13

— Come ai vecchi tempi — esclamò Jason. Senza una parola, Brucco servì il cibo a Jason e agli altri feriti, poi uscì. — Grazie — gli gridò dietro il terrestre.

Uno scherzo, un sorriso, come sempre. Ma, dentro, Jason si sentiva rigido, impassibile. Rivedeva, con gli occhi, il mostro che riduceva il colono in poltiglia. L’uomo era morto per lui.

Dal momento in cui aveva ricuperato i sensi, non aveva potuto pensare altro. Sapeva che avrebbe dovuto morire là, nella strada dilaniata dalla battaglia. Avrebbe dovuto scomparire, per aver commesso l’errore di credersi utile ai coloni. Se non fosse stato per colpa sua, il ferito si sarebbe salvato. Il letto in cui Jason era steso apparteneva all’ altro.

L’altro, che era morto per lui. L’altro, che non sapeva neanche come si chiamasse.

Nel cibo, c’era qualche droga, che lo faceva dormire. Le medicazioni toglievano l’arsura delle scottature, dove gli pseudopodi gli avevano sfiorato il volto.

Un uomo era morto per lui.

Non avrebbe potuto farci niente; ma poteva fare in modo che il colono non fosse morto inutilmente.

Jason comprese qual era il suo compito; era più importante, adesso. Se fosse riuscito a risolvere l’enigma di quel mondo terribile, avrebbe saldato il debito.

Quando si tirò seduto sul letto, lo sforzo gli fece girare la testa adagio, dolorosamente, infilò gli abiti. Entrò Brucco; vide quello che stava facendo, e uscì di nuovo, senza parlare.

Impiegò molto tempo, a vestirsi. Quando Jason lasciò la stanza, trovò Kerk che l’aspettava.

— Kerk, voglio dirvi…

— Non ditemi niente! — L’urlo di Kerk riecheggiò dalle pareti. — Sono io, che devo dirvi qualcosa. Che è finita, una volta per tutte. Siete indesiderato su Pyrrus, Jason dinAlt. Mi sono lasciato convincere, una volta, e vi ho aiutato trascurando altro lavoro più importante. Avrei dovuto capire quale sarebbe stato il risultato della vostra «logica»! Welf è morto per voi. E valeva il doppio.

— Welf… si chiamava così?

— Non lo sapevate neanche! — Kerk fece una smorfia di disprezzo. — Eppure si è sacrificato per voi…! — Sputò, avviandosi verso l’uscita. Come ripensandoci si voltò verso Jason.

— Resterete qui dentro, fin quando l’astronave tornerà, fra due settimane.

Poi lascerete il pianeta, e non tornerete più. Altrimenti, vi ucciderò subito.

E con piacere. — Entrò nella camera stagna.

— Un momento — gridò Jason. — Non potete… Non potete… Non avete neanche visto le prove che ho scoperto… Chiedete a Meta… — Il portello si chiuse con un tonfo.

Jason si voltò, e vide che Brucco era immobile alle sue spalle. — Avete sentito? — gli domandò.

— Sì, e sono d’accordo. Potete considerarvi fortunato.

— Fortunato di essere trattato come un idiota…?

— Sì, fortunato — ribatté Brucco. — Welf era l’unico figlio di Kerk. Aveva grandi speranze per lui, e lo addestrava per sostituirlo.

— Mi dispiace, anche se il mio dolore non aumenta, sapendolo. Ma è dunque per quello, che Kerk mi butta fuori? Le prove che ho scoperto…

— Le ho viste — interruppe Brucco. — Un documento storico molto interessante.

— Un… documento storico? È così che lo intendete?

— Il passato è passato — rispose Brucco. — Noi dobbiamo combattere il presente. Basta a impegnare tutte le nostre energie.

Da chiunque, Jason incontrava soltanto indifferenza…

— Siete un uomo intelligente, Brucco… eppure non riuscite a vedere più lontano della punta del naso! Forse è inevitabile. Voi coloni siete superuomini, secondo il metro terrestre. Duri, spietati, imbattibili. Su Pyrrus, il genere umano è stato spinto sino al limite estremo dell’adattabilità dei muscoli e dei riflessi nervosi. Ma è un vicolo cieco. È stato il cervello, che ha fatto uscire l’uomo dalle caverne, e l’ha portato alle stelle. Se ricominciamo a «pensare» coi muscoli, torniamo indietro! Non siete forse cavernicoli, voi di Pirrus, che combattono con le belve? Non pensate mai al motivo per cui vi trovate qui? A quello che vi aspetta?

Brucco parve riflettere. — Cavernicoli?… — domandò. — Ma noi non viviamo nelle caverne, e non adoperiamo mazze di pietra. Non capisco.

Impossibile discutere. Jason si sentì troppo stanco per farlo. La logica dei coloni era semplice: il passato e l’avvenire non contavano, soltanto il presente. — Come va la battaglia? — domandò infine, per cambiare argomento.

— Finita, o all’ultimo stadio, almeno. — Brucco gli mostrò con entusiasmo alcune foto stereoscopiche degli assalitori.

— Cosa sono? Serpenti?

— Non siate assurdo. — Brucco batté sulla foto con un dito. — Radici.

Nient’altro. Molto modificate, ma sempre radici. Hanno superato lo sbarramento passando in profondità. Non sono molto pericolose, in se stesse… possiedono una mobilità limitata. Il pericolo nasceva dall’essere usate come gallerie di accesso. Due o tre specie animali che vivono in simbiosi. Adesso che sappiamo di cosa si tratta, possiamo stare in guardia.

Così, sull’orlo della fine, come su un vulcano. I coloni erano felici di ogni giorno che trascorreva senza portare la distruzione. Jason tacque. Si fece consegnare da Brucco il libro di bordo del Victory, e tornò a letto. I coloni feriti non gli badarono, quando si infilò sotto le coperte, e aperse il volume a pagina uno.

Per due giorni, Jason non si mosse di lì. I feriti se ne andarono, e lui ebbe tutta la stanza per sé. Pagina per pagina, lesse il documento, sin quando conobbe per filo e per segno la storia della colonia. Disegnò una cartina della sede originale, e la sovrappose a una delle città. Non coincidevano affatto.

Era un vicolo cieco. Quanto aveva immaginato si rivelava dolorosamente vero. La città era stata spostata in una zona diversa, dall’epoca del primo atterraggio. Nella biblioteca, non rimanevano altri documenti…

La pioggia scrosciava contro il robusto cristallo della finestra, illuminata dai lampi che traversavano il cielo. I vulcani erano tornati in attività, e il pavimento vibrava del loro rombare nella profondità del pianeta…

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