rapimento sia uno dei sintomi che la fazione chiamata Misure Estreme ha ormai il controllo dei Kindred — riferì Rachner al generale. — Ieri almeno cinque della fazione moderata dei Profondi sono stati fucilati, compresi Klingtram e Sangst, e purtroppo anche Droobi. Quelli rimasti al potere sono elementi attratti dal rischio.
— Capisco — disse il generale Smait. — Tuttavia siamo ancora lontani dal momento politico in cui una guerra porterebbe loro qualche beneficio.
— È vero, signora. La strategia dei Kindred sembra quella di destabilizzare il mondo civile il più possibile prima della Tenebra, per poi attaccare chiunque resterà sveglio. Signora… alcuni agenti Tiefer ci confermano che Pedure è a capo delle operazioni esterne dei Kindred. Noi credevamo erroneamente che fosse una semplice simpatizzante, ma a questo punto dobbiamo presumere che sia collegata ai rapitori, o addirittura abbia organizzato lei stessa l’operazione. È molto probabile che si voglia colpire suo marito, poiché Sherkaner Underhill è stato l’autore dei successi strategici dell’Alleanza…
Il generale tamburellava sul tavolo con una mano. — Sì… continui, maggiore, la prego.
— Ciò che pensano i miei analisti — disse Rachner, — è che Pedure non abbia visto alcun inconveniente nel rapire i vostri figli, ma diversi vantaggi. Nel caso per lei più favorevole può portarli in un luogo sicuro e usarli con comodo per fare pressione su di lei e suo marito… diciamo per anni. È ragionevole che presuma che con questo ricatto voi non riuscireste a lavorare come in passato.
Victreia Smait agitò un braccio. — Se ce li rimandasse a pezzi, a intervalli studiati… — La sua voce non riuscì a fingersi calma. — Credo che lei abbia ragione sulla Pedure. Sappiamo che si è informata a lungo su me e mio marito. Va bene. Voglio che lei e Belga Vilunder…
Uno dei telefoni sulla scrivania tintinnò. Era una linea interna. Il generale allungò un paio di braccia e sollevò il cono. — Qui Smait.
Ascoltò per qualche momento, poi le sue mani nutritive si aprirono di scatto. — Loro cosa? Ma… Sì, Sherkaner, ti credo. Sì, Jaiber ha fatto bene a passarlo a Belga.
Riappese il ricevitore e si volse a Thract. — Sherkaner ha trovato la chiave del codice. Ha decifrato le trasmissioni captate questa notte. Non ne è sicuro, ma è probabile che i nostri ragnetti siano prigionieri qui in città, sulla cima della Torre Piazza. — Balzò giù dal trespolo e fece segno al capo del suo staff. — Chiamate il colonnello Vilunder. Andiamo in centro.
Shynkrette andava avanti e indietro nel suo “posto di comando”. Stava ancora riflettendo sui capricci della fortuna. Quella missione era stata programmata come una lunga serie di appostamenti, per non meno di cento giorni, e invece loro avevano colpito il bersaglio neppure dieci giorni dopo l’inizio. L’intera operazione era stata un alternarsi di colpi di fortuna e dannati inconvenienti.
E adesso a che punto erano? Le promozioni andavano a chi riportava un successo concreto, e al momento non si poteva ancora parlare di successo, visto che erano inchiodati lì. Ma lei era sopravvissuta a momenti più difficili. Che Berkir e Fremm fossero rimasti schiacciati sotto quella scaffalatura era colpa della scalogna e della disattenzione. L’errore peggiore era aver lasciato vivi due testimoni… o almeno, il peggiore che poteva essere addebitato a lei. D’altra parte loro avevano sei giovani, e almeno quattro di essi erano figli di Underhill. L’allontanamento dal museo era andato liscio, ma il loro contatto all’aeroporto aveva segnalato l’arrivo di veicoli sospetti. La polizia dell’Alleanza era stata troppo veloce, e probabilmente per colpa dei due testimoni rimasti vivi.
Quei locali progettati come uffici occupavano l’intero perimetro esterno della Torre Piazza, alta venticinque piani. Da lì si aveva un’ottima vista delle attività cittadine, salvo che direttamente verso il basso. In un certo senso erano prigionieri lì (chi s’era mai nascosto salendo verso il cielo?). In un altro… Shynkrette si fermò accanto al sergente della sua squadra. — Dennei, cosa dice Trivelle?
Il sergente si tolse la cuffia telefonica dalla testa. — Nell’atrio a pianterreno c’è la solita attività. Ha accolto poco fa alcuni clienti, un vecchio artropode e altri dell’ultima generazione. Desiderano affittare dei locali a uso ufficio.
— Va bene. Digli di portarli al terzo piano. Se vogliono vedere qualcos’altro, che trovi una scusa per farli tornare domani. — E l’indomani, Profondità permettendo, Shynkrette e la sua squadra non sarebbero più stati lì. Avrebbero già lasciato la città se non fosse stato per la tempesta di quella notte. Il Reparto Operazioni Speciali dei Kindred poteva fare delle cose, con gli elicotteri, che l’Alleanza non si sognava neppure… E poi, se la fortuna continuava a essere dalla loro parte, in un altro paio di giorni lei e la squadra sarebbero rientrati in patria con le loro prede. Il libro di dottrina Kindred era molto permissivo circa la tortura e la decapitazione degli infedeli. Dopo questa operazione, l’Onorevole Pedure ne avrebbe scritto un nuovo capitolo. Certo avrebbe saputo come utilizzare quei sei giovani, magari un pezzo alla volta.
La mente di Shynkrette accantonò quel pensiero. Lei faceva parte del circolo interno di Pedure fin dalla Grande Guerra, ma preferiva fare il lavoro dell’Onorevole sul campo che aiutarla nelle sale di tortura dei Kindred. In quelle sale si finiva per non capire più cosa fossero la verità e il peccato, e morire era una faccenda sporca.
Shynkrette si spostò da una stanza all’altra, esaminando le strade attraverso le lenti di un ingranditore. Ma… uh, dannazione, c’era un convoglio di mezzi della polizia diretto da quella parte. I loro fari gialli erano inconfondibili. Quelli erano furgoni muniti di armi pesanti, noti per la loro capacità di terrorizzare i criminali costringendoli a una resa immediata. Quei fari gialli (e le sirene, che certo fra poco avrebbero cominciato a suonare) erano l’inizio di un’intimidazione. Ma con loro la polizia stava facendo un brutto sbaglio. Shynkrette si gettò il fucile sulla schiena e corse via nel corridoio centrale.
— Sergente! Porta la squadra di sopra. Immediatamente!
Dennei la guardò con stupore. — Trivelle dice di aver sentito delle sirene, ma si stavano allontanando da qui.
Una coincidenza? Forse la polizia aveva individuato qualcosa di sospetto da un’altra parte. Shynkrette restò qualche momento indecisa. Dennei alzò una mano e continuò: — Ma dice anche che tre impiegati hanno lasciato le sale di vendita, forse per andare in bagno.
Questo non le diceva molto. Shynkrette accennò al sergente di alzarsi. — Chiedi a Trivelle di lasciarli perdere e di salire. Digli che siamo in Allarme Cinque. — C’era sempre un piano alternativo, o così si diceva per fare una truce battuta di spirito, alle Operazioni Speciali. Erano ancora in tempo per prendere delle contromisure. Ad esempio, sarebbe stato facile uscire dall’edificio e confondersi fra la folla dei passanti. Nel caso peggiore non si dovevano lasciare prove del coinvolgimento dei Kindred. Ma se lei avesse calcolato bene le sue mosse poteva ancora esserci un successo parziale.
Mentre correvano su per le scale, Dennei estrasse il fucile e un coltello da combattimento. Il successo in una situazione di Allarme Cinque comprendeva la necessità di perdere qualche minuto per eliminare gli ostaggi, facendoli a pezzi in modo molto sanguinoso. Evidentemente Pedure pensava che questo avrebbe terrorizzato a morte qualche alto personaggio dell’Alleanza. A Shynkrette sembrava una cosa stupida, ma lei ammetteva di non conoscere tutti i fatti. Poco importava. Alla fine della guerra lei aveva partecipato al massacro di oltre centomila persone ibernate in una profondità. Niente poteva essere più disgustoso di una cosa del genere, anche se i beni rubati laggiù avevano finanziato la rinascita dei Kindred.
All’inferno, probabilmente lei stava facendo un favore a quei giovani: così avrebbero evitato di far conoscenza con la Onorevole Pedure.
Per tutta la mattina Brent era rimasto disteso sul pavimento. Sembrava ancora più scoraggiato di Viki e Gokna. Jirlib almeno poteva distrarsi facendo giocare i due piccoli. Erano entrambi di pessimo umore e continuavano a chiamare il loro padre; non volevano avere niente a che fare con le femmine più grandi. L’ultima volta che i loro carcerieri avevano portato loro qualcosa da mangiare era stato il pomeriggio precedente.
Un raggio di sole scendeva obliquamente dalla grata, illuminando le rozze pareti metalliche di quella prigione. Era quasi mezzodì quando Brent alzò una mano. — Sento delle sirene — disse, dopo oltre un’ora che non apriva bocca. — Appoggiate il venire al suolo e ascoltate.
Gokna e Viki si sdraiarono, Jirlib azzittì i piccoli per quanto era possibile.
— Sì, sento.
— Queste sono sirene della polizia, Viki. Senti il thump thump?
Gokna si alzò in piedi e corse alla porta. Viki, stesa sul pavimento, si girò verso di lei. — Stai ferma, Gokna!
Ora anche i piccoli tacevano. C’erano altri rumori: il ronzio dei ventilatori da qualche parte nell’edificio, i vaghi rumori del traffico esterno… ma anche lo scalpiccio di molti piedi in corsa, su per le scale.
— Si avvicinano — disse Brent.
— Loro… loro vengono a prenderci.
— Sì. — Brent fece una delle sue solite pause ottuse. — Sento anche altri che arrivano, più silenziosi o più in basso dei primi.
Poco importava. Viki corse alla porta e si arrampicò accanto a Gokna. Quel che si proponevano di fare era pietosamente inetto, ma non avevano altra scelta. Prima Jirlib aveva detto che lui era più grosso, e che poteva ottenere di più gettandosi dall’alto. Vero, ma se quelli avessero sparato lui era il solo che poteva tenere i piccoli lontani e al riparo col suo corpo. Così Gokna e Viki si inerpicarono fino a tre braccia dal suolo sulle sporgenze, ai due lati della porta.
Brent si alzò e corse ad appiattirsi accanto al battente, dove questo lo avrebbe parzialmente nascosto nell’aprirsi all’interno. Jirlib restò dov’era, coi piccoli fra le braccia, senza più cercare di calmarli, Ma all’improvviso i due tacevano. Forse avevano capito. Forse era una cosa istintiva.
Viki sentì dei passi oltre la parete. Due persone. Una disse qualche parola in tono secco, e lei riconobbe la voce della caposquadra dei rapitori. La chiave girò nella serratura. Jirlib fece spostare i due piccoli dietro di sé. Viki e Gokna stavano usando la corda di Brent per reggersi alle sporgenze metalliche, ma erano in posizione precaria. Le due sorelle si scambiarono uno sguardo. Per colpa loro i figlioletti di una coppia innocente stavano rischiando la vita. Adesso loro dovevano fare il possibile per difenderli.
La porta si aprì con un cigolio metallico. — Per favore, non fatemi del male — disse Brent, dietro il battente. Il suo tono era poco espressivo come sempre, e inoltre Brent non avrebbe supplicato né Dio né il Diavolo di salvargli l’anima. Ma per qualche motivo quelle parole parvero inzuppate d’abbietto spavento.
— Nessuno vuole farvi del male. Sarete trasferiti in un altro posto, e vi daremo del cibo. State tranquilli. — La voce della caposquadra aveva un tono ragionevole e rassicurante, ma quando entrò aveva il fucile spianato.
Gokna e Viki si tuffarono su di lei con tutta la violenza possibile. Il fucile della caposquadra si girò dalla parte del battente, in cerca di Brent. Per un momento Viki vide qualcuno più indietro, un maschio armato di un grosso fucile, poi lei e Gokna si abbatterono sulla schiena dell’aracnide e il loro peso la schiacciò al suolo, facendole sfuggire l’arma dalle mani. Ma l’altro si gettò avanti. Ci fu uno sparo assordante e Gokna ne fu colpita in pieno; pezzi di chitina e schizzi di sangue imbrattarono la parete opposta del locale.
Poi Brent gli fu addosso.
La femmina che Viki aveva fatto cadere la spinse via, mandandola a sbattere la testa contro lo stipite della porta. Tutto diventò grigio e confuso dopo quel momento. Poi intorno a lei risuonarono altre grida, altri rumori, altri spari.
Viki non era stata ferita, a parte una piccola emorragia interna che i medici poterono controllare facilmente. Jirlib aveva riportato numerose ammaccature nella chitina e tre braccia slogate. Il povero Brent era ridotto peggio.
Quando quel giovane maggiore di nome Thract ebbe finito di fare domande, Viki e Jirlib ebbero il permesso di visitare Brent in infermeria. Papà era già lì, appollaiato su un trespolo accanto al letto. Erano a casa da ormai tre ore, ma Papà appariva ancora stordito. Brent era disteso su una spessa imbottitura, con un sifone d’acqua a portata delle mani nutritive. Le mosse in un debole sorriso nel vederli entrare. — Ora sto meglio. Non ho niente. — Solo due gambe rotte e un paio di fori di pallottole.
Jirlib gli diede una pacca sulle spalle.
— Dov’è mamma? — domandò Viki.
Papà aveva la voce rauca. — È di sopra. La vedrai più tardi. Cerca di capire, sono successe troppe cose. Tu sai che a fare questo non sono stati solo dei criminali o dei balordi, vero?
Viki annuì. Non un solo criminale era sopravvissuto alla sparatoria. Thract aveva detto che uno si era suicidato per non essere catturato vivo. — Erano Kindred. Oh, Papà… d’ora in avanti niente sarà più lo stesso, per noi!
Papà parve ripiegarsi su se stesso. — Figli miei, mi dispiace. Non avrei mai voluto che vi accadesse qualcosa di male. Da oggi in poi dovremo pensare a…
— Ma ora Gokna è morta! — All’improvviso la sua armatura di calma forzata si squarciò, e Viki pianse. Sibilando disperatamente corse fuori e salì per le scale, ignorando quelli che allungavano una mano o dicevano qualcosa per consolarla.
Quando fu in camera sua sbatté la porta. Per qualche istante rimase lì, stordita da quella corsa. Poi si guardò attorno, i segni della presenza di Gokna erano dappertutto, ed erano segni di una presenza viva. Ma lei non c’era più. Non avrebbero più parlato, più giocato, neppure più litigato. Per un momento fu sul punto di voltarsi e fuggire da quella stanza. Era come se un buco mostruoso si fosse aperto nel suo corpo, strappandole via metà delle braccia e delle gambe. Non c’era posto dove quell’angoscia non l’avrebbe seguita. Viki si gettò su una stuoia e restò lì a lungo, scossa da tremiti.
Più tardi, nel pomeriggio, una mano grattò alla porta. — Victreia, possiamo parlare un momento? — Mamma.
Un po’ sollevata Viki andò ad aprire e poi si fece indietro, a testa china. — Credevo che tu fossi molto occupata, stasera. — Notò che indossava l’uniforme nera, con le mostrine ultraviolette e rosse. Non aveva mai visto il generale in uniforme lì a Principalia, anche a Comando Territoriale si vestiva così solo in occasione dei colloqui coi suoi superiori.
Sua madre entrò nella stanza. — Abbiamo fatto dei gravi sbagli — disse. — Ormai non possiamo più riportare indietro Gokna. Ma possiamo ricordarla, e amare il suo ricordo, e fare in modo che una cosa tanto terribile non accada mai più.
— Sì, Mamma.
— Tuo padre… noi abbiamo voluto tenervi fuori da certi problemi, come quelli politici, almeno finché foste stati più grandi. Oggi mi accorgo che lasciandovi nell’ignoranza vi abbiamo esposto a un grave rischio.
— Non è colpa vostra, Mamma. Io… farò quello che sarà necessario. Basta che tu me lo dica.
— I cambiamenti nella vostra vita non saranno poi così grandi. Vi farò dare un’istruzione militare, e anche un po’ di addestramento fisico. Ma tu e i tuoi fratelli più giovani avete ancora molto da studiare sui libri. I veri cambiamenti dovranno avvenire dentro la vostra testa, e nel nostro modo di trattarvi. Nel mondo d’oggi ci sono dei rischi nuovi e mortali, che voi dovrete capire. Io spero che non ci saranno più momenti drammatici come stamattina per voi, ma alla lunga i pericoli che dovrete affrontare saranno ancora maggiori. Mi dispiace, ma non ci sono mai stati tempi pericolosi come questi.
Viki cercò di restituirle un sorriso. — L’importante è che la nostra famiglia sia unita.
Il generale annuì. — Lo è, non dubitarne. Ora ci sono soltanto cinque di voi, Viki. Sette, con me e tuo padre. Siamo una squadra, e tu lo hai capito. Ciò che ancora non sai è come ci comportiamo col resto del mondo. Lascia che ti dica la mia fredda opinione professionale su una cosa: voi siete migliori degli altri, e potete migliorare ancora. Io volevo posporre ancora per qualche anno certi argomenti importanti e delicati, ma le cose sono cambiate in fretta. Se verranno presto i tempi che temo, voglio che voi cinque sappiate cosa sta succedendo. Voglio che voi siate in grado di reagire nel modo giusto anche se tutti gli altri non sapranno dove sbattere la testa.
Victreia Seconda era grande abbastanza per conoscere il significato dei giuramenti militari e della catena di comando. — Tutti gli altri? Io… — Indicò le mostrine dei gradi sull’uniforme di sua madre.
— Sì. Io ho giurato fedeltà per la vita alla Corona. Ma sto dicendo che possono venire tempi in cui… in breve, servire la Corona vuol dire agire anche fuori dalla catena di comando. — Sorrise nel vedere la perplessità di lei. — Alcune delle cose che si leggono sui romanzi sono vere, Viki. Il capo del Servizio Informazioni dell’Alleanza ha un’autorità particolare… ma ho già tralasciato i miei impegni troppo a lungo. Ho una riunione. Presto tu e io ne riparleremo.
Quando il generale fu uscita, Viki camminò avanti e indietro nella sua stanzetta. Era ancora stordita dal dolore, ma cominciava a uscire dall’incubo. C’era ancora il futuro, e la speranza. Lei e Gokna avevano giocato allo spionaggio, qualche volta.
Ma mamma non parlava mai del suo lavoro. I progetti di costruzioni, come quelli di cui si occupava Hrunkner Unnerbai, le erano sempre sembrati più reali. Ora…
Per un poco Viki giocò con la casa delle bambole di Gokna. Lei e sua sorella non avevano mai parlato di politica; erano cose per adulti. Quel giorno la squadra di Mamma aveva subito la prima perdita. Ma ora tutti sapevano che era una squadra. Jirlib e Brent, Rhapsa, il piccolo Hrunkner, Victreia Smait e Sherkaner. Avrebbero imparato ad agire insieme. E alla fine, questo sarà sufficiente.
Per Ezr Vinh gli anni passavano in fretta, e non solo perché il suo Turno lo lasciava in sonno freddo per tre quarti del tempo reale. Dal giorno dell’attacco degli Emergenti era già trascorso un terzo degli anni della sua vita soggettiva. Erano gli anni che lui s’era ripromesso di pazientare, senza mai cedere alla tentazione di cercare di distruggere Tomas Nau e salvare il salvabile. Erano gli anni che lui aveva immaginato pieni di tormento e di dolore.
Sì, aveva giocato il suo gioco con snervante pazienza. E di dolore ce n’era stato fin troppo… oltre alla vergogna. Tuttavia in quegli ultimi tempi la sua paura era rimasta lontana, in disparte. Solo il sapere che stava lavorando per Pham Nuwen gli dava la sicurezza che alla fine loro avrebbero vinto. Ma la sorpresa maggiore gli era venuta da una consapevolezza che ogni tanto metteva fuori la testa, lasciandolo a disagio: quegli anni erano più soddisfacenti di ogni altro periodo della sua vita. Per quale motivo?
Il caponave Nau faceva un uso assai parco delle attrezzature mediche rimaste, e manteneva “in funzione” le testerapide più importanti come i traduttori per Turni più lunghi. Trixia aveva ormai superato da un pezzo i quarant’anni. Ezr la vedeva quasi ogni giorno quando era di Turno, e i cambiamenti del volto di lei lo angosciavano.
Ma c’erano anche altri cambiamenti in Trixia, e lo inducevano a credere che la sua presenza continua e il trascorrere degli anni la stessero in qualche modo riportando a lui.
Quando arrivava puntuale al cubicolo di Trixia, ad Hammerfest, la donna lo ignorava. Ma un giorno era giunto un centinaio di secondi dopo, e aprendo l’aveva trovata seduta e rivolta alla porta. — Sei in ritardo — gli aveva detto. Il suo tono era quello stesso fra piatto e impaziente che usava la Reynolt. I focalizzati erano notoriamente pignoli sugli orari. A ogni modo, s’era detto lui, Trixia aveva notato la sua assenza.
E lui aveva notato che Trixia cominciava a occuparsi della sua pulizia personale. I suoi capelli erano pettinati all’indietro e quasi puliti allorché lui si presentava nella stanzetta. Talvolta la loro conversazione non era un monologo da parte di Ezr… a patto che lui scegliesse con cura gli argomenti.
Quel giorno Ezr entrò nel cubicolo con un piccolo regalo: due paste, acquistate al bar di Benny. — Sono per te — disse, e le avvicinò il vassoio adesivo. L’aroma riempì il piccolo locale. Trixia guardò le paste per un breve momento, poi gli accennò di scostarle con un gesto seccato. — Dovevi portarmi le richieste di traduzioni di Nau.
Ahimè. A ogni modo Ezr lasciò il vassoio sul tavolino. — Le ho portate. — Tirò fuori il foglio e sedette al suo solito posto, quasi di fronte a lei. Quel giorno la lista era brevissima. Il Focus poteva fare miracoli, ma senza la direzione dei non-focalizzati gli specialisti dei diversi gruppi tendevano a immergersi in particolari importanti solo per loro. Ezr e altri leggevano questi resoconti e cercavano di stabilire se per puro caso le testerapide si fossero imbattute in qualcosa di veramente valido. In tal caso facevano rapporto a Nau, che decideva se valesse la pena di approfondire l’argomento.
Quel giorno Trixia non ci mise molto a esaudire le richieste, benché alcune la inducessero a borbottare che era una perdita di tempo.
— Sai, ho parlato con Rita Liao. I suoi programmatori sono entusiasti del materiale che hai fornito. Stanno progettando modelli di applicazioni finanziarie e di software di rete che dovrebbero andare a meraviglia coi nuovi microprocessori dei Ragni.
Trixia annuì. — Sì, sì. Parlo con loro tutti i giorni.
— Rita vuole organizzare una società, sul pianeta, per vendere i nostri programmi. Batterà tutta la produzione locale, e satureremo il mercato.
— Sì, ho già pensato al nome. Corporazione Software Prosperità. Ma è ancora troppo presto.
Ezr chiacchierò ancora con lei, per avere qualche dato sulla società dei Ragni da passare a Rita Liao. Sarebbero occorsi almeno cinque anni prima che sul pianeta si creasse un vero mercato del software, e di più per lo sviluppo delle prime reti informatiche. Fino ad allora sarebbe stato impossibile interferire a fondo con la loro economia. Per il momento ogni manipolazione era limitata alle reti di comunicazione dei militari dell’Alleanza.
L’ultimo argomento della lista sembrava una cosa dappoco, ma per lunga esperienza Ezr sapeva che non sarebbe stato così. — Ora ci sarebbe un particolare delle tue traduzioni, Trixia… riguarda il colore che tu chiami “piatto”. Ho notato che lo usi durante la descrizione di scene osservate dai Ragni. Il fisiologo…
— Kakto. — Trixia strinse le palpebre. Quando le testerapide interagivano c’era una sorta di comprensione empatica fra loro… o al contrario un’antipatia viscerale che scatenava reazioni ostili addirittura ridicole. Fra Kakto e Trixia si stava sviluppando qualcosa del genere.
— Sì. Mmh. A ogni modo, Kakto mi ha tenuto una conferenza sullo spettro elettromagnetico, e mi ha assicurato che il colore “piatto” non corrisponde a niente di significativo.
Quando Trixia si accigliava sembrava più anziana di quanto a Ezr piacesse vedere. — È una parola reale. L’ho scelta io. Il contesto in cui la si usa… — Il suo cipiglio si accentuò. Assai spesso quello che sembrava un errore di traduzione si rivelava essere un aspetto finallora insospettato della realtà dei Ragni. Ma anche i migliori traduttori focalizzati come Trixia potevano sbagliare. Nelle prime traduzioni la fretta di trovare soluzioni aveva portato a scelte di parole troppo facili, che in seguito avevano dovuto essere abbandonate.
Il problema era che le testerapide non la prendevano bene quand’erano costretti ad abbandonare le loro fissazioni.
Trixia stava cominciando ad agitarsi. I sintomi non erano ancora estremi. Si accigliava spesso, anche se non così cupamente. Le sue mani continuavano a muoversi sulla doppia tastiera davanti a lei, ma stavolta le analisi apparivano anche sulla tappezzeria-video oltre che sul trasparente davanti al suo viso o sulle lenti a contatto. Il suo respiro si accelerava mentre ruminava su quella critica e si consultava in rete con altri. Non riusciva ancora a trovare alcuna spiegazione valida per la sua scelta.
Ezr le toccò una spalla. — Non preoccuparti, Trixia. Ho parlato con Kakto di questo colore “piatto”. È probabile che i Ragni abbiano un sovrappiù di percezione visiva rispetto a noi, e che il loro encefalo abbia accessi neurali multipli… sai, una frazione di secondo in una parte dello spettro, una frazione di secondo in un’altra parte. In tal caso otterrebbero un effetto di sovrapposizione, come se tu vedessi chiaro con un occhio e scuro con un altro. Il risultato sarebbe una via di mezzo grigia.
In effetto Kakto aveva scartato l’idea come assurda, affermando che qualunque ampiezza avessero le percezioni dei Ragni lo spettro elettromagnetico restava immutabile, e così anche il numero e le sfumature dei colori.
Mentre lui spiegava, Trixia s’irrigidiva sempre più; soltanto le sue dita continuavano a muoversi. A un tratto lei fermò lo sguardo per un intero secondo negli occhi di Ezr. Poi lo spostò di nuovo su un display, mentre mormorava comandi al suo input vocale e accelerava i movimenti sulla tastiera. Poi, all’improvviso: — Sì! Questa è la spiegazione. Non ci avevo mai pensato prima, era solo il contesto a farmi scegliere quella parola, ma… — Elenchi di dati scorrevano sulle pareti. Ezr cercò di tener dietro a ciò che vedeva lei ma il suo interfaccia non aveva accesso alla rete di Hammerfest. Dipendeva dai rari gesti di Trixia per vedere gli elementi ai quali lei si riferiva.
Ezr si accorse di sorridere. In quel momento Trixia era quasi vicina alla normalità, per quanto poteva esserlo, benché nella sua aria trionfante ci fosse qualcosa di frenetico. — Guarda. Salvo che in un caso dov’era presente molto dolore, ogni uso di “piatto” avviene in condizioni di poca nebbia, poca umidità, e un ampio raggio visivo molto illuminato. In questa situazione l’intera gamma dei colori… il vetmoot3… — Qui usava un gergo interno, che solo gli altri traduttori potevano capire — L’umore del linguaggio è cambiato. Io avevo bisogno di una parola particolare, e “piatto” andava bene.
Ezr ascoltò e osservò. Poteva quasi vedere le intuizioni collegarsi nella mente di Trixia. mettendo la base per future traduzioni di qualità migliore. I pignoli non avrebbero potuto lamentarsi del colore “piatto”.
Nel complesso fu una buona seduta. E al termine Trixia fece una cosa che lo sorprese e lo deliziò. Senza smettere di parlare allungò una mano e prese una pasta. Tolse l’involucro aderente al vassoio e ne annusò l’aroma, come se sapesse bene quale piacere si provava nel mangiare quelle piccole delicatezze. Poi si ficcò la pasta in bocca, tutta quanta, facendosi colare sui mento lo zucchero candito e la crema. Per un momento Ezr pensò che si sarebbe strozzata, ma lei masticò, inghiottì, e alla fine sospirò con un sorriso soddisfatto. Era la prima volta in tutti quegli anni che Ezr la vedeva felice per qualcosa che non riguardasse il Focus.
Anche le sue mani avevano smesso di muoversi, per una decina di secondi. Poi disse: — Bene. Che altro c’è?
Occorse qualche istante perché la domanda penetrasse nello stupore di Ezr. — Ah, uh… — Sulla sua lista non c’erano più argomenti. Ma che gioia! Le paste avevano fatto il miracolo. — S-solo un’altra cosa. Trixia. Una cosa che tu devi sapere. — Una cosa che forse sei finalmente in grado di capire. — Tu non sei una macchina. Sei un essere umano.
Ma quelle parole non ebbero alcun effetto. Forse lei non le udì neppure. Le sue dita avevano ripreso a battere tasti, e il suo sguardo era perduto su qualcosa che lui non poteva vedere. Ezr attese per un poco, ma quel suo mutamento nel livello di attenzione sembrava svanito. Con un sospiro si mosse verso la porta della stanzetta.
Fu allora, una ventina di secondi dopo le sue parole, che Trixia girò la testa. Sul volto di lei c’era di nuovo un’espressione, e stavolta si trattava di sorpresa. — Sul serio? Io non sono una macchina?
— Non sei una macchina. Tu sei una persona vera.
— Oh. — Di nuovo disinteresse. Lei tornò alle finestre colme di dati, mugolando cose incomprensibili ai suoi colleghi testerapide. Ezr prese il vassoio e scivolò fuori in silenzio. Anni addietro era stato ferito, addoloralo, da quei bruschi addii. Ma… per le testerapide quella era la normalità. Una normalità che tuttavia lui aveva infranto per qualche istante. Fluttuò via lungo i corridoi a sezione circolare. Di solito quegli stretti budelli in cui si passava a stento gli davano ai nervi. Ogni due metri la porta di un’altra cella, a destra, a sinistra, in alto, in basso. Nessuno aveva mai attacchi di claustrofobia, lì dentro? E se ci fosse stato bisogno di evacuare l’habitat in fretta? Ma quel giorno… d’un tratto senti un eco, e si accorse che stava fischiettando.
Anne Reynolt lo intercettò mentre usciva nel pozzo centrale di Hammerfest. Indicò il vassoio a cui aderiva la pasta rimasta. — Questa la prendo io.
Al diavolo. Ezr aveva pensato di metterla in frigo per portarla a Trixia l’indomani. Diede il vassoio alla bionda. — È andato tutto bene. Lo leggerà nel mio rapporto.
— Credo che lei possa venire a farmi rapporto subito, nel mio ufficio. — La Reynolt indicò verso il fondo del pozzo, afferrò un corrimano e si spinse avanti, girata a testa in giù. Ezr la seguì. La luce di OnOff scintillava attraverso pannelli di diamante. Poi intorno a loro ci fu la massa di Diamante Uno e la luce artificiale. Sui bassorilievi scolpiti nel cristallo c’erano tracce di sporco, dove la gente appoggiava le mani più spesso. Ormai non restavano più abbastanza testerapide per i semplici lavori di manutenzione, Sul fondo svoltarono e scesero ancora, fra corridoi e uffici ormai ben noti a Ezr. La clinica del Focus. Lì c’era stato una sola volta. Era sempre sorvegliata, ben monitorata, ma non proibita a tutti. Pham ci andava regolarmente. Grande amico di Trud Silipan. Ma a Ezr non piaceva. Era il posto dove rubavano l’anima.
L’ufficio della Reynolt era in fondo al corridoio, oltre una semplice porta. La “Direttrice delle Risorse Umane” sedette dietro la scrivania e aprì la confezione della pasta. — Appetitoso. Ma lo zucchero candito e la crema non sono nella lista dei cibi permessi, signor Vinh. Devo notare che lei non desiste dai suoi tentativi di risvegliare l’amore della dottoressa Bonsol.
— L’amore per me o quello per i dolciumi?
La Reynolt gli elargì un sorrisetto. Il suo sarcasmo sarebbe stato sprecato con una qualsiasi testarapida, ma non con lei, che almeno lo capiva e forse perfino lo apprezzava. Però non le faceva alcun effetto. — Magari con l’odore… è così? Immagino che lei abbia rovistato nei testi di neurologia Qeng Ho, e trovato che le vie olfattive possono dare accesso ai centri di coscienza superiori. Mmh? — Per un istante lo sguardo di lei lo esaminò come un insetto su un vetrino di microscopio.
Questo è esattamente ciò che ho letto. E la crema era una cosa che Trixia non aveva mai assaggiato da quando l’avevano focalizzata. Per un attimo i muri intorno alla coscienza di lei s’erano assottigliati come un velo. Per un attimo Ezr l’aveva quasi toccata.
Scrollò le spalle. La Reynolt era molto acuta. Se si fosse data la pena di farlo, avrebbe potuto leggergli fino in fondo ai pensieri. Forse poteva leggere anche in quelli di Pham Nuwen. Se Brughel avesse un annusatore bravo quanto lei, io e Pham saremmo morti da un pezzo.
Anne Reynolt distolse lo sguardo, e per un po’ guardò solo quel che era proiettato sulle sue lenti a contatto. Poi disse: — Il suo sciocco tentativo di oggi non ha causato inconvenienti. In un certo senso il Focus è uno stato molto stabile. Lei può credere di vedere dei cambiamenti nella dottoressa Bonsol, ma rifletta: negli ultimi anni tutti i migliori traduttori hanno imparato a esibire emozioni sintetiche. Se questo comincia a danneggiarli, non abbiamo che da portarli giù in clinica e sintonizzarli di nuovo… A ogni modo, se lei insisterà nel manipolare la dottoressa Bonsol, le sarà proibito di frequentarla.
Era una minaccia più che sufficiente per piegarlo, ma Ezr cercò di ridere. — Cosa, non mi farete eliminare?
— Non sia drammatico, signor Vinh. La sua conoscenza della società umana all’Era dell’Alba la rende prezioso qui. Lei lavora bene come interfaccia fra i miei quattro gruppi… e so che il caponave tiene presente i suoi consigli. Ma non faccia errori. Io posso fare a meno di lei nel reparto traduttori. Mini ancora la stabilità della Bonsol e non la vedrà più fino al termine della missione.
Quindici anni? Venti?
Ezr la guardò, e non ebbe dubbi sulla verità di quelle parole. Che implacabile creatura era questa donna. Spesso s’era chiesto come doveva essere stata prima. Non era il solo a domandarselo. Trud Silipan elargiva le sue speculazioni ai clienti di Benny. Il partito degli Xevalle era stato il secondo in ordine di potenza sul mondo degli Emergenti, e a quel tempo lei era fra i personaggi di maggiore spicco nonostante la sua giovane età. Probabilmente dava dei punti anche a gente come Tomas Nau, in quanto a efferatezza. Almeno una di loro era stata punita; schiacciata da quelli della sua razza. Dal suo seggio alla sinistra del Demonio a semplice strumento di un demonio minore, Anne Reynolt era caduta da molto in alto.
Ma qualunque cosa fosse stata, adesso era fin troppo pericolosa per Ezr Vinh.
Quella notte, da solo nella sua stanza, Ezr riferì di quell’incontro a Pham Nuwen. — Ho avuto la certezza che se la Reynolt fosse trasferita al reparto di Brughel capirebbe tutto di lei e di me in pochi Ksec.
La risala di Nuwen fu un ronzio distorto in un orecchio di Ezr. — È un trasferimento che non avverrà mai. Lei è l’unico elemento che tiene in funzione le testerapide. Prima del loro attacco aveva uno staff di quattrocento non-focalizzati ad aiutarla, oggi è buzzt.
— Non ho capito l’ultima parola.
— Ho detto che deve appoggiarsi su personale non addestrato.
Il ronzio dipendeva dalla cattiva qualità dell’interfaccia vocale, e c’erano volte in cui neppure facendosi ripetere le cose Ezr riusciva a capire. Ma era un grosso miglioramento rispetto al codice di segnali luminosi palpebrali che avevano usato all’inizio.
Ora, quando lui fingeva di dormire, aveva un localizzatore di un millimetro nel canale auditivo destro a contatto del timpano. Il risultato era molto scadente, e bisognava farci l’abitudine, ma bastava. Il provvisorio Qeng Ho e la sua stanza erano pieni di localizzatori; erano diventati il principale metodo col quale Nau e Brughel spiavano la gente.
— Forse non avrei dovuto tentare il trucco delle paste.
— Forse non dovresti tentare niente di niente con lei — rispose Nuwen. Già, ma tu non sei innamorato di Trixia Bonsol. — Ne abbiamo già parlato. Le testerapide di Brughel sono lo strumento più potente che qualsiasi servizio di informazioni abbia mai avuto. Analizzano a fondo e senza interruzione, e possono leggere nella testa di quelli come te. — Gli ingenui? Gli sciocchi? Ezr non volle chiederlo. — Stai certo che sanno che tu non credi alla loro storiella sul “massacro di Diem”. Sanno che tu sei ostile. Sanno che tu mediti qualcosa… o vorresti meditarlo. I tuoi sentimenti per la Bonsol ti danno però una copertura, un motivo per detestarli più piccolo del motivo vero.
— Già — O magari più grande. — Così tu non credi che la Reynolt sia una minaccia?
Per un momento non sentì altro che sibili e ronzii. Forse Nuwen non stava dicendo niente. Poi: — Vinh, io credo l’opposto. Alla lunga, lei è la minaccia peggiore per noi.
— Ma non fa parte della Sicurezza. — Bzzz. — Ezr si mise un dito nell’orecchio e cercò di spingere più a fondo il minuscolo localizzatore. — Ripeta, per favore. È ancora lì?
Bzzt. — Sono qui. In quanto alla Reynolt, è pericolosa. In un modo o nell’altro dovremo renderla innocua.
— Ucciderla? — Ezr deglutì a vuoto. Per quanto odiasse Nau e Brughel e il sistema del Focus, non ce l’aveva con Anne Reynolt. Lei badava che i loro schiavi funzionassero bene. Qualunque cosa fosse stata, adesso era soltanto un utensile.
— Mi auguro che non sia necessario. Se Nau cominciasse a usare i localizzatori anche ad Hammerfest, noi saremmo al sicuro là come lo siamo qui. Però questo dovrebbe accadere prima che le testerapide si accorgano che è una trap…
— Ma il motivo di questo ritardo è che Nau vuole darle tempo di studiare meglio i localizzatori.
— Già. Nau non è stupido. Non preoccuparti. Io controllo la situazione. Se la Reynolt comincerà ad avvicinarsi troppo alla verità… mi prenderò cura di lei.
Per un momento Ezr cercò di pensare a cosa potesse fare Pham, poi scacciò l’immagine dalla mente. Anche dopo duemila anni la famiglia Vinh aveva una speciale reverenza per Pham Nuwen. Lui ricordava le foto che suo padre teneva nell’habitat, le storie che sua zia gli aveva raccontato. Negli archivi Qeng Ho non c’era traccia di quelle storie. Ciò significava che non erano vere… o che erano ricordi privati, cose che solo Nonna Sura aveva saputo di Pham Nuwen. Lo rispettavano per aver fondato i moderni Qeng Ho, ma alcune di quelle storie rivelavano un lato molto duro di quell’uomo.
Ezr aprì gli occhi e sì guardò intorno nella penombra. Il vassoio con la pasta aderiva al tavolo, la sua tuta galleggiava presso il soffitto. La realtà. — Cosa può fare con i localizzatori, Pham?
Silenzio. Ronzii lontani. — Cosa posso fare? Be’, Vinh, posso usarli per uccidere… non direttamente. Ma servono per altre cose che questo rozzo collegamento radio. Occorre pratica. Ci sono dei trucchetti che non immagini. — Una pausa. — Diavolo, te li dovrò insegnare. Potrebbe venire il momento in cui saranno l’unica cosa che potrà salvare la tua copertura. Ci vedremo da qualche parte.
— Uh, di persona? Come? — Dozzine, forse centinaia di volte lui e Pham Nuwen avevano complottato a distanza, come prigionieri che battessero sulle tubature di una prigione. In pubblico si vedevano ancor più di rado che nei primi Turni. Nuwen diceva che lui non era ancora capace di controllare il suo linguaggio corporale e i suoi occhi, e che gli annusatori avrebbero capito troppo. Ora…
— Qui nel provvisorio, Brughel e le sue testerapide dipendono dai localizzatori. Il problema è che io sono costretto a mantenere una certa attività e non so fino a che punto le testerapide si basino sulle statistiche comportamentali. Una cifra in più potrebbe farmi passare dalla casella “innocuo” alla casella “sospetto”, e il loro numero di indagini su di me si decuplicherebbe.
Signore del Commercio. — Quando possiamo incontrarci?
— Ci sono delle situazioni in cui gli analisti di Brughel non riescono mai a ottenere dati certi, Vediamo… io andrò fuori Turno fra meno di duecento Ksec. La prossima volta i nostri Turni saranno parzialmente sovrapposti. Sistemerò le cose per poterci vedere in quel periodo.
Ezr sospirò. Fra metà di un anno della nostra vita. Ma non cosi distante come altre cose. Avrebbe dovuto accontentarsi.
— Ehi, Benny! — Da uno dei tavoli presso il soffitto, il tavolo della Società dei Dibattiti, Jau Xin accennò al gestore del locale di passare a prendere le loro ordinazioni. Lui fluttuò senza fretta da quella parte. Turno dopo Turno, lì c’erano sempre le stesse facce. A volte i Turni si sovrapponevano, così accadeva che le facce si mescolassero in modo diverso, ma questo non faceva la minima differenza. Ogni volta che qualcuno voleva discutere con qualcun altro di “dove finiremo di questo passo” andava a sedersi a quel tavolo. Adesso c’erano Jau, immancabilmente in compagnia di Rita Liao, e altri cinque o sei che come sempre… Aha, quel giorno c’era anche uno dei meno allegri della combriccola. — Ezr! Come vanno le cose? Saranno almeno cinquecento Ksec che non ti si vede da queste parti. — E, all’inferno, lui sarebbe rimasto lì a sentirsi raccontare cosa aveva fatto in quel periodo.
— Salve, Benny. — La bocca di Ezr si curvò nel solito sorrisetto malinconico. Strano come si vedevano i cambiamenti fisici quando uno non vedeva un conoscente da qualche tempo. Ezr, come Benny, era un uomo giovane, ma ormai non erano più ragazzi da un pezzo. C’erano piccole rughe intorno agli occhi di Ezr, e quando parlava aveva un tono più sicuro, un tono che Benny non gli aveva più sentito dal tempo in cui facevano parte della squadra di Jimmy Diem. — Niente di solido per me, Benny. Le mie budella non si sono ancora del tutto scongelate. C’è stato un anticipo di venti giorni nel mio risveglio. — E indicò il foglio dei Turni appeso a una parete. C’erano diversi piccoli cambiamenti segnati in rosso. — Sembra che Anne Reynolt abbia bisogno della mia modesta presenza.
Rita Liao sorrise. — Questa è un’ottima ragione per aprire una seduta della Società dei Dibattiti.
Benny distribuì i bulbi di birra e annotò un paio di ordinazioni, poi annuì a Ezr. — Vado a prepararti qualcosa. So io cosa ci vuole per rimettere in piedi la tua carcassa.
Ezr seguì con lo sguardo Benny Wen che girava dietro il bar. In cucina avrebbe sicuramente trovato qualcosa di leggero per il suo stomaco. Chi avrebbe pensato che un giorno sarebbero finiti lì? Né lui né Benny se lo sarebbero mai immaginato. Ma almeno Benny faceva tutt’ora il Mercante, anche se su piccola scala. E io… cosa sono? Un cospiratore, con una copertura così misera che forse riusciva a ingannare soltanto lui. Stava seduto lì con tre Qeng Ho e quattro Emergenti, e fra loro gli amici più sinceri erano due Emergenti. Non c’era da meravigliarsi che Tomas Nau li tenesse al guinzaglio così facilmente. Aveva lavato il cervello a tutti, li aveva resi schiavi come i focalizzati. E il brutto era che per la maggior parte di loro era davvero meglio così.
— Allora, Ezr, perché ti hanno disseppellito in anticipo?
Ezr si strinse nelle spalle. — Non lo so. Fra qualche Ksec andrò ad Hammerfest e lo saprò. — Qualunque cosa sia, spero che non ostacoli le cose fra me e Pham.
Trud Silipan si alzò dal pavimento e prese posto su una sedia vuota. — È roba da poco. Una questione fra i traduttori e le testerapide che si occupano di scienza. L’abbiamo già risolta.
— E allora perché la Reynolt ha cambiato l’orario di Ezr?
Silipan alzò gli occhi al cielo. — Voi conoscete Anne Reynolt, no? Senza offesa, Ezr, ma lei pensa che la tua unica specialità sia l’Era dell’Alba. Non possiamo andare avanti senza di te.
Col cavolo, che non potete. Ezr non aveva dimenticato il suo ultimo colloquio con la Direttrice delle Risorse Umane.
Rita disse: — Scommetto che c’entra per qualcosa la Baia di Calorica. I piccoli sono laggiù, adesso, come sapete. — Quando Rita parlava dei “piccoli” si riferiva ai Ragni del vecchio L’Ora della Scienza dei Piccoli.
— Non sono più piccoli — la corresse Jau. — Victreia Seconda è una giovane do… una giovane aracnide.
Rita scrollò le spalle. — Sembra che ci sia una base di lancio a sud di Calorica. I Ragni stanno lanciando dei satelliti.
— Non è tutto qui — disse Silipan. — Alcuni anni fa dei Ragni usavano le miniere abbandonate dell’altipiano a sud di Calorica, per studiare la differenza fra la massa gravitazionale e la massa inerziale. È una faccenda che fa pensare che queste creature non siano poi così intelligenti, eh?
— L’idea non è poi così stupida — disse Ezr. — È un esperimento, anche se non porta a niente.
Silipan scartò l’obiezione con un gesto. — La cosa stupida è che alla fine quei Ragni una differenza l’hanno trovata. E hanno fatto un altro passo sulla strada dell’idiozia dichiarando di aver scoperto l’antigravità su quell’altipiano.
Ezr guardò Jau Xin. — Tu sai qualcosa di questa storia?
— Mi sembra di sì… — Jau era pensoso. Evidentemente la cosa era stata tenuta segreta fino a poco prima. — La Reynolt mi ha chiesto di aggiornare le sue testerapide un paio di volte. Volevano sapere di eventuali anomalie orbitali dei nostri satelliti-spia. — Scrollò le spalle. — Le anomalie ci sono sempre, ovviamente. È questo che ci consente di tracciare mappe di densità della superficie.
— Be’ — continuò Silipan, — i Ragni che fecero quell’affermazione hanno goduto di un Msec di gloria, prima di accorgersi che non potevano riprodurre la loro miracolosa scoperta. Hanno diramato una ritrattazione solo un paio di Ksec fa. — Ridacchiò. — Che idioti, In qualsiasi società umana la loro vanteria non avrebbe retto due giorni.
— I Ragni non sono stupidi — obiettò Rita.
— E non sono neppure incompetenti — aggiunse Ezr. — Vero, molte società umane avrebbero accolto con estremo scetticismo la notizia. Ma gli umani hanno un’esperienza di millenni in fatto di dichiarazioni scientifiche premature e successive ritrattazioni.
— I Ragni stanno scoprendo tutto per la prima volta, eh? Conosco già questa solfa.
— Ma è una verità, Trud. Abbiamo un solo caso paragonabile ai loro, ed è l’Era dell’Alba sulla Vecchia Terra.
— Sicuro, ed è per questo che la Reynolt ti apprezza. Tu sai quali fantasie passano per la testa dei Ragni. Quando verrà il momento di prendere il potere, questo sarà importante.
— Quando verrà il momento… — Jau Xin ebbe un sorriso storto. Sulla parete opposta, accanto alla Carta dei Turni, Benny aveva aperto un’altra finestra con la Carta delle Scommesse su Quando Finiremo. Fare ipotesi su quando l’Esilio sarebbe finito era uno dei principali argomenti della Società dei Dibattiti, e tutti spostavano la loro puntata a seconda dell’evolversi della situazione. — Sono passati più di trent’anni standard dalla Riaccensione del sole, io sto molto all’esterno, lo sapete, quasi quanto Qiwi Lisolet e la sua squadra. Da qualche tempo la luminosità del sole è in diminuzione. Abbiamo pochi anni prima che si spenga. I Ragni si sono cacciati su una strada a senso unico. Io scommetto che entreranno nell’Era dell’Informatica, ovvero nel periodo in cui noi potremo intervenire a prendere il controllo, fra meno di dieci anni… ma hanno già l’inizio di un programma spaziale. Fra dieci anni dunque la nostra presenza a L1 potrebbe essere svelata.
— E allora? — disse Silipan. — Se alzeranno la cresta, possiamo schiacciarli.
— E tagliarci la gola con le nostre mani? — disse Jau.
— Dite delle sciocchezze — intervenne Arlo. — Secondo me non abbiamo più di dieci bombe nucleari. Il resto lo abbiamo usato per farci a pezzi a vicenda trent’anni fa…
— Abbiamo le armi a energia.
— Sì, se fossimo su un’orbita molto più ravvicinata. Forse potremmo bluffare, ma…
Ezr scambiò un’occhiata con Rita Liao. S’era accigliata. Lei e molti altri pensavano ai Ragni come fossero esseri umani. Gli Emergenti di basso rango non erano a loro agio con l’idea delle uccisioni di massa, come i loro Dirigenti.
Ezr si appoggiò all’indietro. Sulla Carta dei Turni c’era anche il nome di Pham. Fra qualche giorno avrebbero avuto il loro primo vero incontro. Prenditela con calma e non avere fretta. Si augurò che la Società dei Dibattiti passasse a qualcosa di più interessante.
In quel momento una figura in tuta da lavoro entrò nel locale.
Qiwi.
Per un poco lei e Benny confabularono sui loro affari. Qiwi annuiva, consultando una lista di qualcosa. Poi la ragazza parve sentire lo sguardo di Ezr. Si volse e fece un cenno di saluto verso il gruppo seduto al tavolo. Ezr si affrettò a evitare i suoi occhi. con un fremito. È diventata una bella donna. Un tempo Qiwi era la Marmocchia che lo imitava oltre misura. Un tempo lui l’aveva creduta una traditrice che si approfittava delle testerapide. Ma se Pham diceva il vero sui lavaggi di memoria (e non c’era dubbio che fosse così; i fatti corrispondevano troppo orribilmente bene) Qiwi era una vittima, molto più vittima di quanto lei sapesse. E nel percuoterla Ezr aveva imparato una cosa su di sé. Aveva capito che l’essere umano Ezr Vinh valeva ben poco, e che la consapevolezza dell’umanità altrui era una cosa che lui riusciva a dimenticare per la maggior parte del tempo. Forse poteva fare ancora qualcosa di buono, anche se dentro era un miserabile… ma quando vedeva Qiwi, e quando lei lo guardava, gli era impossibile dimenticare ciò che le aveva fatto.
— Ehi, Qiwi! — Rita aveva notato il cenno di lei. — Hai un momento? C’è una cosetta che potresti fare per noi.
Qiwi sorrise. — Vengo subito. — Riprese a parlare con Benny. Lui annuì e le consegnò qualcosa, che lei mise in tasca. Poi la ragazza prese una grossa rete piena di contenitori vuoti e se li portò dietro. Faceva anche una parte del lavoro di Benny, a volte. Così era fatta Qiwi. Era un elemento vitale dell’economia sotterranea, uno di quegli elementi che rendevano sopportabile la vita. E come Benny non esitava a dare una mano a qualcuno, a lavorare. Nello stesso tempo era quella che poteva parlare nell’orecchio del caponave; era il guanto di velluto intorno alla mano di ferro di Tomas Nau, e questa era una cosa che gli Emergenti non riuscivano neppure a commentare. Ma la si poteva leggere negli occhi di Jau e di Rita: avevano quasi paura di lei.
E la ragazza si fermò accanto a lui con un sorriso. — Ehi, Ezr. Benny mi ha detto di portarti un’altra birra, mentre aspetti la colazione. — Appoggiò il bulbo aderente sul tavolo. Lui annuì, incapace di sostenere il suo sguardo.
Rita stava già parlando con lei; nessuno notò l’imbarazzo di Ezr. — Non per chiederti novità riservate, Qiwi, ma qual è l’ultima stima di Quando Finiremo?
Qiwi si strinse nelle spalle. — La mia ipotesi? Altri dodici anni al massimo. Forse i progressi dei Ragni in campo spaziale ci forzeranno la mano ancora prima.
— Sì. — Rita gettò uno sguardo a Jau. — Be’, allora presumo che non potremo impadronirci di tutto usando le loro reti di computer. Supponiamo di doverci schierare a favore di un gruppo, per giocare il nostro gioco di potere. Chi sosterremo?
Diamante Uno era largo oltre due chilometri, di gran lunga il più grosso degli asteroidi dell’ammasso. Col passare degli anni, nel suo interno cristallino direttamente sotto Hammerfest era stato scavato un labirinto di stanze e corridoi. I livelli superiori erano laboratori e uffici. Più in basso c’era l’appartamento privato di Tomas. Ancora più sotto c’era l’ultima aggiunta a quell’habitat: uno spazio vuoto a forma lenticolare largo duecento metri. Realizzarlo era costato caro: quasi tutti gli escavatori termici erano adesso fuori uso, e senza pezzi di ricambio. Ma Qiwi non si lamentava; in effetti quella era stata anche una sua idea.
I tre esseri umani erano sperduti come formiche in quel salone. — È impressionante, vero? — disse Qiwi, con un sorriso.
Nau guardava in alto. Ancora non se n’era accorto ma aveva perso il senso dell’equilibrio e si stava capovolgendo all’indietro. — Sì, anche vedendolo proiettato sulle lenti a contatto non avevo questa sensazione di spazio.
Qiwi rise e lo rimise in verticale con una pacca. — Ti confesso una cosa. Quando ho trasmesso quella proiezione non avevo acceso le luci. — Nei fori del soffino c’erano lampade che creavano riflessi arcobaleno nel cristallo. — Sarà il nostro parco più bello. Non il più grande, ma grazie al lavoro di mio padre…
Tomas andò a mettere una mano su una spalla di Ali Lin. — Sì.
Sarà il migliore, pensò Qiwi. Papà era sempre stato un geniale realizzatore di habitat verdi. Non aveva fatto altro, in quei quindici anni della sua vita soggettiva, da focalizzato. E quando l’Esilio sarà finito, Papà, quando sarai finalmente libero, allora capirai quali meraviglie hai creato per noi. Si volse a Nau. — Che ne diresti di avere un lago?
— Cosa? Qui dentro? — si stupì lui.
— Non è impossibile. Di sopra abbiamo molta acqua, e potremmo usare questa caverna come magazzino. Possiamo scavare una spiaggia, e mettere intorno una tappezzeria-video per avere degli sfondi. In quanto a tenere stabile la massa d’acqua con questa micro-gravità, a bordo delle navi ci sono dei sistemi di valvole autoregolate che potremmo montare qui.
Tomas rise. — Vuoi stabilizzare ciò che vi è di meno stabile nel cosmo, Qiwi, eh? D’accordo, se vuoi farlo provaci pure.
Lei scrollò le spalle. — È possibile farlo. Se ci accontentiamo di una piccola spiaggia.
Tomas si girò verso di lei, e all’improvviso la ragazza non ebbe più visioni marine davanti agli occhi; soltanto una caverna spoglia. Ma sapeva di aver fatto balenare quella visione anche negli occhi di lui, e sapeva di averlo compiaciuto. — Sarebbe meraviglioso, sì… ma costerà un sacco di lavoro. — Lavoro di non-focalizzati, intendeva, altrimenti non ne avrebbe parlato. Neanche Tomas pensava ai focalizzati come a persone vere.
— Non causerò ritardi ai lavori importanti. Montare le valvole è cosa breve. Localizzatori ce n’è in abbondanza. E la manodopera… la gente mi deve un sacco di favori.
Dopo un po’ Nau portò la sua donna e la testarapida fuori dalla caverna. Qiwi l’aveva sorpreso ancora, e forse più di altre volte. E dannazione, questa era un’altra ragione per usare i localizzatori anche ad Hammerfest. I tecnici della Reynolt non avevano ancora dato il via libera per quei congegni; possibile che fossero tanto complicati? Me ne occuperò più tardi. Qiwi diceva che avrebbero potuto avere un lago stabile anche coi vecchi localizzatori degli Emergenti.
Salirono ai piani superiori, rispondendo ogni tanto al saluto di un tecnico, e scaricarono Ali Lin nel parco che usava come ufficio.
— Devi andare al provvisorio, Qiwi?
— Sì, ho un paio di cosette da fare. Devo vedere certa gente. — Qiwi aveva i suoi commerci, i suoi accordi, i beni di consumo da smistare dappertutto.
— D’accordo. Ho apprezzato molto quello che hai fatto, mia cara. — Nau le gettò un bacio visibile in tutto il corridoio degli uffici.
— Grazie. — Il sorriso di lei lo stupì. Qiwi aveva passato da un pezzo la trentina, ma anelava ancora la sua approvazione. — Ci vediamo stasera.
Qiwi fluttuò via evitando la gente con agili spinte. Era molto robusta e praticava tutti i giorni arti marziali nella centrifuga a 2 G. Questo era quanto le restava dell’influenza di sua madre. Senza dubbio tutta l’energia che spendeva dalla mattina alla sera rappresentava una sorta di sublimazione dell’ansia di compiacere lo spirito di sua madre.
Nau guardò su per il pozzo. Quelli che scendevano mettevano molta cura nell’evitarlo. La figuretta della ragazza sparì in una diramazione. Qiwi era probabilmente la sua proprietà più preziosa, dopo Anne Reynolt. Ma la Reynolt l’aveva più o meno avuta in regalo, mentre Qiwi era stato lui a crearla: una persona intelligente e capace, non-focalizzata, che da anni lavorava instancabilmente per lui. Possederla, manipolarla, era una sfida che non lo annoiava mai. E c’era sempre il gradevole sapore del pericolo. La ragazza era capace di uccidere. Questo ne aumentava ancora il valore.
Qiwi gli aveva insegnato a manovrare le menti libere. Suo Zio Alan e il partito dei Nauly avevano prosperato sul potere dato dagli schiavi focalizzati. E la stella OnOff?… più lui ne sapeva, più si convinceva che su quel pianeta o in quella stella dovevano esserci delle meraviglie nascoste, forse diverse dai tesori che avevano creduto di trovarci ma ugualmente grandi. La strana biologia del pianeta, l’anomala orbita intragalattica della stella, erano cose che andavano oltre la sua comprensione ma lo eccitavano.
E fra poco i Ragni avrebbero avuto un’economia industriale a cui attingere. Quel sistema solare poteva diventare il centro di un grande impero umano.
E Qiwi? Nau si augurava che gli durasse fino al termine dell’Esilio. C’erano molte cose in cui sarebbe stata utile, mentre prendevano i Ragni sotto controllo. Ma la maschera mostrava delle crepe. Il lavaggio mirato della memoria non era mai perfetto. Qiwi ogni tanto aveva dei ricordi che lui aveva creduto amputati. A meno di tagliare via vaste zone di encefalo, Anne Reynolt non poteva eliminare ciò che chiamava “echi neurali residui”. Inoltre, anche con le più astute manipolazioni… come avrebbe potuto farle accettare le misure che progettava di prendere contro i Ragni? O l’allevamento di giovani umani destinati alla focalizzazione? No, inevitabilmente e con rammarico lui avrebbe dovuto eliminare Qiwi. Nel frattempo lei poteva essergli ancora utile. Per mettere al mondo dei figli, ad esempio. Il suo impero avrebbe avuto bisogno di eredi.
Qiwi entrò nel bar di Benny duemila secondi più tardi. In quel Turno il locale lo gestiva lui, non suo padre. Meglio così. Per un poco parlarono di birra. Poi: — Santo cielo, Benny, vuoi davvero buttare via questa tappezzeria-video? Funziona ancora.
Lui scosse il capo. — È roba vecchia di decenni. — Le indicò un punto che riceveva in permanenza un’immagine di Arachna, e lei poté vedere un sistema nuvoloso che stava per raggiungere Principalia. I ricevitori funzionavano ancora, infatti, ma la definizione era scadente e sui colori più intensi c’erano strane distorsioni.
— D’accordo. Abbiamo delle strisce tolte dalle pareti della Mano invisibile. Ma è roba che ti costerà dei soldi. — Ritser Brughel avrebbe ringhiato la sua contrarietà anche se non sapeva cosa farsene e aveva dimenticato la loro esistenza. Brughel vedeva la Mano Invisibile come il suo regno personale. Qiwi lesse la lista che Benny le aveva consegnato. Il cibo esaurito era tutta roba prodotta nelle idroponiche del provvisorio. Gas e carburante, aha. Come al solito Benny voleva aggirare Gonle Fong rifornendosi direttamente dall’impianto di lavorazione delle materie prime. Benché i due fossero amici, quando si trattava di soldi non conoscevano nessuno.
Con la coda dell’occhio vide un movimento. Si girò a mezzo. La banda di Jau Xin era al solito tavolo, presso il soffitto. Ezr! Un sorriso involontario curvò la bocca di Qiwi. Soltanto lui stava guardando verso di lei. Gli fece un cenno di saluto. Ezr si scurì in faccia e distolse lo sguardo. Lei deglutì un groppo di saliva, ferita. Ogni volta che lo vedeva provava sempre quell’impulso di gioia, come quando si incontra un vecchio amico a cui si vorrebbero dire tante cose. Ma gli anni passavano e lui rifiutava ancora di rispondere al suo sguardo. Qiwi non aveva mai voluto fare del male a Trixia Bonsol; lei aiutava Tomas perché era un brav’uomo, un uomo che faceva del suo meglio per portarli alla fine dell’Esilio.
Si chiese se Ezr le avrebbe consentito di parlargli, di spiegargli questa cosa. Forse. C’erano ancora anni davanti a loro. Alla fine dell’Esilio, quando avrebbero potuto mettersi al lavoro per aiutare quella società di creature intelligenti e Trixia sarebbe tornata da lui… sicuramente lui l’avrebbe perdonata.
Lo spazio fra la parete esterna del provvisorio e quella dei locali abitabili era un interstizio pressurizzato largo un paio di metri. Col passare degli anni i vegetali e le paste chimiche che Gonle Fong coltivava “illegalmente” ne avevano riempito una parte. Pham aveva dato appuntamento a Vinh sul lato opposto, ma anche lì se ne sentiva l’odore. Faceva freddo, e l’unica luce era quella di OnOff che filtrava dall’esterno.
Con un piede uncinato a una maniglia, Pham aspettava pazientemente. Il Turno prima aveva riempito quell’interstizio di localizzatori. Alcuni fluttuavano intorno alla sua testa, invisibili come granelli di polvere. Grazie a essi poteva controllare ogni movimento, e si accorse subito quando un estraneo entrò da un portello. Ne ebbe perfino una visione ottica, buona quasi quanto quella dei visori distribuiti ai Qeng Ho. Era il giovane Vinh, cauto e nervoso.
Giovane non tanto, ormai. Vinh doveva aver passato la trentina, in tempo soggettivo. Ma aveva sempre quei modi seri e contegnosi… proprio come Sura. Non una persona di cui fidarsi, oh no. Ma probabilmente una persona che poteva essere usata.
Poco dopo Vinh apparve dalla curva del gigantesco pallone. — Ci incontriamo, finalmente — disse Pham, sottovoce.
— S-sì. Finalmente. — Il giovanotto si guardò attorno, abbassando anch’egli la voce, Sul suo volto, così simile a quello di Sura, ci fu un sorriso. — È strano vederla… cioè, vedere lei invece di Pham Trinli.
— Fisicamente c’è poca differenza, no?
— Oh, non saprei, signore. Quando lei è Pham Trinli certe piccole cose sono diverse. Lei, adesso e qui, si muove in modo diverso. Se Nau o la Reynolt potessero vederla ora anch’essi se ne accorgerebbero.
Quel giovanotto aveva troppa immaginazione. — Be’, l’unica cosa che vedranno nei prossimi due Ksec sono le bugie che i localizzatori gli stanno raccontando. Spero che tanto basti per informarti di…
— Lei può davvero vedere attraverso i localizzatori, comandarli, fornirgli un altro input?
— Con un po’ di pratica. — Pham mostrò al giovane come fissare i localizzatori intorno alle orbite dei suoi occhi, e come stimolarli a collaborare. — Non farlo in pubblico. I raggi che usano sono molto sottili, ma apparecchi sensibili potrebbero captarli.
Per qualche momento Vinh ebbe uno sguardo cieco. — Ah — disse poi. — Mi sembra di avere un ago dietro gli occhi.
— I localizzatori ti stimolano direttamente il nervo ottico. Ciò che ricevi sembra strano, dapprima. È questione di pratica. — Pham avrebbe potuto dirgli che alcuni avevano perso la vista, ma erano casi rari. Invece gli insegnò un paio di test coi quali Vinh avrebbe potuto fare esercizio.
Ci aveva pensato molto prima di dare quell’interfaccia al giovane. Tuttavia ormai Vinh sapeva fin troppo, se avesse voluto tradirlo. O ammazzarlo, o dirgli anche il resto. Vinh era un impulsivo, troppo introverso, troppo instabile… d’altra parte aveva il buonsenso di conservare il suo posto sotto quella tirannia senza farsi ammazzare.
Da lì a poco Vinh aveva imparato i primi elementi. — D’accordo, signore. Ora farò pratica in camera mia. Sa… tutto questo mi fa sentire come se io stia facendo qualcosa, dopo anni di inattività. Noi… cosa faremo alla fine? Voglio dire, dopo che avremo vinto?
— Dopo? — Cosa dirgli? — Be’, sarà… magnifico. Avremo tutta la tecnologia Qeng Ho e una razza in grado di acquistarla, pagandola al nostro prezzo. Questo ci consentirà di mercanteggiare con loro più di quanto i Qeng Ho abbiano mai fatto. E in più ciò che abbiamo appreso sulla fisica della stella OnOff. Abbiamo fra le mani un enorme tesoro, che promette sviluppi di un genere mai…
— E i focalizzati saranno liberati.
— Sì, naturalmente. Non preoccuparti, Vinh, riavrai la tua Trixia. — Questa era una promessa azzardata, ma Pham avrebbe fatto il possibile per mantenerla. Con Trixia Bonsol libera, Vinh avrebbe ascoltato più spassionatamente i suoi programmi sul Focus.
Pham si accorse che il giovane lo guardava perplesso. Forse aveva esitato un attimo di troppo prima di rispondergli. — Bene. Per oggi non c’è altro. Fai pratica con l’input del linguaggio e l’ottica. Esci tu per primo.
— D’accordo. — Per un momento Vinh parve sul punto di fargli altre domande, poi fluttuò via oltre la curva del pallone.
Pham guardò il timer proiettato in un angolo della sua visuale. Entro venti secondi si sarebbe allontanato in direzione opposta. I localizzatori avevano trasmesso duemila secondi di bugie agli annusatori di Brughel, ma più tardi avrebbe dovuto fare dei riscontri. Con delle testerapide al controllo di tutti quegli input audio e video, uno non poteva rilassarsi un istante.
— Sa una cosa, signore? Abbiamo bisogno dei localizzatori anche ad Hammerfest. — Quella richiesta era ormai un rituale, all’inizio di ogni riunione con Ritser Brughel.
— Anne Reynolt non ha ancora le analisi complete — rispose Nau. Mentre sedevano lo guardò. Brughel sembrava in ottima forma. Era rimasto in sonno freddo per metà di quegli anni, e faceva molto esercizio fisico in palestra. Col tempo aveva inoltre imparato a soddisfare le sue… uh, necessità, senza produrre un numero eccessivo di testerapide morte. Un giorno sarebbe diventato un Dirigente affidabile.
— Col supporto dei localizzatori anche ad Hammerfest, signore, i miei annusatori potrebbero avere continui riscontri affidabili su ogni individuo, visto il traffico di Qeng Ho nel nostro habitat. È uno scandalo non disporre di un livello di sicurezza decente proprio nel luogo più importante per noi.
— Mmh. — Nau lo guardò negli occhi. Da bambino lui aveva imparato una lezione importante: qualunque cosa tu desideri, non mentire mai a te stesso. Questo difetto aveva mandato alla rovina grandi uomini in tutta la storia umana, da Helmun Dire a Pham Nuwen. Doveva essere onesto: lui voleva il lago che Qiwi aveva proposto di fare sotto Hammerfest. Completato da un ambiente vegetale avrebbe costituito qualcosa di gradevole in quello squallore. Tutto ciò non era una scusa per venir meno alle misure di sicurezza (Anne Reynolt non prevedeva meno di cinque anni prima di completare le analisi sui nuovi localizzatori Qeng Ho) ma forse negarsi quel lago avrebbe reso le cose peggiori. Scegli un approccio diverso: chi sta facendo pressione per i localizzatori? Ritser Brughel ne era notoriamente entusiasta. La sua opinione non poteva essere sottovalutata. — Cosa mi dice di Qiwi, Ritser? Qual è l’opinione dei suoi analisti?
Negli occhi del biondo ci fu un lampo. Aveva ancora un odio omicida per la donna. — Entrambi sappiamo quanto le piaccia andare a ficcare il naso intorno a una verità che poi le costa cara. Ma al momento è del tutto pulita. Non è innamorata di lei, ma la sua ammirazione è forte come l’affetto. È una pedina utile, signore.
Qiwi aveva dei continui echi di ricordi amputati. Ma la sua ultima cancellazione di memoria era molto recente, e quell’estensione dei sistemi di sorveglianza avrebbe contribuito a tenerla sotto controllo. Nau ci pensò ancora un momento, poi annui. — D’accordo, vice caponave. Usi i localizzatori anche ad Hammerfest.
Naturalmente i localizzatori Qeng Ho erano già ad Hammerfest. I microscopici congegni seguivano le correnti d’aria, si attaccavano alla pelle, agli abiti, venivano ingoiati col cibo. Sciamavano nello spazio vuoto intorno agli asteroidi.
Ma pur essendo ovunque, nei luoghi dove non venivano alimentati da emissioni d’energia erano soltanto frammenti di materia inerte. Poi i tecnici di Anne Reynolt sostituirono gli interfaccia, le antenne e le centraline di Hammerfest, e onde elettromagnetiche che pulsavano dieci volte al secondo saturarono ogni spazio aperto. Dieci Ksec più tardi Brughel riferì che stava ottenendo dati soddisfacenti. Milioni di microprocessori ciascuno superiore a qualsiasi computer dei Ragni. Fin dall’inizio questa fu la più potente rete computerizzata di L1.
In quattro giorni Qiwi finì l’interno della caverna, e montò i servomeccanismi per il movimento dell’acqua. Suo padre si occupava dell’ecologia delle parti destinate a restare all’asciutto. L’acqua sarebbe venuta per ultima.
Dopo l’estensione della rete, Nau si domandò come avessero fatto senza i localizzatori per tutti quegli anni. Ritser Brughel aveva avuto ragione in pieno. Prima d’allora le misure di sorveglianza ad Hammerfest erano uno scherzo. Prima d’allora il provvisorio Qeng Ho era l’unico posto dove eseguire analisi decenti. Per molti giorni Nau seguì Brughel nelle prime esplorazioni veramente complete che gli annusatori poterono fare sulle astronavi e attorno, fra le materie prime. Infranse perfino la tradizione e mandò i localizzatori nell’arsenale di L1, fino a quel momento sigillato. Fu come accendere la luce per la prima volta in posti dove aveva regnato il buio. Trovarono dozzine di falle nelle misure di sicurezza, e le chiusero… e non trovarono alcuna traccia di complotti e illegalità. Alla resa dei conti l’esperienza fu soddisfacente per chi aveva tanto lavorato per quei risultati. Era come esplorare la casa in cerca di parassiti senza scovarne uno, e vedere dove andavano disposti veleni e trappole per prevenire infiltrazioni future.
Ora Tomas Nau aveva una conoscenza del suo dominio e dei suoi sudditi maggiore di qualsiasi Dirigente nella storia degli Emergenti. Fra le prime letture complete che domandò agli annusatori ci fu quella di Ezr Vinh durante un colloquio che ebbe con lui, analisi della pelle e del sudore, reazioni galvanolettiche, respirazione, pulsazioni: il soggetto è rilassato, quando parla non mostra escursioni oltre il dieci percento del livello normale di tensione. La sua reazione fisica alla presenza del caponave rivela sicurezza ma cautela, senza simpatia. Non si rilevano tentativi di sopprimere pensieri o atteggiamenti ostili.
Era più o meno quel che Nau s’era aspettato, ma con molti dettagli in più, meglio di qualsiasi osservazione personale. E col vantaggio che il soggetto non sapeva di essere analizzato.
— … perciò credo che gli schieramenti politici siano chiari — concluse Vinh, inconsapevole della duplice natura del colloquio. — Pedure e i Kindred hanno un certo vantaggio come numero di vettori e armi nucleari, ma sono inferiori all’Alleanza per quanto riguarda l’informatica e le reti di computer.
— I Kindred sono una tirannia. Lei ha detto che nell’Era dell’Alba le tirannie non potevano permettersi il rischio politico insito nello sviluppo delle reti di computer?
— Infatti. — Il soggetto sopprime qualcosa, probabilmente ironia. — Noi sappiamo che progettano un attacco qualche tempo dopo che il sole si sarà spento; stanno spendendo tutto il prodotto nazionale in armi. Nell’Alleanza, Sherkaner Underhill è così impegnato nello sviluppo dei sistemi automatizzati che Pedure non può tenere il loro passo. In tutta franchezza penso che ci prenderanno di contropiede se non anticipiamo i tempi, caponave. I loro mezzi di rilevamento scopriranno la nostra esistenza entro meno di dieci anni.
— Prima che noi possiamo controllare le loro reti computerizzate.
— Sì, signore.
Questo era ciò che diceva anche Jau Xin. Peccato. Ma almeno lo schema che stava assumendo la fine dell’Esilio diventava chiaro.Il soggetto ha ancora la guardia abbassata. — Io ho studiato i Qeng Ho, signor Vinh. So che voi capite le culture diverse meglio di qualsiasi gruppo non nomade.
— È cosi, signore. — Soggetto calmo. La risposta mostra un sincero accordo.
— Se un Qeng Ho può capire certe cose, questo è lei. Vede, uno dei personaggi storici che io stimo di più è Pham Nuwen.
— Lei… ricordo che me lo ha già detto. — Il tono era legnoso. Nel display di Nau la faccia di Vinh era alterata dai colori della traspirazione e delle pulsazioni. A bordo della Mano Invisibile un annusatore gli trasmise la diagnosi: Il soggetto prova rabbia verso il caponave.
— Sia chiaro, signor Vinh, che non voglio offendere le vostre tradizioni. Lei sa che gli Emergenti disprezzano la cultura Qeng Ho, ma Pham Nuwen è un caso diverso… vede, io so la verità su Pham Nuwen.
I colori diagnostici scesero verso la normalità e cosi il cuore di Vinh. La dilatazione oculare e il sudore erano compatibili con una rabbia controllata. Nau fu colpito da un’incongruenza; se si fosse basato sul suo giudizio personale avrebbe detto che Vinh aveva paura. Forse ho qualcosa da imparare dalla tecnologia, si disse. — Cosa c’è che non va, signor Vinh? Me lo dica pure francamente. — Sorrise. — Non lo riferirò a Brughel. Né è necessario parlarne a Jau Xin o a Rita Liao… o alla mia Qiwi.
Nau aveva menzionato quei nomi per uno scopo preciso. Il livello di agitazione di Vinh risali un poco in corrispondenza dell’ultimo. Provava ancora risentimento per Qiwi Lisolet, anche se non voleva ammetterlo.
I sintomi chimici di emozione si placarono. Vinh si umettò le labbra, rivelando nervosismo. Sul display di Nau apparve: Il soggetto è curioso. — Non è che io ignori le analogie fra la vita di Pham Nuwen e gli ideali degli Emergenti, signore. Pham Nuwen non era un Mercante, ma più di ogni altro ha fatto di noi ciò che siamo oggi.
— Infatti, signor Vinh, non era un viaggiatore di commercio come voi altri. Pham Nuwen era un portatore di ordine, un conquistatore. Abbiamo arricchito gli archivi della flotta Qeng Ho con del nostro materiale. Lo esamini. Sono documenti originali e non censurati. Vedrà che quell’uomo ha commesso dozzine di atrocità. Legga la vera storia di come ha messo fine al Massacro Strentmanniano. Legga di come fu tradito a Brisgo Gap. Poi ne parleremo ancora.
Stupefacente. Nau non aveva inteso parlare cosi, ma vide di aver provocato effetti interessanti. Si scambiarono ancora qualche frase di rito e il colloquio finì. Intorno alle mani di Vinh c’erano vibrazioni rosse mentre si avviava alla porta, sintomo di tremiti.
Quando il Mercante fu uscito, Nau restò immobile con lo sguardo fisso in lontananza. In realtà stava osservando il suo display. Il rapporto dell’annusatore era una sfilza di cifre sullo sfondo del panorama di Diamante Uno. Lo avrebbe letto più tardi. Prima voleva riordinare i suoi pensieri. La diagnosi consentita dai localizzatori era qualcosa di magico. Senza di essa lui avrebbe appena notato l’agitazione di Vinh. Cosa ancor più importante, senza la diagnosi non avrei potuto condurre la conversazione sui punti chiave che emozionavano Vinh. E ora sapeva che la personalità di Vinh era molto legata alle favolistiche tradizioni Qeng Ho. Presumibilmente era così per tutti i Mercanti. Si potevano usare queste tradizioni per tenerli meglio sotto controllo? Coi nuovi strumenti di cui ora disponeva, forse…
— Dovremo vederci ancora di persona.
— D’accordo. Senta, Pham… io non credo alle bugie che Nau mi ha detto su di lei.
— Già, be’, ognuno scrive la sua versione della Storia. La cosa che ora mi preoccupa è un’altra. Dovrò insegnarti qualche trucchetto su come manovrare i colloqui a tradimento come quello.
— Mi dispiace. Per un momento ho creduto che sapesse tutto di noi. — La voce di Ezr Vinh era debole nell’orecchio di Pham. Il giovanotto aveva imparato a usare bene il loro metodo di comunicazione segreto: abbastanza da consentire a lui di sentire il tono imbarazzato della sua voce.
— Hai reagito bene, ragazzo. Con un altro po’ di addestramento farai meglio. — Parlarono ancora un poco, accordandosi sulla data del loro prossimo incontro e sull’espediente da usare come copertura. Poi il tenue legame s’interruppe e Pham rimase solo a riflettere sui fatti della giornata.
Dannazione. Quel giorno il disastro era stato evitato per un pelo… o solo temporaneamente. Pham fluttuava in una stanza buia, ma il suo sguardo spaziava per chilometri, fino a Diamante Uno e Hammerfest. Adesso i localizzatori si trovavano ovunque, ed erano operativi, anche se le unità MRI nella clinica del Focus cortocircuitavano quasi subito ogni localizzatore nelle loro immediate vicinanze. Averli anche su Hammerfest era stato il passo avanti che lui aspettava da anni, ma… se io non avessi alterato la diagnostica emanata da quelli addosso a Vinh, avremmo potuto perdere tutto. Lui sapeva bene come il caponave usava quella nuova tecnologia; la stessa cosa, anche se a livello più superficiale, era stata fatta nel provvisorio per anni. Ciò che non aveva previsto era che Nau avesse una fortuna così sfacciata nella scelta delle parole. Per una decina di secondi Vinh era stato certo che l’uomo sapesse tutto. Pham aveva alterato la reazione analizzata dagli annusatori, e il giovanotto s’era difeso bene, ma…
Non immaginavo che Tomas Nau sapesse tante cose di me. Spesso il caponave s’era dichiarato un ammiratore dei “giganti della storia”, fra i quali includeva anche Pham Nuwen. A lui era sempre parso che fosse una balla per procurarsi un’apertura coi Qeng Ho, ma adesso non ne era più sicuro. Mentre Nau era occupato a vivisezionare le reazioni fisiochimiche di Vinh, Pham aveva fatto lo stesso con le sue. Tomas Nau ammirava davvero il Pham Nuwen descritto dalla Storia degli Emergenti! Per qualche motivo gli piaceva vedere somiglianze fra le sue mostruosità e le mostruosità di quel Pham Nuwen. Mi ha definito un “portatore di ordine”. Questo risvegliava strani echi in lui. Benché non avesse mai pensato a se stesso in quei termini, era così che gli sarebbe piaciuto essere. Ma siamo troppo diversi. Nau uccide senza pietà per le sue ambizioni, io ho sempre voluto mettere fine alla barbarie, alle uccisioni. La cosa strana era che Nau conosceva anche buona parte della storia vera, quella appresa dagli archivi Qeng Ho, quella che Vinh era andato a studiarsi.
Ciò che il giovanotto aveva letto nella biblioteca era interessante. In buona parte era perfino vero. Ma vero o rimaneggiato che fosse non si trattava della mitologia che Sura Vinh aveva lasciato nelle cronache Qeng Ho. Non era l’insieme di menzogne che Sura aveva usato per coprire il suo tradimento. Ed Ezr Vinh come la pensava? Lui era stato già fin troppo aperto col giovanotto. Vinh era assolutamente inflessibile per quanto riguardava il Focus, ogni occasione era buona per piagnucolare sulle testerapide. Era strano. In vita sua Pham era stato indulgente coi pazzoidi e coi balordi e perfino con molti criminali, ma sopportare le ossessioni di Ezr Vinh lo lasciava esausto. Il giovanotto semplicemente non capiva il miracolo che il Focus poteva fare.
E c’erano cose negli archivi di Nau che avrebbero reso difficile a Pham nascondere a Vinh i suoi veri obiettivi.
Pham aprì quegli archivi e s’immerse nella versione della Storia a disposizione di Nau, passando da un episodio all’altro. Imprecò sulle bugie che facevano di lui un mostro. Fremette su quelle che erano verità, anche sapendo di non aver avuto altra scelta. Era strano rivedere la faccia che aveva avuto un tempo. Alcuni di quei video dovevano essere autentici. Pham poteva quasi risentire le parole di quei discorsi uscirgli dalle labbra. In lui fluivano i ricordi. Negli anni più luminosi ogni viaggio lo aveva portato in contatto con Mercanti che sapevano cosa poteva diventare una cultura interstellare. E meno di mille anni dopo che il Piccolo Principe di Camberra era stato portato via dai Mercanti, il suo piano era vicino al successo. L’idea della cultura Qeng Ho era sparsa in tutto lo Spazio Umano. Dai mondi del Confine Lontano che forse lui non avrebbe mai conosciuto, al centro più evoluto di quello spazio, perfino sulla Vecchia Terra… tutti avevano udito il suo messaggio, tutti conoscevano la sua visione di una società articolata sul cosmo, non sui pianeti, fatta per durare fino a fermare la Ruota del Fato. Vero, la maggior parte di loro non riusciva a vedere più di ciò che vedeva Sura. Erano “persone pratiche”, interessate soltanto ad accumulare ricchezze, Mercanti che pensavano solo alle loro Famiglie. Ma Pham aveva creduto allora — e Dio sa che lo credo ancora oggi — che molti altri sognassero qualcosa di più grande, proprio come lui.
Attraverso migliaia d’anni di tempo reale Pham aveva lasciato il suo messaggio, il progetto per un Incontro Qeng Ho più spettacolare di ogni altro incontro, un luogo e un tempo dove i nuovi Qeng Ho avrebbero dichiarato la Pace dello Spazio Umano, e si sarebbero accordati per servire quella causa. Era stata Sura Vinh a scegliere il posto. Namquem.
Vero, Namquem era troppo vicino al cuore dello Spazio Umano, ma era anche il centro delle maggiori attività commerciali Qeng Ho. I Mercanti interessati a partecipare lavoravano in zone equidistanti da quel centro. Queste erano le ragioni accampate da Sura. E a quel tempo lei sapeva sorridere in modo così sincero e affascinante. Pham aveva creduto che a Namquem lui avrebbe avuto la sua possibilità.
In effetti c’era anche un’altra ragione per accordarsi su un Incontro a Namquem. Sura aveva sempre viaggiato poco, era sempre stata la pianificatrice al centro degli schemi di Pham. Erano trascorsi i decenni e poi i secoli. Nonostante i lunghi periodi in sonno freddo e le risorse della medicina geriatrica Sura Vinh era diventata insopportabilmente vecchia. Quanti anni effettivi aveva accumulato? Cinquecento, seicento? Nell’ultimo secolo prima dell’Incontro il suo ultimo messaggio gliel’aveva mostrata così anziana. Se non fosse stato per quell’Incontro a Namquem, forse Sura non avrebbe vissuto abbastanza per vedere il successo di Pham, s’era detto lui. Forse Sura non avrebbe mai visto che lui aveva ragione. Lei era l’unica di cui mi fidavo completamente. Quante cose avevo fatto per lei.
E Pham si sentì affogare nella vecchia rabbia, a quei ricordi.
Una piccola cabina, quasi buia. La stanzetta che un semplice tecnico avrebbe avuto in un provvisorio non di lusso. Bluse e tute da lavoro fluttuavano in un cestone. Un’etichetta luminescente con un nome attrasse il suo sguardo. Pham Trinli.
Come sempre, quando lui si lasciava permeare dai ricordi, essi erano più nitidi di qualsiasi video, e il ritorno al presente fu amaro. La “flotta di punizione” con cui Sura si era disfatta degli avversari politici non era stata una flotta di bare. Perfino adesso, duemila anni dopo il tradimento di Sura, Pham non riusciva a spiegarsi quella generosità. Probabilmente c’erano stati altri traditori, gente di potere ma con abbastanza coscienza da insistere che Pham e i suoi seguaci non fossero uccisi. La “flotta di punizione” era stata un’accozzaglia di naviram d’ogni genere, con le stive piene di contenitori per il sonno freddo. Ma ognuna di quelle navi era stata spedita via su una rotta diversa. Mille anni dopo esse erano ancora disperse sull’intera estensione dello Spazio Umano.
Loro non erano stati uccisi, ma Pham aveva imparato la lezione. E aveva iniziato il suo lento viaggio di ritorno. Sura era ormai oltre la portata di ogni mortale, però c’erano sempre i Qeng Ho che lui e lei avevano creato. Lui aveva ancora i suoi sogni.
E sarebbe morto con essi su Triland se Sam Park non lo avesse ripescato. Ora lo spazio e il tempo gli davano una seconda possibilità: la promessa contenuta nel Focus.
Pham scacciò le immagini del passato e controllò i localizzatori che aveva sulle tempie e in un orecchio. C’era del lavoro da fare, ora più che mai. Doveva prendersi il rischio di un altro colloquio faccia a faccia con Vinh. Un po’ di esercizio, e il giovanotto avrebbe imparato a fronteggiare le insidie delle analisi di Nau senza fargli sospettare niente. Sì, questa era la parte più facile. La più difficile stava nel tenere Vinh all’oscuro sul suo traguardo finale.
Pham si girò sulla rete e chiuse gli occhi. Dietro le palpebre vedeva le tracce dei dati che aveva lasciato captare alla Reynolt e agli annusatori. Li aveva ingannati di nuovo. E alla lunga… si, alla lunga, se non ci fossero state sorprese, Anne Reynolt era ancora la minaccia più grande.
Hrunkner Unnerbai arrivò in volo alla Baia di Calorica il primo giorno della Tenebra. Era venuto lì spesso, in quegli ultimi anni. Diavolo, aveva cominciato a frequentare quel posto a metà della Luce, quando il fondovalle era ancora un calderone bollente. Negli anni successivi, ai piedi delle montagne era nata una piccola città dove abitavano ingegneri e maestranze. A metà della Luce il caldo era infernale anche in quota, ma chi lavorava lì era ben pagato. Le strutture di lancio sopra l’altipiano erano state finanziate da un insieme di compagnie commerciali e fondi reali, e dopo che Hrunkner vi aveva installato frigoriferi e condizionatori d’aria abitare lì non era stato affatto spiacevole. I ricchi non avevano cominciato a farsi vedere che negli anni del Sole Calante, come sempre nelle ultime cinque generazioni, dopo aver ricostruito le loro ville sulle pendici della caldera.
Ma fra tutte le visite di Hrunkner, quella gli dava l’impressione più strana. Il primo giorno della Tenebra. Era un confine mentale piuttosto che fisico, e forse proprio questo lo rendeva ancora più importante.
Hrunkner aveva preso un volo commerciale da Alta Equatoria, ma non c’erano turisti neppure in quella località. Alta Equatoria distava appena ottocento chilometri, ma era un altro mondo rispetto all’afa di Calorica anche in quel periodo. Hrunkner e le sue due assistenti (guardie del corpo, in realtà) attesero che gli altri passeggeri scendessero per la rete inclinata, poi si tolsero gli indumenti riscaldati e presero i due panieri che costituivano la prima ragione di quel viaggio. Proprio sul portello Hrunkner perse la presa sulla rete e il suo paniere cadde ai piedi dell’inserviente dell’aereo. Il coperchio isolante si aprì e rivelò il contenuto: una polvere chiara accuratamente chiusa in sacchetti di plastica.
Hrunkner si affrettò a richiudere il paniere. L’inserviente rise divertito, — Dicono che l’unica cosa che Alta Equatoria può vendere altrove è la polvere. Ma non credo che qui lei riuscirà a venderne molta.
Hrunkner scrollò le spalle, imbarazzato. A volte le battute di spirito lo coglievano di sorpresa e non trovava subito una buona risposta. Raccolse il paniere e si sbottonò la blusa. Seguito dalle altre due scese sulla pista, e subito fu chiaro il significato delle parole dell’inserviente. Un’ora prima, mentre partivano da Alta Equatoria, c’era una temperatura di ottanta sotto zero e un vento piuttosto forte. Avevano dovuto mettersi dei respiratori solo per passare dalla sala d’aspetto all’aereo.
Lì, invece… — Dannazione, questo posto è una fornace. — Brun Soulas, la sua agente di sicurezza più giovane, depose il paniere e si tolse la blusa.
L’altra agente rise della collega, benché anche lei stesse ansimando di caldo. — Cosa ti aspettavi, Brun! Questa è la Baia di Calorica.
— Già, ma oggi è il primo giorno della Tenebra.
Non pochi degli altri passeggeri avevano avuto la stessa sorpresa. Erano una fila grottesca, mentre nel camminare si toglievano di dosso gli abiti pesanti isolati e autoriscaldati. Hrunkner notò che tutte le braccia e le gambe di Brun (salvo la mano che teneva il paniere) erano occupate in quello spogliarello. Arla Undgata stava invece controllando i dintorni. Fu poi la volta di Brun a stare all’erta mentre la collega si spogliava. Erano esperte e decise come i soldati che Hrunkner aveva addestrato nella Grande Guerra.
Il loro arrivo a Calorica poteva essere giudicato di poca importanza ma i funzionari della sicurezza dell’aeroporto furono efficienti. I panieri di polvere di roccia furono messi su due autoblinde, Il graduato responsabile non si permise un solo commento sull’assurdità della situazione.
Pochi minuti più tardi Hrunkner e le sue guardie del corpo erano in strada, a piedi e non più appesantiti dal loro carico. — Cosa vuol dire “di poca importanza”? — Arla agitò le braccia, sbuffando. — Di poca importanza è forse aver portato quella… roba attraverso il continente. — Né lei né la collega capivano cosa fosse quella polvere, e non nascondevano la loro perplessità. — Ora abbiamo qualcosa da proteggere… anzi, qualcuno. Ma signore, perché non ci ha reso la cosa più facile viaggiando sugli automezzi blindati?
Hrunkner le sorrise. — Manca più di un’ora al mio appuntamento col grande capo. C’è tutto il tempo di andare a piedi. Non sei curiosa di guardare la zona, Arla? Non molti possono dire di aver visitato la Baia di Calorica nel primo giorno di Tenebra.
Arla e Brun si scambiarono un’occhiata: la disgustata pazienza dei professionisti messa a dura prova dalla noncuranza dei dilettanti. Hrunkner non si prese la briga di correggerle. I Kindred avevano dimostrato più di una volta la loro pericolosità di terroristi in casa altrui. Ma io ho vissuto settantacinque anni, e le cose di cui ho paura sono altre. Si incamminò verso le luci sulla riva del mare. Le due guardie del corpo glielo avrebbero impedito volentieri, se avessero osato. Non poterono far altro che affiancarlo da vicino per fargli scudo coi loro corpi. Ma Arla stava già parlando nel suo telefono portatile. Hrunkner sogghignò fra sé. No, quelle due non erano stupide. Mi chiedo se noterò gli agenti che sta chiamando.
La Baia di Calorica era stata una delle meraviglie del mondo fin dall’antichità. Era uno dei tre soli luoghi vulcanici conosciuti, e gli altri due si trovavano sotto l’oceano e sotto i ghiacci. La baia in se stessa era parte di una grande caldera vulcanica spezzata, che l’oceano aveva invaso e riempito.
Negli anni del Nuovo Sole era un inferno, anche se nessuno l’aveva mai vista in quel periodo. Le pareti ricurve della grande tazza concentravano la temperatura e la luce fino a fondere il piombo, e in qualche modo ciò innescava una serie di esplosioni di lava che creavano nuovi crateri, placandosi poi nel corso di anni durante i quali soltanto i vulcanologi capitavano nella zona. In seguito giungevano visitatori di diverso genere.
In un certo senso Calorica, all’inizio della Tenebra, era il modello del mondo che l’energia atomica stava per offrire alla razza degli Aracnidi per tutte le Tenebre che sarebbero seguite. Hrunkner accelerò il passo verso le luci e la musica più avanti, chiedendosi cos’avrebbe visto.
C’era gente dappertutto, una vera folla. L’aria era piena di risate, di richiami, della musica dei corni. E la gente era così strana che per un poco Hrunkner non notò le cose più importanti.
Lasciò che la folla li facesse deviare da una parte e dall’altra come una corrente. Poteva immaginare quanto fossero nervose Brun e Arla fra quegli sconosciuti non controllabili. Pochi minuti dopo si accorsero di essere sulla riva del mare.
— Dannazione! — esclamò Brun, fermando Hrunkner. — Guardi laggiù nell’acqua. C’è gente che sta affogando!
Hrunkner seguì il suo gesto con lo sguardo. — Non stanno affogando. Stanno… Santa Chiesa, stanno giocando nell’acqua! — Le loro figure semi-sommerse avevano delle specie di galleggianti per evitare di andare a fondo. Lui notò che anche parecchi altri li osservavano sbalorditi, alcuni mandando grida d’orrore. Perché mai qualcuno doveva giocare ad affogare? Per motivi militari, forse. Sia Kindred che l’Alleanza avevano delle navi armate.
Stupiti dalle risa divertite di quei bagnanti Hrunkner e le due guardie tornarono indietro lungo la piazza, verso gli alberi gremiti di lampade colorate. Era mezzogiorno, e se non fosse stato per quelle piccole luci e il rosso della lava al centro della caldera ci sarebbe stato buio pesto. Il sole era una brace spenta nel cielo, un minuscolo disco rosso scuro con delle chiazze nere.
Il declino del sole verso l’oblio era cosi graduale che c’era da chiedersi cosa segnasse l’istante — o il giorno, almeno — che era definito l’inizio della Tenebra. L’attenzione di Hrunkner si spostò di nuovo sulla piazza. Fra lì e gli alberi c’erano gruppi di persone — vecchi artropodi, ma anche molti dell’ultima generazione — che alzavano le braccia verso il sole, e poi le abbassavano come ad abbracciare la terra e la promessa di lungo sonno che rappresentava.
Ma lì non c’era il freddo necessario nelle profondità, l’aria era tiepida come nelle più dolci notti estive, e il terreno era caldo, e la maggior parte della gente sulla piazza non stava osservando la partenza della luce. Ridevano, cantavano, e i loro abiti colorati erano costosi, come se non rivolgessero neppure un pensiero al futuro. Forse i ricchi avevano sempre fatto così.
Le lampade colorate fra gli alberi dovevano essere alimentate dall’impianto a fissione che una delle imprese di Hrunkner aveva costruito sull’altipiano sopra la caldera cinque anni prima. Tutta la boscaglia era illuminala. Qualcuno aveva perfino importato delle fate di bosco dalle zone temperate, a decine di migliaia, per metterle in libertà fra gli alberi. Gli impianti distribuivano musica anche sulla lieve salita che portava alle ville. A quel punto Hrunkner s’era già abituato alla vista dei fuori-fase. Anche se i suoi istinti continuavano a parlargli di perversione, sapeva che erano individui utili alla società. Ne conosceva molti e li rispettava. Le stesse guardie del corpo, che procedendo ai suoi lati gli aprivano la strada, erano due fuori-fase. Arla e Brun avevano vent’anni, un po’ più giovani di Victreia Seconda. Erano brave aracnidi, uguali a quelle che in altri tempi avevano combattuto al suo fianco. Sì, considerando ogni caso come un caso singolo Hrunkner Unnerbai era venuto a patti con la sua repulsione. Ma… Non ho mai visto tanti fuori-fase come qui, tutti insieme.
— Ehi, nonno, vieni a ballare con noi! — Due giovani femmine e un maschio gli si strinsero attorno. Arla e Brun riuscirono a farle sloggiare fingendo abilmente di essere delle festaiole sguaiate come loro. Hrunkner vide una flessuosa quindicenne che si accoppiava con un vecchio della sua età, e gli si mozzò il fiato. Era come se le sue fantasie peccaminose diventassero reali. L’aria era calda, e c’era l’odore di zolfo delle fumarole. Il terreno era caldo, ma lui sapeva che non era il calore del sole; era il calore interno del mondo che usciva alla superficie come da un cadavere in putrefazione. In quella regione ogni profondità era una trappola mortale, una tomba, dove la carne dei dormienti sarebbe marcita dentro i loro gusci.
Alla fine, senza sapere come Brun e Arla fossero riuscite a fargli superare quella ressa, furono dall’altra parte della boscaglia, Anche qui c’era gente, ma rada come gli alberi, e non così smaniosa e scatenata come più in basso. Pochi ballavano, nessuno si strappava i vestiti di dosso. Le fate di bosco potevano aggrapparsi alle bluse senza timore di essere schiacciate. In altre terre quegli insetti avevano perso le ali da un pezzo. Già cinque anni prima Hrunkner aveva camminato nelle strada di Principalia coperte da uno strato di neve scricchiolante in cui erano incorporate a milioni le ali delle ultime fate di bosco della zona. Quella variante avrebbe avuto qualche stagione di vita in più, ma era condannata… o almeno così lui credeva.
Continuarono a salire e furono nella zona più rocciosa della parete del cratere. Più avanti, le ville dei ricchi si allineavano lungo la strada. Costruite durante il Sole Calante, nessuna di esse aveva più dieci anni ed erano sormontate dai robusti parasole all’ultima moda. Appartenevano a vecchie famiglie, e tutto intorno a esse c’erano i resti delle ville precedenti e strutture antiquate non più usabili. Su quelle assai più in alto c’era un biancore che sembrava neve. Quella di Sherkaner era lassù, fra le case di chi era abbastanza ricco da permettersi un posto del genere. Neppure la Baia di Calorica poteva sfuggire al freddo e al vuoto della Tenebra… occorreva l’energia nucleare per questo.
Fra le luci sul fondo della conca e la lunga curva delle ville, c’erano pendici immerse nel buio. Le fate di bosco si staccarono dai loro abiti e tornarono verso il basso. L’odore di zolfo era più debole, e l’aria già molto più fresca. Hrunkner sospirò di sollievo. — Allora, mie care aracnidi, cosa preferite: affrontare dei terroristi armati, o passare attraverso un’altra folla di quel genere?
La risposta di Arla Undgata fu contegnosa. — Io opto per la folla, naturalmente. Ma… è stata un’esperienza strana.
— Da brivido, vorrai dire — commentò Brun.
— Già — annuì Arla. — Ma hai notato una cosa? Molti di quegli aracnidi erano a disagio quanto noi. Non so, è come se tutti fossero delle allegre fate di bosco… anche noi. Quando guardi in alto e vedi la Tenebra, e il sole che se ne va… ti senti terribilmente piccolo.
— È vero. — Hrunkner non seppe cos’altro dire. Quelle due giovani erano fuori-fase. Nessuno le aveva nutrite di tradizioni antiquate come le sue… eppure s’erano sentite oppresse da emozioni uguali alle sue. Interessante.
— Andiamo. La stazione della funicolare dev’essere qui, da qualche parte.
Molte delle case del livello medio erano edifici pesanti, con una facciata di pietra e di grossi tronchi, che si prolungavano dentro vaste caverne nella parete del cratere. Hrunkner s’era aspettato una versione meridionale della Casa sulla Collina, ma sotto l’aspetto estetico l’abitazione di Sherkaner era una delusione. Al di fuori era piccola come una dipendenza delle grosse ville, mentre lo spazio interno era occupato in parte dal personale di sorveglianza, ora raddoppiato perché si trovava lì anche il capo. Hrunkner fu informato che il suo prezioso carico era già a destinazione, e che più tardi lui sarebbe stato convocato. Arla e Brun ebbero la loro ricevuta per averlo consegnato salvo a destinazione, e lui fu fatto accomodare in una saletta. Trascorse il resto del pomeriggio leggendo vecchie riviste delle forze armate.
— Sergente? — Sulla porta era apparsa il generale Smait. Indossava una divisa senza contrassegni, come usava fare Strut Grionval. La sua figura era snella e delicata come sempre, anche se nei gesti c’era una certa rigidità. Hrunkner la seguì oltre l’atrio della sorveglianza e su per le scale di legno, a spirale.
— I suoi figli come stanno? — gli venne spontaneo di chiedere.
Lei esitò, come se cercasse una critica in quelle parole. — Viki si è arruolata l’anno scorso.
Hrunkner lo sapeva già. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che aveva visto Victreia Seconda. Si domandò se la vita militare le piacesse. Gli era sempre parsa un aracnide dura e decisa, anche se con un tocco dell’estrosità di Sherkaner. Chissà se Rhapsa e Hrunk erano ancora da quelle parti.
Le scale sbucarono dalla parete del cratere. Quella parte della casa doveva risalire agli anni del Sole Calante, ma dove allora c’erano stati cortili e verande aperte ora triple pareti di quarzo isolavano tutto dalla Tenebra esterna. Tutto aveva un colore giallastro, però la vista della baia era sorprendente. Le luci della città chiudevano come una collana le acque illuminate dai riflessi della lava. Il generale chiuse le tende, mentre salivano verso quello che in passato doveva essere stato un osservatorio panoramico. Lo introdusse in una stanza vivamente illuminata.
— Hrunkner! — Sherkaner Underhill uscì dai cuscini che la ammobiliavano. Probabilmente quello era l’arredamento lasciato dal precedente proprietario. Lui non riusciva a immaginare il generale e suo marito a impigrirsi su quei cuscini.
Underhill trotterellò attraverso la stanza, con più entusiasmo che agilità. Aveva con sé un grosso insetto-guida, al guinzaglio, e la creatura corresse l’andatura di lui deviandolo pazientemente verso l’ingresso. — Ti sei perso Rhapsa e il piccolo Hrunk per un paio di giorni, temo. Quei due non sono più i ragnetti che tu ricordi. Ormai hanno diciassette anni. Ma il generale non approva l’atmosfera che c’è da queste parti, così li ha rimandati a Principalia.
Il generale non commentò le parole del marito, ma fece il giro della stanza e tirò le tende anche lì, chiudendo fuori la Tenebra. I tre si misero a sedere sui trespoli. Underhill aveva molte cose da raccontargli, per lo più sui loro figli. Il generale non parlava molto. Quando suo marito ebbe riferito le ultime avventure di Jirlib e di Brent, lei disse: — Sono certa che al sergente non interessa molto sapere ciò che fanno i nostri figli.
— Oh, anzi, io… — cominciò Hrunkner, poi notò l’atteggiamento teso di lei. — Ma suppongo che ci siano argomenti più pressanti, no?
Underhill esitò, poi si piegò ad accarezzare il carapace peloso del suo insetto-guida. La creatura era grossa e robusta, sui quaranta chili di peso, ma sembrava molto docile. Dopo un momento cominciò a fare le fusa. — Vorrei che tutti fossero facili ad accontentarsi come il mio Mobiy, qui. Ma hai ragione. Ci sono cose più urgenti di cui parlare. — Allungò un braccio sotto il tavolo di legnorame (sembrava un pezzo originale della Dinastia Treppen, sopravvissuto a quattro Tenebre fra i mobili di qualche famiglia ricca) e ne tirò fuori uno dei sacchetti di plastica che Hrunkner aveva portato da Alta Equatoria. Lo depose sulla superficie rossa del tavolo con un tonfo, facendone cadere fuori uno sbuffo di polvere chiara.
— Tu mi hai sbalordito, Hrunkner! La tua magica polvere di roccia. Cosa ti ha messo su questa pista? Hai fatto una semplice indagine… e sei capitato su un segreto che il nostro servizio informazioni non immaginava neppure.
— Aspetta, aspetta. Detto così sembra che il servizio abbia fatto male il suo lavoro. — Molta gente avrebbe protestato, se lui avesse evitato di chiarire quel fatto. — La cosa si è svolta fuori dal servizio, ma Rachner Thract ha collaborato con me. Mi ha assegnato le due guardie del corpo con cui sono arrivato. Ma soprattutto devo ai suoi agenti ad Alta Equatoria… voi conoscete già la storia, no? — Erano stati quattro agenti di Thract ad attraversare l’altipiano con il materiale prelevato alla raffineria Kindred.
Victreia Smait annuì. — Sì, non preoccuparti. Io biasimo solo me stessa per non esserci arrivata. Ci siamo crogiolati anche troppo nella falsa idea della nostra superiorità tecnologica.
Sherkaner stava ridacchiando. — È così. — Sparse sul tavolo un po’ del materiale in questione. Non sembrava diverso da qualsiasi polvere di roccia sedimentaria, chiara, contenente residui organici stratificati milioni d’anni prima. — Ciò che non capisco è come tu sia giunto ad avere quest’illuminazione scientifica, anche solo al livello di ipotesi.
Hrunkner si appoggiò all’indietro. I cuscini erano, in effetti, ben più comodi delle reti dell’aeroplano. — Be’, tu ricordi quella spedizione congiunta Kindred-Alleanza al centro dell’altipiano. I Kindred avevano con sé un paio di scienziati convinti che lassù la forza di gravità fosse sballata.
— Sì. Quei due pensavano che il fondo di una miniera fosse il posto adatto per confermare la loro teoria gravitazionale. E trovarono delle differenze che li eccitarono moltissimo. Poi venne fuori che le differenze dipendevano dall’ora del giorno, ovvero dall’angolatura dell’altipiano rispetto alla posizione del sole. Così ripeterono i loro test e alla fine ritrattarono tutto.
— Questa è la versione ufficiale — disse Hrunkner. — Ma mentre sovrintendevo alla costruzione del reattore nucleare sull’altipiano, a Undgaat Ovest, conobbi una aracnide che aveva partecipato a quella prima spedizione, Triga Depdag. La Depdag è specializzata anche in ingegneria, e lavorammo insieme ad alcune soluzioni. A ogni modo, lei mi disse che il metodo sperimentale usato da quei due studiosi era impeccabile, e che secondo lei la ripetizione dei test poteva solo confermare i primi risultati. E quando chiese di partecipare a un ulteriore studio, le fu negato…. così io cominciai a farmi domande sulla grossa miniera che i Kindred avevano aperto in quel luogo neanche un anno dopo la spedizione. Perché proprio lì? E cosa giustificava la spesa di una ferrovia lunga seicento chilometri per arrivarci?
— C’è un ottimo giacimento di rame — disse Victreia Smait. — È una grossa impresa, ed è in forte attivo.
Hrunkner le sorrise. — Naturalmente. In caso contrario, chiunque si sarebbe fatto delle domande. E tuttavia… l’estrazione del rame è un’operazione marginale. E la mia amica è una che sa il fatto suo. Più ci pensavo, più mi convincevo che sarebbe valsa la pena di andare a ficcare il naso laggiù. — Indicò il sacchetto di polvere. — Ciò che vedete qui è il prodotto della terza raffinatura. La miniera Kindred deve filtrare parecchie tonnellate di materiale per riempire questo sacchetto. La mia ipotesi è che occorrano altri stadi di raffinatura per arrivare al prodotto finale.
Victreia Smait annui. — E possiamo presumere che questo accada in caverne più protette di quelle delle Gemme Tiefer.
— Sicuro. Gli agenti di Thract non si sono mai avvicinati al prodotto finale. — Hrunkner toccò la polvere sul tavolo. — Spero che questa vi basti per stabilire cosa c’è sotto.
— Oh, è stata più che sufficiente! — esclamò Underhill.
Hrunkner lo guardò sorpreso. — Te l’ho consegnata meno di quattro ora fa!
— Tu mi conosci, Hrunk. Questa può essere una località di vacanza, ma io non mi muovo senza le mie cose. — Probabilmente aveva un laboratorio, con se. — Illuminata in un certo modo, la tua polvere perde quasi metà del tuo peso. Congratulazioni, sergente. Tu hai smascherato gli scopritori dell’antigravità.
— Io… — Triga Depdag ne era stata sicura, ma fino a quel momento Hrunkner non ci aveva creduto davvero. — D’accordo, signor Analisi Istantanea. Ma come funziona?
— Ancora dobbiamo stabilirlo. Il mio laboratorio qui non può fare molto. Domattina andrò a Principalia col primo aereo. A parte la magica diminuzione di peso, ho trovato un’altra sola cosa strana. La roccia sedimentaria dell’altipiano ha una piccola percentuale di residui organici, in questa polvere raffinata la percentuale è mille volte maggiore. Forse queste particelle mediano un processo che… — E qui Sherkaner si lanciò in una serie di speculazioni, e in piani per verificarne l’attendibilità. Aveva ancora il tremito, ma nella sua voce c’era l’entusiasmo di quand’era giovane. Era stato il suo entusiasmo a spingere molti scienziati e un’intera nazione a costruire un nuovo mondo. Victreia Smait lo ascoltava parlare e gli accarezzava dolcemente la peluria sul dorso.
Hrunkner si accorse di sorridergli, catturato dalle sue fantasie. — Ricordi quando ti sei messo nei guai con quel programma, L’Ora della Scienza dei Piccoli? Ricordi quando dicevi «Il cielo sarà la nostra nuova profondità»? Perdio, Sherk! Con questa roba, chi ha bisogno dei razzi? Potremo far volare gli aerei nello spazio. Potremo finalmente scoprire chi ha causato le luci che vedemmo nella Tenebra! Forse scopriremo perfino dei nuovi mondi, lassù.
— Sì, ma… — Underhill tacque, come se l’entusiasmo maniacale dell’altro lo costringesse a vedere tutti i problemi che c’erano fra la realtà e il sogno. — Prima di tutto dobbiamo ancora vedercela con l’Onorevole Pedure e i Kindred. Non hanno certo intenzione di lasciarsi sorpassare da noi.
Hrunkner ripensò alla camminata fra gli alberi. E noi dobbiamo ancora imparare a vivere nella Tenebra.
Gli anni parvero ricadere di nuovo addosso a Underhill. Allungò due mani ad accarezzare il suo insetto Mobiy, e con un’altra prese il guinzaglio. — Sì, si sono molti problemi. — Curvò le spalle come sotto il peso del futuro che li attendeva. — Ma non posso fare niente per l’Alleanza prima di tornare a Principalia. Questa sera avrò un’ottima possibilità di vedere come la gente reagisce alla Tenebra. Tu cosa pensi del nostro primo giorno di Tenebra, Hrunk?
Giù dalla vette della speranza, faccia a faccia coi limiti della razza degli Aracnidi. — Ho avuto… paura, Sherk. Una dopo l’altra abbiamo gettato via tutte le antiche regole, oggi ho visto cosa c’è rimasto. Anche se vincessimo la sfida contro Pedure… non so se mi piacerebbe quello che ci resta.
Il vecchio sogghigno piegò le mani nutritive di Underhill. — Le cose non vanno poi così male, Hrunk. — Si alzò lentamente, e Mobiy lo guidò verso la porta. — La maggior parte di quelli rimasti a Calorica sono gente ricca, famiglie abituale da sempre a farsi le loro regole. Non devi stupirti dei loro vizi. Ma osservandoli c’è sempre qualcosa da imparare. — Si volse al generale. — Io vado a fare una passeggiata lungo il versante, mia cara. Quei giovani possono aver avuto delle interessanti intuizioni.
Victreia Smait si alzò dai cuscini e andò ad abbracciare il marito. — Porterai con te la tua scorta, vero? Niente trucchi?
— Naturalmente. — E Hrunkner ebbe l’impressione che la richiesta di lei fosse quanto mai seria, e che da una dozzina d’anni Underhill e i suoi figli si fossero rassegnati alle misure protettive.
La porta di quarzo si chiuse alle spalle di Underhill, e Hrunkner restò da solo col generale. Lei tornò a sedersi sul trespolo e il silenzio si prolungò. Quanti anni erano trascorsi da quando lui aveva parlato col generale senza qualcun altro intorno a loro? Avevano continuato a comunicare per posta elettronica. Lui non faceva parte dello staff di Victreia Smait, ma il programma degli impianti a fissione era il più importante aspetto civile dei piani di lei, e Hrunkner teneva presenti le necessità dei militari pur mentre contrattava con le ditte appaltataci. Non era trascorso giorno senza che lui telefonasse a qualcuno del suo staff, e si erano incontrati regolarmente cinque o sei volte all’anno alle riunioni generali.
Ma dal giorno del rapimento… fra loro era esistita una barriera. Forse c’era stata anche prima, ed era cresciuta, benché prima della morte di Gokna entrambi avessero saputo oltrepassarla. Ora gli dava una sensazione strana sedere lì da solo col generale.
Il silenzio si prolungò mentre i due si scrutavano fingendo di non farlo. L’aria era fredda e stantia come se la stanza fosse stata chiusa per decenni. Hrunkner costrinse la sua attenzione a spostarsi sul tavolo e sugli scaffali, verniciati a colori diversi. Ogni mobile sembrava risalire al tempo dei suoi bisnonni. Perfino il broccato dei cuscini era uno stile abbandonato dalla generazione 58. Tuttavia era facile immaginare Sherkaner che lavorava lì.
Davanti al trespolo erano ammucchiati fascicoli e disegni. C’era anche uno dei suoi libri pubblicato di recente, Videomanzia via cavo, e reti di steganografia.
D’un tratto il generale ne ebbe abbastanza di quel silenzio. — Hai agito in modo encomiabile, sergente. — Si alzò e venne a sedersi più vicino, sul trespolo di Sherkaner. — A noi era sfuggito del tutto ciò che i Kindred stavano realizzando là, finché tu hai portato la cosa all’attenzione di Thract.
— Rachner Thract ha organizzato l’operazione, signora. È diventato un esperto nel suo campo.
— Sì.
Per un poco parve che non ci fosse altro da dire. Poi Hrunkner indicò il mobilio, quegli assurdi cuscini. Salvo la scrivania di Sherkaner, sembrava roba abbandonata lì da una vita. — Lei non capita spesso da queste parti, vero?
— No — disse lei. — Mio marito voleva vedere come vive questa gente dopo l’inizio della Tenebra. D’altra parte sembrava un posto più sicuro della capitale, per i nostri figli. — Lo guardò con aria di sfida.
Come evitare il sospetto di allusioni indelicate? Ma tacere sarebbe stato peggio. — Sì, però mi sembra una buona idea averli rimandati a Principalia, signore. Sono dei bravi ragni, ma questo non è posto per loro. Giù sulla riva mi è parso che dietro l’allegria della gente ci fosse il terrore della Tenebra, come nelle vecchie storie di quelli che non fanno progetti e restano da soli ad affrontarla in superficie. È gente che non ha scopi nella vita, e ora la Tenebra è cominciata.
Victreia Smait cambiò posizione. — Noi dobbiamo combattere contro istinti vecchi di milioni di anni. Spesso è più difficile che avere a che fare con l’Onorevole Pedure, o coi problemi del nucleare. Ma la gente si abituerà.
Questo era ciò che avrebbe detto Sherkaner, sorridendo fiducioso e inconsapevole di quel che accadeva nel mondo intorno a loro. Ma lei lo diceva col tono di chi ripetesse alla truppa le assicurazioni del Comando Supremo sulla debolezza del nemico. All’improvviso Hrunkner ripensò alla cura con cui aveva chiuso le tende. — Anche lei prova il mio stesso disagio, non è così?
Per un momento lei parve sul punto di dare una risposta irosa. Poi disse: — Hai ragione, sergente. Come ho detto, ci sono degli istinti contro cui dobbiamo lottare. — Scrollò le spalle. — A ogni modo mio marito non se ne preoccupa. O piuttosto, le sue stesse paure lo affascinano, come un altro enigma da studiare. Ogni giorno va sul fondo del cratere e osserva. Fa esperimenti perfino con le guardie del corpo e il suo insetto-guida. Anche oggi sarebbe stato là tutto il pomeriggio, se non fosse stato per la novità che gli hai portato.
Hrunkner sorrise. Sherkaner era un argomento di conversazione più sicuro. — Lui è fatto così. Ha visto come gli brillavano gli occhi parlando di quella polvere di roccia? Mi domando cosa sarà capace di tirarne fuori. Cosa succede quando si mette una bacchetta magica in mano a chi riesce a fare miracoli anche senza?
Victreia Smait parve cercare le parole.
— Sapremo tutto di quella polvere, questo è sicuro. Alla fine. Ma… diavolo, Hrunkner, tu meriti di esserne informato. Sei stato accanto a mio marito fin dal giorno che l’ho conosciuto io. Hai notato come sta peggiorando il suo tremito? La verità è che non sta invecchiando bene come molti della sua generazione.
— Ho notato che è più fragile. Ma consideri i risultati che ha ottenuto a Principalia in questi anni. Ha lavorato più intensamente che mai
— Sì, anche se non di persona. Nel corso degli anni ha messo insieme un esercito di studiosi geniali. Sono centinaia, sparsi sulla rete di computer.
— Ma… perché tutti quegli articoli firmati Anonimo Scopritore? Ho pensato che Sherkaner e i suoi studiosi stiano diventando timidi.
— Quella firma? No… molti dei suoi studiosi preferiscono restare anonimi, tutto qui. Mettono in pubblico ipotesi sulla rete di computer. È solo un gioco intellettuale, un po’ infantile.
Infantile o no, aveva prodotto risultati stupefacenti. Negli ultimi anni Anonimo Scopritore aveva fatto fare grossi passi avanti al nucleare, all’informatica, e soprattutto alle tecniche di produzione industriale.
— Mio marito sta invecchiando male, questa è la realtà.
Era difficile crederlo. — Poco fa mi è sembrato quello di sempre. Mentalmente, intendo. Le idee scaturiscono dalla sua testa come scintille. — Una dozzina di strane idee ai minuto, quando è lanciato. Hrunkner sorrise fra sé, al pensiero. Fantasia, il tuo nome è Underhill.
Il generale sospirò, e la sua voce si fece lontana come se parlasse dei personaggi di un romanzo e non della sua tragedia personale. — Mio marito ha avuto migliaia di idee folli, e un certo numero di idee vincenti. Ma è… cambiato. Negli ultimi tre anni ha lasciato perdere tutto e si occupa di sciocchezze. Figurati che da mesi non pensa altro che alla videomanzia, un argomento in cui non c’è niente di nuovo da dire. Ha ancora il vecchio entusiasmo, ma… — La sua voce si spense, mestamente.
Per quasi quarant’anni Victreia Smait e Sherkaner Underhill erano stati una squadra. Lui produceva valanghe di idee, e lei portava avanti le migliori per il progresso dell’Alleanza. Sherkaner gli aveva descritto la cosa in termini coloriti, quando lottava per affermare il concetto che l’intelligenza artificiale era l’onda portante del futuro: «Io sono il componente elettronico che genera le idee, lei il meccanismo che cerca gli errori. Insieme siamo la cosa più efficiente che cammini su dieci gambe». E insieme avevano trasformato il mondo.
Ma ora… se la squadra aveva perso il suo genio, cosa sarebbe successo? La mente di Sherkaner aveva spinto sulla strada giusta il generale. Senza le doti del marito, a lei restavano solo le sue: coraggio, lucidità, perseveranza. Sarebbe bastato?
Victreia Smait non disse nulla per molti minuti. E Hrunkner fu tentato di alzarsi e metterle un braccio intorno alle spalle… ma un sergente non poteva far questo a un generale.
Gli anni erano trascorsi, e il pericolo era aumentato. Testarda più di ogni essere umano che Pham avesse mai conosciuto, Anne Reynolt continuava a indagate e analizzare. Finché possibile lui evitava di manipolare le testerapide. Aveva perfino organizzato certe sue operazioni perché andassero avanti mentre lui era fuori Turno, in sonno freddo; questo era rischioso, ma gli consentiva di non essere coinvolto nelle più azzardate. Non era servito a molto. Ormai sembrava che la Reynolt avesse sospetti concreti. I localizzatori usali da Pham gli confermavano che la donna stava intensificando le ricerche, e stringeva il cerchio intorno a un indiziato… molto probabilmente Pham Nuwen. Non c’era modo di mandarla fuori pista. Qualunque fosse il rischio della cosa, Anne Reynolt doveva essere eliminata. La cerimonia di apertura del nuovo “ufficio” di Nau, una residenza comprendente un parco alberato e un laghetto sotterraneo, poteva essere una buona occasione, la migliore che gli si sarebbe mai presentata.
Braccio Nord era il nome con cui lo chiamava Tomas Nau. Per la maggior parte degli altri — i Qeng Ho che ci avevano lavorato, comunque — quello era più semplicemente il Parco. Ora l’intero personale attualmente di Turno avrebbe avuto modo di ammirare l’opera completa.
La folla comprendeva già praticamente tutti quando Nau apparve sulla veranda della sua abitazione privata, rivestita in legno autentico. Indossava un’aderente blusa verde, metallizzata, e pantaloni a sbuffo dello stesso colore. — Salve gente. Tenete i piedi bene al suolo… non vi sarà difficile, perché la mia Qiwi ha inventato un suolo tutto particolare per il Braccio Nord. — Stava sorridendo, e la gente rise. Su Diamante Uno la gravità era qualcosa di teorico. Intorno alla casa il terreno era zigrinato con una singolare tecnica che consentiva l’aderenza alle suole di tipo consueto, e infatti tutti avevano i piedi al suolo, ma il concetto di alto e basso esisteva solo a livello di accordo comune. Accanto a lui, sulla veranda, Qiwi ridacchiava alla vista di centinaia di persone tutte in piedi, che però oscillavano qua e là come ubriache. Una gattina di pelo nero le stava accoccolata su una spalla.
Nau alzò una mano. — Signore e signori, amici. Oggi pomeriggio voglio che vi divertiate e ammiriate ciò che voi avete realizzato qui. E che pensiate a come ci siete arrivati. Trentotto anni fa ci siamo quasi autodistrutti in una battaglia nata da un malinteso. Per molti di voi non è un’epoca così lontana, solo dieci o dodici anni di vita soggettiva. Ricorderete che io paragonai quel momento all’Era della Pestilenza, su Balacrea. Avevamo distrutto molte delle nostre risorse, quasi annientando la nostra capacità di sopravvivere nello spazio. Io vi pregai di accantonare ogni animosità e di lavorare insieme, dimenticando le differenze culturali… ebbene, amici miei, lo abbiamo fatto. Non siamo ancora liberi dal pericolo fisico; il nostro destino è ancora legato a ciò che sapremo fare coi Ragni. Ma guardandovi attorno oggi potete vedere che il progresso c’è stato. Voi avete costruito tutto questo, partendo dal ghiaccio e dalla nuda roccia. Il Braccio Nord, il Parco, non è troppo grande ma è un capolavoro di ingegneria. Guardatelo. Qui abbiamo qualcosa che rivaleggia con molte realizzazioni della civiltà umana.
— Io sono orgoglioso di voi. — Circondò con un braccio le spalle di Qiwi, inducendo la gattina a spostarsi fra le braccia di lei. Una volta la relazione fra Nau e la ragazza Lisolet aveva generato aspri commenti e battute sarcastiche. Ora… Pham s’accorse che tutti li osservavano sorridendo. — Ciò che vedete qui è più di un piccolo parco, più di una dimora privata di un caponave. Qui vedete la prova che i Qeng Ho e gli Emergenti unendosi possono offrire qualcosa di nuovo all’universo umano. Le persone focalizzate del nostro gruppo… — Pham notò che le chiamava “persone”, e senza il solito tono sprezzante. — …Hanno approntato i dettagli tecnici di questo luogo. La capacità lavorativa e l’ingegno Qeng Ho ne hanno fatto una realtà. E io personalmente ho imparato una cosa: su Balacrea e su Frenk e su Gaspr noi Dirigenti governiamo per il bene della comunità, ma siamo indotti a usare la forza della legge per convincere la gente. Qui, collaborando con voi ex Qeng Ho, io ho visto l’altra strada. So che vi siete fatti pagare con quella strana cartamoneta che mi avete tenuto sempre nascosta. — Nau alzò le mani mentre parecchi gettavano in aria i buoni-acquisto e i “pagherò” firmati quasi tutti da Qiwi. Molti risero. — Dunque pensate! Ecco un esempio di ciò che il governo di un Dirigente e l’intraprendenza Qeng Ho potrà fare, quando avremo compiuto la nostra missione!
Nau s’inchinò in risposta all’applauso entusiasta. Qiwi gli passò davanti appoggiandosi alla balaustra e l’applauso si fece più forte. La gattina balzò via dalle sue braccia e fluttuò verso la gente; allargò le sue morbide ali, deviò in un ampio semicerchio e tornò verso la sua padrona. — Guardate un po’… Miraow ha il permesso di volare, qui. ma lei ha le ali. Voi no. — L’animale fece un’altra deviazione e volò verso la boscaglia che orlava la riva su quel lato. — Ora vi invito a passare sul lato della casa del caponave per i rinfreschi.
Alcuni degli ospiti erano già là; gli altri li raggiunsero intorno ai tavoli, che sembravano curvi sotto il peso delle vivande poggiate su di essi. Pham si spostò con loro vociando “alla Trinli” con questo e quello, e stimolandoli a replicare con battute di spirito. Era importante far notare la sua presenza lì a quante più persone possibile. Nel frattempo, nel retro dei suoi occhi, minuscole microspie gli costruivano un quadro tattico del parco intorno al lago.
Per un poco ai tavoli ci fu affollamento, ma ormai l’etichetta appresa al bar di Benny aveva creato comportamenti ordinati. In pochi minuti quasi tutti ebbero il loro cestino con cibo e bevande, e si sparsero nello spazio aperto. Pham vide che nei pressi c’era Benny e andò a mollargli una gran pacca sulle spalle. — Ehi, Benny! Questa roba è veramente buona. Strano… credevo che fossi tu a fornire il mangime.
Benny Wen sorrise, fulminandolo con lo sguardo. — Sì capisce che è roba buona, e sì capisce che è roba mia… mia e di Gonle. — Accennò col capo alla loro addetta ai servizi, sulla sua sinistra. — In realtà, il padre di Qiwi ha dato una mano con certa roba nuova che ha trovato nella biblioteca. È da tempo che la mettiamo da parte, apposta per questa inaugurazione.
Pham si spinse verso l’alto. — Io ho fatto un bel po’ del lavoro all’esterno. Qualcuno doveva occuparsi dell’acqua per il lago del caponave e supervisionare tutto quanto il lavoro.
Gonle Fong inarcò un sopracciglio. — La mia parte del lavoro me la sono supervisionata da sola — lo corresse. — Tutti hanno dovuto fare qualcosa. Comunque, da oggi la mia fabbrica è appoggiata dal caponave, ufficialmente. E abbiamo avuto della vera automazione, qui sotto.
— Vuoi un interfaccia migliore? — disse Pham.
— Puoi scommetterci. E oggi sono io la responsabile del servizio. — La donna alzò drammaticamente una mano e un vassoio volò subito verso di lei. L’oggetto restò a fluttuarle davanti mentre lei si serviva di alghe speziate, poi si mosse verso Pham e Benny. Le piccole spie di Pham lo studiarono da tutte le direzioni, Era un oggetto semplice, ma si muoveva con strano intuito, anzi con palese intelligenza. Anche Benny se ne accorse. — È controllato da una persona focalizzata? — domandò, tristemente.
— Uh, sì. Il caponave ha pensato che ne valesse la pena, data la circostanza. — Anche Fong, come Qiwi, era stata comprata anima e corpo dalle astuzie di Nau.
Pham guardò gli altri vassoi. Si spostavano fra i tavoli in lente evoluzioni scegliendo gli ospiti che ancora non avevano nulla da bere. Impeccabile. Gli schiavi erano diplomaticamente tenuti fuori vista, e la gente poteva fingere che davvero il Focus offrisse alla civiltà un passo in avanti. Ma gli Emergenti hanno ragione in questo, dannati loro!
Pham ammise quel progresso indirizzando una battuta di cattivo gusto a Gonle Fong, in carattere con “quel vecchio trombone di Trinli”, poi si allontanò verso la periferia della folla occupata a mangiare e conversare. Ritser Brughel in quel periodo non era di Turno, un’altra delle sottigliezze di Tomas Nau. Molta gente stava ormai del tutto dalla parte del caponave, ma Brughel dava ancora sui nervi a tutti… e se la Reynolt stava facendo lavorare come camerieri alcune testerapide della sorveglianza quella era un’occasione da non perdere. Vediamo, dov’è la Reynolt, adesso? Quella donna non era mai dove uno si aspettava. Pham girò lo sguardo sul parco. Lì c’erano milioni di localizzatori. Quelli adibiti alla stabilità del lago e alla ventilazione avevano molto da fare, ma restava ancora libera un’immensa capacità di computazione. Impossibile per un uomo solo esaminare tutte le immagini e i dati che stavano raccogliendo. Aha, eccola! Non una ripresa ravvicinata, ma nei locali più interni dell’abitazione di Nau, forse nella clinica del Focus, c’era una bionda alta in tuta bianca. Come Pham si aspettava, non era ancora andata al ricevimento. Aveva sulla faccia un visore di tipo non Qeng Ho, e i suoi occhi erano seminascosti da immagini e cifre. Sembrava sempre la stessa, attenta, professionale, sul punto di intuire qualcosa di importante. E per quanto ne so è davvero così.
Qualcuno gli mollò una pacca sulla schiena, energica come quella che lui aveva dato a Benny. — E allora, uomo, che ne pensi?
Pham scacciò le immagini dagli occhi e si girò verso l’assalitore: Trud Silipan, vestito a festa per la circostanza.
— Sì, cosa ne pensa, armiere Trinli? — disse Ezr Vinh, uscendo da dietro una pianta. — Di tutti i Qeng Ho lei è il più anziano, quello che ha viaggiato di più. Chissà quanti parchi Qeng Ho ha visto. Quello del nostro buon caponave Nau regge il paragone?
Nelle parole di Vinh c’era un doppio senso che irritò Pham. Tu sei una delle ragioni per cui devo ammazzare la Reynolt, dannato rompiscatole. Le storie vere o inventate su Pham Nuwen erano diventate il suo hobby. Da ormai un anno era chiaro che il giovane conosceva i fatti reali accaduti a Brisgo Gap, e che aveva capito ciò che lui intendeva fare col Focus. Le sue richieste di garanzie e di rassicurazioni erano diventate sempre più insistenti e precise. I localizzatori dipingevano una luce assurda sulla faccia di Vinh, leggendo la sua temperatura e la pressione sanguigna. L’ostilità verso Brughel e Nau lo dominava, sovrastando la diffidenza che ora provava per Pham Nuwen. Pham poteva ancora usarlo, ma la sua scarsa capacità di autocontrollo era una delle ragioni per cui la Reynolt doveva essere eliminata.
Il parco sotterraneo era senza dubbio un capolavoro. — Questo posto è un tresarnis — rispose Pham, con una smorfia schizzinosa.
Silipan si accigliò. — Un cosa?
Vinh spiegò: — È gergo da intenditori di parchi artificiali. Significa che si è ottenuto il massimo dalle caratteristiche locali.
— Ah, sì — annuì Silipan, sulla difensiva. — Lo sapevo anch’io. Be’, il massimo si è ottenuto. Il caponave non poteva accontentarsi di meno. Guardate che roba: un grande parco a microgravità, che però imita la superficie di un pianeta a gravità normale. Questo infrange tutte le regole dell’estetica… ma sapere come infrangere le regole è ciò che contraddistingue un buon Dirigente.
Pham scrollò le spalle e continuò a spilluzzicare i rinfreschi di Gonle Fong, scrutando pigramente la boscaglia. La cima delle colline era un trucco ottico tutto intorno alla parete della caverna, molto efficace. Gli alberi, alti dai dieci ai venti metri, avevano il tronco incrostato di muschio umido. Ali Lin li aveva fatti crescere in tende-incubatrici sulla superficie di Diamante Uno prima di trapiantarli lì. Un anno addietro erano alti tre centimetri; ora sembravano vecchi di secoli. La brezza umida sembrava provenire da migliaia di chilometri di distanza. C’erano costruttori di Parchi capaci di ottenere la perfezione sotto due o tre aspetti tecnici; il parco del caponave era perfetto a tutti i livelli. Centimetro per centimetro era un’opera d’arte, come i bonsai di Namquem.
— Sì, credo di avere motivo di esserne fiero — continuò Silipan. — Il caponave ha avuto il merito di idearlo, ma è stato il mio lavoro sui sistemi automatici che ha consentito ogni miglioramento.
Pham sentì la rabbia salire in Ezr Vinh. Senza dubbio era in grado di controllarla, ma un buon annusatore se ne sarebbe accorto. Diede di gomito a Vinh nelle costole, per distrarlo, e latrò la risata che era il marchio di fabbrica di Trinli. — Hai capito, Ezr? Trud, tu stai dicendo che a fare il lavoro sono state le persone focalizzate che tu dirigi. — E dirigere era un verbo ridicolo. Silipan era appena un inserviente. Ma dirlo sarebbe stato offensivo, e Silipan non dimenticava mai un insulto.
— Uh, sì, le testerapide. Non è quello che ho detto?
La gente stava cominciando a spostarsi sulla riva del lago. Qualcuno faceva commenti sulla gattina di Qiwi, osservando che era inutile fornire ali ad animali che non avrebbero mai imparato a volare in modo corretto. Ma l’attenzione di tutti si spostò su Rita Liao e su Jau Xin, che stavano cercando di salire a bordo della barca a remi di Nau. Il natante, a fondo piatto, era mantenuto a contatto dell’acqua da qualche espediente tecnico, ma a zero-G l’operazione si presentava complicata. A un certo punto Rita perse l’appiglio e cominciò a fluttuare via sulla testa del compagno, che cercava vanamente di afferrarla. La gente rise. Un paio di persone finirono nell’acqua, forse spinte da qualcun altro.
È il momento di agire. I suoi programmi dissero a Pham che nessuno dei presenti stava guardando verso di lui. Le sue sonde nei sistemi di sorveglianza di Nau gli confermarono che nessun annusatore si occupava di lui in quel momento, e gli giunse un’altra immagine di Anne Reynolt che si sdraiava su un letto, in casa di Nau. Bene. Pham accecò tutti i localizzatori per qualche momento e si addentrò fra la vegetazione. Un paio di modifiche nelle registrazioni e ci sarebbe stata la prova che lui era rimasto lì per tutto il tempo necessario a fare quel che doveva e tornare indietro. La cosa era sempre molto incerta e piena di rischi. Ma togliere di mezzo quella donna è vitale.
Con le sole mani s’inerpicò su per la parete di fondo, attento a restare dietro i cespugli. Anche lì l’arte di Ali Lin era evidente. La collina avrebbe potuto essere semplicemente dipinta sul diamante grezzo, ma lui aveva usato roccia autentica prelevata dal mucchio delle materie prime assemblandola con una capacità artigianale e un occhio per la prospettiva che non erano parte del bagaglio tecnico di un comune costruttore di parchi. Tutto dimostrava che il Focus consentiva a una persona di usare a fondo le sue capacità. Usarlo è giusto.
L’ingresso del tunnel era pochi metri più in alto. Pham mandò una dozzina di localizzatori a fluttuare là, per avere un’immagine della porta. Una parte della sua attenzione era rimasta sulla gente in riva al lago. Una dozzina di persone stavano formando una catena umana per recuperare Rita Liao, sei o sette metri ai di sopra del molo. In qualche modo riuscirono a riportarla giù, a contatto dell’albero intorno al quale Jau Xin lavorava per stendere la vela. Appena la barca prese un po’ di vento si staccò di mezzo metro dalla superficie dell’acqua, ma nonostante quell’imprevisto la gente rise e applaudì, perché la barca era ormeggiata al molo con due corde e Xin sembrava sapere il fatto suo.
Pham si spinse nell’imboccatura del tunnel. Le sonde spedite più avanti gli rimandavano un’immagine del portello a cui stavano già lavorando. Tutto in quel parco era compatibile coi localizzatori, grazie al cielo. Il battente metallico si aprì in silenzio, e quando lui fluttuò dentro gli bastò un gesto per chiuderlo.
Adesso aveva duecento secondi o poco più.
Le sue piccole spie gli mostrarono che si trovava a una trentina di metri dal nuovo ingresso della clinica del Focus. La Reynolt doveva aver raggiunto Nau al ricevimento. Anche i tecnici MRI erano là. Questo gli avrebbe dato il tempo necessario per entrare nella clinica e operare il sabotaggio.
Sabotaggio? Pham si spinse avanti. Sii onesto. Era un omicidio. No, è un’esecuzione. Anzi, un atto di guerra contro un nemico. Lui aveva già ucciso gente in combattimento, e non solo da lontano al termine della traiettoria di un missile. Questa è la stessa cosa. Perciò che importava se la Reynolt era un robot focalizzato, una schiava di Nau? C’era stato un tempo in cui la sua perversità era stata frutto di libera scelta. Pham sapeva poco del partito politico Xevalle, ma abbastanza per essere certo che non differiva molto dagli avversari che l’avevano sconfitto. Un tempo in cui Anne Reynolt era stata come Ritser Brughel, solo molto più intelligente e pericolosa di quel gaglioffo. Brughel sarebbe stato schiacciato dal Focus, la Reynolt era riuscita a conservare abbastanza vitalità da tenere in rispetto perfino lui. Eliminarla avvicinava Pham di un passo alla distruzione del regime Nau/Brughel. Un giorno avrebbe fatto irruzione nella Mano invisibile e messo fine all’orrore che i due Dirigenti avevano organizzato là. Ciò che faccio alla Reynolt è diverso, impersonale.
Le sue dita sfiorarono rapide il tastierino. La porta si apri senza rumore e lui fluttuò nel piano inferiore della clinica. I locali erano tutti vivamente illuminati, però i dati che i localizzatori gli mandavano erano scomparsi. Si mosse con cautela, come un uomo diventato improvvisamente miope. I localizzatori che s’era portato dietro e quelli che aveva addosso sfrecciarono avanti e gli diedero altre immagini del luogo. La presenza dei MRI significava vita breve per quegli apparecchi. Quando i grossi magneti erano accesi, pochi minuti bastavano per mandare fuori-fase i microcircuiti.
Ma Pham non aveva nessuna intenzione di accendere i MRI, e le sue piccole spie sarebbero rimaste in vita per tutto il tempo necessario a montare la trappola. A quel che affermava Trud Silipan, le unità MRI erano accuratamente schermate da un campo magnetico, senza il quale non avrebbero agito soltanto sulla testa del focalizzato disteso sul lettino ma anche sul virus cerebrale di tutti i focalizzati presenti nella stanza. Bastava staccare un filo, e alla prossima accensione del macchinario il manovratore avrebbe ricevuto una dose massiccia della stessa irradiazione del paziente. I tecnici non-focalizzati non si sarebbero accorti di niente, ma per il virus nell’encefalo della loro direttrice sarebbe stato diverso.
Anne Reynolt avrebbe avuto un gravissimo incidente cerebrale, non appena avesse partecipato di persona a un trattamento.
Pham cominciò a smontare il pannello di controllo di una delle unità MRI. Forse c’era la possibilità di installare un programma che riconoscesse la Reynolt, non appena fosse entrata nella stanza, e accendesse automaticamente l’apparato anche senza che ci fosse un paziente da trattare…
Da quando era penetrato nella clinica i suoi localizzatori si erano sparsi in altri locali. Era come se angoli bui si illuminassero uno dopo l’altro. Pham li lasciò in disparte e si occupò solo dell’immagine trasmessa dal localizzatore che stava esaminando i circuiti.
A un tratto ci fu un movimento. Qualcosa, forse un essere umano vestito di giallo era passato davanti a un localizzatore da qualche parte. Poi una presenza sbucò nel corridoio esterno e si accostò alla porta. Con un’imprecazione Pham si tuffò su un’unità MRI, proprio mentre qualcuno entrava.
Una voce di donna: — Fermo dove ti trovi, sono armata!
Era Anne Reynolt. La bionda si spostò in alto, presso il soffitto, dove lui non poteva raggiungerla con un sol balzo. Aveva in mano un oggetto che poteva essere un’arma di qualche genere.
— Indietreggia verso il muro con le mani bene in vista. Non fare scherzi o sparo.
Per un momento Pham fu tentato di rischiare tutto in un assalto frontale. L’arma della donna non sembrava una pistola, ma era probabile che fosse un telecomando collegato a un proiettore. E l’unica opzione valida era affidarsi alla violenza e alla velocità, visto che quello era l’unico posto libero dai localizzatori degli Emergenti. Nessuno stava osservando ciò che accadeva lì. Pham decise di fare ciò che gli era stato ordinato.
La Reynolt si abbassò, uncinandosi con un piede a una scrivania. Il telecomando che aveva in mano era puntato verso di lui. — E così, signor Trinli, finalmente viene allo scoperto. È un piacere vederla senza maschera. — Con la mano libera si scostò i capelli dalla fronte. Il visore che portava davanti agli occhi era spento, e c’era qualcosa di strano in lei. Pallida e fredda come sempre, non era più indifferente o spazientita. Appariva soddisfatta, forse arrogante, e sulla sua bocca c’era perfino l’ombra di un sorriso.
— Lei aspettava che qualcuno si introducesse qui approfittando dell’occasione, vero, Anne? — Pham notò che non indossava la tuta bianca di poco prima, bensì blusa e pantaloni verdi. La Anne Reynolt che lui aveva visto nella casa di Nau non era mai esistita. La donna aveva ingannato i suoi localizzatori con una rozza proiezione, e ciò significava che era al corrente del loro uso da parte di un estraneo.
Lei annuì. — Sì. Non sapevo che si trattava di lei, ma da tempo era chiaro che qualcuno stava manipolando i miei sistemi. L’anno scorso credevo che fosse Brughel, o Kal Omo, coi loro continui giochetti politici. Lei era solo una voce nell’elenco, un tipo che capitava spesso vicino ai fatti più significativi. La mia ipotesi era che lei fosse un furbacchione che si divertiva a giocare al vecchio sciocco, ma… ora vedo che lei è qualcosa di più, signor Trinli. Credeva davvero di potersi beffare per sempre delle nostre misure di sorveglianza?
— Io… — La visione di Pham tornò fuori dalla clinica, sul parco e sul lago. Il trattenimento proseguiva. Tomas Nau e Qiwi avevano raggiunto Jau Xin sulla barca a vela. Pham zumò sulla faccia di Nau: non portava lenti video, all’apparenza. Non sembrava un uomo che sovrintende a un’imboscata in corso altrove. Non sa che la Reynolt e io siamo qui! — Temevo infatti che non avrei imbrogliato a lungo i vostri sistemi… soprattutto lei.
La bionda annuì. — Immaginavo che chiunque fosse a ingannarci mi avrebbe considerato un bersaglio. — Spostò lo sguardo sul pannello aperto dell’apparecchiatura. — Lei sapeva che io dovrò sintonizzare alcuni focalizzati entro il prossimo Msec, vero?
— Sì.– Ma non sapevo che sintonizzare te fosse così urgente.
In Pham tornò la speranza. Anne Reynolt si stava comportando con la sicurezza idiota di un personaggio da romanzo. Non aveva informato il suo capo che lei era lì. Probabilmente non c’era nessuno pronto a spalleggiarla. E ora fluttuava lì, parlando con lui! Falla parlare! — Pensavo di sabotare i circuiti di questa macchina. Così il magnete non si sarebbe attivato al momento dell’accensione…
— E il mio cervello sarebbe stato investito da una scarica tale da destabilizzare il virus? Molto rozzo, ma molto fatale, signor Trinli. Tuttavia lei non è abbastanza esperto da programmare questa emissione sulla mia presenza. No?
— No, e non ne avrei avuto il tempo. — Ha delle emozioni. Questo è nuovo per lei, è sbilanciata. Colpiscila nelle emozioni. — Ma lei deve morire. Lei e Nau e Brughel siete i veri mostri, qui. E per il momento lei è l’unica che io posso raggiungere.
Il sorriso di lei si allargò. Probabilmente erano decenni che non sorrideva. — Lei è un perdente.
— No, lei lo è. Una volta lei era una Dirigente proprio come loro. Il guaio fu che lei perse. O l’ha dimenticato? Ricorda il partito Xevalle?
L’arrogante sorriso della bionda si spense, e la sua espressione tornò fredda e distaccata. Poi scosse il capo. — Io non dimentico mai niente. Lei ha ragione, io ho perso… ma ciò accadde quindici anni prima che nascesse il partito Xevalle. E quelli contro cui combattevo erano tutti i Dirigenti. — Si mosse verso di lui, continuando a tenere l’oggetto puntato sul suo petto. — Gli Emergenti avevano invaso il pianeta Frenk, la mia patria. Io ero una studentessa all’Università di Arnham… i miei compagni presero le armi e io andai con loro, sulle montagne. Per quindici anni ci battemmo contro gli invasori. Loro avevano la tecnologia, il Focus, i satelliti. Noi avevamo il numero, all’inizio. Fummo sconfitti, e continuammo a essere sconfitti, ma li costringemmo a pagare per ogni vittoria. Alta fine eravamo meglio armati, ma ormai ridotti in pochi. Io fui accusata di orrendi massacri dalla loro propaganda. Dopo la mia cattura non ci fu più nessuno a lottare.
Lo sguardo negli occhi di lei era duro. Pham capì che stava sentendo la storia degli Emergenti narrata da chi non aveva potuto scriverla. — Lei… lei è quella che chiamavano la Macellala di Frenk!
Il sorriso della Reynolt riapparve un momento, quando si fermò di fronte a lui. — Sì, i Dirigenti sapevano sfruttare bene le reti di informazione. La “Macellala di Frenk” era più facile da mettere alla berlina che Anne di Arnham. Salvando Frenk da una massacratrice riuscirono a far accettare il Focus, e il toro governo.
Signore Iddio. Ma una parte di lui, automatica, stava continuando a fare i suoi calcoli. Pham si spostò un po’ più a destra e puntellò un piede contro la base del muro.
La Reynolt smise di avvicinarsi. Mirò alle sue gambe con l’oggetto che aveva in mano. — Non ci provi, signor Trinli. Questo è un puntatore collegato al magnete di un MRI, e nel cilindro del magnete ci sono delle sferette d’acciaio. Possono esploderne fuori come da un fucile a pallettoni e portarle via tutte e due le gambe.
Pham spedì un localizzatore a guardare nel cilindro di un magnete. Sì. le sfere c’erano, e con l’impulso adatto potevano diventare veri proiettili. Ma il programma, se era collegato al puntatore… occhi microscopici esplorarono l’interfaccia del telecomando. Lui aveva abbastanza localizzatori da bloccare il ricevitore del segnale e rendere quell’oggetto inutile come un sasso. Lei non sa ancora cosa posso fare a questo livello! La speranza si gonfiò di colpo.
Si sfregò le dita, mandando segnali ai minuscoli meccanismi per metterli al lavoro. Alla Reynolt questo sarebbe apparso solo un gesto di nervosismo, — Nonostante questo lei è fedele a Nau?
— Si capisce. Come potrebbe essere altrimenti?
— Ma qui sta lavorando a sua insaputa.
— Solo per servirlo meglio. Se questo caso sarà assegnato a Ritser Brughel, io voglio documentare il rapporto con tutte le prova prima di presentarlo al caponave…
Pham si spinse via dal muro. Sentì il click del puntatore della Reynolt che scattava a vuoto un attimo prima di piombarle addosso. Andarono a rimbalzare contro il retro di un’unità MRI scambiandosi colpi furibondi, e la donna cercò di colpirlo all’inguine e alla gola. Ma non poteva farcela contro un uomo. Pham le afferrò la testa e le fece sbattere la nuca contro l’apparecchiatura, con forza.
La Reynolt diventò inerte. Lui attese qualche secondo, pronto a colpirla ancora.
Rifletti, Il ricevimento al Braccio Nord era ancora in corso, più idilliaco che mai. Il timer di Pham diceva che lui si trovava lì dentro da soli 250 secondi. Posso ancora farcela! Era necessario apportare parecchie modifiche al piano. Il colpo alla nuca della Reynolt sarebbe risultato all’autopsia, ma (miracolo!) l’abito di lei non recava traccia di lotta. Pham andò a togliere le sfere d’acciaio dal magnete del MRI e le mise in una scatola, su uno scaffale. Forse era possibile salvare qualcosa del piano originale. Supponiamo che lei stesse ricalibrando qualcosa e abbia avuto un incidente…
Pham mise il corpo di lei sul lettino dell’unità MRI e le riordinò capelli e blusa, scrutandola in cerca di una reazione fisica. Sembrava del tutto incosciente, ma gli svenimenti in seguito a colpi alla testa erano solitamente molto brevi.
La Dirigente del partito Xevalle, Il mostro. La Macellaia di Frenk. Dannazione. Anne Reynolt non era nessuna di queste cose. Una donna alta e snella, umana quanto lui e ogni altro lontano discendente dell’umanità terrestre.
Ora alcune storie scolpite sulle pareti di Hammerfest avevano una traduzione che da quei bassorilievi certo non si intuiva. Scene di genocidio, sulle quali campeggiava la figura di una donna. Chissà che non fosse stata quella storia a ispirare Nau, quando s’era presentata l’occasione di attribuire un massacro a chi stava lottando per la sua gente, e ad usarlo per meglio sottomettere i Qeng Ho. Chissà se Anne Reynolt s’era accorta dello strano destino che la legava a Jimmy Diem.
Ma lei non era morta. La sua intelligenza era stata asservita al Focus. E adesso era il maggiore pericolo per Pham e ciò per cui lavorava. Cosi ora doveva morire…
Trecento secondi. Svegliati. Pham richiuse il pannello di comando dell’unità MRI e batté istruzioni sui tasti. Sapeva cosa fare. Un semplice spruzzo di microonde e i miliardi di virus nel cervello della Reynolt avrebbero cominciato a degenerare, un processo di regressione che sarebbe stato fatale.
Il volto di lei, nell’incoscienza, era rilassato; sembrava che dormisse. Non c’erano lividi né graffi. Anche la catenella d’argento intorno al suo collo era intatta, benché fosse uscita dalla blusa.
Pham vide che aveva un pendente, uno di quei dischetti di cristallo verde larghi come una moneta che gli Emergenti chiamavano “gemme della rimembranza”. Non poté reprimere la tentazione; lo prese fra le dita e lo accarezzò un momento. Questo bastò per far apparire l’immagine, e Pham vide prendere forma il pendio di una montagna. Sembrava una fotografia scattata da un velivolo in procinto di atterrare, e intorno a esso ce n’erano altri che già avevano toccato il suolo. Le canne delle loro armi a energia erano puntate verso una fortificazione in rovina, e fra quei muri abbattuti c’erano alcuni feriti in attesa della cattura: due uomini accasciati al suolo, e una giovane donna bionda con un fucile in mano. Trud gli aveva detto che le gemme della rimembranza rappresentavano un momento di felicità finalmente raggiunta, di trionfo. E forse era stato cosi per l’Emergente che aveva scattato quella foto. La ragazza della foto (era sicuramente Anne Reynolt) aveva perduto tutto, e si aspettava qualcosa di peggio e di più umiliante della morte. Ma si teneva eretta e guardava negli occhi i suoi nemici e il suo destino.
Pham lasciò ricadere la gemma e per un momento continuò a guardarla senza vederla. Poi spense il quadro di comandi dell’unità MRI e lo riaccese. Stavolta batté un’altra sequenza di comandi, molto più lunga e complicata, quindi regolò l’intensità dell’emissione al minimo. Non fu facile; non aveva immaginato di trovarsi a eseguire un’operazione del genere. Se tutto andava bene, la Reynolt avrebbe soltanto perduto un certo ammontare della sua memoria conscia più recente. Trenta o quaranta Msec. E poi ricomincerai a indagare su chi sta mettendo le mani nei vostri sistemi.
Mandò in esecuzione la sequenza. I cavi SC colmi di fluido speciale convogliarono un flusso di energia ai magneti dell’unità MRI. Trascorse un secondo, e i localizzatori che gli inviavano immagini e dati cessarono di funzionare. Il corpo di Anne Reynolt ebbe un lieve sussulto. Lui la tenne ferma.
I fremiti di lei cessarono dopo alcuni secondi; il respiro si fece lento e rilassato. Pham spense l’apparecchiatura. Spostala dal tavolo. Lasciarla qui sarebbe sospetto. D’accordo. Le scostò i capelli biondi dalla fronte, con una smorfia. Forse aveva fatto un errore, forse l’aveva uccisa; non poteva esserne sicuro.
Poi si volse e uscì dalla clinica, percorse in fretta il tunnel e fece ritorno al ricevimento in riva al lago.
L’ambiente a imitazione gravitazionale del Braccio Nord era stato la più grossa realizzazione di quel Turno. Non ci sarebbe stato niente di altrettanto notevole fino al termine dell’Esilio. Perfino i Qeng Ho che l’avevano reso possibile col loro lavoro erano stupiti di aver ottenuto tanto con risorse così limitate. Forse c’era qualcosa di vero nelle dichiarazioni di Nau sulla bontà del Focus.
Il trattenimento proseguì anche quando Jau Xin ebbe riportato la barca al molo. Almeno tre persone finirono nell’acqua durame le operazioni di ormeggio, e sciami di gocce d’acqua volarono via verso gli alberi come una pioggia fuori programma. Poi il caponave chiese agli ospiti di tornare alla veranda e lasciare stabilizzare la superficie del lago. Alcuni esagerarono con i dolciumi creati risparmiando su sostanze alimentari meno pregiate; altri, fra cui spiccò Pham Trinli, esagerarono con le bevande e fecero la figura degli sciocchi.
Alla fine tutti se ne andarono e la porta sul versante delle colline si chiuse dietro di loro. Dentro di sé Ezr era certo che quella era l’ultima volta che l’equipaggio sarebbe stato invitato nella proprietà privata del caponave. L’equipaggio aveva fatto dei sacrifici anche per organizzare la festicciola, e Qiwi s’era goduta ogni momento dell’inaugurazione, ma verso la fine Nau non ne poteva più dalla voglia di spedirli fuori dai piedi. Il bastardo era stato sottile. Con un pomeriggio di libertà e un po’ di birra e dolciumi s’era comprato la loro approvazione, perfino la loro riconoscenza. Quei decenni di tirannia non avevano fatto dimenticare ai Qeng Ho la loro cultura, ma Nau li aveva attirati in una specie di ambiguo “governo d’emergenza” dove tutti si sentivano obbligati a partecipare ma uno solo dirigeva con pugno di ferro. Il Focus è schiavitù. Ma Tomas Nau aveva promesso di liberare le testerapide al termine dell’esilio. Ezr non voleva odiare i Qeng Ho che avevano accettato la situazione. Molte società che si vantavano di essere libere accettavano qualche subdola forma di schiavitù. In ogni caso, la promessa di Nau è una bugia.
Il corpo privo di conoscenza della Reynolt fu trovato 4 Ksec dopo la fine del ricevimento. Per tutto il giorno successivo ci furono voci allarmate, notizie subito smentite, e una paura strisciante. Qualcuno affermava che la Reynolt era in stato di morte cerebrale, e che le notizie più ottimistiche erano bugie. Altri sussurravano che Ritser Brughel non fosse in sonno freddo, e che quello era stato un suo colpo a tradimento. Ezr aveva la sua teoria: dopo tutti questi anni Pham Nuwen è finalmente passato all’azione.
Venti Ksec dopo l’inizio dell’orario di lavoro le testerapide assegnate a due squadre di ricerca ebbero sintomi di regressione, episodi non gravi che la Reynolt avrebbe sistemato in pochi minuti. Phuong e Silipan si spremettero le meningi sul problema per 6 Ksec, quindi annunciarono che le testerapide interessate sarebbero state ricoverate in osservazione. Fra loro non c’erano traduttori… ma Trixia aveva lavorato a contatto di uno di loro, su una ricerca geologica. Ezr cercò di andare ad Hammerfest.
— Tu non sei sulla mia lista, egregio. — Ai portelli dei taxi c’era una guardia, uno degli scagnozzi di Kal Omo. — Hammerfest è riservata agli addetti.
— Per quanto tempo?
— Non lo so. Leggi i comunicati, quando li faranno.
E così quella sera Ezr finì per andare nel bar di Benny, con una quantità di altra gente preoccupata. Andò a sedersi al solito tavolo, con Jau e Rita. C’era anche Nuwen, e neppure lui sembrava di buonumore.
Jau Xin aveva le sue difficoltà di cui parlare. — Nei prossimi giorni la Reynolt avrebbe dovuto sintonizzare tutti i miei piloti. Non un lavoro importante, ma le cose potrebbero complicarsi molto se non provvediamo.
— Di che ti lamenti? Puoi sempre metterti una tuta a pressione e darti una spinta, se non hai voglia di pilotare da solo. Ma noi stavamo cercando di fare un’analisi della possibilità tecnica dei Ragni di arrivare nello spazio, e ora dovremo fare a meno delle nostre testerapide. Io conosco un po’ di chimica e di ingegneria, ma non posso certo impegnarmi in una…
Nuwen grugnì con forza, portandosi le mani alle tempie. — Date un taglio alle chiacchiere, gente. Io mi sto domandando dove diavolo è la superiorità di voialtri Emergenti. Una persona perde la capacità lavorativa, e tutto il vostro castello di carie crolla. Cosa c’è di superiore in questo?
Di solito Rita Liao era un carattere mite, ma l’occhiata che scoccò a Nuwen era puro veleno. — Voi Qeng Ho avete assassinato la nostra “superiorità”, se ricordi bene. Quando siamo arrivati qui avevamo un personale medico dieci volte maggiore, abbastanza per far funzionare i nostri sistemi come se fossimo in patria.
Ci fu un silenzio imbarazzato. Nuwen guardò storto Rita, ma non insisté sull’argomento. Poi sospirò e scrollò la testa con un’aria di compatimento che tutti gli riconoscevano: non sapeva replicare alla logica di quella risposta, ma nessuno lo avrebbe convinto che non aveva ragione lui.
Un richiamo dal tavolo accanto li fece voltate: — Ehi, Trud!
Silipan era entrato nel locale, e stava parlando con Benny al banco di mescita. L’uomo fluttuò verso di loro. Indossava ancora il vestito elegante del giorno prima, ma la stoffa era stropicciata e sporca, e anche lui non aveva un aspetto migliore.
La gente che non era riuscita ad andare ad Hammerfest aveva molte domande da fare a Silipan, e lo chiamava da tutti i tavoli per avere notizie. Lui tirò diritto fino a quello di Jau Xin. Non essendoci sedie restò a galleggiare nell’aria di fronte a Ezr, mentre gli avventori lasciavano gli altri tavoli e si avvicinavano, ancorandosi ai rampicanti lungo le pareti.
— Allora, Trud, quando risolverete la regressione di quelle due testerapide? Io ne ho alcune in attesa di essere sintonizzate, e voglio una risposta.
— Proprio così. Perché vieni qui a perdere tempo quando dovresti…
— Non è molto quello che si può fare con le apparecchiature di analisi, se…
— Io ho aspettato tutta la mattina una traduzione che non…
— Per il Dio di Tutti i Commerci, date a quest’uomo il tempo di aprite bocca! — tuonò la voce di Trinli, irosa e truculenta. Era un modo di fare che non piaceva a nessuno, ma in quel momento molti lo apprezzarono. Anche Ezr notò con piacere che la gente si azzittiva.
Trud Silipan guardò Nuwen con gratitudine. I tecnici non godevano di molta popolarità, quel giorno. Aveva gli occhi cerchiati, e quando si portò alla bocca il bulbo di birra preso al banco gli tremava la mano.
— Come sta Anne Reynolt? — volle sapere Jau Xin, costringendosi ad avere un tono pacato. — Qualcuno dice che il suo encefalogramma è piatto.
— No, niente affatto. — Silipan scosse il capo e rivolse attorno un sorrisetto. — Anne Reynolt è viva e si riprenderà bene, credo, a parte qualche conseguenza secondaria che…
— Quale conseguenza? Un’amnesia?
— Questo è inevitabile, direi. Ha perso come minimo tutti i ricordi di livello esterno, vale a dire l’ultimo anno della sua vita, e per il momento non si può fare una diagnosi più precisa. Ma presto potrà tornare al lavoro. Mi dispiace per i casi di regressione delle testerapide, ma io non ho potuto occuparmene personalmente.. — Nella sua voce tornò l’antica spavalderia. — Io sono stato assegnato a un lavoro più importante.
— Ma cosa le è successo? Si è ammalata?
La domanda era stata fatta da Benny, che stava consegnando al tavolo accanto un vassoio colmo di confezioni di cibo. Silipan non rispose subito, e prolungò l’attesa bevendo un altro sorso. Quello era il pubblico più numeroso che avesse mai avuto, e tutti pendevano dalle sue labbra. Ezr notò che l’uomo se n’era accorto e stava assaporando ogni momento della sua importanza. Tuttavia era stanco, e piuttosto che riempirsi lo stomaco di birra avrebbe probabilmente preferito cenare. — Alla fine si decise a rispondere: — Cosa le è successo? Ancora non lo sappiamo con certezza. L’anno scorso Anne Reynolt ha avuto un’otite che le ha destabilizzato il virus. Sono cose che succedono, ai focalizzati. In una mattinata lei stessa ha risolto il problema. Era una cosa da poco, roba che solo un occhio esperto poteva diagnosticare guardando come si comportava. In seguito ho notato che si dedicava a un progetto suo, di qualche genere… voi sapete che le testerapide lo fanno, e che possono essere attratte dentro una qualche loro idea fissa come in un gorgo. Come potete immaginare, questo non mi è piaciuto affatto. Stavo per fare rapporto al caponave, ma…
Silipan esitò, rendendosi conto che pochi si sarebbero bevuti quella vanteria. Soltanto Anne Reynolt e Ritser Brughel facevano rapporto direttamente a Tomas Nau. — A ogni modo, sembra che l’altro ieri lei abbia apportato delle regolazioni ai circuiti di un’unità MRI. Forse sapeva di avere un problema e si preparava a risintonizzarsi da sola come altre volte. Non lo sappiamo. Sappiamo che non portava il cappuccio isolante di sicurezza, obbligatorio per le testerapide presenti all’uso di una MRI… anche se in effetti lei non lo portava mai. E sappiamo che una delle unità è stata accesa mentre lei era lì, probabilmente perché voleva eseguire qualche controllo. Sembra che ci sia stata una fuga di onde elettromagnetiche. Ancora non siamo riusciti a riprodurre con precisione l’incidente. A ogni modo lei si è presa la scarica dritta nella testa. Abbiamo trovato dei capelli su una sporgenza dell’unità accanto a quella, dunque quando se ne è accorta ha fatto un balzo indietro sbattendo la nuca. Per fortuna il virus così stimolato ha prodotto solo un eccesso di alpha-retrox, la cui conseguenza è quella di un normale lavaggio di memoria non mirato, ovvero diffuso su tutto il livello più esterno. Come ho detto, non è niente di irreparabile. Una buona convalescenza di trenta o quaranta giorni, e la nostra Anne tornerà al lavoro con la stessa efficienza di prima.
— A parte i ricordi di un anno soggettivo spazzati via.
— Naturalmente. Le testerapide non sono banche dati; non c’è un backup del loro contenuto.
Fra i presenti ci furono dei borbottii poco convinti, ma fu Rita Liao che diede voce ai loro sospetti. — Mi sembra una spiegazione improbabile. Se un magnete MRI ha il rivestimento lesionato o non funziona è facile controllarlo, e in caso contrario significa che qualcuno lo aveva programmato per emettere una scarica… e colpire proprio Anne Reynolt. — Si accigliò. Quel mattino era stata lei a mettere in giro l’ipotesi su Ritser Brughel. Questo dimostrava di cosa fossero capaci gli Emergenti d’alto rango quando c’era un dissidio fra loro. — Il caponave Nau ha controllato la posizione del vice caponave?
— E dei suoi agenti? — aggiunse un Qeng Ho accanto a Ezr.
Silipan sbatté il bulbo sul tavolo. — Che diavolo state dicendo? Il caponave esamina ogni possibilità e con la massima attenzione. — Si guardò attorno e parve capire che il prezzo della notorietà era troppo alto. — Voi dovete stare sicuri che il caponave prende la faccenda molto seriamente. Ma attenti: il flusso di alpha-retrox liberato dal virus è proprio quello che ci si può aspettare in un incidente, un’irradiazione non localizzata. L’amnesia è una modesta conseguenza. Un attentatore che si fosse limitato a questo sarebbe un idiota. Avrebbe potuto ucciderla con un’irradiazione maggiore, e anche in questo caso sarebbero rimasti solo indizi tipici di un semplice incidente.
Per qualche momento tutti tacquero. Nuwen scrutava le loro facce senza darlo a vedere. Silipan sollevò il bulbo di birra ed esaminò il contenuto. — È stata una giornata pesante, e sono stanco morto. E dovrò rientrare al lavoro fra venti… no, dannazione, quindici Ksec.
Rita gli diede una pacca su un braccio. — Be’, ti ringrazio di essere passato di qui a darci le ultime notizie. — Ci fu un mormorio d’assenso da parte di altri.
— Nei prossimi tempi saremo Bil e io a dirigere il reparto e la clinica. Ora tutto dipende da noi. — Silipan si guardò attorno in cerca di qualche parola di incoraggiamento, ma aveva usato un tono troppo vanaglorioso per averne una.
S’incontrarono quella sera tardi, nell’intercapedine fra le due pareti esterne del provvisorio. Quel colloquio era stato messo in programma molto prima dell’apertura del Lago-Parco, come la gente cominciava a chiamarlo. Era un incontro che Ezr aveva atteso con impazienza e preoccupazione: l’incontro nel quale lui avrebbe preteso chiarezza sulla strategia di Nuwen riguardo al Focus, lo ho il mio discorsetto da fare. E qualche piccola minaccia. Basterà?
Senza rumore Ezr oltrepassò le vasche di crescita di Gonle Fong. Le lampade a luce solare e l’odore di vegetali svanì dietro di lui. Il buio in cui proseguì era troppo per l’occhio umano. Otto anni prima, nel suo precedente incontro con Nuwen, c’era stata molta più luce oltre la parete interna. Ora quei locali erano stati isolati meglio.
Ma Ezr aveva adesso altri modi di vedere… mandò un segnale al localizzatore fissato alla tempia destra. Una fantomatica visione gli dilagò nella retina. I colori erano ombre, e le forme distorte come se avesse premuto un dito contro un angolo dell’occhio, ma l’immagine era abbastanza nitida. Ezr s’era impegnato a lungo negli esercizi suggeriti da Nuwen. La parete esterna gli appariva viola, il colore dei freddo, e quella interna gialla e bianca. A volte gli giungevano altre immagini, prospettive trasmesse da localizzatori a qualche metro di distanza o addirittura alle sue spalle, ma coi comandi opportuni e molta concentrazione poteva vedere cose impossibili ad altri. Nuwen può fare anche di meglio. Con gli anni ne aveva avuto le prove. Nuwen usava i localizzatori come se fossero il suo impero privato.
L’uomo lo attendeva poco più avanti, aggrappato a una maniglia della parete, invisibile nel buio ma non per le telecamere dei localizzatori che circondavano anche lui. Mentre Ezr percorreva gli ultimi metri dovette fare uno sforzo per ignorare le immagini che gli giungevano anche da essi, mescolandosi alla sua prospettiva personale.
— Va bene, vediamo di sbrigarci — disse Nuwen. I colori chiari dell’infrarosso gli davano un aspetto sparuto, stregonesco. Il tono era ancora quello di Trinli, fra goliardico e tracotante, che usava in pubblico.
— Lei ha detto che avremmo avuto almeno duemila secondi.
— Già, ma la situazione è cambiata. O non l’hai notato?
— Ho notato molte cose. Ed è ora che ne parliamo, per chiarirne alcune. Nau ammira il personaggio storico di Pham Nuwen… lei questo lo sa, non è vero?
— Nau non racconta la verità neanche a se stesso.
— D’accordo, ma i documenti storici che mi ha lasciato esaminare sono autentici, almeno in buona parte. Pham, lei e io lavoriamo per lo stesso scopo da molti Turni, ormai. Io ho ripensato a ciò che i miei parenti anziani dicevano di lei, e mi riesce difficile vederla come un eroe dei Qeng Ho. Ho capito che lei ammira… è innamorato, anzi, del Focus. Lei mi ha fatto delle promesse, però badando bene a non sbilanciarsi su questo argomento. Lei vuole togliere di mezzo Nau e riprendere il controllo della spedizione… ma soprattutto lei vuole il Focus. Lo nega?
Il silenzio si prolungò per una manciata di secondi. Cosa risponde, a una domanda diretta? Quando infine l’altro parlò, aveva la voce rauca. — Il Focus è la chiave per costruire una società capace di durare a lungo, e nell’intera estensione dello Spazio Umano.
— Il Focus è schiavitù, Pham — disse Ezr con calma. — Questo lei lo sa, naturalmente. E io credo che in fondo al suo cuore lei lo detesti. Mi chiedo come possa ventilare queste ipotesi di governo, un uomo con il suo passato.
Per un poco Nuwen lo guardò, seccato. La sua bocca ebbe una smorfia. — Tu sei uno sciocco, Vinh. Hai letto la documentazione storica di Nau e non ne hai capito niente. Già una volta io sono stato tradito da una Vinh, una tua antenata, e stai certo che non permetterò che accada ancora. Credi che ti avrei lascialo vivere, se tu fossi in grado di bloccarmi la strada?
Nuwen si avvicinò ancora. A un tratto la visione di Ezr si spense del tutto; era stato tagliato fuori dall’output dei localizzatori. Alzò le mani davanti a se. — Non lo so. Ma io sono un Vinh e discendo da Sura… e dunque discendo anche da lei. Noi siamo una famiglia che ha molti segreti. Se non fossi partito con questa spedizione, un giorno o l’altro qualcuno mi avrebbe detto la verità su ciò che accadde a Brisgo Gap. Ma anche da bambino sapevo usare gli orecchi. La famiglia Vinh non si è certo dimenticata di lei. Fra noi si dice: «Noi dobbiamo tutto a Pham Nuwen. Siategli grati». Perciò, anche se lei meditasse di uccidermi, io dovrei cercare di parlarle. — Ezr guardò il buio che aveva davanti. Non sapeva se l’altro era ancora nello stesso punto in cui l’aveva visto. — E dopo quel che è successo ieri… credo che lei mi ascolterà. Non ho niente da temere da lei.
— Dopo quel che è successo ieri? — La voce di Nuwen era più vicina, e più rabbiosa. — Mio piccolo signor Vinh, cosa ne sai tu di quel che è successo ieri?
Ezr guardò in direzione della voce. C’era qualcosa in quella rabbia che andava oltre la sua capacità di comprensione. Cos’è successo fra lui e la Reynolt? Quel risvolto era inaspettato, qualcosa era andato storto, ma tutto ciò che lui aveva erano le parole che si era preparato con cura: — Lei non ha voluto ucciderla. Io credo in ciò che ha detto Trud. Ucciderla le sarebbe stato facile, e avrebbe potuto mascherare la cosa da incidente senza difficoltà. Così ora penso di capire dove la storia degli Emergenti che parla di lei dice il vero, e dove dice il falso. — Alzò le mani e gliele appoggiò sulle spalle, nel buio, guardandolo senza vederlo. — Pham, per tutta la vita lei ha avuto dei sogni. E le sue intuizioni politiche hanno fatto di noi ciò che siamo oggi. Ma lei voleva di più. Cosa, esattamente, la storia dei Qeng Ho non lo dice. È dalla storia degli Emergenti che lo si capisce. Lei ha avuto soprattutto un solo grande sogno, Pham. E il Focus può aiutarla a realizzarlo. Ma… il prezzo è troppo alto.
Ci fu un momento di silenzio, poi un grugnito quasi doloroso, da animale in gabbia. Bruscamente le braccia di Ezr furono spinte via. Due mani rabbiose lo afferrarono alla gola e strinsero. In lui ci fu solo un grande sbalordimento mentre annaspava, sentendosi mozzare il fiato…
E poi le mani allentarono la presa. Ma tutto intorno a loro presero ad accendersi lampi di luce bianca, abbagliante, e a crepitare dozzine di piccole esplosioni. Ezr ansimò, accecato, cercando di capire. Nuwen stava facendo andare in cortocircuito tutti i localizzatori più vicini. Alla luce di quelle effimere quanto fulgide scintille vide la figura dell’uomo che fluttuava davanti a lui. Nei suoi occhi c’era una follia che Ezr non avrebbe mai immaginato di scoprirvi.
Le scintille esplodevano sempre più lontano da loro, adesso, mentre quella distruzione si allargava come un contagio. La voce di Ezr fu un gorgoglio terrorizzato. — Pham, la nostra copertura! Senza i localizzatori…
L’ultimo di quei lampi illuminò il sogghigno distorto sulla faccia dell’uomo. — Senza i localizzatori creperemo tutti. Vai pure a morire, piccolo Vinh. Non me ne importa niente.
Il giovane lo sentì allontanarsi, sbattendo nelle pareti clastiche. Ciò che rimase fu solo il buio e il silenzio… e il pensiero della morte che incombeva a pochi Ksec da quel momento, perché nonostante ogni suo tentativo Ezr non riuscì a sentire nessun segno della presenza dei localizzatori.
Cosa resta a un uomo quando i suoi sogni muoiono? Pham fluttuava nel buio e nella solitudine della sua stanza, e quella domanda scivolava fra i suoi pensieri destando in essi solo una vaga curiosità, forse indifferenza. In fondo alla sua mente c’era anche la consapevolezza del grande squarcio che aveva aperto nella rete dei localizzatori. La rete era robusta. Quella distruzione non era stata automaticamente rilevata dagli annusatori di Brughel. Ma dopo un’accurata indagine la notizia di ciò che era successo sarebbe giunta agli Emergenti. Lui era conscio che Ezr Vinh stava disperatamente cercando di riparare la falla. Con sua sorpresa, il giovanotto non stava rendendo la cosa ancora peggiore; d’altra parte non era abbastanza esperto da mettere una pezza efficace sull’accaduto. Ancora qualche centinaio di secondi e Kal Omo avrebbe informato i superiori… e la loro mascheratura sarebbe crollata. Questo non aveva più molta importanza.
Cosa può fare un uomo quando i suoi sogni muoiono?
I sogni nascono e muoiono spesso nel corso di una vita. Gli esseri umani invecchiano. Quando la vita è ancora tutta da vivere, è facile vederla piena di promesse. Poi resta meno vita da vivere, e tutto svanisce.
Ma non il sogno di Pham. Lui lo aveva inseguito attraverso mille anni-luce e per tremila anni di tempo reale. Nel suo sogno l’umanità era una cosa sola, con la giustizia non ridotta a deboli fiammelle sparse ma come un’unica luce ferma in tutto lo Spazio Umano. Lui aveva sognato di una civiltà dove le biblioteche non cadevano mai in polvere, dove non salivano al potere migliaia di piccoli governanti schiavi delle loro ambizioni, dove i bambini nascevano protetti da un passato forte come un’armatura intorno a loro. Quando Sam Park lo aveva tirato fuori da quel cimitero per vivi, su Triland, lui stava morendo. Ma il suo sogno no. Quello era un fuoco che continuava a bruciare nella sua mente, senza mai diventare cenere.
E qui nell’orbita di OnOff lui aveva trovato il mezzo che poteva far realizzare il sogno: il Focus, un sistema capace di mettere radici profonde nella società e farla espandere fra le stelle, dandole una forza inarrestabile. Poteva creare degli schiavi, certo, ma costoro sarebbero stati scelti fra i criminali o chi sarebbe finito allo sbando in ogni società. Perciò cosa c’era di male in questo genere di schiavitù? Ben più importanti erano le ingiustizie a cui il Focus avrebbe messo fine per sempre.
Forse.
Lui aveva evitato di pensare a Egil Manrhi… ora ridotto a una macchina collegata alle macchine. Aveva evitato di pensare a Trixia Bonsol e a tutti gli altri, chiusi nei loro insani cubicoli. Ma il giorno prima era stato costretto a guardare ciò che restava di Anne Reynolt, che con pochi compagni aveva preso le armi e lottato contro quella società che si espandeva rafforzata dal Focus. Quella era stata una sorpresa. Ma ancor più sorprendente era stato capire il motivo per cui la Reynolt riusciva a restare più viva di tutti gli altri focalizzati. Anche lei aveva avuto un sogno, così forte che neppure il Focus lo aveva spezzato del tutto.
E quella sera Ezr era venuto a fargli il suo discorsetto: «Il prezzo è troppo alto». Il prezzo, sicuro, ma… un Vinh.
Ancora una volta un Vinh si metteva fra lui e il successo finale. Che vada all’inferno. Che crepino, tutti quanti. Lasciatemi morire in pace.
Pham scacciò il mondo esterno lontano da sé. Era vagamente conscio delle lacrime che gli riempivano gli occhi. Non gli accadeva di piangere da… non lo ricordava neppure… forse da quel giorno, all’altra estremità della sua vita, quando suo padre lo aveva fatto portare a bordo di una nave Qeng Ho che non sarebbe più tornata indietro.
E allora, cosa fai quando i tuoi sogni sono morti?
Quando non hai più sogni, non hai più vita.
E poi che cosa resta? Per molti lunghi anni la mente di Pham aveva abitato nel niente. Un giorno s’era infine trovato lì, alle prese con tutte le immagini riprese dalla rete dei localizzatori; gli schiavi focalizzati che scavavano e scolpivano le pareti di diamante nell’alveare sotto Hammerfest. Anne Reynolt che dormiva in un cubicolo uguale a quello degli altri.
Avrebbero meritato qualcosa di meglio di ciò che gli era accaduto. Meritavano qualcosa di meglio di ciò che Tomas Nau aveva progettato per loro.
Pham allungò i suoi sensi nella rete e sfiorò leggermente Ezr Vinh, spingendolo da parte. Controllò i risultati del rozzo lavoro del giovanotto per riparare ai danni, e cominciò a ricostruire schemi funzionali. C’erano dei dettagli antipatici: le piccole ustioni sul collo e su una tempia di Vinh, la necessità di qualche migliaio di localizzatori nuovi nell’interstizio del provvisorio. Niente di irreparabile, e da lì a qualche tempo…
Anne Reynolt si sarebbe ripresa da ciò che lui le aveva fatto. Il gioco a rimpiattino di indagini e tranelli nel software sarebbe ricominciato. Ma stavolta lui avrebbe studiato qualcosa per tutelare sia lei che gli altri schiavi. Sarebbe stato molto più difficile di prima. Forse tuttavia Ezr Vinh lo avrebbe aiutato, se avessero lavorato insieme come una squadra… i piani presero a formarsi e riformarsi nella mente di Pham. Era doloroso vedere che non sarebbe riuscito a far girare a modo suo le ruote della storia, ma c’era un certo piacere nel fare ciò che sembrava buono e giusto.
Per molti anni lui aveva atteso il sonno in quella stanza guardando la realtà a denti stretti, facendo piani e sognando ciò che avrebbe potuto fare col Focus. Ora che quell’idea era stata messa da parte c’erano ancora piani da fare, ancora pericoli da affrontare… ma per la prima volta da molti anni in lui c’era anche… la pace.
Quella notte sognò di Sura Vinh. E non ci fu sofferenza.