VII

La scatola verde attraversò il quartiere degli affari e svoltò davanti ad un negozio sulla cui vetrina spiccavano le parole UFFICIO DEI MIGLIORI AFFARI. Rotolò all’interno attraverso la porta aperta, e là un gruppo di uomini, alcuni dei quali anziani e altri molto anziani, mi stava aspettando. E anche un paio di donne. La scatola verde si fermò.

Uno di loro si avvicinò e mi tolse di mano la piastra di metallo. La guardò, poi si volse e la consegnò al più anziano tra loro, un tipo tutto bianco con i pantaloni stazzonati, una visiera di color verde, e un paio di elastici che tenevano su le maniche della camicia a righe. — Quilla June, Lew — disse quel tizio al vecchio. Lew prese la piastra di metallo e la mise nel cassetto in alto a sinistra di una scrivania con la serranda avvolgibile. — Meglio prendergli le armi, Aaron — disse il vecchio gufo. E il tizio che mi aveva preso la piastra mi perquisì.

— Liberalo, Aaron — disse Lew.

Aaron andò verso la parte posteriore della scatola verde, qualcosa ticchettò e i cavi con i guantoni vennero risucchiati all’interno della scatola, e io scesi da quella trappola. Avevo le braccia intorpidite nei punti in cui la scatola mi aveva tenuto stretto. Mentre le massaggiavo, osservai quella gente.

— Allora, ragazzo… — cominciò Lew.

— Fottiti, bastardo!

Le donne impallidirono. Gli uomini assunsero un’espressione dura.

— Te l’avevo detto che non avrebbe funzionato — disse uno degli anziani a Lew.

— Una brutta faccenda, questa — disse uno dei più giovani.

Lew si sporse in avanti sulla sedia dallo schienale rigido e mi puntò contro un dito ossuto. — Ragazzo, ti conviene essere educato.

— Spero che tutti i vostri fottuti bambini abbiano il labbro leporino!

— Non serve a niente, Lew! — disse un altro uomo.

— Monello! — scattò una donna con il naso a becco.

Lew mi fissò. La sua bocca era una minacciosa linea scura. Sapevo che quel figlio di puttana non aveva un solo dente in quella boccaccia che non fosse marcio e puzzolente. Mi fissava con occhietti maligni, Dio quant’era brutto, come un uccello pronto a succhiarmi la carne dalle ossa. Stava per dire qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. — Aaron, forse è meglio che tu lo riaffidi alla sentinella. — Aaron si mosse verso la scatola verde.

— Okay, fermi — dissi, sollevando una mano.

Aaron si fermò, e guardò Lew che annuì. Poi Lew si sporse di nuovo in avanti e mi puntò ancora contro quell’artiglio. — Sei pronto a comportarti bene, ragazzo?

— Sì, credo.

— Ti conviene esserne davvero sicuro.

— Okay. Ne sono sicuro. Fottutamente sicuro.

— E farai attenzione a come parli.

Io non risposi. Vecchio gufo.

— Tu sei un esperimento per noi, ragazzo. Abbiamo cercato di portare giù qualcuno di voi con altri sistemi. Abbiamo mandato su qualcuno in gamba per catturare uno di voi, ma nessuno è mai tornato. Abbiamo pensato che fosse meglio attirarvi con l’inganno.

Feci una smorfia di disprezzo. Quella Quilla June! Mi sarei occupato di lei!

Una delle donne, un po’ più giovane di Naso a Becco, venne avanti e mi fissò in viso. — Lew, non riuscirai mai a convincerlo. Guarda i suoi occhi; è un piccolo sporco assassino.

— Ti piacerebbe la canna di un fucile infilata nel culo, puttana? — Lei fece un salto indietro. Lew si arrabbiò di nuovo. — Mi spiace — dissi, — ma non mi piace essere insultato. Macho, capite?

Lui si calmò e parlò alla donna: — Mez, lascialo in pace. Sto cercando di dire delle cose sensate. Tu stai solo peggiorando le cose.

Mez tornò a sedersi con gli altri. Davvero L’UFFICIO DEI MIGLIORI AFFARI, un bel gruppo di idioti!

— Come stavo dicendo, ragazzo, tu per noi rappresenti un esperimento. Sono quasi vent’anni che siamo qui a Topeka. È bello quaggiù. Gente tranquilla, onesta, rispettosa degli altri, nessun crimine, rispetto per gli anziani, davvero un bel posto per viverci. Cresciamo e prosperiamo.

Io attesi.

— Ebbene, adesso scopriamo che alcuni dei nostri non possono più avere bambini e quelle donne che ci riescono, hanno soprattutto femmine. Ci servono degli uomini. Degli uomini di un genere particolare.

Cominciai a ridere. Era troppo bello per essere vero. Mi volevano perché facessi lo stallone. Non riuscivo a smettere si ridere.

— Rozzo! — disse una delle donne aggrottando le ciglia.

— Questo è abbastanza imbarazzante per noi, ragazzo, non renderlo più duro — proseguì Lew a disagio.

Io e Blood passiamo la maggior parte del tempo là sopra a cercare qualche ragazza e qui sotto vogliono che io faccia lo stallone. Mi sedetti sul pavimento e continuai a ridere finché non mi vennero le lacrime agli occhi.

Finalmente mi alzai e dissi — Certo, va bene. Ma prima di accettare ci sono un paio di cosette che voglio in cambio.

Lei mi guardò fisso.

— La prima cosa che voglio è quella Quilla June. La scoperò fino a farla svenire, e poi le darò una botta in testa come lei ha fatto con me!

Confabularono per un po’ e poi Lew disse: — Non tolleriamo alcun tipo di violenza qui, ma credo che Quilla June sia un modo come un altro di iniziare. È in grado, vero Ira?

Un uomo magro dalla pelle giallognola annuì. Non sembrava molto felice di quella prospettiva. Il vecchio di Quilla June, ci avrei scommesso.

— Va bene, cominciamo — dissi. — Mettetele in fila. — Accennai ad abbassare la cerniera dei jeans.

Le donne strillarono, gli uomini mi afferrarono, e si affrettarono a portarmi in una pensione dove mi diedero una stanza, e mi dissero che dovevo imparare a conoscere un po’ Topeka prima di cominciare a lavorare, perché era, uh, be’, ehm… imbarazzante, e loro dovevano fare in modo che gli abitanti della città accettassero quello che erano costretti a fare… partendo dal presupposto, credo, che se io funzionavo, bene, avrebbero importato qualche altro toro dalla superficie e gli avrebbero dato via libera.

Così passai un po’ di tempo a Topeka, imparando a conoscere la gente, osservando quello che facevano, come vivevano. Era bello, davvero bello. Si dondolavano sulle sedie nei porticati, rastrellavano i prati, ciondolavano ai distributori, infilavano monetine nei distributori di palline di gomma da masticare, dipingevano una striscia bianca in mezzo alla strada, vendevano giornali all’angolo, ascoltavano la banda in un palco a forma di conchiglia in mezzo al parco, giocavano al mondo e ai quattro cantoni, lucidavano le macchine, stavano seduti su di una panchina a leggere, lavavano le finestre e potavano le siepi, si toglievano le pagliette davanti alle signore, raccoglievano le bottiglie del latte vuote, strigliavano i cavalli, lanciavano un bastone ad un cane perché lo riportasse, si tuffavano nella piscina comunale, scrivevano con il gesso su di una lavagna il prezzo della verdura all’esterno di un negozio, camminavano mano nella mano con le più brutte ragazze che avessi mai visto e mi annoiavano mortalmente.

Nel giro di una settimana ero sul punto di urlare.

Sentivo quella latta di metallo che si richiudeva su di me.

Sentivo il peso della terra sopra di me.

Mangiavano merda artificiale; piselli artificiali e carne finta, polli contraffatti, granturco e pane artificiale e per me tutto aveva il gusto del gesso e della polvere.

Educato! Cristo, avrei potuto vomitare per quell’ipocrita stronzata che chiamavano civiltà. Salve Signor Tizio e Buongiorno signor Caio. Come state? E come sta la piccola Janie? E come vanno gli affari? Andrete all’incontro di Solidarietà, giovedì? E io cominciai a dare i numeri nella mia stanza alla pensione.

Quel modo dolce, grazioso, pulito e tranquillo in cui vivevano avrebbe potuto uccidermi. Non c’era da stupirsi se gli uomini non riuscivano a farselo venire duro e non erano capaci di fare dei bambini che avessero le palle invece di una fessura.

Alla fine cominciai a pensare al modo di andarmene da lì. Mi ricordai di quel barboncino che aveva dato da mangiare una volta a Blood. Doveva venire da un sotterraneo. E non poteva certo essere salito da uno scivolo. E questo voleva dire che c’erano altre uscite.

Mi lasciavano abbastanza libero di gironzolare per la città finché mi comportavo bene e non provavo a fare niente. Quella sentinella a forma di scatola verde era sempre nelle vicinanze.

Così scoprii una via d’uscita. Non fu un’impresa spettacolare; semplicemente doveva esserci, e io la trovai.

Poi scoprii dove tenevano le armi e fui pronto. Quasi.

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