XVI In cerca di un movente

Baley rimise a posto il fulminatore ma tenne la mano sul calcio, senza che si notasse troppo. «Precedici, Clousarr. Siamo diretti alla Diciassettesima Strada, uscita B.»

Il prigionero disse: «Non ho mangiato».

«È dura» fece Baley, impaziente. «Ma il pranzo sul pavimento l’hai buttato tu.»

«Ho il diritto di mangiare.»

«Mangerai in guardina, o alla peggio salterai un pasto. Non morirai per questo, muoviti.»

Attraversarono in silenzio il labirinto della Lieviti Newyorchesi, Clousarr che apriva imbronciato la processione, Baley dietro di lui e R. Daneel in retroguardia.

Baley e R. Daneel passarono dall’impiegata che li aveva ricevuti per le formalità; Clousarr firmò un foglio di congedo, avvertendo che mandassero un uomo a pulire la stanza delle bilance. Erano ormai all’esterno, accanto all’autopattuglia parcheggiata, quando Clousarr disse: «Un momento».

Si voltò verso R. Daneel, e, prima che Baley potesse fare qualcosa per fermarlo, colpì la faccia del robot con la mano aperta.

«Che diavolo ti piglia?» gridò Baley, afferrando Clousarr violentemente.

L’enzimologo non fece resistenza. «Va bene, vengo. È solo che volevo controllare da me.» Sorrideva, ora.

R. Daneel si era tirato indietro, ma senza riuscire a evitare completamente lo schiaffo. Ora guardava Clousarr tranquillamente, ma la guancia non si arrossava e non c’era segno del colpo ricevuto.

Disse: «È stata una mossa pericolosa, Francis. Se non mi fossi scostato in tempo, ti saresti fratturato la mano. Mi spiace di averti causato dolore.»

Clousarr scoppiò a ridere.

Baley disse: «Entra, Clousarr. Anche tu, Daneel, nel sedile posteriore con lui. Assicurati che non si muova, e se lo fa bloccalo a tutti i costi, dovessi anche rompergli un braccio. È un ordine».

«Che fine ha fatto la Prima Legge?» sfotté Clousarr.

«Credo che Daneel sia abbastanza forte e abbastanza svelto da bloccarti senza farti del male, ma ti meriteresti un braccio appeso al collo.»

Baley passò al volante e l’autopattuglia prese velocità. Lo spostamento d’aria gli scompigliava i capelli, e anche quelli di Clousarr, ma la testa di R. Daneel rimase perfetta e immacolata.

L’automa chiese tranquillamente: «Temi i robot, perché pensi che ti ruberanno il lavoro, Clousarr?».

Baley non poté girarsi per vedere l’espressione del prigioniero, ma se l’immaginava come una rigida maschera di disapprovazione, mentre il corpo tentava, per quel che poteva, di tenersi lontano da Daneel.

L’enzimologo disse: «Non solo ruberanno il lavoro a me, ma ai miei figli e ai figli degli altri».

«Sono certo che si può trovare una soluzione» disse il robot. «Se i tuoi figli, per esempio, facessero una scuola per emigranti…»

Clousarr l’interruppe. «Anche tu? Il tuo amico poliziotto mi ha già riempito la testa con questa storia dell’emigrazione su altri mondi. Vedo che l’indottrinamento di voi robot ha funzionato: a quest’ora sarà un robot pure lui.»

Baley gridò: «Basta, adesso!».

R. Daneel disse, calmo: «Una scuola per emigranti rappresenterebbe sicurezza, qualifica garantita e una carriera sicura. Se sei preoccupato per i tuoi figli, devi farci un pensiero».

«Non accetto consigli dai robot, dagli Spaziali o dalle iene ammaestrate che stanno al governo.»

E questo concluse la discussione. Il silenzio dell’autostrada li avviluppò, interrotto solo dal ronzio del motore e dal sibilo delle ruote sull’asfalto.


Arrivato al Dipartimento, Baley firmò un certificato di detenzione per Clousarr e lo lasciò in buone mani. Poi prese la motospirale e salì con R. Daneel ai livelli del quartier generale.

R. Daneel non dimostrò sorpresa per il fatto che non avevano preso gli ascensori, né Baley se l’aspettava. Cominciava ad abituarsi alla strana mistura di destrezza e sottomissione che formavano la personalità del robot e non riteneva necessario metterlo a parte delle sue riflessioni personali. L’ascensore era il mezzo più logico per risalire il pozzo verticale che separava la prigione dal quartier generale, mentre la scala a chiocciola che chiamavano motospirale serviva solo per i percorsi non superiori ai due-tre piani. In meno di un minuto gente di tutti i tipi, che lavorava per i settori amministrativi della centrale di polizia, salì e scese più volte dalla scala; solo Baley e R. Daneel ci rimasero su ostinatamente, continuando la lenta e progressiva ascesa.

Baley aveva bisogno di tempo. Con la scala non avrebbe guadagnato più di qualche minuto, ma era meglio che niente; una volta arrivato in ufficio si sarebbe trovato fino al collo nella nuova svolta del caso, e prima di affrontarla aveva bisogno di un attimo di riposo. Voleva pensare e orientarsi, e il lento movimento della scala a chiocciola era fin troppo rapido per soddisfare queste esigenze.

R. Daneel disse: «A quanto pare non possiamo ancora interrogare Clousarr».

«Aspetterà» disse Baley, irritato. «Dobbiamo scoprire cos’è questa faccenda di R. Sammy.» Poi aggiunse fra i denti, più a se stesso che a Daneel: «Non può essere un caso. Esiste un legame».

«È un peccato» ribatté l’automa. «Le onde cerebrali di Clousarr…»

«Che hanno?»

«Sono cambiate stranamente. Che vi siete detti nella stanza delle bilance mentre io non c’ero?»

Baley rispose, distratto: «Gli ho fatto una predica. Il vangelo secondo san Fastolfe».

«Non ti capisco, Elijah.»

Baley sospirò e disse: «Ho cercato di spiegargli che la Terra può adottare i robot e spedire il surplus di popolazione su altri mondi. Ho cercato di togliergli dalla testa un po’ di quel ciarpame medievalista. Dio sa perché, non sono il tipo del missionario, comunque è quello che è successo».

«Vedo. Be’, questo spiega diverse cose, e forse è la causa del cambiamento. Dimmi, Elijah, che cosa gli hai detto sui robot?»

«Lo vuoi proprio sapere? Gli ho detto che sono soltanto macchine. Questo è il vangelo secondo Gerrigel. Ci sono parecchi vangeli, come vedi.»

«Gli hai detto che si può colpire un robot senza che questi restituisca il colpo? Come ogni altro oggetto meccanico?»

«Tranne una punching-ball… Sì, credo di sì. Che cosa te l’ha fatto capire?» Baley dette un’occhiata interrogativa al robot.

«Corrisponde ai cambiamenti cerebrali» rispose R. Daneel. «E spiega perché ha tentato di darmi uno schiaffo appena usciti dalla fabbrica. Evidentemente ha riflettuto su quello che hai detto e ha voluto mettere alla prova le tue affermazioni. Questo ha scaricato i suoi impulsi aggressivi e gli ha dato il piacere di vedermi in quella che sembrava una posizione d’inferiorità. Ho dedotto che tali motivazioni responsabili della variazioni delta nel…»

Fece una lunga pausa, poi disse: «Sì, è piuttosto interessante. Credo di poter disporre, finalmente, di un corpo coerente d’informazioni».

Si avvicinavano al quartier generale. Baley chiese: «Che ora è?».

Poi pensò, irritato: potrei guardare l’orologio e perdere meno tempo…

Ma sapeva perché l’aveva chiesto. Era un motivo non molto diverso da quello che aveva spinto Clousarr a schiaffeggiare il robot: dargli un ordine banale cui l’altro era costretto a obbedire sottolineava la "roboticità" di Daneel e l’umanità di Baley.

Baley pensò: "Siamo tutti fratelli. Sotto la pelle, sopra, dappertutto. Giosafatte!".

«Le venti e dieci» rispose R. Daneel.

Uscirono dalla motospirale e Baley impiegò qualche secondo per abituarsi alla condizione di nonmovimento dopo lunghi minuti di ascesa regolare.

Disse: «Non ho nemmeno mangiato. Maledizione a questo lavoro!».


Baley vide il questore Enderby attraverso la porta aperta dell’ufficio. La sala comune era deserta, come se qualcuno l’avesse ripulita dell’ordinaria presenza umana, e la voce di Enderby echeggiava fin negli angoli più lontani. La faccia del questore era nuda e debole, perché si era tolto gli occhiali e li teneva in una mano, mentre con l’altra tamponava il sudore con un misero fazzoletto di carta.

Vide Baley che si avvicinava alla porta e la voce passò a un tono petulante.

«Bontà divina, Baley, ma dove ti eri cacciato?»

Baley non fece caso alla rampogna e disse: «Che succede, qui? Dove sono i ragazzi del turno di notte?». Poi si accorse che nell’ufficio del questore c’era un’altra persona.

«Dottor Gerrigel!»

Il robotista dai capelli grigi annuì brevemente, restituendo l’involontario saluto. «Sono lieto di incontrarla di nuovo, signor Baley.»

Il questore si aggiustò gli occhiali e fissò l’agente. «I ragazzi del turno di notte sono al piano di sotto, dove li stanno interrogando. Avranno un bel po’ di testimonianze da firmare. Ma io sono diventato pazzo nel tentativo di trovarti! Sembrava impossibile, eppure proprio tu non c’eri.»

«Ah, io non c’ero, è così?»

«Se è per questo sembra che non ci fosse nessuno. Al momento del fattaccio, voglio dire. Eppure è stato qualcuno del Dipartimento e dovrà pagarla salata. Che casino infernale! Che sporco, maledetto casino!»

Enderby alzò le mani al cielo, in una specie di estrema protesta, e nel far questo i suoi occhi caddero su R. Daneel.

Baley pensò, ironico: "È la prima volta che lo guarda in faccia. Imprimitelo bene in mente, Julius!".

A voce più bassa il questore disse: «Dovrà firmare una dichiarazione anche lui. E anch’io. Io!».

«Che cosa le fa pensare che R. Sammy non si sia fatto saltare le guarnizioni da solo? Insomma, perché pensiamo a un atto doloso?» chiese Baley.

«Lo domandi a lui» disse il questore, indicando Gerrigel. Poi sedette pesantemente.

Il dottor Gerrigel si schiarì la gola. «Non so io stesso come sia potuto succedere, signor Baley. Ma vedo dalla sua espressione che è sorpreso di trovarmi qui.»

«Un poco» ammise Baley.

«Vede, non avevo fretta di tornare a Washington e le mie visite a New York sono abbastanza rare da indurmi a girare un po’ Ma c’è dell’altro: dopo aver visto lo stupendo esemplare di robot che lei mi ha mostrato, mi sono detto che sarebbe stato criminale tornare a casa senza aver tentato di studiarlo. Vedo, tra parentesi, che è di nuovo con lei.» Diede un’avida occhiata in direzione di Daneel.

Baley s’irrigidì. «Per il momento è impossibile, dottore.»

Il robotista fece la faccia scura. «Questo lo capisco. Ma in seguito…?»

La lunga faccia di Baley rimase impassibile, inespressiva.

Il dottor Gerrigel continuò: «Così l’ho chiamata, ma lei non c’era e nessuno sapeva come rintracciarla. Ho parlato con il questore e lui mi ha detto di tornare alla centrale e aspettarla qui».

Enderby intervenne rapidamente: «Ho pensato che fosse importante. Sapevo che eri stato tu a cercare il dottor Gerrigel all’inizio…».

Baley annuì: «Grazie».

Gerrigel disse: «Sfortunatamente la mia bacchetta magica era scarica, o forse la mia ansia mi ha fatto giudicare male la temperatura. Fatto sta che ho preso la strada sbagliata e mi sono trovato in una piccola stanza…».

Il questore interruppe di nuovo: «Uno dei depositi del materiale fotografico, Lije».

«Infatti» convenne il dottor Gerrigel. «E a terra c’era la sagoma accasciata di quello che evidentemente era un robot. Dopo un breve esame ho potuto stabilire che era stato irreversibilmente disattivato. Morto, possiamo dire. Non è stato difficile trovare la causa della disattivazione.»

«E qual era?» chiese Baley.

«Nel pugno destro dell’automa, solo parzialmente chiuso» disse lo scienziato «c’era un piccolo ovoide lungo circa cinque centimetri e largo meno di due. A un’estremità presentava una finestrella di mica. Il pugno toccava il cranio di R. Sammy, come se l’ultimo atto del robot fosse stato quello di portarsi una mano alla testa. L’oggetto che teneva in mano era un irraggiatore alfa. Sa di che si tratta, vero?»

Baley annuì. Non gli ci voleva né il dizionario né il vademecum della polizia per dire cos’era un irraggiatore alfa. Ne aveva usati parecchi, durante i corsi di fisica, e sapeva che si trattava di una scatoletta in lega di piombo con una piccola fessura longitudinale, in fondo alla quale c’era un frammento di plutonio. La fessura era coperta da un rivestimento di mica, sostanza trasparente alle particelle alfa. Dalla finestrella, quindi si irraggiavano radiazioni dure.

Aggeggi simili avevano parecchi usi, ma l’uccisione dei robot non era contemplata in quelli legali.

Baley disse: «Immagino che la mica fosse a contatto con la testa».

«Sì» riprese il dottor Gerrigel «e l’effetto delle radiazioni è stato di sconvolgere i circuiti positronici. Morte istantanea, per dir così.»

Baley si voltò verso il questore, più pallido che mai. «Nessun errore? Era proprio un irraggiatore alfa?»

Il questore annuì, sporgendo le labbra carnose. «Assolutamente. I contatori lo sentivano a tre metri di distanza. La pellicola contenuta nel deposito si è opacizzata, seccata e tagliata.»

Rifletté un secondo o due, poi disse bruscamente: «Dottor Gerrigel, temo che dovrà restare in Città un giorno o due per fornirci la sua deposizione, che registreremo su video. La farò scortare al suo alloggio. Non le dispiacerà essere messo sotto sorveglianza, spero».

Lo scienziato ribatté nervosamente: «Crede che sia necessario?».

«È più sicuro.»

Il robotista, che sembrava immerso in pensieri suoi, strinse le mani a tutti, R. Daneel compreso, e uscì.

Il questore fece un sospiro. «È stato uno di noi, Lije, e questo mi preoccupa. Nessun estraneo si sarebbe introdotto nel Dipartimento solo per disattivare un robot: fuori ce n’è quanti si vuole, e più sicuri. Inoltre, dev’essere stato qualcuno in grado di procurarsi un irraggiatore alfa, e non è facile.»

La voce calma e inflessibile di R. Daneel si fece udire sopra le parole agitate del questore: «Quale sarebbe il movente del delitto?».

Il questore gli dette un’occhiata di ovvio disgusto, poi guardò altrove. «Anche noi siamo esseri umani. I poliziotti non amano i robot esattamente come il resto della popolazione; adesso che R. Sammy non c’è più parecchi tireranno un sospiro di sollievo. A te dava fastidio, vero, Lije?»

«Non è un buon motivo per assassinare qualcuno» osservò R. Daneel.

«No» convenne Baley, con decisione.

«Non si tratta di assassinio, ma di danno a una proprietà cittadina: questo per puntualizzare le cose sul piano legale. Il guaio non sta tanto nel reato, ma nel fatto che è stato commesso qui dentro. In qualunque altro posto si sarebbe sgonfiato a un niente, niente… E invece rischia di diventare uno scandalo di prima classe. Lije!»

«Sì?»

«Quando è stata l’ultima volta che avete visto R. Sammy?»

Baley rispose: «R. Daneel ci ha parlato dopo colazione. Direi che erano le tredici e trenta. Lui, Sammy, aveva fatto in modo che potessimo disporre di quest’ufficio».

«Di quest’ufficio? E perché?»

«Volevo parlare del caso con R. Daneel e non intendevo correre rischi. Dato che lei non c’era, il posto più riservato era questo.»

«Capisco.» Il questore aveva un’aria perplessa, ma lasciò cadere la faccenda. «Tu non l’hai visto di persona?»

«No, ma ho sentito la sua voce un’ora dopo.»

«Sei sicuro che era lui?»

«Perfettamente.»

«Quindi erano le quattordici e trenta, più o meno.»

«O poco prima.»

Il questore si morse il labbro carnoso e rifletté. «Questo sistema una cosa.»

«Quale?»

«Il ragazzo, Vincent Barrett, oggi è stato qui. Lo sapevi?»

«Sì. Ma, questore, non sarebbe capace di una cosa simile.»

Enderby puntò gli occhi su Baley. «E perché no? R. Sammy gli aveva preso il lavoro, quindi capisco il suo stato d’animo. Ci sarebbe un senso di giustizia in tutta la faccenda, ti pare? Lui voleva la vendetta, l’avresti voluta anche tu, ma il fatto è che ha lasciato la centrale alle quattordici e tu hai sentito R. Sammy vivo mezz’ora dopo. Barrett potrebbe aver dato l’irraggiatore al robot con l’ordine di non usarlo prima che trascorresse un’ora, ma resta sempre il problema di dove avrebbe potuto procurarselo. Non vale la pena pensarci. Torniamo a R. Sammy: quando l’ha sentito alle quattordici e trenta, che cosa ha detto?»

Baley esitò per un attimo, poi rispose: «Non lo so, siamo usciti subito dopo».

«E dove siete andati?»

«A Lievitown, come ultima tappa. Volevo parlarle di questo, fra parentesi.»

«Dopo, dopo.» Il questore si sfregò il mento. «Ho visto che Jessie è stata qui, oggi. Voglio dire, abbiamo controllato i nomi di tutti i visitatori e c’era anche il suo.»

«È stata qui, infatti» disse Baley freddamente.

«Perché?»

«Questioni di famiglia.»

«Dovremo interrogarla per pura formalità.»

«Conosco i metodi della polizia, questore. A proposito, da dove viene l’irraggiatore? È stato appurato?»

«Sì, da una delle centrali energetiche.»

«Come giustificano la perdita?»

«Non la giustificano. Non ne sanno niente. Comunque, Lije, tu dovrai firmare soltanto una dichiarazione formale: non c’entra con il tuo caso. È solo che… oh, be’, concentrati sulla faccenda di Spacetown.»

Baley disse: «Posso farla dopo, la mia dichiarazione? Non ho ancora mangiato».

Gli occhiali del questore si puntarono su Baley. «Mangia qualcosa, certo, ma rimani nel Dipartimento. E a proposito, il tuo collega ha ragione: è il movente che ci serve, il movente.» Sembrava che evitasse di rivolgersi a R. Daneel o di pronunciarne il nome.

Baley ebbe un brivido.

Qualcosa di estraneo a lui, qualcosa di completamente esterno sommò gli eventi di quel giorno e dei due precedenti. Li vagliò e un nuovo disegno cominciò a formarglisi nella mente, nuovi pezzi cominciarono ad andare a posto.

Disse: «Quale centrale ha perso l’irraggiatore alfa, questore?».

«Quella di Williamsburg, perché?»

«Niente, niente.»

L’ultima parola che Baley sentì ripetere dal questore, mentre usciva dall’ufficio con R. Daneel alle calcagna, fu: «Un movente, un movente».


Baley consumò un pasto frugale nella piccola e poco usata mensa del Dipartimento. Divorò il pomodoro ripiego con lattuga senza nemmeno rendersi conio del contenuto, e per un secondo o due dopo aver ingoiato l’ultimo boccone la forchetta puntò ancora al piatto di cartone, cercando automaticamente qualcosa che non c’era.

Baley se ne accorse e sacramentò.

Poi disse: «Daneel!».

R. Daneel si era seduto a un altro tavolo, forse per lasciare in pace il collega preoccupato o forse perché aveva bisogno di solitudine: Baley era al di là di simili preoccupazioni.

Daneel si alzò, andò al tavolo del collega e sedette. «Sì, Elijah?»

L’altro non lo guardò. «Daneel, mi serve la tua cooperazione.»

«In che senso?»

«Interrogheranno Jessie e me, è certo. Lascia che risponda alle domande a modo mio. Capisci?»

«Capisco il senso delle tue parole, sì. Ma se mi verrà rivolta una domanda diretta, come potrò rispondere se non con la verità?»

«Se ti verrà rivolta una domanda diretta è un’altra faccenda. Ti chiedo solo di non offrire informazioni spontanee, puoi farlo?»

«Credo di sì, Elijah, a meno che il mio silenzio non metta in pericolo un essere umano.»

Baley disse, cupo «Metterai in pericolo me se non farai come ti dico».

«Non capisco il tuo punto di vista, collega Elijah. La faccenda di R. Sammy non ti riguarda, vero?»

«E chi lo dice? Tutto sta nel trovare il movente, l’hai detto tu e l’ha detto il questore. Lo dico anch’io: chi aveva interesse a uccidere R. Sammy? Bada bene, non è lo stesso che chiedersi chi ha interesse a distruggere i robot in generale, perché la risposta sarebbe: tutta la popolazione della Terra. No, il problema è capire chi poteva avercela con quello specifico esemplare; Vincent Barrett è un ottimo candidato, ma il questore ha detto giustamente che non avrebbe potuto procurarsi l’irraggiatore. Dobbiamo guardare quindi in un’altra direzione. C’è solo un’altra persona che ha un movente: ed è una cosa che puzza fino al tetto della Città.»

«Chi sarebbe, Elijah?»

A voce bassa Baley rispose: «Io, Daneel».

La faccia senza espressione di R. Daneel non cambiò; si limitò a scuotere la testa.

Baley disse: «Non sei d’accordo, ma rifletti. Mia moglie è venuta in ufficio proprio oggi, è risaputo e il questore è furioso. Se non ci conoscessimo da tempo non avrebbe lasciato cadere così presto. Ora scopriranno perché è venuta: fa parte di un gruppo di cospiratori, che per quanto innocuo e stravagante è pur sempre un’associazione sovversiva. Un poliziotto non può avere la moglie che gioca a fare la cospiratrice, quindi avrei tutto l’interesse a coprire la faccenda.

«Ora, chi ha visto Jessie in preda al panico? Io, te e R. Sammy. Quando le ha detto che non volevamo essere disturbati, Jessie dev’essere esplosa. Hai visto in che condizioni era quando è entrata.»

R. Daneel replicò: «Non credo che Jessie abbia detto a Sammy qualcosa di compromettente».

«Forse, ma io sto ricostruendo il caso con gli occhi della polizia. Diranno che si è tradita con il robot e questo è il mio movente: ho ucciso Sammy per farlo tacere.»

«Non lo penseranno mai.»

«E invece sì. L’assassinio è stato commesso per gettare i sospetti su di me. Perché usare un irraggiatore alfa? È un’arma difficile da ottenere e facile da far risalire ai legittimi proprietari. Penso che siano proprio queste le ragioni per cui l’hanno usata! L’assassino ha ordinato a R. Sammy di andare nel deposito del materiale fotografico e di uccidersi là: mi sembra che il motivo sia uno solo, e cioè rendere ovvio che lo strumento usato era un irraggiatore. Anche se uno fosse così stupido da non riconoscerlo, le pellicole danneggiate svelerebbero la verità.»

«Ma questo che ha a che fare con te, Elijah?»

Baley sogghinò, ma la faccia lunga non era affatto allegra. «Molto, Daneel. L’irraggiatore è stato preso nella centrale di Williamsburg, dove tu e io siamo passati ieri. Ci hanno visti e la notizia verrà risaputa. Questo mi avrebbe permesso di appropriarmi dell’arma, fattore che si unisce volentieri al movente già individuato. Somma a questi fatti il particolare che tu e io siamo stati gli ultimi a vedere R. Sammy vivo… a parte il vero assassino, si capisce… e avrai un bel quadro.»

«Ero con te alla centrale e posso testimoniare che non hai avuto l’opportunità di rubare l’irraggiatore.»

«Grazie» disse Baley «ma sei un robot e la tua testimonianza non sarebbe valida.»

«Il questore è tuo amico, ti ascolterà.»

«Il questore ha un posto da difendere e ha già avuto guai per colpa mia. C’è un solo modo per salvarmi da quest’orribile situazione.»

«E cioè?»

«Domandarmi perché mi vogliono incastrare. Per liberarsi di me, è ovvio, ma perché? Di nuovo la risposta è chiara: sono diventato pericoloso per qualcuno. Sto facendo del mio meglio per rendere dura la vita a chi ha assassinato il dottor Sarton a Spacetown, e se l’assassino si nasconde in un gruppo medievalista, o magari in una frangia estremista del suo interno, è probabile che abbia saputo del mio passaggio a Williamsburg ieri. Forse uno del gruppo è riuscito a seguirci fin laggiù, anche se tu pensavi che li avessimo seminati.

«Quindi ci sono buone probabilità che se trovo l’assassino del dottor Sarton troverò anche l’uomo o gli uomini che stanno cercando di incastrarmi. Se risolvo il caso, se riesco a risolverlo, salverò il collo… Ma non mi resta molto tempo.» Aprì e chiuse il pugno spasmodicamente. «Non mi resta molto tempo.»

Baley guardò la faccia scultorea di R. Daneel con un’improvvisa speranza: qualunque cosa fosse era una creatura forte e fedele, non viziata dall’egoismo. Che altro si poteva chiedere a un amico? Baley aveva bisogno di un amico, e non se la sentiva di cavillare se in lui una rotella sostituiva un vaso sanguigno.

Ma R. Daneel scuoteva ancora la testa.

«Mi dispiace, Elijah» (anche se nei suoi lineamenti, com’è ovvio, non c’era traccia di dispiacere). «Non avevo previsto niente di tutto ciò. Forse il mio modo di agire ti danneggerà. Se il bene comune richiede questo sacrificio, nondimeno ne sono addolorato.»

«Che bene comune?» balbettò Baley.

«Ho parlato con il dottor Fastolfe.»

«Perdinci, quando?»

«Mentre mangiavi.»

Baley strinse le labbra.

«E allora?» si sforzò di dire. «Che cos’è successo?»

«Dovrai trovare un altro metodo per liberarti dei sospetti sull’assassinio di R. Sammy. Non servirà trovare i colpevoli del caso Sarton. La nostra gente a Spacetown, come risultato del mio rapporto, ha deciso di chiudere l’inchiesta oggi stesso e di cominciare i preparativi per abbandonare la Terra.»

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