A questo punto bisogna descrivere la costernazione che il cablogramma provocò a Pasadena. La mattina dopo il suo ritorno da Washington si tenne una riunione nell’ufficio di Herrick: c’erano Marlowe, Weichart e Barnett. Herrick spiegò che bisognava arrivare presto a una conclusione obiettiva sui probabili effetti della Nuvola nera, quando fosse ginnta alla Terra.
«Siamo arrivati a questo punto: le nostre osservazioni dimostrano che la nuvola impiegherà diciotto mesi per raggiungerci, o almeno questo sembra probabile. Ora cosa sappiamo della nuvola stessa? Si darà un apprezzabile assorbimento delle radiazioni solari, quando essa sia giunta tra noi e il Sole?»
«È molto difficile a dirsi, finchè ci mancano altre informazioni,» disse Marlowe sbuffando fumo. «Per il momento non sappiamo se la Nuvola è un oggetto piccolo molto vicino a noi, o se invece è grande ma distante. Non sappiamo nemmeno nulla della densità del materiale che la compone.»
«Se avessimo la velocità della Nuvola, allora sapremmo quanto è grande e quanto è distante,» osservò Weichart.
«Sì, ci ho pensato,» continuò Marlowe. «Quelli della radio, giù in Australia, ci possono dare le informazioni occorrenti; ma è molto probabile che la nuvola sia formata soprattutto di idrogeno, e forse la potremmo rilevare all’apparecchio Doppler sui 21 cm.
«Benissimo,» disse Barnett. «La persona più adatta è Leicester, a Sydney. Dovremmo fargli subito un cablogramma.»
«Non credo che sia compito nostro, Bill,» spiegò Herrick. «Teniamoci a quel che possiamo far da noi. Una volta pronto il nostro rapporto si incaricherà Washington di metterci in contatto con gli australiani per avere le misurazioni radio.»
«Però dovremmo raccomandare che del problema si occupi anche il gruppo di Leicester.»
«Certo, possiamo farlo, anzi dobbiamo farlo. Volevo dire, però, che non sta a noi avviare un’azione di questo tipo. È probabile che l’affare abbia serie conseguenze politiche, ed a mio avviso dovremmo tenerci alla larga da queste storie.»
«Certo,» intervenne Marlowe, «la politica è l’ultima cosa di cui vorrei impicciarmi. Ma è chiaro che ci occorrono quelli della radio, per avere la velocità. La massa della nuvola è più difficile. Secondo me la maniera migliore, e forse anche l’unica, sarebbe quella di esaminare le perturbazioni planetarie.»
«Ma questa è roba vecchia,» fece Barnett. «Chi se ne occupa? Gli inglesi, mi sembra.»
«Sì,» borbottò Herrick, «forse faremmo meglio a non dar troppo peso a questo aspetto della questione. Ma l’Astronomo Reale, forse, è la persona migliore. Nel rapporto ne parlerò. Vorrei metterlo giù al più presto possibile. Credo che siamo d’accordo sui punti principali. C’è qualcuno che ha altro da aggiungere?»
«No, abbiamo esaminato ogni cosa con cura, nei limiti delle nostre possibilità, voglio dire,» rispose Marlowe. «Vorrei sistemare un paio di cosette che ho trascurato in questi ultimi giorni. Immagino che occorra finire il rapporto. Per fortuna non tocca a me scriverlo.»
Così sfilarono fuori dell’ufficio di Herrick, lasciandolo al suo rapporto. Herrick si mise subito all’opera. Barnett e Weichart tornarono a Caltech. Marlowe andò nel suo ufficio, ma non gli riusciva di lavorare e si diresse verso la biblioteca dove sapeva di trovare alcuni suoi colleghi. Era aperta una vivace discussione sopra il diagramma colore-grandezza delle stelle del nucleo galattico: servì a far passare il tempo, finchè tutti furono d’accordo che era arrivata l’ora di pranzo.
Rientrando dopo il pranzo Marlowe si vide porgere un cablogramma dalla segretaria.
Le parole su quel pezzo di carta gli parvero enormi, gigantesche:
PRECO INFORMARMI EVENTUALE ESISTENZA OGGETTO INSOLITO AT ASCENSIONE RETTA CINQUE ORE QUARANTASEI MINUTI DECLINAZIONE MENO TRENTA GRADI DODICI MINUTI STOP MASSA OGGETTO PARI DUE TERZI GIOVE VELOCITÀ SETTANTA CHILOMETRI SECONDO, DIREZIONE VERSO TERRA STOP DI STANZA ELIOCENTRICA VENTUNO VIRGOLA TRE UNITÀ ASTRONOMICHE STOP
Marlowe mandò un grido, corse all’ufficio di Herrick ed entrò senza nemmeno bussare.
«Ce l’ho,» gridava. «Tutto quel che volevamo sapere.»
Herrick studiò il cablo, sorrise storto e disse:
«Questo cambia le cose. Mi pare che a questo punto dobbiamo consultarci con Kingsley e con l’Astronomo Reale.»
Marlowe era ancora agitato.
«La diagnosi è facile. L’Astronomo Reale ha dato i risultati delle osservazioni sul moto dei pianeti e Kingsley ha fatto i calcoli. Li conosco tutti e due e so che non c’è possibilità che sbaglino.
«Be’, è facile fare un rapido controllo. Se l’oggetto è distante 21,3 unità astronomiche e si muove verso di noi alla velocità di 70 chilometri al secondo, possiamo ben calcolare il tempo che impiegherà a raggiungerci, e verificare se è giusta la stima di Weichart, cioè diciotto mesi.»
«Giusto,» disse Marlowe. E su un pezzo di carta buttò giù questi appunti e queste cifre:
Distanza 21,3 unità astr. = 3x 1014 cm circa.
Tempo richiesto per coprire questa distanza alla velocità di 70 km al sec = = 4,3x 107 secondi = 1,4 anni = 17 mesi circa.
«Accordo perfetto,» esclamò Marlowe. «Non solo, la posizione che ci danno cade esattamente sulla nostra. Siamo completamente d’accordo.»
«E questo rende molto più difficile il mio rapporto,» fece Herrick accigliato. «Bisognerebbe davvero che lo scrivessi consultandomi con l’Astronomo Reale. Credo che dovremmo far venire al più presto lui e Kingsley.»
«Giustissimo,» convenne Marlowe. «Diamo subito l’ordine alla segretaria. Dovrebbero poter esser qui fra 36 ore, cioè dopodomani mattina. Meglio ancora se provvedono gli amici di Washington. E, a proposito del rapporto, non sarebbe il caso di dividerlo in tre parti? La parte prima sulle scoperte avvenute qui all’osservatorio. La seconda a cura di Kingsley e dell’Astronomo Reale. La terza conterrebbe le nostre conclusioni, e specialmente quelle a cui giungeremo dopo l’arrivo degli inglesi.»
«Dici proprio giusto, Geoff. Quando saranno arrivati i nostri amici avrò già finito la prima parte; la seconda possiamo lasciarla a loro e per ultimo tenteremo di tirare le conclusioni.»
«Benissimo. Penso che domani avrai finito. Che ne pensi di invitare a cena Alison, domani sera?»
«Mi farebbe piacere, purchè riesca a finire entro domani pomeriggio. Mi dai tempo di decidere fino ad allora?»
«Ma certo, benissimo. Fammelo sapere domani,» fece Marlowe e si alzò.
Mentre Marlowe se ne andava, Herrick disse:
«È un affar serio, vero?»
«Certo. Ho avuto una specie di premonizione quando ho visto le lastre di Knut Jensen, ma ho capito bene quanto era grave solo quando è arrivato questo cablogramma. La densità dovrebbe oscillare tra i 10-9 e i 10–10 grammi per cm3. Ciò significa che può oscurare completamente il cielo.
Kingsley e l’Astronomo Reale giunsero a Los Angeles la mattina presto del 20 gennaio. Marlowe li aspettava all’aeroporto. Fecero colazione in fretta a una tavola calda e poi presero l’autostrada per Pasadena.
«Dio mio, che differenza da Cambridge,» borbottò Kingsley. «Sessanta miglia all’ora invece di quindici, cielo azzurro invece di pioggia e nebbia continua, temperatura sui venti gradi anche a quest’ora.»
Era molto stanco dopo il lungo volo, prima sull’Atlantico, poi le ore di attesa a New York — troppo poco per far qualcosa di interessante, e abbastanza per stancarsi — e infine la traversata degli Stati Uniti, durante la notte. Eppure era molto meglio che un anno di mare per doppiare Capo Horn, come cento anni prima. Avrebbe desiderato un lungo sonno, ma se l’Astronomo Reale voleva andar subito all’osservatorio, anche a lui toccava andarvi.
Dopo che Kingsley e l’Astronomo Reale furono presentati a quei membri dell’osservatorio che non li conoscevano ancora, e dopo il saluto dei vecchi amici, cominciò la riunione in biblioteca. A parte gli ospiti inglesi, era la stessa compagnia che si era riunita per discutere la scoperta di Jensen, una settimana prima.
Marlowe fece una breve relazione di questa scoperta, delle sue osservazioni, delle ragioni di Weichart e della conclusione strabiliante a cui erano arrivati.
«Ecco dunque la ragione,» concluse, «per cui ci ha tanto interessati il vostro cablogramma.»
«Lo stesso vale per noi,» rispose l’Astronomo Reale. «Queste fotografie sono importantissime. Secondo voi la posizione del centro della nuvola è in Ascensione Retta 5 ore 49 minuti, Declinazione meno 30 gradi 16 minuti. Mi pare che si accordi perfettamente coi calcoli di Kingsley.»
«Volete darci ora una breve informazione delle vostre ricerche?» disse Herrick. «Forse l’Astronomo Reale potrebbe parlarci delle osservazioni e il dottor Kingsley dirci qualcosa dei calcoli.»
L’Astronomo Reale parlò dello spostamento rilevato nella posizione dei pianeti, soprattutto dei pianeti esterni. Disse che le osservazioni erano state controllate con cura per accertarsi che non vi fossero errori, e non mancò di far rilevare l’importanza del lavoro compiuto dal signor George Green.
«Perbacco, ricomincia,» pensò Kingsley.
Ma il resto della compagnia ascoltò con interesse l’Astronomo Reale.
«Perciò,» concluse, «do la parola al dottor Kingsley perchè ci spieghi la sostanza dei suoi calcoli.»
«Non c’è molto da dire,» cominciò Kingsley. «Ammesso che siano precise le osservazioni di cui ci ha parlato or ora l’Astronomo Reale — e devo dire che in un primo tempo non accettavo l’idea di doverlo ammettere — ci è parso chiaro che i pianeti erano disturbati dall’influenza gravitazionale di un qualche corpo, o di un qualche materiale intruso nel sistema solare. Dovevamo quindi usare il disturbo osservato per calcolare posizione, massa e velocità dell’intruso.»
«Avete lavorato sull’ipotesi che il materiale agisse come massa solida?» chiese Weichart.
«Sì, ci è parso che fosse la miglior cosa da fare, almeno in un primo tempo. L’Astronomo Reale ha avanzato l’ipotesi di una nuvola estesa. Ma devo confessare che, quasi per istinto, ho subito pensato a un corpo denso di grandezza relativamente piccola. Solo più tardi ho accettato l’idea della nuvola, quando ho visto le fotografie.»
«In che misura crede che questa ipotesi sbagliata abbia influito sui suoi calcoli?» chiese qualcuno.
«Quasi nulla. In quanto alle cause dei disturbi planetari, la differenza tra la vostra Nuvola e un corpo molto più denso sarebbe assai scarsa. Forse da questo nasce la lieve differenza tra i miei risultati e le vostre osservazioni.»
«Sì, è chiarissimo,» disse Marlowe da dentro la sua nube che odorava d’anice. «Quante informazioni vi sono occorse per giungere ai vostri risultati? Vi siete serviti degli spostamenti di tutti i pianeti?»
«È bastato un pianeta. Per far i calcoli sulla Nuvola — chiamiamola così — mi son servito delle osservazioni di Saturno. Poi, una volta determinate posizione, massa, ecc. della Nuvola, ho invertito i calcoli per gli altri pianeti e ho così ottenuto gli spostamenti probabili di Giove, Marte, Urano e Nettuno.»
«E poi avete potuto confrontare i risultati con le osservazioni, vero?»
«Esattamente. Il confronto è su queste tavole che ho portato. Fatele girare. Come vedete l’accordo è quasi perfetto. Ecco perchè avevamo ragione di credere giuste le nostre deduzioni e perchè ci siamo sentiti in diritto di mandare quel cablogramma.»
«Ora vorrei sapere in che misura la mia stima si accorda con la vostra,» fece Weichart. «Ho calcolato che la Nuvola dovrebbe impiegare diciotto mesi per raggiungere la Terra. Qual è la vostra risposta?»
«L’ho già controllato io, Dave,» intervenne Marlowe. «L’accordo è quasi assoluto. I calcoli del dottor Kingsley ci danno diciassette mesi.»
«Forse un po’ meno,» osservò Kingsley. «Si ottengono i diciassette mesi se non si tiene conto dell’accelerazione della Nuvola in vicinanza del Sole. Fino ad allora la velocità sarà di 70 chilometri al secondo, ma nel momento in cui raggiungerà la Terra, la velocità salirà circa a 80. Perciò il tempo necessario perchè là Nuvola raggiunga la Terra risulta di quasi sedici mesi.»
Herrick intervenne pacatamente nella discussione.
«Ebbene, ora che abbiamo compreso il reciproco punto di vista, a quali conclusioni possiamo giungere? Mi sembra che tanto noi quanto voi abbiamo commesso qualche errore. Noi abbiamo pensato a una Nuvola molto più grande posta ben al di fuori del sistema solare; il dottor Kingsley invece, come egli stesso ci ha detto, aveva pensato a un corpo denso entro il sistema solare. La verità sta quasi a mezza via tra queste due opposte opinioni. Abbiamo a che fare con una Nuvola alquanto piccola che si trova già nel sistema solare. Cosa abbiamo da dire al proposito?»
«Molte cose,» rispose Marlowe. «Noi abbiamo scoperto che la Nuvola ha un diametro angolare di circa due gradi e mezzo; il dottor Kingsley ha calcolato che essa dista da noi circa 2l unità astronomiche: tutto ciò dimostra che la Nuvola ha un diametro quasi pari alla distanza fra il Sole e la Terra.»
«Sì,» continuò Kingsley, «e con la grandezza possiamo immediatamente stimare la densità del materiale che compone la Nuvola,» continuò Kingsley. «A me sembra che il volume della Nuvola sia di circa 1040 cm3, la massa circa 1,3x1030 grammi: ne deriva una densità di 1,3x10-10 grammi per cm3.»
Per un poco la compagnia tacque. Poi intervenne Emerson.
«È una densità terribilmente alta. Se il gas si pone tra noi e il Sole, oscurerà completamente la luce. A me pare che avremo un freddo terribile qua sulla Terra.»
«Non necessariamente,» fece Barnett. «Può darsi che il gas si scaldi e che lasci filtrare il calore.»
«Ciò dipende dalla quantità di energia necessaria per riscaldare la Nuvola,» osservò Weichart.
«E dalla sua opacità, e da cento altri fattori,» aggiunse Kingsley. «Debbo dire che a me sembra improbabile che attraverso il gas possa giungerci molto calore. Calcoliamo la quantità di energia necessaria per riscaldare la Nuvola fino a un grado normale di temperatura.»
Andò alla lavagna e scrisse:
Massa della Nuvola 1,3x1030 grammi.
Composizione della Nuvola: probabilmente gas idrogeno, in massima parte allo stato neutro.
Energia richiesta per alzare la temperatura del gas di T gradi
1,5x1,3x 1030 RT erg
dove R è la costante dei gas. Chiamando L l’energia totale emessa dal Sole, il tempo richiesto per elevare la temperatura è
1,5x1,3x 1030 RT/L secondi
Posto R=8,3x107, T=300, L = 4x1033 erg per secondo ci dà un tempo di circa 1,2x107 secondi, cioè circa cinque mesi.
«Mi pare che funzioni,» commentò Weichart. «E direi che questa stima è la minima possibile.»
«Proprio così,» disse Kingsley. «Ed il mio minimo è già molto superiore al tempo che impiegherà la Nuvola a sorpassarci. Alla velocità di 80 chilometri al secondo essa attraverserà l’orbita della Terra in circa un mese. Perciò mi sembra quasi sicuro che se la Nuvola si frappone fra noi e il Sole, ci taglierà completamente fuori dal suo calore.»
«Lei dice: se la Nuvola si frappone fra noi e il Sole. Crede che ci sia qualche possibilità che ciò non accada?» chiese Herrick.
«Certo che c’è una possibilità, c’è senz’altro, direi.» Kingsley tornò alla lavagna.
«Ecco l’orbita della Terra intorno al Sole. In questo momento noi siamo qui. E la Nuvola, tracciandola in scala, è qui. Se si muove in questa direzione, cioè diretta sul Sole, è certo che ne troncherà la luce e il calore, ma se si muove in quest’altra direzione, allora potrebbe ben mancare il suo bersaglio.»
«Mi pare che siamo piuttosto fortunati,» fece Barnett ridendo acido. «Grazie al moto della Terra intorno al Sole, noi ci troveremo dall’altra parte, tra sedici mesi; cioè quando arriva la Nuvola.»
«Ciò significa soltanto che la Nuvola raggiungerà il Sole prima di toccare la Terra. La luce del Sole sarà egualmente interrotta se il Sole rimane coperto, come nel caso A dell’esempio di Kingsley,» esclamò Marlowe.
«Tornando al caso A e al caso B.» disse Weichart, «direi che il caso A può darsi solo se la Nuvola ha un momento angolare esattamente pari a zero rispetto al Sole. Basta un lievissimo momento angolare ed avremo il caso B.»
«Esattamente. Naturalmente il mio caso B è solo un esempio. La Nuvola potrebbe passare oltre il Sole e la Terra dall’altra parte, così.»
«Cosa possiamo dire sull’ipotesi che la Nuvola venga diritta contro il Sole?» chiese Herrick.
«Nulla, dal punto di vista dell’osservazione,» rispose Marlowe. «Guardiamo il disegno che Kingsley ci ha fatto della situazione attuale. Basta una minima differenza di velocità per creare una differenza notevole, decisiva: da tale differenza dipende se la Nuvola ci colpisce o se ci manca. Non siamo ancora in grado di dire come andranno le cose, ma lo possiamo scoprire man mano che la Nuvola si avvicina.»
«Perciò è questa la cosa più importante da fare,» concluse Herrick.
«Cos’altro può dirci dal punto di vista teorico?»
«Nulla, non credo che sia possibile; i calcoli non sono sufficientemente precisi.»
«Mi stupisce di sentirla parlar così male dei suoi calcoli, Kingsley,» osservò l’Astronomo Reale.
«Ma i miei calcoli si basano sulle sue osservazioni, caro A. R. Comunque son d’accordo con Marlowe. Dobbiamo sorvegliare da vicino la Nuvola. Dovrebbe esser possibile scoprire se avremo un colpo in pieno o se invece la Nuvola ci mancherà, senza farci alcun male. Un paio di mesi dovrebbero bastare.»
«Giusto,» rispose Marlowe. «State pur tranquilli che sorveglieremo questo coso con tutta l’attenzione, come se fosse fatto d’oro.»
Dopo pranzo nell’ufficio di Herrick si riunirono Marlowe, Kingsley e l’Astronomo Reale. Herrick aveva esposto la sua idea di fare un rapporto comune.
«E credo che le nostre conclusioni siano chiarissime. Volete che le riassuma?
«1. Una Nuvola di gas ha invaso il sistema solare dallo spazio esterno.
«2. Si muove, più o meno, diretta contro di noi.
«3. Giungerà nelle vicinanze della Terra fra circa sedici mesi.
«4. Rimarrà nei nostri paraggi per circa un mese.
«Perciò se il materiale di cui è composta la Nuvola si frappone fra il Sole e la Terra, la Terra piomberà nel buio. Le nostre osservazioni non sono conclusive al punto di stabilire se questo accadrà oppure no; ulteriori osservazioni potranno decidere su tale problema.»
«E credo che possiamo andare anche un po’ oltre, per ciò che riguarda le osservazioni future,» continuò Herrick. «Noi proseguiremo con tutta energia le osservazioni ottiche. Inoltre riteniamo che il lavoro dei radioastronomi australiani debba essere complementare al nostro, soprattutto per ciò che riguarda l’osservazione della linea di moto visibile della Nuvola.»
«Mi sembra che in questo modo la situazione sia ben riassunta,» convenne l’Astronomo Reale.
«Propongo pertanto di redigere il rapporto con la massima sollecitudine, di firmarlo tutti e quattro, e di presentarlo subito ai nostri rispettivi governi. Non c’è bisogno di dire che tutta la questione è segreto assoluto, o almeno che noi dobbiamo considerarla tale. È già una disgrazia il fatto che tante persone ne siano a conoscenza, ma credo che possiamo confidare che tutti agiranno con grande discrezione.»
Kingsley non era d’accordo con Herrick su questo punto. Si sentiva anche lui molto stanco, e ciò lo induceva a esprimere il suo parere in maniera meno diplomatica di quel che avrebbe fatto in un’altra situazione.
«Mi dispiace, dottor Herrick, ma su questo punto non la seguo. Non vedo per quale ragione noi scienziati dovremmo andare dai politici, come un branco di cani con la coda tra le gambe e dire:
Il dottor Herrick fu cortese ma risoluto.
«Mi dispiace, Kingsley, ma per quanto ne so io il governo degli Stati Uniti e quello britannico sono i rappresentanti democraticamente eletti dei nostri rispettivi popoli. Considero nostro ovvio dovere far questo rapporto, e osservare il più assoluto segreto, fino a che i nostri governi non si siano pronunciati in proposito.»
Kingsley si alzò.
«Mi scusi di quel che ho detto. Sono stanco. Voglio andare un po’ a dormire. Mandi pure il rapporto, se lo desidera, ma la prego di capire che se nel frattempo decido di non dire nulla in pubblico, lo faccio perchè non voglio dire nulla. E non perchè senta su di me il peso di un obbligo o di un dovere. E ora, col vostro permesso, vorrei tornare al mio albergo.»
Quando Kingsley se ne fu andato Herrick guardò l’Astronomo Reale.
«Il dottor Kingsley mi sembra un po’… hm…»
«Un po’ volubile?» disse l’Astronomo Reale. Poi sorrise e continuo:
«Non è facile a dirsi. A seguire il suo ragionamento Kingsley è sempre molto concreto e spesso riesce a dedurre con straordinaria chiarezza. Io sono disposto a credere che sia sempre così. Penso che ora le sia sembrato un po’ strano perchè argomentava partendo da premesse insolite, non perchè ci fosse un difetto nella sua logica. Sui problemi della società forse Kingsley la pensa in modo molto diverso dal nostro.»
«Comunque credo che finchè lavoriamo a questo rapporto sarebbe bene che Marlowe gli stesse dietro,» osservò Herrick.
«Benissimo,» convenne Marlowe, che ancora giocherellava con la pipa, «possiamo sempre parlare di astronomia.»
La mattina dopo, quando scese per la colazione, Kingsley trovò Marlowe che lo aspettava.
«Pensavo che le piacerebbe fare una corsa nel deserto.»
«Benissimo, non c’è cosa che mi piaccia di più. Sarò pronto tra qualche minuto.»
Uscirono da Pasadena, a La Canada piegarono a destra sulla statale 118, poi tagliarono per le colline, superarono la laterale per Monte Wilson e continuarono fino al deserto di Mohave. Altre tre ore di corsa e furono sotto la muraglia della Sierra Nevada, finchè scorsero il Monte Whitney coperto di neve. Il deserto, che si apriva fino dalla Valle della Morte, era velato da una foschia azzurra.
«Ci sono almeno un centinaio di storie,» fece Kingsley, «su ciò che sente un uomo quando gli dicono che gli resta ancora un anno di vita… Una malattia incurabile o roba del genere. Ebbene, è strano pensare che tutti noi forse abbiamo solo poco più di un anno da vivere. Fra un paio d’anni le montagne e il deserto saranno press’a poco come ora, ma non ci sarà lei, non ci sarò io, non ci sarà gente che li traversa in macchina.»
«Oh, Dio mio, ma lei è troppo pessimista,» brontolò Marlowe. «Come ha detto lei, c’è la possibilità che la Nuvola scivoli da una parte o dall’altra del Sole e ci sbagli in pieno.»
«Guardi, Marlowe, ieri non ho voluto insistere, ma se guarda una fotografia di un certo numero di anni fa, si può fare un’idea precise di un possibile spostamento. L’ha trovato, per caso?»
«Non ci potrei giurare.»
«Allora questa è la prova che la Nuvola ci viene addosso a capofitto, o almeno addosso al Sole.»
«È probabile, ma non posso esserne certo.»
«Insomma lei vuol dire che la Nuvola forse ci colpirà, ma che c’è ancora una possibilità che ciò non accada.»
«Io penso solo che lei è troppo pessimista. Vediamo intanto cosa arriveremo a scoprire nei prossimi due mesi. E comunque, anche se il Sole verrà oscurato, non crede che potremmo cavarcela? Dopo tutto si tratta solo di un mese.»
«Ebbene, vediamo un po’ le cose,» cominciò Kingsley. «Dopo il tramonto di solito la temperatura scende. Ma l’abbassamento è limitato da due fatti. Il primo è il calore immagazzinato dall’atmosfera, che funziona da serbatoio. Secondo me questa riserva si esaurirebbe presto, direi in meno di una settimana. Pensi soltanto al freddo che fa qui la notte, nel deserto.»
«Ma come la mettiamo con la notte artica, quando il Sole resta invisibile per un mese o anche più? Suppongo che ciò accada perchè l’Artide riceve costantemente aria dalle latitudini più basse, aria che è stata riscaldata dal Sole.»
«Naturalmente. L’Artide viene riscaldata di continuo dall’aria che risale dalle regioni temperate e dai Tropici.»
«Che cos’altro volevo dire?»
«Ecco, il vapore acqueo dell’atmosfera tende a trattenere il calore della terra. Nel deserto, dove c’è poco vapore acqueo, la temperatura scende molto di notte, ma nei posti in cui c’è molta umidità, come New York d’estate, la temperatura si raffredda molto poco di notte.»
«Dove vuole arrivare?»
«Vede cosa succederà?» continuò Kingsley. «Per; primi due giorni dopo l’oscuramento del Sole — ammesso che ciò avvenga — non ci sarà gran raffreddamento, in parte perchè l’aria sarà ancora calda, e in parte per il vapore acqueo. Ma quando l’aria si raffredderà, l’acqua gradualmente si trasformerà prima in pioggia, poi in neve, pioggia e neve che cadranno sulla Terra. In tal modo l’aria perderà tutto il vapore acqueo. Ci vorranno quattro o cinque giorni perchè ciò avvenga, forse anche una settimana o dieci giorni. Poi la temperatura comincerà a crollare. Entro quindici giorni il termometro scenderà a 50 gradi sotto zero, ed entro un mese a 100 e anche più.»
«Insomma lei vuol dire che sarà come sulla Luna?»
«Sì, noi sappiamo che al tramonto sulla Luna la temperatura cade di oltre 200 gradi in un’ora. Ebbene, sarà quasi lo stesso qui da noi, solo che ci vorrà più tempo, grazie alla nostra atmosfera. Ma alla fine sarà la stessa cosa. No, Marlowe, non credo che potremo resistere un mese, anche se ora non ci sembra molto tempo.»
«Lei rifiuta la possibilità di mantenere il calore con lo stesso metodo che si usa l’inverno nelle praterie del Canada, con un sistema efficiente di riscaldamento centrale?»
«È possibile supporre che alcuni edifici siano ben isolati per resistere a quel terribile sbalzo di temperatura. Ma saranno casi eccezionali, perchè quando noi costruiamo case, uffici e così via, non lo facciamo pensando a condizioni termiche del genere. Voglio tuttavia ammettere che qualcuno riuscirà a sopravvivere, quelli cioè che hanno abitazioni progettate apposta per i climi freddi. Ma credo che per gli altri non ci sia alcuna possibilità. Peggio di tutti se la passeranno gli abitatori dei Tropici con le loro capanne così precarie.»
«Brutto affare, vero?»
«Credo che la cosa migliore sia cercarsi una caverna ben scavata sotto terra.»
«Ma abbiamo bisogno di aria per respirare. Cosa faremo quando si sarà troppo raffreddata?»
«Occorrerà un impianto di riscaldamento. Non dovrebbe essere molto difficile riscaldare l’aria man mano che entra in una caverna profonda. Questo faranno i governi per i quali Herrick e l’A. R. hanno tante premure. Essi avranno le loro belle caverne calde, mentre lei ed io, caro Marlowe, sperimenteremo di persona il processo di congelamento.»
«Io non credo che siano poi così perfidi,» disse Marlowe ridendo.
Kingsley continuò, serissimo:
«Oh, certo, ci sapranno fare. Per ogni cosa troveranno la sua buona ragione. Quando sarà chiaro che solo un gruppetto di uomini potrà salvarsi, allora dimostreranno che la fortuna deve toccare a quelli che occupano un posto di maggiore importanza nella società; gira e rigira verrà che si salveranno i politici, i generali, i re, gli arcivescovi, e così via. E chi è più importante di loro?»
Marlowe capì che era venuto il momento di cambiare discorso.
«Dimentichiamoci degli uomini per un momento. Che ne sarà degli animali e delle piante?»
«Tutte le piante che esistono saranno uccise, naturalmente. Ma andrà meglio per i semi, i quali possono sopportare un freddo intenso ed essere capaci ancora di germogliare, appena ritorna la temperatura normale. Credo che ci siano in giro semi a sufficienza per assicurare che rimanga sostanzialmente intatta la flora del pianeta Per gli animali è tutto un altro discorso. Non mi pare che i grandi animali terrestri possano sopravvivere, tranne un piccolo numero di uomini e quelle poche bestie che l’uomo porterà con sè dentro il rifugio. Qualche piccolo animale da pelliccia potrà scavarsi una tana profonda nel terreno, sì da resistere al freddo ed entrando in letargo salvarsi dalla morte per mancanza di cibo.
«Gli animali marini se la passeranno molto meglio. Come l’atmosfera è una riserva di calore, così il il mare, e in misura molto maggiore. Non scenderà di molto la temperatura dei mari, e i pesci staranno benissimo.»
«Ma non c’è un errore in tutto il suo ragionamento?» esclamò Marlowe piuttosto eccitato. «Se i mari si conservano caldi lo stesso deve accadere all’aria che sta sopra i mari. In tal modo ci sarà sempre una riserva d’aria calda per sostituire quella fredda sopra la Terra»
«Non la penso così,» rispose Kingsley. «Non è nemmeno certo che l’aria sopra i mari si conserverà calda. I mari si raffredderanno quanto basta per gelare alla superficie, anche se resteranno calde le acque più basse. Ma una volta che il mare sia gelato, non ci sarà molta differenza fra l’aria che sta sopra le acque e quella che sta sopra la terra. Sarà tutta terribilmente fredda.»
«Purtroppo quel che lei dice mi sembra giusto. A conti fatti dovrebbe essere il sottomarino il luogo più adatto per scampare.»
«Be’, un sottomarino non potrebbe mai più emergere a causa del ghiaccio; perciò occorrerebbe una riserva complete d’aria, cosa non facile. Nemmeno le navi andrebbero bene, a causa del ghiaccio. E poi ho un’altra obiezione da fare al suo ragionamento. Anche se l’aria sopra i mari restasse relativamente calda, essa non fornirebbe calore all’aria che sovrasta la Terra, aria che, essendo fredda e densa, formerebbe anticicloni stabili e tremendi. L’aria fredda continuerebbe a stare sulla terra, quella calda sul mare.»
«Guardi, Kingsley,» fece Marlowe ridendo, «non mi voglio fare influenzare dal suo pessimismo. Senta, non potrebbe esservi all’interno della Nuvola una apprezzabile radiazione di temperatura? Non potrebbe la Nuvola avere un suo calore proprio, compensando così la mancanza di luce solare? Tutto ciò sempre supponendo — continuo a dirlo — che ci dobbiamo per forza trovare nell’interno della Nuvola.»
«Secondo me la temperatura interna delle nubi interstellari deve essere sempre molto bassa; non è vero?»
«Questo vale per le nuvole normali, ma questa è più densa e più piccola, tanto che la sua temperatura potrebbe essere diversa, per quanto ne sappiamo. Certo, non può essere molto alta, altrimenti la Nuvola sarebbe luminosa; ma può darsi che sia sufficiente a darci tutto il calore di cui abbiamo bisogno.»
«Lei vuol essere ottimista per forza. Ma allora le dirò che può anche darsi che la Nuvola sia così calda da lessarci tutti. Non mi ero reso conto che bisogna anche considerare la temperatura della Nuvola, una questione di cui non sappiamo niente. E le dico francamente che questo mi piace anche meno. Se la Nuvola fosse troppo calda il disastro sarebbe completo.»
«Allora in questo caso dovremmo scendere in caverna e raffreddare la nostra provvista d’aria.»
«Non andrebbe così liscia. I semi delle piante sopportano il freddo, non il calore eccessivo. E come farebbe l’ uomo a sopravvivere se la flora andasse distrutta?»
«Potremmo accumulare semi nelle caverne, insieme agli uomini, agli animali e all’apparato di refrigerazione. Mio Dio, stiamo facendo vergognare il vecchio Noè, non le pare?»
«Sì, e forse un Saint-Saëns dell’avvenire ci scriverà sopra una musica.»
«Bene, Kingsley, anche se questa chiacchierata non è stata troppo consolante, per lo meno ci ha condotto a una conclusione importante. Dobbiamo conoscere la temperatura di quella nuvola, e presto. Anche questo è un lavoro che tocca ai radioastronomi.»
«Ventun centimetri?» chiese Kingsley.
«Sì! A Cambridge avete una squadra che può far questo lavoro, vero?»
«Hanno cominciato col ventun centimetri da poco tempo, e credo che potrebbero dare presto una risposta alla nostra domanda. Glielo dirò appena torno a casa.»
«Sì, e mi faccia sapere qualcosa, appena lo sa. Vede, Kingsley, anche se non sono d’accordo su tutto quel che lei dice della politica, non mi va l’idea che le cose succedano fuori del nostro controllo. Ma non posso far tutto da me. Herrick ha chiesto che la questione sia considerata assolutamente segreta: lui è il capo e io non posso mettermi sopra di lui. Ma lei è libero, specialmente dopo quel che gli ha detto ieri. Perciò ci dia sotto.»
«Non si preoccupi, ci penso io.»
La gita fu lunga ed a sera, traversato il passo Cajon furono a San Bernardino. Si fermarono a cena — una cena eccellente — in un ristorante scelto da Marlowe, ai margini occidentali del villaggio di Arcadia.
«Non è che mi piacciano molto i ricevimenti,» fece Marlowe, «ma credo che se non ci sono scienziati, noi due potremmo passare una bella serata. Un mio amico, un grosso affarista di San Marino, mi ha invitato qua.»
«Ma non posso venire anch’io, come un intruso.»
«Ma le pare, certo che può venire: un ospite inglese! Anzi, sarà lei il pezzo grosso della festa. Vedrà che troverà una decina di produttori di Hollywood pronti a farle firmare subito un contratto.»
«Ragione di più per non venire,» disse Kingsley. Ma poi accettò.
La casa del signor Silas U. Crookshank, ricco operatore industriale, era grande, spaziosa, ben arredata. Marlowe aveva visto giusto, accolsero Kingsley come una persona importante, e gli misero in mano un enorme bicchiere di liquore secco, che a Kingsley parve whisky, Bourbon.
«Benissimo,» disse il signor Crookshank, «ora siamo al completo.»
Ma Kingsley non riuscì a scoprire perchè fossero al completo.
Dopo aver cordialmente chiacchierato col vice-presidente di una società di navigazione aerea e col direttore di una impresa ortofrutticola, e con altre degne persone, alla fine Kingsley si trovò a parlare con una graziosa ragazza bruna. Li interruppe una donna assai bella, che li prese tutti e due per un braccio.
«Avanti, voi due,» disse con una bella voce bassa, asciutta, assai fine. «Andiamo tutti da Jim Halliday.»
Quando vide che la bruna stava per accettare l’idea di Vocedibasso, Kingsley concluse che avrebbe fatto bene ad andare anche lui. Non doveva preoccuparsi per Marlowe, pensò. In qualche modo sarebbe ritornato al suo albergo.
La casa di Jim era alquanto più piccola della residenza del signor S.U. Crookshank, ma tuttavia riuscirono a sgombrare un pezzo di pavimento su cui due o tre coppie si misero a ballare al suono piuttosto rauco di un grammofono. Girarono altri bicchieri, e Kingsley ne fu contento perchè non era una stella di prima grandezza nel cielo delle danze. La ragazza bruna fu invitata da due uamini per i quali Kingsley, nonostante il whisky, provò cordiale antipatia. Decise di meditare sulla condizione del mondo, in attesa del momento di liberare la ragazza da quei due tangheri, ma non doveva essere così. Gli si avvicinò Vocedibasso. «Balliamo, tesoro,» gli disse.
Kingsley fece del suo meglio per accordarsi con quel ritmo insinuante, ma non riuscì ad ottenere l’approvazione della sua ballerina.
«Perchè non ti abbandoni, amore?» sospirò la voce.
Era proprio l’osservazione che ci voleva per impacciare ancor più Kingsley: come poteva abbandonarsi in quel poco spazio pieno di gente? Cosa doveva fare, lasciarsi andare a corpo morto fra le braccia di Vocedibasso?
Decise di rispondere con una sciocchezza di pari peso:
«Io non ho mai troppo freddo, e lei?»
«Dove vuole arrivare?» fece la donna con una voce che sembrò un bisbiglio amplificato.
La disperazione di Kingsley era al colmo: la trascinò via dallo spazio del ballo, afferrò il bicchiere, tirò giù un gran sorso, e balbettando qualcosa andò verso l’atrio dove ricordava di aver visto un telefono. Una voce dietro di lui fece:
«Ehi, cerca qualcosa?»
Era la ragazza bruna.
«Chiamo un tassì. Sono stanco e voglio andare a letto.»
«Le pare bello dir queste cose a una ragazza per bene? Ma è giusto, me ne vado anch’io. Ho una macchina e le do un passaggio. Lasci perdere il tassì.»
La ragazza guidava bene e presto furono nei sobborghi di Pasadena.
«È pericoloso guidare troppo piano,» spiegò. «A quest’ora i poliziotti sono in cerca di ubriachi e di gente che ritorna dalle feste. Non fermano le macchine che vanno veloci, ma si insospettiscono quando ne vedono una andar piano.» Accese le luci sul cruscotto per controllare la velocità. Allora vide il contatore della benzina
«Accidenti, è quasi finita. Dobbiamo fermarci al prossimo distributore.»
Solo quando fu per dare i soldi al ragazzo del distributore si accorse che sulla macchina non c’era la borsetta. La benzina la pagò Kingsley.
«Non so proprio dove l’ho lasciata,» disse. «Credevo che fosse nei sedili di dietro.»
«C’era molto?»
«Non molto. Ma il guaio è che non so proprio come rientrare a casa. Nella borsetta c’era anche la chiave.»
«È proprio una seccatura. Disgrazia vuole che io non sia molto esperto in serrature. È possibile entrare in qualche modo dalla finestra?»
«Be’, credo che sia possibile, se qualcuno mi aiuta. C’è una finestra che lascio sempre aperta, ma è piuttosto alta e non ci arrivo da sola. Forse se lei mi da una mano… Le dispiace? Non è molto lontano da qui.»
«Niente affatto,» disse Kingsley, «e mi piace l’idea di far lo scassinatore.»
La ragazza aveva ragione di dire che la finestra era alta. Per arrivarci
bisognava far salire una persona sull’altra, e la manovra non sarebbe stata per
nulla facile.
«È meglio che salga io,» disse la ragazza. «Sono più leggera.»
«E allora invece dell’agile scassinatore mi toccherà fare da tappeto.»
«Giusto,» disse la ragazza sfilandosi le scarpe. «E ora si abbassi, in modo che
io le possa salire sulle spalle. Ma non così, altrimenti non si risolleva più.»
La ragazza per un momento parve cader giù, ma riacquistò l’equilibrio
aggrappandosi ai capelli di Kingsley.
«Mi stacca la testa,» borbottò lui.
«Mi dispiace. Sapevo che non dovevo bere tanto.»
Finalmente ce la fece. La finestra era spalancata, e la ragazza sparì là dentro,
prima la testa e le spalle, i piedi per ultimo. Kingsley raccolse le sue scarpe
e Si avvio alla porta. La ragazza aprì. «Entri,» gli disse. «Mi si sono
smagliate le calze. Mica si vergogna di entrare, vero?»
«Non mi vergogno affatto. Ma se ha finito, mi renda i miei capelli.»
Era quasi ora di pranzo quando Kingsley giunse all’osservatorio, il giorno dopo.
Andò subito all’ufficio del direttore e vi trovò Herrick, Marlowe e l’Astronomo
Reale.
«Dio mio, che aria dissoluta,» pensò l’Astronomo Reale.
«Dio mio, il trattamento a base di whisky pare che l’abbia conciato per le
feste,» pensò Marlowe.
«Sembra più volubile che mai,» pensò Herrick.
«Bene, bene, sono finiti tutti quei rapporti?» chiese Kingsley.
«Tutto pronto, manca solo la sua firma,» rispose l’Astronomo Reale. «Ci chiedevamo dove fosse finito perchè abbiamo già fissato l’aereo di ritorno per stanotte.»
«Aereo di ritorno? No, no, prima giriamo mezzo mondo per tutti quei maledetti aeroporti, ed ora che siamo qui a goderci il sole vuole tornare subito a casa? Non dica sciocchezze, A. R. Perchè non si concede un po’ di respiro?»
«Mi sembra che lei dimentichi che noi ci dobbiamo occupare di una cosa molto importante.»
«La cosa è importante, d’accordo, A. R. Ma in tutta serietà le dico che è una cosa di cui non possiamo occuparci nè noi nè alcun altro. La Nuvola nera viaggia e nessuno la può fermare, nemmeno tutti gli uomini del re, anzi nemmeno il re. Vi consiglio di lasciar perdere questa stupida storia del rapporto. Godiamoci il sole, finchè ce n’è.»
«Ci eravamo resi conto delle sue idee, dottor Kingsley, ma poi l’Astronomo Reale ed io abbiamo deciso di prendere l’aereo dell’est,» interruppe Herrick che cercava di conservare la calma.
«Volete dire che intendete recarvi a Washington, dottor Herrick?»
«Ho già fissato un appuntamento col segretario del Presidente.»
«In questo caso credo che anche l’Astronomo Reale ed io dovremmo partire, subito, per l’Inghilterra.»
«Kingsley, è proprio quello che cercavo di dirle,» fece l’Astronomo Reale, pensando che sotto certi aspetti Kingsley era l’uomo più ottuso che avesse mai conosciuto.
«Forse a lei è parso così, A. R., ma non mi ha detto esattamente in questo modo. E ora sotto con le penne. Tre copie, vero?»
«No, sono soltanto due, una per me e una per l’Astronomo Reale,» rispose Herrick. «Vuol firmare qui?»
Kingsley tirò fuori la penna, scarabocchiò due volte il suo nome, poi disse:
«È proprio certo, A. R., che i posti sull’aereo per Londra sono prenotati?»
«Ma certo.»
«Allora tutto va bene. Signori, sarò a vostra disposizione al mio albergo dalle cinque in poi. Ma fino alle cinque ci sono varie cose importanti di cui mi debbo occupare.»
Detto questo Kingsley uscì dall’osservatorio.
Nella stanza di Herrick gli astronomi si guardarono in faccia sorpresi.
«Che cose importanti?» disse Marlowe.
«Lo sa il cielo,» rispose l’Astronomo Reale. «Io non arrivo a capire il modo di pensare e di comportarsi di Kingsley.»
Herrick scese dall’aereo dell’est a Washington. Kingsley e l’Astronomo Reale proseguirono fino a New York, dove rimasero tre ore prima di salire su quello per Londra. Ci fu qualche incertezza sulla partenza, a causa della nebbia. Kingsley era molto preoccupato, ma finalmente dissero loro di avviarsi al cancello T3 e di tener pronti i biglietti. Mezz’ora dopo decollarono.
«Sia ringraziato il Signore,» fece Kingsley quando l’aereo puntò decisamente verso nord-est.
«Secondo me ci sono molti motivi per cui lei dovrebbe ringraziare il Signore, ma non vedo perchè lo ringrazi ora,» osservò l’Astronomo Reale
«Glielo spiegherei volentieri, A. R., se fossi certo che la mia spiegazione le possa piacere. Ma ho paura di no, e in questo caso è meglio berci sopra. Cosa prende?»