Il governo degli Stati Uniti fu il primo ente ufficiale ad apprendere che la Nuvola nera si stava avvicinando alla Terra.
A Herrick occorsero alcuni giorni a perforare gli strati più alti dell’apparato governativo, ma alla fine ci riuscì, con risultati che gli parvero soddisfacenti. La sera del 24 gennaio fu avvisato di presentarsi, la mattina dopo alle nove e mezzo, nell’ufficio del Presidente.
«Situazione molto strana,» disse il Presidente. «Ma lei e il suo gruppo di Monte Wilson siete al di sopra di ogni sospetto ed io non voglio sprecar tempo a giudicare ciò che lei mi ha detto. Ho convocato invece alcuni signori, in modo che possiamo subito metterci a considerare quel che si può fare.»
Una discussione di due ore fu ben riassunta in questi termini dal ministro del Tesoro:
«Le nostre conclusioni mi sembrano assai chiare, signor Presidente. È possibile prevenire un turbamento economico molto serio grazie a due fattori che nella situazione paiono favorevoli. Il dottor Herrick ci assicura che questa… hm, visita non durerà molto più di un mese. È un tempo così breve che, anche se dovesse crescere moltissimo il consumo del carburante, resta assai limitata la quantità complessiva necessaria per resistere durante il periodo di freddo esterno. Non esiste perciò in forma grave il problema di costituire un’adeguata riserva di carburante; anzi può darsi che bastino le nostre disponibilità attuali. Problema più serio è invece quello del trasferimento veloce delle riserve al consumatore industriale o domestico; non sappiamo ancora se riusciremo a pompare benzina e petrolio con la velocità necessaria. E una questione che va considerata, ma con un anno e mezzo di tempo a disposizione non c’è difficoltà che non possa superarsi.
«Il secondo fattore favorevole è la data della visita. Verso la metà di luglio, cioè nell’epoca in cui il dottor Herrick ritiene più probabile l’inizio dell’emergenza, il raccolto sarà ormai compiuto. Tale situazione favorevole vale per il mondo intero, così la carenza di cibo sarà assai limitata; più grave sarebbe stato se il periodo del freddo fosse caduto in maggio o in giugno.»
«Perciò credo che siamo tutti d’accordo sui passi immediati da compiere,» aggiunse il Presidente. «Quando avremo deciso sulle nostre disponibilità, dovremo esaminare il problema, alquanto più complesso, dell’aiuto che possiamo dare agli altri popoli del mondo. Ma per il momento pensiamo a mettere in ordine casa nostra. Ritengo ora che voi, signori, desideriate ritornare al vostro importante lavoro; ci sono alcune domande che personalmente vorrei porre al dottor Herrick.»
Quando si sciolse la riunione e rimasero soli, il Presidente continuò:
«Ebbene, dottor Herrick, lei capirà che per il momento la questione deve essere trattata con la massima segretezza. Vedo che sul rapporto, oltre al suo, ci sono tre altri nomi. Questi signori, immagino, fanno parte del suo gruppo? Può farmi conoscere i nomi di ogni altra persona che sia al corrente del contenuto del rapporto?»
Herrick, rispondendo al Presidente, gli fece una breve relazione delle circostanze che avevano condotto alla scoperta, sottolineando il fatto che era inevitabile che al tre persone ne venissero a conoscenza nell’osservatorio, prima che se ne comprendesse l’importanza.
«Certo, è abbastanza naturale,» osservò il Presidente. «Per fortuna la questione non è uscita dai confini dell’osservatorio. Sono certo, in tutta sincerità, son certo che di questo, dottor Herrick, lei mi possa dar garanzia.»
Herrick rispose che, a sua conoscenza, c’erano quattro persone estranee all’osservatorio che sapevano tutto sulla Nuvola nera, e cioè Barnett e Weichart dell’Istituto di Tecnologia della California (ma questo non faceva alcuna differenza, osservatorio e istituti erano in pratica la stessa cosa) e due scienziati inglesi, il dottor Christopher Kingsley di Cambridge e l’Astronomo Reale in persona. I nomi di questi ultimi due figuravano sul rapporto. Il Presidente si irrigidì subito.
«Due inglesi!» esclamò. «Questo non mi piace affatto. Come è potuto accadere?»
Herrick si rese conto che il Presidente aveva letto solo un riassunto del rapporto e gli spiegò in che modo Kingsley e l’Astronomo Reale avevano per proprio conto dedotto l’esistenza della Nuvola, come era giunto a Pasadena il telegramma di Kingsley e come i due inglesi erano stati invitati in California. Il Presidente parve calmarsi.
«Ah, sono tutti e due in California, vero? Ha fatto bene a mandare quell’invito, forse lei non se ne rende conto, dottor Herrick.»
Solo allora Herrick comprese perchè Kingsley aveva voluto tornare subito in Inghilterra.
Qualche ora dopo, mentre l’aereo si lasciava dietro la costa atlantica, Herrick ripensava alla sua visita a Washington. Non si aspettava di ricevere dal Presidente una censura pacata ma ferma, nè pensava che lo avrebbero rimandato a casa così presto. Strano a dirsi, quella palese censura lo preoccupava molto meno di quel che avrebbe immaginato. Sentiva di aver fatto il proprio dovere, e Herrick temeva sempre più l’autocritica che la critica altrui.
Anche all’Astronomo Reale occorsero alcuni giorni per giungere al vertice della piramide governativa. La strada passava per il Primo Lord dell’Ammiragliato. Più facile l’ascesa se egli avesse avuto voglia di dichiarare lo scopo della sua richiesta, ma l’Astronomo Reale non volle dire altro, se non che desiderava conferire col Primo ministro. Finalmente gli permisero di parlare con il segretario privato del Primo ministro, un giovane chiamato Francis Parkinson. Parkinson fu esplicito: il Primo Ministro era estremamente occupato. Come certo l’Astronomo Reale sapeva, a parte i normali affari di Stato, c’era in vista una delicata conferenza internazionale, poi, a primavera, la visita a Londra del signor Nehru, e quindi il Primo ministro doveva, a sua volta, partire in visita per Washington. Se l’Astronomo Reale non intendeva dichiarare il motivo del colloquio, non ci sarebbe stato colloquio alcuno. Certo, avrebbe dovuto trattarsi di una questione assai importante, altrimenti, purtroppo, lui non poteva promettergli alcun aiuto. L’Astronomo Reale fu costretto a cedere, e ragguagliò rapidamente Parkinson sulla questione della Nuvola nera. Due ore dopo stava spiegando tutta la questione, questa volta con tutti i particolari, al Primo ministro.
Il giorno dopo il Primo ministro tenne una riunione d’emergenza dei principali ministri, ivi compreso quello dell’Interno. C’era anche Parkinson, con funzioni di segretario. Dopo aver ripetuto esattamente il rapporto di Herrick, il Primo ministro si guardò intorno e disse:
«Convocando questa riunione intendevo mettervi al corrente di una questione che può diventare seria, piuttosto che discutere sull’azione immediata da intraprendere. Per prima cosa naturalmente dobbiamo accertarci dell’esattezza di questo rapporto.»
«E come possiamo far ciò?» chiese il ministro degli Esteri.
«Bene, per prima cosa ho chiesto a Parkinson di fare una piccola inchiesta segreta sulla… hm… reputazione scientifica dei signori che hanno firmato il rapporto. Forse vi interesserà sentire cos’ha da dirci Parkinson.»
I presenti risposero di sì. Parkinson pareva che si stesse scusando di qualcosa.
«Non fu del tutto facile ottenere informazioni veramente attendibili, specialmente al riguardo dei due americani. Tuttavia, dai miei amici della Società Reale ho appreso che un rapporto firmato dall’Astronomo Reale o dall’osservatorio di Monte Wilson deve considerarsi assolutamente valido, dal punto di vista dell’osservazione. Assai meno sicuri peraltro essi sono sulle capacità deduttive dei quattro firmatari. A quel che mi è dato di capire, solo Kingsley, fra i quattro, potrebbe vantare esperienza in tal senso.»
«Cosa intende dire con
«Be’… Kingsley ha fama di scienziato geniale, ma non tutti lo stimano perfettamente attendibile.»
«E ciò equivale a dire che la parte deduttiva di questo rapporto è opera di un uomo solo e che quell’uomo è individuo brillante ma in attendibile,» fece il Primo ministro.
«Be’… possiamo anche enunciare in questa maniera quel che ho detto, quantunque sia una maniera un po’… come dire?… estremista,» rispose Parkinson.
«Forse,» continuò il Primo ministro, «ma in ogni modo ci dà qualche ragione per essere scettici. Evidentemente bisogna indagare ancora. Con voi voglio discutere i mezzi per ottenere migliori informazioni. Intanto potremmo chiedere al Consiglio della Società Reale di nominare una commissione che verifichi tutta la questione. C’è solo un’altra linea d’azione che a me pare consigliabile, affrontare direttamente il governo degli Stati Uniti, al quale certamente interessa sapere se il professor Kingsley e gli altri sono persone attendibili.»
Dopo una discussione di diverse ore fu deciso di mettersi in contatto immediato con il governo degli Stati Uniti. A favore di questa decisione aveva parlato soprattutto il ministro degli Esteri, al quale non mancarono gli argomenti per sostenere una alternativa che avrebbe messo tutta la questione nelle sue mani.
«Il punto decisivo,» diss’egli, «è questo: se ci rivolgiamo alla Società Reale — è ciò potrebbe anche essere auspicabile, ma per altri motivi — offriremmo a un numero maggiore di persone la conoscenza di fatti che, allo stadio attuale, debbono restar segreti. Su questo credo che siamo tutti d’accordo.»
Erano d’accordo. Ma il ministro della Difesa voleva sapere qualcosa: «Quali provvedimenti si possono prendere per assicurarci che nè l’Astronomo Reale nè il dottor Kingsley siano in grado di diffondere interpretazioni allarmistiche dei fatti presunti?»
«È un punto delicato e importante,» rispose il Primo ministro. «L’ho già considerato attentamente. È questa appunto la ragione per cui ho chiesto al ministro dell’Interno di intervenire a questa riunione. Era mia intenzione sollevare il problema con lui solo, più tardi.»
Tutti furono d’accordo nel riconoscere che la questione andava lasciata al Primo ministro e al ministro dell’Interno, e la riunione si sciolse. Il ministro delle Finanze era preoccupato, tornando al suo ufficio. Di tutti i presenti era l’unico ad aver motivo di sentirsi nei guai, perchè solo lui poteva valutare quanto fosse debole l’economia nazionale, e quanto poco sarebbe bastato per mandarla in rovina. Il ministro degli Esteri invece era soddisfatto di sè. Sentiva d’esserne uscito bene. Il ministro della Difesa pensava che in fondo tutta quella storia era una tempesta in un bicchier d’acqua, e che comunque non aveva nulla a che fare col suo ministero. Anzi, si chiedeva perchè l’avessero convocato alla riunione.
Il ministro dell’Interno, dal canto suo, era molto soddisfatto che l’avessero invitato a quella riunione; oltre tutto gli toccava il privilegio di restare, dopo che gli altri se n’erano andati, a discutere da solo con il Primo ministro.
«Sono certo,» disse, «che riusciremo a scovare una qualche legge che ci permetta di tappare la bocca a quei due messeri, l’Astronomo Reale e quello di Cambridge.»
«Ne sono certo anch’io,» rispose il Primo ministro. «Non per niente abbiamo leggi vecchie di centinaia di anni. Ma è molto meglio che ci comportiamo con tatto. Ho già avuto occasione di discutere con l’Astronomo Reale. Gli ho esposto il caso, e da quel che ha detto mi pare di poter essere certo della sua discrezione. Ma da certi accenni che ha fatto, capisco che la cosa è un po’ diversa per quanto riguarda il dottor Kingsley. In ogni modo è chiaro che dobbiamo metterci in contatto con il dottor Kingsley, senza indugio.»
«Manderò subito qualcuno a Cambridge.»
«Non qualcuno, deve andar lei in persona. Il dottor Kingsley sarà… hm… direi lusingato se va a trovarlo personalmente. Gli telefoni e gli dice che sarà a Cambridge domattina, e che vuole consultarsi con lui per una questione importante. In questo modo credo che sarà più efficace, ed anche più semplice.»
Dopo il ritorno a Cambridge Kingsley ebbe molto da fare. Fece quindi buon uso dei pochi giorni che gli restavano, prima che cominciassero a girare le ruote politiche. Spedì diverse lettere, tutte raccomandate. Un osservatore attento forse avrebbe notato soprattutto quelle indirizzate a Greta Johannsen di Oslo, e a mademoiselle Yvette Hedelfort, dell’Università di Clermont-Ferrand: erano queste le uniche donne a cui Kingsley scrivesse. Nè l’attento osservatore avrebbe mancato di notare una lettera ad Alexis Ivanovic Alexandrov. Kingsley sperava che sarebbe giunta a destinazione, ma non si poteva mai esser certi della roba spedita in Russia. È vero che gli scienziati russi e quelli occidentali, quando si incontravano alle conferenze internazionali, predisponevano modi e mezzi per far passare le proprie lettere. È vero che il segreto di questi mezzi era mantenuto con grande rigore, pur essendone a conoscenza molte persone. È vero che molte lettere riuscivano a passare tra le mani di tutte le censure. Ma non si poteva mai essere completamente tranquilli. Kingsley sperava che tutto andasse bene.
Più che d’ogni altra cosa, peraltro, si preoccupava dei radioastronomi. Pregò John Marlborough e i suoi colleghi di osservare bene l’approssimarsi della Nuvola a sud di Orione. Ci volle gran forza di persuasione per metterli al lavoro. L’attrezzatura di Cambridge (per quanto riguardava i 31 centimetri) funzionava solo da poco tempo, e c’erano molte altre osservazioni che Marlborough voleva portare avanti. Ma Kingsley finalmente riuscì a convincerlo, senza rivelare i suoi veri propositi. E quando i radioastronomi ebbero cominciato a studiare la Nuvola, ne vennero risultati così sorprendenti che non ci fu più bisogno di convincere Marlborough a continuare. La sua squadra si mise a lavorare di continuo, ventiquattro ore al giorno. Kingsley ebbe pane per i suoi denti, perchè doveva ridurre i risultati e distillarne il significato.
Il quarto giorno, pranzando insieme a Kingsley, Marlborough era eccitatissimo. A Kingsley parve che fosse ormai tempo, ed osservò:
«È chiaro che noi dovremmo mirare alla pubblicazione quasi immediate di tutte queste novità. Ma credo che sarebbe meglio aver la conferma da qualcun altro. Mi son chiesto se uno di noi due non farebbe bene a scrivere a Leicester.»
Marlborough ingoiò un boccone.
«Buona idea,» disse. «Scrivo io. Sono in debito con lui di una lettera, e ci sono altre cose di cui gli voglio parlare.»
Kingsley sapeva bene che cosa aveva in mente Marlborough: su un paio di questioni Leicester era arrivato prima di lui, e Marlborough aspettava tanto l’occasione per dimostrargli che non era lui, Leicester, l’unico pesce a nuotare per i mari.
Difatti Marlborough scrisse a Leicester, dell’Università di Sydney in Australia, ma, per maggiore tranquillità, e senza dir nulla a Marlborough, gli scrisse anche Kingsley. Le due lettere contenevano quasi le stesse cose, ma Kingsley fece anche qualche accenno traverso, che poteva significar molto, per chi sapesse della minaccia della Nuvola nera; naturalmente Leicester non ne sapeva niente.
La mattina dopo, tornando a casa dopo la lezione, Kingsley incontrò un fattorino che, eccitatissimo, gli fece:
«Dottor Kingsley, c’è un messaggio importante per lei.»
Era il ministro dell’Interno: alle tre del pomeriggio avrebbe gradito un colloquio con il professor Kingsley.
Il ministro dell’Interno fu puntuale, puntualissimo. L’orologio di Trinity Hall batteva le tre quando lo stesso fattorino, sempre agitato, lo fece entrare nell’appartamento di Kingsley.
«Il ministro dell’Interno, signore,» accennò con una punta di magniloquenza.
Il ministro dell’Interno fu brusco, sottile ed accorto allo stesso tempo. Venne subito al dunque. Il governo era naturalmente rimasto sorpreso, forse un po’ allarmato dal rapporto dell’Astronomo Reale. Tutti avevano apprezzato la parte che in quel rapporto aveva avuto la abilità deduttiva del professor Kingsley. Il ministro dell’Interno era venuto di persona a Cambridge per un duplice motivo: per complimentarsi col professor Kingsley per la prontezza della sua analisi dello strano fenomeno di cui aveva avuto conoscenza; e per dirgli che il governo avrebbe molto gradito di tenersi sempre in contatto con il professor Kingsley, sì da giovarsi in pieno del suo consiglio prezioso.
Kingsley non potè far altro che schermirsi per tutti quei complimenti ed offrire, con la miglior grazia a lui possibile, tutto l’aiuto di cui era capace.
Il ministro dell’Interno espresse la sua soddisfazione e poi aggiunse, quasi gli fosse venuto in mente per caso, che il Primo ministro in persona si era preoccupato di sapere cosa potesse pensare il professor Kingsley di una piccola questione, piccola, ma, ad avviso del ministro dell’Interno, alquanto delicata: per il momento solo pochissime persone dovevano essere al corrente della situazione, e cioè il professor Kingsley, l’Astronomo Reale, il Primo ministro e i suoi principali collaboratori del gabinetto.
«Diavolo d’uomo,» pensò Kingsley, «mi ha messo proprio dove non voglio stare, in una posizione da cui non posso uscire che facendo il muso duro, e proprio in casa mia. Forse è meglio che cerchi di scaldare le cose un po’ alla volta.»
Questa volta a voce alta, fece:
«Può essere certo che io comprendo e apprezzo in pieno il suo giusto desiderio che le cose rimangano segrete. Ma ci sono difficoltà che a mio avviso dovrebbero essere prese in considerazione. Per prima cosa il tempo stringe: sedici mesi non sono molti. In secondo luogo ci sono molte cose che dobbiamo sapere e presto, sulla Nuvola. In terzo luogo tali cose non si scopriranno mai se si conserva il segreto assoluto. L’Astronomo Reale e io non possiamo far tutto da soli. In quarto luogo il segreto non può essere che temporaneo. Ci sono altre persone in grado di fare il ragionamento contenuto nel rapporto dell’Astronomo Reale. Nel migliore dei casi lei non può sperare che passino impunemente più di due mesi. In ogni modo alla fine dell’autunno la situazione sarà chiara a tutti quelli che si prenderanno la premura di alzare gli occhi al cielo.»
«Lei non mi ha capito, professor Kingsley. Io ho parlato di presente immediato. Una volta elaborata una linea di condotta, noi intendiamo procedere a tutto vapore. Informeremo tutti coloro che è necessario informare; non ci sarà inutile silenzio, non chiediamo altro che il segreto assoluto nel periodo attuale, fino a quando non saranno pronti i nostri piani. Naturalmente non vogliamo che la questione diventi di pubblico dominio prima che noi siamo in grado di controllare le nostre forze, se lei mi consente l’uso di questa espressione militaresca.»
«Mi dispiace molto, signore, ma tutto quel che lei dice non mi sembra molto ben considerato. Lei vorrebbe formulare una linea di condotta per poi passare all’azione. Vorrebbe, come suol dirsi, mettere il carro avanti ai buoi. Ma io le assicuro che non è possibile formulare una valida linea di condotta fino a che altri dati non siano a nostra disposizione. Noi non sappiamo nemmeno per esempio, se la Nuvola colpirà la Terra. Non sappiamo se il materiale di cui è composta la Nuvola è velenoso. La prima cosa che abbiamo pensato è che, quando arriverà la Nuvola, farà molto freddo, ma è anche possibile che accada proprio il contrario. Può darsi che faccia troppo caldo. Fino a che tutti questi fattori non siano noti, linea di condotta, in senso sociale, non significa niente. L’unica possibile linea di condotta è quella di raccogliere, e col minimo indugio, tutti i dati importanti. E questo, le ripeto, non può essere fatto se noi conserviamo un segreto veramente assoluto.»
Kingsley si chiedeva quanto sarebbe continuata questa conversazione di tipo settecentesco. Doveva mettere al fuoco la teiera?
Si avvicinava rapidamente il punto di rottura. Quei due uomini erano troppo diversi di mentalità perchè fosse possibile più di mezz’ora di conversazione. Quando parlava, il ministro dell’Interno mirava a far reagire il suo interlocutore secondo un suo piano predisposto. Non gli importava sapere come ciò sarebbe accaduto, purchè accadesse. Per lui ogni mezzo era buono: adulazione, psicologia spicciola applicata, pressione sociale, lusinghe o anche minacce. Come altri uomini di governo aveva scoperto che un discorso in termini apparentemente logici, ma con un ben radicato elemento emotivo, di solito ha successo. La logica pura e semplice non serve. Invece, per Kingsley la logica rigorosa era tutto, o quasi tutto.
Ecco perchè il ministro dell’Interno fece un errore.
«Mio caro professor Kingsley, temo che lei ci sottovaluti. Stia pur certo che faremo i nostri piani presupponendo la situazione peggiore.»
Kingsley saltò su:
«Allora si prepari a questa situazione: tutti gli uomini, tutte le donne e tutti i bambini moriranno; non resterà vivo nè un animale, nè una pianta. Posso chiederle quale sarà in tal caso la vostra linea di condotta?»
Il ministro dell’Interno non era uomo da difendere fino in fondo una causa pericolosa. Quando la discussione lo portava in un impasse scabroso, cambiava discorso, e non tornava più sul vecchio argomento. Stimò quindi che fosse giunto il tempo di mutar tattica; ma proprio per ciò cadde in un secondo più grave errore.
«Professor Kingsley, ho cercato di mettere le cose nella forma migliore, ma ora lei mi sta imbarazzando. Perciò è necessario che le parli chiaro. Non c’è bisogno che le dica che se questa sua storia diventa di dominio pubblico le ripercussioni saranno gravi davvero.»
Kingsley fremeva.
«Ma caro amico,» disse, «è proprio terribile! Gravi ripercussioni davvero! Penso anch’io che le ripercussioni saranno gravi, specialmente il giorno in cui il Sole rimarrà oscurato. Quali sono i piani del suo governo per impedire questo fatto?»
Il ministro quasi perse la pazienza.
«Lei ragiona sul presupposto che il Sole venga realmente oscurato. Mi permetta di dirle con franchezza che il governo ha fatto la necessaria inchiesta, e che non siamo del tutto convinti della precisione del suo rapporto.»
Kingsley era alle corde.
«Cosa?»
Il ministro dell’Interno incalzò:
«Forse non aveva pensato a questa possibilità, professor Kingsley. Supponiamo, dico supponiamo, che tutta la questione si risolva in un nulla di fatto, che si dimostri una tempesta in un bicchier d’acqua, una chimera. Immagina quale sarà la sua posizione, professor Kingsley, se lei si rendesse responsabile di aver provocato l’allarme nel pubblico per una semplice bolla di sapone? Le assicuro, con tutta solennità, che la fine di tutto questo affare sarebbe molto seria per lei.»
Kingsley si riebbe un poco. Sentiva avvicinarsi dentro di sè il momento dell’esplosione.
«Non so dirle quanto le sono grato di tanta premura. Mi sorprende anche, e non poco, l’acutezza con cui il governo ha investigato sul nostro rapporto. Sarò franco: sono addirittura sbalordito. Mi pare peccato che lei non sappia dimostrare pari acutezza in questioni che dovrebbe conoscere in maniera meno dilettantesca.»
Il ministro non aveva motivi per raccogliere quella provocazione. Si alzò, prese cappello e bastone, e disse:
«Qualunque rivelazione lei faccia, professor Kingsley, sarà considerata dal governo come grave contravvenzione alla legge sui segreti ufficiali. In questi ultimi anni si son dati numerosi casi di scienziati che hanno voluto porsi al di sopra della legge e dell’interesse pubblico. Immagino che lei sappia quel che è accaduto a costoro. Le auguro buon giorno.»
Per la prima volta la voce di Kingsley si fece dura imperiosa. «E posso farle osservare, signor ministro dell’Interno, che ogni tentativo del governo di interferire Con la mia libertà di movimento, varrà a distruggere ogni vostra possibilità di conservare il segreto? Finchè tale questione rimane ignota al pubblico, siete tutti nelle mie mani.»
Quando il ministro dell’Interno se ne fu andato Kingsley si guardò allo specchio sogghignando:
«Ho recitato la mia parte abbastanza bene, mi sembra; mi dispiace solo che sia successo in casa mia.»
Ora le cose si muovevano in fretta. A sera un gruppo di poliziotti giunsero a Cambridge e saccheggiarono l’appartamento di Kingsley, mentre egli era a cena. Fu scoperta e ricopiata una lunga lista di suoi corrispondenti. All’ufficio postale presero l’elenco delle lettere impostate da Kingsley dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti. Non fu difficile perchè le lettere erano tutte raccomandate. Si scoprì che di esse solo una poteva ancora essere in viaggio, la lettera al dottor H.C. Leicester dell’Università di Sydney. Da Londra partirono subito cablogrammi urgenti, ed entro poche ore la lettera fu intercettata a Darwin, Australia. In cifra, il contenuto fu telegrafato a Londra.
Alle dieci in punto della mattina seguente ci fu una riunione al numero 10 di Downing Street: vi partecipavano il ministro dell’Interno, sir Harold Standard, capo della polizia, Francis Parkinson e il Primo ministro
«Ebbene, signori,» cominciò il Primo ministro, «avete tutti avuto larga possibilità di studiare i fatti del caso, e credo che siate d’accordo nel ritenere che occorra far qualcosa, circa questo Kingsley. La lettera inviata in URSS, e il contenuto di quella intercettata, ci impongono di agire prontamente.»
Gli altri annuirono, senza dire nulla.
«La questione che ora dobbiamo decidere,» continuò il Primo ministro, «è la forma che dovrà prendere tale azione.»
Il ministro dell’Interno non aveva dubbi in proposito. Era favorevole all’incarcerazione immediata.
«Non credo che dobbiamo prendere troppo sul serio la minaccia di Kingsley di rivelare tutto al pubblico. Possiamo ben precludere tutte le fessure attraverso le quali possono filtrare le notizie. È probabile che avremo qualche inconveniente, ma nel complesso sarà un inconveniente limitato, minore comunque che se cercheremo qualche forma di compromesso.»
«Ammetto che possiamo farlo,» disse Parkinson. «Ma ritengo che ci siano fessure a noi ignote, attraverso le quali le notizie possano trapelare. Posso parlare francamente, signore?»
«Perchè no?» disse il Primo ministro.
«Be’, mi sento a disagio se ripenso a quello che affermai a proposito di Kingsley, nella nostra ultima riunione. Dissi che molti scienziati lo considerano brillante, ma non del tutto attendibile. Questo è in realtà il parere degli scienziati. Ma dimenticai di aggiungere che non c’è mestiere pieno di gelosie quanto quello dello scienziato; e la gelosia non consente ad alcuno di affermare che un collega è brillante e attendibile. Francamente, signore, non ci sono molte possibilità che il rapporto dell’Astronomo Reale sia, nella sostanza, erroneo.
«Ebbene, signore, ho studiato con molta attenzione quel rapporto e mi sembra di essermi fatto un’idea della personalità e della capacità degli uomini che lo hanno firmato. Non credo che un uomo dell’intelligenza di Kingsley avrebbe difficoltà a render nota la situazione, se davvero lo volesse. Se potessimo tendergli intorno, lentamente, una rete, per alcune settimane, tanto lentamente che egli non se ne accorgesse, forse in tal modo potremmo riuscire nel nostro intento. Ma è certo che egli può aver previsto la nostra idea di metterlo al fresco. Vorrei chiedere a sir Harold: se noi arrestiamo subito Kingsley, c’è la possibilità che egli faccia trapelare qualcosa?»
«Temo che sia giusto ciò che dice il signor Parkinson,» cominciò sir Harold. «Non siamo in grado di tappare le fessure usuali: la stampa, la radio, anzi la nostra radio. Ma cosa faremmo se qualcosa trapelasse da Radio Lussemburghese, per fare un esempio? E ci sono decine di possibilità del genere. Ci potremmo anche riuscire, avendo tempo a disposizione, ma non così, dalla mattina alla sera, temo. Un’altra cosa,» continuò, «tutta questa storia divamperebbe come un incendio, una volta che fosse nota, anche senza i giornali o la radio. Sarebbe come una di quelle reazioni a catena di cui si sente tanto parlare ai giorni nostri. È molto difficile impedire che le notizie si diffondano attraverso queste fessure, perchè queste si aprirebbero da ogni parte. Può darsi che Kingsley abbia depositato qualche documento chissà dove, con la disposizione che venga letto a una certa scadenza, a meno che egli non dia istruzioni in contrario. È la solita maniera, lo sapete benissimo. E può anche darsi che Kingsley abbia fatto qualche altra cosa, non altrettanto usuale.»
«E questo sembra accordarsi con l’opinione di Parkinson,» intervenne il Primo ministro. «Bene, Francis, mi par di capire che lei ha qualche asso nella manica. Vediamolo.»
Parkinson espose la sua idea che, a suo avviso, avrebbe funzionato. Dopo aver discusso decisero di metterla alla prove: se funzionava, avrebbe funzionato subito. E se non funzionava, potevano sempre riprendere il piano del ministro dell’Interno. Poi la riunione si sciolse. Ci fu subito una telefonata a Cambridge. Poteva il professor Kingsley ricevere il signor Francis Parkinson, segretario del Primo ministro, alle tre di quel pomeriggio? Il professor Kingsley poteva. Perciò Parkinson partì per Cambridge. Era anche lui puntuale, ed entrò nell’appartamento di Kingsley mentre l’orologio di Trinity Hall batteva le tre.
«Ah,» sbottò Kingsley stringendogli la mano, «tardi per il pranzo, presto per il tè.»
«Spero che non mi mandi via con tanta fretta, professor Kingsley,» rispose Parkinson sorridendo.
Kingsley era molto più giovane di quel che Parkinson aveva pensato: poteva avere trentasette, trentotto anni. Parkinson se lo era immaginato piuttosto alto e sottile. In questo non si sbagliava, ma non aveva previsto quella singolare combinazione dei capelli neri e folti con gli occhi stupendamente azzurri. Insomma Kingsley non era il tipo d’uomo che si dimentica facilmente.
Parkinson si sedette vicino al fuoco e disse:
«Ho sentito parlare della conversazione di ieri tra lei e il ministro dell’Interno: posso dirle che vi disapprovo tutti e due?»
«Non poteva finire in altro modo,» rispose Kingsley.
«Forse, ma tuttavia debbo deplorarvi. Io disapprovo le discussioni in cui le due parti non sanno giungere a un compromesso.»
«Non è difficile indovinare qual è il suo mestiere, signor Parkinson.»
«Può darsi benissimo, ma per essere franco mi meraviglio che un individuo della sua posizione possa aver assunto un atteggiamento così intransigente.»
«Mi piacerebbe sapere quale compromesso mi restava aperto.»
«Son venuto da lei proprio per dirle questo. Mi permetta di essere il primo a compromettermi, giusto per farle vedere come si fa. A proposito, lei ha parlato di tè. Vogliamo mettere la teiera al fuoco? Mi vengono in mente i vecchi tempi di Oxford e ne provo nostalgia. Voi dell’Università non sapete davvero quanto siete fortunati.»
«Allude agli aiuti finanziari che il governo concede alle Università?» borbottò Kingsley.
«Non mi creda capace di una simile indelicatezza, anche se, per la verità, stamane il ministro dell’Interno ha accennato a questo fatto.»
«Ci avrei scommesso. Ma ancora aspetto di sentirmi dire qual è il compromesso possibile. È proprio certo che nel suo vocabolario
«Niente affatto. E mi consenta di provarglielo, mostrandole in quale misura siamo pronti al compromesso.»
«Lei o il ministro dell’Interno?»
«Il Primo ministro.»
«Capisco.»
Kingsley era tutto preso dai preparativi per il tè. Quando ebbe finito Parkinson riprese.
«Be’, in primo luogo le chiedo scusa per le considerazioni che il ministro dell’Interno può aver fatto sul suo rapporto. In secondo luogo riconosco che il nostro primo passo debba essere la raccolta dei dati scientifici. Riconosco che bisogna andare avanti con la maggiore sollecitudine possibile, e che bisogna mettere al corrente della situazione tutti quegli scienziati che possano dare qualche contributo. Non mi pare necessario, invece, che, allo stadio attuale, altre persone debbano essere a conoscenza della situazione. Questo è il compromesso che le chiedo.»
«Signor Parkinson, ammiro la sua franchezza, ma non la sua logica. La sfido a dirmi il nome di una persona che da me abbia saputo qualcosa sulla minaccia della Nuvola nera. Quante persone invece l’hanno saputo da lei, signor Parkinson, e dal Primo ministro? Mi sono sempre opposto all’Astronomo Reale, perchè egli voleva informarvi; infatti sapevo che voi non avreste potuto tener nulla veramente segreto. Ora poi vorrei proprio non essermi lasciato sopraffare da lui.»
Questa volta era Parkinson alle corde.
«Però lei non può negare di avere scritto una lettera molto esplicita al dottor Leicester dell’Università di Sydney?»
«Certo che non lo nego. E perchè dovrei? Leicester non sa nulla della Nuvola.»
«Ma lo saprebbe, se avesse ricevuto la lettera.»
«I se e i ma son roba da politici, signor Parkinson. Come scienziato a me interessano i fatti e non i motivi, i sospetti e le bolle di sapone. La realtà è — ed io debbo insistere su questo — che nessuno ha saputo da me nulla di importante su tale questione. Chi davvero sparge in giro le chiacchiere è il Primo ministro. Avevo detto all’Astronomo Reale che sarebbe finita così, ma lui non mi voleva credere.»
«Lei non ha grande rispetto per la mia professione, vero professor Kingsley?»
«Visto che lei vuole che io parli francamente, le risponderò di no. A me i politici sembrano simili agli strumenti sul cruscotto dell’automobile. Mi avvisano di quel che succede nel motore dello Stato, ma non son mai loro a controllarlo.»
All’improvviso Parkinson capì che Kingsley lo prendeva in giro, e parecchio. Scoppiò a ridere, ed anche Kingsley si mise a ridere. Da quel momento i loro rapporti furono assai più facili.
Dopo una seconda tazza di tè e un altro po’ di conversazione generica, Parkinson tornò al dunque.
«Mi lasci dire, e non cerchi di canzonarmi. La sua maniera di raccogliere dati scientifici non è quella più rapida, e nemmeno la più sicura, se vogliamo dare al termine sicurezza il suo significato più ampio.»
«Non ho una maniera migliore, signor Parkinson, e il tempo — non c’è bisogno che glielo ricordi — è prezioso.»
«Forse lei non ha una maniera migliore per il momento, ma può darsi che la troviamo.»
«Non capisco.»
«Il governo intende riunire tutti gli scienziati che debbono essere a conoscenza dei fatti. Mi pare che lei di recente abbia lavorato con un certo signor Marlborough del gruppo dei radioastronomi. La ringrazio dell’assicurazione di non aver dato notizie essenziali al signor Marlborough; ma non le pare che sarebbe meglio trovare un modo più efficace per metterli al corrente dei fatti?»
Kingsley ricordò che all’inizio aveva avuto difficoltà col gruppo dei radioastronomi.
«Senza dubbio.»
«Allora siamo d’accordo. Secondo: Cambridge, o un qualsiasi altra Università, non è il luogo migliore per condurre queste ricerche. Lei fa parte di una comunità integrata e non può sperare di avere insieme segretezza e libertà di parola. Non può coi suoi colleghi formare un gruppo all’interno del gruppo. La maniera giusta è perciò quella di creare uno stabilimento del tutto nuovo una comunità nuova fatta apposta per affrontare la situazione d’emergenza, una comunità alla quale daremo ogni possibile facilitazione.»
«Come Los Alamos, per esempio.»
«Precisamente. Se ci pensa bene mi pare che debba riconoscere che non c’è altra soluzione possibile.»
«Forse dovrei ricordarle che Los Alamos si trova nel deserto.»
«Non credo che sia possibile mettervi nel deserto.»
«E dove volete metterci? Ma che bel verbo, questo metterci.»
«Non credo che avrete di che lagnarvi. Il governo sta per completare la trasformazione di un graziosissimo maniero settecentesco a Nortonstowe.»
«Dove sarebbe?»
«Presso Cotswolds, sull’altipiano, a nord-ovest di Cirencester.»
«Come e perchè lo stanno trasformando?»
«Avrebbe dovuto servire come sede di un istituto ricerche agricole. A un miglio dalla casa abbiamo costruito una serie di edifici nuovissimi per ospitare il personale: i giardinieri, la gente di fatica, le dattilografe, e così via. Le ho detto che vi avremmo dato ogni facilitazione, e posso assicurarle, in tutta sincerità, che dicevo il vero.»
«E quelli dell’agricoltura non avranno nulla da dire, se li buttano fuori per far posto a noi?»
«Non si preoccupi di questo; non tutti considerano il governo alla maniera sua, cioè con tanto poco rispetto.»
«Ma vi sono altre difficoltà di cui non avete tenuto conto. Occorreranno strumenti scientifici… Un radiotelescopio, per esempio. C’è voluto un anno per montarne uno qui. Quanto tempo ci vorrà a rimuoverlo?»
«Quanti uomini sono occorsi per questo lavoro?»
«Venticinque circa.»
«E noi ne impiegheremo mille, diecimila, se occorre. Possiamo garantirle che riusciremo a smontare e rimontare gli strumenti che le paiono necessari in un periodo di tempo ragionevole, diciamo due settimane. Vi sono altri grossi strumenti?»
«Avremmo bisogno di un buon telescopio ottico: non importa che sia molto grande. Il più adatto mi sembra il nuovo Schmidt, qui di Cambridge. Peraltro non so come faremo a convincere Adams. Gli ci son voluti degli anni per ottenerlo.»
«Non credo che farà grosse difficoltà. Sarà contento di aspettare sei mesi per averne poi uno più grande e migliore.»
Kingsley mise altri ceppi nel fuoco e si riaccomodò sulla sedia.
«Smettiamola di girare intorno a questo punto,» disse. «Lei vuole che io mi lasci chiudere in una gabbia, sia pure una gabbia d’oro. Questo è il compromesso che vuole da me, un compromesso piuttosto grande. Ma ora discutiamo un poco del compromesso che io chiedo a voi.»
«Ma come, mi pareva di averne già parlato!»
«Certo, ma solo in maniera vaga. Voglio fissare ogni cosa con precisione. Primo: io ho la possibilità di scegliermi il personale per questo luogo, Nortonstowe, posso dar loro il salario che mi sembra giusto, e servirmi degli argomenti che mi paiono opportuni, fermo restando il segreto sulla situazione reale. In secondo luogo non voglio alcun funzionario governativo a Nortonstowe e non voglio alcun legame politico. L’unica persona con cui tratterò sarà lei.»
«A che cosa debbo questo trattamento di riguardo?»
«A questo: quantunque noi la pensiamo in maniera diversa, e quantunque serviamo differenti padroni, c’è tuttavia un terreno comune che ci consente il colloquio. Un cave raro, che probabilmente non si ripeterà più.»
«Sono davvero lusingato.»
«Allora non mi capisce. Sto parlando proprio sul serio. Le dico con tutta la solennità che se io o il mio gruppo dovessimo trovare a Nortonstowe un signore appartenente alle categorie suddette, lo butteremmo fuori, alla lettera. Se i politici cercheranno di impedircelo, o se i suddetti signori fossero così numerosi da non poterli buttar fuori tutti, allora io l’avverto, con la stessa serietà, che non potrete contare minimamente sulla nostra cooperazione. Se lei crede che io esageri, allora le dirò che lo faccio solo perchè so quanto siano sciocchi gli uomini politici.»
«Grazie tante.»
«Di nulla. Ed ore passiamo al terzo punto. Ci occorre carte e matita. Si segni minutamente, in modo che non vi sia possibilità di errore, tutta l’attrezzatura che deve essere a posto prima della mia partenza per Nortonstowe. Non accetterò scuse per un qualche inevitabile ritardo; non voglio sentirmi dire che la tal cosa arriverà
Parkinson se ne tornò a Londra con una lista lunghissima, e la mattina dopo ebbe un importante colloquio col Primo ministro.
«Ebbene?» chiese il Primo ministro.
«Sì e no,» rispose Parkinson. «Ho dovuto promettergli di attrezzare quel posto con tutti gli apparecchi scientifici.»
«Ma va benissimo! Non aveva torto Kingsley a dirci che occorrevano altri dati. Tanto meglio sarà perciò averli presto.»
«Non ne dubito, signore. Ma avrei preferito che Kingsley non assumesse tanta importanza nel nuovo stabilimento scientifico.»
«Non vale molto? C’è qualcuno migliore di lui?»
«Oh, come scienziato va benissimo. Non è questo che mi preoccupa.»
«So che sarebbe stato meglio dover lavorare con un tipo più trattabile. Ma mi sembra che i suoi interessi coincidano con i nostri. Purchè non si arrabbi, quando scoprirà che non può uscire da Nortonstowe.»
«Oh, lo ha già capito benissimo. Anzi, si è servito di questo fatto per porre certe sue gravi condizioni.»
«Che condizioni?»
«Per prima cosa che non ci siano funzionari governativi, e nessun rapporto politico, se non attraverso la mia persona.»
Il Primo ministro si mise a ridere.
«Povero Francis! Ora capisco qual è il guaio. Be’, in quanto ai funzionari governativi la cosa non è seria; per l’altra questione vedremo… Per cave ha fatto cenno a… salari astronomici?»
«Niente affatto: solo, Kingsley vuol servirsi dei salari come incentivo, per far venire la gente che gli interessa a Nortonstowe, prima di spiegar loro quale sia la ragione vera.»
«Ma insomma, cos’è che non va?»
«Nulla di preciso, di individuabile, eppure ho provato un senso generale di disagio. Ci sono tante piccole cose, che non significano nulla prese ognuna a sè, ma che mi preoccupano se le metto insieme.»
«Avanti, Francis, butti fuori.»
«Per dirla nei termini più generali, ho la sensazione che non siamo noi a manovrarlo, ma che sia lui a manovrare noi.»
«Non capisco.»
«Per la verità non capisco nemmeno io. In apparenza sembra che tutto vada bene, ma poi? Consideriamo il livello dell’intelligenza di Kingsley: non è un po’ strano che si sia preso il fastidio di spedire delle lettere raccomandate?»
«Ma forse le ha fatte spedire da qualche fattorino dell’Università.»
«Forse, ma in questo caso Kingsley sapeva certamente che il fattorino le avrebbe spedite per raccomandata. Poi c’è la lettera a Leicester. Quasi mi sembra che Kingsley fosse certo che quella lettera sarebbe finite in mano nostra; mi sembra che egli abbia voluto forzarci la mano. E non le pare che abbia esagerato con quel povero Harry (il ministro dell’Interno)? Poi guardi questa lista. È troppo precise e minuta: pare quasi che ogni cosa sia stata pensata da tempo. Capisco le riserve di alimentari e di carburante, ma perchè tutti questi attrezzi per scavare e rimuovere la terra?»
«Non ne ho la minima idea.»
«Ma Kingsley ce l’ha, Kingsley ha già pensato a fondo a tutta la questione.»
«Ma caro Francis, cosa ci importa di sapere quanto ci ha pensato sopra il nostro Kingsley? Cosa vogliamo noi? Riunire un gruppo di scienziati assai competenti, isolarli e farli stare tranquilli. Se per far star tranquillo Kingsley ci vuole tutta questa roba, diamogliela. Perchè ci dovremmo preoccupare?»
«Be’, c’è un sacco di apparecchi elettronici nella lista, proprio tanti. Forse li vogliono usare per radiotrasmettere.»
«E allora tolga subito questa roba. Non gliela possiamo dare.»
«Un momento, signore, non è tutto. Anch’io ho avuto dei sospetti al proposito, e perciò mi son consigliato, rivolgendomi a fonte attendibile, credo. Il fatto è questo: ogni trasmissione radio avviene in una sorta di cifra, che il ricevitore deve poter comprendere. Nel nostro paese la forma usuale di cifra ha il nome tecnico di modulazione di ampiezza, anche se la BBC di recente ha usato un tipo di cifra alquanto diversa, nota col nome di modulazione di frequenza.»
«Ah, è questa allora la modulazione di frequenza? Ne ho sentito parlare spesso.»
«Sì, signore. Be’, ecco il punto. Il tipo di trasmissione possibile con la nuova attrezzatura di Kingsley avverrebbe in una cifra diversa, una cifra che potrebbe essere scoperta solo con un apparecchio ricevente speciale. Perciò, anche se lui volesse mandare un messaggio, nessuno potrebbe riceverlo.»
«A meno che non avesse questo ricevitore speciale?»
«Esattamente. E dunque? Vogliamo concedere a Kingsley la sua attrezzatura elettronica, oppure no?»
«Per quale motivo dichiara di volerla?»
«Per la radioastronomia. Per osservare questa Nuvola mediante la radio.»
«Ed è possibile tale uso?»
«Oh, sì.»
«E allora perchè si preoccupa, Francis?»
«Perchè l’attrezzatura mi sembra eccessiva. Certo, io non sono scienziato. Ma non mi va giù l’idea che tutta questa roba occorra davvero. Insomma, gliela diamo o no?»
Il Primo ministro rimase qualche momento pensieroso.
«Controlli con cura i consigli della sua fonte attendibile. Se le cose che lei mi ha detto a proposito della cifra sono giuste, allora dia a Kingsley tutto quello che chiede. Tutto sommato questa storia delle trasmissioni può dimostrarsi vantaggiosa. Francis, finora abbiamo pensato a tutto questo da un punto di vista nazionale — voglio dire senza tener conto degli altri paesi. È chiaro?»
«Sì, signore.»
«Ma io ho guardato la cosa anche sotto un aspetto più ampio. Gli americani debbono trovarsi sulla nostra stessa barca. È quasi certo che cercheranno di creare qualcosa di simile a Nortonstowe. Sto pensando di cercar di convincerli che val la pena di unire i nostri mezzi e di lavorare in pieno accordo.»
«Ma non può darsi in questo caso che tocchi a noi andare in America, e non loro a venire in Inghilterra?» chiese Parkinson. «Forse gli americani penseranno che i loro uomini sono migliori dei nostri.»
«Ma non in questo campo della… hm… radioastronomia; mi pare di aver capito che in questo campo noi e gli australiani siamo più avanti. E poichè pare che la radioastronomia abbia grande importanza nella nostra situazione me ne servirò come punto di forza per discutere con gli americani.»
«Ma il segreto?» fece Parkinson con voce accorata. «Gli americani ritengono che noi non abbiamo i mezzi per garantire il segreto assoluto, ed a volte a me sembra che non siano lontani dal vero.»
«Ma a nostro vantaggio sta un’altra considerazione: il nostro popolo può vantare una flemma maggiore della loro. Ho l’impressione che i governanti americani considerino un vantaggio tenere il più lontano possibile tutti gli scienziati che si occupano di tale questione. In caso contrario sarebbe per loro come star seduti in continuazione su un barile di polvere. Fino a qualche momento fa la difficoltà maggiore era quella delle comunicazioni. Ma se possiamo contare su un collegamento radio diretto da Nortonstowe a Washington, e usare quel suo nuovo sistema di cifra, allora il problema dovrebbe essere risolto. Mi interesserò perchè tale questione sia risolta.»
«Un momento fa lei ha parlato di aspetti internazionali. Voleva dire davvero internazionali, o soltanto anglo-americani?»
«Internazionali. Innanzi tutto i radioastronomi australiani. E poi non credo che le cose rimarranno a lungo a conoscenza nostra e degli americani soltanto. Bisognerà dirlo anche ai capi degli altri Stati, persino ai sovietici. Poi farò in modo che qualche indiscrezione passi, in modo che il dottor Tale e il dottor Talaltro ricevano una lettera da un certo signor Kingsley, in cui si discute la questione, e che perciò siamo stati costretti a confinare questo Kingsley in un certo posto che si chiama Nortonstowe. Inoltre dirò che se il dottor Tale e il dottor Talaltro verranno mandati a Nortonstowe, noi saremo lieti di fare in modo che essi non creino grattacapi ai rispettivi governi.»
«Ma i sovietici non staranno al gioco.»
«E perchè no? Noi abbiamo visto di persona l’estremo imbarazzo che può provocare la conoscenza di queste cose, una volta superati i limiti del governo. Ieri, per esempio, cosa non avremmo dato per liberarci di quel Kingsley? E forse lei ancora desidererebbe sbarazzarsi di lui. Ebbene, i sovietici si affretteranno a spedirci i loro scienziati; e subito, con l’aereo più veloce.»
«Forse è vero. Ma perchè prenderci tutto questo fastidio, signore?»
«Ecco, non ha pensato lei che forse quel Kingsley può già aver cominciato a scegliere e a raccogliere il suo gruppo? Non ha pensato che quelle raccomandate potevano servirgli proprio a questo? Credo che sarà importante per noi avere una squadra di scienziati il più possibile forte. Ho il vago sospetto che nei giorni a venire Nortonstowe forse sarà più importante delle Nazioni Unite.»