«Finora» scrisse sul diario Dirk quella sera «ho avuto solo un assaggio dell’Interplanetary. Matthews mi ha fatto orbitare attorno a sé come un pianeta minore devo raggiungere la velocità parabolica e scappare altrove. (Sto cominciando a impadronirmi del linguaggio, come lui aveva previsto!)
La gente che ora voglio conoscere è costituita dagli scienziati e dagli ingegneri che sono la vera forza propulsiva dell’organizzazione. Che cosa li muove, per dirla in parole crude? Sono semplicemente una massa di Frankenstein interessati unicamente a un progetto tecnico, senza alcuna considerazione per le sue conseguenze? Oppure loro vedono invece, forse più chiaramente di McAndrews e Matthews, dove porterà tutto questo?
M. e M. a volte mi ricordano una coppia di agenti immobiliari che cercano di vendere la Luna. Stanno facendo un lavoro, e lo stanno facendo bene ma qualcuno, inizialmente, deve averli ispirati. E, in ogni caso, sono a un secondo grado gerarchico.
«Il Direttore Generale, il giorno in cui sono arrivato e ci siamo intrattenuti per cinque minuti, mi è sembrato una personalità molto interessante — ma è difficile che io possa andare da lui a catechizzarlo! Il suo vice sarebbe stato l’ideale, dal momento che siamo entrambi californiani, ma lui non è ancora tornato dagli States.
«Domani prenderò visione del corso «Astronautica Senza Fatica», che Matthews mi aveva promesso al mio arrivo. Dovrebbe trattarsi di una pellicola didattica in sei rotoli, e non ho potuto vederla prima perché nessuno in questa serra di geni è stato capace di riparare un proiettore da 35 millimetri. Quando lo avrò visto tutto, Alfred giura che sarò in grado di poter dire la mia con gli astronomi.
«Da bravo storico, suppongo che non dovrei avere pregiudizi di sorta e che dovrei essere capace di guardare l’attività dell’Interplanetary con occhio spassionato. Non sta andando così. Ho cominciato a preoccuparmi sempre di più delle conseguenze finali di questo lavoro e le banalità che Alfred e Mac continuano a tirar fuori non mi soddisfano affatto. Suppongo che sia così, perché ora sono ansioso di arrivare a conoscere i più eminenti scienziati e di apprendere i loro punti di vista.
Allora forse potrò giudicare, ammesso che il mio lavoro consista nel giudicare.
««Più tardi». Certo che è il mio lavoro. Basta guardare Gibbon, basta guardare Toynbee. Se uno storico non trae conclusioni (giuste o sbagliate) si riduce a essere un archivista.
««Ancora più tardi». Come avevo potuto dimenticare? Stasera sono andato in Oxford Circus con uno dei nuovi autobus a turbina.
Sono molto silenziosi, ma se ci si mette in ascolto con attenzione si può sentirli cantare tra sé in una vaga e molto alta tonalità di soprano. I londinesi ne sono oltremodo orgogliosi, dal momento che sono i primi al mondo ad averli. Non capisco come mai una cosa semplice come un autobus abbia potuto richiedere, per essere realizzato, lo stesso tempo di una nave spaziale, ma loro mi dicono che è così. Qualcosa che ha a che vedere con l’economia ingegneristica.
«Ho deciso di raggiungere a piedi l’appartamento e, uscendo da Bond Street, ho visto una carrozza dorata e trainata da cavalli che sembrava saltar fuori dritta dritta dal Pickwick. Stava portando la merce di un certo sarto, credo, e sulla scritta ornamentale si leggeva: «Fond. 1768».
«Questo genere di cose fa sì che per gli stranieri i britannici appaiano gente sconcertante. Naturalmente McAndrews avrebbe detto che sono gli inglesi, non i britannici, i pazzi — ma io mi rifiuto di fare questa sottile distinzione.»