È mezzogiorno. In alto il cielo scintilla di calore come un grande catino argenteo, e il chiarore si riverbera sulla sabbia gialla; in lontananza, la superficie dell’oceano è una danza di luce infuocata. Emergendo dal sottosuolo, Dio il Progettista ammicca per un istante nel biancore abbagliante; sente il calore come una cappa soffocante e la barba, iridescente nel sole, tende ad incresparsi.
A poca distanza si trovano cinque persone, uomini e donne, i loro corpi rosei che spiccano sulla sabbia. Il resto del paesaggio marino è completamente spoglio; la striscia di sabbia sembra estendersi per miglia e miglia, deserta e bruciante. Non c’è neppure un gabbiano nell’aria. Tre di quelle figure sono uomini; stanno correndo e si lanciano un pallone da spiaggia, con grida lontane. Le due donne sono semisdraiate e il loro sguardo è rivolto agli uomini. Tutti e cinque hanno una muscolatura superba, con ampi toraci arcuati; la pelle è liscia, gli occhi scintillanti. Dio guarda le proprie braccia: c’è forse una traccia più scura? È apparsa qualche ruga?
Si libera dell’unico indumento e si avvia verso il gruppo. Per un istante, la carezza della sabbia sotto i suoi piedi è dolorosa; poi la pelle si adatta e non sente più nulla. Con scarso interesse, i cinque si voltano mentre lui si avvicina. Sono tutti giocatori, non studenti, e due di essi gli sono sconosciuti. Si sente a disagio e vorrebbe non essere mai venuto. Non va bene che giocatori e studenti si incontrino casualmente; ciascuno dei due gruppi è fin troppo consapevole del benevolo disprezzo dell’altro. Dio cerca di immaginarsi come un giocatore che si sforzi di essere gentile con uno studente e, come sempre, fallisce nell’intento. La distanza che li separa è incolmabile. Il mondo ha bisogno di entrambi, studenti per ricordare e creare, giocatori per consumare e godere; ma le classi non dovrebbero confondersi.
Anche senza abiti, questi sono giocatori; i grandi occhi innocenti che brillano di entusiasmo o tradiscono un improvviso fastidio; le bocche irrequiete che possono essere di volta in volta gaie o imbronciate.
Ora egli fissa deliberatamente la donna bionda, Claire, e sul suo viso vede gli stessi inconfondibili segni. Ma contro ogni logica e consuetudine, la dolce curva delle sue labbra è di superba bellezza; il profilo della testa dai capelli biondo cenere che sfuma nella linea possente del collo toglie il respiro. È una cosa illogica, quasi inaudita, forse anormale: ma lui la ama.
I suoi occhi grigi lo fissano con la stessa intensità di due agate marine, e il sorriso accattivante che affiora per un attimo sulle sue labbra lo riscalda e lo lusinga. — Sono così contenta di vederti. — Gli prende la mano. — Naturalmente conosci Katha e Piet. Questo è Tanno, e quello laggiù è Mark. Siediti a parlare con me. Non riesco a muovermi, fa così caldo.
I lanciatori di palla riprendono allegramente a giocare. La brunetta, Katha, comincia immediatamente a parlare dei cori di Bethany: Dio li ha sentiti? No? Ma deve assolutamente andarci: le voci sono supende, il direttore del coro è bravissimo; erano secoli che non si sentiva nulla disimile.
La parola «secoli» viene pronunciata con indifferenza. Quanti anni ha Katha? Ottocento, mille? Di recente, in un giornale di trecento anni fa, Dio si è sorpreso di trovare un riferimento a Katha. Ci sono così tante persone; è impossibile ricordare. È per questo che gli studenti tengono degli annuari, e i giocatori no. Forse aveva già incontrato Claire, e poi se n’era dimenticato… — No — risponde educatamente. — Sono stato piuttosto occupato con un progetto.
— Dio è un Progettista Architettonico — dice Claire, prendendosi gioco di lui con quel termine altisonante; eppure, nella sua voce risuona di una curiosa sfumatura di orgoglio a rovescio. — Te l’ho detto, Kat, lui è studente tra gli studenti. Ricostruisce questo settore ogni anno.
— Oh — dice Katha spalancando gli occhi, — davvero affascinante. — E un istante dopo, senza pause, sta già parlando del nuovo circo aereo di Littlam… Molto plebeo, ma divertentissimo. I pagliacci aerei! Gli acrobati! Quei deliziosi animali!
Il volto levigato di Claire, aureolato dal sole, è vicino al suo, e il riverbero della sabbia io illumina dal basso. Le palpebre socchiuse sono morbide e delicate, appena illividite dal sole: le pupille sono contratte e nelle ampie iridi grigie si intrecciano complicati disegni. Un frammento affiora nella sua mente; qualcosa che ha letto a proposito della struttura dell’iride: muscoli che si dilatano a raggiera connessi ad un organo circolare che si contrae, con tracce di melanina. Per qualche ragione quel pensiero è disgustoso e cerca di scacciarlo. Si sente un po’ scombussolato: ha lavorato troppo.
— Stanco? — chiede lei con voce dolce.
Lui si rilassa un po’. La brunetta, Katha, continua a parlare; è una di quelle persone che non smettono mai di parlare nonostante gli altri non la stiano a sentire. Lui risponde. — Questo è il periodo in cui siamo più occupati. Tutti i progetti vengono sottoposti al controllo finale prima di essere immessi nell’integratore principale. È l’ultima possibilità che abbiamo per scoprire eventuali errori.
— Mi spiace, Dio — dice lei con voce contrita. — So che non avrei dovuto chiedertelo. — Solleva le sopracciglia; lo guarda ansiosa. — Però dovresti riposare.
— Sì — dice Dio.
Il palmo morbido della sua mano gli accarezza la nuca — Riposa, allora. Riposa.
— Ah — sospira Dio stancamente, lasciando scivolare la testa fra le sue braccia. Sotto la sabbia su cui è sdraiato, si trovano diciassette livelli, tre dei quali sono di sua diretta competenza in quel momento, su di un settore che va da Alban a Detroy. Da due settimane lavora quasi senza aver chiuso occhio. Si parla di iniziare un diciottesimo livello nella prossima stagione; questo significa sollevare ancora la superficie, e tutti i piani di forza dovranno essere modificati. Dietro i suoi occhi chiusi, sfilano i dettagli, a migliaia, schemi architettonici, cianografie, specifiche, codici.
— Tesoro — gli sussurra la sua voce carezzevole all’orecchio, — sai che comunque sono felice che tu sia venuto, anche se non volevi. Perché tu non volevi venire. Lo capisci questo?
Lui la scruta socchiudendo un occhio. — Una sensazione di potere? — suggerisce ironico.
— No. Piuttosto un modo per rassicurarsi. Lo sai che ero gelosa del tuo lavoro?… E lo sono ancora, molto. Mi sono detta; se abbandonasse il suo progetto, oggi, ora…
Lui rotola su di un fianco e alza lo sguardo, lanciandole un sorriso obliquo. — Eppure tu non distingui un giorno dall’altro.
Il sorriso di lei è rapido e timido. — Lo so, è terribile da parte mia: ma tu ci riesci.
Mentre si guardano in silenzio, egli è di nuovo conscio della distanza che li separa. Essi hanno bisogno di noi, pensa, per cambiare ogni anno il loro mondo, per mantenerlo nuovo e brillante, per nascondere il passato, ma essi ci odiano, perché sanno che tutto quello che loro dimenticano, noi lo conserviamo e lo ricordiamo.
La sua mano trova quella di Claire. Una tristezza irragionevole e profonda lo avvolge: si chiede in silenzio: perché dovrei amarti?
Non ha parlato, ma vede il viso di lei contrarsi in un sorriso doloroso e mesto; e le sue dita lo stringono più forte.
Sopra di loro, le grida dei giocatori si sono mutate in proteste chiassose. Dio solleva lo sguardo. Piet, l’uomo con la testa lanuginosa, sovrasta ridendo gli altri due. Ridiscende adagio e lancia la palla: la partita continua. Ma un attimo dopo Piet è di nuovo in aria: gli altri gridano con rabbia e Tanno balza verso l’alto per affrontarlo. La palla cade, rimbalza lontano. Le due figure avvinghiate si girano e rotolano a mezz’aria. Alla fine, l’uomo con la testa lanuginosa riesce a trascinare l’altro sulla sabbia. Entrambi si risollevano, ridendo.
— Qualcuno deve domare questo selvaggio — dice ansante lo sconfitto. — Io non ci riesco, è troppo sfuggente. Magari tu, Dio?
— Sta riposando — protesta Claire, ma gli altri in coro: — Oh, sì! — Solo un salto o due — dice Piet, fregandosi le mani e sfoderando un largo sorriso. — C’è un sacco di tempo prima che salga la marea… a meno che tu non te la senta.
Riluttante, Dio si alza. Con una smorfia, Piet si solleva al di sopra della sabbia. Dio lo segue, avvertendo la rigida spinta dei muscoli del torace e della schiena e la curiosa sensazione di pressione lungo la spina dorsale. I due uomini girano in tondo, salendo lentamente. Piet si contorce, mettendosi a testa in giù, e facendo scattare in avanti le braccia per afferrare le gambe di Dio. Dio scivola sopra di lui e, voltandosi, cerca di abbrancarlo. Ma Piet gli sfugge come un’anguilla e lo blocca con una presa al torace. Dio si piega contro quel petto rigido, con tutti i muscoli in tensione; sbilanciati, i due uomini rimangono sospesi per un attimo. Poi, improvvisamente, qualcosa nella forza che tiene Dio sospeso in aria viene a mancare. Insieme, cominciano a cadere, andando a sbattere violentemente sulla sabbia. Si ode un mormorio di sorpresa.
Dio si rialza. Piet è in ginocchio accanto a lui, pallido in viso, e con una mano premuta sul braccio. — È slogato? — chiese Mark, chinandosi per tastarlo delicatamente.
— Sono venuto giù di peso — dice Piet. — Non mi aspettavo… — indica Dio con il capo. — Questa è nuova.
— Be’, sbrighiamoci a sistemarlo o perderai lo spruzzo. — Piet appoggia il braccio dolorante sulle cosce. — Pronto? — Mark appoggia il piede nudo sul braccio, si piega in avanti e preme di scatto e con forza. Piet fa una smorfia e poi sorride: il braccio è a posto.
— Siediti e lascia che si saldi — dice l’altro. Si rivolge a Dio: — Cos’è questo?
Dio si sta accorgendo di un acuto dolore ad un dito e di un rivolo di sangue scuro. — Si è solo piegata leggermente un’unghia — dice Mark. — Premila, si chiuderà in un secondo.
Katha suggerisce un gioco con le parole e dopo un attimo sono tutti seduti in circolo, gridando sillabe a turno. Dio non è molto brillante: non riesce a dimenticare il sangue scuro che sgorga dalla punta del suo dito. Il cielo argenteo sembra distante e opprimente, lui è stanco del calore soffocante, dell’aria irrespirabile e della sabbia rovente sotto il suo corpo. Prova un senso di paura impotente, come se qualcosa di terribile fosse già successo, come se fosse troppo tardi.
Qualcuno dice: — È ora — e tutti si alzano in piedi scrollandosi la sabbia di dosso. — Vieni — gli sussurra Claire. — Non sei mai stato sopra lo spruzzo? È divertente.
— No. Devo tornare, ti chiamerò più tardi — dice Dio. Lei gli sfiora delicatamente il petto con le dita mentre lui la bacia, poi Dio si allontana. — Arrivederci — grida agli altri. — Arrivederci. — E voltandosi, cammina con passo strascicato sulla sabbia.
Gli altri, felici di essersi liberati di lui, si stanno dirigendo verso le rocce sopra il pelo dell’acqua. Uno spruzzo bianco e schiumoso si leva da una fenditura quando il mare irrompe all’interno di una caverna sottostante. L’acqua si ritira, lasciando uno specchio di sabbia umida che si asciuga nello spazio di un attimo. Poco più in là, un enorme maroso si è già riformato, solleva la sua cresta verde e si scaglia in avanti. — Non questa, la prossima — grida Tanno.
— Claire — dice Katha avvicinandosi, — è così strano. Hai notato il tuo amico? Quando se n’è andato, il dito gli sanguinava ancora.
Lo spruzzo bianco si sollevava in alto, provocando uno scoppio di risa nervose. — Che cosa? — chiede Claire. — Devi esserti sbagliata. Non poteva essere.
— Avanti adesso, state tutti vicini!
— Eppure — dice Katha, — stava sanguinando. — Nessuno le dà retta, ma lei ci è abituata.
In lontananza, l’ondata si gonfia minacciosa e viene in avanti, coronata di bianco; si solleva sempre più veloce, e mentre invade la caverna con un rombo che scuote il terreno, gli Immortali vengono scagliati in alto sul bianco spruzzo, gridando di gioia.
Dio è solo nelle sue stanze vuote e passeggia sul pavimento elastico, avvolto nel silenzio. Si ferma, e ad un suo cenno appare uno specchio sulla nuda parete; si sporge per scrutare il proprio volto grigio, e poi fa di nuovo scomparire lo specchio. Tutto intorno a lui incombe l’universo, enorme, inesorabile.
La striscia segnatempo sul muro è diventata quasi completamente nera: il giorno è finito. È rimasto solo per tutto il pomeriggio. I circuiti del telefono e della porta sono programmati per respingere le chiamate, anche quella di Claire. Il suo solo istinto è stato quello di nascondersi.
Un pezzo di stoffa gialla avvolge il dito ferito. Il sangue l’ha inzuppato, poi si è seccato ed ora è completamente appiccicato alla ferita. Il sangue si è fermato, ma l’unghia non si è ancora riattaccata. Qualcosa non va, in lui: com’è possibile una cosa del genere?
Sono giorni che lo sente arrivare, farsi sempre più vicino, invisibile. Ora è qui.
Sono passate otto ore, il suo dito non è ancora guarito.
Lui ricorda quell’attimo, sospeso in aria, quando gli è venuto a mancare il sostegno. Potrebbe succedere ancora? Allora pianta saldamente i piedi e si concentra, su, ed avverte il familiare irrigidirsi della schiena e del torace. Ma non succede nulla. Incredulo, tenta ancora. Nulla!
Il cuore gli martella nel petto; un senso di vertigine e di gelo. Barcolla, quasi cade. Non è possibile che questo stia accadendo a lui… aiuto, deve trovare aiuto. Sotto le sue dita tremanti l’indice telefonico si illumina: trova il nome di Claire, preme il selettore. A quest’ora sarà uscita, ma il registro di settore è in grado di trovarla. Lo schermo resta grigio. Lui aspetta. L’oscurità è un po’ più lontana. Claire lo aiuterà, penserà a qualcosa.
Lo schermo si illumina, ma compare solo la faccia neutra e grigia di un autosegretario. — Un momento, prego.
Lo schermo tremola: finalmente il viso di Ciaire!
— … è una registrazione, Dio. Quando non mi hai chiamato e io non sono riuscita a raggiungerti, ci sono rimasta molto male. So che sei occupato, ma… Be’, Piet mi ha chiesto di andare a Toria a giocare a polo, e ho deciso di accettare. Forse mi fermerò un paio di settimane per il festival dei fiori, o forse andrò a Roma. Mi dispiace, Dio, avevamo cominciato così bene. Forse davvero le classi non devono mescolarsi. Addio.
Lo schermo si oscura. Dio è in ginocchio e continua a fissarlo. — Non andartene — dice ansimando. — Non andare. — Il coraggio residuo lo abbandona; lacrime calde, salate, e piene di vergogna sgorgano dai suoi occhi.
La stanza è spoglia e luminosa, ma negli angoli si insinua l’oscurità, ripiegandosi verso l’alto, nera come l’ossidiana, pronta a balzare in avanti.