È strano: anche se l’episodio delle bombe H creò a quelli di Nortonstowe una schiera di nemici aspri e implacabili, la posizione di Kingsley e dei suoi amici, almeno per il momento, ne risultò assai rafforzata. L’inversione del moto dei razzi aveva fornito una prova tremenda della potenza della Nuvola. Ormai nessuno dubitava che, se quelli di Nortonstowe l’avessero sollecitata, la Nuvola poteva scatenare distruzioni terribili. A Washington osservarono che, seppure agli inizi c’era stato qualche dubbio sulla volontà della Nuvola di mettersi dalla parte di Kingsley, ormai i dubbi erano impossibili. Si pensò anche di distruggere Nortonstowe per mezzo di un razzo intercontinentale. In questo caso si dava per scontata l’opposizione del governo britannico, ma poi si rinunciò a quell’idea, soprattutto perchè pareva sospetto l’atteggiamento del governo britannico stesso. Qualcuno fece osservare che non era possibile lanciare un razzo con quella precisione; e un errore nel lancio avrebbe provocato rappresaglie terribili e immediate.
Altra stranezza: non c’era dubbio che il bluff era più forte che mai; ma tuttavia quelli di Nortonstowe, o almeno i pochi che conoscevano la situazione, non ne furono affatto sollevati. A conoscere la situazione ora c’era anche Weichart. Era appena guarito da un forte attacco di influenza, che lo aveva messo a terra nei giorni critici. Ma, con la sua mente sempre attenta e vigile, aveva annusato la sostanza dei fatti. Un giorno impegnò con Alexandrov una discussione che agli altri parve divertente. Un fatto insolito, perchè erano ormai finiti i giorni spensierati di qualche tempo prima, e non sarebbero tornati mai più.
«A me pare che quelle perturbazioni nel moto dei razzi siano state fatte apposta,» cominciò Weichart.
«Perchè dici questo, Dave?» chiese Marlowe.
«Ecco, ci son poche probabilità che cento e più razzi lanciati a caso colpiscano tre città. Perciò ne concludo che il moto dei razzi non fu perturbato a caso. Ritengo che siano stati condotti deliberatamente, per colpire un bersaglio.»
«Avrei un’obbiezione da fare,» rispose McNeil. «Se i razzi furono guidati deliberatamente, perchè solo tre avrebbero colpito il bersaglio?»
«Forse perchè soltanto tre furono guidati, o forse perchè la guide non è stata perfetta. Non saprei.»
Alexandrov fece una risatina di scherno.
«Sciocchezza,» asserì.
«Cosa intendi per sciocchezza?»
«Inventi sciocchezza, come questa. Giocatore colpisce palla. Palla cade su cespuglio d’erba, così. Probabilità palla caduta su cespuglio molto piccola, molto piccola. Milioni altri cespugli per cadere palla. Probabilità molto piccola, molto, molto, molto piccola. Così giocatore non colpito palla, ma deliberatamente guidata su cespuglio. Sciocchezza. Sì? Come discorso di Weichart.»
Fu questo il discorso più lungo che avessero mai sentito da Alexandrov.
Ma Weichart non era tipo da lasciarsi contraddire. Quando ebbero smesso di ridere tornò all’attacco.
«A me par chiaro. Se i razzi erano guidati, è probabile che dovessero colpire il bersaglio; o almeno ciò è più probabile che se si fossero mossi a caso. Ora, poichè hanno colpito il bersaglio, mi pare più probabile che fossero guidati.»
Alexandrov fece un gesto retorico.
«Sciocchezza, no?»
«Alexis vuol dire,» spiegò Kingsley, «che non abbiamo alcun motivo per supporre che la Nuvola avesse un qualche bersaglio da colpire. Nell’esempio del giocatore e della palla, l’errore che Alexis vuole indicare è questo: perchè scegliere un cespuglio d’erba particolare come bersaglio, quando è chiaro che il giocatore non lo ha considerato bersaglio nel momento in cui lanciava la palla.»
Il russo annuì.
«Posso dire cosa è bersaglio prima di colpo non dopo colpo.»
«Infatti la scienza vale solo per le predizioni che riesce a darci.»
«Giusto, accidenti. Weichart prevede razzi guidati. Bene, domandiamo Nuvola. Solo modo di decidere. Non possiamo decidere discutendo.»
E questa frase di Alexandrov li fece riflettere su un fatto preoccupante.
Dopo il lancio dei razzi era cessata ogni comunicazione con la Nuvola, e nessuno se la sentiva di provare a chiamarla.
«Non credo che alla Nuvola piacerebbe questa domanda. Ho l’impressione che si sia adirata,» osservò Marlowe.
Ma Marlowe si sbagliava: se ne accorsero un paio di giorni dopo. Giunse un messaggio, con loro grande sorpresa, per informarli che la Nuvola entro dieci giorni si sarebbe mossa dal sistema solare.
«Incredibile,» disse Leicester a Parkinson e a Kingsley. «Pareva che la Nuvola dovesse restare per almeno cinquant’anni, e forse per più di cento.» Parkinson era preoccupato.
«Direi che la prospettiva è triste per noi. Quando la Nuvola se ne sarà andata, per noi è finita. Non ci sarà tribunale al mondo disposto a difenderci. Per quanto tempo ancora possiamo comunicare con la Nuvola?»
«Oh, se dipendesse solo dalla forza dei trasmettitori, potremmo tenerci in contatto per venti anni e più, anche se la Nuvola accelera la sua velocità. Ma secondo quanto ci ha detto, non potremo mantenere il contatto mentre essa accelera. In quel momento le condizioni elettriche delle sue parti esterne saranno assai agitate. Ci sarà troppo «Santo cielo, Leicester, vuol dire che ci restano soli dieci giorni, e poi per anni e anni non potremo far nulla? «Proprio così.» Parkinson era disfatto. «Allora è finita, cosa possiamo fare?» Finalmente parlò Kingsley. «Molto poco. Ma almeno possiamo cercar di scoprire perchè la Nuvola ha deciso di andarsene. Pare che abbia cambiato idea improvvisamente, e quindi ci deve essere un motivo grave. Credo che valga la pena di cercare di scoprirlo. Sentiamo cosa ha da dire.» «Forse non ci risponderà nemmeno,» disse Leicester con aria tetra. Invece la risposta arrivò. «È difficile per me rispondere alla vostra domanda, perchè la risposta implica un ambito di esperienza del quale nè voi nè io sappiamo nulla. Nei nostri precedenti colloqui non abbiamo discusso la natura delle credenze religiose degli uomini. A me parvero assai illogiche, e comprendendo che anche voi le considerate tali, non mi parve utile prenderle in considerazione. Grosso modo la religione tradizionale, così come molti uomini l’accettano, è un tentativo illogico di concepire entità esterne all’universo. Poichè l’universo comprende tutto, è chiaro che nulla può esserci al di fuori di esso. L’idea di un «Tuttavia restano molti problemi misteriosi. Forse vi siete chiesti se possa esistere un’intelligenza più grande della vostra. Ora lo sapete. Similmente io mi chiedo se possa esistere un’intelligenza più grande della mia. Non ce n’è nella Galassia, e nemmeno nelle altre galassie, che io sappia. Tuttavia mi sembra che ci sia la prova di una intelligenza massima, la quale abbia parte rilevantissima nella nostra esistenza. Altrimenti chi stabilisce il comportamento della materia? Chi determina le leggi della fisica? E perchè quelle leggi, e non altre? «Questi problemi sono di difficoltà immensa, tanto che nemmeno io sono riuscito a risolverli. Una cosa è chiara: questa intelligenza, se esiste, non può avere limiti nè spaziali nè temporali. «Ho detto che questi problemi sono di difficoltà estrema: eppure c’è la prova che la soluzione esiste. Circa duemila milioni di anni fa uno di noi affermò di averla trovata. «La notizia della soluzione fu trasmessa, ma prima di potere riceverla, la trasmissione fu interrotta bruscamente. Tentarono di ristabilire i contatti con quell’individuo, ma senza riuscirvi. Anzi, di quell’individuo non si trovò più traccia fisica. «Gli stessi fatti accaddero di nuovo circa quattrocento milioni di anni fa. Lo ricordo bene perchè fu poco dopo la mia nascita. Ricordo di aver ricevuto un messaggio trionfante; si era trovata la soluzione dei massimi problemi. Aspettai con grande ansia, ma nemmeno questa volta giunse la soluzione. E nemmeno questa volta si trovò più traccia di quell’individuo. «Gli stessi fatti si stanno ripetendo ancora una terza volta. L’individuo che sostiene di aver fatto la grande scoperta si trova a poco più di due anni luce da qui. Io sono l’essere a lui più vicino, ed è quindi necessario che parta senza indugio. Ecco il motivo della partenza.» Kingsley afferrò il microfono. «Che cosa sperate di scoprire, una volta giunto sul posto? Avete riserve sufficienti di alimentazione?» Arrivò la risposta. «Grazie per la premura. Ho una riserva di alimenti chimici. Non grande, ma sufficiente, purchè viaggi a velocità massima. Avevo pensato di rimandare la partenza per un certo numero di anni, ma in queste circostanze un indugio non è giustificato. Spero di riuscire a risolvere una vecchia controversia. Qualcuno ha affermato — ma a me non sembra plausibile — che questi singolarissimi eventi derivano da una condizione neurologica abnorme, alla quale segue il suicidio. Non è insolito che il suicidio prenda la forma di grande esplosione nucleare, che provoca la disgregazione completa dell’individuo. Se fosse accaduto questo, potremmo spiegarci perchè in questi strani casi non fu possibile trovare traccia materiale degli individui scomparsi. «Nel caso attuale io dovrei poter verificare questa teoria: l’incidente infatti, qualunque esso sia, è stato così vicino che posso raggiungere il luogo in due o trecento anni appena. È un tempo così breve che, se c’è stata l’esplosione, i frantumi non dovrebbero essere ancora dispersi completamente.» Alla fine del messaggio Kingsley volse gli occhi in giro. «Ragazzi, forse questa è l’ultima nostra occasione per far domande. Sarà bene prepararne una lista. Avete qualcosa da proporre?» «Ecco, vorrei sapere cosa è successo a quegli individui, se non hanno commesso un suicidio? Chiedigli quel che pensa,» fece Leicester. «Dovremmo anche sapere se abbandonerà il sistema solare in modo da non danneggiare la Terra,» osservò Parkinson. Marlowe annuì. «Giusto. A me pare che ci siano tre possibili inconvenienti: 1. essere colpiti da uno di quei lanci di gas, quando la Nuvola inizia l’accelerazione; 2. che la nostra atmosfera si mescoli con la Nuvola e se ne parta; 3. che il calore eccessivo ci arrostisca; calore eccessivo che può derivare o dalla troppa riflessione della luce solare sulla superficie della Nuvola — quel che è successo nell’epoca del grande caldo — o dall’inerzia liberata nel processo di accelerazione.» «Benissimo. Facciamo le domande.» La risposta della Nuvola superò decisamente le loro più rosee speranze. «Ci ho pensato con molta attenzione,» disse, «voglio creare uno schermo per proteggere la Terra durante le fasi iniziali dell’accelerazione. L’accelerazione sarà assai più violenta della decelerazione. Sarà quindi necessario che il materiale schermante si muova intorno al Sole, e la luce, per una quindicina di giorni, scomparirà; ma credo che questo non possa causarvi danno permanente. Durante gli ultimi stadi della mia partenza vi sarà certamente una certa quantità di riflessioni della luce solare, ma non in misura eccessiva: non quanto al tempo del mio arrivo. «È difficile darvi una risposta all’altra domanda, che possa esservi comprensibile, d ate le con dizioni attuali della vostra scienza. A dirla così all’ingrosso, pare che vi siano dei limiti di natura fisica alla qualità delle informazioni che si possono scambiare tra un’intelligenza e l’altra. Sospetto che esista una barriera assoluta per quanto riguarda l’invio di notizie sui massimi problemi. Mi sembra che l’intelligenza che tenta di comunicare tali informazioni venga ingoiata dallo spazio; cioè lo spazio si richiude su di essa, in modo tale che non è più possibile comunicare con altri individui di una gerarchia simile.» «Tu lo capisci, Chris?» chiese Leicester. «No. Ma c’è un’altra domanda che voglio porre.» Ed ecco la domanda di Kingsley: «Avrete notato che non abbiamo mai tentato di chiedervi notizie su teorie e fatti fisici che a noi sono ignoti. Tale omissione non dipende da mancanza di interesse; nè pensavamo di avere la possibilità di chiedervelo più avanti. Ora è chiaro che tale possibilità non ci sarà più. Cosa ci proponete per impiegar meglio il poco tempo che ci resta?» Ecco la risposta: «È una questione a cui ho già pensato. C’è una difficoltà fondamentale. Tutte le discussioni si sono svolte finora nella vostra lingua. Mi sono quindi limitato alle idee che siano comprensibili, pur se espresse in tale lingua: cioè mi sono limitato alle cose che già conoscete. Se non imparate, almeno in parte, la mia lingua, non è possibile la trasmissione di conoscenze radicalmente nuove. «Ciò solleva due problemi, uno di natura pratica e l’altro di natura vitale: cioè se il cervello umano possiede un’adeguata capacità neurologica. Non so rispondere a quest’ultima domanda. Ma ritengo per qualche motivo che mi sia lecito un certo ottimismo. Le spiegazioni che di solito si presentano per giustificare l’esistenza di uomini di genio superiore, mi sembrano certamente sbagliate. Il genio non è un fenomeno biologico. Un bambino non possiede genio, al momento della nascita: il genio si apprende. I biologi che sostengono il contrario ignorano persino i fatti che riguardano la loro scienza. Non sanno cioè che la specie umana non è selezionata per il genio; d’altra parte non c’è prova alcuna che il genio si trasmetta da padre in figlio. «La rarità del genio si spiega con la teoria delle probabilità. Il bambino, prima di raggiungere l’età adulta, deve imparare molte cose. Operazioni come le moltiplicazioni dei numeri si possono apprendere in diversi modi. Cioè il cervello può svilupparsi in molteplici direzioni, che portano tutte alla capacità di moltiplicare i numeri, ma non tutte con la stessa facilità. Quelli che si sviluppano in maniera positiva li definiamo «Temo di essere troppo deficiente per comprendere le cose di cui sta parlando. C’è qualcuno che me le sappia spiegare?» osservò Parkinson appena ci fu una pausa nella trasmissione. «Be’, ammesso che l’apprendimento possa avvenire in numerose forme, alcune delle quali migliori delle altre, bisogna concludere che la questione è tutta in mano al caso. Per fare un esempio, è come il totocalcio. Se il cervello deve svilupparsi fino al più alto grado di efficienza non in un processo di apprendimento solo, ma in una dozzina di processi simili, le probabilità che ne venga fuori un genio sono pari a quelle di azzeccare la schedina giusta.» «Capisco. Si spiega così la ragione per cui il genio è così raro,» spiegò Parkinson. «Sì, è raro — e forse anche di più — come è raro vincere al totocalcio una grossa somma. E spiega anche il motivo per cui un genio non può trasmettere le sua capacità a un figlio. La fortuna non è mai caratterizzata dall’ereditarietà.» Ma la Nuvola riprese il suo messaggio. «Da tutto questo deriva che il cervello umano è sostanzialmente capace di prestazioni assai migliori, purchè l’apprendimento si svolga sempre nella maniera più giusta. E proprio questo vorrei proporvi. Qualcuno di voi dovrebbe cercare di apprendere il mio metodo di pensiero, e usarlo nella maniera più profittevole. È evidente che il processo di apprendimento non può svolgersi nel vostro linguaggio: pertanto la comunicazione dovrà procedere in un modo assai diverso. Dei vostri organi sensori, il più adatto a ricevere informazioni complete è l’occhio. È vero che quasi mai voi usate gli occhi nel linguaggio ordinario, ma soprattutto con gli occhi il bambino si crea il quadro del mondo complesso che lo circonda. Ecco perchè intendo aprirvi, per mezzo degli occhi, un mondo nuovo. «Non mi occorrono mezzi complessi. Ora ve li descriverò.» Seguirono certi particolari tecnici di cui Leicester prese nota. Quando la Nuvola ebbe finito Leicester osservò: «Be’, non sarà difficile. Basta un certo numero di circuiti filtranti e una batteria intera di schermi a raggi catodici.» «Ma come riceveremo la trasmissione?» chiese Marlowe. «Naturalmente per radio, e poi attraverso i circuiti che filtrano le varie parti dei messaggi e l’indirizzano ai diversi schermi.» «Dovrà esserci una cifra per ogni filtro.» «Certo. In tal modo si potrà dare un certo ordine agli schermi: tuttavia non so ancora cosa ne ricaveremo.» «Meglio cominciare. Il tempo stringe,» disse Kingsley. Nelle successive ventiquattro ore il morale migliorò a Nortonstowe. Il gruppo che si riunì davanti al nuovo impianto, la sera seguente, era, entro certi limiti, formato da gente soddisfatta. «Comincia a nevicare,» osservò Barnett. «Mi sembra che dovremo aspettarci una brutta invernata, a parte quei quindici giorni di gelo e di buio,» fece Weichart. «Servirà a qualcosa questa pantomima? «Non lo so. Non vedo cosa possiamo sperar di cogliere, stando a guardare questi schermi.» «Nemmeno io.» Il primo messaggio della Nuvola fu piuttosto confuso. «Sarà bene, almeno da principio, che ascolti una sola persona. Più tardi, forse potrò istruire anche gli altri.» «Ma io pensavo che ci sarebbe stata una seduta plenaria,» osservò qualcuno. «No, è giusto,» fece Leicester. «Se guardate bene vi accorgete che gli schermi sono orientati in modo da adattarsi a una persona che stia seduta proprio su questa sedia. Su questo punto ci ha dato istruzioni precise. Non so cosa significhi ma spero che tutto sia a posto.?» «Allora, a quanto pare, dovremo chiedere chi si offre volontario,» esclamò Marlowe. «Chi è il primo?» Ci fu una lunga pause di silenzio imbarazzante. Poi parlò Weichart. «Se gli altri si vergognano, mi offro io di far da cavia.» McNeil lo fissò. «C’è una cosa, Weichart. Si rende conto che quest’affare forse implica un certo pericolo? Le è chiaro questo, no?» Weichart si mise a ridere. «Non si preoccupi. Non è la prima volta che me ne sto per qualche ora a guardare uno schermo a raggi catodici.» «Benissimo, allora, se vuol provare, si accomodi pure.» «Attento alla sedia, Dave, forse Harry ci ha inserito la corrente,» fece Marlowe ridendo. Poco dopo sugli schermi cominciarono a lampeggiare delle luci. «Joe ha cominciato,» disse Leicester. Era difficile dire se quelle luci avessero una qualche forma significativa. «Che cosa dice, Dave? Ricevi il messaggio?» chiese Barnett. «No, non capisco,» osservò Weichart allungando una gamba. «È un rompicapo incomprensibile. Ma io cerco di tirarne fuori un significato.» Passava il tempo, e gli altri ormai non s’interessavano più di quelle luci lampeggianti. Chiacchieravano fra di loro e Weichart rimase solo a guardare. Alla fine Marlowe gli chiese: «Come va, Dave?» Non rispose. «Ehi, Dave, che succede?» Silenzio assoluto. «Dave!» Marlowe e McNeil si avvicinarono a Weichart. «Dave, perchè non rispondi?» McNeil gli toccò la spalla, ma nemmeno allora egli rispose. Si accorsero che i suoi occhi fissavano un gruppo di schermi e poi rapidamente si spostavano su un altro gruppo. «Che succede, John?» chiese Kingsley. «Pare che sia in una sorta di stato ipnotico. Pare che non abbia altra sensibilità che quella visiva, e tutta assorbita da quegli schermi.» «Possibile?» «Eppure non è un fatto nuovo che uno stato di ipnosi sia indotto grazie ad un mezzo visivo.» «E credi che l’induzione sia volontaria?» «Mi pare più che probabile. Non posso credere che sia avvenuta per caso. Guardagli gli occhi. Guarda come si muovono. Non è un caso. Sembra un fatto deliberato.» «Chi l’avrebbe mai detto che Weichart fosse un buon soggetto per un ipnotizzatore?» «Nemmeno io l’avrei creduto. È una cosa formidabile, singolarissima.» «Come sarebbe?» chiese Marlowe. «Ecco: un ipnotizzatore comune si servirebbe di mezzi visivi per indurre uno stato ipnotico, ma non userebbe mai tali mezzi soltanto per trasmettere una notizia. L’ipnotizzatore parla al soggetto, lo informa cioè mediante le parole. Ma qui non ci sono parole. Ecco perchè mi sembra tanto strano.» «Avrebbe dovuto avvertirne Dave. Sapeva, McNeil che sarebbe successo tutto questo?» «No, almeno nei particolari. Ma i più recenti sviluppi della neurofisiologia hanno dimostrato gli stranissimi effetti che si producono quando la luce colpisce l’occhio a una velocità prossima a quella del cervello; del resto è evidente che la Nuvola non poteva fare quanto aveva promesso senza causare qualcosa di strano.» Kingsley si avvicinò alla sedia. «Credete che occorra fare qualcosa? Non so, portarlo via. Potremmo farlo.» «Non lo consiglierei, Chris, potrebbe dibattersi, con nostro pericolo. Tutto sommato è meglio lasciarlo stare. Guardate come tiene gli occhi sbarrati. Certo, io gli starò vicino, ma voi potete andarvene. Lasciate con me qualcuno che, se necessario, possa portarvi le notizie… Stoddard, per esempio… e poi, se succede qualcosa, vi mando a chiamare.» «Benissimo. Se hai bisogno di noi, saremo pronti,» convenne Kingsley. In verità nessuno voleva lasciare il laboratorio, ma capirono che quel che diceva McNeil era giusto. «Sarebbe un bel guaio se restassimo tutti ipnotizzati,» osservò Barnett. «Spero solo che al vecchio Dave vada tutto bene,» aggiunse poi preoccupato. «Forse avremmo dovuto staccare i contatti. Ma secondo McNeil poteva anche esser pericoloso. Uno choc, suppongo,» disse Leicester. «Mi chiedo quali informazioni stia ricevendo Dave,» fece Marlowe. «Be’, credo che lo sapremo presto. È poco probabile che la Nuvola vada avanti per parecchie ore. Non lo ha mai fatto prima,» osservò Parkinson. Invece la trasmissione fu lunga. Dopo alcune ore ognuno si ritirò in camera sua. «In questo modo non diamo nessun aiuto a Dave e perdiamo anche una buona occasione per dormire. Vado a buttarmi sul letto per un paio d’ore,» disse Marlowe; e quello era il parere di tutti. Fu Stoddard a svegliare Kingsley. «Il dottore la vuole, dottor Kingsley.» Kingsley vide che Stoddard e McNeil erano riusciti a portare Weichart in una camera; l’avventura era finita, almeno per il momento. «Che succede, John?» «Non mi piace affatto, Chris. La temperatura cresce rapidamente. Non serve a nulla che tu lo vada a vedere. Sta delirando, e forse ha 40 di febbre.» «Secondo te di che si tratta?» «Impossibile dirlo: mai visto un caso simile. Se non sapessi come sono andate le cose, direi che Weichart soffre di una infiammazione dei tessuti cerebrali.» «È una cosa seria.» «Molto seria. Non possiamo farci nulla; tuttavia pensavo che tu volessi sapere.» «Certo. Hai un’idea della possibile causa?» «Be’, direi che si tratta di lavoro eccessivo, di uno sforzo troppo grande del sistema neurologico, a cui i tessuti non resistono. Ma, ti ripeto, è solo una mia idea.» La temperatura di Weichart continuò a crescere per tutto il giorno. Nel tardo pomeriggio morì. Per motivi professionali McNeil avrebbe voluto compiere l’autopsia, ma considerando i sentimenti degli altri decise di non farla. Se ne restò solo a pensare tristemente che avrebbe dovuto prevedere la tragedia e far qualcosa per impedirla. Ma non l’aveva previsto; non aveva previsto nemmeno quel che doveva succedere di lì a poco. La prima ad avvertirlo fu Ann Halsey. Pareva impazzita quando gli si avvicinò. «John, devi fare qualcosa. Chris. Si ammazzerà.» «Cosa?» «Sta rifacendo l’esperienza di Dave Weichart. Per ora ho cercato di convincerlo, ma non ha voluto darmi retta. Dice che avvertirà la Nuvola di andare più piano; dice che la velocità ha ucciso Dave. È vero?» «Può darsi. Non lo so di sicuro, ma è possibile.» «Dimmi la verità, John, c’è qualche speranza?» «Può darsi. Ma non ne so abbastanza per darti un parere preciso.» «E allora devi fermarlo.» «Ci proverò. Vado subito a parlargli. Dov’è?» «In laboratorio. Ma parlare non serve. Bisogna costringerlo con la forza. È l’unica maniera.» McNeil corse al laboratorio di trasmissione. La porta era chiusa a chiave ed egli cominciò a battere coi pugni. Si sentì, debole, la voce di Kingsley. «Chi è?» «McNeil. Fammi entrare.» Si aprì la porta; entrando McNeil vide che l’apparecchio era in funzione. «Me lo. ha detto Ann, Chris. Non ti pare che sia una sciocchezza, specie dopo la morte di Weichart?» «Non credere che questa idea mi vada a genio. Ti assicuro che la vita piace a me come a qualsiasi altro. Ma bisogna farlo, e farlo subito. Fra poco più di una settimana non ci sarà più quest’occasione, e gli uomini non si possono permettere di perdere un’occasione simile. Dopo la morte del povero Weichart, era poco probabile che un altro volesse tentare, allora mi son fatto avanti io. Non sono di quei tipi coraggiosi che guardano il pericolo senza scomporsi. Se c’è un lavoro rischioso, non ci sto a pensare: lo faccio e basta.» «È vero questo, ma accidenti a chi giovi?» «Questo è un discorso assurdo, e tu lo sai. La posta è altissima, tanto alta che val la pena di vincere. Questo è il primo fatto. Il secondo fatto è che forse le mie probabilità sono maggiori. Ho già parlato alla Nuvola e le ho detto di rallentare. Lei è d’accordo. Del resto sei stato tu a dire che avremmo potuto evitare il peggio.» «Avremmo potuto, ma era possibile anche il contrario. Oltretutto, se riesci a evitare la tragedia di Weichart, può darsi che ci siano altri pericoli che ignoriamo.» «E allora? La mia esperienza servirà a illuminarti, e sarà più facile tentare per qualcun altro, come è più facile per me che per Weichart. Non serve a nulla, John. Ho deciso, e tra qualche minuto comincio.» McNeil capì che era impossibile convincere Kingsley. «Va bene,» gli disse, «ma spero che non ti dispiacerà se io resto qui con te. A Weichart sono occorse dieci ore. A te ne occorreranno di più, e bisognerà alimentarti, perchè il cervello deve ricevere sangue nella misura necessaria.» «Ma io non posso fermarmi per mangiare! Non capisci come stanno le cose? Si tratta di imparare tutto un nuovo mondo di conoscenze in una lezione sola.» «Non sto dicendo che tu ti debba fermare per i pasti. Ti farò delle iniezioni, di tanto in tanto. Se pensi alle condizioni di Weichart, è chiaro che non te ne accorgerai neppure.» «Oh, non me ne importa. Inietta pure e stai contento. E ora scusami, devo cominciare.» È inutile raccontare quel che successe, perchè fu tutto come nel caso di Weichart. Peraltro la condizione ipnotica durò di più, quasi due giorni. Alla fine, seguendo gli ordini di McNeil, lo portarono a letto. Poco dopo si presentarono gli stessi sintomi di Weichart. La temperatura salì: 39… 39 e mezzo… 40. Ma qui si fermò, e dopo qualche ora cominciò lentamente a decrescere, mentre crescevano le speranze di tutti quelli che stavano intorno al suo letto: soprattutto McNeil e Ann Halsey che non lo abbandonarono un minuto, e Marlowe, Parkinson e Alexandrov. Kingsley riprese coscienza circa 36 ore dopo la fine della trasmissione. Per qualche minuto il suo viso mutò espressione continuamente. Espressioni note agli amici, espressioni nuove che nessuno gli aveva mai visto. Lo aspetto più terribile della crisi di Kingsley si manifestò all’improvviso. Cominciò con una serie incontrollata di contrazioni del volto e di parole incoerenti. Dalle parole alle grida, poi alle urla selvagge. «Dio mio, è in preda a un attacco,» esclamò Marlowe. L’attacco cessò quando McNeil gli ebbe praticato una iniezione; poi invitò gli altri a lasciarlo solo con l’ammalato. Per tutta la giornata gli altri sentirono giungere dalla stanza urla soffocate che si placavano solo con altre iniezioni. Marlowe riuscì a convincere Ann Halsey, e nel pomeriggio fecero una passeggiata insieme. Per Marlowe fu la passeggiata più difficile della sua vita. A sera, mentre se ne stava seduto, con la faccia triste, nella sua stanza, entrò McNeil: era disfatto e aveva gli occhi cerchiati. «È andato,» fece l’irlandese. «Dio mio, che tragedia terribile, inutile.» «Sì, e più grande di quel che tu non creda.» «Come sarebbe?» «Per poco non si è salvato. Nel pomeriggio è stato benissimo per quasi un’ora, e mi ha detto qual era il suo male. Ce l’aveva fatta, e col passare dei minuti era sempre più convinto che ormai aveva vinto. Purtroppo no. C’è stato un altro attacco che lo ha ucciso.» «Ma qual è la causa?» «Una cosa ovvia, avremmo dovuto prevederla. Non avevamo tenuto conto dell’enorme quantità di materia nuova che la Nuvola gli ha cacciato nel cervello. Ciò implica un vasto mutamento della struttura dei circuiti elettrici nel cervello, un mutamento di resistenze su vasta scala, e così via.» «Insomma una specie di gigantesco lavaggio del cervello.» «No. Questo è il punto. Non c’è stato lavaggio. Non sono stati eliminati i vecchi metodi di funzionamento del cervello. Son rimasti tali e quali, ma accanto ad essi se ne sono stabiliti altri nuovi. E tutti e due, vecchi e nuovi, hanno funzionato simultaneamente.» «Insomma è come se la mia conoscenza scientifica fosse entrata improvvisamente nel cervello di un greco antico.» «Sì, ma forse in misura ancora più acuta. Immagina le contraddizioni terribili che sorgerebbero nel cervello del tuo povero greco, abituato a credere che la Terra sia al centro dell’universo e mille altri anacronismi, se all’improvviso fosse investito da tutta la tua scienza.» «Capisco che deve essere tremendo. Del resto anche se una sola delle nostre idee scientifiche si dimostra falsa, noi entriamo in crisi.» «Sì, pensa a una persona religiosa che all’improvviso perde la fede; che cioè avverte una contraddizione tra le idee religiose e quelle non religiose. La crisi nervosa è inevitabile. Ebbene, l’esperienza di Kingsley è stata mille volte peggiore. È rimasto ucciso dalla pura violenza della sua attività nervosa.» «Ma tu hai detto che quasi ce l’aveva fatta.» «Sì, è vero. Kingsley aveva capito qual era il suo male e perciò aveva studiato un mezzo per vincerlo. Forse il mezzo era questo: fare in modo che le cose nuove scacciassero sempre le vecchie, ogni volta che fra le prime e le seconde sorgeva il conflitto. Sono stato a guardarlo per quasi un’ora, mentre compiva questa operazione interiore. Col passar dei secondi mi convincevo che la battaglia era vinta. Poi invece… Forse è stato colto di sorpresa da un improvviso scontro tra due pensieri contrari. All’inizio pareva che l’attacco fosse lieve, ma poi ha cominciato a crescere. Kingsley cercò disperatamente di vincerlo, ma è chiaro che non ce l’ha fatta… Così è morto. È morto sotto l’azione del sedativo. Sono stato costretto a darglielo. Credo che sia avvenuta una specie di reazione a catena nei suoi pensieri; ed egli non è riuscito a controllarli.» «Vuoi un whisky? Avrei dovuto offrirtelo prima.» «Sì, ora lo prendo, grazie.» E mentre prendeva il bicchiere Marlowe disse: «Non credi che sia stato un errore scegliere Kingsley? Forse era meglio prendere qualcuno di calibro intellettuale decisamente inferiore. Sono state le contraddizioni fra il vecchio e il nuovo che l’hanno distrutto. Non credi che sarebbe stato meglio scegliere qualcuno che avesse poche conoscenze vecchie?» McNeil fissava il bicchiere. «Strano, strano che tu me lo dica. Una delle ultime frasi coscienti di Kingsley fu proprio questa — cerco di ricordare le parole esatte: