Capitolo IX

I terrestri scattarono parecchie fotografie, poi fecero passare un altoparlante a cristalli di osmio attraverso una piccola apertura stagna della parete divisoria. Gli stranieri lo presero e lo collocarono su di un treppiedi.

Kari diresse un fascio molto stretto di radio-onde verso l’antenna e il linguaggio e la musica della Terra raggiunsero l’astronave del pianeta ai fluoro.

Nello stesso modo furono passati strumenti per l’analisi dell’atmosfera e per la misurazione della temperatura. Come era prevedibile, nell’interno dell’astronave bianca la temperatura era molto bassa, non più di sette gradi. La pressione atmosferica era invece superiore a quella terrestre; la gravità era press’a poco eguale.

«La temperatura dei loro corpi è probabilmente più alta,» notò Afra. «Anche la nostra temperatura è superiore di una ventina di gradi alla temperatura media della Terra. Direi che la temperatura del loro corpo deve aggirarsi intorno ai quattordici gradi.»

Anche gli stranieri fecero passare alcuni strumenti, chiusi in involucri rigidi che rendevano impossibile indovinare la loro funzione.

Uno dei due involucri emetteva suoni intermittenti piuttosto acuti, che sembravano svanire in distanza. I terrestri ne dedussero che gli stranieri potevano udire note più alte; se la portata del loro udito era all’incirca eguale a quella dei terrestri, non erano in grado di udire le note più basse del linguaggio e della musica umana.

Poi gli stranieri tornarono ad accendere l’illuminazione di tipo terrestre. I terrestri, a loro volta, spensero la luce azzurra. Due degli abitanti del pianeta al fluoro, un uomo ed una donna, si avvicinarono alla parete trasparente; si tolsero gli abiti rosso-cupo e rimasero nudi, tenendosi per mano, davanti ai terrestri. La somiglianza con gli uomini, già notevole nei volti, era ancora più grande nella struttura dei corpi. Le loro proporzioni armoniose si accordavano perfettamente con il concetto terrestre della bellezza. Le linee erano più definite, più angolose, e davano la sensazione di trovarsi di fronte a sculture; questa sensazione era accresciuta dal gioco delle luci e delle ombre sulla loro pelle grigia.

Le loro teste erano orgogliosamente erette sui colli lunghi. L’uomo aveva le spalle ampie e la struttura fisica di un lavoratore o di un combattente, ed i fianchi larghi della donna non discordavano affatto con la impressione di potenza intellettuale che emanava da entrambi.

Poi i due indietreggiarono facendo il gesto d’invito ormai familiare e le luci gialle di tipo terrestre si spensero; i terrestri non esitarono.

Ad un cenno del comandante, Tey Eron ed Afra Devi mossero verso la divisione trasparente. Nonostante l’illuminazione sfavorevole, che dava ai loro corpi la fredda colorazione azzurra del marmo, la loro superba bellezza strappò una esclamazione ammirata ai loro compagni. Anche gli stranieri, scarsamente visibili nella galleria buia, sembrarono altrettanto impressionati: si guardarono l’un l’altro, meravigliati, e si scambiarono grevi gesti.

Alla fine, gli stranieri smisero di scattare fotografie e riaccesero la luce.

«Non dubito affatto che conoscano il significato dell’amore,» disse Taina. «Del vero, meraviglioso amore umano… dal momento che sono esseri umani così intelligenti e così belli.»

«Hai perfettamente ragione, Taina; e questo è incoraggiante, per noi, perché significa che sono in grado di comprenderci perfettamente,» rispose Moot Ang. «Guarda Kari! Kari, cerca di non innamorarti di quella ragazza del pianeta al fluoro! Sarebbe una vera tragedia, per te.»

Il navigatore trasalì, distolse a fatica lo sguardo dagli occupanti dell’astronave bianca.

«Oh, potrei innamorarmene davvero,» confessò, malinconico. «Lo potrei, nonostante tutte le differenze fra noi e loro, nonostante l’immensa distanza che intercorre tra i nostri pianeti.» E il giovane tornò a contemplare, sospirando, il viso sorridente della ragazza.

Gli stranieri montarono uno schermo verde, accanto alla parete divisoria. Su di esso, minuscole figure salivano un piano inclinato, in processione, portando carichi pesanti; quando raggiunsero la sommità, lasciarono cadere il carico e si distesero al suolo. Come negli antichi cartoni animati terrestri, l’immagine rendeva chiaramente l’idea della fatica. Gli stranieri stavano proponendo una breve sospensione per un periodo di riposo. Anche i terrestri erano stanchi, dopo aver trascorso ore ed ore di tensione in attesa dell’incontro; e l’emozione dell’incontro stesso li aveva addirittura sfiniti.

Gli abitanti del pianeta di fluoro avevano evidentemente previsto di incontrare, nei loro viaggi, uomini di altri mondi, e si erano preparati a quegli incontri realizzando pellicole mimiche che potevano sostituire il linguaggio parlato.

La Tellur non aveva compiuto preparativi del genere; ad ogni modo, fu trovata una soluzione. Yas Tin, che era l’artista della compagnia, buttò giù una serie di schizzi su di una tavola da disegno. Cominciò a disegnare figure che esprimevano la stanchezza, poi un viso dall’espressione così intensamente interrogativa che le persone dall’altra parte della divisione sembrarono colpiti come quando avevano veduto davanti a sé Afra e Tey. Poi Yas tracciò uno schizzo della Terra che ruotava attorno al proprio asse, mentre percorreva la sua orbita attorno al Sole; divise la rivoluzione completa in ventiquattro parti eguali ed ombreggiò metà del diagramma.

Gli altri mostrarono un diagramma simile: poi, entrambi gli equipaggi misero in moto dei metronomi che servirono a stabilire la durata delle unità di tempo. I terrestri appresero che il pianeta di fluoro compiva una rivoluzione completa attorno al proprio asse in circa quattordici ore terrestri, e girava attorno al suo Sole in novecento giorni. L’interruzione per il riposo, proposta dagli stranieri, corrispondeva a cinque ore terrestri.

Ancora abbagliati dalla nuova esperienza, i terrestri lasciarono il dotto tubolare. Le luci si spensero, venne spenta anche l’illuminazione esterna delle due navi.

Adesso, i due vascelli spaziali erano bui e senza vita, fianco a fianco, nella gelida oscurità dell’infinito.

Tuttavia, nell’interno il lavoro procedeva con grande alacrità. Il cervello umano ricorse alle sue inesauribili riserve di ingegnosità per studiare nuovi mezzi adatti a portare agli altri esseri umani la conoscenza accumulatasi nel corso di migliaia d’anni di lavoro, di pericoli e di sofferenze… la conoscenza che aveva liberato l’uomo prima dallo strapotere della natura primordiale, poi alle strettoie di un feroce ordine sociale, dalle malattie, dall’invecchiamento precoce, e che finalmente aveva aperto la strada verso l’estensione infinita dell’universo.

Il secondo incontro nella galleria cominciò con una esibizione di carte astronomiche. Né i terrestri né gli abitanti del pianeta di fluoro avevano mai veduto le costellazioni che avevano superato nelle rispettive rotte. Soltanto più tardi, poi, sulla Terra, fu accertato che il sole azzurro del pianeta di fluoro era situato in un ammasso stellare minore, nella Via Lattea, non lontano da Tau Ophiuchi.

Gli stranieri erano diretti verso un ammasso stellare, all’estremità settentrionale di Ophiucus, quando avevano incontrato la Tellur, verso i limiti meridionali della costellazione di Ercole.

Gli stranieri innalzarono uno schermo, fatto di stecche di metallo rosso, alto all’incirca la statura di un uomo. Nelle fenditure fra le stecche, i terrestri videro improvvisamente qualcosa che turbinava; poi, improvvisamente, le stecche girarono, scomparvero alla vista, e davanti allo sguardo dei terrestri si aprì una vasta distesa di spazio nelle cui profondità stavano ruotando splendenti sfere azzurre. Erano i satelliti del pianeta di fluoro.

Lentamente, anche il pianeta si avvicinò; una vasta fascia azzurra di nuvola solida lo cingeva all’equatore. Nelle zone polari e sub-polari c’erano deboli scintillii di grigio e di rosso: fra queste e la fascia equatoriale c’erano strisce del bianco più puro, simile al colore della superficie della astronave straniera. L’atmosfera conteneva meno vapore, in quelle zone, e si poteva scorgere il contorno dei mari, dei continenti, delle catene montuose. Il pianeta era più grande della Terra; la sua rapida rotazione gli creava intorno un potente campo magnetico. Un bagliore violetto si stendeva, in lingue lunghissime, dall’equatore verso l’oscurità dello spazio.

Ora dopo ora, i terrestri sedettero in silenzio, senza respiro, davanti alla parete divisoria, osservando le immagini sorprendentemente realistiche del pianeta di fluoro, che il misterioso strumento stava mostrando loro. Videro le onde violette degli oceani di acido fluoridrico bagnare le spiagge di sabbia nera, i picchi rossi, i pendii di montagne che irradiavano una debole luminosità azzurrina.

Verso i poli, l’azzurro dell’atmosfera diventava più intenso e la luce azzurra della stella viola attorno alla quale girava il pianeta sembrava ancora più pura. Qui le montagne erano cupole arrotondate, rilievi dalle sommità piatte, che emanavano un dolce splendore. Strisce opalescenti di nuvole azzurre si specchiavano sui grandi golfi. Le rive dei mari erano orlate di gigantesche strutture di metallo rosso e di pietra verde-erba. Strutture dello stesso genere si alzavano nelle vallate longitudinali che si protendevano verso i poli. Dovevano coprire aree vastissime, per essere visibili da una simile altezza. Fra le zone dove sorgevano le costruzioni si stendevano vasti tratti di densa vegetazione azzurro-verde, o le cupole arrotondate delle montagne, che avevano lo splendore interiore degli opali terrestri. Le calotte di fluoruro d’idrogeno ghiacciato, ai poli, splendevano come zaffiri.

Azzurro e violetto in ogni loro sfumatura erano i colori predominanti; l’aria stessa sembrava percorsa da una radiazione azzurrina. Era un mondo freddo ed impassibile, puro, distante, illusorio come se si riflettesse in un cristallo. Un mondo privo del calore carezzevole delle innumerevoli sfumature del rosso, dell’arancione e del giallo della Terra.

C’erano molte città, in entrambi gli emisferi, nelle aree corrispondenti alle zone polari e temperate della Terra. Le montagne erano più alte, più dentellate e più scure, verso l’equatore. Picahi aguzzi si levavano dal mare, avvolti in nuvole di vapori, e le catene si estendevano in senso latitudinale, lungo le regioni equatoriali.

Dense masse di vapore azzurro si increspavano sulla zona tropicale. Sotto il calore della stella azzurra l’acido fluoridrico, altamente volatile, saturava l’atmosfera con i suoi vapori, che si addensavano in alte muraglie di nubi verso le zone temperate, per riversarsi sulle zone equatoriali.

Sbarramenti giganteschi controllavano il flusso dei fiumi, costretti entro acquedotti e condutture, ed utilizzati per azionare le centrali elettriche del pianeta.

Campi di grandi cristalli di quarzo abbagliavano lo sguardo… era chiaro che il silicio teneva il posto del nostro sale, in quei mari d’acido fluoridrico.

Lo schermo offrì visioni delle città del pianeta di fluoro, nettamente delineate nella fredda luce azzurra. Tutto il pianeta, ad eccezione della misteriosa zona equatoriale nascosta sotto la coltre azzurra di vapori, pareva abitato e recava l’impronta del lavoro e dell’intelligenza dell’uomo. Questa impronta era molto più visibile che sulla terra, dove si stendevano grandi zone adibite a riserve e dove rimanevano antichi ruderi e costruzioni abbandonate.

Il lavoro di innumerevoli generazioni e di miliardi di persone regnava supremo sull’intero pianeta, trionfando delle forze elementari della natura: il flusso turbolento e la densità dell’atmosfera lacerata dalla tremenda radiazione del sole azzurro e quindi sovraccarica di elettricità in misura fantastica.

I terrestri non riuscivano a distogliere lo sguardo dallo schermo, ma, mentre osservavano, la loro immaginazione rievocava immagini della Terra. Ma la loro non era la visione dei loro antenati, limitata a qualche particolare estensione di campi o di foreste, a qualche montagna rocciosa e malinconica, od alle rive di un mare scintillante riscaldato dal tepore del sole… Per gli astronauti della Tellur, il loro mondo era un’entità composta di zone polari, temperate e torride e la loro mente spaziava sullo splendido panorama delle steppe argentee su cui il vento ruggiva liberamente, le poderose foreste di cedri e di abeti e di betulle e di palme e di eucalipti giganteschi; le rive velate di nebbia dei mari nordici, con gli scogli coperti di muschio e le bianche scogliere coralline dei mari tropicali; la fredda, abbagliante lucentezza delle catene montuose incappucciate di neve e il deserto immenso sotto il bagliore del sole; i grandi fiumi che fluivano maestosi verso il mare ed i torrenti montani che si gonfiavano di schiuma contro i loro letti di roccia; la ricchezza di colori, la moltitudine dei fiori, il cielo azzurro con gli stormi di nuvole bianche, il calore della luce solare e il brivido di un giorno piovoso, l’interminabile caleidoscopio delle stagioni. E, da questa grande ricchezza della natura scaturiva una varietà ancora maggiore di popoli, in tutta la loro bellezza, in tutte le loro aspirazioni e conquiste: sogni, dolori e gioie, canti e danze, lagrime e desideri…

La stessa potenza del lavoro intelligente, nella sua ingegnosità, nella sua immaginazione, perfino nella sua arte era evidente in ogni cosa… nelle abitazioni, nelle fabbriche, nelle macchine, nelle astronavi…

Forse gli abitanti del pianeta di fluoro vedevano con i loro occhi immensi più di ciò che i terrestri potevano scorgere nei freddi toni azzurri del loro pianeta, ed erano progrediti più rapidamente nel modificare la natura, più monotona, del loro mondo?

I terrestri, essendo il prodotto di una atmosfera d’ossigeno, migliaia di volte più comune nell’universo, avevano trovato ed avrebbero ancora trovato, in futuro, un numero enorme di pianeti in grado di offrire condizioni favorevoli alla vita, e senza dubbio avrebbero trovato altri esseri viventi simili a loro, su altri mondi. Ma avevano le stesse probabilità, forse, coloro che erano il prodotto di una atmosfera del rarissimo fluoro, con le loro proteine e le loro ossa al fluoro, il loro sangue dai corpuscoli azzurri che assimilavano il fluoro come i corpuscoli rossi dei terrestri assimilavano l’ossigeno?

Questa gente era confinata nello spazio limitato del suo pianeta, e senza dubbio aveva già cercato a lungo esseri umani che le fossero simili, o per lo meno pianeti dall’atmosfera di fluoro che le offrissero una possibilità di esistenza. Ma il problema di quegli esseri era un problema tremendo: trovare pianeti così rari in uno spazio così immenso, raggiungerli attraverso distanze di migliaia di anni-luce.

Era facile comprendere la loro delusione nell’incontrare, probabilmente non per la prima volta, esseri umani che respiravano ossigeno.

All’estremità della galleria, i panorami del pianeta di fluoro furono seguiti da visioni di enormi strutture architettoniche. Le pareti, lievemente rastremate, ricordavano l’architettura tibetana; non c’erano angoli, non c’erano linee orizzontali. La transizione dal verticale all’orizzontale seguiva linee a spirale. Un’apertura buia, dalla forma di un ovale contorto, appariva in un muro, in distanza; quando la visione si fece più vicina, la parte inferiore della spirale si rivelò per una ampia strada serpeggiante diretta verso un ampio varco che immetteva in un edificio vasto quanto una città di media grandezza.

Il varco venne ancora più vicino ed i terrestri, attentissimi, poterono scorgere una sala molto grande, immersa in una mezza luce che scaturiva dalle pareti, scintillanti come fluorite luminescente.

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