XXXIV LA CHIAVE DELL’UNIVERSO

Quando ebbe sentito tutto, il Maestro Palaemon si accostò al mucchietto dei miei averi e sollevò l’impugnatura e l’elsa che erano tutto ciò che rimaneva di Terminus Est.

— Era una buona spada — osservò. — Per poco non ti ho regalato la tua stessa morte, ma era una buona spada.

— Noi eravamo sempre orgogliosi di portarla, e mai abbiamo trovato motivo di lagnarcene.

Egli sospirò, ed il respiro parve arrestarglisi in gola.

— È scomparsa. È la lama a fare una spada, non gli accessori.

«La corporazione conserverà questi oggetti da qualche parte, insieme al mantello ed alla giberna, perché ti hanno appartenuto. Quando tu ed io saremo ormai morti da secoli, vecchi come me li indicheranno ai nostri apprendisti. È un peccato che non abbiamo anche la lama. L’ho usata per molti anni prima che tu entrassi nella corporazione, e non ho mai pensato che sarebbe andata distrutta combattendo contro una qualche diabolica arma. — Depose il pomo d’acciaio e mi fissò, accigliato. — Cosa ti disturba? Ho visto uomini sobbalzare di meno quando venivano loro strappati gli occhi.

— Ci sono molti tipi di arme diaboliche, come tu le chiami, che l’acciaio non è in grado di affrontare. Ne abbiamo viste alcune quando eravamo ad Orinthya. E ci sono decine di migliaia di soldati che stanno respingendo quelle armi con lance di fuoco, giavellotti, e spade forgiate molto peggio di Terminus Est. Fino ad ora sono riusciti nel loro intento perché le armi ad energia degli Asciani non sono molto numerose, e sono poco numerose perché gli Asciani non hanno le fonti di energia necessarie per produrle. Cosa accadrà se ad Urth verrà concesso un Nuovo Sole? Non riusciranno magari gli Asciani ad utilizzare la sua energia meglio di noi?

— Forse potrebbe accadere — riconobbe il Maestro Palaemon.

— Noi abbiamo riflettuto insieme agli autarchi che sono esistiti prima di noi… i nostri fratelli in una nuova corporazione. Il Maestro Malrubius ci ha detto che solo un nostro predecessore immediato ha osato sottoporsi alla prova nei tempi moderni. Quando contattiamo le menti degli altri, scopriamo spesso che essi hanno rifiutato la prova perché sentivano che i nostri nemici, i quali hanno conservato una maggiore conoscenza delle scienze antiche, avrebbero così acquisito un enorme vantaggio. Non è possibile che avessero ragione?

Maestro Palaemon rifletté a lungo prima di rispondere.

— Non lo so. Tu mi ritieni saggio perché un tempo sono stato tuo insegnante, ma io non mi sono trovato al nord, come te. Tu hai visto gli eserciti degli Asciani, mentre io non ho mai incontrato uno solo di loro. Mi aduli, chiedendo la mia opinione. Comunque… stando a quanto hai riferito, sono un popolo rigido, impietrito nelle sue usanze. Suppongo che ben pochi riescano a pensare.

— Questo è vero in ogni parte, Maestro — replicai con una scrollata di spalle. — Ma quel che tu dici è, se possibile, ancora più vero. E ciò che tu chiami rigidità è una cosa terribile… una torpida impassibilità che supera ogni immaginazione. Individualmente, essi sembrano uomini e donne, ma insieme sono come una macchina di legno e pietra.

Il Maestro Palaemon si alzò e si avvicinò al portello, guardando verso le torri affollate.

— Noi siamo troppo rigidi, qui — osservò. — Troppo rigidi nella nostra corporazione, troppo rigidi nella Cittadella. È molto significativo il fatto che tu, che sei stato allevato qui, li hai visti sotto questa luce: devono essere davvero inflessibili. Io credo che possa dipendere dal fatto che, nonostante la loro scienza, la cui portata può essere minore di quanto tu immagini, la gente della Repubblica sarà maggiormente in grado di volgere le nuove circostanze a suo vantaggio.

— Noi non siamo flessibili o inflessibili — replicai, — fatta eccezione per una memoria insolitamente buona, noi siamo un uomo normale.

— No, no! — Il Maestro Palaemon sferrò un colpo sul tavolo e le lenti lampeggiarono nuovamente. — Tu sei un uomo straordinario in un’epoca ordinaria. Quando eri un piccolo apprendista, ti ho battuto, una volta o due… te ne ricorderai, credo. Ma, anche quando ti battevo, sapevo che saresti diventato un personaggio straordinario, il più grande maestro che la nostra corporazione abbia mai avuto. E tu sarai un maestro: anche se distruggerai la nostra corporazione, noi ti eleggeremo!

— Noi ti abbiamo già detto che è nostra intenzione riformare la corporazione, non distruggerla, e non siamo neppure certi di avere la competenza necessaria per farlo. Tu ci rispetti perché siamo ascesi alla posizione più elevata, ma noi l’abbiamo raggiunta per caso, e ne siamo consapevoli. Anche il nostro predecessore l’aveva raggiunta per caso, e le menti che egli ha portato in eredità a noi e che noi tocchiamo debolmente anche ora, non erano, con una o due eccezioni, menti di genii. Per lo più, si tratta di uomini e donne comuni, artigiani e marinai, massaie e donne dissolute. La maggior parte degli altri è costituita da eccentrici studiosi di scarso rilievo, del tipo di cui Thecla era solita ridere.

— Tu non sei semplicemente salito alla posizione più alta — ribatté il Maestro Palaemon, — lo sei diventato: tu sei lo Stato.

— Noi non lo siamo. Lo Stato sono tutti gli altri… tu, il castellano, quegli ufficiali là fuori. Noi siamo la gente, la Repubblica. — Non ne ero consapevole io stesso fino a che non parlai.

— Conserveremo questo — soggiunsi, prendendo il libro marrone. — Esso era una delle cose buone, come la spada. La stesura dei libri sarà nuovamente incoraggiata. Non ci sono tasche in questi abiti, ma forse sarà un bene se saremo visti tenere un libro in mano quando andremo via.

— Portare un libro dove? — Il Maestro Palaemon reclinò la testa come un vecchio corvo.

— Alla Casa Assoluta. Siamo stati privi di contatti, o meglio, l’Autarca lo è stato, se vuoi metterla così, per più di un mese. Dobbiamo scoprire cosa sta succedendo al fronte e forse inviare rinforzi. — Pensai a Lomer, a Nicarete ed agli altri prigionieri nell’Anticamera, ed aggiunsi: — Abbiamo anche altri compiti da svolgere là.

— Prima che tu vada, Severian… Autarca… — Il Maestro Palaemon si massaggiò il mento, — non vorresti fare un giro delle celle in memoria dei vecchi tempi? Dubito che quella gente là fuori sappia della porta che si apre sulle scale ovest.

Quella scala è meno usata e forse più antica della torre. Certo, è quella che è meno cambiata dalla sua condizione iniziale: i gradini sono stretti e ripidi e girano intorno ad una colonna centrale, nera per la corrosione. La porta della stanza in cui io, come Thecla, ero stato assoggettato al congegno chiamato il Rivoluzionario, era incastrata in modo che rimaneva socchiusa, cosicché, sebbene non entrassimo, vidi ugualmente l’antico congegno, spaventoso, eppure meno orribile dei macchinari lucenti e molto più antichi della torre di Baldanders.

Ogni cosa nella segreta significava un ritorno a qualcosa che io avevo ritenuto perduta per sempre dal giorno in cui ero partito per Thrax, eppure i corridoi metallici erano immutati, con le loro lunghe file di porte, e, quando sbirciai attraverso le minuscole finestrelle che si aprivano in esse, vidi i volti familiari di uomini e donne che avevo nutrito e sorvegliato quando ero un artigiano.

— Sei pallido, Autarca — osservò il Maestro Palaemon, — e sento la tua mano che trema. — Lo stavo sostenendo leggermente, una mano appoggiata al suo braccio.

— Sai che i nostri ricordi non svaniscono mai — replicai. — Per noi, la Castellana Thecla siede ancora in una di queste celle, e l’artigiano Severian in un’altra.

— Avevo dimenticato. Sì, deve essere terribile per te. Avevo intenzione di condurti all’antica cella della Castellana, ma forse preferiresti non vederla.

Insistetti per visitarla, ma, quando vi arrivammo, all’interno vi era un nuovo cliente, e la porta non era chiusa a chiave. Feci in modo che il Maestro Palaemon convocasse un fratello di guardia e ci facesse entrare, poi sostai per un momento, osservando il piccolo letto ed il tavolino. Infine, notai il cliente, che sedeva nell’unica cella, gli occhi dilatati ed un’indescrivibile espressione, mista di speranza e stupore, dipinta sul viso. Gli chiesi se mi conosceva.

— No, esultante.

— Noi non siamo un esultante, noi siamo il tuo Autarca. Perché sei qui?

L’uomo si alzò, poi cadde in ginocchio.

— Sono innocente, credimi!

— D’accordo — replicai, — ti crediamo, ma vogliamo che tu ci dica di che cosa sei stato accusato e come mai sei stato condannato.

Con voce acuta, l’uomo si lanciò in uno dei racconti più complessi e confusi che abbia mai udito. Sua cognata e la madre di questa avevano cospirato contro di lui. Avevano dichiarato che aveva colpito la moglie, che l’aveva trascurata quando era malata e che le aveva rubato una certa somma di denaro che il padre le aveva affidato, per scopi su cui loro non erano d’accordo. Nello spiegare tutto questo (e molte altre cose), l’uomo si vantò della propria intelligenza, denunciando al tempo stesso le frodi, i trucchi e le menzogne di coloro che lo avevano mandato nelle segrete. Precisò che il denaro in questione non era mai esistito, ed anche che sua suocera ne aveva una usato una parte per corrompere il giudice. Affermò di non essere stato al corrente della malattia della moglie, ma disse anche di averle procurato il miglior medico che poteva permettersi.

Quando lo lasciai, passai alla cella successiva, ed ascoltai il cliente rinchiuso in essa, poi passai alla successiva e così via, fino a quando non ne ebbi visitati dodici. Undici clienti avevano protestato la loro innocenza, alcuni meglio ed altri anche peggio del primo. Tre ammisero invece di essere colpevoli (anche se uno di essi giurò, ed io gli credo, in tutta sincerità, che anche se aveva commesso la maggior parte dei crimini di cui era accusato, era stato anche incriminato di parecchie colpe che non aveva commesso). Due di quegli uomini promisero solennemente che non avrebbero fatto più nulla che potesse riportarli nelle segrete se solo li avessero rilasciati, cosa che feci. La terza era una donna che aveva rapito alcuni bambini e li aveva costretti a fungere da mobilio in una stanza destinata a quello scopo, arrivando in un caso ad inchiodare le mani di una ragazzina alla superficie di legno di un tavolino in modo che fungesse da piedestallo vivente. Ella mi confessò con eguale franchezza che si sentiva certa che sarebbe tornata al suo divertimento, come lo chiamava, perché quella era la sola attività che le interessava veramente. Non chiese di essere liberata, ma solo che la sentenza fosse commutata in semplice prigionia. Mi sentii certo che fosse pazza, eppure nella sua conversazione o nei suoi limpidi occhi azzurri non c’era nulla che lo indicasse, ed ella mi disse che era stata esaminata prima del processo e giudicata sana di mente. Le toccai la fronte con il Nuovo Artiglio, ma esso rimase inerte come il vecchio Artiglio quando avevo tentato di usarlo con Jolenta o Baldanders.

Non posso sfuggire al pensiero che il potere manifestatosi in entrambi gli Artigli, provenisse da me, ed è per questo che le loro emanazioni, definite calde da altri, mi sono sempre parse invece fredde. Questo pensiero è l’equivalente psicologico di quel doloroso abisso nel cielo in cui avevo temuto di cadere quando avevo dormito sulle montagne. Io lo rifiuto e lo temo perché desidero terribilmente che sia vero; e sento anche che, se in questo pensiero ci fosse anche solo un’eco di verità, io l’individuerei dentro di me, il che non è.

Inoltre, vi sono ulteriori e profonde obiezioni a tale pensiero a parte la sua mancanza di risonanza interiore, e la più importante, convincente ed in apparenza ineliminabile di esse sta nel fatto che l’Artiglio fece rivivere Dorcas dopo parecchi decenni di morte… e lo fece prima che io sapessi di possederlo.

Questa tesi appare conclusiva, eppure, io non sono ancora certo che sia così. Forse che lo sapevo, in realtà? Intendo, ciò che significa sapere, nell’accezione più appropriata del termine? Io ho presunto di essere stato privo di sensi quando Agia aveva fatto scivolare l’Artiglio nella mia giberna, ma potevo essere soltanto intontito, e, del resto, molte persone ritengono da lungo tempo che chi si trova in stato d’incoscienza sia però consapevole di ciò che lo circonda e reagisca alle parole ed alla musica. Come spiegare diversamente i sogni provocati da suoni esterni? Quale porzione del cervello è priva di coscienza, in fin dei conti? Non tutte, altrimenti il cuore cesserebbe di battere ed i polmoni non respirerebbero più. Gran parte della memoria è basata sulla chimica: dopo tutto, quel che mi viene da Thecla e dal precedente Autarca è fondamentalmente così… e le droghe servono solo a far sì che i complicati elementi composti che formano il pensiero possano entrare nel mio cervello sotto forma d’informazioni. Non potrebbe allora darsi che certe informazioni derivate da fenomeni esterni s’imprimano chimicamente nel nostro cervello anche quando l’attività elettrica su cui facciamo affidamento per il pensiero cosciente, cessa per qualche tempo?

Inoltre, se quell’energia ha origine in me, perché avrebbe dovuto essere per me necessario essere consapevole della presenza dell’Artiglio perché essa potesse operare, non più di quanto sarebbe stato necessario se l’energia avesse avuto origine nell’Artiglio stesso? C’era anche un altro forte suggerimento che avrebbe potuto risultare egualmente efficace, e che certo poteva essere suscitato dalla nostra violenta invasione del sacro recinto delle Pellegrine e dal modo in cui Agia ed io eravamo usciti illesi dall’incidente che aveva invece ucciso gli animali. Dalla cattedrale, eravamo andati ai Giardini Botanici, e là, prima che entrassimo nel Giardino del Sonno Eterno, avevo visto un cespuglio coperto di Artigli. A quell’epoca, credevo che l’Artiglio fosse una gemma, ma non poteva darsi che la loro vista ne avesse ugualmente suggerito la presenza? Le nostre menti ci giocano spesso simili scherzi. Nella casa gialla, avevamo incontrato tre persone che ci avevano ritenuti presenze soprannaturali.

Se il potere soprannaturale è mio (eppure, chiaramente, non lo è), come sono giunto a possederlo? Ho elaborato due spiegazioni, entrambe improbabili. Dorcas ed io avevamo parlato una volta del significato simbolico delle cose del mondo reale, le quali, in base agli insegnamenti dei filosofi, rappresentano cose più elevate di quanto esse non siano, e, in un ordine inferiore, sono a loro volta simbolizzate. Per fare un esempio assurdamente semplice, immaginate un artista in un solaio, intento a dipingere una pesca. Se mettiamo quel povero artista al posto dell’Increato, possiamo dire che il suo quadro simbolizza la pesca, e, di conseguenza, i frutti del suolo, mentre la lucente curva della pesca stessa simboleggia lo splendore della femminilità. Se una simile donna dovesse entrare nella soffitta dell’artista (cosa improbabile che dobbiamo presumere per proseguire con la spiegazione), rimarrebbe indubbiamente inconsapevole del fatto che la pienezza dei suoi fianchi e la durezza del suo cuore trovano un’eco nel cesto posato sul tavolo vicino alla finestra, anche se forse l’artista potrebbe non riuscire a pensare ad altro.

Ma se l’Increato è effettivamente al posto dell’artista, non potrebbe essere che simili connessioni, molte delle quali non devono essere neppure lontanamente intuibili da parte degli esseri umani, possano avere profondi effetti sulla struttura del mondo così come l’ossessione dell’artista può colorare la sua pittura? Se sono io colui che dovrà rinnovare la gioventù del sole con la Bianca Fontana di cui mi è stato parlato, non può darsi che mi siano stati dati quasi senza che ne fossi cosciente (se tale espressione può essere usata), gli attributi di luce e di vita che apparterranno al sole rinnovato?

L’altra spiegazione che ho citato è poco più che una speculazione. Ma se, come Maestro Malrubius mi ha detto, coloro che mi giudicheranno fra le stelle mi priveranno della mia virilità se dovessi fallire la prova, non è anche possibile che essi mi concederanno un qualche dono di uguale valore se io dovessi, in qualità di rappresentante dell’Umanità, conformarmi ai loro desideri? Mi sembra che la giustizia lo richieda. Se è così, non potrebbe essere che il loro dono trascenda il tempo, come fanno essi stessi? Gli Hieroduli che avevo incontrato nel castello di Baldanders si erano detti interessati a me perché avrei raggiunto il trono… ma sarebbe stato altrettanto grande il loro interesse se io non fossi stato altro che un governante in guerra di qualche parte del continente o uno dei molti governanti schierati per la guerra nella lunga storia di Urth?

Nel complesso, ritengo che la prima spiegazione sia la più probabile, ma la seconda non è completamente da scartare. Entrambe sembrerebbero indicare che la missione nella quale sto per impegnarmi avrà successo, ed io andrò con cuore tranquillo.

Eppure, c’è una terza spiegazione. Nessun essere umano o quasi umano può concepire l’idea che esistano menti come quella di Erebus o di Abaia e trovare riposo. I loro poteri sorpassano la comprensione, ed oggi so che essi ci potrebbero schiacciare in un giorno se non fosse per il fatto che fanno affidamento solo sulla schiavitù, e non sull’annientamento, come forma di vittoria. La grande ondina che vidi era una loro creatura e qualcosa di meno che una loro schiava: un loro giocattolo. È possibile che il potere dell’Artiglio, l’Artiglio preso da una cosa che cresce così vicino al mare, venga, in ultima analisi, da loro. Essi conoscevano il mio destino altrettanto bene quanto Ossipago, Barbatus e Famulimus, e mi salvarono quando ero un ragazzino in modo che lo potessi realizzare. Dopo che abbandonai la Cittadella, essi mi ritrovarono ancora, e, in seguito, il corso delle mie azioni venne deviato dall’Artiglio. Forse essi sperano di trionfare innalzando un torturatore alla carica di Autarca, o ad una posizione ancora più elevata.


Credo sia adesso giunto il momento di riferire quello che il Maestro Malrubius mi spiegò. Non posso assicurare che sia vero, ma io credo che lo sia, e non so altro se non che sono seduto qui.

Come un fiore matura, getta i suoi semi e poi muore, e quindi risorge dai suoi semi per fiorire ancora, così l’universo che noi conosciamo, si diffonde fino ad annullarsi nell’infinità dello spazio, raccoglie i suoi frammenti (i quali, a causa della curvatura dello spazio s’incontrano alla fine al loro punto di partenza), e torna a fiorire da quel seme. Ciascuno di questi cicli di fioritura e di decadenza contrassegna un anno divino.

E come il fiore che nasce è uguale al fiore da cui deriva, così l’universo che nasce ripete la struttura di quello dalle cui rovine ha avuto origine, e questo è altrettanto vero per le sue caratteristiche più sottili quanto lo è per quelle più generali. I mondi che sorgono non sono dissimili da quelli che sono periti, e sono popolati da razze simili, anche se, così come il fiore si evolve da un’estate all’altra, ogni volta le cose avanzano di un piccolissimo passo.

In un certo anno divino (un tempo per noi inconcepibile, anche se quel ciclo dell’universo non era che uno di una successione interminabile), nacque una razza tanto simile alla nostra che il Maestro Malrubius non si è fatto scrupolo di definirla umana. Tale razza si è allargata fra le galassie del suo universo proprio come si dice che noi abbiamo fatto in un remoto passato, quando Urth era stata, per un certo tempo, il centro o almeno la sede ed il simbolo di un impero.

Questi uomini incontrarono molti esseri su altri mondi, che erano intelligenti in una certa misura o avevano almeno un’intelligenza potenziale, e da essi… in modo da poter aver compagni nella solitudine fra le galassie ed alleati fra i loro mondi sciamanti… avevano formato esseri simili a loro stessi.

Non era stata un’impresa rapida o facile. Innumerevoli bilioni di esseri avevano sofferto ed erano morti sotto la guida delle loro mani, lasciandosi alle spalle ricordi di dolore e di sangue incancellabili. Quando il loro universo era invecchiato, con le galassie talmente distanti fra loro che la più vicina non era visibile neppure come una debole stella, e le astronavi vi arrivavano soltanto sulla base di antiche mappe, la cosa venne completata. Finita, quell’opera era più grande di quanto avrebbero potuto immaginare coloro che l’avevano iniziata: quello che era stato creato non era una nuova razza simile all’Umanità, ma una razza come l’Umanità avrebbe voluto essere essa stessa, unita, compassionevole, giusta.

Non mi è stato detto cosa ne fu dell’umanità di quel ciclo. Forse sopravvisse fino a che il suo universo implose, e poi scomparve con esso. O forse si evolse in modo tale da divenire irriconoscibile. Ma gli esseri che l’Umanità aveva modellato in ciò che uomini e donne desideravano essere, sopravvissero, aprendosi un passaggio fino a Yesod, un universo più elevato del nostro, dove i mondi creati erano adatti a ciò che erano divenuti.

Da quel punto vantaggioso, essi guardano sia avanti che indietro, e nel così fare, ci hanno scoperti. Forse noi non siamo altro che una razza simile a quella che li ha modellati. Forse siamo stati noi a modellarli… oppure i nostri figli… o i nostri padri. Malrubius mi ha confessato di non saperlo, ed io credo che fosse sincero. Comunque possa essere, essi stanno ora modellando noi come sono stati essi stessi modellati, e questo è al tempo stesso il loro modo di ripagarci e di vendicarsi.

Anche gli Hieroduli sono stati trovati e modellati da loro, più rapidamente, perché li servissero nel loro universo? In base alle loro istruzioni, gli Hieroduli costruiscono navi come quella che mi ha trasportato dalla giungla al mare, in modo da poter essere serviti da acquastori come Malrubius e Triskele. Con questi legami, noi veniamo tenuti fermi e forgiati.

Il martello di cui si servono è la loro abilità nel richiamare indietro i loro servitori lungo i corridoi del tempo e di mandarli avanti nel futuro. (Questo potere è essenzialmente lo stesso che permise loro di evitare la morte e di rifugiarsi altrove, perché entrare nei corridoi del tempo significa abbandonare l’universo.) Su Urth infine, la loro incudine è la necessità di vivere, il nostro bisogno, in quest’epoca, di combattere contro un mondo sempre più ostile con le risorse dei continenti impoveriti. Poiché questo metodo è tanto crudele quanto quello con cui essi stessi furono forgiati, la giustizia viene mantenuta; ma quando il Nuovo Sole apparirà, significherà che almeno le operazioni iniziali di questa forgiatura sono complete.

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