«Voi mi scuserete se vi lascio» disse Matthews «ma, sebbene sia un film molto bello, farei crollare il palazzo con le mie urla se dovessi rivederlo per l’ennesima volta. A occhio e croce, l’avrò visto almeno una cinquantina di volte.»
«Non c’è problema» disse ridendo Dirk, che stava sprofondato nella poltrona del piccolo auditorio. «E’ la prima volta che mi ritrovo ad essere l’unico spettatore di un film, quindi sarà un’esperienza nuova.»
«D’accordo. Tornerò quando sarà finito. Se volete rivedere qualche rotolo, chiamate l’operatore.»
Dirk si appoggiò allo schienale che, rifletté, non era sufficientemente comodo per incoraggiare una persona a rilassarsi e a prendere le cose alla leggera. Il che dimostrava un grande buon senso del designer, dal momento che quel cinema era un locale strettamente funzionale.
Il titolo lampeggiò sullo schermo.
LA STRADA PER LO SPAZIO
Consulenza tecnica ed effetti speciali
della Interplanetary.
Prodotto dalla Eagle-Lion.
Lo schermo era buio: poi, al centro, comparve una stretta striscia di luce stellare. Lentamente si ampliò e Dirk si rese conto di essere sotto gli emisferi che si stavano aprendo di una qualche grande cupola di osservatorio. Il campo celeste cominciò a espandersi: lui stava muovendosi verso di esso.
«Per duemila anni» disse una voce pacata «gli uomini hanno sognato di viaggiare in altri mondi. Le storie del volo interplanetario sono tantissime, ma soltanto nei nostri giorni è stata perfezionata la macchina che ha reso possibili questi sogni.»
Contro il campo celeste si stagliò una sagoma scura — qualcosa di sottile, appuntito, come smanioso di allontanarsi. La scena si illuminò e le stelle svanirono. Rimase solo il grande razzo, lo scafo argenteo luccicante nella luce solare, mentre se ne stava posato sul deserto.
Le sabbie parvero ribollire allorché l’accensione le divorò, poi il gigantesco proiettile prese a salire con regolarità, come lungo un cavo invisibile. La cinepresa si sollevò verso l’alto, il razzo fu visto in prospettiva, quindi svanì nel cielo. Poco meno di un minuto dopo restava soltanto la tortuosa scia di vapore.
«Nel 1942» continuò il narratore «fu lanciato in segreto dalle rive del Baltico il primo dei grandi razzi moderni. Era la «V-2»
che avrebbe dovuto distruggere Londra. Dato che si tratta del prototipo di tutte le altre successive macchine, nonché della nave spaziale stessa, esaminiamola nei particolari.»
Seguirono una serie di disegni in sezione della «V-2»
raffiguranti tutti i componenti essenziali — i serbatoi del combustibile, il sistema di pompaggio e il motore stesso. Il funzionamento della macchina fu fatto vedere per mezzo di cartoni animati con tale chiarezza che nessuno avrebbe potuto non capirlo.
«La «V-2»«continuò la voce «era in grado di raggiungere quote superiori alle cento miglia e dopo la Guerra fu usata estensivamente per le ricerche nella ionosfera.»
Seguirono poi alcune immagini spettacolari di lanci effettuati verso la fine degli anni Quaranta nel New Mexico e alcune ancor più spettacolari di partenze fallite e di altri tipi di incidenti.
«Come potete vedere, non sempre era affidabile, e fu presto sostituita da macchine più potenti e immediatamente controllabili quali…»
L’affusolata sagoma a torpedine fu sostituita da lunghi aghi sottili che salivano fischiando nel cielo e tornavano fluttuando sotto gonfi paracadute. Uno dopo l’altro, record di velocità e altitudine venivano sfondati. E nel 1959…
«Questa è la «Orphan Annie» in fase di montaggio. Era a quattro stadi separati, o «gradini», ciascuno dei quali si staccava a esaurimento del propellente. Il suo peso iniziale era di cento tonnellate — il peso del carico utile era solo di venticinque libbre. Ma quel carico utile di polvere di magnesio è stato il primo oggetto terrestre che ha raggiunto un altro mondo.»
La Luna riempì lo schermo con i suoi crateri di un biancore luccicante e con le sue lunghe ombre che si estendevano nette e nere sulle pianure desolate. Aveva superato di poco i due quarti e la linea frastagliata di divisione racchiudeva un grande ovale di oscurità. A un tratto, nel cuore di quella terra nascosta, una minuscola ma brillante scintilla luminosa si accese per un momento, quindi scomparve. «Orphan Annie» aveva concluso il proprio destino.
«Ma tutti quei razzi erano puri proiettili: nessun essere umano si era ancora elevato al di sopra dell’atmosfera per rientrare sano e salvo sulla Terra. Il primo veicolo guidato dall’uomo che ha trasportato un unico pilota a una quota di duecento miglia è stato l’«Aurora Astralis» lanciato nel 1962. A questo punto tutta la ricerca sui razzi a lunga gittata si svolgeva sulle grandi basi sperimentali costruite nel deserto australiano.
«Dopo l’«Aurora» vennero altre navi ancor più potenti e, nel 1970 Lonsdale e McKinley, a bordo di un veicolo americano, effettuarono i primi voli orbitali attorno al mondo, girandovi tre volte attorno prima di atterrare.»
Seguì una sequenza mozzafiato, ovviamente molto accelerata, che mostrava quasi tutta la Terra che ruotava sotto, a un ritmo enorme. Per un attimo Dirk ebbe un capogiro e quando si fu ripreso la voce stava parlando della forza di gravità. Spiegò come tenesse tutto attaccato alla Terra e come si indebolisse con la distanza, senza però mai svanire del tutto. Altri disegni animati mostrarono come a un corpo si potesse imprimere una velocità tale da farlo ruotare in perpetuo attorno al mondo, bilanciando la forza di gravità e la forza centrifuga, proprio come fa la Luna nella propria orbita. La cosa veniva illustrata da un uomo che si faceva girare attorno alla testa un sasso legato all’estremità di un pezzo di corda. Piano piano allungava la corda, continuando però a far ruotare il sasso sempre più lentamente.
«Vicino alla Terra» spiegò la voce «i corpi, per poter rimanere in orbite stabili, devono viaggiare a cinque miglia al secondo, mentre la Luna, a un quarto di milione di miglia di distanza in un campo gravitazionale molto più debole, deve muoversi a solo un decimo di tale velocità.
«Ma che cosa succede se un corpo, per esempio un razzo, lascia la Terra a più di cinque miglia al secondo? Guardate…»
Sullo schermo comparve un modello della Terra che fluttuava nello spazio. Sopra l’equatore si muoveva un minuscolo punto che tracciava un percorso circolare.
«Ecco un razzo che viaggia a cinque miglia al secondo appena fuori dell’atmosfera. Come potete vedere, il suo percorso costituisce un cerchio perfetto. Ora, se ne aumentiamo la velocità a sei miglia al secondo, il razzo continua a girare attorno alla Terra in un’orbita chiusa, ma il suo percorso è diventato un’ellissi. Man mano che la velocità aumenta, l’ellissi si allunga e il razzo si spinge sempre più fuori nello spazio, ma ritorna sempre.
«Tuttavia, se aumentiamo la velocità a sette miglia al secondo, l’ellissi diventa una parabola — ecco, così — e il razzo è sfuggito per sempre. La forza di gravità terrestre non potrà mai ricatturarlo; e adesso esso viaggia attraverso lo spazio come una minuscola cometa fatta dall’uomo. Se la Luna fosse nella posizione giusta le andrebbe a sbattere contro come la «Orphan Annie».»
Ovviamente quella era l’ultima cosa che una nave spaziale dovesse fare. Seguiva poi una lunga spiegazione, che mostrava tutti gli stadi di un ipotetico viaggio lunare. Il commentatore spiegava quanto propellente bisognava trasportare ai fini di un atterraggio sicuro e quanto altro ce ne voleva ai fini di un ritorno altrettanto sicuro. Accennò appena ai problemi della navigazione nello spazio e spiegò quali misure si potevano prendere per la sicurezza dell’equipaggio. Infine concluse:
«Con i razzi a propulsione chimica abbiamo ottenuto molto, ma se vogliamo conquistare lo spazio e non solo limitarci a farvi incursioni di breve durata dobbiamo imbrigliare le forze illimitate dell’energia atomica. Al momento i razzi a propulsione atomica sono ancora allo stadio dell’infanzia, sono pericolosi e insicuri, ma entro pochi anni li avremo perfezionati e l’umanità avrà compiuto il primo grande passo lungo la Strada verso lo Spazio».
La voce si era fatta più alta e nel sottofondo si udivano i ritmi pulsanti di una musica. Poi a Dirk parve di essere sospeso, immobile, nello spazio, a qualche centinaio di piedi da terra. Fece appena in tempo a individuare qualche edificio isolato e a rendersi conto che si trovava in un razzo appena lanciato. Poi il senso del tempo ritornò: il deserto cominciò ad allontanarsi a velocità crescente, una catena di basse colline comparve alla vista e subito dopo la si vide piatta in prospettiva. L’immagine ruotava lentamente e ad un tratto il campo visivo di Dirk fu attraversato da una linea costiera. La scala si ridusse immensamente e, con un senso improvviso di choc, egli si rese conto che ora stava vedendo tutta la costa dell’Australia meridionale.
Ora il razzo non stava più accelerando, ma si allontanava dalla Terra a una velocità non molto lontana dalla velocità di fuga.
Comparvero alla vista le isole gemelle della Nuova Zelanda — e poi, ai margini dello schermo, si vide una linea bianca che per un attimo a Dirk parve una nube.
Si sentì un nodo alla gola quando si rese conto che stava guardando i ghiacci perenni dell’Antartide. Ricordò la «Discovery» attraccata a meno di mezzo miglio di distanza. Lui, con un solo sguardo, poteva abbracciare tutta intera la Terra sulla quale Scott e i suoi compagni, meno di una vita prima, avevano lottato ed erano morti.
E poi i limiti del mondo gli si pararono davanti. Quindi la girostabilizzazione meravigliosamente efficiente cominciò ad attenuarsi e la cinepresa si allontanò nello spazio. Per un lungo momento, così gli parve, vi furono oscurità e notte, poi, senza alcun preavviso, la cinepresa inquadrò in pieno il Sole e lo schermo fu illuminato di luce.
Quando la Terra ritornò, Dirk vide l’intero emisfero allargato sotto di sé. L’immagine si bloccò di nuovo e la musica tacque, ed egli ebbe il tempo per riconoscere i continenti e gli oceani su quel mondo sottostante remoto e non familiare.
Per lunghi minuti quel globo lontano rimase lì, sospeso davanti ai suoi occhi; poi, lentamente, si dissolse. La lezione era finita. Ma lui non l’avrebbe dimenticata presto.