Harlan Ellison Un ragazzo e il suo cane

I

Ero fuori con Blood, il mio cane. Quella settimana aveva deciso di farmi impazzire; continuava a chiamarmi Albert. Pensava che fosse maledettamente divertente. Payson Terhune: ah ah. Gli avevo procurato un paio di topi d’acqua, di quelli grandi, verdi e ocra, e un barboncino ben curato, scappato al guinzaglio di qualcuno dei sotterranei; aveva mangiato bene, ma era irritato. — Avanti, figlio di una cagna — gli ordinai, — trovamene qualcuna, ho voglia di fottere. — Un riso soffocato uscì dalla sua gola di cane. — Sei divertente quando ti viene voglia — disse.

Forse così divertente da prenderlo a calci nel culo, quel maledetto straccio di un dingo.

— Trovamela! Non sto scherzando!

Sapeva che ero sul punto di perdere la pazienza. Di malumore, iniziò a concentrarsi. Si sedette sul bordo sbriciolato del marciapiede, le palpebre fremettero e si chiusero ed il suo corpo peloso si irrigidì. Dopo un po’ si distese sulle zampe anteriori, appoggiandovi la testa ispida fino ad appiattirsi completamente. La tensione lo abbandonò e cominciò a tremare, proprio come se fosse sul punto di grattarsi. Andò avanti così per circa un quarto d’ora, finalmente rotolò e giacque sul dorso, con la pancia all’aria, le zampe anteriori ripiegate e quelle posteriori distese e aperte. — Mi dispiace — disse, — non c’è niente.

Avrei potuto infuriarmi e tirargli un clacio, ma sapevo che aveva provato. Non ero affatto contento, avevo davvero voglia di scopare, ma che cosa potevo farci? — Okay — dissi con rassegnazione, — lascia perdere.

Si rivoltò su di un fianco e si alzò.

— Che cosa vuoi fare? — chiese.

— Non c’è molto che possiamo fare, vero? — dissi con tono lievemente sarcastico. Lui si accucciò ai miei piedi, con insolente umiltà.

Mi appoggiai al troncone fuso di un lampione e pensai alle ragazze. Era doloroso. — Possiamo sempre andare ad una proiezione — dissi. Blood guardò la strada, le pozze d’ombra nei crateri ricolmi di erbacce e non disse nulla. Il cucciolo stava aspettando che io dicessi «Va bene, andiamo». Gli piacevano i film, come a me del resto.

— Va bene, andiamo.

Lui si alzò e mi seguì, con la lingua penzoloni, ansando per la contentezza. Continua pure a ridere, furbone. Niente popcorn, per te!


La Nostra Banda era composta di vagabondi che non erano mai stati capaci di sopravvivere con il saccheggio, così avevano optato per la comodità e avevano trovato un modo furbo per procurarsela. Ai ragazzi piaceva il cinema e così si erano impadroniti del Metropole. Nessuno cercò di cacciarli dal loro territorio, perché tutti avevamo bisogno dei film, e finché la Nostra Banda riusciva a trovare film da proiettare, forniva un utile servizio, anche per i singoli come me e Blood. Soprattutto per i singoli come noi.

Fui costretto a lasciare la mia 45 e la Browning 22 lunga alla porta. Proprio accanto alla biglietteria c’era una piccola nicchia. Prima comperai il biglietto: il prezzo era un barattolo di Filadelfia Oscar Meyer per me ed una scatola di sardine per Blood. Poi la guardia della Nostra Banda con il mitragliatore mi fece segno di andare al banco e io consegnai le pistole. Vidi dell’acqua che gocciolava da una tubatura rotta sul soffitto e dissi al custode, un tipo con la faccia piena di grosse verruche, di spostare le mie armi sul lato asciutto. Lui mi ignorò. — Ehi, tu, fottuto bastardo, sposta la mia roba dall’altra parte… si arrugginisce in fretta… e se si rovina, ti spacco le ossa!

Accennò una reazione, e diede un’occhiata alle guardie con il mitragliatore; sapeva che se mi avessero sbattuto fuori avrei perso quello che avevo pagato per entrare, ma quelle non avevano voglia di agitarsi, forse per la stanchezza, e gli fecero cenno di lasciar correre, di fare come avevo chiesto. Così quel rospo spostò la mia Browning dall’altra parte della rastrelliera e sistemò più sotto la 45.

Blood ed io entrammo in sala.

— Voglio il popcorn.

— Scordatelo.

— Dài, Albert. Comprami il popcorn.

— Hai appena fatto una figura di merda. — E scrollai le spalle.

Entrammo. Il luogo era affollato. Ero contento che le guardie si fossero limitate a prendermi le pistole e niente altro. Il coltello e lo stiletto nei loro foderi ben oliati appesi dietro il collo mi davano una sensazione di sicurezza. Blood trovò due posti vicini e ci intrufolammo nella fila, inciampando in una selva di piedi. Qualcuno imprecò ed io lo ignorai. Un dobermann ringhiò. Blood arruffò il pelo, ma non reagì. C’era sempre qualche rompiscatole nel mazzo, persino in un posto neutrale come il Metropole.

(Una volta ho sentito di un casino successo al Loew Granada, giù nel South Side. Finì con una decina di vagabondi morti insieme ai loro bastardi, il teatro bruciato ed un paio di bei film di Cagney distrutti nell’incendio. È stato allora che le bande hanno deciso di fare un accordo per cui i cinema diventavano terreno neutrale. Ora è meglio, ma c’è sempre qualche scalmanato che non rispetta le regole.)

I film erano tre. «Raw deal» con Dennis O’Keefe, Claire Trevor, Raymond Burr e Marsha Hunt era il più vecchio dei tre. Era stato girato nel 1948, settantasei anni fa, e solo Dio sa come quell’affare fosse ancora tutto d’un pezzo dopo tanto tempo; la pellicola continuava ad uscire dai rulli e dovettero fermarla un sacco di volte per riavvolgerla. Ma era un buon film. Parlava di quel singolo scaricato dalla sua banda, che cercava di vendicarsi. Gangster, fuorilegge, un sacco di scontri e scazzottature. Davvero bello.

Il secondo film era stato girato durante la Terza Guerra, nel 2007, due anni prima che io nascessi, era intitolato «L’odore del cinese». Un sacco di sbudellamenti e qualche bel corpo a corpo. Belle scene di levrieri d’assalto muniti di lancianapalm, che bruciavano una città cinese. Blood se la godette da cima a fondo, anche se l’avevamo già visto insieme. Era solito raccontare balle sul fatto che quelli sarebbero stati i suoi antenati, e sapeva che io sapevo che erano tutte storie.

— Vuoi andare a bruciare qualche neonato, eroe? — gli sussurrai. Lui ignorò la punzecchiatura, si agitò sul sedile, non disse nulla e continuò ad avere un’aria compiaciuta, mentre i cani si aprivano la strada attraverso la città. Io ero annoiato a morte.

Aspettavo il pezzo forte.

Finalmente arrivò. Era favoloso, un film pornografico della fine degli anni settanta. Si chiamava «La grande striscia di pelle nera». Incominciava davvero alla grande. Quelle due bionde con i corsetti di pelle nera e gli stivali alti fino alle cosce, con fruste e maschere, che sbattono giù quel tipo macilento, e poi una gli si siede sulla faccia mentre l’altra si sistema sopra. Dopo diventa noioso.

Tutt’intorno a me i singoli si masturbavano. Stavo per darmi una ripassatina anch’io, quando Blood si sporse verso di me e disse, molto piano, proprio come quando fiuta qualcosa: — C’è una pollastra, là.

— Tu sei scemo — dissi.

— Ti dico che sento l’odore. È là, amico.

Senza farmi notare, mi guardai intorno. Quasi tutti i posti del cinema si erano occupati da singoli con i loro cani. Se una pollastra si fosse intrufolata, sarebbe successo un casino. Sarebbe stata fatta a pezzi prima che uno solo dei ragazzi riuscisse a farsela. — Dove? — chiesi sottovoce. Tutt’intorno a me i singoli gemevano, mentre le bionde si toglievano la maschera e una di loro si lavorava il tipo macilento con una specie di ariete di legno che aveva fissato attorno ai fianchi.

— Dammi un minuto — disse Blood. Si stava concentrando davvero. Il suo corpo era teso come una molla. Gli occhi erano chiusi, la bocca tremava. Lo lasciai lavorare.

Era possibile. Poteva anche essere. Sapevo che là sotto facevano dei film proprio scemi, il genere di cretinate in voga negli anni ’30 e ’40, quelle cose castigate con marito e moglie che dormivano in letti gemelli. Sul tipo dei film di Myrna Loy e George Brent. E io sapevo che ogni tanto qualche pollastrella di quelle famiglie molto perbene dei sotterranei venivano in superficie per vedere come era fatto un vero film. L’avevo sentito dire, ma non era mai successo in un locale nel quale mi trovassi anch’io.

E se davvero lei era qui, come mai nessuno degli altri cani l’aveva fiutata…?

— Terza fila davanti a noi — disse Blood. — Posto di corridoio. Vestita come un singolo.

— Com’è che tu riesci a sniffarla e nessun altro cane si è accorto di lei?

— Tu dimentichi chi sono, Albert.

— Non l’ho dimenticato. Solo non ci credo.

Più di cinquant’anni fa, a Los Angeles, prima che scoppiasse la Terza Guerra, c’era un uomo chiamato Buesing che viveva a Cerritos. Allevava cani da guardia, da difesa e d’attacco. Dobermann, danesi, schnauzer e akitas giapponesi. Aveva una femmina di pastore tedesco di quattro anni, di nome Ginger. Lavorava per la divisione narcotici del distretto di polizia di Los Angeles. Era in grado di fiutare la marijuana; non importa quanto bene fosse nascosta. La sottoposero ad un test: in un magazzino di ricambi per auto c’erano 25.000 scatole. In cinque di esse era stata messa della marijuana, sigillata nel cellophane, avvolta in fogli di alluminio e poi in pesante carta marrone, infine chiusa in tre scatole di cartone. Nel giro di pochi minuti Ginger aveva trovato tutti e cinque i pacchetti. Proprio mentre Ginger era al lavoro, a novanta miglia a nord, a Santa Barbara, alcuni cetologi avevano estratto e amplificato il midollo dei delfini e lo avevano iniettato nei cani e nei babbuini. Poi avevano provveduto a trapianti e alterazioni chirurgiche. Il primo risultato di questi esperimenti era stato un puli maschio di due anni di nome Ahbhu, che aveva comunicato telepaticamente impressioni sensoriali. Incroci ed esperimenti continui avevano prodotto i primi cani da combattimento proprio in tempo per la Terza Guerra. Dotati di facoltà telepatiche sulle brevi distanze, facilmente addestrabili, in grado di rintracciare benzina, gas velenosi, soldati, o radiazioni, quando erano in contatto con i loro controllori umani, erano diventati i commandos d’assalto di un nuovo tipo di guerra. I caratteri distintivi erano diventati ereditari. Dobermann, levrieri, akitas, pulì, e schnauzer avevano sviluppato gradualmente facoltà telepatiche sempre maggiori.

Me l’aveva raccontato un migliaio di volte. Mi aveva raccontato tutta la storia proprio in questo modo, con le stesse parole, un migliaio di volte, così come era stata raccontata a lui. Non gli avevo mai creduto fino ad ora.

Forse il piccolo bastardo era davvero speciale.

Controllai il singolo sprofondato nel posto di corridoio tre file più avanti. Non riuscivo a distinguere niente di speciale. Il singolo aveva il cappuccio ben calato sul viso e il bavero della giacca rialzato.

— Ne sei sicuro?

— Sicurissimo. È una ragazza.

— Se lo è, si sta masturbando proprio come un ragazzo. — Blood soffocò una risatina. — Sorpresa — disse sarcastico.

Quello strano singolo era rimasto a rivedere «Raw Deal». Aveva senso, se era una ragazza. La maggior parte dei singoli e quasi tutti i componenti delle bande se ne erano andati dopo il film porno. Il cinema non era più così affollato, e le strade nel frattempo si sarebbero svuotate, e lui/lei avrebbe potuto ritornare da dove era venuto/a. Anch’io rividi «Raw Deal». Blood si addormentò.

Quando lo strano singolo si alzò, gli/le diedi il tempo di prendersi le armi, se ne aveva lasciate, e di incamminarsi. Allora tirai Blood per una delle orecchie pelose e dissi: — Diamoci da fare. — Lui mi precedette nel corridoio.

Ripresi le mie armi e controllai la strada. Vuota.

— Va bene, nasone — dissi. — Da che parte è andato?

— Andata. A destra.

Mi incamminai, caricando la Browning. Non vidi nessuno muoversi tra gli scheletri delle case bombardate. Questa parte della città era ridotta proprio male. Ma d’altra parte, con la Nostra Banda che gestiva il Metropole, non c’era bisogno di ricostruire nulla per tirare avanti. Qui era l’ironia: i Dragoni dovevano mantenere in efficienza una centrale elettrica per raccogliere i tributi dalle altre bande; il Gruppo di Ted doveva occuparsi delle cisterne; i Bastinados lavoravano come braccianti negli orti di marijuana, i Barbados Black morivano a decine per decontaminare le sacche radioattive della città. E la Nostra Banda doveva solo gestire il cinema.

Chiunque fosse stato il loro capo, non importa quanto tempo fosse passato da quando i singoli saccheggiatori avevano cominciato a formare le bande, bisognava dargliene atto: era stato davvero furbo. Sapeva di che cosa occuparsi.

— Ha svoltato qui — disse Blood.

Lo seguii e lui si avviò a grandi balzi verso la periferia della città e le radiazioni di un colore verde-bluastro che ancora scendevano dalle colline. A quel punto seppi che aveva ragione. L’unica cosa che si trovava da quelle parti era un pozzo d’accesso alla città sotterranea. Era davvero una ragazza.

I glutei mi si strinsero al solo pensiero. Avrei finalmente potuto scopare. Era passato più di un mese da quando Blood aveva scovato quella pollastrella nelle cantine di Market Basket. Era lercia e mi beccai le piattole, ma era una donna, e dopo che l’ebbi legata e colpita un paio di volte, non era stata niente male. Le era anche piaciuto, anche se mi aveva sputato addosso dicendomi che mi avrebbe ucciso se mai si fosse liberata. Per precauzione l’avevo lasciata legata. Quando ritornai due settimane dopo a vedere, non c’era più.

— Fai attenzione — disse Blood, girando intorno ad un cratere quasi invisibile nell’oscurità. Qualcosa si mosse nel cratere.

Camminando in quella terra di nessuno mi resi conto della ragione per cui soltanto un pugno di singoli o i membri delle bande erano ragazzi. La guerra aveva ucciso quasi tutte le ragazze, e con le guerre succedeva sempre così… almeno, questo era quello che mi aveva raccontato Blood. Quelle cose che continuavano a nascere raramente erano maschi o femmine, e dovevano essere spiaccicati sul muro appena venuti alla luce.

Le poche ragazze che non erano andate sottoterra con la gente perbene erano cagne dure e solitarie, come quella di Market Basket. Magre e coriacee, e pronte a tagliartelo con una lametta appena ci provavi. Trovare qualcuno con cui scopare era diventato sempre più difficile, a mano a mano che invecchiavo.

Ma ogni tanto una ragazza si stancava di essere proprietà di una banda, oppure quattro o cinque bande si univano per una scorreria e catturavano qualche ignara abitante dei sotterranei o, come in questo caso, qualche pollastrella perbene si faceva venire il prurito di vedere come erano fatti i film porno, e veniva su.

Stavo per scopare! Ragazzi, non vedevo l’ora!

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