XXXVII DI NUOVO OLTRE IL FIUME

Prima dell’alba, Roche si presentò alla mia porta con Drotte ed Eata. Drotte era il più vecchio di noi, eppure il suo volto e gli occhi lampeggianti lo facevano sembrare più giovane di Roche. Era ancora il ritratto della forza muscolare, ma notai che io ero sempre più alto di lui dell’ampiezza di due dita: doveva essere stato già così quando avevo lasciato la Cittadella, solo che allora non me ne ero reso conto. Eata era rimasto il più basso di noi ed un semplice apprendista… e del resto ero stato lontano solo un’estate dopo tutto. Appariva leggermente stordito quando mi salutò, e supposi che trovasse difficoltà a credere che adesso ero diventato l’Autarca, specialmente perché non mi aveva più rivisto fino a quel momento, quando mi ero ancora una volta rivestito con l’abito della corporazione.

Avevo detto a Roche che dovevano essere armati tutti e tre; egli e Drotte erano muniti di spade simili per forma (anche se di qualità molto inferiore) a Terminus Est, ed Eata portava una clava che rammentavo di aver visto esposta durante i festeggiamenti del nostro Giorno della Maschera.

Prima di aver partecipato ai combattimenti nel nord, li avrei ritenuti ben equipaggiati, ma adesso tutti e tre, e non soltanto Eata, mi sembravano ragazzini armati di bastoni e di pigne e pronti a giocare alla guerra.

Passammo per l’ultima volta attraverso la falla nel muro e percorremmo i sentieri d’osso che passavano fra i cipressi e le tombe. Le rose dei morti che avevo esitato a raccogliere per Thecla presentavano ancora qualche bocciolo autunnale, ed io mi sorpresi a ripensare a Morwenna, la sola donna cui avessi mai tolto la vita, ed alla sua nemica, Eusebia.

Quando superammo i cancelli della necropoli e ci addentrammo nelle squallide strade della città, i miei compagni apparvero più sollevati. Credo avessero avuto l’inconscio timore di poter essere visti da Maestro Gurloes e puniti in qualche modo per aver obbedito all’Autarca.

— Spero che tu non abbia in mente di fare una nuotata — osservò Drotte. — Questi aggeggi ci farebbero affondare.

— Eata potrebbe galleggiare sulla sua mazza — ridacchiò Roche.

— Ci spingeremo molto a nord. Avremo bisogno di una barca, ma credo che ne potremo affittare una, se cammineremo lungo la riva.

— Se qualcuno ce la vorrà affittare. Se non saremo arrestati. Lo sai, Autarca…

— Severian — gli ricordai. — Fintanto che indosserò questi abiti.

— … Severian, si suppone che utilizziamo queste armi solo sul patibolo, e ci vorranno un bel po’ di chiacchiere per convincere i peltasti che è necessaria la presenza di tutti e tre. Capiranno chi sei? Io non…

Questa volta fu Eata ad interromperlo, indicando verso il fiume.

— Guardate, c’è una barca!

Roche seguì la direzione del suo sguardo, tutti e tre agitarono le mani, ed io mostrai uno dei crisi che mi ero fatto prestare dal castellano, tenendolo in modo che la luce del sole che stava iniziando a sorgere, lo facesse brillare. L’uomo al timone agitò il cappello e ciò che sembrava essere uno snello ragazzino balzò in piedi per issare le gocciolanti vele di quarto lungo l’altra bordata.

Era un’imbarcazione a due alberi, bassa di bordo… indubbiamente l’ideale per trasportare merci di contrabbando al di là delle pattuglie che erano venute improvvisamente a trovarsi ai miei ordini. Il vecchio pirata che la pilotava appariva capace di cose anche peggiori, e lo snello «ragazzo» era in effetti una ragazza con occhi ridenti e la propensione a guardare la gente in tralice.

— Bene, sembra che sarà una giornata interessante — osservò il vecchio, dopo aver dato un’occhiata ai nostri abiti. — Pensavo che foste in lutto, fino a quando non mi sono avvicinato. Occhi? Non ne ho mai sentito parlare.

— Lo siamo — replicai, mentre salivo a bordo. Mi diede un ridicolo senso di soddisfazione scoprire che non avevo perso le mie gambe da marinaio, che mi ero fatto sulla Samru, e vedere Drotte e Roche aggrapparsi alle corde quando l’imbarcazione iniziò a rollare sotto il loro peso.

— Ti spiace se dò un’occhiata a quel ragazzo giallo? Solo per vedere se è buono, poi lo rispedirò a casa.

Gli tirai la moneta, ed egli la sfregò, la morse, poi me la restituì con un’occhiata colma di rispetto.

— Potremmo aver bisogno della tua barca per tutta la giornata.

— Per quel ragazzo giallo, la puoi avere anche per tutta la notte. Saremo entrambi lieti della compagnia, come osservò il becchino allo spettro. Questa notte, fino alle prime luci, sono successe alcune cose sul fiume: potrei supporre che esse hanno a che fare con la presenza di voi ottimati quaggiù stamattina?

— Parti — ordinai. — Mi potrai parlare di queste cose, se lo desideri, mentre ci muoviamo.

Anche se era stato il primo ad affrontare l’argomento, il pilota parve riluttante a scendere in dettagli… forse solo perché aveva difficoltà a trovare le parole con cui esprimere quello che aveva visto e sentito e ciò che aveva provato. C’era un leggero vento da occidente, per cui, con le vele consunte dell’imbarcazione tese al massimo, riuscimmo a risalire comodamente il fiume. La ragazza abbronzata non aveva molto da fare salvo che sedere a poppa e scambiare occhiate con Eata. (È possibile che, a causa dei pantaloni e della camicia grigi e sporchi, lo considerasse soltanto un nostro servitore.) Il pilota, che si definiva suo zio, teneva una mano ferma sul timone per impedirgli di deviare e perdere il vento, mentre parlava.

— Vi racconterò quello che ho visto io stesso, come disse il carpentiere quando ebbe montato l’imposta. Eravamo ad otto o nove leghe dal punto dove ci avete incontrati, verso nord. Avevamo un carico di molluschi, vedete, ed in quel caso non c’è possibilità di fermarsi, non quando si prevede un caldo pomeriggio. Scendiamo il fiume e li compriamo dagli allevatori, poi li trasportiamo rapidamente su per il canale in modo che possano essere mangiati prima che vadano a male. Se vanno a male, si perde tutto, ma se si riesce a venderli ancora buoni, si guadagna anche più del doppio.

«Durante la mia vita ho trascorso più ore di chiunque altro sul fiume… si potrebbe dire che è la mia camera da letto e che questa nave è la mia culla, anche se di solito non vado a dormire fino al mattino. Ma la scorsa notte… in qualche momento mi sono sentito come se non fossi affatto sul vecchio Gyoll, ma su un altro fiume, uno che scorra verso il cielo e sottoterra.

«Dubito che lo abbiate notato, a meno che non siate stati fuori fino a tardi, ma era una notte tranquilla, con appena un alito di brezza che soffiava per il tempo che un uomo impiega ad imprecare, e poi moriva, e quindi riprendeva a soffiare. C’era anche la nebbia, spessa come il cotone. Era sospesa sull’acqua come fa sempre, lasciando libero uno spazio largo appena quanto un barile che rotoli fra la riva ed il fiume. Per la maggior parte del tempo, non riuscivamo a vedere le luci lungo riva… solo la nebbia. Avevo un corno in cui soffiare per avvertire chi non ci poteva vedere per via della nebbia, ma è caduto fuori bordo lo scorso anno, e, essendo di rame, è affondato. Così, la notte scorsa, ogni volta che avevo l’impressione che ci fosse un’altra barca o qualche cosa nelle nostre vicinanze, ho gridato un avvertimento.

«Circa un turno di guardia dopo che era salita la nebbia, ho lasciato andare a letto Maxellindis. Entrambe le vele erano issate, e, ad ogni soffio di vento, risalivamo un pezzetto di fiume, poi calavo di nuovo l’ancora. Forse voi non lo sapete, ottimati, ma sul fiume c’è la legge per cui chi lo risale si tiene lungo le rive, mentre chi lo scende sta nel centro. Lo stavamo risalendo, ed avremmo dovuto trovarci vicino alla riva orientale, ma, con quella nebbia, non avrei saputo udirlo.

«Poi udii un suono di remi e guardai attraverso la nebbia, ma non riuscii a scorgere alcuna luce ed allora chiamai perché virassero. Mi chinai oltre la murata ed accostai l’orecchio all’acqua per ascoltare meglio. La nebbia assorbe tutti i rumori, ma si riesce a sentire qualcosa quando si mette la testa in basso, perché i suoni corrono lungo il pelo dell’acqua. Comunque, lo feci, e capii che era una grossa imbarcazione. Quando c’è un buon equipaggio, non riesco a contare il numero dei remi perché si muovono tutti all’unisono, ma quando una grossa nave avanza in fretta, si può sentire l’acqua aprirsi sotto la sua prua, e quella era davvero grossa. Salii sul cassero per tentare di vederla, ma ancora non c’erano luci, anche se sapevo che doveva essere vicina.

«Proprio quando stavo scendendo, l’avvistai… una galeassa a quattro alberi e con quattro file di remi, senza luci, che veniva su per il canale, per quanto potevo giudicare. Una preghiera per quelli che stanno scendendo il canale, pensai, come disse il bue quando scivolò fuori dai finimenti.

«Naturalmente, la vidi solo per un momento prima che sparisse di nuovo nella nebbia, ma in seguito la sentii ancora per parecchio tempo. Il vederla mi diede una sensazione tanto strana che da allora gridai ad intervalli anche se non c’era nessuna barca nelle vicinanze. Avevamo percorso una mezza lega, suppongo, o forse un po’ di meno, quando sentii un uomo che gridava di rimando. Solo, non sembrava che stesse rispondendo a me, ma che qualcuno lo stesse frustando con una fune. Chiamai ancora e ricevetti regolari risposte, ed alla fine vidi che si trattava di un tipo che so chiamarsi Trason e che possiede una barca proprio come me.

«“Sei tu?” mi chiese, ed io risposi che ero io e domandai se stava bene, e lui mi pregò di accostare e di fermarmi.

«Replicai che non potevo, che avevo un carico di molluschi, e che, anche se la notte era fresca, lo volevo vendere il più presto possibile. “Fermati”, mi gridò ancora Trason, “fermati ed accosta alla riva”. Ed allora io gli gridai di rimando: “Perché non lo fai tu?” Proprio allora, lo avvistai, e vidi che la sua barca aveva un carico maggiore di quel che credevo potesse sopportare… erano panduri, avrei detto, solo che tutti i panduri che ho visto fino ad oggi avevano una faccia abbronzata come e più della mia, mentre questi l’avevano bianca come la nebbia stessa… avevano scorpioni e vulgi… potevo scorgere le loro punte sbucare da sopra le creste degli elmetti.

Lo interruppi per chiedergli se quei soldati avevano un’aria denutrita e grandi occhi fissi.

Egli scosse il capo, ed un angolo della sua bocca si piegò verso l’alto.

— Erano uomini grossi, più grossi di te o di me o di chiunque altro su questa barca, una testa più alti di Trason. Comunque, svanirono in un attimo, proprio come la galeassa. Quella è stata la sola altra imbarcazione che ho incontrato fino a che la nebbia non si è sollevata, ma…

— Ma hai visto qualcos’altro — completai, — oppure hai sentito qualcosa.

— Pensavo che forse tu e gli altri foste qui per questo — annuì. — Sì, ho visto ed udito cose strane. C’erano cose su questo fiume che non avevo mai visto prima. Quando si è destata e gliel’ho detto, Maxellindis ha ritenuto che dovevano essere i lamantini. Sembrano pallidi, sotto la luce lunare, ed hanno un aspetto umano, se non ti avvicini troppo. Ma io li conosco da quando ero ragazzo e non sono mai stato ingannato una sola volta. E c’erano voci di donne, non acute ma persistenti. E qualcos’altro. Non riuscivo a capire niente di quello che dicevano ma ne sentivo le intonazioni. Sai com’è quando si ascolta la gente sull’acqua? Le loro voci dicevano così-e-così-e-così. E la voce più fonda, non la posso definire maschile perché non credo lo fosse… diceva andate-e-fate-questo-e-questo-e-quello. Ho sentito per tre volte le voci di donne, e per due volte l’altra voce. Voi non ci crederete, ottimati, ma qualche volta sembrava che le voci uscissero dal fiume.

Detto questo, piombò nel silenzio, guardando i nenufari. Eravamo al di sopra della parte del Gyoll opposta alla Cittadella, ma quei fiori erano ancora più fitti dei fiori selvaggi su un prato al di qua del paradiso.

Adesso la Cittadella era visibile nel suo complesso, e, nella sua vastità, sembrava una lucente roccia fluttuante su una collina, le mille torri di metallo pronte a balzare in aria ad un solo comando. Sotto di esse, la necropoli stendeva un merletto misto di verde e di bianco. So che è di moda parlare con un certo disgusto della crescita “malsana” dei prati e degli alberi in luoghi del genere, ma non ho mai osservato che in essi vi sia effettivamente qualcosa d’insano. Le cose verdi muoiono affinché gli uomini vivano, e gli uomini muoiono affinché possano vivere le piante, anche quell’uomo ignorante ed innocente che avevo ucciso con la sua stessa ascia così tanto tempo fa. Si dice che tutto il nostro fogliame sia sbiadito, ed indubbiamente è così. E quando il Nuovo Sole verrà, la sua sposa, la Nuova Urth, gli darà gloria con le sue foglie simili a smeraldi. Ma nel giorno attuale, il giorno del vecchio sole e della vecchia Urth, io non ho mai visto una tinta di verde più scura di quella dei grandi pini nella necropoli, quando il vento agita i loro rami. Essi traggono la loro forza dalle generazioni defunte della razza umana, e gli alberi delle argosie, che vengono costruiti con l’uso di molti alberi, non sono alti quanto quei pini.

Il Campo Sanguinario sorge lontano dal fiume, e noi quattro attirammo strane occhiate mentre ci dirigevamo fin là, ma nessuno ci fermò. La Locanda dei Perduti Amori, che mi era parsa la meno solida fra le case degli uomini, sorgeva ancora dove era quel giorno, quando vi ero giunto con Dorcas ed Agia. Il grasso oste quasi svenne al vederci, ed io gli ordinai di chiamare Ouen, il cameriere.

Non lo avevo guardato quel pomeriggio, quando aveva portato il vassoio per Dorcas, Agia e me, ma lo feci adesso. Era un uomo con un inizio di calvizie, alto circa quanto Drotte, magro e dall’aria tormentata; i suoi occhi erano di un azzurro profondo, e nel disegno di quegli occhi e della bocca c’era una delicatezza che riconobbi subito.

— Tu sai chi siamo? — gli chiesi.

Scosse lentamente il capo.

— Non hai mai dovuto servire un torturatore?

— Una volta, questa primavera, Sieur — rispose. — E so che questi uomini vestiti di nero sono torturatori. Ma tu non sei un torturatore, sieur, anche se sei vestito come loro.

— Mi hai mai visto? — insistetti, ignorando l’osservazione.

— No, sieur.

— Molto bene, forse è così. — (Com’era strano rendermi conto di essere cambiato tanto.) — Òuen, dal momento che tu non mi conosci, potrebbe essere un bene che io conoscessi te. Dimmi dove sei nato e chi erano i tuoi genitori e come sei finito a lavorare in questa locanda.

— Mio padre era un negoziante, sieur. Vivevamo vicino alla Vecchia Porta, sulla riva occidentale. Quando avevo dieci anni, credo, mi mandò in una locanda perché facessi da sguattero, e da allora ho lavorato così, qua e là.

— Tuo padre era un negoziante. E tua madre?

Il volto di Ouen era ancora improntato alla deferenza dovuta da un cameriere, ma il suo sguardo era perplesso.

— Non l’ho mai conosciuta, sieur. La chiamavano Cas, ma è morta quando ero piccolo. Durante il parto, mi ha detto mio padre.

— Ma sai che aspetto aveva?

— Mio padre conservava un medaglione con il suo ritratto — annuì Ouen. — Quando avevo circa vent’anni, sono andato a trovarlo ed ho scoperto che lo aveva impegnato. In quel momento mi ero fatto un piccolo gruzzolo aiutando un ottimate nei suoi affari… portando messaggi alle signore e rimanendo di guardia fuori dalla porta e così via, quindi sono andato al banco dei pegni, ho pagato e me lo sono preso. Lo porto ancora indosso, sieur. In un posto come questo, con tanta gente che va e viene, è meglio tenere su di sé le cose di valore.

Infilò una mano nella camicia ed estrasse un medaglione di lacca. L’immagine all’interno era quella di Dorcas, di fronte e di profilo, una Dorcas di poco più giovane di quella che avevo conosciuto.

— Hai detto di essere diventato sguattero a dieci anni. Ma sai leggere e scrivere — osservai.

— Un po’, sieur. — Apparve imbarazzato. — Ho chiesto alla gente, parecchie volte, il significato delle parole scritte, ed io non dimentico molte cose.

— Hai scritto qualcosa, quando il torturatore era qui, la primavera scorsa. Rammenti cos’era?

— Solo un biglietto per avvertire la ragazza — replicò, spaventato, scuotendo il capo.

— Io lo so. Diceva: «La donna che è con te è stata qui in precedenza. Non ti fidare di lei. Trudo dice che l’uomo è un torturatore. Tu sei mia madre ritornata.»

Ouen si riinfilò il medaglione sotto la camicia.

— Era solo che le somigliava tanto, sieur. Quando ero giovane, ero solito pensare che un giorno avrei trovato una donna del genere. Dicevo a me stesso, sai, che ero un uomo migliore di mio padre, e lui l’aveva trovata, dopo tutto. Ma non ci sono mai riuscito, ed ora non sono certo di essere un uomo migliore.

— A quel tempo — osservai, — tu non sapevi che aspetto avesse l’abito di un torturatore, ma lo sapeva il tuo amico Trudo, lo stalliere. Lui conosceva molte più cose di te sui torturatori, ed è stato per questo che è fuggito via in quel modo.

— Sì, sieur. Lo ha fatto quando ha sentito che il torturatore chiedeva di lui.

— Ma tu hai notato l’innocenza della ragazza e l’hai voluta mettere in guardia contro il torturatore e l’altra donna. Forse avevi ragione in merito ad entrambi.

— Se lo dici tu, sieur.

— Lo sai, Ouen, le somigli un poco.

Il grasso oste aveva ascoltato più o meno apertamente, ed ora ridacchiò.

— Somiglia di più a te!

Temo che mi voltai a fissarlo.

— Senza offesa, sieur, ma è vero. È un po’ più vecchio, ma quando stavate parlando, ho visto entrambe le vostre facce di profilo e non c’era la minima differenza.

Osservai nuovamente Ouen. I suoi capelli e gli occhi non erano scuri come i miei, ma, a parte il colore, il suo volto avrebbe potuto quasi essere il mio.

— Hai affermato di non aver mai trovato una donna come Dorcas… come quella del tuo medaglione. Eppure, hai trovato una donna, credo.

— Parecchie, sieur. — I suoi occhi non incontrarono i miei.

— Ed hai generato un figlio.

— No sieur! — Era sconcertato. — Mai, sieur!

— Interessante. Hai mai avuto problemi con la legge?

— Parecchie volte, sieur.

— È un bene che tu tenga bassa la voce, ma non fino a questo punto. E guardami, quando parli. Una donna di quelle che hai amato… o forse una che ti amava… una donna dai capelli scuri… è stata forse arrestata una volta?

— Una volta, sieur — rispose. — Sì, sieur. Il suo nome era Catherine. È un nome passato di moda, mi hanno detto. — Fece una pausa e scrollò le spalle. — Ci sono stati guai, come tu dici, sieur: era scappata da un qualche ordine monacale. La legge l’ha presa e non l’ho mai più rivista.

Non voleva venire con noi, ma lo portammo ugualmente via quando tornammo alla barca.


Quando avevo risalito il fiume con la Samru, la linea di divisione fra la città viva e quella morta era come quella fra la scura curva del mondo e la volta celeste stellata. Adesso, in così tanta luce, quella divisione era svanita. Strutture parzialmente in rovina si allineavano lungo le rive, ma non riuscii a capire se si trattasse delle case dei cittadini più poveri o di rovine deserte fino a quando non vidi una corda per stendere da cui pendevano tre stracci.

— Nella corporazione — osservai, rivolto a Drotte, — coltiviamo l’ideale della povertà, ma quella gente non ha bisogno dell’ideale; essi l’hanno raggiunta.

— Mi pare che abbiano maggiormente bisogno di quell’ideale — ribatté.

Ma si sbagliava. L’Increato era là, un essere che andava oltre gli Hieroduli e coloro che essi servivano; perfino sul fiume, potevo percepire la sua presenza come si avverte quella del padrone di una grande casa, anche se questi si trova in una camera scura o ad un altro piano. Quando scendemmo a riva, mi parve che se avessi valicato una qualsiasi di quelle porte avrei sorpreso all’interno una figura luminosa, e che il comandante di tutte quelle figure fosse dovunque, invisibile solo perché era troppo immenso per poter essere visto.

Trovammo un sandalo da uomo, consunto ma non vecchio, abbandonato su una delle strade invase dall’erba.

— Mi è stato detto che ci sono razziatori che girano per questi luoghi — spiegai. — Questo è uno dei motivi per cui vi ho chiesto di venire. Se non fossero implicate altre persone oltre a me stesso, avrei agito da solo.

Roche annuì ed estrasse la spada, ma Drotte obiettò:

— Qui non c’è nessuno. Credo che tu sia diventato molto più saggio di noi, Severian, ma credo anche che tu ti sia abituato a cose che terrorizzano la gente comune.

Compresi cosa intendesse dire.

— Tu sapevi di cosa parlava il battelliere, te lo potevo leggere in faccia, ed anche tu avevi paura, o, per lo meno, eri preoccupato. Ma non eri spaventato come lo era la scorsa notte il battelliere sulla sua barca, o come lo saremmo stati Roche, Eata, Ouen ed io se la notte scorsa ci fossimo trovati vicino al fiume ed avessimo saputo cosa stava accadendo. I saccheggiatori cui ti riferivi erano in circolazione la notte scorsa, e devono tenere d’occhio le barche delle guardie. Non ce ne sarà nessuno vicino all’acqua né oggi né per parecchi giorni a venire.

— Pensi che quella ragazza… Maxellindis… sia in pericolo, laggiù alla barca? — chiese Eata, toccandomi il braccio.

— Lei corre tanto pericolo quanto ne corri tu per causa sua — replicai. Non comprese cosa intendessi dire, ma io lo sapevo: la sua Maxellindis non era Thecla, la sua storia non poteva essere uguale alla mia.

Ma io avevo visto i rotanti corridoi del Tempo dietro i ridenti occhi castani ed il volto da monello. L’amore è una lunga fatica per i torturatori; e, anche se avessi sciolto la corporazione, Eata sarebbe divenuto un torturatore, come lo sono tutti gli uomini, vincolato dal disprezzo per quella ricchezza senza cui un uomo è meno di un uomo, infliggendo sofferenza con la sua stessa natura, che lo volesse o meno. Mi spiaceva per lui, ed ancor più per Maxellindis, la ragazza-marinaio.


Ouen ed io entrammo nella casa, lasciando Roche, Drotte ed Eata a montare la guardia ad una certa distanza. Mentre sostavamo sulla soglia, potevo udire all’interno i soffici passi di Dorcas.

— Noi non ti diremo chi siamo — mi rivolsi ad Ouen, — e non ti possiamo rivelare cosa potresti diventare. Ma noi siamo il tuo Autarca, e ti spiegheremo ora che cosa devi fare.

Non avevo parole di comando per lui, ma scoprii di non averne bisogno: egli s’inginocchiò immediatamente, come aveva fatto il castellano.

— Abbiamo portato i torturatori con noi affinché tu avessi modo di sapere cosa ti aspettava se ci avessi disobbedito. Ma noi non desideriamo costringerti, ed ora, avendoti incontrato, dubitiamo che la loro presenza fosse necessaria. C’è una donna, in questa casa in cui entrerai fra un momento. Le devi raccontare la tua storia come l’hai raccontata a noi, e devi rimanere con lei per proteggerla, anche se lei tenterà di mandarti via.

— Farò del mio meglio, Autarca — replicò Ouen.

— Quando potrai, la dovrai persuadere a lasciare questa città di morte. Fino ad allora, ti diamo questa. — Trassi fuori la pistola e gliela porsi. — Vale un carro di crisi, ma, fintanto che rimarrai qui, ti sarà più utile. Quando tu e la donna sarete al sicuro, la ricomprerò da te, se lo vorrai. — Gli feci vedere come far funzionare la pistola e lo lasciai.

Allora fui solo, ed indubbiamente ci saranno alcuni che, leggendo il resoconto di quell’estate più che turbolenta, penseranno che lo ero stato spesso. Jonas, il mio unico, vero amico, era ai suoi stessi occhi soltanto una macchina; Dorcas, che amo ancora, era ai suoi stessi occhi una sorta di fantasma.

Io non ritengo che sia così. Noi scegliamo di essere o di non essere soli quando decidiamo chi accettare come nostri compagni e chi rifiutare. Così, un eremita nella sua grotta di montagna è in compagnia, perché gli uccelli, i conigli, gli iniziati le cui parole vivono nei suoi «libri della foresta» ed i venti… i messaggeri dell’Increato, sono i suoi compagni. Un altro uomo, che viva fra milioni di persone, può essere solo, perché non ha altro che nemici e vittime intorno a sé.

Agia, che avrei potuto amare, aveva preferito invece diventare una Vodalus in veste femminile, scegliendo come proprio avversario tutto ciò che più pienamente vive nell’umanità. Io, che avrei potuto amare Agia, che avevo amato Dorcas profondamente ma forse non abbastanza profondamente, ero adesso solo perché ero divenuto parte del suo passato, che lei amava più di quanto avesse (salvo, credo, all’inizio) amato me.

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