XVII Conclusione di un progetto

Baley guardò l’orologio quasi con distacco. Erano le 21,45. Fra due ore e un quarto sarebbe stata mezzanotte e lui era sveglio dalle sei, senza contare la tensione degli ultimi due giorni e mezzo.

Prese la pipa e la piccola borsa del tabacco, ridotta a contenere ormai poche briciole, e sforzandosi di mantenere la voce calma, disse: «Cos’è questa storia, Daneel?».

«Vuoi dire che non capisci? Non è chiaro?»

Paziente, Baley ammise: «Non capisco. Non è chiaro».

«Noi ci troviamo su questo mondo» disse il robot «per spezzare la cortina che circonda la Terra e costringere i suoi popoli a una nuova espansione e alla colonizzazione di altri pianeti. Quando dico "noi" intendo riferirmi alla gente di Spacetown.»

«Questo lo so. Per favore, non ricamarci sopra.»

«Devo, è un punto essenziale. Se eravamo ansiosi di punire gli assassini del dottor Sarton non era perché ci aspettassimo di riportarlo in vita, ma solo perché se non ci fossimo riusciti le forze politiche contrarie all’esistenza di Spacetown, e che già fanno la voce grossa, si sarebbero rafforzate ancora di più.»

«Ma ora» esplose Baley, incapace di contenersi oltre «dici che avete deciso di togliere le tende di vostra spontanea volontà. Perché? Per l’amore del cielo, perché? La soluzione del caso Sarton è vicina. Deve essere vicina, o non cercherebbero di incastrarmi come hanno fatto. Ho la sensazione di possedere tutti gli elementi per arrivare alla risposta. Dev’essere qui dentro, da qualche parte.» Si batté le nocche sulla fronte. «Basterebbe una frase, una parola a farmela trovare.»

Chiuse gli occhi e strizzò le palpebre, come se la matassa opaca che si era aggrovigliata nelle ultime sessanta ore fosse sul punto di sbrogliarsi e diventare trasparente. Ma non vide niente. Niente.

Baley rabbrividì e si sentì pieno di vergogna. Stava dando spettacolo di sé davanti a una macchina fredda e indifferente che poteva solo guardarlo in silenzio.

Disse, bruscamente: «Non ci pensare. Perché gli Spaziali hanno deciso di andarsene?».

«Il nostro progetto è concluso» rispose il robot. «Riteniamo che la Terra colonizzerà altri mondi.»

«Siete diventati ottimisti, allora?». Il poliziotto fumò la prima pipata di tabacco, si calmò e si sentì più padrone delle proprie emozioni.

«Sì, o almeno lo sono diventato io. Per molto tempo noi di Spacetown abbiamo tentato di cambiare la Terra modificando la sua economia. Abbiamo cercato di introdurre fra voi la cultura C/Fe. Il governo planetario e quello di varie Città hanno collaborato con noi perché la ritenevano buona politica, ma in venticinque anni non siamo approdati a niente. Più ci sforziamo, più forte diventa la fazione dei medievalisti.»

«Tutto questo lo so» disse Baley. E poi: inutile, deve spiegarsi a modo suo, come un disco. Mentalmente gli gridò: "Macchina!".

R. Daneel continuò: «Il primo a teorizzare che la nostra tattica andava rovesciata è stato il dottor Sarton. Dovevamo trovare una piccola parte della popolazione terrestre che desiderasse ciò che anche noi desideravamo e che si lasciasse persuadere a tentare l’esperimento. Incoraggiandoli e aiutandoli, avremmo messo in piedi un movimento locale animato dalle nostre stesse intenzioni. Un movimento che, agli occhi degli altri terrestri, non sarebbe più apparso straniero e minaccioso. La difficoltà stava nel trovare questa piccola percentuale di terrestri. Tu, Elijah, sei stato un interessante soggetto d’esperimento.»

«Io? Io? Che vuoi dire?» chiese Balèy.

«Siamo lieti che il questore abbia affidato le indagini proprio a te. Il tuo profilo psichico ti qualifica come esemplare adatto. La cerebroanalisi, che ti ho fatta appena ci siamo incontrati, ha confermato il mio giudizio. Sei un uomo pratico, Elijah: non fantastichi inutilmente sul passato della Terra, anche se ti interessa profondamente, e non abbracci ciecamente l’attuale cultura delle Città. Sapevamo che individui come te erano quelli che potevano guidare gli uomini verso le stelle una seconda volta. Ecco perché il dottor Fastolfe era così ansioso d’incontrarti, ieri mattina.

«Questa tua natura pratica, tuttavia, si spinge fino al punto da diventare imbarazzante: per esempio ti sei rifiutato di capire che la fanatica dedizione a un ideale, anche un ideale sbagliato, può spingere un uomo a fare cose contrarie alle sue normali inclinazioni, come attraversare l’aperta campagna per distruggere qualcuno che egli considera un mortale nemico della sua causa. Dato che sei fatto così, non ci hanno troppo meravigliato la tua cocciutaggine e la tua temerarietà quando hai cercato di dimostrare che l’assassinio non era mai avvenuto. In un certo senso, quella è stata la prova che eri l’uomo che volevamo per il nostro esperimento.»

«Dio buono, quale esperimento?» chiese Baley, picchiando il pugno sul tavolo.

«Quello di persuaderti che la colonizzazione era l’unica risposta ai problemi della Terra.»

«Be’, mi avete persuaso. Te lo garantisco.»

«Sì, sotto l’influenza di una droga appropriata.»

I denti di Baley perdettero la presa sul cannello della pipa. La acchiappò prima che cadesse, e di nuovo rivide con gli occhi della mente la scena che si era verificata sotto la cupola di Spacetown: R. Daneel che gli pizzicava la pelle del braccio; una scheggia ipodermica che guizzava sotto la sua pelle e scompariva.

Baley tossì: «Cosa c’era in quella scheggia?».

«Niente per cui ti debba allarmare, Elijah. Una droga leggera che ha reso la tua mente più ricettiva.»

«E che mi ha fatto credere tutto quello che dicevate, giusto?»

«No, non avresti creduto a niente che esorbitasse dal modello-base del tuo pensiero. In realtà i risultati dell’esperimento sono stati deludenti: il dottor Fastolfe sperava che tu diventassi un fanatico della nostra causa, invece ti sei limitato ad approvare con distacco. Niente di più. La tua natura pratica ti ha impedito di diventare troppo parziale e ci ha fatto capire che i nostri soggetti ideali non erano i tipi come te, ma i romantici e i sognatori. Peccato che quelli siano tutti medievalisti, di fatto o in potenza.»

Baley si sentì stupidamente orgoglioso di se stesso, felice della sua cocciutaggine e lieto di aver scornato gli Spaziali. Che facessero l’esperimento su qualcun altro.

Sogghignò, feroce: «Quindi adesso avete rinunciato e tornate a casa.»

«No, non è così. Ho detto pochi minuti fa che siamo certi della strada che imboccherete: la colonizzazione. E sei stato tu a darci la risposta.»

«Io? E come?»

«Hai parlato con Francis Clousarr dei vantaggi della colonizzazione. Ne hai parlato con fervore e convinzione, a quel che posso giudicare. Se non altro, l’esperimento su di te ha fruttato questo risultato… E dopo averti ascoltato, la cerebroanalisi di Clousarr mostra segni di modificazione. Molto sottili, si capisce, ma inconfondibili.»

«Vuoi dire che l’ho persuaso? Non lo credo.»

«Nemmeno io: non è facile convincere qualcuno così presto. Ma l’analisi cerebrale di Clousarr dimostra, con i suoi cambiamenti, che il cervello dei medievalisti è potenzialmente aperto alla persuasione. Ho fatto qualche piccolo esperimento in proprio. Quando abbiamo lasciato Lievitown ho intuito quello che tu e Clousarr vi eravate detti, perché già si notavano le modificazioni cerebrali; quindi, e di proposito, ho introdotto l’argomento delle scuole d’emigrazione come un metodo sicuro per garantire l’avvenire dei figli. Lui ha respinto l’idea, ma la sua "aura" è cambiata di nuovo: mi sembra che valga la pena insistere su questa linea d’attacco.»

R. Daneel fece una pausa, poi continuò.

«Nel bagaglio dei medievalisti c’è il desiderio di trasformarsi in pionieri: naturalmente è un desiderio diretto verso la Terra stessa, che è a portata di mano e ha un grande passato, ma la prospettiva di nuovi mondi si presta al soddisfacimento di questo sogno e l’animo romantico non può fare a meno di attaccarvisi. Clousarr è rimasto colpito da una sola delle tue lezioni.

«Quindi, come vedi, noi di Spacetown abbiamo raggiunto il successo senza rendercene conto. E il fattore determinante siamo stati noi stessi, non le novità che cercavamo di introdurre: abbiamo cristallizzato gli impulsi romantici dei terrestri permettendo loro di sfociare nel medievalismo e di darsi una organizzazione. Dopo tutto sono i medievalisti che vogliono farla finita con questo sistema di vita, non i dirigenti della Città che hanno tutto da guadagnare difendendo lo status quo. Se abbandoniamo Spacetown adesso; se non esasperiamo i medievalisti fino al punto di convincerli che la Terra, e solo la Terra può offrire una soluzione ai problemi dell’umanità; se, infine, ci lasciamo dietro qualche oscuro emissario umano o positronico, come il sottoscritto, che, con l’aiuto di volenterosi terrestri come te potrà avviare la campagna per fondare le scuole d’emigrazione… ebbene, se tutto questo si verificherà alla fine io credo che i medievalisti volteranno le spalle alla Terra. Avranno bisogno di robot: glieli forniremo noi, o costruiranno da sé i propri. Svilupperanno una cultura C/Fe adatta alle loro esigenze.»

Per R. Daneel era stato un lungo discorso. Dovette rendersene conto, perché dopo una pausa disse: «Dico tutto questo per farti capire che è necessario che ci regoliamo così; anche se tu, sul piano personale, potrai esserne danneggiato».

Baley pensò amaramente: "Un robot non deve recare danno a un essere umano, a meno di non dimostrare che in fin dei conti è per il suo bene".

«Aspetta un minuto» disse. «Fammi fare un’osservazione pratica. Voi tornate ai pianeti d’origine e dite che un terrestre ha ammazzato uno Spaziale, ma resta impunito. I Mondi Esterni chiederanno un risarcimento alla Terra, ma ti avverto che la Terra non è dell’umore adatto a subire un trattamento del genere. Ci saranno guai.»

«Non credo che andrà così, Elijah. Le forze politiche più interessate a chiedere un risarcimento sono anche quelle che vogliono a tutti i costi la fine di Spacetown. Si accontenteranno di questo, e noi faremo di tutto per persuaderle. La Terra sarà lasciata in pace.»

Improvvisamente Baley cedette, ormai alla disperazione. «Che ne sarà di me? Se Spacetown è d’accordo il questore chiuderà l’inchiesta sul caso Sarton, ma con R. Sammy dovrà continuare perché il colpevole è uno del Dipartimento. Da un momento all’altro arriverà con gli indizi contro di me, lo so. È tutto preparato. Verrò declassato, Daneel. Pensa a Jessie, che verrà trattata come una criminale. Pensa a Bentley…»

R. Daneel lo interruppe: «Non devi credere, Elijah, che non capisca la posizione in cui ti trovi. Ma per il bene dell’umanità bisogna tollerare qualche piccola ingiustizia. Il dottor Sarton lascia una vedova, due figli, i genitori, una sorella e molti amici. Tutti sicuramene si dolgono della sua morte e sono rattristati al pensiero che l’assassino non sia stato trovato e punito».

«Allora perché non rimanete finché non l’avremo preso?»

«Non è più necessario.»

Baley disse, amaro: «Perché non ammetti che tutta l’inchiesta è stata solo un paravento per studiarci nel nostro ambiente? Non vi è mai importato un accidente di chi ha ucciso il dottor Sarton».

«Ci sarebbe piaciuto saperlo» disse freddamente R. Daneel «ma non ci lasciamo influenzare dai pregiudizi quando si tratta di scegliere fra un individuo e l’intera umanità. Continuare le indagini significherebbe turbare uno stato di cose che giudichiamo soddisfacente. Non possiamo prevedere il danno che ne seguirebbe.»

«Vuoi dire che l’assassino potrebbe essere un eminente medievalista e gli Spaziali non vogliono inimicarsi i loro nuovi beniamini.»

«Non sono i termini che userei io, ma c’è del vero in quello che dici.»

«Che ne è del tuo circuito della giustizia, Daneel? È giustizia, questa?»

«Ci sono vari livelli, Elijah. Quando la giustizia minore è incompatibile con la maggiore, è la minore a dover scomparire.»

Il cervello di Baley girava in cerchio, come se lottasse per scoprire una falla nell’inesauribile logica del cervello positronico, una scappatoia.

Disse: «Non hai curiosità personale, Daneel? Ti definisci un detective, ma sai che cosa significa? Sai che seguire un’indagine è qualcosa di più che un semplice lavoro? È una sfida: la tua mente deve misurarsi con quella del criminale. È uno scontro intellettuale. Sei capace di abbandonare la lotta e di ammettere la sconfitta?».

«Se continuare non serve a nessuno scopo utile, certo.»

«Non hai la sensazione di aver perso qualcosa? Non ti resta la curiosità di sapere? Non provi nemmeno un granello d’insoddisfazione, di sfrustrazione?»

Le speranze di Baley, già deboli in partenza, s’infiacchirono mentre parlava. La parola "curiosità", ripetuta due volte, gli portò alla mente ciò che lui stesso aveva detto a Francis Clousarr quattro ore prima. Allora conosceva bene le differenze che esistono fra un uomo e una macchina: la curiosità doveva per forza rientrare nel novero. Un gattino di sei settimane è curioso, ma come può esserlo una macchina umanoide?

R. Daneel fece eco ai suoi pensieri chiedendo: «Che intendi per curiosità?».

Baley cercò di mostrarsi paziente. «È il termine con cui indichiamo il desiderio di estendere la nostra conoscenza.»

«Anch’io provo questo desiderio, ma solo quando è necessario al compimento di un determinato lavoro.»

«Già» osservò Baley sarcastico «come quando facevi domande sulle lenti a contatto di Baley. Era solo per imparare di più sui costumi della Terra.»

«Precisamente» ribatté R. Daneel, senza dar segno di aver colto l’ironia. «Estendere la conoscenza come fatto in sé, privo di scopo — cioè quello che tu chiami curiosità — è soltanto inefficienza. Io sono progettato per evitare l’inefficienza.»

Fu in quel modo che la "frase" tanto attesa da Lije Baley, la parola illuminante, lo raggiunse. L’intricata matassa si sbrogliò e al suo posto apparve una visione luminosa e trasparente.

E mentre R. Daneel parlava, la bocca di Baley si! aprì e rimase spalancata.

Non poteva essergli venuto in mente tutto d’un colpo: non è così che funzionano queste cose. Daqualche parte, nel profondo dell’inconscio, aveva ricostruito il caso, accuratamente e nei particolari, ma la verità non era salita alla coscienza per un’unica discrepanza, un punto che non combaciava. Non c’era modo di evitarlo, ignorarlo, cancellarlo: finché la discrepanza restava, la soluzione del problema sfuggiva alle sue facoltà coscienti.

Ma ora la parola era venuta; il punto che non combaciava era scomparso; la soluzione era sua.

L’improvvisa illuminazione aveva stimolato Baley. Finalmente conosceva il punto debole di R. Daneel, che è il punto debole di ogni macchina. Pensò febbrilmente, speranzosamente: "Quest’affare prende tutto alla lettera. Deve essere così…".

Disse: «Allora il progetto Spacetown si conclude oggi e con esso l’inchiesta sulla morte di Sarton. È giusto?».

«Così ha deciso la gente di Spacetown» assentì R. Daneel, calmo.

«Ma "oggi" non è ancora finito.» Baley dette una occhiata all’orologio: le 22,30. «C’è un’ora e mezza prima di mezzanotte.»

L’automa non disse niente, ma parve riflettere.

Il poliziotto riprese a parlare, rapidamente: «Fino a mezzanotte il progetto continua. Tu sei il mio collaboratore e le indagini vanno avanti». Nella fretta stava diventando telegrafico. «Continuiamo. Lasciami lavorare. Non farà nessun male alla tua gente. Anzi, sarà un bene per tutti, te l’assicuro. Se, a tuo giudizio, faccio qualcosa che è male, fermami. Ti chiedo solo un’ora e mezza.»

R. Daneel disse: «Quello che dici è giusto, la giornata non è finita. Non ci avevo pensato, Elijah».

Erano di nuovo colleghi, adesso.

Baley sogghignò: «Il dottor Fastolfe non ha parlato di un film che avete girato sulla scena del delitto?».

«Infatti.»

«Puoi averne una copia?»

«Sì, collega Elijah.»

«Intendo dire ora, subito!»

«In dieci minuti, se posso adoperare il trasmettitore del Dipartimento.»

Ci volle anche meno. Baley guardava, tremante, la scatola di alluminio che teneva fra le mani: all’interno di essa le sottile forze trasmesse da Spacetown avevano fissato stabilmente un certo modello atomico.

In quello stesso momento arrivò Julius Enderby. Vide Baley e un’ombra d’angoscia gli passò sul viso, lasciando presagire cose poco piacevoli.

Disse, incerto: «Lije, ci hai messo un’eternità a finire questo pranzo».

«Ero stanco morto, questore. Mi dispiace di aver fatto tardi.»

«Non importa, ma… è meglio che vieni nel mio ufficio.»

Gli occhi di Baley cercarono quelli di R. Daneel, ma non ebbero in risposta uno sguardo d’intesa. Uscirono insieme dalla mensa.


Julius Enderby camminava nervosamente davanti alla scrivania, su e giù. Baley lo seguiva, non certo calmo. Ogni tanto dava un’occhiata all’orologio: le 22,45.

Il questore spinse gli occhiali sulla fronte e si fregò gli occhi con il pollice e l’indice. Le dita arrossarono la pelle, finché rimise gli occhiali a posto e fissò Baley.

«Lije» disse all’improvviso «quando sei stato l’ultima volta alla centrale di Williamsburg?»

«Ieri» rispose Baley «dopo aver lasciato l’ufficio. Dovevano essere le diciotto, o poco più tardi.»

Il questore scosse la testa. «Perché non me l’avevi detto?»

«Stavo per farlo. Non ho ancora firmata la dichiarazione ufficiale.»

«Che cosa facevi, laggiù?»

«Mi sono limitato a passarci Andavamo al nostro nuovo appartamento.»

Il questore lo interruppe bruscamente e, mettendoglisi davanti, disse: «Non va, Lije. Non si passa in una centrale solo per andare da qualche altra parte».

Baley si strinse nelle spalle: non c’era senso a raccontare la storia dell’inseguimento medievalista. Non ora.

Si limitò a dire: «Se vuole alludere al fatto che ho avuto l’opportunità di prendere l’irraggiatore alfa, ho qui R. Daneel che può testimoniare il contrario. È stato sempre con me, e quando sono uscito dalla centrale non avevo irraggiatori».

Il questore si sedette con lentezza. Non guardò dalla parte di R. Daneel e non lo interrogò. Mise le mani grassocce sulla scrivania e le fissò, con un’espressione addolorata.

«Lije, non so che dire o che pensare. Quanto al tuo collega, le sue parole non potranno scagionarti. Non è ammesso come teste.»

«Nego di aver preso un irraggiatore alfa.»

Il questore intrecciò le dita nervosamente. «Per quale ragione Jessie è venuta a trovarti oggi pomeriggio?»

«Me l’ha già chiesto, e la risposta è la stessa: questioni di famiglia.»

«Ho avuto l’informazione da Francis Clousarr, Lije.»

«Che informazione?»

«Jezebel Baley è membro di una società medievalista il cui scopo è rovesciare il governo con la forza.»

«È sicuro che parliate della stessa persona? Ci sono molti Baley.»

«Ma non molte Jezebel. L’ho sentito con queste orecchie, Lije, non è una notizia di seconda mano.»

«D’accordo, Jessie ha fatto parte di un’organizzazione un po’ lunatica, ma innocua. Si è limitata ad andare alle riunioni e a compiacersi dell’aria clandestina di questa doppia vita.»

«Sul tuo profilo personale non sarà una cosa altrettanto innocua.»

«Vuol dire che verrò sospeso e trattenuto per sospetta distruzione di proprietà governativa? Per la distruzione di R. Sammy?»

«Spero di no, Lije, ma è un brutto pasticcio. Tutti sanno che R. Sammy non ti piaceva e tua moglie è stata vista parlare con lui nel pomeriggio. Piangeva e alcune parole sono state sentite. In sé non erano compromettenti, ma somma due più due e ottieni quattro. Forse hai pensato che era pericoloso lasciare in giro quel robot… Forse ti sei detto che poteva parlare… Quanto all’arma, hai avuto l’opportunità di procurartela.»

Baley lo interruppe. «Se stessi cercando di togliere di mezzo tutti i sospetti che riguardano Jessie, perché porterei qui Francis Clousarr? A quanto pare lui sa molte più cose di R. Sammy. E un’altra cosa. Sono passato nella centrale di Williamsburg diciotto ore prima che R. Sammy parlasse con Jessie: come facevo a sapere che l’indomani avrei dovuto liquidarlo e che quindi mi serviva un irraggiatore? Non sono un chiaroveggente.»

Il questore disse: «Questi sono punti efficaci. Farò del mio meglio. Mi dispiace che debba succedere tutto questo, Lije».

«Sì? Crede davvero che io sia innocente, questore?»

Enderby rispose lentamente: «Sarò franco, Lije. Non so che cosa credere».

«Allora le darò un suggerimento. Questo è un piano per incastrarmi. Un piano molto accurato, questore.»

Enderby s’irrigidì. «Un momento, Lije, non metterti a tirare nel buio. Non ti attirerai la simpatia di nessuno con una linea di difesa come questa, l’hanno usata troppi cattivi soggetti.»

«Non cerco simpatia, ma la verità. Stanno cercando di togliermi di mezzo per impedirmi di concludere le indagini sul caso Sarton. Sfortunatamente per l’assassino, però, è troppo tardi.»

«Cosa?»

Baley guardò l’orologio: erano le 23,00.

«So chi sta cercando di incastrarmi, so come è stato ucciso il dottor Sarton e da chi. Ho un’ora per fare rapporto a lei, arrestare il colpevole e mettere fine all’inchiesta.»

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