III

La ragazza, quella Quilla June, era abbastanza al sicuro. Le avevo fatto una specie di riparo con i materassini, che erano circa una dozzina. Non avrebbe corso il rischio di prendersi qualche pallottola vagante e, se non fossero venuti a cercarla, non l’avrebbero vista. Mi arrampicai su una delle funi che pendevano da una trave e mi sdraiai là con la Browning ed un paio di caricatori di riserva. Avrei dato chissà cosa per avere un’arma automatica, un mitragliatore Bren o un Thompson. Controllai la 45, mi assicurai che fosse carica e misi i colpi di riserva sulla trave. Da quella posizione potevo dominare tutta la palestra.

Blood era sdraiato nell’ombra proprio vicino alla porta principale. Mi aveva suggerito di colpire prima i cani che erano con la banda, se ci riuscivo. Questo gli avrebbe permesso di agire liberamente.

Quella era l’ultima delle mie preoccupazioni.

Avrei voluto barricarmi in un’altra stanza, che aveva una sola entrata, ma non avevo modo di sapere se la banda fosse già nell’edificio, così feci del mio meglio con quello che avevo.

Tutto era tranquillo. Anche Quilla June. Mi ci erano voluti dei minuti preziosi per convincerla che le conveniva starsene rintanata senza fare rumore, che era molto più al sicuro con me che con venti di loro: — Se ti preme rivedere mamma e papà — la ammonii. Dopo di che non mi diede altre preoccupazioni mentre la barricavo con i materassini.

Silenzio.

Poi udii due rumori distinti, tutti e due allo stesso tempo. Dalla piscina sentii degli stivali che calpestavano i calcinacci. Molto piano. E dalla parte dell’ingresso principale udii un tintinnio di metallo contro il legno. Così stavano cercando di prenderci di sorpresa. Be’, io ero pronto.

Di nuovo silenzio.

Puntai la Browning verso la porta che si apriva sulla piscina. Era rimasta aperta dopo che io ero entrato. Calcolando che fosse ad una distanza di cinque o sei metri, dovevo abbassare la mira di cinquanta metri e l’avrei preso dritto al corpo. Avevo imparato molto tempo fa a non cercare di colpire la testa. Mirare al bersaglio grosso: stomaco e torace. Il tronco.

All’improvviso udii un cane abbaiare all’esterno e parte dell’ombra vicino alla porta principale si staccò e si mosse all’interno della palestra. Direttamente dalla parte opposta rispetto a Blood. Io non spostai la Browning.

Il tipo alla porta principale fece un passo lungo la parete, allontanandosi da Blood. Tirò indietro il braccio e lanciò qualcosa, forse un sasso o un pezzo di metallo, attraverso la stanza per attirare il fuoco. Io non spostai la Browning.

Quando l’oggetto che era stato lanciato colpì il pavimento, due della banda balzarono fuori dalla porta della piscina, uno su ogni lato, con i fucili pronti a sparare. Prima che potessero aprire il fuoco, sparai il primo colpo, mossi orizzontalmente l’arma e ne sparai un secondo dritto sull’altro bersaglio.

Caddero entrambi. Colpi secchi, dritti al cuore. Bang, ed erano giù; nessuno dei due si mosse. L’altro che era sulla porta si mosse e Blood gli fu addosso. Fuori dall’oscurità, così, riiip!

Blood saltò proprio sopra la canna del fucile spianato e affondò le fauci nella gola del malcapitato. L’uomo urlò e Blood mollò la presa, portandosi dietro un pezzo di gola. Quello emise dei tremendi suoni gorgoglianti e cadde in ginocchio. Gli cacciai un colpo in testa e lui si piegò in avanti.

Tornò il silenzio.

Niente male. Proprio niente male davvero. Tre tentativi e ancora non conoscevano la nostra posizione. Blood era tornato nell’ombra vicino all’entrata. Non disse nulla, ma io sapevo quello che stava pensando: forse erano tre su diciassette, o tre su venti o ventidue. Non c’era modo di saperlo: potevamo restare bloccati qui per una settimana senza sapere se li avevamo presi tutti, o solo qualcuno, o nessuno. Loro potevano rifornirsi e io mi sarei ritrovato a corto di munizioni e senza cibo e la ragazza, quella Quilla June, si sarebbe messa a piangere, obbligandomi a dividere la mia attenzione, e poi la luce del giorno… e quelli sarebbero stati ancora là fuori, ad aspettare che fossimo abbastanza affamati per tentare qualche pazzia o che avessimo finito le munizioni, e allora si sarebbero radunati e ci sarebbero piombati addosso.

Un altro entrò a razzo dalla porta principale, fece un balzo, atterrò con la spalla, rotolò, e si rialzò lanciandosi in un’altra direzione, sparando tre scariche in differenti angoli della stanza prima che riuscissi a prenderlo di mira con la Browning. A quel punto era abbastanza sotto di me da non farmi sprecare un colpo della 22. Afferrai silenziosamente la 45 e gli sparai nel collo. Il colpo andò a segno, uscì dall’altra parte portando con sé gran parte della testa. Lui cadde a terra.

— Blood! Il fucile!

Uscì dall’ombra, lo afferrò con la bocca e lo trascinò verso la pila di materassini nell’angolo più lontano. Vidi un braccio spuntare dal mucchio di materassi, una mano afferrò il fucile e lo nascose all’interno. Bene, almeno lì era al sicuro finché non ne avessi avuto bisogno. Piccolo bastardo coraggioso: sgattaiolò furtivo fino al corpo senza vita e cominciò a sfilargli la bandoliera con le munizioni. Gli ci volle un po’: avrebbero potuto colpirlo dalla porta o da una delle finestre, ma riuscì a farcela. Piccolo bastardo coraggioso. Dovevo ricordarmi di trovargli qualcosa di buono da mangiare quando fossimo usciti da quel pasticcio. Sorrisi nell’oscurità: se ne fossimo usciti. Non avrei dovuto preoccuparmi di trovargli qualcosa di tenero. Era sparso tutt’intorno sul pavimento della palestra.

Proprio mentre Blood stava trascinando la bandoliera nell’oscurità, due di loro provarono con i cani. Entrarono da una porta-finestra, uno dopo l’altro, rotolando su se stessi e lanciandosi in direzioni opposte, mentre i cani (un akita grande come una casa e un dobermann femmina color dello sterco) balzarono fuori dalla porta e si divisero. Beccai uno dei cani, l’akita, con la 45 e quello cadde stecchito. Il dobermann si era lanciato su Blood.

Ma lo sparo aveva rivelato la mia posizione. Uno di loro aprì il fuoco dal fianco, e le pallottole a punta morbida sprizzarono scintille intorno a me colpendo la trave. Lasciai cadere l’automatica questa cominciò a scivolare lungo la trave mentre io afferravo la Browning. Mi allungai per acchiappare la 45 e fu quello a salvarmi. Mi buttai in avanti per agguantarla, ma l’arma scivolò e cadde sul pavimento con uno schianto, e il vagabondo sparò mirando a dove ero prima. Ma io ero appiattito sulla trave, con le braccia penzoloni, e lo schianto lo sorprese. Sparò in direzione del suono e proprio in quell’istante udii un altro sparo, da un Winchester, e l’altro vagabondo che era nascosto nell’ombra cadde in avanti con un grosso buco che gli dilaniava il torace. Quilla.lune gli aveva sparato da dietro i materassi.

Non avevo tempo di capire che cosa diavolo stesse succedendo… Blood stava lottando con il dobermann e i suoni che emettevano erano Terribili… il tizio con la 30-06 sparò di nuovo e colpì la canna della Browning che sporgeva da un lato della trave e, bam, questa se ne andò, cadendo a terra. Ero nudo là sopra, senza armi, e quel figlio di puttana si teneva nascosto nell’ombra ad aspettarmi.

Un altro colpo del Winchester e il tizio sparò dritto sui materassi. Lei cadde all’indietro e io seppi che non potevo più contare su di lei. Ma non mi serviva: in quell’attimo in cui si era concentrato su di lei, io afferrai una delle funi, mi catapultai oltre la trave e urlando come un’aquila scivolai giù, sentendo la corda che mi penetrava nel palmo delle mani. Mi abbassai abbastanza da poter dondolare e mi diedi una spinta con i piedi. Dondolai avanti e indietro, piegando il corpo in direzioni diverse, cercando di spingermi sempre più indietro ogni volta. Quel figlio di puttana continuò a sparare, cercando di individuare la traiettorie, ma io continuavo a mantenermi fuori dalla sua linea di tiro. Poi rimase senza munizioni e io scalciai all’indietro più forte che potei e arrivai a razzo verso la zona d’ombra in cui si trovava lui, mollai la presa improvvisamente e caddi a peso morto nell’angolo, lui era là e io gli fui addosso mandandolo a sbattere contro la parete, mi avventai su di lui e gli infilai le dita negli occhi. Lui gridava, la ragazza gridava e i cani gridavano, e io sbattei quella fottuta testa contro il pavimento finché lui cessò di muoversi, poi presi la 30-06 e lo colpii selvaggiamente finché fui sicuro che non mi avrebbe più dato fastidio.

Poi trovai la 45 e sparai al dobermann.

Blood si alzò e si scrollò. Era piuttosto malconcio.

— Grazie — mormorò, e se ne andò a sdraiarsi nell’ombra per leccarsi.

Mi diressi verso Quilla June; stava piangendo. Per i ragazzi che avevamo ucciso. Soprattutto per quello che lei aveva ucciso. Non riuscii a farla smettere, così le mollai una sberla, dicendole che mi aveva salvato la vita, e questo servì a qualcosa.

Blood si trascinò vicino a noi. — Come faremo ad uscire da questo pasticcio, Albert?

— Lasciami pensare.

Riflettei e capii che non c’era niente da fare. Per quanti ne potessimo colpire, ce ne sarebbero sempre stati altri. E adesso era una questione di macho. Il loro onore.

— Che ne pensi di un incendio — chiese Blood. — Andarcene mentre tutto brucia? — Scossi la testa. — Avranno circondato il posto. Non va bene.

— E se non ce ne andassimo? Se bruciassimo con tutto l’edificio?

Lo guardai. Coraggioso… e furbo come il diavolo.


Radunammo tutti i materassi, i mobili, le scale e le aste e tutto quello che poteva prendere fuoco, e lo ammassammo vicino ad un divisorio di legno ad una delle estremità della palestra. Quilla June trovò un fusto di cherosene in un magazzino e appiccammo fuoco a quella dannata catasta. Poi seguimmo Blood fino ad un posto che aveva trovato per noi. Il locale della caldaia nei sotterranei dell’YMCA. Ci arrampicammo tutti nella caldaia vuota, chiudemmo la porta e lasciammo aperto uno sfiatatoio per la circolazione dell’aria. Ci eravamo portati un materasso, tutte le munizioni e anche le armi che avevamo tolto ai vagabondi uccisi.

— Senti qualcosa? — chiesi a Blood.

— Poco. Non molto. Riesco a ricevere uno di loro. L’edificio sta bruciando bene.

— Sarai capace di accorgerti quando se ne andranno?

— Forse. Se se ne andranno.

Mi sistemai. Quilla June stava tremando per tutto quello che era successo; — Calmati — le dissi. — Domani mattina sarà bruciato tutto e loro frugheranno tra le macerie, troveranno un sacco di carne morta e forse non cercheranno con troppa attenzione il corpo di una pollastrella. E sarà tutto a posto… se non finiremo soffocati qui dentro.

Lei accennò un debole sorriso e cercò di mostrarsi coraggiosa. Era davvero okay. Chiuse gli occhi e si adagiò sul materasso, cercando di dormire. Io ero sfinito. Anch’io chiusi gli occhi.

— Ce la fai da solo? — chiesi a Blood.

— Credo di sì. Farai meglio a dormire.

Quando mi svegliai, scoprii che la ragazza, quella Quilla June, si era rannicchiata contro la mia spalla e mi aveva messo un braccio intorno al petto, ancora profondamente addormentata. Riuscivo appena a respirare. Era come trovarsi in una fornace; diavolo, era una fornace. Alzai un braccio: la parete della caldaia era tanto calda che non potevo neppure toccarla. Blood era sul materasso con noi. Quel materasso era l’unica cosa che aveva impedito che ci arrostissimo per bene. Dormiva anche lui, con la testa sepolta tra le zampe. Lei dormiva, ancora nuda.

Le misi una mano su un capezzolo. Era caldo. Lei si mosse e si strinse ancora di più a me. Io mi eccitai.

Riuscii a sfilarmi i pantaloni e rotolai sopra di lei. Si svegliò appena si accorse che stavo aprendole le gambe, ma a quel punto era troppo tardi. — No… fermati… che cosa stai facendo… No, non…

Ma era debole e mezza addormentata e comunque non credo che volesse davvero resistere.

Quando la penetrai gridò, naturalmente, ma dopo fu okay. C’era sangue su tutto il materasso. E Blood continuava a dormire.

Fu davvero una cosa diversa. Generalmente, quando Blood ne scovava qualcuna per me, facevo una cosa alla svelta, la tramortivo e me la battevo poi in fretta prima che potesse succedere qualcosa di spiacevole. Ma quando lei venne, si sollevò sul materasso e mi strinse tanto forte che pensai che mi rompesse le costole e poi si rilasciò piano, piano, piano, come faccio io durante gli esercizi con le gambe nella mia palestra di fortuna. E aveva gli occhi chiusi ed un aspetto rilassato. E felice. Si vedeva.

Lo facemmo un sacco di volte e dopo un po’ fu lei a chiederlo, ma io non le dissi di no. E poi rimanemmo sdraiati fianco a fianco e chiacchierammo.

Mi chiese di Blood e io le raccontai di come i cani da combattimento fossero diventati telepatici ed avessero perso la capacità di procacciarsi il cibo da soli, come i singoli e quelli delle bande dovessero provvedere per loro, e come i cani come Blood fossero bravi a scovare le pollastre per i singoli come me. A questo proposito lei non disse nulla.

Io le chiesi com’era dove viveva lei, in uno dei sotterranei.

— È bello. Ma è sempre così tranquillo. Tutti sono così educati con tutti. È una piccola cittadina.

— In quale vivi?

— A Topeka. È molto vicino.

— Sì, lo so. Lo scivolo d’accesso è solo a mezzo miglio da qui. Ci sono andato una volta, per dare un’occhiata in giro.

— Sei mai stato in un sotterraneo?

— No, e non credo neppure di volerci andare.

— Perché? È molto carino. Ti piacerebbe.

— Balle.

— Questo è molto sgarbato.

Io sono molto sgarbato.

— Non sempre.

Mi stavo arrabbiando. — Ascolta, stupida, che cosa ti succede? Ti ho rapito, ti ho violentato una dozzina di volte, che cosa c’è di buono in me, eh? Che cosa ti succede, non sei nemmeno abbastanza furba da capire quando qualcuno…

Lei mi stava sorridendo. — Non mi importa. Mi è piaciuto farlo. Vuoi farlo ancora?

Ero davvero sbalordito. Mi allontanai da lei. — Che cosa c’è che non funziona in te? Non lo sai che una pollastra come te, che viene dai sotterranei può davvero finire male con i singoli? Voi ragazze non siete state avvertite dai vostri genitori nei sotterranei: «Non andate in superficie, o sarete preda di quegli sporchi, pelosi e bavosi singoli!» Non lo sai questo?

Lei appoggiò una mano sulla mia gamba e cominciò a farla scivolare verso l’alto, con le dita che appena mi sfioravano le cosce. Mi eccitai di nuovo. — I miei genitori non hanno mai detto quelle cose dei singoli — disse. Poi mi attirò a sé, mi baciò e io non potei trattenermi dal prenderla ancora.

Dio, andò avanti così per ore. Dopo un po’ Blood si voltò e disse: — Non posso più fare finta di dormire. Ho fame. E sono ferito.

Mi liberai della sua stretta (questa volta era lei sopra di me) e lo esaminai. Quel dobermann gli aveva dato un bel morso all’orecchio destro, e aveva una ferita sul muso, e il pelo impastato di sangue su di un fianco. Era davvero malconcio.

— Gesù, sei ridotto male — dissi.

— Nemmeno tu sei una rosellina, Albert — scattò lui. Io ritirai la mano.

— Possiamo uscire di qui? — gli chiesi.

Lui scosse la testa. — Non riesco a ricevere niente. Deve essere l’ammasso di calcinacci sopra questa caldaia. Devo uscire per una ricognizione.

Discutemmo un po’ sul da farsi e alla fine decidemmo che se l’edificio era raso al suolo e si era raffreddato abbastanza, a quest’ora la banda avrebbe già dovuto aver finito di rovistare tra le ceneri. Il fatto che non avessero cercato nella caldaia indicava che dovevamo essere sepolti per benino. Oppure che l’edificio stava ancora bruciando. In quel caso dovevano ancora essere là fuori ad aspettare di poter setacciare i resti.

— Pensi di farcela, nelle condizioni in cui sei ridotto?

— Immagino di doverlo fare, vero? — disse Blood. Era davvero acido. — Voglio dire, con voi due occupati a fottervi il cervello, non resta altro da fare se vogliamo sopravvivere, no?

Mi accorsi che era arrabbiato. Non gli piaceva Quilla June. Gli girai intorno e cercai di aprire il portello della caldaia. Non si aprì. Allora mi appoggiai ad una parete, sollevai le gambe e cominciai a spingere adagio ma con decisione.

Qualunque cosa lo avesse bloccato dall’esterno resistette per un attimo, poi cominciò a cedere e alla fine cadde con uno schianto. Aprii completamente la porta e mi guardai attorno. I piani superiori erano crollati nel seminterrato, ma quando avevano ceduto erano già ridotti in cenere e detriti leggeri. Là fuori c’era fumo dappertutto. Attraverso la spessa coltre riuscii a vedere la luce del giorno.

Scivolai fuori, scottandomi le mani sul bordo esterno dello sportello. Blood mi seguì. Cominciò ad aprirsi la strada tra i detriti. Vidi che la caldaia era stata quasi interamente ricoperta dai calcinacci che erano caduti dai piani superiori. C’erano buone probabilità che la banda avesse dato solo una rapida occhiata, immaginando che fossimo finiti arrosto, e alla fine avesse rinunciato. Ma comunque volevo che Blood facesse una ricognizione. Lui partì, ma io lo richiamai indietro. Lui tornò.

— Che cosa c’è?

Abbassai lo sguardo su di lui. — Te lo dico io cosa c’è. Ti stai comportando come uno stronzo.

— E allora?

— Dannazione, che cosa ti ha preso?

— Lei. Quella pollastra che hai là dentro.

— E con questo? Sai che roba… ho avuto altre pollastre prima d’ora.

— Sì, ma mai nessuna come questa. Ti avviso, Albert. Quella ti darà dei guai.

— Non fare lo scemo! — Lui non rispose. Si limitò a guardarmi con rabbia, poi scappò via per controllare come stavano le cose. Rientrai a carponi e richiusi lo sportello. Lei voleva farlo ancora. Io dissi che non ne avevo voglia; Blood mi aveva messo a terra. Ero di cattivo umore. E non sapevo con chi dei due prendermela.

Ma Dio se era carina.

Lei mi tenne un po’ il broncio e si sdraiò con le braccia consorte. — Dimmi qualcosa di più sui sotterranei — dissi.

All’inizio si mostrò irritata e non volle dire molto, ma poi si sgelò e cominciò a parlare liberamente. Stavo imparando parecchio. Immaginai che mi sarebbe servito, una volta o l’altra.

C’erano solo un paio di centinaia di città sotterranee in quello che restava degli Stati Uniti e del Canada. Erano state ricavate da pozzi di vecchie miniere o altre cavità molto profonde. Alcune di esse, nell’ovest, erano all’interno di caverne naturali. Erano molto in profondità, dalle due alle cinquanta miglia. Erano come grossi contenitori, incassati a fondo. E quelli che li avevano creati erano dei puritani della peggior specie. Battisti, fondamentalisti, bacchettoni, veri babbei borghesi senza alcun gusto per la vita avventurosa. Ed erano ritornati ad un genere di vita che era scomparso da più di centocinquant’anni. Avevano usato gli ultimi scienziati per fare il lavoro, per progettare ciò di cui avevano bisogno, e poi se ne erano liberati. Non volevano alcun progresso, nessun dissenso; nulla che potesse causare del turbamento. Ne avevano avuto abbastanza. L’epoca migliore era stata quella precedente alla Prima Guerra, e avevano pensato che continuando così avrebbero potuto avere una vita tranquilla e sopravvivere. Merda! Sarei impazzito in uno dei sotterranei!

Quilla June sorrise e mi venne di nuovo vicino, e questa volta non la respinsi. Ricominciò a toccarmi, là sotto e dappertutto e poi disse: — Vic?

— Uh-huh?

— Sei mai stato innamorato?

— Che cosa?

— Innamorato. Innamorato di una ragazza?

— Be’, direi proprio di no, accidenti.

— Sai che cos’è l’amore?

— Certo. Credo di saperlo.

— Ma se non sei mai stato innamorato…

— Non essere scema. Voglio dire, non ho mai preso una pallottola in testa e so che non mi piacerebbe.

— Non sai che cos’è l’amore, ci scommetto.

— Be’, se significa vivere nei sotterranei, credo proprio di non volerlo scoprire.

Dopo di che non parlammo più molto. Lei mi spinse giù e lo facemmo di nuovo. E quando fu finito, udii Blood che grattava contro la caldaia. Aprii lo sportello e lui era lì fuori. — Via libera — disse.

— Sicuro?

— Sì, sì, sicuro. Infilati i pantaloni — disse con un po’ di scherno nella voce, — ed esci di lì. Dobbiamo parlare.

Lo guardai e vidi che non stava scherzando. Mi rimisi i pantaloni e le scarpe da tennis e uscii dalla caldaia. Ci allontanammo e lui mi fece una predica di mezz’ora a proposito delle nostre responsabilità reciproche. Io ero d’accordo con lui e gli dissi che l’avrei seguito, come sempre, e lui mi minacciò dicendomi che avrei fatto bene a farlo, perché c’erano un paio di singoli piuttosto in gamba in giro per la città che sarebbero stati molto contenti di avere un abile segugio come lui. Gli dissi che non mi piaceva essere minacciato e che avrebbe fatto meglio a fare attenzione a dove metteva i piedi, o gli avrei rotto una gamba. Lui si infuriò e se ne andò. Lo mandai a farsi fottere e ritornai alla caldaia per vedermela ancora con quella Quilla June.

Ma quando cacciai dentro la testa, lei mi stava aspettando, con una delle pistole di quei vagabondi. Mi diede una bella botta sopra l’occhio destro, e io caddi di traverso sullo sportello e svenni.

Загрузка...