Per tutta l’estate la Nuvola non fu visibile, trovandosi nel cielo diurno; ma la osservarono attentamente col radiotelescopio di Nortonstowe.
La situazione era migliore di quel che non avesse previsto il Primo ministro. Dalle notizie che giungevano da Nortonstowe si era compreso che la venuta della Nuvola non avrebbe causato una crisi del carburante; il Primo ministro ne fu lietissimo. Per intanto non c’era alcun timore di panico. Eccettuato l’Astronomo Reale, di cui aveva grande stima, l’allarme degli scienziati e soprattutto di Kingsley lo avevano bloccato e incanalato a Nortonstowe. È vero che si era fatto loro qualche ridicola concessione. Peggio, aveva perso Parkinson. Aveva dovuto mandare Parkinson a Nortonstowe per avere la garanzia che non succedessero guai. Ma i rapporti che di là riceveva sembravano tranquilli, e per questo motivo il Primo ministro decise di non molestare il can che dorme, anche se certi ministri gli davano suggerimenti in contrario. Su questo punto il Primo ministro esitò a decidere: non gli riusciva di mandar giù i frequenti messaggi di Kingsley, che gli consigliava il massimo segreto.
In realtà le allusioni di Kingsley non erano fatte a caso; il governo non sapeva garantire l’assoluta segretezza. Ad ogni livello della gerarchia politica ciascuno stimava giusto dar notizie ai suoi immediati dipendenti. Di conseguenza la notizia dell’avvicinarsi della Nuvola cominciò lentamente a filtrare dall’alto in basso, finchè all’inizio d’autunno era giunta a livello parlamentare. Insomma era quasi a disposizione della stampa. Ma non era ancora il momento di passar la Nuvola in prima pagina.
L’autunno fu burrascoso e il cielo d’Inghilterra coperto. Perciò, anche se a ottobre la Nuvola aveva oscurato parte della costellazione della Lepre, fino a novembre non ci fu allarme. Venne dai cieli chiari dell’Arabia. I tecnici di una grande società petrolifera trivellavano il deserto quando si avvidero dell’attenzione con cui i loro operai guardavano il cielo. Gli arabi indicavano la Nuvola, o meglio quella macchia scura nel cielo, che ormai era grande sette gradi, ed aveva l’aspetto di una fossa circolare scavata nel cielo. Dicevano che non doveva esserci quel buco, e che era un segno. Nessuno sapeva il significato del segno, ma tutti avevano paura. È certo che i tecnici non ricordavano di aver mai visto in cielo quella macchia scura, ma tuttavia non conoscevano bene la posizione delle stelle, e quindi non potevano esser certi di nulla. Uno di loro tuttavia aveva, alla base di partenza, una carta celeste e, una volta terminata la spedizione, andò a consultarla. Certo, qualcosa non andava. Partirono subito alcune lettere per i giornali inglesi.
I giornali non fecero nulla; ma, entro una settimana, arrivarono molte lettere identiche. Come spesso succede, il primo avviso dette il via a tutta una serie di notizie simili, come quando una goccia d’acqua segna l’inizio della burrasca. I giornali di Londra spedirono gli inviati speciali, con macchine fotografiche e carte celesti, in Nordafrica. Gli inviati partirono contentissimi, pensando che era una bella fortuna trascorrere in Africa un novembre così rigido. Ma ritornarono con la coda fra le gambe, senza fotografie. I direttori dei giornali capirono che è estremamente difficile fotografare le stelle con una macchina comune.
Il governo britannico non sapeva se lasciar comparire o no quelle notizie sulla stampa. Infine decisero di non far nulla, perchè anche l’ombra della censura avrebbe sottolineato la gravità della situazione.
I direttori furono sorpresi dal tono degli articoli presentati. Ordinarono un tocco più leggero e più frivolo: così verso la fine di novembre il grande pubblico ebbe notizia dei fatti grazie a titoli di questo stampo:
UN’APPARIZIONE IN CIELO
OSCURAMENTO CELESTE SCOPERTO IN NORDAFRICA
NIENTE STELLE A NATALE DICONO GLI ASTRONOMI
Cominciò la campagna. Da diversi osservatori, britannici e stranieri, giunsero le fotografie. Comparvero nella prima pagina dei quotidiani (in ultima pagina, naturalmente, nel caso del Times) a volte con generosi ritocchi. Si annunciavano articoli di notissimi scienziati.
Il pubblico seppe dell’esistenza di un gas interstellare estremamente tenue, il gas che occupa le vaste regioni dello spazio tra le stelle. Mischiate al gas, si precisava, miriadi di particelle finissime, forse granelli di ghiaccio, non più lunghi di un millesimo di millimetro. Erano queste particelle a generare le decine di macchie nere che si scorgono nella Via Lattea. Accanto, la fotografia di queste macchie scure. La nuova apparizione altro non era se non una di queste macchie, vista da vicino. Da tempo gli astronomi sapevano che il sistema solare poteva trovarsi vicino o anche in mezzo a tali accumulazioni. Secondo una teoria, proprio da questi incontri erano nate le comete: e naturalmente ecco pronta la fotografia d’una cometa.
I circoli scientifici non erano del tutto soddisfatti di queste notizie. Nei laboratori di tutto il mondo la Nuvola fu argomento frequente di conversazione. Fu riscoperto il ragionamento che Weichart aveva fatto un anno prima. Assai presto si capì che il fattore critico era la densità del materiale che componeva la Nuvola. In generale c’era la tendenza a stimarlo molto basso, ma alcuni scienziati ricordarono le osservazioni di Kingsley alla riunione dell’Associazione Astronomica Britannica. Non passò inosservato il fatto che dalle Università era scomparso il gruppo di Nortonstowe. In linea generale si conveniva che le circostanze giustificavano un certo allarme. E tale apprensione senza dubbio sarebbe stata rapidamente cresciuta se non altro perchè il governo, in Gran Bretagna e altrove, faceva sempre più chiaramente appello a tutti gli scienziati. Si chiedeva loro di prender parte all’organizzazione dei preparativi di emergenza, che sempre più si facevano importanti, soprattutto per quanto riguardava i generi alimentari, i carburanti, i rifugi.
In qualche misura l’allarme si comunicò al gran pubblico. Nella prima quindicina di dicembre ci furono i primi segni di un crescente disagio. Gli articoli di fondo dei giornali, nel chiedere una dichiarazione precisa dal governo, avevano lo stesso tono minaccioso già usato qualche anno prima per l’affare Burgess-Maclean. Ma questa prima ondata di apprensione si spense in una maniera curiosa. La prima settimana di dicembre fu gelida e chiara. Nonostante il freddo la gente uscì di città con gli autobus e le automobili a vedere il cielo notturno. Ma non si vedeva alcuna apparizione, alcun buco nel cielo. Per la verità si vedevano poche stelle, a causa del lucente chiaro di luna. Inutilmente la stampa avvertì che la Nuvola era visibile solo su uno sfondo di stelle. Come notizia, almeno per il momento, la Nuvola era morta. In ogni caso a Natale mancavano pochi giorni.
Il governo aveva buone ragioni per gradire l’imprevisto calo della Nuvola: infatti a dicembre giunse da Nortonstowe un rapporto preoccupante. Vale la pena di ricordare le circostanze che provocarono tale rapporto.
Durante l’estate l’organizzazione di Nortonstowe lavorò speditamente, senza alcun attrito. Gli scienziati si divisero in due gruppi: il primo si occupava delle «investigazioni sulla Nuvola», l’altro dei problemi delle comunicazioni, così come Kingsley li aveva spiegati a Marlowe. I non scienziati costruivano il rifugio e mandavano avanti l’aspetto pratico della baracca. Tutti e tre i gruppi solevano riunirsi ogni settimana: alle riunioni potevano assistere tutti. In questo modo era possibile sapere come andavano le cose senza bisogno di studiare nei particolari i problemi degli altri gruppi.
Marlowe lavorava col primo gruppo, cioè osservava la Nuvola col telescopio Schmidt. Verso ottobre, insieme a Roger Emerson, aveva risolto il problema della direzione del moto della Nuvola. Alla riunione indetta per conoscere gli ultimi sviluppi, lo spiegò, forse con più particolari di quanto non fosse necessario. Concluse così:
«Mi sembra dunque che il momento angolare della Nuvola rispetto al sole sia in pratica eguale a zero.»
«E in pratica, che cosa significa?» chiese McNeil.
«Significa che tanto il Sole quanto la Terra saranno di certo investiti. Se ci fosse stato un apprezzabile momento angolare, all’ultimo istante la Nuvola avrebbe mancato il bersaglio. Ma ora è chiaro che ciò non accadrà. La Nuvola avanza diritta verso il Sole.»
«Non è un po’ strano che questa Nuvola sia, proprio per caso, così allineata rispetto al Sole?» insistè McNeil.
«Be’, ma deve pur muoversi in una maniera o nell’altra,» rispose Bill Barnett.
«Eppure mi sembra strano che la Nuvola debba muoversi proprio diritta sul Sole,» continuò il tenace irlandese.
Alexandrov la piantò di cercar di convincere una delle segretarie a sederglisi sulle ginocchia
«Strano, accidenti,» proclamò, «molte cose maledettamente strane. Strano che la Luna sembri grande come il Sole. Strano, accidenti, che io sia qui, non è vero?»
«È una disgrazia, anzi,» borbottò la segretaria.
Dopo qualche minuto di chiacchiere alquanto inutili, Yvette Hedelfort si alzò e si rivolse a tutti.
«Sono nei guai,» comunicò.
Si sentì qualche risatina e una voce osservò: «Oh questa è bella, no?»
«Non quello che intende lei,» continuò la ragazza. «Voglio dire guai veri. Il dottor Marlowe dice che la Nuvola è fatta di idrogeno. Abbiamo calcolato che la densità all’interno della Nuvola è poco più che 10–10 grammi per cm3. Posso calcolare che se la Terra attraversa questa Nuvola, nello spazio di un mese la quantità di idrogeno aggiunta alla nostra atmosfera supererà i 100 grammi per centimetro quadrato della superficie terrestre. È esatto, o no?»
Ci fu un momento di silenzio, perchè tutti cominciarono a capire cosa desiderava da questa osservazione: o almeno lo capivano gli scienziati.
«Dovremo controllarlo subito,» borbottò Weichart. Per cinque minuti scarabocchiò numeri sul taccuino.
«Sì, mi sembra giusto,» disse.
Senza altre osservazioni la riunione si sciolse. Parkinson si avvicinò a Marlowe.
«Ma, dottor Marlowe, cosa significano tutti questi discorsi?»
«Mio Dio, ma non è evidente? Significa che nella atmosfera terrestre arriverà tanto idrogeno da combinarsi con tutto l’ossigeno. Idrogeno e ossigeno sono un miscuglio chimico assai instabile. Tutta l’atmosfera terrestre esploderà. Creda pure a quel che ha detto la donna.»
Kingsley, Alexandrov e Weichart trascorsero il pomeriggio a discutere. A sera passarono a prendere Marlowe e Yvette Hedelfort e andarono nella stanza di Parkinson.
«Guardi, Parkinson,» cominciò Kingsley dopo che fu versato da bere, «sta a lei decidere cosa bisogna dire a Londra, a Washington e a tutte le altre capitali del peccato. Le cose non sono tanto semplici come parevano stamani. Temo che l’idrogeno non sia davvero importante come pensi tu, Yvette.»
«Ma io non ho detto che sia importante, Chris. Ho solo fatto una domanda.»
«E aveva ragione di farla, signorina Hedelfort,» intervenne Weichart. «Noi abbiamo badato troppo al problema della temperatura, trascurando gli effetti della Nuvola sull’atmosfera terrestre.»
«Non chiaro finchè dottor Marlowe finito lavoro che Terra sarà in Nuvola,» borbottò Alexandrov.
«È vero,» convenne Weichart. «Ma ora la strada è sgombra e possiamo passare all’azione. Per prima cosa l’energia. Ogni grammo di idrogeno che entra nell’atmosfera può liberare energia in due modi: in primo luogo con l’urto nell’atmosfera, in secondo luogo combinandosi con l’ossigeno. Il primo è il più importante perchè libera maggiore energia.»
«Mio Dio, ma allora le cose stanno anche peggio,» esclamò Marlowe.
«Non necessariamente. Pensiamo cosa accadrà quando il gas della Nuvola colpirà l’atmosfera. La parte più esterna dell’atmosfera diverrà estremamente calda, perchè l’urto avverrà negli strati esterni. Abbiamo calcolato che la temperatura di questi strati atmosferici salirà a centinaia di migliaia di gradi, forse anche a milioni di gradi. Inoltre la Terra e l’atmosfera ruotano e quindi la Nuvola colpirà l’atmosfera solo da un lato.»
«Da quale lato?» chiese Parkinson.
«La posizione della Terra nella sua orbita sarà tale che la Nuvola ci raggiungerà, press’a poco, dalla direzione del Sole,» spiegò Yvette Hedelfort.
«Anche se il Sole non sarà visibile,» aggiunse Marlowe.
«Perciò la Nuvola colpirà l’atmosfera durante quello che normalmente sarebbe il giorno.»
«Giusto. E non colpirà l’atmosfera durante la notte.»
«E questo è il punto cruciale,» continuò Weichart.
«A causa dell’altissima temperatura di cui parlavo, le parti esterne dell’atmosfera tenderanno a spostarsi all’infuori. Questo non accadrà durante il
«Oh, capisco quel che vuol dire,» disse Yvette Hedelfort. «L’idrogeno entrerà nell’atmosfera durante il
«Precisamente.»
«Ma siamo sicuri che tutto l’idrogeno evaporerà in questo modo, Dave?» chiese Marlowe. «Se ne restasse anche una piccola parte, diciamo dall’uno al dieci per cento, la conseguenza sarebbe disastrosa. Non dimentichiamo che un piccolo disturbo — piccolo da un punto di vista astronomico — basterebbe a cancellarci dalla faccia dell’Universo.»
«Da parte mia ho fiducia che tutto l’idrogeno effettivamente svapori. Il pericolo è l’altro, che insieme all’idrogeno una quantità troppo grande degli altri gas dell’atmosfera svapori nello spazio.»
«Come può essere? Non avete detto che solo le parti esterne dell’atmosfera verranno riscaldate?»
Prese la parola Kingsley.
«La situazione è questa. Intanto la parte alta dell’atmosfera sarà calda, terribilmente calda. La parte bassa, quella in cui noi viviamo, all’inizio sarà fredda. Ma vi sarà a poco a poco un passaggio di energia verso il basso, con una tendenza a riscaldare le parti inferiori.»
Kingsley posò il bicchiere di whisky.
«Si tratta di stabilire la velocità di questo passaggio di energia. Come ha detto Marlowe, anche il più lieve disturbo sarebbe disastroso. Può darsi che gli strati bassi dell’atmosfera si riscaldino al punto da arrostirci tutti, arrostirci, alla lettera, e a fuoco lento, politici compresi, Parkinson.»
«Lei dimentica che noi resisteremo di più perchè abbiamo la pelle più aura.»
«Buonissima, segno un punto a suo vantaggio! Naturalmente il passaggio di energia verso il basso può avvenire così in fretta da disperdere tutta l’atmosfera nello spazio.»
«E questo si può stabilire?»
«Ebbene, l’energia si può trasferire in tre modi: conduzione, convezione e radiazione, lo sanno anche i ragazzi del liceo. Possiamo essere già certi che la conduzione ci interessa meno.»
«E nemmeno la convezione,» intervenne Weichart. «Avremo, verso l’esterno, un’atmosfera stabile a temperatura crescente. Perciò non vi può essere convezione.»
«Perciò resta la radiazione,» concluse Marlowe.
«E quale sarà l’effetto della radiazione?»
«Non lo sappiamo,» disse Weichart. «Bisognerà calcolarlo.»
«Ed è possibile?» chiese Parkinson con insistenza.
Kingsley annuì.
«Possibile calcolare,» affermò Alexandrov. «Sarà grande calcolo, accidenti.»
Tre settimane dopo Kingsley chiese un incontro con Parkinson.
«Il calcolatore elettronico ci ha dato i risultati,» disse. «Per fortuna ho tanto insistito per avere il calcolatore. Pare che tutto vada bene per ciò che riguarda la radiazione. Il fattore sarà di circa dieci, e quindi potremo stare abbastanza tranquilli. Dagli strati dell’atmosfera scenderà una terribile dose di sostanze letali: raggi X e ultravioletti. Ma pare che non riusciranno ad arrivare qua in fondo. Al livello del mare saremo abbastanza ben riparati Le cose andranno un po’ peggio sulle montagne alte. Penso che bisognerà far calare la gente. Sarà impossibile vivere in posti come il Tibet.»
«Ma ritiene che, in generale, potremo farcela?»
«Proprio non lo so. Le confesso, Parkinson, che son preoccupato. Non è l’affare della radiazione; sotto quell’aspetto credo che tutto vada bene. Ma per quanto riguarda la convezione, non sono d’accordo con Dave Weichart, e credo che nemmeno lui abbia la fiducia che aveva prima. Ricorda quel che diceva? Che non può esservi convezione perchè la temperatura aumenta negli strati esterni? In condizioni ordinarie è verissimo. Le inversioni di temperatura — così le chiamano — sono un fatto ben noto, soprattutto nella California del sud, e Weichart viene proprio di là. È vero che, con un’inversione di temperatura, non c’è mai un movimento verticale nell’aria.»
«E allora di cosa si preoccupa?»
«Mi preoccupa la parte alta dell’atmosfera, la parte che sarà colpita dalla Nuvola. Lassù ci dev’essere convezione, per l’urto dall’esterno. Tale convezione certamente non giungerà fino al fondo dell’atmosfera. Su questo punto Weichart ha ragione. Ma in qualche misura riuscirà a penetrare. E là dove ciò avviene ci sarà un enorme trasferimento del calore.»
«Ma che importa se il calore non giunge in fondo?»
«Può importare, invece. Pensi a quel che succederà giorno per giorno. Il primo giorno ci sarà una lieve penetrazione delle correnti. Poi a notte perderemo non solo l’idrogeno filtrato durante il giorno, ma anche una parte dell’atmosfera, fin dove sono filtrate le correnti. Perciò, fra il primo giorno e la prima notte, noi avremo perso il velo più esterno della nostra atmosfera, oltre all’idrogeno. Poi il giorno dopo e la notte successiva perderemo un altro velo, e così via. Giorno per giorno l’atmosfera sarà sbucciata, come una cipolla.»
«Ce la faremo a reggere un mese?»
«È proprio questo il problema. E non ne conosco la risposta. Forse ci vorranno meno di dieci giorni, forse durerà un mese intero. Proprio non lo so.»
«Non è possibile scoprirlo?»
«Posso provarci, ma è terribilmente difficile aver la certezza di non trascurare nei calcoli alcun importante fattore. È molto peggio del problema della radiazione. Certamente riusciremo a trovare una risposta, ma non posso garantire quanto sarà esatta. Posso dirle una cosa: se scamperemo, scamperemo per una questione di millesimi. In tutta franchezza, non credo che ne sapremo di più fra sei mesi. Probabilmente questa è una di quelle cose troppo complicate per un calcolo diretto. Temo che dovremo aspettare e stare a vedere.»
«Cosa devo dire a Londra?»
«Decida lei. Certo dovrebbe dir loro di sgomberare le zone d’alta montagna, anche se in Gran Bretagna non ci sono alte montagne. In quanto al resto mi rimetto a lei.»
«Non è una bella situazione, vero?»
«No, se si sente giù di morale, ne parli con uno dei nostri giardinieri. Si chiama Stoddard. È così lento di comprendonio che niente lo preoccupa, nemmeno la scomparsa dell’atmosfera.»
Nella terza settimana di gennaio nel cielo si leggeva il destino dell’uomo. La stella Rigel, della costellazione di Orione, era scomparsa. Nelle settimane successive scomparve Sirio, insieme alla Spada e alla cintura di Orione. La scomparsa di Sirio la notarono tutti.
La Nuvola acquistò di nuovo interesse per la stampa. Ogni giorno si pubblicavano rapporti sul suo avvicinarsi. Le agenzie turistiche facevano buoni affari organizzando gite notturne per ammirare il grande mistero. Gli ascoltatori dei programmi scientifici BBC erano triplicati, quando c’era conferenza d’astronomia.
Alla fine di gennaio quasi una persona su quattro aveva già visto la Nuvola. Non era quanto bastava per dominare l’opinione pubblica, ma la maggioranza cominciava a convincersi che era venuto il momento di pensare ai casi propri. Poichè non era possibile che gli abitanti delle città si spostassero tutti di notte in campagna, qualcuno propose di spegnere l’illuminazione cittadina. All’inizio vi fu qualche resistenza da parte delle autorità municipali, ma giovò solo a trasformare quelle cortesi proposte in vere e proprie richieste. Wolverhampton fu la prima città d’Inghilterra a ordinare l’oscuramento, presto imitata da altre: alla fine della seconda settimana di febbraio cedettero anche le autorità londinesi. Ormai quasi tutta la popolazione era al corrente della Nuvola nera, che aveva afferrato come una mano avida il Cacciatore dei Cieli, Orione.
Quasi le stesse cose andavano accadendo negli Stati Uniti, e in ogni paese civile. Per gli Stati Uniti c’era inoltre il problema di sgomberare quasi tutti gli Stati occidentali, perchè lì una parte considerevole del territorio abitato sta sopra i 1500 metri, cioè sopra il limite di sicurezza, secondo il rapporto di Nortonstowe. Naturalmente il governo USA aveva rinviato la questione ai suoi esperti, ma le loro conclusioni non differivano molto da quelle di Nortonstowe. Il governo USA si accollò anche l’evacuazione delle repubbliche andine, in Sudamerica.
I paesi agricoli dell’Asia, stranamente, non si mossero quando, attraverso le Nazioni Unite, seppero quel che succedeva. Osservarono al solito la politica di attesa: dopotutto poteva essere l’atteggiamento più saggio. Da migliaia d’anni i contadini asiatici erano abituati alle sciagure naturali. Erano altrettanti «atti di Dio»; secondo la mentalità orientale incendi e inondazioni, invasioni barbariche, cavallette e malattie si dovevano sopportare passivamente. Lo stesso valeva per quella nuova cosa, su in cielo. In ogni caso la vita aveva poco da offrire e quindi non valeva poi molto.
Il compito di evacuare il Tibet, il Sinkiang e la Mongolia esterna, fu affidato ai cinesi i quali, con suprema indifferenza, non fecero nulla. I russi invece evacuarono con meticolosa prontezza il Pamir e le altre zone montuose. Fu fatto qualche sforzo sincero per mettere in salvo gli afghani, ma gli emissari russi furono buttati fuori dall’Afghanistan sotto la minaccia delle pistole. Nemmeno l’India e il Pakistan fecero nulla per evacuare la zona dell’Himalaya a sud dello spartiacque principale.
Arrivando la primavera nell’emisfero settentrionale, la Nuvola cominciò a passare dal cielo notturno a quello diurno. Così, pur espandendosi rapidamente oltre la costellazione di Orione — ormai completamente oscurata — la presenza della Nuvola si notava con minore facilità: non bastava alzare gli occhi al cielo per vederla. Gli inglesi continuavano a giocare a cricket e a zappettare i giardini, e la stessa cosa facevano gli americani.
La tradizionale passione per il giardinaggio era favorita da un’estate eccezionalmente precoce: cominciò alla metà di maggio. Certamente la preoccupazione era diffusa, ma la gente si illudeva perchè, una settimana dopo l’altra, il cielo fu chiaro, con un magnifico sole. Alla fine di maggio si potè fare il raccolto delle verdure.
Il governo non era affatto contento di quel tempo meraviglioso: sotto questa scontentezza c’era un triste presagio. Rispetto alla prima scoperta, la Nuvola aveva ormai compiuto il novanta per cento della strada necessaria per raggiungere il Sole. Naturalmente si era previsto che la Nuvola, avvicinandosi al Sole, avrebbe riflesso radiazioni in misura sempre maggiore, e che di conseguenza sulla Terra sarebbe cresciuta la temperatura. Le osservazioni di Marlowe dimostravano che non ci doveva essere quasi alcun accrescimento di luce: ed infatti fu così. Per tutta quella smagliante primavera e quell’estate precoce, non si notò alcun apprezzabile aumento della luminosità del cielo; succedeva questo: la luce del Sole urtava contro la Nuvola e veniva riflessa sotto forma di calore invisibile. Per fortuna non tutta la luce veniva riflessa dalla Nuvola in questa maniera, altrimenti la Terra non sarebbe stata più abitabile. Per fortuna una gran parte del calore non penetrava fino al fondo dell’atmosfera. Veniva riflessa e rilanciata nello spazio.
Verso giugno apparve chiaro che la temperatura della Terra sarebbe cresciuta di circa venti gradi. Di solito non si avverte che una gran parte della specie umana vive a temperatura vicina al massimo sopportabile. In condizioni di atmosfera molto secca l’uomo può resistere a una temperatura di circa sessantacinque gradi. Difatti temperatura simili si raggiungono normalmente, in estate, nei bassipiani del deserto dell’America occidentale e in Nordafrica. Ma in condizioni normali di umidità la temperatura massima sopportabile si aggira sui 46 gradi. Una temperatura simile, con alta umidità, è normale, in estate, lungo le coste orientali degli Stati Uniti e a volte anche nel Middle West. Strano a dirsi, all’Equatore la temperatura di solito non supera i 35 gradi, anche se l’atmosfera è molto umida. Questa stranezza si spiega pensando che all’Equatore c’è uno strato più denso di nubi che riflettono nello spazio maggior quantità di raggi solari.
Si capirà quindi che, su gran parte della superficie terrestre, il margine di sicurezza non supera i 15 gradi e in alcune zone è molto minore. Basterebbe un aumento di 20–25 gradi per mettere in serio pericolo tutta la specie umana.
Si può aggiungere che la mortalità deriva dal fatto che il corpo umano non può liberarsi del calore che esso stesso di continuo genera. Questo calore è necessario per mantenere il corpo alla temperatura normale di circa 36–37 gradi. Quando la temperatura cresce fino a 40 gradi, il corpo si ammala, poco più su c’è il delirio e a 43 gradi sopravviene la morte. C’è da stupirsi del fatto che il corpo umano riesca a liberarsi del calore quando si trova immerso in un’atmosfera più calda, diciamo un’atmosfera di 45 gradi. Il fatto è che il corpo riesce ad evaporare il calore, sudando. Ciò accade meglio quando l’umidità è bassa: ecco perchè l’uomo resiste a temperatura più alte con bassa umidità, ecco perchè il caldo è più sopportabile quando c’è poca umidità.
Dall’umidità appunto sarebbe dipesa la situazione dell’uomo nei giorni a venire. C’era qualche motivo di speranza. I raggi caldi provenienti dalla Nuvola avrebbero sollevato la temperatura più rapidamente sulla terraferma che sul mare; insieme a quella della terra sarebbe cresciuta la temperatura dell’aria, mentre il tasso di umidità dell’aria sarebbe cresciuto più lentamente, insieme alla temperatura del mare. Perciò si sarebbe avuta una diminuzione dell’umidità e un accrescimento della temperatura: questo, almeno agli inizi. Fu proprio quell’iniziale caduta dell’umidità che diede luogo a una primavera mai vista così chiara in Inghilterra, e a un’estate così precoce.
Le prime osservazioni dei raggi caldi provenienti dalla Nuvola portarono a sottovalutarne l’importanza. Altrimenti il governo americano non avrebbe collocato i suoi impianti scientifici nel deserto occidentale. Ora erano costretti a spostare uomini e apparecchi, e per questo dovettero rivolgersi in misura maggiore a Nortonstowe. Cosi Nortonstowe crebbe d’importanza; ma nemmeno lì mancavano le difficoltà.
A una riunione del gruppo che stava studiando la Nuvola, Alexandrov riassunse il parere di tutti con queste parole:
«Risultato impossibile,» disse, «esperimento sbagliato.»
Ma John Marlborough sosteneva di non aver sbagliato, e per evitare gli attriti fu convenuto di far ripetere quella ricerca a Harry Leicester — faceva parte del gruppo di studio sui problemi delle comunicazioni. Dieci giorni dopo, a lavoro ultimato, Leicester fece il suo rapporto a riunione plenaria.
«Comincio dal principio. Al momento in cui la Nuvola fu scoperta, trovammo che avanzava verso il Sole a una velocità di poco inferiore ai 70 chilometri al secondo. Stimammo che la velocità sarebbe man mano cresciuta, avvicinandosi la Nuvola al Sole, risultando così una velocità media finale di circa 80 chilometri al secondo. Quindici giorni fa Marlborough, come risultato delle sue osservazioni, ci disse che la Nuvola non si comporta come noi avevamo previsto. Invece di aumentare, diminuisce la sua velocità, man mano che si avvicina al Sole. Come sapete, decidemmo di ripetere il lavoro di Marlborough. Ma è meglio farvi vedere qualche lastra.»
Solo una persona fu contenta di averle viste; e cioè Marlborough, perchè le lastre confermavano le sua osservazioni.
«Ma, accidenti,» disse Weichart, «la Nuvola deve aumentare la velocità, entrando nel campo gravitazionale del Sole.»
«A meno che non si scarichi in qualche modo del suo impulso,» rispose Leicester. «Guardiamo un’altra volta l’ultima lastra. Vedete questi puntolini, da questa parte? Son così piccoli che possono far pensare a un errore. Ma se sono veri significano un moto di circa 500 chilometri al secondo.»
«Molto interessante,» borbottò Kingsley. «Vuol dire che la Nuvola lancia particelle di materia ad altissima velocità, e proprio per questo rallenta.»
«È un’interpretazione possibile,» rispose Leicester.
«O almeno è un’interpretazione che rispetta le leggi della meccanica e quelle della logica, in qualche misura.»
«Ma perchè la Nuvola dovrebbe comportarsi in una maniera tanto strana?>? chiese Weichart.
«Forse per interno, accidenti,» propose Alexandrov.
Quel pomeriggio Parkinson si mise a fianco di Marlowe e di Kingsley che passeggiavano per la campagna.
«Mi stavo chiedendo se ci sarà qualche cambiamento importante per via di queste nuove scoperte,» disse.
«Difficile a dire,» rispose Marlowe sbuffando del fumo. «Troppo presto per saperlo. D’ora in poi dovremo tenere gli occhi aperti, spalancati.»
«Forse bisognerà cambiare il nostro programma, in quanto al tempo,» osservò Kingsley. «Pensavamo che la Nuvola avrebbe raggiunto il Sole al principio di luglio, ma se questo rallentamento continua ci vorrà un tempo assai maggiore. Forse alla fine di luglio, o anche ad agosto comincerà la crisi. E non credo più che siano giuste le nostre previsioni sul riscaldamento interno della Nuvola. Il cambiamento di velocità modifica anche questo.»
«Forse che la Nuvola rallenta alla stessa maniera di un razzo, cioè sparando frammenti di materia ad altissima velocità?» chiese Parkinson.
«Sembra proprio così. Ne stavamo discutendo le possibili ragioni.»
«E che cosa ne pensate?»
«Be’,» continuò Marlowe, «è probabile che ci sia un campo magnetico abbastanza forte all’interno della Nuvola. Il campo magnetico della Terra subisce già notevoli perturbazioni. Potrebbe trattarsi di corpuscoli provenienti dal Sole, una delle tante tempeste magnetiche, insomma. Ma a me pare di aver capito che ci debba essere un campo magnetico dentro la Nuvola, e che cominciamo a rendercene conto.»
«E credete che quest’affare abbia qualche rapporto con il magnetismo?»
«Può darsi. Per esempio un processo causato dall’interazione fra il campo magnetico del Sole e quello della Nuvola. Non è affatto chiaro che cosa stia succedendo, ma di tutte le spiegazioni possibili questa a noi sembra la meno improbabile.»
Erano giunti vicino a casa quando un uomo robusto. toccandosi il berretto, fece:
«‘sera, signori.»
«Bel tempo, Stoddard. Come va il giardino?»
«Sì signore, tempo meraviglioso. I pomodori son già maturi. Mai visto prima, signori.»
Continuarono e Kingsley disse:
«A dir la verità se mi permettessero di cambiarmi con quell’uomo per i prossimi tre mesi, sapete, non esiterei. Che bella cosa non vedere oltre i pomodori maturi!»
Per tutto giugno e luglio la temperatura continuò a crescere su tutta la Terra. Sulle isole britanniche il termometro sali sopra i 30, sopra i 35, avvicinandosi ai 40. La gente si lamentava, ma il disagio non era in fondo insopportabile.
Il tasso di mortalità degli Stati Uniti si mantenne basso, grazie alle attrezzature per l’aria condizionata installata nei mesi precedenti. In tutto il paese la temperatura si avvicinò al limite massimo di sopportazione, e per settimane intere la gente fu costretta a restarsene in casa. Qualche impianto per l’aria condizionata si guastò, e proprio in questi casi si ebbero delle perdite.
All’altezza dei Tropici le condizioni erano disperate: basta pensare che scomparvero 7943 specie di piante e di animali. L’uomo riuscì a sopravvivere solo nella misura in cui riuscì a scavarsi caverne e cantine. Non si poteva far nulla per mitigare la temperatura dell’aria, insopportabile. Non sappiamo quanta gente sia morta in questo periodo. Sappiamo soltanto che, durante i mesi della crisi, morirono complessivamente 700 milioni di persone. Tale numero sarebbe stato maggiore, senza certe circostanze fortunate che ancora dobbiamo narrare.
Infine cominciò a crescere la temperatura delle acque, non con lo stesso ritmo della temperatura dell’aria, ma già abbastanza per provocare un pericoloso aumento dell’umidità. Proprio questo fatto provocò le disastrose condizioni di cui già si è fatto cenno. Milioni di persone, fra la latitudine del Cairo e quella del Capo di Buona Speranza, si trovarono a vivere in un’atmosfera soffocante che di giorno in giorno, inesorabilmente, diventava più calda e più umida. L’uomo cessò di muoversi: non c’era altro da fare che distendersi a terra e ansimare, come fanno i cani quando hanno caldo.
Nella quarta settimana di luglio ai Tropici le condizioni oscillavano fra la vita e la morte complete. Poi all’improvviso, su tutto il globo si accumularono nuvole di pioggia. Dopo tre giorni il cielo era tutto coperto e la Terra era avvolta completamente dalle nuvole, come accade normalmente per il pianeta Venere. La temperatura scese un poco, senza dubbio perchè le nuvole riflettevano nello spazio una parte maggiore delle radiazioni solari. Ma non per questo poteva dirsi che le condizioni fossero migliorate. Ovunque cominciò a cadere pioggia calda, anche alla latitudine dell’Islanda. Il numero degli insetti crebbe enormemente, perchè l’atmosfera torrida li favoriva, allo stesso modo che sfavoriva invece l’uomo e gli altri mammiferi.
La flora fiorì rigogliosamente. I deserti si coprirono di vegetazione, ciò che l’uomo non aveva mai visto dal tempo della sua venuta sulla Terra. Ironia della sorte, nessuno potè giovarsi di quella improvvisa fertilità di zone fino allora desolate. Non si potè seminare nulla. Tranne che nel nord-ovest europeo e nelle regioni artiche l’uomo non poteva far altro che sopravvivere. Non poteva prendere alcuna iniziativa. Il signore del creato era costretto in ginocchio dall’ambiente, ambiente che per cinquant’anni l’uomo s’era vantato di dominare.
Ma anche se non vi fu miglioramento, le condizioni non peggiorarono. Con poco cibo, o addirittura senza nulla da mangiare, ma con acqua in abbondanza, gli abitatori delle zone esposte al calore estremo riuscirono a sopravvivere. Il tasso di mortalità era salito a un livello assurdo, ma non andò oltre.
Una settimana prima che la gran coltre di nuvole coprisse la Terra, a Nortonstowe ci fu una scoperta di un certo interesse astronomico. In modo drammatico ci si accorse che sulla Luna c’erano grandi tempeste di polvere.
In luglio, crescendo la temperatura, l’estate britannica, di solito fresca, segnò un caldo tropicale; ma niente di più. Presto l’erba fu arsa e i fiori morirono. Se si pensa a quel che succedeva in quasi tutte le altre zone della Terra, possiamo dire che la Gran Bretagna non soffrì molto, anche se durante il giorno la temperatura saliva fin verso i 38 gradi per scendere, di notte, appena a 33. Le spiagge si andarono affollando e dappertutto, lungo la costa, si vedeva gente accampata.
Nortonstowe aveva la fortuna di possedere un grande rifugio ad aria condizionata: la gente ormai in numero sempre maggiore preferiva trascorrervi la notte. Sotto ogni altro aspetto la vita procedeva normalmente: solo, le passeggiate in campagna si facevano di notte, anzichè col calore del Sole.
Una sera di luna piena, Marlowe Emerson e Knut Jensen passeggiavano, quando a poco a poco il chiaro di luna parve trasformarsi. Emerson alzò gli occhi e disse:
«Che cosa strana, Geoff. Non ci sono nuvole.»
«Forse si tratta di particelle di ghiaccio ad alto livello.»
«Ma non con questo calore.»
«È vero, non mi pare possibile.»
«E poi ha uno strano colore giallo, che non può essere provocato da cristalli di ghiaccio,» aggiunse Jensen.
«Be’, non c’è altro da fare, bisogna guardare con i propri occhi. Andiamo al telescopio.»
Si diressero verso la cupola dov’era allogato lo Schmidt, e Marlowe diresse il sei pollici verso la Luna.
«Dio mio,» esclamò, «bolle!»
Guardarono anche Emerson e Jensen, poi Marlowe disse:
«È meglio andare a chiamare gli altri. È uno spettacolo che bisogna vedere. Voglio fotografarlo con lo Schmidt.»
Insieme al gruppo che correva verso il telescopio, dopo la chiamata urgente di Emerson e di Jensen, c’era anche Ann Halsey. Quando giunse il suo turno di mettere l’occhio al telescopio, Ann non sapeva affatto cosa avrebbe veduto. Aveva un’idea sommaria della superficie grigia, scavata, sterile della Luna, ma non ne conosceva la topografia nei particolari. E non comprendeva cosa significassero le frasi eccitate che si scambiavano gli astronomi. Fu quasi per un obbligo morale che mise l’occhio al telescopio. Ma quando ebbe raggiustato il fuoco, le si rivelò improvvisamente un mondo fantastico. La Luna era di un colore giallo limone. I particolari di solito così netti erano offuscati da una nuvola gigantesca che ne copriva il disco e si estendeva oltre i margini. La Nuvola era formata da particelle lanciate dalle zone più scure. Di tanto in tanto da queste zone emergevano nuove onde di particelle che si increspavano e vibravano in modo stupefacente.
«Avanti, Ann, non ci dormire. Vorremmo dargli un’altra occhiata prima che finisca la notte,» disse qualcuno, ed ella a malincuore si staccò dallo strumento.
«Cosa significa, Chris?» chiese Ann a Kingsley mentre tornavano al rifugio.
«Ricordi quel che dicevano l’altro giorno, che la Nuvola rallenta, man mano che si avvicina al Sole?»
«Ricordo che tutti se ne preoccupavano.»
«Ebbene, la Nuvola rallenta emettendo masse gassose ad altissima velocità. Non sappiamo perchè e come faccia questo, ma le osservazioni di Marlborough e di Leicester dimostrano con certezza che le cose stanno proprio così.»
«Non mi dirai che una di queste masse gassose ha colpito la Luna?»
«La penso esattamente così. Quelle zone oscure sono enormi tempeste di polvere, alte forse due o tre miglia. L’urto del gas ad alta velocità solleva la polvere a centinaia di miglia sopra la superficie della Luna.»
«E non può darsi che una di queste massa colpisca anche noi?»
«Non credevo che ci fosse questa possibilità. La Terra è un bersaglio molto piccolo, ma la Luna è anche più piccola, eppure una di quelle massa ha colpito proprio la Luna.»
«E che succederebbe se…?»
«Se colpisse noi? Non ci voglio pensare. Ci stiamo già preoccupando abbastanza di quel che può accadere se la Nuvola ci investe a una velocità di circa 50 chilometri al secondo. Ma sarebbe terribile se fossimo colpiti alla velocità di una di quelle masse: credo che si tratti di un migliaio di chilometri al secondo. Suppongo che tutta l’atmosfera terrestre sarebbe semplicemente spazzata via nello spazio, come sta succedendo alla polvere della Luna.»
«C’è una cosa che non riesco a comprendere in te, Chris. Come fai a prendertela con la politica e coi politici, sapendo tutte queste cose? Non credi che la politica, al confronto, sia un’inutile sciocchezza?»
«Ma, cara Ann, se io passassi tutto il mio tempo a pensare alla situazione reale, entro un paio di giorni diventerei pazzo. Qualcun altro impazzirebbe con me. Altri ancora si darebbero all’alcool. Il mio modo di evadere è quello di prendermela coi politici. Il vecchio Parkinson sa bene che per noi la polemica è una specie di gioco. Ma, per dirtela chiaramente, d’ora in poi è questione di ore: poi, chissà…»
La ragazza gli si avvicinò.
«Ma forse dovrei dirtelo in una maniera più poetica,» sussurrò.
«Vieni, baciami, mia cara,
chè la vita ci abbandona.»